Rischi in Adolescenza: Comportamenti e Disturbi - PDF

Summary

Questo libro esplora i comportamenti a rischio nell'adolescenza, analizzando i disturbi emotivi e relazionali. Vengono discussi i fattori di rischio e protezione, e l'importanza di un approccio multidisciplinare alla comprensione e alla prevenzione. Il lavoro si concentra sulle diverse variabili personali e ambientali che influenzano lo sviluppo adolescenziale.

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Libro: Rischi in adolescenza. Comportamenti problematici e disturbi emotivi a cura di Elena Cattelino Cap. 1 Rischi in adolescenza: comportamenti e disturbi della sfera affettiva e relazionale L'es...

Libro: Rischi in adolescenza. Comportamenti problematici e disturbi emotivi a cura di Elena Cattelino Cap. 1 Rischi in adolescenza: comportamenti e disturbi della sfera affettiva e relazionale L'espressione “comportamenti a rischio” è ormai entrata da alcuni anni nel linguaggio degli studiosi di psicologia dell’adolescenza, dove è venuta a sostituire quella usata in precedenza di “comportamenti problematici”. Questo cambio di terminologia esprime un modo diverso di guardare a tali comportamenti. In passato, infatti, alcuni di essi − come il consumo di sostanze psicoattive, i comportamenti delinquenziali − erano stati considerati soprattutto sotto l'aspetto della loro legalità o illegalità, e per questo erano stati definiti problematici. In seguito la prospettiva è cambiata e il fuoco dell'attenzione si è spostato all'individuo (vale a dire all’adolescente e al giovane) e di conseguenza alla sua salute fisica e ancora più alla globalità del suo benessere psicosociale. Con “comportamenti a rischio” si intendono oggi tutte le condotte che possono mettere in pericolo la salute e il benessere fisico e psicologico degli individui, sia nel presente che nel futuro. L'elenco è numeroso e comprende: l'assunzione di sostanze psicoattive, i comportamenti aggressivi, devianti o illeciti, il comportamento sessuale precoce e non protetto, la guida pericolosa, il gioco d'azzardo, i disturbi alimentare. Sono comportamenti che fanno la loro comparsa perlopiù in adolescenza o in età giovanile, e che possono in seguito stabilizzarsi in stili di vita non salutari. Gli effetti negativi di questi comportamenti non riguardano solo la salute fisica, ma si estendono anche alla sfera psicologica e sociale. Ad esempio, un’anticipata attività sessuale può portare a una gravidanza precoce, che a sua volta ha conseguenze sull’abbandono scolastico, con effetti anche sulla futura disoccupazione e sulla vita sociale adulta. Le situazioni a rischio non si limitano a questo già numeroso insieme di comportamenti. Esistono altre condizioni di rischio meno visibili poiché interne all’individuo − i cosiddetti rischi internalizzati in contrapposizione ai precedenti rischi elencati, i cosiddetti rischi esternalizzati e quindi maggiormente visibili dall’esterno − come nel caso dei sentimenti depressivi, di isolamento e di alienazione, dei timori che sfociano nell'ansia e nelle fobie. Dagli studi emerge che i maschi siano maggiormente coinvolti nel rischio esternalizzato (soprattutto nelle condotte aggressive e devianti) mentre le femmine maggiormente in quello internalizzato (in particolare in ansia e depressione). L’esistenza di forme di rischio più legate alle condotte e di altre forme maggiormente connesse ai vissuti ci porta a parlare di rischi al plurale. Nel campo della psichiatria e della psicologia infantile la distinzione tra disturbi di esternalizzazione e di internalizzazione è stata introdotta da Achenbach. Il costrutto di esternalizzazione si riferisce a un insieme di problemi di comportamento che l’individuo rivolge all’ambiente esterno. Al contrario, l’individuo può manifestare problemi maggiormente rivolti al proprio mondo psicologico interno, quali ansia, inibizione e depressione. Anche se intuitivamente tutti riteniamo di sapere bene che cos’è l’adolescenza, la sua definizione non è affatto semplice e il discorso si fa complesso quando si cerca di chiarirne i limiti temporali. Vi sono da un lato i vincoli biologici che riguardano lo sviluppo puberale. I ritmi di questo sviluppo sono diversi nei due sessi, e vedono una maggiore precocità nelle femmine. L'inizio dell'adolescenza può quindi essere identificato con lo sviluppo puberale. Questo evento biologico non è però in grado da solo di spiegare la complessità dei vissuti dell'adolescente di fronte alle modificazioni del proprio corpo. Se dall’età di inizio si passa a considerare l’ipotetica età di conclusione dell’adolescenza, non esistono indicatori biologici di riferimento, e tale transizione è definita solo socialmente. Il passaggio dall'adolescenza alla giovinezza e all'età adulta presenta di conseguenza notevoli differenze a seconda del contesto sociale. Nella nostra società occidentale, la quale è caratterizzata da una scolarità prolungata, l’inserimento lavorativo è più tardivo rispetto a quello di altri gruppi sociali. Gli anni di transizione tra l’infanzia ormai alle spalle e l’età adulta non ancora raggiunta (=condizione di sospensione sociale) possono accompagnarsi all’assunzione di rischi di diversa natura. Infatti, il desiderio di conoscere i propri limiti, di cimentarsi in attività nuove ed eccitanti, di mettersi alla prova con la trasgressione e di confrontarsi con i propri coetanei può condurre ragazzi e ragazze a entrare in contatto con sostanze nocive per la salute o a praticare attività rischiose, come la guida pericolosa. Per questo i diversi tipi di rischio vanno studiati nei percorsi di sviluppo adolescenziale definiti normativi (studi di campioni normativi), ovvero di quegli adolescenti che non presentano problemi particolari e riescono a far fronte, pur tra alti e bassi, ai compiti di sviluppo dell'età, primo fra tutti frequentare la scuola. Proprio lo studio dei campioni normativi ha fatto emergere l'esistenza, anche in questi adolescenti, di forme di rischio internalizzato e esternalizzato, potenzialmente pericolose per la salute e il benessere. Come abbiamo detto, con l'espressione “comportamenti a rischio” si intendono oggi tutte quelle condotte che possono compromettere la salute e il benessere psicologico e sociale dell'adolescente. Benessere fisico, psicologico e sociale si intrecciano e si influenzano reciprocamente, e i comportamenti oggi considerati a 1 rischio riguardano tutti questi aspetti, in un ottica sempre più attenta a cogliere la complessità dell'individuo nella sua realtà biologica, psicologica e relazionale, e nei suoi rapporti con il contesto sociale. La complessità dell’individuo e l’interazione tra questi e il contesto costituiscono il quadro di riferimento necessario non solo per lo studio degli effetti delle condotte a rischio, ma anzitutto per l’analisi delle loro origini. Parlando di interazione, significa considerare l’adolescente attivo e non come un essere passivo, che subisce l’influenza dei diversi ambienti in cui vive. Nel senso comune, i comportamenti a rischio sono semplicisticamente considerati il frutto di ambienti socialmente degradati, di amicizie negative, di gruppi devianti. La psicologia dello sviluppo contemporanea ha invece sempre più evidenziato il ruolo attivo dell'individuo, soprattutto a partire dall'adolescenza (→i modelli teorici che considerano il ruolo attivo dell’individuo vengono definiti costruttivisti). L’approccio per la comprensione di tali condotte è multidisciplinare e comporta l'analisi di numerose variabili (variabili personali, ambientali, sociali) che interagiscono tra loro nel tempo in contesti specifici. Il modello concettuale proposto da Jessor e collaboratori, evidenzia diverse aree, che costituiscono i quattro sistemi principali di variabili, tra loro in interazione: il sistema dell'ambiente sociale, il sistema della persona, il sistema dell'ambiente percepito e il sistema dei comportamenti. Il sistema dell'ambiente sociale si riferisce al tipo di scuola frequentata, al luogo di residenza, alla composizione del nucleo familiare, al livello culturale dei genitori. All'interno del sistema della persona, in accordo con un modello teorico costruttivista, viene rivolta un'attenzione particolare ai processi di valutazione, elaborazione e costruzione di significato del mondo e della propria personale esperienza. Particolare considerazione viene rivolta a come l'adolescente interpreta sia la realtà esterna che la propria esperienza, a come valuta le possibilità offerte dall'ambiente circostante e le proprie azioni, a come anticipa le conseguenze dei propri e altrui comportamenti, a quali soni i suoi interessi e le sue aspettative. Proprio per l’importanza di questi aspetti, le variabili relative al sistema dell'ambiente sono considerate attraverso la mediazione delle rappresentazioni individuali: per questo, il sistema è definito dell’ “ambiente percepito”. Si valuta, dunque, la percezione soggettiva che i ragazzi stessi hanno dell’ambiente circostante (con tale espressione si intende la famiglia, i genitori, il gruppo dei pari, gli amici, la scuola e il quartiere, ossia gli ambiti della vita dell’adolescente). Infine, vi è il sistema dei comportamenti, in cui sono inseriti anche i disturbi di tipo esternalizzato e internalizzato. All'interno del sistema comportamentale, vengono considerate anche le attività quotidiane svolte dagli adolescenti, la partecipazione a diversi tipi di gruppo e altri comportamenti che possono contrastare, attenuare o incrementare gli effetti dei comportamenti a rischio e dei disturbi internalizzati. Molta parte della ricerca è stata dedicata a individuare i fattori che possono aumentare la probabilità di implicazione in comportamenti pericolosi e in esiti disadattivi. Questi fattori di rischio non agiscono in modo lineare e il loro ruolo può essere compreso solo considerando l'interazione tra i diversi sistemi di variabili. Non tutti gli adolescenti che hanno vissuto situazioni a rischio presentano comportamenti a rischio. Questa consapevolezza ha portato a integrare lo studio dei fattori di rischio con quello dei fattori di protezione, ossia quelle caratteristiche, individuali e contestuali, che diminuiscono la probabilità di coinvolgimento nei comportamenti a rischio oppure riducono il coinvolgimento in atto e ne limitano gli esiti negativi. I fattori di protezione interagiscono in maniera dinamica con quelli di rischio, all’interno della complessa rete di interazioni tra i diversi sistemi delle variabili contestuali e individuali, e concorrono a delineare i differenti percorsi di sviluppo. La ricerca di questi ultimi decenni è stata guidata dalla convinzione, confortata poi dai risultati di ricerca, che le condotte a rischio, apparentemente insensate per la loro nocività, siano invece azioni dotate di senso e di scopo-obiettivo per chi le mette in atto. Gli stessi obiettivi potrebbero essere raggiunti anche attraverso comportamenti salutari, come moltissimi adolescenti fanno. Lo studio delle funzioni ha permesso di comprendere come comportamenti molto diversi, sia a rischio che no, possono servire per raggiungere obiettivi di crescita simili e avere quindi una ''equivalenza funzionale''. Al contrario, comportamenti simili possono essere motivati da scopi molto differenti (ad esempio, il consumo di alcolici per alcuni ha la funzione di esplorare sensazioni nuove, per altri può assolvere a una funzione di fuga dai problemi). Gli studi sulle condotte a rischio hanno dimostrato che esse in genere non compaiono in forma isolata, ma, al contrario, perlopiù congiunta (la comparsa concomitante è stata definita da alcuni studiosi con il termine costellazione). Ad esempio, l'assunzione di sostanze psicoattive si accompagna spesso a furto, azioni vandaliche e atti aggressivi. Lo studio delle funzioni, insieme a quello dei fattori di protezione, risulta fruttuoso per la progettazione e realizzazione di interventi di prevenzione efficaci. Agire sulle funzioni permette infatti di incidere sulle ragioni profonde per cui gli adolescenti ricorrono a comportamenti rischiosi, per sostituirli con condotte salutari ma ugualmente significative. Nell'ambito dei problemi della sfera affettivo e relazionale, o internalizzati, sono stati individuati principalmente i disturbi di ansia e quelli depressivi: i sintomi depressivi includono tristezza, problemi di 2 sonno e appetito, sensi di colpa, difficoltà di concentrazione, mentre quelli ansiosi comprendono eccesso di preoccupazione, eccessivo bisogno di rassicurazione, reazioni somatiche, irritabilità. Va ricordato che stati d'ansia e sentimenti depressivi fanno parte della natura umana e sono generalmente legati a momenti o ad ambiti specifici. Ansia e sentimenti depressivi possono però diventare non controllabili, permanenti e generalizzanti. I momenti di transizione, quali l'adolescenza possono dare luogo a sentimenti contradditori, suscitando ansie e timori e mobilitando meccanismi di difesa di tipo depressivo. La comparsa di ansie e di sentimenti depressivi è, se limitata, del tutto normale in questo periodo. Questi sentimenti e stati d’animo diventano pericolosi se perdurano nel tempo e diventano pervasivi. I problemi della sfera emotiva e relazionale, così come quelli comportamentali, possono essere ricondotti a una molteplicità di cause, alcune delle quali si trovano all'interno della persona, mentre altre sono maggiormente legate alle relazioni sociali, alle opportunità e ai vincoli presenti nei diversi contesti socioculturali. Mentre la psicologia si è maggiormente occupata dei comportamenti a rischio di tipo esternalizzato, la psichiatria e la psicopatologia si sono concentrate sul rischio internalizzato. Cap. 2 Caratteristiche personali e difficoltà emotive e comportamentali Numerose ricerche hanno mostrato come nel corso dell'adolescenza le difficoltà emotive e comportamentali, tendono a farsi più intense. In relazione a ciò è apparso cruciale indagare sul possibile ruolo giocato da alcune caratteristiche personali dell’adolescente nel favorire o contrastare lo sviluppo di specifiche condotte antisociali o di sentimenti di depressione e solitudine. Ci si è posti, quindi, una serie di domande sul legame tra le caratteristiche individuali e le difficoltà di natura sia comportamentale che emotiva. Per rispondere a tali domande, alcuni autori hanno elaborato un modello che si basa sulla differenza di sensibilità o vulnerabilità. Secondo questa prospettiva , gli individui che posseggono determinate caratteristiche personali sono potenzialmente più sensibili ai cambiamenti legati alla transizione adolescenziale e quindi più a rischio di altri. Ora focalizzeremo la nostra attenzione su quelle che Graber e Brooks-Gunn definiscono caratteristiche psicologiche, e cercheremo di comprendere il ruolo che esse svolgono nell’insorgenza e nella manifestazione di comportamenti problematici e di disagio emotivo. Uno degli ambiti su cui negli ultimi anni si sono maggiormente soffermati i ricercatori interessati a individuare un legame tra i disordini comportamentali ed emotivi manifestati dagli adolescenti e aspetti del loro funzionamento psicologico è costituito dallo studio della personalità. Alcuni psicologi hanno scelto di descrivere la personalità secondo un orientamento dimensionale basato sull'identificazione di tratti e disposizioni; altri hanno adottato un approccio tipologico centrato sulla persona. I tratti sono le tendenze organizzatrici del comportamento risultanti dalla congiunzione di fattori genetici e acquisiti. Essi corrispondono a inclinazioni abituali a esibire un certo tipo di risposte piuttosto che un altro. La natura dei tratti è diversa per ogni persona, anche se la loro struttura generale può presentare delle analogie. Il problema cruciale su cui gli studiosi, per lungo tempo, hanno centrato l’attenzione è rappresentato dalla ricerca di una classificazione universale per descrivere la personalità. Hanno cercato di fare ciò attraverso tecniche statistiche, tra cui l’analisi fattoriale. Tra le varie conclusioni a cui i ricercatori sono giunti in merito a quelle che dovrebbero essere le componenti fondamentali della personalità, il modello dei cinque fattori di McCrae e Costa è quello che rappresenta una prospettiva unificatrice. Sembra quindi che le tendenze e le disposizioni di ciascun individuo, a prescindere dalla lingua o dalla cultura di appartenenza, possano essere ben descritte da questo insieme di cinque dimensioni o fattori di seguito delineati: 1) estroversione/introversione o energia : questo fattore fa riferimento all'entusiasmo nell'incontro con sé, con la vita e con le circostanze della vita; a esso sono riconducibili caratteristiche di personalità come l'energia, l'attività e la dominanza; 2) gradevolezza/ostilità o amicalità: comprende da un lato caratteristiche come l'altruismo, il prendersi cura, il dare supporto e la cordialità, e dall'altro caratteristiche come l'ostilità, l'indifferenza, l’egoismo e il cinismo; 3) coscienziosità: a esso sono riconducibili le capacità di autoregolazione, come l’affidabilità, la responsabilità, la puntualità; 4) stabilità emotiva/nevroticismo: comprende caratteristiche come la vulnerabilità, la fragilità, l'irritabilità, l'insicurezza; 5) apertura mentale/cultura o intelletto: corrisponde sia all'apertura verso le nuove idee, i valori degli altri e i propri sentimenti, sia all'ampiezza dei propri interessi culturali. Tali tratti di personalità possono divenire cosi rigidi e disadattivi da compromettere il funzionamento interpersonale dell'individuo. In particolare, sembra che negli adolescenti caratterizzati da scarsa fiducia ed entusiasmo nei confronti della vita, e che risultano inaffidabili e poco responsabili, si manifestano sintomi di natura esternalizzata; mentre sintomi tipici di difficoltà di natura internalizzata sono stati rilevati nei giovani emotivamente instabili, introversi poco amicali o altruisti. I soggetti cosi detti “nevrotici” si ritiene che siano 3 più sensibili alle minacce e alle punizioni, le quali li predispongono, a loro volta, verso stati affettivi negativi e comportamenti evitanti. Gli individui cosiddetti “estroversi” sembrano essere particolarmente sensibili alle occasioni che offrono possibilità di ricompensa e maggiormente predisposti alla ricerca di emozioni e stati affettivi positivi, che cercano di ottenere anche incorrendo in comportamenti a rischio. Nell'ambito dell'approccio tipologico centrato sulla persona, l'individuo viene descritto non in termini di dimensioni di tratto, ma in termini di tipi di personalità. L'approccio tipologico è stato particolarmente approfondito da Block e Block che hanno introdotto i concetti di controllo (ego-control) e resilienza (ego-resiliency) personale. Il primo fa riferimento al grado di controllo che l'individuo esercita sui propri impulsi, desideri ed emozioni; la resilienza si riferisce, invece, alla capacità della persona di modificare il modo flessibile ed elastico i livelli di controllo personale, sociale ed emotivo conciliando la soddisfazione dei propri bisogni con le richieste dell'ambiente (=la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà). Gli studiosi in tale ambito sembrano convergere sull'esistenza di tre tipi di personalità: 1) gli individui resilienti, caratterizzati da alti livelli di adattamento psicologico/psicosociale. La mancanza di resilienza, invece, appare associata all’uso di droghe e a sintomi depressivi; 2) gli individui ipercontrollati che appaiono socievoli, ma socialmente inibiti e maggiormente vulnerabili verso i sintomi internalizzati; 3) gli ipocontrollati che sono relativamente poco amichevoli e coscienziosi, e instabili emotivamente. Propensi a manifestare problemi esternalizzati, alti livelli di consumo di alcool e droga. Le indagini hanno mostrato che i suddetti tipi di personalità sembrano essere associati in modo diverso all'insorgenza di problemi comportamentali e di disagio emotivo. La letteratura ha ampiamente evidenziato il ruolo giocato, nella manifestazione e nell'espressione dei problemi emotivi e comportamentali durante l'adolescenza, da due costrutti legati al sé: l'autostima e il senso di autoefficacia. L'autostima è l'aspetto valutativo del sé, il valore che ciascun individuo attribuisce alla propria persona. Nel corso dell'adolescenza, periodo della vita in cui l’attenzione per l’immagine di sé è particolarmente elevata, la stima che il giovane ha di sé stesso sembra essere fortemente correlata alla manifestazione di comportamenti a rischio e disturbi della sfera affettiva. Sembra ormai largamente dimostrata la relazione tra una bassa autostima e i sintomi ansiosi e depressivi. Nel rendere conto della relazione che intercorre tra autostima e aggressività, alcune teorie hanno considerato responsabile del comportamento aggressivo una valutazione negativa del sé. Il dubbio era se gli adolescenti aggressivi avessero una scarsa stima di sé, oppure al contrario, se la loro aggressività derivasse dal sentirsi migliori degli altri e dall’essere pieni di sé. Alcune teorie, tra cui anche quella di Rogers e di Freud, sono concordi nel ritenere che una bassa stima di sé sia all’origine del comportamento aggressivo. Una scarsa stima di sé, determinerebbe un’intensa sofferenza e frustrazione e ciò porterebbe gli individui a comportarsi in modo aggressivo nel tentativo di sentirsi meglio riguardo a sé stessi. Altre teorie, sono in disaccordo con questa posizione: sembrerebbe, invece, che l'aggressività possa essere legata a un'autostima eccessivamente elevata, indice di un immagine narcisistica di sé. Anche il senso di autoefficacia del giovane sembra avere una funzione cruciale nell'espressione di disturbi comportamentali. La capacità percepita di produrre un azione desiderata, definita autoefficacia, gioca un ruolo primario nel autoregolazione del proprio stato emotivo, in quanto la percezione di non essere capaci di influenzare gli eventi e le condizioni sociali che significativamente colpiscono la propria vita può dare luogo a sentimenti di inutilità, sconforto e ansia. Quando un individuo si percepisce incapace di ottenere risultati di notevole valore tende ad essere depresso; al contrario, quando vede se stesso come mal equipaggiato per far fronte a eventi potenzialmente minacciosi tende ad essere ansioso. Sembra che ci siano tre percorsi principali tramite i quali un basso senso di autoefficacia può dare luogo a sentimenti negativi. In primo luogo, quando una persona deve affrontare una situazione in cui deve raggiungere livelli di qualità molto alti, un basso senso di autoefficacia può produrre scoraggiamento e forte apprensione. In secondo luogo, un basso senso di autoefficacia può ostacolare la formazione di rapporti sociali positivi e ciò può promuovere sentimenti di depressione. Infine, un basso senso di autoefficacia sul controllo dei pensieri negativi può aumentare l'ansia e la depressione. Si ritiene che bassi livelli di autoefficacia in ambito accademico e sociale siano predittivi di sintomi depressivi e si associno ad alti livelli di ansia. Un basso livello di autoefficacia in ambito scolastico influisce anche sulla probabilità che l'adolescente venga coinvolto in attività trasgressive e comportamenti antisociali, come l'uso di sostanze stupefacenti. Al contrario, adolescenti con un alto senso di autoefficacia dimostrano maggiori capacità prosociali e un minore coinvolgimento in atteggiamenti aggressivi e attività delinquenziali. Sembra che l’autoefficacia scolastica abbia un ruolo molto più importante per le ragazze. Un'ulteriore caratteristica psicologica indagata dagli autori, sempre in riferimento ai comportamenti a rischio e al disagio emotivo, è la disposizione del giovane alla responsività empatica. L'empatia può essere definita come la capacità di adottare il punto di vista psicologico di un’altra persona, di capirne i pensieri e i 4 sentimenti e di sperimentare in maniera vicaria le emozioni che l'altro sta vivendo. Un’ampia letteratura ha dimostrato che l’empatia costituisce un fattore in grado di ridurre l’espressione di comportamenti di natura aggressiva. L’empatia può ridurre le manifestazioni comportamentali attraverso due meccanismi principali: l'assunzione di ruolo (role taking), che consente agli individui, nelle situazioni ambigue, di comprendere l'altro e di capirne le reali intenzioni e motivazioni (riducendo il rischio di identificare dei comportamenti come aggressivi, ma che in realtà non hanno questa natura o, laddove l’avessero, aumentano la capacità di tollerarli) evitando eventuali reazioni di tipo aggressivo e, l'immedesimazione nell'altro, che spinge gli individui a non aggredire coloro con cui si condividono, in maniera vicaria, le stesse emozioni. Alcune ricerche hanno fatto emergere come gli individui aggressivi e che manifestano comportamenti da bullo presentino punteggi più bassi dei coetanei non aggressivi in tutte le dimensioni dell'empatia (componenti emotiva dell’empatia, componenti cognitive, capacità di assunzione di prospettiva altrui). Per quel che riguarda il ruolo che la responsività empatica esercita sul malessere emotivo, Eisenberg sostiene che negli individui caratterizzati da una scarsa capacità di regolazione empatica, dovuta a un’eccessiva propensione all'immedesimazione nei sentimenti altrui, si possono generare un disagio personale e un eccessivo stato di attivazione emotiva negativa, che a loro volta possono predisporre questi individui a tristezza e stati depressivi. Diversi sono stati i tentativi di spiegare la relazione tra gli elevati livelli di empatia (eccessivo stress causato dall'essere testimoni e sperimentare la sofferenza altrui) e disagio emotivo. La vera esperienza empatica richiede due capacità apparentemente contrarie: da un lato, la capacità di riconoscere gli affetti dell'altro come diversi dai propri e, dall'altro lato quello di accoglierli e farli propri. È necessario quindi distinguere ciò che attiene al sé e ciò che attiene all’altro. In caso contrario, si presenta un fallimento nel processo di definizione dei confini Sé-Altro. Trovarsi nella necessità di mettere in atto comportamenti non congruenti rispetto ai desideri altrui e alla propria inclinazione, per questi individui che possiedono un’ipersensibilità empatica, comporterebbe la comparsa di disagio emotivo, in particolare ansia. La letteratura contemporanea evidenzia come le dimensioni temperamentali possano esercitare sia un'influenza diretta nello sviluppo di alcuni disturbi comportamentali, sia un effetto indiretto attivando certi bisogni o motivazioni che vengono soddisfatti attraverso tali condotte e atteggiamenti. È possibile definire il temperamento di un individuo come l'insieme delle caratteristiche di base della personalità. Il temperamento, nonostante abbia una basa biologica che predispone l’individuo a comportarsi secondo determinate modalità e risulti moderatamente stabile nel corso dello sviluppo, non può comunque essere ritenuto immutabile. Le capacità di autoregolazione ed di reattività della persona, infatti, così come l'ambiente e l'esperienza, possono influenzare il modo in cui le disposizioni innate del temperamento si esprimono. Per ''reattività'' si intende l'eccitabilità o l'attivabilità del sistema di risposta comportamentale, cioè la facilità con cui si possono suscitare nell'individuo risposte motorie, attentive ed emotive; Il termine ''autoregolazione'', invece, si riferisce a processi come l'attenzione, l'avvicinamento-evitamento e l'inibizione, che servono a modulare (attivare oppure inibire) il livello di reattività locale e risposta agli stimoli endogeni ed esogeni. Sembra che tre dimensioni del temperamento − il mantenimento dell’attenzione, il controllo inibitorio e affettività negativa (ossia la tendenza a essere preoccupati, ansiosi, autocritici) − abbiano un ruolo importante nell'eziologia e nel mantenimento delle problematiche comportamentali e del disagio emotivo in età adolescenziale. La perdita di controllo sembra essere legata ai sintomi internalizzati, mentre le difficoltà nella regolazione del controllo sembrano associate ai sintomi esternalizzati. La letteratura sul rischio psicosociale ha individuato due ampie classi di fattori che sembrano promuovere la resilienza di fronte alle avversità della vita: le risorse sociali e quelle personali. Le risorse sociali intese come disponibilità di relazioni con adulti e coetanei capaci di fornire un sostegno adeguato, accessibilità a scuole efficaci e, più in generale, la possibilità di fare affidamento su adulti competenti nel più vasto ambiente sociale in cui il giovane vive. Le risorse personali si riferiscono alle disposizioni soggettive dell'individuo, come l'autostima, la padronanza, la capacità di autocomprensione, i valori fondamentali e le priorità. Cap. 3 Le relazioni familiari: una risorsa per la transizione all’età adulta La prima rete sociale in cui l'individuo si inserisce è la famiglia e le esperienze in essa lasciano un'impronta sulla personalità, sulla visione del mondo e sul comportamento. In genere, quando si pensa alla famiglia prevale l’idea stereotipica di un nucleo familiare composto da due genitori sposati e da uno o più figli nati dalla loro unione. Il mito della famiglia nucleare è di origine relativamente recente. La struttura familiare del XVII, XVIII e XIX secolo non corrisponde affatto all'immagine che oggi noi abbiamo di famiglia. Basti pensare che sino agli ultimi decenni del Settecento molto raramente ci si sposava per amore. Negli ultimi anni del XVIII secolo i mutamenti nel mondo del lavoro contribuirono all’evoluzione della famiglia: in seguito ai processi di urbanizzazione e industrializzazione l'attività lavorativa si concentrò fuori dall'abitazione e la famiglia si trasformò nell'ambiente in cui i lavoratori rientravano per trascorrere il tempo 5 libero. Ciò accrebbe il carattere privato delle relazioni familiari e l'importanza del legame affettivo tra i coniugi. Anche il Romanticismo ha contribuito a portare in primo piano la coppia e la famiglia fondata sulla coppia, conquista che è rimasta e si è rafforzata nei tempi moderni. Il mito della famiglia ha però cominciato a svanire in tempi più recenti. In Italia fu l'introduzione del divorzio negli anni sessanta a rendere visibili nuove strutture familiari, sia in alternativa alla famiglia nucleare che come conseguenza del suo scomporsi. Oggi le forme familiari hanno perso la loro rigidità e sembrano adattarsi alle storie individuali. La famiglia, perciò, sembra in parte perdere la sua forza e il suo rilievo come istituzione. In questo capitolo si parlerà di famiglia facendo riferimento alla definizione di realtà che trova origine nel matrimonio oppure in una convivenza stabile, e consiste nella coppia coniugale e nei figli nati da questa unione, o adottati, residenti nel medesimo domicilio. «La famiglia è un microsistema in evoluzione, tale evoluzione è scandita principalmente dagli ingressi e dalle uscite dei suoi componenti (nascita, matrimonio, morte); la famiglia reagisce a questi eventi recuperando equilibrio e garantendo benessere ai suoi componenti grazie all'eccesso alle proprie risorse» → ciclo di vita familiare. Il ciclo di vita di una famiglia è caratterizzato da specifici eventi critici che la famiglia incontra nel suo percorso. Uno di questi eventi critici è l’ingresso di un figlio in età adolescenziale. Infatti, in questa fase, l’equilibrio familiare è messo in crisi. È richiesta una riorganizzazione. Gli anni della adolescenza sono generalmente considerati un periodo di transizione tra il mondo degli adulti, in cui è centrale l’impegno nel lavoro, e il mondo degli adolescenti, legato ai compiti e ai ritmi della vita scolastica. Per gli adolescenti, oggi indipendenza non significa andarsene da casa, ma avere la libertà di fare le proprie scelte soprattutto in riferimento agli amici, al partner, ai valori, alla scelta della carriera futura. Le problematiche legate alla separazione e al distacco dai genitori occupano un posto centrale nell'esperienza adolescenziale. L'alternarsi di tendenze separative (forte spinta verso l'autonomia) e tendenze regressive (bisogno di vicinanza e supporto affettivo) fa sperimentare all'adolescente confusione e angoscia. La definizione di una nuova e più realistica immagine di genitori, considerati ora come persone soggette all’errore e non più infallibili, contribuisce all'aumento della conflittualità domestica ma, è anche funzionale al graduale sviluppo dell'autonomia dei figli adolescenti sul piano emotivo, affettivo, cognitivo e comportamentale. L'adolescente, attraverso l'emancipazione dalla famiglia deve imparare ad assumersi delle responsabilità e deve diventare gradualmente capace di rispondere di sé sul piano affettivo, sociale e ideativo, in coincidenza con l'acquisizione di un identità adulta. Nella ricerca della propria indipendenza, gli adolescenti cercano il sostegno degli amici con i quali sperimentano nuovi comportamenti; essi possono, così, lasciarsi influenzare dalle condotte degli amici e intraprendere percorsi di sviluppo dannosi per la loro salute, presente e futura. Nel contempo, diventa sempre più difficile per i genitori e gli insegnanti sia convincere gli adolescenti mettere in pratica certe norme salutari sia esercitare un controllo sui loro comportamenti. Gli adolescenti infatti non accettano più il modello di comportamento proposto dai genitori e non danno retta ai loro consigli, ma rivendicano una propria autonomia di scelta. Il compito evolutivo più significativo dell'adolescente è il raggiungimento di una propria identità adulta. In tale compito egli può essere o meno sostenuto e favorito dai familiari. È necessario che i genitori riconoscano l’esigenza di modificare le loro relazioni con i figli quando questi diventano adolescenti. Si parla a tale proposito di protezione flessibile, intendendo con questo concetto la capacità dei genitori di favorire l'autonomia dei figli pur riconoscendo la presenza, ancora, di diversi aspetti di dipendenza. La famiglia deve mettere il figlio nella condizione di poter bilanciare tra sperimentazione e protezione, tra esplorazione e base sicura. Si tratta di un momento di discontinuità nella vita familiare che può mettere in difficoltà i genitori, che possono sviluppare dei vissuti di inutilità e di vuoto di fronte alla percezione che i figli non hanno più bisogno di loro. I genitori che non vedono più riconosciuto il proprio ruolo, rischiano di mettere in atto degli atteggiamenti di iperprotezione, esercitando un controllo eccessivo sui figli con la conseguenza di limitarne l'autonomia. Il ritardato ingresso dei figli nella vita adulta implica inoltre un ulteriore compito per la famiglia: quello di svolgere la funzione di mediatore sociale. La società attuale infatti, a differenza di quella del passato, si caratterizza come un contesto instabile di difficile lettura. In una situazione così complessa, quali sono allora i fattori che rendono una famiglia efficiente e funzionale nell’affrontare l’adolescenza dei figli? Da molti studi emerge che questi fattori sono sicuramente la buona qualità delle relazioni, una comunicazione aperta, la quale rende la famiglia una luogo privilegiato di confronto e discussione. I genitori, curando la qualità della relazione e della comunicazione con il figlio adolescente, innanzitutto gli dedicano del tempo e, in secondo luogo, gli esprimono tutto il loro interesse per la sua maturazione e, in generale, per la sua vita. Si tratta di trovare un equilibrio fra la disponibilità all’ascolto, calore, supporto emotivo e controllo dei comportamenti dei figli attraverso chiare indicazioni normative, adeguate al grado di maturità dei figli. La letteratura scientifica nazionale e internazionale è concorde nell'attribuire alla famiglia un ruolo di rilievo 6 nell'influenzare lo sviluppo dei suoi membri e in particolare nel favorire o, al contrario, ostacolare la crescita dei figli. Una transizione di successo dalla fanciullezza all'età adulta può realizzarsi solo con il sostegno e la guida attenta dei genitori. Nell’ambito degli studi sul rischio psicosociale in adolescenza sono stati esaminati diversi fattori relativi al contesto familiare − come le caratteristiche socioeconomiche della famiglia, il sostegno e il controllo genitoriale, l’apertura al dialogo, gli stili educativi, le caratteristiche personali dei genitori − in grado di giocare un ruolo nel favorire o limitare il coinvolgimento degli adolescenti in varie forme di rischio. I diversi elementi del contesto familiare sono considerati come interagenti fra loro a vari livelli, e con diversi gradi di rilevanza, rispetto al coinvolgimento nelle varie forme di rischio dei figli adolescenti. Analizzeremo ora proprio il ruolo svolto dalle diverse caratteristiche della famiglia rispetto al coinvolgimento degli adolescenti nei comportamenti a rischio e in altre forme di disagio. I dati dell'ISTAT indicano un sensibile aumento delle separazioni e dei divorzi in Italia negli ultimi anni. Nel 2007 il 27% delle coppie sposate si è separata e il 17% ha divorziato. Nel 2007, il numero di figli minori di 18 anni coinvolti nelle separazioni e nei divorzi dei genitori è stato pari a 91.901. Sulla base di questi dati è possibile supporre che la situazione cambi nel prossimo futuro, nella direzione di un ulteriore aumento dell'instabilità familiare. Vi è un certo consenso nel ritenere che bambini e adolescenti che crescono con genitori divorziati sono più a rischio per i loro percorsi di crescita (presentando maggiori livelli di depressione, peggiori risultati scolastici, maggiore probabilità di essere coinvolti in diversi comportamenti a rischio) rispetto ai loro coetanei che crescono, invece, in nuclei familiari integri. Non emergono differenze di genere rispetto all'effetto della separazione dei genitori. Figli e figlie sembrano subire in modo simile gli effetti del divorzio. Sono invece stati riscontrati degli effetti specifici legati all’età dei figli. Alcune ricerche evidenziano maggiori effetti negativi nei figli più giovani per quanto riguarda le difficoltà in ambito scolastico, mentre i ragazzi più grandi sembrano manifestare più evidenti difficoltà di adattamento psicologico. Al contrario, un altro studio evidenzia maggiori livelli di coinvolgimento nei comportamenti a rischio e maggiori disturbi nella sfera affettiva se l'esperienza del divorzio dei genitori avviene precocemente, ossia quando i bambini hanno tra i 5 e i 10 anni. Si osservano invece maggiori difficoltà scolastiche quando i figli vivono il divorzio dei genitori in preadolescenza e adolescenza. Questi risultati possono essere spiegati considerando che i bambini più piccoli possono avere maggiori difficoltà a comprendere quanto sta accadendo nella loro famiglia; emergono dunque in loro maggiori sentimenti di ansia, sensi di colpa e minori capacità di usare le risorse extrafamiliari per far fronte all'evento. Invece, i preadolescenti e gli adolescenti mostrano maggiori difficoltà nei risultati scolastici probabilmente perchè il divorzio dei genitori può ridurre l'impegno e la concentrazione nei compiti scolastici. Diversi studi evidenziano che gli effetti del divorzio non scompaiono con il tempo, ma persistono durante l'intera adolescenza e nell'età giovane-adulta. Confrontando adolescenti e giovani adulti che vivono in famiglie integre con i loro coetanei che vivono in famiglie con genitori divorziati, si è evidenziato che questi ultimi mostravano maggiori problemi di tipo internalizzato ed esternizzato, senza significative differenze tra maschi e femmine. Occorre non trascurare il ruolo del contesto sociale e culturale in cui i figli vivono questa esperienza. Anche nel nostro paese, il divorzio sta diventando un evento sempre più culturalmente accettato: i figli di genitori separati sono più numerosi rispetto al passato e possono spesso trovare esperienze simili fra gli amici o i compagni di scuola. Ciò può contribuire a ridurre la stigmatizzazione e favorire la loro accettazione sociale. Diversi studi hanno dimostrato il maggior coinvolgimento di adolescenti che crescono in famiglie non integre nei comportamenti devianti e nell'uso di sostanze psicoattive. Facendo riferimento al concetto di funzioni dei comportamenti a rischio possiamo ipotizzare una funzione comunicativa di tali comportamenti. Gli adolescenti che vivono in nuclei familiari non integri possono utilizzare queste condotte problematiche per esprimere sia il proprio desiderio di essere considerati sia il proprio disagio a genitori troppo presi dalle proprie preoccupazioni o dai propri problemi relazionali con l'ex coniuge, ed eventualmente dal coinvolgimento in una nuova relazione amorosa. Occorre anche tenere in considerazione il livello di stress familiare. In genere i ragazzi e le ragazze che vivono in famiglie monogenitoriali denunciano un elevato livello di stress: adottare condotte devianti e assumere sostanze psicoattive può svolgere una funzione di fuga. Come ha messo in evidenza un’indagine statistica dell'ISTAT, in Italia bambini e adolescenti vivono in famiglie con sempre meno fratelli. Il 24% dei minori di 18 anni non ha fratelli o sorelle e il 53% ha un solo fratello o sorella. Questa situazione è maggiormente osservabile nelle regioni del Nord-Ovest d’Italia, rispetto alle regioni meridionali. La ricerca scientifica ha a lungo trascurato il ruolo svolto dalle relazioni con i fratelli. La relazione tra fratelli è stata considerata in modo semplificato: o in termini negativi di rivalità e gelosia o in termini positivi di solidarietà e stabilità nel tempo del legame fraterno. Soltanto negli ultimi anni sono stati pubblicati lavori che hanno indagato più in profondità la complessità degli aspetti che caratterizzano questa relazione e che la distinguono da altre relazioni tra pari. La maggioranza degli studi sui fratelli riguarda bambini in età prescolare e scolare, mentre sono scarsi i contributi centrati su preadolescenti e adolescenti. Rispetto a questa fascia d'età, alcuni lavori tradizionali 7 hanno evidenziato come i fratelli si sentano particolarmente vicini gli uni agli altri, si confidino le esperienze vissute e rappresentino un importante e reciproca risorsa emotiva. Tuttavia, in adolescenza anche la relazione fraterna si presenta come una realtà complessa, in cui affetto e solidarietà reciproci convivono accanto a gelosie e conflitti. Spesso il fratello adolescente è colui che sperimenta per primo le relazioni all'esterno della famiglia; per questo egli riveste il ruolo di ''pioniere'' rispetto ai fratelli minori, ponendosi come un modello che essi potranno imitare lungo il loro percorso di crescita e sviluppo. Rimane ancora da approfondire come le relazioni sperimentate dall’adolescente con fratelli e sorelle in questo periodo della vita possano influenzare il suo adattamento psicosociale. Una famiglia è funzionale quando risponde ai bisogni di sicurezza e di crescita dei figli e fornisce a questi ultimi le competenze necessarie per inserirsi nella società. Molti studi hanno individuato importanti associazioni fra la qualità della relazione tra genitori e figli, da un lato, e il coinvolgimento nei comportamenti a rischio e nei disturbi della sfera affettiva degli adolescenti, dall’altro. Relazioni familiari coese, supportive (=sostegno genitoriale, cioè la percezione degli adolescenti di poter contare sui propri genitori) e caratterizzate da una buona apertura al dialogo costituiscono un importante fattore protettivo dal coinvolgimento nei comportamenti a rischio e dai sentimenti di malessere in adolescenza. Uno dei più importanti predittori dell'adattamento psicosociale dell'adolescente è il sostegno (che comprende l’accettazione, l’ascolto e la condivisione dei problemi, la comprensione, l’interesse, l’incoraggiamento) che egli percepisce dagli altri significativi, primi fra tutti i genitori. Un buon livello di sostegno genitoriale permette all'adolescente di rivolgersi con sicurezza verso il mondo esterno esplorando nuovi ruoli e aspetti di sé, sapendo di poter contare sulla presenza affettiva stabile dei genitori. Alcuni studi hanno dimostrato come la comunicazione aperta tra genitori e figli sia in grado di limitare il coinvolgimento in diversi tipi di comportamenti a rischio, in particolare nei comportamenti devianti, oltre che ridurre la probabilità di sperimentare sentimenti di malessere. Infatti la disponibilità al dialogo e al confronto da parte dei genitori facilita l'interiorizzazione delle norme e dei valori da essi proposti. Abbiamo finora parlato di sostegno affettivo e apertura al dialogo genitoriale in riferimento a entrambi i genitori, ma occorre precisare che diversi studi hanno messo in evidenza delle differenze fra padre e madre rispetto a queste variabili. Le madri sono generalmente più aperte al dialogo, più vicine sul piano affettivo ai figli adolescenti, che tendono a considerarle fonte privilegiata di sostegno rispetto ai padri. I padri, invece, sono considerati meno supportivi e vengono descritti dagli adolescenti come più distanti e meno disponibili al dialogo. La presenza di una buona relazione tra genitori e figli, connotata da sostegno affettivo e disponibilità al dialogo, non implica l'assenza di conflitti (il conflitto non è necessariamente negativo!). Molto spesso si tratta di disaccordi riguardanti le questioni quotidiane (come le regole relative allo svolgimento dei compiti, alle uscite con gli amici), che in genere non pregiudicano la relazione con i genitori. Quando i conflitti si verificano in un clima positivo, essi possono costituire anche un’esperienza di apprendimento poiché promuovono le capacità d’ascolto, argomentazione, riflessione e negoziazione. I conflitti che si associano a un funzionamento familiare connotato da elevata severità e scarso sostegno genitoriale non generano nella famiglia dei cambiamenti evolutivi, ma paralizzano i processi di interazione tra genitori e figli. Le relazioni familiari caratterizzate da tale conflittualità costituiscono un importante fattore di rischio rispetto al coinvolgimento dei figli nei comportamenti a rischio e in particolare nei comportamenti devianti e li sostengono a maggiori sentimenti depressivi, ansia e stress. Una seconda importante dimensione del funzionamento familiare in grado di limitare il coinvolgimento nel rischio è costituita dal controllo genitoriale. Possiamo distinguere due principali tipi di controllo familiare: il controllo dei comportamenti e il controllo psicologico esercitato dai genitori sui figli adolescenti. Il primo fa riferimento alla capacità dei genitori di monitorare le condotte dei figli predisponendo dei limiti di azione, ossia ponendo delle regole rispetto ai diversi contesti della vita dei propri figli. I genitori dovrebbero essere abili ad adeguare il livello di controllo sui comportamenti dei figli al loro crescente grado di maturità, riducendolo man mano che essi si avvicinano all’età adulta; il secondo, invece, è un controllo basato sull'intrusione e la manipolazione e interferisce quindi con lo sviluppo psicologico ed emotivo dell'adolescente. Esso, infatti, non è orientato ad aiutare l’adolescente a muoversi nel contesto sociale sapendo che cosa gli è permesso e che cosa no, ma ha come obbiettivo la manipolazione dei suoi pensieri e sentimenti, e quindi una riduzione dell'autonomia emotiva e della sicurezza in sé. Il concetto di controllo è spesso associato, ed è in parte sovrapponibile, a quello di supervisione genitoriale o monitoring. Quest'ultimo aspetto riguarda più strettamente la conoscenza riguardo a “dove” e “con chi” si trovano i figli quando sono fuori casa. Anche il monitoring è in grado di limitare il coinvolgimento in diverse forme di condotte a rischio psicosociale e a rischio per la salute, svolgendo dunque una funzione protettiva. La conoscenza dei genitori riguardo le attività svolte dai figli fuori casa e le compagnie che frequentano può provenire da diverse fonti. Essa può derivare da un atteggiamento attivo di richiesta da parte dei genitori nei confronti dei figli; oppure, può provenire da una comunicazione spontanea (self-disclosure) da parte degli 8 adolescenti → ciò rinforza l’idea del ruolo attivo giocato dall’adolescente nel tracciare il suo percorso di sviluppo: è lui, o lei, che sceglie che cosa raccontare e che cosa tenere nascosto ai genitori, ampliando o riducendo le loro possibilità di controllo. A questo proposito, non possiamo trascurare il fatto che la qualità delle relazioni familiari è fortemente condizionata anche dalle stesse scelte comportamentali dei figli. Gli studi tradizionali hanno infatti spesso dimenticato il ruolo attivo dell'adolescente nella costruzione del suo sviluppo. Le due dimensioni del funzionamento familiare, sostegno affettivo e disponibilità al dialogo, da un lato, e controllo dei comportamenti, dall'altro, si combinano in modi diversi per dar vita a particolari stili educativi. Tradizionalmente gli stili educativi sono classificati in quattro categorie: 1) Autoritario: definito dalla presenza di un elevato controllo e dall'assenza di disponibilità al dialogo con scarso sostegno affettivo. 2) Supportivo (o indulgente): si distingue per lo scarso o nullo controllo genitoriale dei comportamenti dei figli, associato però a un elevato sostegno affettivo e disponibilità al dialogo. 3) Autorevole: caratterizzato da un elevato controllo (esercitato in modo non coercitivo!) dei comportamenti associato ad alto sostegno affettivo e disponibilità al dialogo da parte dei genitori. 4) Permissivo-Inesistente: oltre alla mancanza di regole di riferimento, i figli non riscontrano alcun sostegno e disponibilità all'ascolto da parte dei genitori. Molti studi si sono occupati di valutare l’influenza dei diversi stili educativi sull'adattamento psicosociale degli adolescenti. Lo stile educativo autorevole risulta essere quello maggiormente in grado di promuovere lo sviluppo dell'adolescente, limitandone il coinvolgimento nelle diverse forme di rischio e favorendo il suo benessere psicologico e sociale. In un clima emotivamente positivo, le regole non vengono imposte, come accade nelle famiglie che adottano uno stile educativo autoritario, ma condivise attraverso il dialogo, permettendo agli adolescenti di comprenderne significato e finalità. Lo stile educativo autorevole è dunque considerato il più protettivo rispetto al coinvolgimento nel rischio dei figli adolescenti. Tuttavia, gli equilibri tra sostegno e controllo durante gli anni dell’adolescenza vanno modificati. Si può ipotizzare, infatti, che gli adolescenti più giovani necessitino maggiormente di una regolazione esterna del proprio comportamento (maggiore controllo), mentre gli adolescenti più maturi hanno probabilmente interiorizzato un sistema di regole che consente loro una maggiore autoregolazione. Per questi, dunque, risulta più protettiva la possibilità di dialogare e confrontarsi liberamente con i genitori, mentre il controllo dei comportamenti deve essere ridotto. Infatti, nel periodo della tarda adolescenza, lo stile educativo supportivo risulta connesso al minor coinvolgimento nel rischio dei ragazzi e delle ragazze. A 18-19 anni l'elevato sostegno dei genitori è un ottimo predittore del benessere, soprattutto se accompagnato da uno scarso controllo. Occorre, comunque, tenere conto, che un elevato livello di sostegno parentale, associato a un maggior benessere soggettivo dei tardoadolescenti, può essere considerato un ostacolo al raggiungimento dell'effettiva autonomia dei figli e alimentare quella reciproca dipendenza tra genitori e prole che sta alla base della famiglia lunga italiana. Fra gli stili educativi, quello permissivo-inesistente è maggiormente associato al coinvolgimento degli adolescenti sia nei diversi comportamenti a rischio sia nei sentimenti depressivi, ansia e stress. Lo stile educativo autoritario, se da un lato emerge come protettivo rispetto al coinvolgimento degli adolescenti nei comportamenti di rischio, dall'altro è connesso a elevati livelli di malessere psicologico. In un contesto familiare connotato da eccessivo controllo, gli adolescenti, soprattutto quelli fra i 14 e i 17 anni, sperimentano forte stress ed elevati sentimenti depressivi, si sentono maggiormente tagliati fuori dalle attività svolte dai loro coetanei e poco apprezzati dai genitori di cui non riescono a riscuotere la fiducia necessaria ad ottenere maggiori gradi di autonomia. È opinione diffusa che in adolescenza i modelli di comportamento che contano nell'influenzare i percorsi di sviluppo dei ragazzi e delle ragazze siano esclusivamente quelli offerti dagli amici. In realtà, numerosi studi dimostrano che anche il modello e le opinioni dei genitori in riferimento a particolari condotte possono rappresentare dei fattori di rischio o di protezione rispetto al coinvolgimento degli adolescenti nei comportamenti a rischio. L’attuazione di determinate condotte da parte del genitore rende maggiormente probabile l’implicazione dei figli nello stesso comportamento. Un esempio è costituito dall'applicazione del fumo di sigarette in adolescenza (che svolge una funzione di adultità), la cui probabilità di coinvolgimento raddoppia in presenza di genitori fumatori. I genitori costituiscono un modello di condotta per i figli non solo per i comportamenti che adottano ma anche attraverso le opinioni che esprimono. Nell'influenzare il coinvolgimento nei comportamenti a rischio gioca un ruolo importante la disapprovazione esplicita e chiara da parte dei genitori di tale condotta. La disapprovazione dell’uso di sostanze da parte dei genitori, ad esempio, ha un valore protettivo rispetto al coinvolgimento degli adolescenti in tale comportamenti. I legami fra familiari costituiscono un contesto privilegiato nella trasmissione intergenerazionale dei valori. Durante l'adolescenza dei figli i genitori si impegnano nel trasmettere i loro patrimonio valoriale, anche se 9 questo non viene sempre accolto dai ragazzi e dalle ragazze che sentono la necessità di differenziarsi, ai fini di ridefinire una propria originale identità adulta. Sarebbe scorretto considerare la trasmissione dei valori come una riproduzione di valori genitoriali dei figli. Ancora una volta, sottolineiamo il ruolo attivo degli adolescenti: questi ultimi contribuiscono alla co-costruzione del sistema valoriale insieme ai genitori. In una interessante ricerca, si evince come la somiglianza tra i valori dei genitori e quella dei figli sia modesta, e come gli adolescenti nelle loro scelte valoriali siano più simili ai loro pari che piuttosto ai loro genitori. Le ricerche che mettono il relazione la sfera valoriale con il coinvolgimento nei comportamenti a rischio hanno evidenziato come i valori legati al conservatorismo, ossia quelli centrati sulla tradizione, il conformismo e la sicurezza, fungono da fattori protettivi mentre quelli legati al successo, al potere e al piacere costituiscono dei fattori di rischio. Nel passaggio dall’adolescenza alla giovane età adulta, intorno ai 18-20 anni, i figli riducono la distanza con i genitori rispetto ai valori in cui si riconoscono. Si evidenzia così una maggiore condivisione valoriale. La condivisione dei valori è favorita dalla qualità dei legami familiari: è più facile riconoscersi nei valori dei genitori quando con questi la relazione è improntata a rispetto e alla fiducia reciproca. Anche gli stili educativi favoriscono o riducono la condivisione dei valori. Risulta utile richiamare l’attenzione degli adulti sull’importanza di assumere un ruolo educativo chiaro, coerente e presenta ma non rigido: essi devono sapersi mettere in gioco e riuscire a cambiare lo stile educativo in maniera flessibile, seguendo la maturazione psicologica e sociale dei figli. Cap. 4 L’adolescente a scuola: i rischi legati a un’esperienza negativa La scuola è la più importante istituzione sociale extrafamiliare che, negli anni, ha acquisito un ruolo sempre più centrale nell’esperienza e nel processo di formazione degli adolescenti. In essa i giovani, oltre a trascorrere una considerevole parte del loro tempo, affrontano compiti cognitivi e impegnativi, mettono alla prova le proprie capacità, si confrontano con nuove conoscenze e nuove modalità di relazione. La capacità di utilizzare adeguate strategie per fronteggiare i compiti e le difficoltà scolastiche , insieme al riconoscimento e alla buona valutazione da parte degli insegnanti, contribuisce alla costruzione positiva del concetto di sè. Generalmente, gli adolescenti si mostrano consapevoli dell'importanza che la scuola riveste. I ragazzi sanno che concludere positivamente il proprio percorso formativo consente di potersi inserire nel mondo del lavoro in una posizione più vantaggiosa, o più aderente alle proprie inclinazioni, e di acquisire i mezzi utili alla propria autorealizzazione ed emancipazione personale. Sebbene la scuola riveste molta importanza nella vita degli adolescenti, tuttavia essa è considerata uno dei compiti di sviluppo più impegnativi e difficili d'affrontare. La scuola pone compiti strettamente collegati con esperienze personali di riuscita o di insuccesso, fattori, questi, in grado di incidere fortemente nel processo di costruzione dell'identità personale dell'adolescente. La scuola, oltre a costituire un contesto esperienziale particolarmente significativo, si configura anche come contesto sociale rilevante, in cui è necessario trovare una collocazione, un ruolo e un'identità sia all'interno di un gruppo (la classe), sia nei rapporti con figure adulte significative ma non affettivamente coinvolte come i genitori (gli insegnanti). In tale contesto si possono verificare sia esperienze di successo, di valorizzazione di sé e di affermazione sociale, sia di insuccesso, disconferma e frustrazione, con ripercussioni sulla stima di sé e sul processo di ridefinizione della propria identità. L'adolescente che incontra nel suo percorso scolastico difficoltà e riporta esiti negativi, può interiorizzare progressivamente l'idea che non il non aver superato determinati compiti dipenda da proprie incapacità o dai limiti personali, provando una gamma di emozioni che vanno dalla delusione al senso di colpa, alla vergogna. Da qui la necessità dell’adolescente di proteggere la propria immagine e il proprio valore, attraverso alcune strategia difensive, tra cui il lamentare stati di ansia, stress e malattia o l'usare sostanze che possono compromettere l’efficienza intellettiva al fine di evitare il confronto con l'insuccesso e le conseguenze che esso comporterebbe sul piano del valore personale. Tra i compiti di sviluppo connessi alla riuscita scolastica, possono risultare particolarmente critici il passaggio da un ciclo di studi all'altro e la scelta del ciclo scolastico successivo. Il passaggio alla scuola secondaria costituisce una vera e propria rottura con il passato e richiede l'investimento di notevoli energie. Nel passaggio da un ciclo all'altro lo studente deve gestire e adattarsi a una situazione nuova sotto diversi aspetti: ambientale (organizzazione e regole scolastiche), relazionale, cognitivo (richieste didattiche). Le statistiche indicano la transizione tra cicli di studio come una tra le fasi più delicate. Il momento della scelta scolastica da intraprendere dopo la scuola secondaria di primo grado, costringe l'adolescente a riflettere su di sé, sulle proprie risorse, interessi e competenze. Il momento della scelta è quindi molto delicato. Nel far fronte a tale compito, l’ambiente esercita un'influenza notevole: sulla scelta giocano un ruolo significativo le indicazioni degli insegnanti, che conoscono le potenzialità dei loro alunni, le pressioni dei genitori, le possibilità economiche e il livello culturale della famiglia. È importante, per fare questa scelta, che l'adolescente abbia un’immagine realistica delle proprie capacità e possibilità. Un fallimento nella scelta dell'indirizzo di studi può portare anche al definitivo abbandono scolastico, con il 10 rischio di incorrere in situazioni di forte disagio. Diversi studi sottolineano come l’esperienza scolastica sia vissuta in modo diverso dai maschi e dalle femmine. Le ragazze sono in maggior misura coinvolte nell'esperienza scolastica, mostrando un atteggiamento più critico nei confronti della scuola, ma al tempo stesso, maggiormente volto al superamento di ostacoli e difficoltà. Le ragazze generalmente vivono la scuola in modo più positivo rispetto ai coetanei maschi: esse tendono non soltanto ad attribuirvi un valore più elevato, ma anche ad avere maggiori attese di successo e migliori prestazioni. Nell'ambito della scuola secondaria, in tutti gli anni di corso, la percentuale di non ammesse all'anno successivo è nettamente inferiore a quella dei maschi; inoltre, le ragazze hanno il 78% di probabilità di conseguire il diploma, contro il 67% dei coetanei maschi, e mostrano in genere risultati migliori. Inoltre, svolgono un ruolo importante per le adolescenti anche il riconoscimento e la valorizzazione delle proprie prestazioni da parte dei compagni e degli insegnanti; sentimenti di inefficacia personale rispetto alla riuscita scolastica, accompagnati da considerazioni negative sulle proprie prestazioni da parte di coetanei e adulti significativi, sembrano costituire un fattore di rischio per le ragazze, rendendole particolarmente vulnerabili e più portandole a peggiorare il loro livello di prestazione scolastica. Le ragazze, più dei loro coetanei maschi, sono sensibili al giudizio e alle richieste poste nell'ambito familiare. L'intreccio tra variabili personali e variabili relazionali nell'ambito dell'esperienza scolastica è ben evidente nel definire il costrutto di ''senso di appartenenza'' al contesto scolastico. Diverse ricerche mostrano come fra le ragazze, rispetto ai ragazzi, sia più forte il senso di appartenenza al contesto scolastico. La costruzione di buone relazioni con insegnanti e compagni e la percezione di sentirsi accettati e valorizzati nel contesto scolastico incide, in modo particolare per le ragazze, sulla motivazione allo studio, sull’impegno e sulla conseguente riuscita. Se per la maggior parte degli adolescenti la scuola costituisce un contesto importante in cui cogliere diverse opportunità di crescita e vivere esperienze soddisfacenti, per alcuni studenti l’esperienza scolastica rappresenta una fonte di sentimenti di malessere e di varie forme di disagio, specialmente nel caso si incontrino difficoltà o si sperimentino insuccessi. L’esperienza scolastica può quindi divenire per gli adolescenti una possibile fonte di rischio, sia rispetto ai sentimenti di malessere (rischio internalizzato) sia rispetto ai comportamenti a rischio (rischio esternalizzato). Le difficoltà scolastiche possono configurarsi come problemi transitori non allarmanti, indicatori di quel cambiamento fisico, psicologico e relazionale che il periodo adolescenziale comporta, destinate quindi ad evolvere verso risoluzioni positive. Tuttavia, l’equilibrio emotivo-motivazionale degli studenti può essere seriamente minacciato e costituire una potenziale fonte di stress e di sentimenti depressivi, quando gli adolescenti sperimento ripetuti insuccessi, accompagnati da deludenti relazioni con compagni ed insegnati. Un’esperienza scolastica avvertita come negativa porta spesso a sviluppare un vero e proprio stato di disaffezione (sin. disinteresse, indifferenza, distacco) nei confronti della scuola, con il rischio di un progressivo disimpegno, una tendenza alla rinuncia a cogliere le opportunità di crescita, fino a un definitivo distacco da essa. Tale esperienza può condurre a un senso di malessere psicologico, di inadeguatezza, di sofferenza, spesso definito come ''disagio scolastico''. Le difficoltà relative all’esperienza scolastica non influiscono soltanto su forme di rischio internalizzato; diversi studi evidenziano, infatti, una relazione piuttosto stretta tra la qualità dell'esperienza scolastica e l'implicazione, da parte degli adolescenti, in diversi comportamenti a rischio, adottati molto spesso per affermare sé stessi. L'impegno nello studio, inoltre, comporta un uso maggiormente funzionale e costruttivo del tempo libero, diminuendo la probabilità per l'adolescente di vivere esperienze pericolose allo scopo di riempire un tempo vissuto come vuoto. Inoltre, gli adolescenti maggiormente insoddisfatti per l'esperienza che vivono a scuola, sono maggiormente esposti ai rischi di frustrazione, sfiducia e indifferenza nei confronti dell'autorità. Essi avvertono più forte il bisogno di affermare sé stessi e il proprio valore al di fuori della scuola e con altre modalità (le quali molto spesso passano attraverso comportamenti devianti!), spesso in aperta opposizione con l'autorità stessa. Di seguito prenderemo in esame alcuni aspetti dell’esperienza scolastica appena visti. In particolare approfondiremo l’insuccesso e l’abbandono scolastico, l’autoefficacia scolastica, le relazioni con gli insegnanti e quelle con i pari. L’insuccesso scolastico, configurandosi come «mancata realizzazione delle potenzialità, mancato compimento di progressi individuali, abbandono anticipato della scuola e conclusione degli studi senza attestati di qualifica o con attestati inadeguati», può compromettere la possibilità di crescita individuale e sociale della persona. Il successo formativo, non segnala soltanto l'acquisizione da parte dell'adolescente di capacità e competenza, ma è anche segno di un favorevole inserimento sociale. Percorsi problematici legati a situazioni di insuccesso scolastico, al contrario, possono preludere a condizioni di rischio e marginalità. Numerose ricerche hanno evidenziato la stretta interconnessione tra l'insuccesso e i disturbi sia di tipo emotivo che comportamentale. L'insuccesso scolastico risulta essere un importante predittore della decisione, da parte degli adolescenti, di coinvolgersi in comportamenti dannosi per la propria salute, quali ad esempio il 11 consumo di sostanze psicoattive. Ragazzi con problemi di rendimento scolastico sono spesso più aggressivi, più inclini a mettere in atto condotte delinquenziali, meno accettati dai loro compagni e più a rischio di espressioni di disagio legate al ritiro sociale e alla depressione. Il fallimento scolastico abbassa notevolmente la fiducia nelle proprie capacità di fronteggiamento e dà origine spesso all'elaborazione di un concetto di sé squalificante. È facile che l’adolescente, in seguito a ripetuti insuccessi scolastici, si abbandoni a vissuti depressivi, si senta triste, senza speranza e privo di valore. Tale condizione pare essere maggiormente frequente nelle femmine. Alcune ricerche hanno messo in luce come l'evento “insuccesso” sia percepito dagli stessi studenti come quello maggiormente gravoso d’affrontare. La scuola è un oggetto emotivamente significativo non solo per l'adolescente, ma anche per i suoi genitori. Dunque, può incidere sul benessere psicologico del giovane anche la consapevolezza di aver deluso e disatteso le aspettative di riuscita scolastica che i genitori avevano rivestito su di lui. La dispersione scolastica costituisce una possibile conseguenza del disagio vissuto a scuola. Essa include al suo interno forme differenti che vanno dall'evasione, all'assenteismo, a ripetenze, fino all'abbandono degli studi o drop-out, fenomeno che in Italia colpisce il 20% della scuola secondaria di secondo grado, con un’incidenza tra le più elevate d’Europa. La ripetenza costituisce la forma più evidente di insuccesso e la principale causa di abbandono scolastico. Purtroppo l'essere respinti induce quasi la metà degli adolescenti ad abbandonare la scuola. L'abbandono scolastico risulta avere conseguenze molto rilevanti soprattutto quando l'adolescente, uscito dal circuito scolastico, non effettua nuove esplorazioni volte alla ricerca di opportunità alternative offerte dall'ambiente (ad esempio, percorsi di formazione professionale brevi) che gli consentirebbero di riacquistare un controllo sulla propria riuscita e sulle proprie aspirazioni. Infatti l’espressione e il riconoscimento altrui delle proprie abilità e competenze personali in percorsi più consoni alle proprie attitudini e capacità consentono all'adolescente di riacquistare un'immagine di sé positiva e di formare un sé competente, fondamentale per il superamento di sfide successive e per sperimentare sentimenti di benessere e senso di adeguatezza. Oltre alla situazione più eclatante costituita dall’uscita dell’adolescente dal circuito scolastico, vi sono altre forme di abbandono che non necessariamente implicano l'assenza da parte dell'adolescente a scuola e che possono essere definiti casi di ''dispersione occulta''. È il caso di allievi che trascorrono ore intere nei corridoi dell’istituto, collezionano ritardi e continue assenze, sono fisicamente in classe ma “mentalmente assenti”. Questo atteggiamento di distacco, disinteresse e apatia può essere pericoloso perchè può sfociare in varie forme di rischio. Gli studenti che sperimentano l'abbandono scolastico nelle sue diverse forme tendono a vedere ridotte la loro autostima e il loro senso di autoefficacia, vivendo uno stato di incertezza e confusione rispetto alle proprie scelte di vita, vedendo in pericolo le proprie capacità di inserimento sociale, proiettandosi nel futuro attraverso una visione di sé pessimistica e meno volta a un preciso orientamento. L’abbandono scolastico è associato in modo positivo anche a tutte le principali forme di comportamenti a rischio. Il progressivo distacco nei confronti della scuola porta l’adolescente a vivere con maggiore intensità sentimenti di insicurezza, i quali possono essere contrastati attraverso modalità estreme di sperimentazione e affermazione di sé. Alcuni comportamenti a rischio, dunque, costituiscono agli occhi dell'adolescente delle strategie per fuggire da una realtà minacciosa dalla quale ci si sente respinti ed esclusi, per evadere, ma anche per mettersi alla prova e sentirsi capaci in altri contesti attraverso modalità trasgressive e appariscenti. Le convinzioni di autoefficacia (ossia l’essere convinti delle proprie capacità) appaiono fondamentali affinché l'adolescente perseveri nel raggiungimento delle sue mete, confidando sulle sue capacità personali di far fronte ai compiti e alle sfide del mondo adulto. L’autoefficacia in ambito scolastico, ovvero la convinzione di riuscire nello studio delle diverse materie e di saper organizzare il proprio apprendimento, si rivela determinante nel favorire il successo scolastico e nell’orientare le successive scelte accademiche o professionali dell’adolescente. La convinzione di saper regolare il proprio apprendimento e di essere all'altezza di quanto richiesto dalle normali attività scolastiche risulta, infatti, influenzare le aspirazioni, le motivazioni e l'impegno, nonché la capacità di superare le frustrazioni e di conseguire un rendimento ottimale, scongiurando così il pericolo di abbandono scolastico. Chi si ritiene capace di cimentarsi con successo nello studio sembra avere un migliore rapporto con i coetanei e gli adulti, cosi come risulta avere un rapporto positivo con sé stesso, in grado di proteggerlo dai fattori di rischio. L’autoefficacia svolge un ruolo chiave nella promozione del benessere degli adolescenti e nella scelta, da parte loro, di percorsi di vita e di sviluppo costruttivi. Saper disporre di strumenti e abilità per far fronte con successo ai compiti e alle difficoltà che la scuola pone aumenta gli stati d'animo positivi. Al contrario, coloro che sentono di non possedere le abilità necessarie per far fronte a particolare eventi o situazioni tenderanno a sviluppare livelli di stress decisamente alti, non funzionali al superamento delle difficoltà. Inoltre, ragazzi che non si sentono in grado di far fronte con successo all’esperienza scolastica e alle difficoltà che essa pone possono essere portati a tentativi di fuga, ad 12 esempio attraverso l'assunzione di sostanze, oppure a sperimentare le proprie capacità in campi in cui ritengono di poter avere successo, ad esempio nella guida pericolosa, recuperando in tal modo un’immagine di sé positiva di fronte a un pubblico, reale o immaginario che sia, e innalzando la propria autostima. La scuola è il principale ambiente di socializzazione al di fuori della famiglia, in cui si stabiliscono relazioni significative sia con i compagni che con gli insegnanti. Questi ultimi svolgono un'importante ruolo educativo: insegnati preparati, che si trovano a proprio agio con il materiale di cui dispongono e svolgono la propria professione con entusiasmo, aiutano i ragazzi a ottenere risultati scolastici positivi e li sostengono nel loro sviluppo psicosociale. Relazioni difficili e poco soddisfacenti tendono a favorire negli studenti sentimenti di ansia e di timore di fallimenti scolastici, scarso interesse per le discipline e per l'esperienza scolastica in generale. I giudizi dell'insegnate, sia quelli resi espliciti nelle valutazioni, sia soprattutto quelli impliciti nell’atteggiamento che assume nei confronti degli allievi, hanno forti effetti su questi ultimi (soprattutto quando l’insegnante utilizza critiche e giudizi stigmatizzanti nei confronti dello studente come persona piuttosto che valutazioni centrare sulle prestazioni scolastiche!). L’insegnante infatti è vissuto dai ragazzi come una figura di riferimento anche quando l’atteggiamento nei suoi riguardi potrebbe sembrare polemico od oppositivo. Il suo giudizio, quindi, ha un notevole peso, tanto che, quando assume connotazioni negative o etichettanti, rischia di frustrare il bisogno di valorizzazione dell'adolescente, contribuendo alla nascita di sentimenti depressivi o di rassegnazione. Anche le aspettative degli insegnanti hanno una notevole influenza sui risultati degli alunni: i risultati scolastici di studenti da cui l'insegnante si aspetta un buon esito sono effettivamente migliori dei risultati conseguiti da studenti dai quali l'insegnamento si aspetta poco. Le basse aspettative degli insegnanti producono l’effetto di demotivare gli studenti. La relazione instaurata con l'insegnate, oltre a costituire una possibile fonte di ansia, stress, sentimenti depressivi o altre forme di rischio internalizzato, può esercitare un'influenza sull'implicazione in diverse forme di rischio esternalizzato. L’essere oggetti di valutazioni negative da parte degli insegnanti, può portare l’adolescente all’abbandono scolastico o a ricercare fonti alternative di valorizzazione di sé. Studi attuali dimostrano, ad esempio, che gli studenti insoddisfatti delle relazioni instaurate a scuola sono maggiormente implicati nel consumo di sostanze psicoattive e in comportamenti devianti quali, furto, vandalismo, bugia e disobbedienza. Risulta importante lo stile educativo adottato dall'insegnante: uno stile educativo autorevole, basato sulla presenza di regole chiare e condivise e di una buona disponibilità al dialogo, costituisce un importante elemento di promozione di condotte eticamente e socialmente positive. L’utilizzo delle regole da parte dell'insegnante è una questione fondamentale in ogni ciclo di studi, a maggior ragione durante l'adolescenza, periodo in cui i ragazzi sperimentano la trasgressione. La ricerca della trasgressione è spesso legata all’esigenza di sperimentare il rapporto con l’autorità e le possibili conseguenze legate al disattendere il rispetto del sistema normativo. È importante tenere presente che la scuola è la prima istituzione sociale con cui si confronta, per cui l'insoddisfazione che può derivare da tale esperienza spesso si ripercuote in un atteggiamento di sfiducia, disaffezione e opposizione anche nei confronti di altre istituzioni. Nel contesto scolastico si stabiliscono relazioni significative non solo con gli insegnanti ma anche con i compagni. La classe presenta la peculiarità di essere costituita spesso sulla base di un sorteggio e non di una scelta personale. Le relazioni tra compagni si stabiliscono e si sviluppano in modo complesso e possono essere caratterizzate sia dall’aiuto reciproco, dal sostegno, dalla cooperazione, sia dalla sopraffazione e dall'aggressività. In adolescenza, l’esperienza amicale tra compagni di classe, non solo predice un buon adattamento al contesto scolastico, ma costituisce anche un fattore di protezione da diverse forme di rischio. Infatti, se un gruppo classe improntato alla collaborazione e alla solidarietà aiuta i suoi membri a fronteggiare i diversi compiti posti dalla scuola e a mantenere un atteggiamento fiducioso nelle proprie capacità, una relazione con i compagni di classe improntata alla competizione e al confronto svilente si configura come un vero e proprio momento persecutorio per il ragazzo, caratterizzato da denigrazione, critiche e prese in giro. Quest’ultima situazione appare particolarmente critica in adolescenza, fase in cui la valorizzazione, la conferma e il consenso da parte dei pari gioca un ruolo cruciale. L’accettazione da parte del gruppo classe è dunque fondamentale e pur di sentirsi accettato, l’adolescente può anche vestire i panni scomodi del giullare della classe, o arrivare ad assumere il ruolo di leader negativo. Situazioni di sofferenza dovute a una mancata costruzione di relazioni positive con i compagni possono portare a conseguenze negative sia a breve termine, sia a lungo termine: è stata infatti verificata una continuità tra difficoltà relazionali con i coetanei in età scolare e disturbi personali e sociali in età adulta. Adolescenti che non riescono a stabilire relazioni interpersonali e che non sono accettati dai compagni sviluppano un'immagine di sé negativa e sentimenti di vero e proprio malessere psicologico. La relazione con i compagni può incidere in modo significativo anche sulla messa in atto di forme a rischio di tipo esternalizzato. I compagni rappresentano, infatti, un importante modello di comportamento in grado di 13 incidere positivamente o negativamente sullo stile di vita adottato dall’adolescente. Ad esempio, i compagni fumatori possono contribuire in modo significativo ad alimentare nell’adolescente la decisione di iniziare a fumare o di aumentare di livello di consumo. Questo si verifica tanto più spesso quando i compagni fumatori godono di una certa popolarità all'interno della classe. Di fatto, sono maggiormente esposti alla probabilità di adottare comportamenti a rischio quegli adolescenti che, oltre a frequentare i compagni coinvolti in questi tipi di condotte, mostrano un’elevata sensibilità e suscettibilità alla pressione dei coetanei. A questo proposito, assume notevole importanza quella che nella letteratura attuale viene definita “autoefficacia regolatoria”: si tratta proprio delle convinzioni circa le proprie capacità di resistere alle influenze dei pari, sostenendo e argomentando il proprio punto di vista, soprattutto quando questi invitano ad adottare comportamenti che possono mettere a rischio la propria salute e il proprio benessere. Sviluppare un solido senso di autoefficacia regolatoria consente all’adolescente di stabilire relazioni con i compagni connotate da autonomia decisionale e responsabilità, evitando di adottare condotte a rischio. In conclusione, data la stretta relazione tra la cattiva qualità dell’esperienza scolastica e le diverse forme di rischio legate sia ai comportamenti sia alla sfera emotiva e relazionale, emerge l’importanza di pianificare e attuare interventi in ambito scolastico volti a favorire il successo formativo degli adolescenti, a contrastare la dispersione scolastica e a promuovere relazioni positive. A questo proposito, decisivo è il ruolo dell’insegnante, il quale dovrebbe comunicare fiducia nei suoi allievi. Inoltre, esaminando insieme all’adolescente le cause delle difficoltà, l’insegnante potrà con più facilità ridimensionare vissuti fortemente negativi dello studente, correggendo i pensieri che lo portano spesso a perpetuare comportamenti difensivi e di evitamento che impediscono il superamento delle situazioni problematiche. Il ruolo dell’insegnante si gioca anche nell’ambito delle dinamiche e relazioni tra compagni: starà all’attenzione dell’insegnante comporre quotidianamente la trama dei legami positivi tra gli alunni. Promuovere la condivisione di pensieri, sentimenti, emozioni ed esperienze migliora i rapporti tra compagni e incrementa il senso di appartenenza, il reciproco rispetto e la collaborazione tra pari. Possiamo affermare che oggi il ruolo educativo della scuola va ben oltre la trasmissione di conoscenze e di saperi. Una prima finalità dell’insegnamento è sviluppare “teste ben fatte” e non soltanto “teste ben piene”. Una testa ben fatta sa organizzare le conoscenze ed evita la sterile accumulazione di informazioni. Cap. 5 Amicizie e affetti: relazioni con i coetanei e benessere in adolescenza Le relazioni interpersonali che gli individui instaurano nel corso della loro vita sono considerate fra i principali fattori di protezione per il benessere evolutivo. In particolare, durante l’adolescenza, non soltanto aumentato gli incontri e il tempo trascorso con i coetanei, ma l’opinione di questi ultimi assume un rilievo crescente agli occhi degli adolescenti: gli amici, infatti, sono percepiti sempre più come fonte di sostegno, punto cardinale − al di fuori del controllo degli adulti − in base a cui orientare le proprie condotte, credenze, opinioni e valutare le proprie qualità. Il gruppo dei pari è stato definito come un “laboratorio sociale”, ma anche una ''zona sicura'' (safety zone), in quanto le esperienze che sostengono la costruzione della nuova identità in via di definizione sono realizzate in un contesto protetto, costituito da relazioni con altri simili a sé che, in virtù di tale somiglianza, sono in grado di accettare, comprendere e sostenere l’adolescente. L’identificazione con l'amico o con il gruppo di amici, rappresenta un primo passo nell’affermazione di una nuova identità indipendente. In questa chiave sono da leggere le tendenze al conformismo, tipiche della prima e media adolescenza, e le evidenti somiglianze che si riscontrano fra gli amici tanto negli aspetti esteriori, dall’abbigliamento ai comportamenti, che negli atteggiamenti e nelle credenze. A partire dalla preadolescenza i legami fra amici diventano di natura via via più intima, evolvendosi da una concezione concreta di legame fondato sulla condivisione di attività a una più astratta, in cui la lealtà, la condivisione emotiva, la comunione di idee, lo scambio di confidenze, la mutua comprensione, l’accettazione e il sostegno reciproci divengono elementi costitutivi imprescindibili. I legami di amicizia sono definiti come relazioni interpersonali stabili nel tempo, di natura intima e privata, frutto di una scelta volontaria dei partner coinvolti, i quali si riconoscono nella relazione, con reciproco sostegno e piacere nello stare insieme e nel condividere esperienze. L’assenza di amici, in particolare modo durante l’adolescenza, rappresenta un fattore di rischio rilevante per il benessere psicologico. Coloro che non hanno amici sperimentano maggiore ansia, sentimenti depressivi, senso di solitudine, un minore benessere nel contesto scolastico e un minor rendimento. Essi percepiscono un maggior disagio emotivo, che però non si associa al coinvolgimento in comportamenti devianti o rischiosi per la salute, i quali generalmente sono attuati con gli amici. È stato evidenziato come stabilire e mantenere legami amicali rappresenti una capacità individuale che dipende dal possesso di specifiche caratteristiche personali e abilità sociali, quali, ad esempio, espressività e stabilità emotive, capacità di adeguarsi alle regole del gruppo e di agire in favore degli altri. 14 Avere degli amici non rappresenta da solo un fattore di protezione. Il benessere psicosociale è legato, infatti, maggiormente alla qualità dei legami amicali piuttosto che al loro numero. È stato rilevato inoltre che la qualità delle amicizie, ma non il numero di amici, si associa a una concezione maggiormente positiva di sé, a maggiore autostima, a maggiori capacità di far fronte alle difficoltà (coping) e all’apprendimento di competenze sociali. Il sostegno percepito da parte degli amici costituisce un importante fattore di protezione dalla percezione di sentimenti depressivi, uniti all'ansia e all'ansia sociale, dal senso di solitudine e di alienazione. Gli amici possono però costituire anche un fattore di rischio. A questo proposito, diversi studi hanno evidenziato come la frequentazione di amici devianti o coinvolti in diverse forme di comportamenti a rischio per la salute aumenti la probabilità di mettere in atto le stesse forme di comportamento. La maggior parte delle ricerche in merito ha preso in considerazione la relazione fra qualità dell’amicizia e comportamenti antisociali. Da diversi studi emerge una relazione fra l'implicazione in comportamenti aggressivi e devianti e rapporti amicali caratterizzati da scarsi livelli di sostegno e investimento affettivo, uniti a un’elevata conflittualità. Gli adolescenti che, a partire dall’infanzia, hanno manifestato maggiore aggressività, originata da deficit nelle abilità sociali e legami qualitativamente poveri con i genitori, tenderebbero a scegliere amici con caratteristiche simili con cui non sono in grado di instaurare legami di amicizia profonda. Accanto a questi adolescenti i cui comportamenti aggressivi hanno origine nell’infanzia e tendono a protrarsi in età adulta, vi sono invece ragazzi e ragazze che hanno un coinvolgimento nella devianza limitato all’adolescenza, con esordio tardivo e abbandono nella tarda adolescenza. Questo secondo tipo di comportamento non è però in antitesi con la costruzione di legami amicali soddisfacenti. L’influenza del modello di comportamento aumenta in relazione alla migliore qualità dell’amicizia; ad esempio, coloro che frequentano amici coinvolti nel consumo di sostanze psicoattive, hanno maggiori probabilità di attuare le stesse condotte se la relazione di amicizia è qualitativamente buona. Sempre sul versante del coinvolgimento nelle condotte rischiose, anche l’identificazione con il gruppo gioca un ruolo fondamentale sul comportamento individuale. Quanto maggiore sarà il livello di identificazione, tanto più forte sarà la tendenza a conformarsi ai comportamenti del gruppo. Quando i componenti del gruppo sono implicati in comportamenti devianti o a rischio per la salute, primo fra tutti il consumo di sostanze psicoattive (il consumo di alcolici e di droghe), l’identificazione rappresenta quindi un fattore di rischio rispetto alla messa in atto di tali condotte. Il modello di comportamento degli amici si configura come il fattore più fortemente associato al coinvolgimento degli adolescenti nei comportamenti a rischio. Affrontando tale questione si corre però il rischio di assumere una visione semplificata del reale processo attraverso cui ragazzi e ragazze che trascorrono del tempo insieme giungono ad adottare condotte simili. Se da un lato non si può non riconoscere la veridicità dell’assunzione che “chi va con lo zoppo, impara a zoppicare”, dall’altro lato è necessario evidenziare come tale concezione sottenda l’idea di un adolescente passivo che assume in modo acritico il comportamento dei coetanei a lui più vicini. In realtà, nella maggior parte dei casi le somiglianze fra amici sono precedenti all’instaurarsi del legame amicale. Ciò significa che l’acquisizione degli amici non è un processo casuale. Al contrario, l’adolescente si impegna attivamente nella scelta di amici che hanno caratteristiche simili alle proprie. Tale selezione non è tuttavia totalmente libera, ma limitata dalle concrete possibilità di incontrare dei coetanei con cui instaurare legami d’amicizia. A questo proposito si parla di ''prossimità'' facendo riferimento ai luoghi frequentati dagli adolescenti e alla frequenza degli incontri. La prossimità spiega, ad esempio, perché la maggior parte delle amicizie si concretizza nel contesto scolastico e, a seguire, nel luogo di residenza e nei contesti ricreativi del tempo libero. Quindi, l’associazione fra implicazione degli adolescenti in condotte a rischio per la salute e il modello di comportamento degli amici è legata a due processi sequenziali: la selezione e l’influenza. La prima avviene in funzione della prossimità (occasioni di incontro) e della similarità nei comportamenti dei coetanei che vengono scelti come amici. L’influenza si realizza attraverso diversi meccanismi e contribuisce a un ulteriore aumento della similarità. Attraverso un processo di selezione gli adolescenti tendono a scegliere degli amici simili a loro anche rispetto al coinvolgimento nelle condotte a rischio. A tal proposito, è stato rilevato come gli adolescenti più coinvolti nei comportamenti devianti tendano a scegliere amici ugualmente implicati creando gruppi omogenei. Alcuni studi hanno altresì cercato di comprendere quali caratteristiche individuali potessero influenzare la scelta di amici coinvolti in condotte a rischio per la salute da parte di adolescenti non precedentemente coinvolti. A questo proposito, si è rilevato come adolescenti non ancora o poco implicati in comportamenti devianti, uso di droghe e fumo di sigarette, scelgano con maggiore probabilità amici molto coinvolti in tali condotte qualora attribuiscano poca importanza alla scuola e ai valori convenzionali, e intrattengono relazioni problematiche con i genitori. Esistono quindi variabili a livello personale e contestuale che possono 15 influenzare la scelta degli amici in base alle loro condotte. Vi sono diverse evidenze rispetto al fatto che, una volta intrecciati dei legami di amicizia, i partner della coppia amicale o i componenti di un gruppo di amici tendono a influenzarsi rispetto ai comportamenti assunti. Attraverso alcuni studi è stato evidenziando come frequentare amici implicati nei comportamenti devianti e nel consumo di sostanze psicoattive conduca nel tempo a un aumento del coinvolgimento nelle condotte stesse. L'influenza si esprime principalmente attraverso due meccanismi: l'imitazione e il rinforzo positivo (che consiste nell'approvazione, anche implicita, delle condotte e delle opinioni). Studi inerenti alla relazione fra età e suscettibilità all'influenza degli amici hanno evidenziato che essa è alta nella media adolescenza e che vada poi a scemare nella tarda adolescenza. Tale suscettibilità all’influenza per alcuni adolescenti è maggiore che per altri. Tale differenza è stata ricondotta a caratteristiche individuali, da un lato, e alle tipicità delle relazioni che agli adolescenti intrattengono con i coetanei e i genitori dall’altro. Rispetto alle caratteristiche individuali, gli adolescenti più suscettibili alle influenze amicali riguardo ai comportamenti a rischio mostrano una minore autostima, percepiscono un maggior bisogno di sperimentare sensazioni nuove ed eccitanti, attribuiscono minori rischi alle condotte e dimostrano una scarsa adesione ai valori convenzionali. Nonostante la maggior importanza rivestita dagli amici come fonte di supporto e influenza, anche gli altri coetanei contribuiscono a creare un ambiente relazionale che può favorire, o al contrario ostacolare, sia lo sviluppo e il benessere individuale sia la costruzione di legami amicali significativi. L’accettazione da parte dei coetanei gioca una parte importante rispetto al benessere, all’autostima e all’adattamento psicosociale: essere graditi ai coetanei e popolari, o al contrario, rifiutati o isolati, ha conseguenze molto diverse sullo sviluppo. Il rifiuto dei coetanei e l’isolamento sono associati, in particolare, a un minore benessere psicologico, in termini di scarsa autostima e livelli più elevati di ansia e sentimenti depressivi. Il rifiuto è inoltre legato a una maggiore aggressività. La scarsa accettazione da parte dei coetanei è inoltre spesso legata a difficoltà nella realizzazione di legami amicali soddisfacenti; ciò incrementa ulteriormente il rischio di disagio socioemotivo. Sia gli adolescenti rifiutati sia quelli maggiormente isolati tendono a stabilire relazioni d’amicizia con ragazzi e ragazze che possiedono il loro stesso status. Gli isolati in genere non hanno amici o fanno amicizia con coetanei altrettanto timidi e scarsamente legati agli altri compagni. Gli adolescenti rifiutati, invece, hanno la tendenza a scegliere come amici coetanei aggressivi e devianti, con il rischio di esserne influenzati rispetto all’incremento delle condotte. Gli adolescenti più popolari tendono a conformarsi principalmente ai comportamenti socialmente accettati, mentre coloro che non sono accettati dai pari subiscono minori pressioni alla conformità. A sostegno di ciò, è stato ad esempio rilevato che, per quel che riguarda il fumo di sigarette, il coinvolgimento dei popolari sia maggiore nelle scuole in cui il fumo rappresenta un comportamento socialmente approvato; al contrario, il consumo è più elevato per gli studenti meno accettati nei contesti in cui il fumo è ampiamente disapprovato. In questi ultimi dieci anni, oggetto di crescente interesse da parte della psicologia dello sviluppo sono le relazioni sentimentali in adolescenza: esse rappresentano un tipo particolare di relazione fra coetanei e nello stesso tempo sono la cornice entro la quale molti adolescenti sperimentano il loro primo coinvolgimento nella sessualità. Le relazioni sentimentali rivestono in generale un ruolo positivo per la ridefinizione dell’identità dell'adolescente. Tuttavia, tali relazioni possono essere accompagnate anche da situazioni di malessere psicologico e di rischio, che vanno dalla sperimentazione di vissuti di depressione e abbandono, ai rischi legati al coinvolgimento nei rapporti sessuali precoci e non protetti, fino alle violenze psicologiche o fisiche agite e subite all’interno della relazione. Sia le relazioni con gli amici sia quelle di coppia svolgono un ruolo positivo offrendo intimità, compagnia, sostegno. Sono alcuni aspetti le relazioni sentimentali si differenziano profondamente da quelle amicali: esse offrono un’esperienza unica che implica il confronto con la diversità dell'altro, un coinvolgimento emotivo intenso, oltre alla sperimentazione dell'impegno, della fedeltà, dell'esclusività della relazione e del coinvolgimento nella sessualità. Diversi autori hanno messo in evidenzia come le relazioni sentimentali spesso originino a partire dalle relazioni amicali. L’instaurarsi di una relazione di coppia rappresenta un momento di discontinuità che può essere fonte di stress e incidere sul benessere degli individui. In primo luogo la relazione con un partner porta a ridurre il tempo trascorso con gli amici (generando un senso di colpa per gli fatto di trascurare gli amici) e implica la messa in atto di strategie per conciliare entrambe le relazioni o per gestire l'ingresso del partner all'interno del gruppo di amici, i quali, però, potrebbero sentirsi esclusi o sperimentare gelosie e non capire il punto di vista dell’amico che ha iniziato una relazione sentimentale. Gli studi in merito evidenziano come per il benessere degli adolescenti sia importante mantenere sia la relazione amicale, sia quella sentimentale. La maggior parte delle ricerche ha messo in evidenzia come instaurare una relazione di coppia nel corso della preadolescenza, prima dei 14 anni, sia un fattore di rischio, poiché legato all'insuccesso scolastico, a una minore autostima e a sentimenti depressivi, a comportamenti trasgressivi, nonché a un aumento dell'uso 16 di sostanze psicoattive. La spiegazione dell’associazione tra precocità di coinvolgimento, insuccesso scolastico e malessere psicologico può essere rintracciata nel fatto che l'impegno precoce con un partner comporta un forte investimento emotivo sulla relazione e porta l’adolescente a distogliere il proprio impegno non solo dalle prestazioni scolastiche, ma anche dalle relazioni amicali che invece a quest’età sono ancora fondamentali forme di sostegno. Tali adolescenti spesso formano legami di coppia con partner che hanno problemi comportamentali o psicologici simili, e tale situazione porta a una sorta di escalation nelle difficoltà sperimentate. Nella cornice delle precoci relazioni di coppia, uno specifico elemento di rischio può essere rappresentato anche dal coinvolgimento nei rapporti sessuali: tale rischio in particolare non è solo fisico, per la possibile trasmissione delle malattie o l’eventualità di una gravidanza indesiderata, ma è anche legato a una più ampia dimensione psicologica e sociale. In molti casi l’esperienza sessuale non è pienamente condivisa dai partner, ma imposta unilateralmente con pressioni, di fronte alle quali l’altro non sa opporre resistenza anche per il timore di essere rifiutato. In queste situazioni spesso mancano anche un dialogo i partner circa l’uso di un metodo contraccettivo con evidenti conseguenze per la salute fisica e il rischio di una gravidanza. Il malessere psicologico associato a tali precoci relazioni sembra riguardare soprattutto le ragazze. Tale malessere psicologico sembra essere legato sia alla relazione di coppia e al timore di essere rifiutati dal partner, sia alla difficoltà sperimentata nel gestire contemporaneamente le relazioni con i genitori e gli amici. Alcuni studi, hanno altresì evidenziato come le ragazze che hanno un precoce sviluppo puberale tendono ad impegnarsi precocemente in un rapporto di coppia e manifestino parallelamente anche comportamenti antisociali e difficoltà a scuola, in quanto spesso frequentano partner più grandi già implicati in tali condotte. Oltre alla precocità di coinvolgimento nelle relazioni di coppia, anche il fatto di sperimentare molti legami sentimentali con partner diversi risulta essere associato a situazioni di rischio

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