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Università degli Studi Niccolò Cusano

Micela Capobianco

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psicologia dello sviluppo sottosviluppo linguistico sviluppo del linguaggio psicologia

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Questo documento tratta l'insegnamento di psicologia dello sviluppo e dell'educazione, modulato VI. L'argomento principale concerne lo sviluppo comunicativo linguistico. La dispensa approfondisce i gesti comunicativi, le combinazioni crossmodali, e l'interazione tra gesti e linguaggio.

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DISPENSE DELL’INSEGNAMENTO DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO E DELL’EDUCAZIONE PROF. SSA MICAELA CAPOBIANCO RICERCATORE (Lettera B) (art. 24 c.3-b L. 240/10) MODULO VI LO SVILUPPO COMUNICATIVO E LINGUISTICO Argomenti VI. 1 L...

DISPENSE DELL’INSEGNAMENTO DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO E DELL’EDUCAZIONE PROF. SSA MICAELA CAPOBIANCO RICERCATORE (Lettera B) (art. 24 c.3-b L. 240/10) MODULO VI LO SVILUPPO COMUNICATIVO E LINGUISTICO Argomenti VI. 1 LO SVILUPPO COMUNICATIVO LINGUISTICO COME SISTEMA INTEGRATO E COMPLESSO VI. 2 COMPONENTI E CARATTERISTICHE DELLA LINGUA UMANA VI. 3 DALLA COMUNICAZIONE PREINTENZIONALE A INTENZIONALE VI 4 GESTI COMUNICATIVI E COMBINAZIONI CROSSMODALI VI 5 LO SVILUPPO LESSICALE MORFOSINTATTICO VI 6. LATE BLOOMERS E LATE TALKERS: INDIVIDUAZIONE DI CONDIZIONI DI RISCHIO PRIMA DEI 3 ANNI VI 1. LO SVILUPPO COMUNICATIVO-LINGUISTICO COME SISTEMA INTEGRATO E COMPLESSO Ricercatori e clinici sono ormai concordi nel ritenere il dominio della comunicazione e del linguaggio come un’abilità complessa fin dall’inizio, per cui non esiste più l’idea di un periodo di sviluppo iniziale caratterizzato da una comunicazione gestuale per poi essere sostituito dalle abilità verbali. Non esiste più un concetto di discontinuità tra comunicazione gestuale e vocale. Gesti e parole formano fin dall’inizio un "Sistema Integrato Multimodale” sia sul piano neurologico che evolutivo, contribuendo nel tempo allo sviluppo delle abilità simboliche del bambino. Le attività legate alla manualità e alla parola, quindi, sembrerebbero essere regolate e controllate fin dalla nascita da processi cognitivi, che è ragionevole supporre siano in buona parte comuni. In particolare i lavori più recenti sui primi due anni di età suggeriscono che, fin dalle prime fasi comunicativo-linguistiche, i gesti accompagnano lo sviluppo delle abilità verbali modificando nel tempo la propria espressione, funzione ed il legame con esse, sempre in sintonia con il livello linguistico raggiunto. E’ ormai consolidato, dunque, che la modalità gestuale non si sviluppi in modo indipendente da quella vocale né che, durante il secondo anno di vita, i bambini usino i gesti, in un periodo precedente alla comparsa delle prime vere e proprie parole, prevalentemente per compensare la precoce “incapacità” verbale (Petitto, 1992). E’ a tutt’oggi abbandonata la visione di uno sviluppo linguistico “discontinuo”, ove i gesti in un primo periodo sostituirebbero l’assenza di un vero e proprio linguaggio, mentre in un secondo momento tenderebbero a scomparire, quando il bambino inizia ad impadronirsi della propria lingua orale (dall’incremento del vocabolario, alla comparsa e sviluppo delle abilità grammaticali). Al contrario, all’interno di una visione intrinsecamente multimodale della comunicazione e del linguaggio, ciò che nel tempo si modifica è il rapporto specifico tra modalità gestuale e vocale, come in una continua riorganizzazione delle parti nel tutto di un sistema, che ne determina la peculiare “articolazione informativa” in un determinato periodo di sviluppo linguistico. Le ricerche più recenti sottolineano, infatti, che la tipologia dei gesti e il loro legame con la modalità vocale nel periodo di transizione alle prime acquisizioni verbali nei primi due/tre anni, siano molto diverse da quelle osservate sia nel sistema adulto, ma anche nei bambini più grandi, dopo il secondo anno di età. In età prescolare, infatti, il sistema comunicativo del bambino assomiglia sempre di più al modello adulto. La comprensione e la conoscenza sempre maggiori di come si articola questo sistema multimodale nelle tappe di sviluppo tipiche, soprattutto durante le prime acquisizioni, ha necessariamente rilevanti ricadute non solo sul piano teorico ma anche in ambito clinico e applicativo, se si considera l’interesse e l’importanza di individuare il più precocemente possibile bambini a rischio evolutivo, in un’ottica di prevenzione primaria di possibili difficoltà nell’area comunicativo-linguistica possibilmente primadei tre anni. Questa esigenza si scontra, però, da una parte con la natura stessa delle prime acquisizioni linguistiche, intrinsecamente complessa, caratterizzata da un’ampia variabilità individuale, che rende “difficile“ una chiara delimitazione tra tipico e atipico, dall’altra con alcuni limiti di ordine metodologico che riguardano la modalità di osservazione, raccolta, codifica e analisi di studio dei processi linguistici e cognitivi sottostanti i primi due anni di età. Studi metodologici evidenziano che, soprattutto nei primi 3 anni di età, periodo sensibile per l’acquisizione di una lingua, la raccolta e l’analisi longitudinale (con rilevazioni a scadenza breve nel tempo) delle produzioni spontanee del bambino in interazione con la madre (nel contesto naturale) sembra un metodo elettivo di studio, valutazione ed intervento delle prime acquisizioni linguistiche, in una prospettiva di valutazione ed intervento precoci. Il sistema linguistico, inoltre, è complesso perché è costituito al suo interno da diverse componenti e perché strettamente legato agli altri domini socio-cognitivi che si stanno costruendocome comparsa e dello sviluppo della consapevolezza di sé, della teoria della mente, rispetto alla comprensione del comportamento e degli stati psicologici propri e altrui. In aggiunta, lo sviluppo del linguaggio è in stretta relazione con lo sviluppo psicomotorio sia per l’aspetto gestuale che dell’articolazione verbale. Un infante, infatti, che presenta un ritardo psicomotorio o anche solo un aspetto più specifico di ipotonia o ipertonia o un problema muscolare circoscritto alle prassie orali manifesterà probabilmente una problematica anche nello sviluppo linguistico nell’uso dei gesti comunicativi e negli aspetti di aticolazione vocale. L’osservazione precoce dei processi di acquisizione del linguaggio nei primi due anni di età diventa, quindi, fondamentale anche nella possibiità di individuare non solo condizioni di rischio linguistico ma anche problematiche di altro tipo quali un disturbo dello spettro autistico o un disturbo della coordinazione motoria o disprassia. Mettiamo in evidenza come questa propspettiva multimodale e complessa della comunicazione e del linguaggio si concilia solo in parte con le diverse teorie classiche sullo sviluppo del linguaggio: teoria innatista (Chomsky), comportaemntista (Skinner) e costruttivista di Piaget..Secondo Chomsky esiste un Distositivo innato per l’acquisizione del linguaggio (Language acquisition device, LAD) , una Grammatica Universale (GU) per cui il linguaggio è un insieme di regole che il bambino deve scoprire, a cominciare dalle più generali e semplici per arrivare alle più specifiche e complesse. Non ci potremmo altrimenti spiegare come mai si impara a parlare in maniera così rapida, e come mai le tappe principali dello sviluppo linguistico sono le stesse in tutte le culture e le classi sociali.La teoria innatista non contempla l’aspetto comunicativo e il ruolo dell’ambiente sociale come neppure il legame tra i diversi domini (prospettiva multimodale e complessa). Secondo Skinner il linguaggio si sviluppa prettamente per imitazione mediante i rinforzi esterni e non attribuisce al bambino nessun ruolo né sul piano biologico che di partecipazione attiva nella costruzione delle abilità linguistiche. Anche la teoria comportamentista vede il linguaggio in termini prettamente verbali, sottovalutando l’aspetto comunicativo presente fin dall’inizio. Nella teoria stadiale Piaget afferma che il linguaggio si manifesta solo ed esclusivamente alla fine del 6° stadio sensomotorio come conseguenza dello sviluppo cognitivo. Anche Piaget, quindi, non vede il linguaggio come un sistema integrato – costituito da aspetti vocali e non vocali e in stretta relazione con lo sviluppo cognitivo fin dall’inizio. Ma al contrario si sofferma amente sull’aspetto prettamente esprissivo verbale. VI. 2 COMPONENTI E CARATTERISTICHE DELLA LINGUA UMANA La comunicazione può essere definita come: “… fitta rete di scambi di informazioni e di relazioni sociali che coinvolgono ogni essere vivente nella vita quotidiana “…. ha in sé un aspetto sociale e relazionale, ed implicitamente una matrice culturale e una natura convenzionale. La capacità di comunicare è frutto di un’esigenza naturale ed è una facoltà innata. Uomini e animali la possiedono istintivamente e la realizzano in modi diversi, prefissati dal patrimonio genetico della specie di cui fanno parte. La lingua umana possiede una: Natura sociale: si realizza all’interno di un gruppo Natura relazionale: Costituisce la base delle relazioni interpersonali Natura culturale e convenzionale: si basa sulla condivisione di significati e regole sottese allo scambio Tuttavia, solo l’uomo ha una forma di comunicazione basata su una lingua di tipo specificatamente SIMBOLICO e INTENZIONALE. E’ simbolica perche’ nella lingua umana ad una stringa di suoni corrisponde un significato convenzionale, che è stato deciso e condivisio dal gruppo che utilizza quella lingua. C’è, quindi, una relazione convenzionale e arbistraria tra parole e significato associato. Se si utilizza la parola CANE, questa stringa di suoni non ha assolutamente nessun legame con la realtà concreta dell’animale cane ma tutti gli individui che parlano la lingua italiana associano in automatico un insieme di caratteristiche specifiche e significati circoscritti a questa parola e ne condividono l’aspetto semantico, ossia del signifcato specifico. La relazione tra la parola e in significato è di natura convenzionale e arbitraria. L’essere umano può produrre una comunicazione INTENZIONALE a partire da atti comunicativi. Un atto comunicativo è la più piccola unità di uno scambio comunicativo, che un individuo può produrre con una unica e precisa intenzione. Può essere costituito da suoni, parole, gesti, combinazioni di più elementi verbali e non verbali. Elementi costitutivi di tale atto sono: l’intenzione comunicativa e il contenuto del messaggio (referente) che i partecipanti alla comunicazione possono condividere grazie alla conoscenza del codice attraverso cui il messaggio è trasmesso. Altre caratteristiche lingua umana, che si diversificano da altre forme di comunicazione, oltre al fatto di essere SIMBOLICA e INTENZIONALE sono la CREATIVITA’-RICORSIVITA’ e la RAPPRESENTAZIONALITA’. La creatività- ricorsività è quella capacità di generare da un numero finito di elementi infinite combinazioni. La lingua umana è,infatti,caratterizzata da una espressività complessa ove parole e significati si possono combinare in modi infiniti per formare frasi, discorsi e narrazioni che possono avere significati completamente diversi funzionali sul piano dell’efficacia comunicativa rispetto al contesto in cui sono prodotti. La rappresentazionalità esprime la capacità di rappresentarsi nella mente la realtà esterna e quindi il messaggio tra emittente (colui che produce l’atto comunicativo) e ricevente (colui che lo ricece). Una differenza terminologica importante riguarda la distinzione tra LINGUA e LINGUAGGIO. La lingua è il sistema simbolico che un individuo sviluppa nel periodo sensibile dei primi trea nni di età perché possiede una facoltà specie specifica,un linguaggio, che gli permette di acquisirla. Vediamo qui di seguito uno schema che sintetizza alcune dfinizioni di lingua e linguaggio. Questi due termini andrebbero utilizzati in modo più appropriato quando si discute sui processi di acquiszione. Linguaggio Competenza a comunicare in modo simbolico, può essere inteso come la facoltà di comunicare simbolicamente,ossia la capacità cognitiva che ci consente di usare una lingua e uno specifico sistema di comunicazione. L’essere umano ha una capacità specie- specifica a sviluppare una lingua simbolica. Vediamo alcune definizioni relative al linguaggio: […] la facoltà innata per gli esseri umana di saper usare una lingua. (Tullio De Mauro) […] la facoltà di associare due diversi ordini di entità: l’ordine dei contenuti mentali, che di per sé soli non hanno alcun mezzo per manifestarsi ad altri, essendo per loro natura interni; e l’ordine delle realtà sensoriali che permettono ai contenuti mentali di manifestarsi all’esterno (Raffaele Simone) Lingua Sistema simbolico astratto e socialmente determinato (la lingua italiana, la lingua inglese, la lingua cinese, la lingua dei segni etc), con le aratteristiche di una lingua: simbolica, ricorsiva,intenzionale e rappresentazionale. […] è un metodo puramente umano e non istintivo per comunicare idee, emozioni e desideri attraverso un sistema di simboli volontariamente prodotti. (Sapir) […] è un sistema di simboli vocali arbitrari attraverso il quale un gruppo sociale coopera (Block) […]è un istituzione per mezzo della quale gli esseri umani comunicano e interagiscono mediante simboli fonico-uditivi arbitrari abitualmente usati (Hall) […] un insieme (finito o infinito) di frasi ciascuna di lunghezza finita e costruita a partire da un insieme finito di elementi (Noam Chomsy). La lingua umana, dunque, è costituita da un sistema integrato e mutimodale,complesso, caratterizzato da un codice verbale e non verbale che nel suo insieme determina l’effiacia comunicativa e la funzionalità dell’abilità linguistica. Questo sistema integrato della lingua sembra avere aspetti comuni sul piano neurologico ed evolutivo. Qui di seguito gli elementi principali del dominio verbale e non verbaledi una lingua umana. Codice verbale. Gli aspetti verbali sono senza gli strumenti più efficaci usati dagli uomini per comunicare con i propri simili e il bambino nel corso dello sviluppo acquisisce gradualmente una lingua verbale. All’interno degli aspetti verbali consideriamo tutti gli elementi vocali che fanno riferimento ad alcune componenti della lingua: FONOLOGIA, SINTASSI, MORFOLOGIA. Codice non-verbale. sistema di comunicazione extra-verbale: insieme eterogeneo di processi comunicativi che concorrono alla generazione e alla elaborazione del significato di un atto comunicativo. Gli aspetti non verbali sono utilizzati parallelamente agli elementi verbali e contribuiscono in modo significativo all’efficacia dell’atto comunicativo. Nel codice non verbale dobbiamo considerare l’uso dei GESTI COMUNICATIVI e dello SGUARDO, uso dell’ALTERNANZA DI TURNO, la COMPRENSIONE LINGUISTICA. Gli studi di letteratura relativi a tentativi di insegnamento della lingua parlata inglese e della LINGUA DEI SEGNI (una lingua a tutti gli effetti, mediata dal canale non verbale) a piccoli scimpanzè in cattività, (Anni ‘30 ‘40 e ’50: coniugi Kellogs-GUA, i coniugi Hayeses Viki) sono completamente falliti, non soltanto perché l’apparato vocale degli scimpanzè è insufficiente per acquisire bene una lingua vocale, ma soprattutto per un limite specificatamente di ordine sociocognitivo. I risultati degli studi sul tentativo di far acquisire una lingua dei segni ai primati non umani dimostrerebbe che il limite non risiederebbe solo nella loro limitata abilità nel produrre un numero consistente di suoni (difficoltà fono- articolatoria) ma nella mancanza di specifiche abilità socio-cognitive che possiede esclusivamente l’uomo e che sono strettamente correlate con lo sviluppo dellla lingua: capacità di attribuire agli altri stati mentali interni e di leggere la mente degli altri, abilità sociale che contribuisce in modo determinante allo sviluppo di una lingua parlata (Tomasello, 1998). Un altro aspetto importante legato alle acacità socio-cognitive sottostanti riguarda il fatto che, come già discusso prima, la comunicazione umana linguistica è simbolica, grammaticale e creativa. Gli umani usano i loro simboli combinandoli insieme per mezzo di regole condivise che consentono di costruire messaggi diversi. Tale abilità dipende da una varietà di processi generali, cognitivi e sociali, che si riflettono sulla comunicazione delle persone e sull’apprendimento reciproco. I primati non umani, infatti, riescono ad apprendere pochi segni (100-130) e a produrre combinazioni brevi, per lo più risposte a domande e non produzioni spontanee: 90% delle frasi erano ripetizioni o riduzioni o espansioni di quelle prodotte da un altro soggetto e non rispettavano neppure gli aspetti paralinguistici della comunicazione come l’alternanza di turno. Possiamo concludere che un primato non umano,dopo significative pratiche di insegamento, riesce a raggiunge re solo in parte l’uso di una lingua corrispondente ad un bambino di 3 anni. I prmi tre anni di vita rappresentano, infatti, il periodo sensibile entro il quale il bambno possiede la massima plasticità per acquisire le competenze di base. Infatti, n bambino alla soglia dei tre anni con sviluppo tipico è in grado di produrre frasi complete e complesse, di tenere una conversazione adeguata sia dal punto di vista grammaticale che per alternanza di turno. Esprime attraverso l’uso della lingua significati adeguati e consoni al contesto di interazione, produce frasi corrette sul piano fonologico e grammaticale, secondo regole e caratteristiche della propria lingua Mostra di aver sviluppato le abilità di base della propria lingua: La Fonetica e la Fonologia (due campi di studio dei suoni linguistici) La Semantica La Morfologia La Sintassi La Pragmatica Vediamo la definizione di queste componenti di base di una lingua. La fonetica è lo studio dei suoni linguistici intesi come eventi fisici e psicologici (foni). Essa comprende un vasto campo di ricerche sulle proprietà acustiche del linguaggio ed il rapporto fra tali caratteristiche acustiche ed il modo in cui l’essere umano percepisce ed ha esperienza del linguaggio stesso. Comprende, inoltre, lo studio del modo in cui i suoni linguistici vengono prodotti dall’apparato fonoarticolatorio umano. La fonologia si occupa delle rappresentazioni astratte e delle regolarita` dei suoni linguistici (fonemi): “Un fonema è un’unità a cui i parlanti attribuiscono un valore distintivo la cui funzione è fondamentalmente quella di distinguere una parola da un’altra” (Bonvino 2000). La fonologia si occupa di studiare anche il modo in cui i segmenti di una lingua si combinano per formare delle sillabe. Secondo i linguisti le sillabe sembrano essere gli unici elementi dell’analisi fonologica di cui i parlanti sono pienamente consapevoli. La semantica si occupa dello studio del significato delle parole e delle frasi. Semantica lessicale, che studia i significati associati ai singoli elementi lessicali (parole), descrivendone il repertorio lessicale delle diverse lingue (lessici). Semantica proposizionale, si occupa delle relazioni di significato che si stabiliscono fra le parole all’interno di una frase. Lo studio della grammatica viene distinto in due aspetti che la caratterizzano:morfologia e sintassi (morfosintassi). La Morfologia studia principi e regole che consentono di modificare la forma e il significato delle parole. L’unita` di analisi e` il morfema, cioe` la sequenza minima di fonemi dotata di significato. La Morfologia si distingue in: - Morfologia libera che comprende elementi grammaticali -- “funtori” -- che possono essere separati dagli elementi lessicali,: articoli, preposizioni (semplici e articolate), pronomi, congiunzioni e connettivi. -Morologia legata, che comprende tutte le desinenze legate alle parole. I morfemi legati pecificano le modulazioni della struttura della parola: flessioni dei verbi, dei nomi e degli aggettivi (per il genere e il numero, ad es. rosso/rossa; rossi/rosse,studio,studiate). La sintassi è l’insieme dei principi e regole che governano il modo in cui le parole e altri morfemi sono ordinati per formare una frase possibile in una data lingua. La porta della cucina e` rotta” è una frase ammissibile e corretta sul piano della sintassi. “La della porta e` cucina rotta” non è una frase corretta in italiano per sintassi. La sintassi regola anche la relazione tra diverse forme della stessa frase (es. la frase attiva “Il poliziotto ha arrestato il ladro” e la forma passiva “Il ladro e` stato arrestato dal poliziotto ”), i modi per inserire una frase in un’altra (Il ladro che e` stato arrestato dal poliziotto”). La pragmatica studia la capacità da parte del bambino di utilizzare le funzioni linguistiche a scopi prettamente comunicativi, in modo diverso, flessibile e appropriato ai diversi contesti. Ciò significa che l’ultizzo adeguato della pragmatica presuppone la capacità di trasmettere e ricevere tra loro atti comunicativi che hanno specifici significati condivisi da tutti gli individui che appartengono ad uno stesso gruppo ed usano la stessa lingua.fa parte delle capacità pragmatiche anche l’utilizzo e la comprensione deimodi di dire, degli indovinelli, doppi sensi e metafore. VI. 3 DALLA COMUNICAZIONE PREINTENZIONALE A INTENZIONALE 3. 1. PRIMA DEI 9 MESI CIRCA: COMUNICAZIONE PREINTENZIONALE Come già evideniziato, lo sviluppo del linguaggio inizia dalla nascita e si eprime fin dall’inizio come un sitema integrato e multimodale, caratterizzato da elementi vocali e non vocali. Tuttavia nei primi 8-9 mesi circa di età il bambino presenta una comunicazione ancora PREINTENTIONALE, ossia l’infante non è ancora consapevole che i suo comportamento vocale o non vocale influisce sul comportamento dell’adulto, anche se normalmente quest’ultimo reagisce agli stimoli del bambino rispondendo alle sue richieste sia di accudimento che di vicinanza, in modo contingente, creando una adeguata intersoggettività e una sintonia emotiva le risposte naturali degli adulti all’interno dell’interazione diadica (infante-adulto) agli stimoli preintenzionali dell’infante sono fondamenti per losviluppo socio-cognitivo e comunicativo-linguistico successivo. nelleprime 2-3 settimane di vita, il lattante produce solo suoni di natura vegetativa (ruttini, sbadigli) e suoni legati al pianto (“pre-pianto”). Tra i 2 e i 6 mesi si intensificano le interazioni diadiche tra caregiver e infante,parallelamente allo sviluppo dei suoni vocalici e consonantici, tanto da strutturare sempre più spesso routine interattive simili a delle “ conversazioni” caratterizzate da un ritmo di alternanza di turno tra mamma e infante. Queste routine diadiche caratterizzate da scambi interattivi con elementi vocali e non vocali vengono definite in letteratura “protoconversazioni”. Verso i 6-7 mesi, compare la “lallazione canonica” (babbling): il bambino produce sequenze C-V (consonante vocale) tipo sillabe (“da”, “ma”). Queste sequenze possono essere ripetute due o più volte: “lallazione reduplicata”. I bambini producono sequenze di apertura e chiusura con sequenze di sillabe CV ben formate, che spesso i genitori interpretano proprio come le prime parole (ma-ma-ma; pa-pa-pa), ma in realtà sono ancora le lallazioni nel periodo della comunicazione preintenzionale. Successivamente alla lallazione reduplicata compaiono strutture sillabiche più complesse e lunghe (C1V1C2V2), ad esempio “bada”, “dadu”: sono le “lallazione variata” che si avvicinano sempre di più sul piano formale alle “protoparole” e alle “parole”. La comparsa e l’evoluzione delle lallazioni rappresenta una fase dello sviluppo comunicativo- linguistico molto importante, considerando che è una tappa universale a prescindere dall’etnia e dal contesto socio-culturale di appartenenza. Gli studi sul babbling ha messo in evidenzia la presenza di una coordinazione temporale tra aspetti motori (prassie orali e movimenti del corpo e delle braccia) e aspetti vocali (suoni prodotti durante la lallazione, che siano di tipo canonico o variato). Si è osservato, infatti, che l’infante mentre apre e chiude la bocca ritmicamente per produrre il babbling, contemporaneamente attua schemi motori coordinati, quali battere sul seggiolone o agitare le braccia seguoendo lo stesso tirmo dei suoni prodotti. Nonostante la fase del babbling sia un fenomeno universale, diversi studi di letteratura evidenziano che non sembra esserci una correlazione significativa tra la presenza di un buon sistema fonologico associato ad un buon controllo degli organi fonoarticolatori e lo sviluppo linguistico successivo, come se la lallazione, se pur una tappa universale, non sembrerebbe un indice predittivo significativo delle tappe di linguaggio successive. Possiamo concludere che la lallazione sia una condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo delle successive abilità di linguaggio. Ad esempio, i bambini nati pretermine senza danno neurologico sspesso sviluppano nel tempo un ritardo specifico di linguaggio, nonostante non si osserverebbero differenze significative nel primo anno di età nello sviluppo del babbling, anzi sembra esserci una certa precocità nei pretermine per il babbling (forse legata alla stimolazione ambientale più precoce), ma spesso questi bambini mostrano un ritardo di linguaggio. Durante questo periodo (primi 9 mesi circa), le continue situazioni di interazione diadica basate su imitazione e scambio reciproco tra bambino e adulto hanno la funzione primaria di stabilire una relazione psicologica di similarità e differenziazione tra bambino e adulto. Il bambino è trattato dall’adulto come un partner comunicativo ma le sue forme non sono ancora intenzionali, produce comportamenti (sorriso, pianti, vocalizzi) che hanno valore di segnali per l’adulto, ma non è consapevole degli effetti che hanno. L’interazione che caratterizza questoperiodo è una INTERAZIONE DIADICA, perché il bambino s’impegna attivamente o in interazioni diadiche con l’adulto o con l’oggetto, in modo parallelo, ma non è ancora in grado di condividere il referente (oggetto/evento) all’interno dello scambio sociale e di una attenzione congiunta, al fine di creare una INTERAZIONE TRIADICA. Prima dell’anno di età circa, quindi, il bambino alterna l’attenzione tra oggetto e adulto e interagisce separatamente, ma non sa condividere (INTERAZIONE DIADICA con oggetto o con adulto). Incremento interazioni faccia a faccia con l’adulto in contesti di routine. 3.2 DAI 9 MESI CIRCA: COMUNICAZIONE INTENZIONALE Trai 9 e i 12 mesi il bambino fa un pasaggio importante sia dal puno linguistico che socio-cognitivo perché compare la COMUNICAZIONE INTENZIONALE E L’INTERAZIONE TRIADICA. Il bambino è ora consapevole che i propri comportamenti hanno degli effetti sugli adulti ed è in grado di utilizzare in modo intenzionale le proprie azioni come mezzi per modificare/orientare il comportamento degli altri in funzione dei propri scopi, autoregola il proprio comportamento al fine di soddisfare i propri scopi o particolari obiettivi. Un indicatore fondamentale della comparsa della comunicazione intenzionale è l’uso dei GESTI DEITTICI, ossia della DEISSI che significa RIFERIMENTO. Tra i Gesti deittici l’INDICAZIONE rappresenta la deissi per eccellenza. Intorno ai 9-12 mesi ad esempio il bambino può indicare ripetutamente una bottiglia guardando alternativamente l’oggetto e la madre finchè quest’ultima non gli/le dà da bere Gli indici del passaggio ad una COMUNICAZIONE INTENZIONALE sono: -Attenzione condivisa su un oggetto con un’altra persona: alternanza dello sguardo tra oggetto e adulto -Interazione triadica e scambio sociale: il bambino condivide l’attenzione su uno stesso referente con l’adulto -Uso mezzi-fini : la persona diventa il mezzo per raggiungere l’ oggetto che rappresenta inizialmente il fine. - Comparsa e uso dei GESTI COMUNICATIVI, nellospecifico i GESTI DEITTICI con i quali il bambino all’interno dell’interaione triadica si riferisce agli oggetti-eventi alternando lo sguardo tra adulto e oggetto. Lo schema qui di seguito sintetizza la differenza tra interazione diadica e triadica. interazione diadica versus triadica Interazione-oggetto in assenza adulto Diadica Interazione-Adulto in assenza oggetto Interazione - bambino- Triadica oggetto-adulto Scambio sociale, attenzione condivisa, condivisione di un comune fuoco di attenzione (su un oggetto- evento) VI 4 GESTI COMUNICATIVI E COMBINAZIONI CROSSMODALI I gesti deittici sono la tipologia di gesti comunicativi che compaiono prima nello sviluppo e che il bambino utilizza più frequentemente nella produzione spontanea per riferirsi ad elementi del contesto extralinguistico. La totalità dei gesti comunicativi,almeno fino ai 15-18 mesi sono di tipo extralinguistico, ossia il bambino li utilizza per riferirsi a referenti del contesto contesto extralinguistico.la comparsa e l’uso consistente di gesti deittici rappresenta un predittore importante per lo sviluppo linguistico successivo e correla con le prime abilità verbal’, incremento del lessico e prime frasi. I gesti deittici includono un numero limitato di quattro tipi che hanno caratteristiche morfologiche peculiari e che sono presenti in tutti i bambini con si sviluppo tipico: 1) Richiedere, movimento di apertura e chiusura del palmo della mano in direzione dell’oggetto desiderato, il più delle volte alternando lo sguardo dall’adulto all’oggetto; 2) Dare, dare un oggetto all’adulto con l’intento di attirare l’attenzione su di esso; 3) Mostrare, mantenere un oggetto sulla linea dello sguardo dell’adulto con il chiaro intento di attirare la sua attenzione sull’oggetto; 4) Indicare, estensione del dito indice su un oggetto, evento, luogo presente nel contesto, guardando alternativamente l’adulto e il referente. La richiesta e l'indicazione sono gesti deittici primariamente “distali” ossia il bambino si riferisce ad un oggetto mediamente lontano nel contesto extralinguistico (fa eccezione l'indicazione durante lettura di libro). Inoltre l’interpretazione del significato espresso dai gesti deittici è strettamente legato al contesto specifico in cui il bambino l produce. Il mostrare e il dare implicano l'oggetto in mano, che il bambino condivide con l'adulto. Come abbiamo già accennato il linguaggio è spesso espressione di acquisizioni socio- cognitive sottostanti, tra cui lo sviluppo della TEORIA DELLA MENTE, ossia la capacità di comprendere e riferirsi agli stati comportamentali e psicologici propri e altrui. Nello specifico i gesti deittici vengono definiti PRECURSORI della teoria della mente proprio perché attraverso il loro utilizzo nell’interazione triadica il bambino esprime un primo livello di comprensione del comportamento e degli stati psicologici. All’inizo il bambino produce il gesto deittico del RICHIEDERE e dell’INDICAZIONE con funzione RICHIESTIVA esprimendo un I livello di comprensione degli stati mentali basato sulla comprensione del concetto di AGENTIVITA’, cioè che l’adulto è un individuo con dei comportamenti che possono essere modificati per i propri scopi. Il genitore è quindi un MEZZO per raggiungere lo SCOPO che - in questa fase - è l’oggetto che il bambino vuole raggiungere. Vediamo lo schema qui di seguito.. Comunicazione intenzionale e teoria della mente: I livello I Livello di comprensione degli stati mentali (Teoria della mente) Il bambino comprende il concetto di “l’agentività”: l’adulto è un essere che ha un comportamento autonomo che può essere modificato per raggiungere i propri scopi “INDICAZIONE con funzione Richiestiva” Successivamente il bambino inizia ad indicare non semplicemente per ottenere un oggetto ma per condividere uno STATO PSICOLOGICO con l’adulto su quel referente. Il bambino può INDICARE la macchina del papà semplicemente per condividere lo stato emotivo di felicità per l’arrivo del papà a casa. In altri casi, il bambino può MOSTRARE un oggetto alla mamma per condividere lo stato emotivo di sorpresa per quell’oggetto, non perché vuole che la mamma gli prenda l’oggetto (che tra l’altro ha giài n mano). Dopo l’uso dell’INDICAZIONE con funzione RICHIESTIVA, il bambino inizia ad usare l’INDICAZIONE con funzione DICHIARATIVA (sequenza evolutiva comune a tutti i bambini), dimostrando di aver raggiunto un II livello di teoria della mente basato sulla comprensione degli stati psicologici dell’altro e non solo sugli aspetti comportamentali. Vediamo il seguente schema. Comunicazione intenzionale e teoria della mente: II livello Livello di comprensione degli stati mentali (Teoria della mente) Il bambino comprende il concetto di “stati psicologici” : l’adulto è un essere che ha stati psicologici, interesse per gli eventi esterni “INDICAZIONE con funzione Dichiarativa” Quando fa una “Richiesta”: il bambino vuole influenzare il comportamento dell’adulto ed è sufficiente che formuli un’aspettativa circa l’efficacia dell’adulto come “strumento” che ha dei comportamenti che possono essere modficati per i propri scopi. Quando fa una “Dichiarazione”: il bambino vuole influenzare lo stato interno (interesse) dell’adulto ed è necessario che lo rappresenti come dotato di “stati psicologici” (soggettività). I bambini con Disturbo dello spettro autistico hanno una capacità dichiarativa deficitaria se non assente. Non si osserva tra i bambini autistici l’uso del MOSTRARE, gesto deittico per definizione con funzione dichiarativa. Tutti i bambini con sviluppo tipico, a partire dai 12 mesi circa, producono una consistente quantità di enunciati costituiti da 1 gesto e una parola 8chiamti CROSSMODALI) poco prima della comparsa delle prime combinazione di parole e parallelamente all’incremento del lessico. Successivamente, i gesti accompagnano anche gli enunciati costituiti da due o più parole. Ciò supporta il “modello integrato” del linguaggio e dimostra che i gesti non scompaiono quando il bambino inizia a costruire le prime strutture frasali ma si inserisce in modo diverso all’interno dello sviluppo lessicale e frasale. Le combinazioni di gesti e parole sembrano avere un ruolo predittivo peculiare per la comparsa e sviluppo delle combinazioni di parole tra i 18 e 24mesi, tanto è vero che tutti i bambini utilizzano “1 gesto e una parola” prma di formulare le prime combinazioni di parole. Le combinazioni crossmodali di un gesto (quasi sempre l’indicazione) e una parola (nomi, onomatopee e verbi) che si osservano in tutti i bambini con sviluppo tipico sono di due tipi ed esprimono due informazioni semantiche diverse, entrambe importanti: “complementare” (&): quando le due modalità si riferiscono allo stesso referente per disambiguare/specificare il referente. Hanno una funzione primaria di nominazione. Ad esempio il bambino indica la mucca e dice “mucca”; il bambino indica il piatto e dice “questo”: le due modalità si riferiscono allo stesso elemento e lo specificano.Questa combinzione crossmodale esprime un significato per lo più di NOMINAZIONE. “supplementare” (+): quando le due modalità possono riferirsi allo stesso referente o a due referenti diversi, ma ognuna aggiunge informazione all’altra, con funzione di predicazione. Ad es. il bambino indica la mucca e dice “bella”: le due modalità si riferiscono allo stesso referente, ma ognuna aggiunge un’informazione diversa all’altra, medante verbi o aggettivi. Questa combinzione crossmodale esprime un significato per lo più di PREDICAZIONE. Dagli studi di letteratura emerge che la frequenza d’uso delle combinazioni crossmodali complementari a 12 e 18 mesi correla con il lessico e la ricchezza delle frasi a 24 mesi, mentre le combinazioni “supplementari” correlano con l’età di comparsa delle prime combianzioni didue parole. Diventa importante, quindi, una osservazione peculiare -prima dei 24 mesi- dell’uso delle combinazion crossmodali complementari e supplementari, come indici predittivi del primo sviluppo verbale. Abbiamo già detto come la presenza del gesto deittico segna il passaggio importante alla comunicazione intenzionale. I gesti deittici e in particolare la comparsa e l'uso dell'indicazione sembrano in stretta relazione con lo sviluppo della comprensione degli stati mentali nel bambino. Possono infatti essere definiti “precursori” della “teoria della mente”. Come già discusso, all’inizio l'indicazione ha una funzione comunicativa di tipo esclusivamente “richiestivo” (I livello di teoria della mente), poiché il bambino comprende solo il concetto di “agentività”, successivamente il bambino indica per condividere uno “stato psicologico” (funzione “predicativa”, II livello di teoria della mente). Il bambino comprende il concetto di “stati psicologici”: l’adulto è un essere che ha stati mentali, emozioni ed interessi per gli eventi esterni che possono essere condivisi e modificati. In quest’ultimo passaggio evolutivo, lo scopo del bambino il bambino è l’adulto con il suo stato psicologico, mentre l’oggetto condiviso è il mezzo. L’uso particolare dell’indicazione con funzione richiestiva versus dichiarativa in relazione con l’attenzione congiunta e l’uso dello sguardo potrebbero essere un indicatore precoce di specifici profili di sviluppo. I genitori di bambini con disturbo dello spettro autistico spesso iniziano a rendersi conto che il proprio figlio ha problemi per il mancato o ritardato sviluppo del linguaggio verbale (prime frasi); ma il deficit comunicativo si manifesta in tutte le fasi evolutive e si potrebbe individuare già nelle fasi più precoci. Il primo aspetto dello sviluppo comunicativo in cui i bambini autistici sembrano presentare particolari difficoltà riguarda proprio l’interazione triadica (bambino-adulto-oggetto/evento), l’attenzione condivisa, l’uso dello sguardo, la funzione predicativa. In stretta relazione con l’uso della deissi, dell'indicazione e delle combinazioni di gesti e parole per riferirsi a oggetti e luoghi del contesto, è il ruolo precoce e importante dello sguardo in attenzione congiunta. Già abbiamo sottolineato il ruolo fondamentale dello sguardo quando il bambino produce un gesto deittico per ottenere un oggetto da parte dell'adulto o per condividerne l'interesse. Il bambino orienta, direziona e controlla il proprio e altrui sguardo per lo specifico scopo comunicativo: se ad esempio vuole che la madre le dia un oggetto (funzione richiestiva) o se, al contrario, desidera condividere uno stato emotivo con la madre (funzione dichiarativa). Il bambino è in grado precocemente di modificare, orientare e mantenere il proprio sguardo per i propri scopi comunicativi. Alcuni studi longitudinali (Pizzuto e Capobianco, 2008; 2009) confermano il dato per cui le indicazioni di tipo ostensivo, quelle verso i referenti del contesto extralinguistico, compaiono prima e sono le più prodotte dai bambini nei primi due anni di età, rispetto alle indicazioni utilizzate per riferirsi a se stesso (io, prima persona) o agli altri (tu, seconda persona). Finora abbiamo parlato dei gesti comunicativi intendendo quelli che il bambino utilizza per riferirsi ad elementi (oggetti, luoghi) presenti nel contesto extra-linguistico del bambino e più o meno distanti. Abbiamo visto come le indicazioni ostensive, non solo compaiono prima nello sviluppo e sono le combinazioni più utilizzate in frequenza d’uso. Ma il bambino, in una fase successiva, potrà riferirsi con i gesti comunicativi anche alle persone (a se stesso, “io” e “tu”). I due tipi di gesti d'indicazione (ostensivi versus quelli di persona) presentano un'età di comparsa, una frequenza d'uso e un pattern evolutivo distinto e per questo si ipotizza sottendano capacità cognitive molto diverse. Le indicazioni del bambino verso se stesso (io, mio) e verso l'altro (tu) compaiono dopo le indicazioni ostensive e parallelamente con le corrispettive forme vocali (io, mio, tu), tra i 18 e i 24 mesi nello sviluppo tipico. Il fatto che dall’osservazione empirica e da lavori sistematici sulle produzioni spontanee dei bambini con sviluppo tipico emerga chiaramente che l’uso delle forme vocali di 1° 2° persona (“io”; “tu”) compaiono parallelamente alla capacità mettere insieme 2 parole, suggerisce che la loro comparsa sia strettamente legata al raggiungimento di specifiche capacità cognitive sottostanti, quali “la rappresentazione mentale stabile di sé e degli oggetti”, quindi la comparsa della “consapevolezza di sé” e della “permanenza dell’oggetto”. Ѐ interessante notare come l’uso dello SGUARDO, o meglio la direzione dello sguardo del bambino e della madre diventa l’elemento formale cruciale che permette di discriminare tra i diversi tipi di combinazioni e soprattutto tra INDICAZIONI OSTENSIVE, verso i referenti esterni, a INDICAZIONE DI PERSONA quando il bambino inizia a riferirsi a se stesso e agli altri con l’indicazione. L’indicazione di persona comparirà dai 18 ai 24 mesi e evidenzia un passaggio importante quale è la consapevolezza di sé. I gesti deittici ostensivi sono i primi gesti comunicativi a comparire (tra i 9 e i 13 mesi di età, intorno alla comparsa delle prime parole) e, oltre d essere più prodotti, sono tra gli indicatori più importanti di abilità socio-cognitive più precoci, quali la comparsa della “comunicazione intenzionale” e il “primo livello di comprensione della mente”. Lo sguardo diventa un elemento cruciale per distinguere i gesti deittici ostensivi da quelli che si riferiscono alla prima e alla seconda persona sia nella lingua dei segni. Le figure A-B-C (nelle sequenze a, b, c) illustrano le caratteristiche dello sguardo di un bambino di 16 mesi e di sua madre in interazione, quando il bambino produce una indicazione di tipo ostensivo, ossia indica un oggetto per condividerlo con la mamma (Pizzuto e Capobianco, 2008). a b c Fig. A-B-C (sequenze a, b, c) – uso dello sguardo del bambino e della madre durante una indicazione di tipo ostensivo, verso un referente distale Come si può vedere dalle sequenze di azioni (a, b, c), il bambino indica e rivolge lo sguardo verso un punto della stanza vocalizzando con tono di “protesta” per richiamare l’attenzione della madre verso quell’oggetto o luogo. La madre reagisce all’indicazione del bambino girandosi e volgendo lo sguardo verso il referente (oggetto o luogo) indicato dal bambino. Entrambi, quindi, rivolgono lo sguardo verso l’oggetto indicato dal bambino (sequenza c) Le figure successive (Fig. D-E) illustra un altro tipo di indicazione ostensiva. In questo caso è la mamma ad iniziare un intervento comunicativo e indica il disegno di “Winny-The- Pooh” sulla maglietta del bambino. L’uso dello sguardo è lo stesso osservato nelle sequenze precedenti (a, b, c). All’indicazione della mamma il bambino risponde volgendo lo sguardo verso la stessa immagine sulla maglietta e indicandola, come fa la mamma. Entrambi volgono lo sguardo e l’indicazione sul disegno di “Winny-The-Pooh” (sequenza e). e d Fig. D-E (sequenze d, e) – uso dello sguardo del bambino e della madre durante una indicazione di tipo ostensivo, verso un referente vicino Nelle sequenze d,e il referente è vicino: la mamma indica - toccando - l’immagine di Winny- the-Pooh sulla maglietta del bambino, il quale abbassa lo sguardo verso l’immagine indicata dalla madre e la indica a sua volta Quindi, quando il bambino o la madre indicano un oggetto o luogo, al fine di attirare l’attenzione, lo sguardo di entrambi volge verso la stessa realtà extralinguistica. Le fig. f - g (sequenze f, g), diversamente dalle figure precedenti, rappresentano un chiaro esempio di indicazione a se stesso, in quanto le indicazioni di sé prodotte dal bambino, funzionalmente corrispondenti a “mio” (f) e quindi “io” (g), sono state elicitate dalla madre con frasi del tipo “di chi è questo gioco? “come dici tu?” “questo è mio!”, accompagnando la parola “mio” con il gesto deittico corrispondente su di sé. f g Fig. 5 (sequenze f, g) – uso dello sguardo del bambino e della madre durante una indicazione di 1° persona (GDP): “mio” e “io”. Quando il bambino indica se stesso per dire “mio” (in f) e “io” (in g) gli sguardi dei due interlocutori sono reciprocamente focalizzati e agganciati su un’area intorno agli occhi. Abbiamo visto in precedenza nella figura 4 (d, e) che la madre e poi anche il bambino, indicano e toccano un punto sul petto del bambino (la foto di Winny-Pooh sulla maglietta) producendo un gesto apparentemente identico (almeno sul piano morfologico) ad una indicazione di 1° e 2° persona (“io” e “tu”). Tuttavia la possibilità di interpretare queste due indicazioni come riferimenti di persona viene esclusa considerando lo sguardo dei due interlocutori, il quale è chiaramente diretto sull’immagine del personaggio “Winny-The-Pooh” della maglietta del bambino, ossia verso un punto specifico della realtà extralinguistica. La madre infatti indirizza per prima l’attenzione del bambino sul disegno, denominando il nome del personaggio e portando il bambino a sua volta a nominare la figura con la parola “Pooh”. Queste dati suggeriscono e supportano l’ipotesi che, nelle lingue dei segni come nelle lingue vocali, i gesti deittici di persona possiedano proprietà formali diverse da quelle proprie dei gesti deittici ostensivi, ove anche l’uso dello sguardo sottostante è diverso (Pizzuto, 1990, 2007) Lo sguardo, quindi, svolge un ruolo cruciale nel discriminare questi due tipi di gesti e dimostra come il bambino sia in grado molto presto di coordinare i comportamenti legati all’uso dello sguardo in attenzione congiunta e alla produzione del gesto deittico, in funzione degli scopi comunicativi. Questa competenza peculiare esprime certamente una “capacità pragmatica” precoce nell’uso della lingua, basata sul coordinamento dei comportamenti di tipo vocale e non vocale per l’efficacia comunicativa. L’uso dello sguardo e dell’indicazione di persona permette di inferire la comparsa della consapevolezza di sé alla soglia dei 24 mesi. VI 5 LO SVILUPPO LESSICALE MORFOSINTATTICO La comparsa delle prime parole (tra i 10 e i 13 mesi) segna un passaggio importante nello sviluppo delle capacità verbali. Lo sviluppo delle parole si riferisce a due aspetti: FORMA: somiglianza con la forma adulta (ad es., “appe” per scarpe); FUNZIONE: stabilità nell’uso della parola per denotare uno stesso referente/significato. Come già evidenizato nei paragafi precedenti,la maggiorparte delle parole sono prodotte insieme ai gesti deittici, formando gli enunciati crossmodali. Quando i bambini utilzzano le parole e gesti singolarmente si parla di ENUNCIATI MONOREMATICI e possono esprimenre intenzioni e significati molto diversi e più ampi del significato della singola parola in base al contesto di interazione in cui sono prodotti e anche all’intonazione-prosodia utilizzata. Se, ad esempio, un bambino dice “papa?” guardando alternativamente la porta e la mamma, si potrebbe interpretare ”quando torna papà?”. Proprio tale motivo, questa fase dello sviluppo lessicale viene anche chiamata “OLOFRASTICA” perché la parola in sé contiene un significato complesso/combinatoriale. Tra il 18 i 24 mesi circa si assite al fenomeno dell’ESPLOSIONE DEL VOCABOLARIO, periodo in cui il lessico inizia ad incrementare in modo significativo e il bmabino incrementa sia il REPERTORIO, cioè il numero diverso di parole che la FREQUENZA D’USO di queste parole nuove. In questa fase il ritmo di espansione del vocabolario si attesta tra le 300 e le 600 parole. Parallelamente all’esplosione del vocabolario, all’uso significativo delle combinazioni crossmodali, il bambino inizia a produrre le prime forme frasali che vengono definite TELEGRAFICHE perché si caratterizzano con uno stile caratterizzato da sequenze di parole in assenza della morfolegia libera (funtori, congiunzioni) mediante il quale il bambino,come per la fase olofrastica, esprime un significato più ampio delle singole parole in succesione. Ad esempio un bambino potrtebbe dire “mamma bau macchina”, la cui intenzione comunicativa più ampia potrebbe essere: “mamma metti il cane in macchina”. Generalmente i genitori interpretano correttamente il significato più ampio e rispondono al bambino riformulado la frase e ampliandola con l’intenzione corretta. Anche per la comparsa delle prime forme frasali, ENUNCIATI TELEGRAFICI, si osserva una ampia variabilità individuale, che colloca la loro comparsa tra i 16 (bambini più precoci) e i 24 mesi, rientrando sempre all’interno di uno sviluppo tipico. All’inizo le combinazioni telegrafiche sono cstituite da due NOMI: “mamma pappa”, “bau palla”. Successivamente compare l’uso dei verbi e si parla di ENUNCIATI NUCLEARI INCOMPLETI , perché il bambino può produrre stringhe di parole in sequenza più lughe (3 o 4 parole) in presenza di nomi, verbi o altre fome di parola come gli aggettivi e i pronomi, ma la frase risulta ancora mancante della morfolgia libera necessaria a renderla completa: ad esempio “mamma pappa voglio mia”. Successivamente il bambino inzia a produrre frasi complete nucleari perché costituite dalla morfologia libera essenziale per poi ampliarsi con elementi aggiuntivi quali aggettivi, avverbi. Lo schema qui sotto sintetizza il passaggio da enunciati incompleti a enunciati completi e ampliati ein elelenco alcune frasi nucleari ampliate, tratte dalla Prova di Ripetizione di Frasi (Devescovi e Caselli 2015)utilizzataper valutare le prime abilità grammaticali. Costruzione della frase da incompleta a nucleare completa Struttura Nucleare Enunciato costituito da un mangia pappa mamma incompleta Verbo e almeno un Dai questa bimba elemento nominale. Manca ES SNI qualche elemento e gran parte della morfologia libera (ad es gli articoli) Struttura Nucleare Enunciato costituito da Verbo Voglio la bici mamma. e dalla morfologia libera Metto la minestra al completa fuoco. necessaria SNC Struttura Nucleare Struttura ampliata Voglio la mia bambola da modificatori (aggettivi) e/o bella ampliata Mangio subito questa espressioni avverbiali (di SNA luogo, tempo, modo etc.) pappa Esempi di frasi complete da 1 a 3 argomenti, costituite da 1 forma verbale 8tratte da Test ripetizione di Frasi, Devescovi e Caselli, 2015) Intorno ai 30-36 mesi la maggiorparte dei bambini con sviluppo tipico sono in grado di produrre ENUNCIATI BINUCLEARI, costituiti da due nuclei e quindi da due frasi, connesse tra loro mediante tipologie diverse di connessioni: all’inzio da comnnettivi semplici (ad esempio le frasi coordinate) a quelle più complesse come le frasi argomentali esplicite ed implicite. Lo schema qui di seguito ilustra alcune frasi binocleari che troviamo nelle conversazioni e nei discordi di bambini a partire dai 36 esi circa. A questa età, infatti, i bambini con sviluppo tipico sono ingrado di utilizzare le abilità morfosintattiche all’interno delle conversazioni e delle narrazioni con un interlocutore adulto o un bambino. Attraverso la produzione verbale il bambino è in grado non solo di strutturae frasi complesse binucleari, ma soprattutto di esprimere pensieri complessi, significati ed emozioni coerenti con le richieste socio-culturali del contesto in cui è inserito e con lo stato mentale proprion e altrui. Sicuramente il linguaggio, ad un livello più complesso continua ad essere espressione delle abilità socio-emotive sottostanti. Struttura Nucleare Struttura nucleare ampliate Voglio la mia ampliata a per mezzo di modificatori bambola bella SNA (aggettivi) e/o espressioni Mangio subito avverbiali (di luogo, tempo, modo questa pappa Frasi etc.)complesse binucleari Clausola Un verbo è argomento del verbo Ti ho visto argomentale principale ed è di modo infinito, mangiare il implicita gerundio, participio) gelato CAI È uscito correndo Clausola Un verbo argomento del verbo Vedi che sta argomentale della principale. Il verbo della dormendo esplicite argomentale è di modo finito Hai visto mi sono CAE (indicativo, imperfetto, tuffata congiuntivo, imperativo) Clausola Clausola introdotta da un Prendo il Coordinata connettivo coordinante (e, ma…..) coniglietto e gli CC do l’acqua Clausola Clausola introdotta un connettivo Mangio la pappa subordinata subordinante perché è buona CS (causale/finale/temporale…..) Clausola relativa Clausola introdotta da un pronome Guarda la nonna CR relativo (che, a cui….) che dorme Per valutare la progressiva crescita della complessità morfosintattica nelle produzioni infantili si utilizza la lunghezza media dell’enunciato (LME), introdotta da Roger Brown (1973), partendo dal presupposto che la complessità di una struttura linguistica possa essere valutata in base al numero degli elementi che la compongono. Una frase con un maggior numero di elementi viene considerata più evoluta rispetto ad una che ne contiene un numero minore. Per i bambini che imparano la lingua inglese la Lme si ricava calcolando il numero di morfemi per ogni enunciato. Nel caso della lingua italiana, che possiede una struttura morfosintattica più ricca e complessa dell’inglese, si calcola il numero di parole per enunciato (Lmep). La Lme è una misura di tipo quantitativo appropriata per analizzare lo sviluppo linguistico nei primi tre anni di vita, ma risulta inadeguata ad età più avanzate, ove lo sviluppo della complessità verbale non può più essere valutata in termini di numero di elementi nella frase ma per lo più mediante valutazione della qualità delle abilità conversazionali e discorsive, delluso corretto dell’alternanza di turno e delle risposte coerenti e contigenti sul piano semantico da parte del babino e del fanciullo. Secondo Brown, infatti, siccome nei primi 3 anni di età il bambino aggiunge elementi all’interno della frase, si può ritenere che la complessità di una struttura linguistica si possa valutare in base alla quantità,cioè al numero di elementi in essa contenuti. Brown suddivide il ritmo di crescita morfosintattica in cinque stadi che vanno da una LME di 1,5 elementi in media (corrispondente ad una prevalenza di enunciati monorematici e telegrafici) ad una LME di 5,2 elementi in media (tipica delle strutture complesse). La LME rileva la crescita quantitativa, ma non coglie il livello qualitativo di una struttura frasale (se è completa e di che tipo). Due bambini, infatti, possono avere la stessa LME, ma due livelli grammaticali molto diversi sul piano qualitativo. Un esempio è il seguente: “questa macchina rotta qua”: bambino 1 (frase telegrafica) “la macchina è rotta”: bambino 2 (frase completa) Sembra, quindi, che la LMEp possa essere un buon indice nei primi 2-3 anni di età, al fine di rilevare l’esplosione morfologica e lessicale, ma diventa inadeguata ad età successive, quando il costrutto frasale del bambino si modifica sul piano qualitativo, discorsivo e narrativo e i parametri di valutazione devono essere diversi. Dai 4 anni in poila valutazione delle abilità cnversazionali deve far riferimento anche ad aspetti pragmatici di II livello, come ad esempio la coesione, il riferimento implicito, l’uso dei pronomi, dei significati impliciti ed espliciti,l’uso di giochi di parole, modi di dire e metafore che il fanciullo gradualmente ipara ad esprimere mediante leabilità discorsive e narrative. VI 6. LATE BLOOMERS E LATE TALKERS: INDIVIDUAZIONE DI CONDIZIONI DI RISCHIO PRIMA DEI 3 ANNI Come abbiamo visto, la maggiorparte dei bambini con sviluppo tipico intorno ai 24 mesi è in grado di formulare frasi con stile tlegrafico e possiede un lessico consistente che si assesta tra le 300 e le 600 parole. Questi passaggi importanti sul piano lessicale e grammaticale si osservano sono presenti nella maggiorparte dei bambini tra i 18 e i 24 mesi, ma non sempre in tutti. Alcuni bambini infatti a 2 anni hanno ancora un lessico scarso sia nel numero di parole conosciute che nel loro uso spontaneo (vocabolario espressivo ≤ al 10° centile) e non fanno combinazioni di due e più parole (Thal et al., 1997; Thal, 2000), non hanno ancora capacità combinatoriali. Gli studi longitudinali e retrospettivi hanno osservato due evoulzioni diverse tra quei bambini che a 24-30 mesi ancora hanno un vocabolario scarso e non fanno frasi e che quindi mostrano una “lentezza verbale”, una basata sul recupero successivo e l’altra sul consolidamento del’iniziale lentezza. Dato che la condizione iniziale di ritardo verbale non necessariamente evolve in un vero e proprio problema linguistico a 3-4 anni, al termine “late talkers”, “parlatori tardivi” è stato aggiunto quello di “late bloomers”, che riguarda i bambini che “sbocciano tardi" (Roberts et al., 1998), al fine di distinguere i bambini che recuperano spontaneamente l’iniziale lentezza dei 24 mesi (in genere entro i tre anni e mezzo) (late talkers), da quelli in cui le difficoltà iniziali non sono compensate naturalmente entro i tre/quattro anni (late bloomers). Anche altri autori come Chilosi et al. (1998) osservando l’evoluzione di 32 bambini con ritardo di linguaggio individuano tre diverse traiettorie evolutive: 1. bambini con recupero entro i 36-40 mesi; 2. bambini che recuperano entro i 4 anni; 3. bambini che non recuperano entro i 4 anni e che sviluppano un disturbo del linguaggio di diversa entità. I primi due gruppi di bambini (1 e 2) possono essere categorizzati come “Late bloomers” perché, pur se all’inizio lenti sul piano verbale il loro recupero entro i 4 anni fa pensare più ad un profilo rientrante sempre nella variabilità individuale. Il gruppo 3 potrebbero essere categorizzati come “Late talkers”perchè mantengono la fragilità verbale anche alla soglia dei 3-4 anni. I bambini sono definiti “parlatori tardivi” (“late talkers”) se, rispetto ai coetanei con sviluppo tipico, mostrano un ritardo nel raggiungimento delle prime tappe verbali, “esplosione del vocabolario e “prime frasi” che nel tempo però non viene compensato e si delinea alla soglia dei 3 – 4 anni in un profilo di ritardo con significato clinico. L’aspetto importante è capire in che cosa si differenziano questi due profili evolutivi, quali aspetti dobbiamo osservare che permettono precocemente di discriminarli. L’aspetto verbale sembra non essere “l’elemento criterio” dato che sia i bambini “late bloomers” che i “late talkers” presentano inizialmente una lentezza verbale intorno ai 24 mesi. Quali sono nei primi 24 mesi di età gli indicatori o indici predittivi, che correlano con le prime abilità verbali e permettono di ipotizzare l’evoluzione linguistica successiva e di discriminare tra i due profili di sviluppo? I dati empirici e di ricerca individuano i seguenti aspetti precoci come predittori del primo sviluppo verbale nel secondo anni di età: 1. Una buona comprensione; 2. L’uso ricco e compensatorio dei Gesti comunicativi: in particolare l’indicazione e combinazioni di gesti e parole. 3. Una buona coordinazione dell’Attenzione congiunta, dello sguardo e dei gesti comunicativi In genere i bambini Late bloomers a prognosi favorevole a 24 mesi hanno un profio caratterizzato da una buona comprensione verbale e un uso consistente di gesti comunicativi in attenzione congiunta e in interazione triadica. Si conferma che la produzione verbale non sembra un fattore discriminante a questa età In un’ottica di prevenzione primaria dei disturbi del linguaggio diventa importante l’osservazione e la valutazione di questi aspetti (prevalentemente non verbali) per individuare il prima possibile profili a rischio la cui lentezza verbale potrebbe essere già un campanello di allarme di un’evoluzione linguistica e cognitiva sfavorevole. Allo stesso modo, la difficoltà di rilevare andamenti a rischio nei primi 3 anni di vita è legata alla complessità e alla variabilità stessa dei processi di acquisizione nelle prime abilità verbali. Ed è proprio lo status dinamico delle competenze linguistiche che si stanno costruendo e quindi sempre in cambiamento e l’ampia variabilità individuale osservata tra i bambini nei primi due anni e mezzo di vita, che rende così difficile giungere ad identificare elementi prognostici sfavorevoli o meno e ad ipotizzare evoluzioni a rischio in un dato momento di sviluppo (Capobianco, 2017). L’intervento precoce durante i processi di acquisizione nei primi tre anni di vita è importante anche perché studi e dati clinici dimostrano un’alta comorbidità tra disturbi del linguaggio nei primi anni di vita e diversi problemi in età scolare: disturbi specifici di apprendimento, problemi comportamentali, disturbi emozionali, ritardi nella socializzazione (Caselli e Capirci, 2002). Chi si occupa di attività clinica sa bene che spesso (anche se non sempre) i bambini che fanno fatica ad esprimersi verbalmente e/o a comprendere bene il linguaggio possono avere anche un comportamento “provocatorio” o “oppositorio”, mostrarsi a volte aggressivi verso l'adulto e/o i coetanei o al contrario sviluppare una inibizione e un isolamento. Ciò è una conseguenza comprensibile se si pensa quanto la comunicazione e l’uso di una lingua siano fondamentali per mediare le relazioni sociali quotidiane. I genitori di bambini con ritardo del linguaggio spesso raccontano che il loro bambino non riesce ad esprimersi bene e reagisce sul piano motorio: comportamenti di rabbia su oggetti o persone, iperattività. Altri bambini possono reagire in modo diverso con un comportamento di inibizione, tendono a non interagire con i coetanei o con gli adulti, soprattutto non familiari, a causa del proprio disagio nella comunicazione. Capita, quindi, che il genitore all'inizio sia più preoccupato del comportamento che del problema di linguaggio. Diventa, quindi, importante aiutare al più presto il bambino a stimolare le sue capacità comunicativo-linguistiche anche per diminuire le conseguenze sul piano emotivo e comportamentale. Di qui, l’importanza di uno screening precoce ne primi 24 mesi mediante una valutazione completa con strumenti che permettano di valutare il profilo di sviluppo rispetto agli aspetti espressivi verbali, gestali e comprensione, osservati sia nell’inetrazione diadica con i cargivers nel contesto naturale, sia mediante prove psicodiagnostiche specifiche.

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