Appunti di Diritto Privato PDF
Document Details
Uploaded by IrreplaceableNitrogen5126
Tags
Summary
Questi appunti riguardano il Diritto Privato, in particolare l'ordinamento giuridico, la sua struttura e le norme giuridiche. Vengono discussi vari concetti chiave come il diritto soggettivo e oggettivo, la pluralità degli ordinamenti giuridici, gli ordinamenti sovranazionali e il diritto internazionale. Gli esempi illustrano l'applicazione pratica di tali concetti.
Full Transcript
DIRITTO PRIVATO CAPITOLO 1- ORDINAMENTO GIURIDICO (fatto tutto) L’ordinamento giuridico L’ordinamento giuridico è costituito dal complesso delle norme e di istituzioni, mediante le quali viene regolato e diretto lo svolgimento della vita sociale e dei rapporti tra i singoli individui. La cooperazio...
DIRITTO PRIVATO CAPITOLO 1- ORDINAMENTO GIURIDICO (fatto tutto) L’ordinamento giuridico L’ordinamento giuridico è costituito dal complesso delle norme e di istituzioni, mediante le quali viene regolato e diretto lo svolgimento della vita sociale e dei rapporti tra i singoli individui. La cooperazione tra gli uomini rende realizzabili risultati che sarebbero altrimenti irraggiungibili per il singolo e assicura il soddisfacimento dei bisogni individuali e collettivi. Non qualsiasi forma di aggregazione umana dà però vita a una societas, perché per tal fine occorrono 3 condizioni: a) che l’agire dei consociati sia disciplinato da regole di condotta che governino il comportamento che ogni membro del gruppo deve osservare per assicurare un’ordinata e pacifica convivenza; b) che queste regole siano decise da appositi organi ai quali tale compito sia affidato in base a precise regole di struttura; c) che tanto le regole di condotta quanto quelle di struttura vengano effettivamente osservate (principio di effettività). Il sistema di regole, modelli e schemi mediante i quali è organizzata una collettività e viene disciplinato e diretto lo svolgimento lo svolgimento della vita sociale costituisce l’ordinamento giuridico. Quindi la finalità dell’ordinamento giuridico è quella di “ordinare” la realtà sociale. L’ordinamento di una collettività costituisce dunque il suo diritto in senso oggettivo, quale sistema delle regole che organizzano la vita sociale; altro è il concetto di diritto soggettivo, da intendersi quale situazione giuridica appartenente ad un determinato individuo. L’ordinamento giuridico dello stato Gli uomini danno vita a organizzazioni di vario tipo per il perseguimento di fini di differente natura (pluralità degli ordinamenti giuridici): si pensi alle chiese o ai partiti politici, ai sindacati o alle organizzazioni culturali. Tra tutte le forme di collettività, importanza preminente ha sempre avuto la società politica: quella che si propone finalità di ordine generale, essendo volta alla soddisfazione non dei vari bisogni dei consociati, bensì di quello più importante condizionandone il conseguimento, e che consiste nell’assicurare i presupposti necessari affinché le varie attività promosse dai bisogni stessi possano svolgersi in modo ordinato e pacifico. Naturalmente le società politiche hanno assunto forme diverse nella storia. Oggi è centrale la nozione di Stato, che s’identifica con una certa comunità di individui stanziata in un certo territorio ed organizzata in base ad un certo sistema di regole, ossia un ordinamento giuridico. Un ordinamento giuridico si dice originario quando la sua organizzazione non è soggetta ad un controllo di validità da parte di un’altra organizzazione (superiorem non recognoscit). Nella prospettiva della pluralità degli ordinamenti giuridici va valutata la soggezione necessaria di ciascun individuo alle regole di uno o più ordinamenti. (si pensi al cittadino di uno Stato straniero che si trovi in Italia e viceversa; ovvero al cittadino di religione cattolica, sottoposto, in quanto cittadino, alle leggi della Repubblica Italiana, e in quanto fedele, all’ordinamento canonico). Gli ordinamenti sovranazionali, l’Unione Europea Sotto altro profilo, interessa la teoria dell’ordinamento giuridico anche la partecipazione dell’Italia alla comunità internazionale, soprattutto alla luce dell’assetto dei rapporti internazionali succeduto alla seconda guerra mondiale, ispirato ad una più intensa collaborazione fra gli Stati per il mantenimento della pace e la diffusione dello sviluppo economico. : l’art.10 della C enuncia il principio per cui “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. Il diritto internazionale - insieme di regole che disciplinano i rapporti fra Stati sovrani - è un diritto che ha fonte essenzialmente consuetudinaria, trae origine dalla prassi delle relazioni tra gli Stati, o ha fonte pattizia, ossia nasce da accordi bilaterali o plurilaterali che ciascuno Stato stringe con altri e che si impegna a rispettare. La repubblica italiana è anche parte di organizzazioni internazionali. L’art. 11 della Costituzione afferma che l’Italia: a) consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia con gli altri Stati. b) promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Il principio è di particolare importanza, in quanto rende ammissibile la sottoposizione dello Stato alle regole di un’organizzazione sovranazionale purché gli altri Stati aderenti all’ordinamento si sottopongano ad identiche limitazioni della propria sovranità. Il processo di “INTEGRAZIONE EUROPEA” è stato lungo e difficoltoso, partendo dai tre Trattati istitutivi di organismi CECA, CEE, Euratom (volti principalmente a definire un’area di libera circolazione delle merci e a coordinare alcune attività economiche), ricordiamo il Trattato di Roma del 1957 (Convenzione Istitutiva della Comunità Economica Europea), il Trattato di Maastricht del 1992 (Istituzione dell’Unione Europea, fissazione di regole politiche e parametri economici per l’adesione all’Unione, introduzione del concetto di Cittadinanza dell’Unione), il Trattato di Amsterdam del 1997; il Trattato di Nizza del 2001 (ulteriori modificazioni e Carta di Nizza per i diritti fondamentali), il Trattato Istitutivo di una Costituzione per l’Europa a Roma nel 2004 e infine il Trattato di Lisbona del 2007 (ha modificato il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato istitutivo della Comunità Europea). La norma giuridica L’ordinamento di una collettività è costituito da un sistema di regole. Ciascuna di queste regole, proprio perché concorre a disciplinare la vita organizzata della comunità, si chiama norma; e poiché il sistema di regole da cui è assicurato l’ordine di una società rappresenta il diritto di quella società, ciascuna di tali norme si dice giuridica (dotata di autorità). La norma è espressione della volontà di un organo investito del potere di elaborare regole destinate ad entrare a far parte dell’ordinamento giuridico e viene consacrata in un documento normativo. In tal caso occorre non confondere la “formula” (il testo) della disposizione, con il “precetto” (il significato) che a quel testo viene attribuito dall’interprete (attività ermeneutica). La norma giuridica non va mai confusa con la norma morale, nemmeno quando l’una e l’altra abbiano identico contenuto. Difatti, mentre ciascuna regola morale è assoluta, nel senso che trova solo nel suo contenuto la propria validità, la regola giuridica deriva la propria forza vincolante dal fatto di essere prevista da un atto dotato di autorità nell’ambito dell’organizzazione di una collettività, cosicché anche quando disciplina l’azione del singolo essa si presenta come eteronoma, cioè imposta al singolo da altri, da una autorità a lui esterna capace di coercizione. I fatti produttivi di norme giuridiche si chiamano “fonti”. Di solito la norma è espressione della volontà di un organo investito del potere di elaborare regole destinate ad entrare a far parte dell’ordinamento giuridico e viene consacrata in un documento normativo (una carta costituzionale, una legge, un regolamento ecc.). In tal caso occorre non confondere la formulazione concreta dell’atto di esercizio del potere normativo, ossia il testo, nel caso di una disposizione normativa scritta, con il « precetto », ossia il significato di quel testo; l’individuazione del significato del testo normativo, e dunque del precetto, è il risultato di un’operazione di interpretazione del testo medesimo Non bisogna poi neanche confondere il concetto di “norma giuridica” con quello di “legge”. Per un verso infatti, la legge è un atto o documento normativo, che contiene norme giuridiche, e che quindi sta con queste in rapporto da contenente a contenuto; per altro verso, accanto a norme aventi “forza di legge”, ogni ordinamento conosce tante altre norme giuridiche frutto di altri atti normativi (regolamenti, ordinanze, consuetudini...); per altro verso ancora, una medesima legge può contenere molte norme, ma una norma può anche risultare soltanto dal “combinato disposto” di più disposizioni legislative, ciascuna delle quali può regolare anche un solo aspetto del problema complesso. Diritto positivo e diritto naturale. Il complesso delle norme da cui è costituito ciascun ordinamento giuridico rappresenta il “diritto positivo” (ius in civitate positum) di quella società. Nel corso della storia dell’uomo è sempre però stata presente l’idea che esista un diritto naturale, talvolta inteso come matrice dei singoli diritti positivi, talvolta come criterio di valutazione critica dei concreti ordinamenti, talvolta raffigurato come un complesso di principi eterni ed universali (giusnaturalismo). L’esigenza che il richiamo al diritto naturale cerca di soddisfare è l’aspirazione a trovare un fondamento obiettivo e universale al diritto positivo che elimini il rischio di arbitrarietà del potere (Hobbes, Locke). D’altra parte, il diritto naturale non riesce a trovare un fondamento obiettivo e univoco; infatti, la storia dimostra che nel corso dei secoli il contenuto del diritto “di natura” è andato mutando (es. schiavitù). Tuttavia, la configurazione di un diritto sovraordinato a quello positivo costituisce un costante vincolo al legislatore, perché tenga conto della cultura e dei valori fondamentali della collettività e dei singoli ai quali indirizza i suoi comandi e soprattutto costituisce lo strumento per assicurare la tutela di beni e interessi essenziali riferibili alla persona umana. -Infatti il diritto è un sistema di regole per la soluzione di conflitti fra gli uomini, attraverso appunto le norme giuridiche. Il concetto di diritto non si identifica con la giustizia, intesa invece come sistema di valori, soggettivamente e individualmente concepiti come criteri che dovrebbero appunto guidare alla soluzione dei conflitti. Il diritto non è l’unico sistema di regole, ci sono vari ambiti secondo regole non giuridiche, questo sistemi di regole a volte coincidono, come uccidere o rubare, peccato per la religione e reato per diritto, ma questo non avviene sempre. Come, ad esempio, il matrimonio e indissolubile per la religione cattolica ma si può sciogliere secondo la legge sul divorzio del 1970. Esempio 1 Tizio ruba la bicicletta di proprietà di Caio e la posteggia nel proprio cortile condominiale. Caio s’infiltra nel cortile, recupera la bicicletta e la riporta a casa sua. Tizio, spavaldo, fa causa a Caio, chiedendo al giudice di condannare quest’ultimo a restituirgli la bici. Deve il giudice ordinare la restituzione? (uno direbbe giustizia è stata fatta, MA, se il ladro fa causa al proprietario può ottenere la restituzione della bici, perché il ladro può denunciare il fatto che Caio ha cercato di riprendersi la bici infiltrandosi nel cortile). Esempio 2 Nel 2012 Tizio presta 100.000 euro all’amico Caio, sapendo che questi versa in gravi difficoltà economiche. Tizio e Caio concordano che quest’ultimo restituirà al primo la somma ricevuta nel 2019. Tra il 2012 e il 2019 si verifica un’inflazione del 7 per cento, sicché per eguagliare il valore dei 100.000 euro di allora, occorrono, oggi, 107.000 euro. Caio deve versare 100.000 euro o 107.000 euro? (Caio deve comunque dare 100.000, perché vince il principio nominalistico, devo dare la stessa somma nominale che mi hai mutuato, poi ci saranno gli interessi). Quindi anche qua il diritto non coincide con quello che è il senso comune. Le regole che nel loro insieme formano l’ordinamento giuridico son regole di diritto, che sono predeterminate. LA STRUTTURA DELLA NORMA GIURIDICA Le norme sono enunciati prescrittivi che si articolano nella formulazione di una ipotesi di fatto, al cui verificarsi la norma ricollega una determinata conseguenza giuridica, che può consistere, esemplificando, nell’acquisto di un diritto (Art. 1158 c.c -Usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari -“La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtu' del possesso continuato per venti anni”), nell’insorgenza di una obbligazione (Art. 2043 c.c. -Risarcimento per fatto illecito- “Qualunque fatto, doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”), nella estinzione o modificazione di un diritto, nell’applicazione di una conseguenza afflittiva. La norma si struttura quindi come un periodo ipotetico e si compone della previsione di un accadimento futuro ed eventuale e dell’affermazione di una conseguenza giuridica che deriva dal verificarsi dell’evento. La parte della norma che descrive l’evento che intende regolare si chiama fattispecie, che si divide in: a) fattispecie astratta: fatto o complesso di fatti non realmente accaduti ma descritti ipoteticamente da una norma (es. descrizione di un reato che indica tutte le circostanze che devono concorrere). Si risolve in una pura operazione intellettuale di interpretazione del testo normativo, volta ad individuare i presupposti di fatto dell’applicazione di determinate regole. Ad es. ogni descrizione di un reato indica tutte le circostanze che devono concorrere affinché il responsabile divenga punibile, ogni descrizione di un contratto elenca gli elementi essenziali da cui di- pende la rilevanza giuridica dell’accordo tra le parti contraenti. b) fattispecie concreta: fatto o complesso di fatti realmente verificatisi, rispetto ai quali la norma descrive gli effetti giuridici che ne derivano. Consiste nell’accertamento del fatto storico, onde porre a confronto tale fatto con l’ipotesi astratta prevista e regolata dalla legge. La fattispecie può consistere in un unico fatto e si chiama allora fattispecie semplice. Se invece la fattispecie è costituita da una pluralità di fatti giuridici essa si dice complessa (l’effetto ricollegato dalla norma alla fattispecie complessa non si verifica se non quando si siano realizzati tutti i fatti giuridici da cui essa è costituita). La fattispecie è poi seguita dall’effetto giuridico, che è appunto la conseguenza che la legge ricollega al verificarsi della fattispecie. (es sanzione—Es Art 2043).Il complesso di norme che regolano la medesima fattispecie costituisce un istituto giuridico. La fattispecie può consistere in un unico fatto (per es., morte di una persona, da cui deriva l’apertura della sua successione eredita- ria), e si chiama allora fattispecie semplice. Se, invece, la fattispecie è costituita da una pluralità di fatti giuridici (per es., per alienare i beni di un incapace occorrono l’autorizzazione del giudice e il consenso del rappresentante legale; per il matrimonio è necessario il consenso dei nubendi e la dichiarazione dell’ufficiale dello stato civile), essa si dice complessa. L’effetto ricollegato dalla norma alla fattispecie complessa non si verifica se non quando si siano realizzati tutti i fatti “giuridici” da cui essa è costituita. ORDINAMENTO: insieme (più o meno) coerente e completo delle norme che regolano lo svolgimento della vita di un determinato stato. ISTITUTO GIURIDICO: Insieme delle norme che disciplinano un settore dell’ordinamento unitario. LE CARATTERISTICHE DELLE NORME GIURIDICHE Non tutte le proposizioni però sono norme giuridiche, perché hanno delle caratteristiche: 1) PRESCRITTIVA (NON DESCRITTIVA): non mira a informare, ma a modificare il comportamento dei suoi destinatari (non mancano, tuttavia, alcune definizioni. Es art 1321 cc (definizione di contratto) “Il contratto è l’accordo di due o più parti per costruire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Es art 3 c.c (articolo sull’uguaglianza): “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”. 2) COERCITIVA: chi non la osserva viene sanzionato. Si parla di sanzione afflittiva se necessario con l’utilizzo della forza pubblica; ma in realtà possono anche essere prese misure preventive, di vigilanza e di dissuasione, e perfino con l’ausilio di norme che si limitano ad affermazioni di principio, svolgendo un’importante funzione esemplare. Di recente sono frequenti anche norme che stabiliscono incentivi a favore dei soggetti che si vengano a trovare in particolari situazioni. Poi, la sanzione può operare in modo diretto, come avviene per la maggior parte nel diritto privato o indiretto. 3) GENERALE (NON INDIVIDUALE): si rivolge a tutti i membri della collettività o a categorie di soggetti. Una regola generale se vale per tutti i cittadini. Una regola individuale vale invece per qualcuno. 4) ASTRATTA (NON CONCRETA): non mira a disciplinare un singolo caso, ma riguarda una serie ipotetica di fatti simili che potrebbero verificarsi. In realtà il diritto si occupa anche di regole individuali e concrete che si rivolgono a soggetti determinati e in casi specifici e concreti. Basti pensare alle regole di un contratto e le regole che si ritrovano nella sentenza di un giudice. 5) PROVENIENZA DA UN’AUTORITA’: autorità alla quale i cittadini riconoscono il potere di fare le regole e porre le norme. Per lo più l’autorità è quella statutale, attraverso gli organi del potere legislativo (parlamento e eccezionalmente il governo), ma ci possono essere delle autorità che pongono regole infrastatuali (leggi regionali, provvedimenti normativi adottati da province, comuni e regioni), o ancora autorità sovranazionali (UE e i suoi regolamenti). L’aspetto più importante però è che i consociati ne riconosco il potere. Per caratterizzare una norma avente valore di legge, di fondamentale importanza è anche diventato il principio di eguaglianza (art 3 cost). Dal principio di eguaglianza va tenuto distinto il principio per cui i pubblici uffici devono rispettare il criterio della imparzialità (art. 97 Cost.), ossia l’obbligo di applicare le leggi in modo eguale da parte dei pubblici uffici. Nell’art. 3 della Cost. è invece codificato il vero principio di eguaglianza, che ha due profili: a) il primo è di carattere formale (art. 3.1) ed importa che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni sociali e personali”. b) il secondo è di carattere sostanziale (art. 3.2) ed impegna la Repubblica a” rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Si tratta di un’indicazione programmatica rivolta agli organi dello Stato, sollecitati ad assumere misure normative idonee ad attenuare le differenze di fatto che discriminano le condizioni di vita dei singoli. Il controllo del rispetto del principio di eguaglianza è affidato alla Corte Costituzionale, la quale può dichiarare l’illegittimità di una norma avente forza di legge quando ritenga “irragionevole” o “incongruente” o “contraddittoria” una differenziazione normativa di situazioni che, in realtà, siano omogenee. A parità di condizioni deve corrispondere un trattamento eguale ed a condizioni diverse un trattamento differenziato. Ci possono essere regole giuridiche individuali, come un contratto tra due persone, sono regole giuridiche individuali e concrete ma non sono quelli che analizzeremo noi. Oppure la decisione di un giudice per risolvere un caso specifico. Le regole della sentenza del giudice sono individuali e concrete. Le regole che studieremo sono regole che valgono per tutti i cittadini parte dell’ordinamento giuridico italiano--> CIVIL LOW--> sistemi dell’Europa continentale. I paesi anglosassoni, come stati uniti, hanno un sistema basato sulla COMMON LOW--> lì c'è un principio per cui se un giudice decide con una sentenza o una controversia, tutti i giudici successivi che affronteranno quella stessa controversia dovranno decidere nello stesso modo. È il principio del precedente vincolante, dello stare decisis, cioè attenersi alle cose giudicate. Questo è un principio che noi non abbiamo almeno non è formalizzato perché come abbiamo detto il giudice risolve solo la singola fattispecie, il singolo caso concreto. Poi è ovvio che se la sentenza arriva dalla Corte di Cassazione, che è il massimo organo giurisdizionale, ha un'autorevolezza tale che può influire anche sui giudizi successivi, ma tutto dipende dalla discrezionalità del singolo giudice. Queste caratteristiche distinguono le regole del diritto da altre regole, da altri sistemi giuridici. La sanzione. Secondo un’antica concezione le norme giuridiche si caratterizzerebbero per il fatto di essere suscettibili di attuazione forzata (coercizione) o sarebbero comunque garantite dalla predisposizione, per l’ipotesi di trasgressione, della comminatoria di una conseguenza in danno del trasgressore, di una « sanzione », la cui minaccia favorirebbe l’osservanza spontanea della norma, attraverso una forma di coazione psicologica volta a dissuadere dal tenere comportamenti antigiuridici. Peraltro la difesa dell’ordinamento non viene perseguita soltanto attraverso misure repressive o restaurative di una situazione preesistente illegittimamente violata, ma anche mediante misure preventive, di vigilanza e di dissuasione, e perfino con l’ausilio di norme che si limitano ad affermazioni di principio (« Il figlio deve rispettare i genitori »: art. 315-bis c.c.), che svolgono una funzione « esemplare », indipendentemente dalla previsione di qualsiasi sanzione. Sussistono poi norme che stabiliscono « incentivi » a favore dei soggetti che si vengano a trovare in particolari situazioni (ad es., a favore delle imprese che intraprendono nuove attività in zone considerate depresse o sottosviluppate). La sanzione può operare in modo diretto, realizzando il risultato materiale che la legge prescrive (per es. viene distrutto a spese dell’obbligato ciò che è stato fatto in violazione di un obbligo, art. 2933 c.c.) o in modo indiretto: in questo caso l’ordinamento si avvale di altri mezzi per ottenere l’osservanza della norma o per reagire alla sua violazione. Per esempio, se il cantante che ho scritturato per un concerto rifiuta di esibirsi, è chiaro che non è possibile costringerlo materialmente a farlo: ciò che io posso ottenere dal giudice è che l’obbligato inadempiente sia condannato a risarcirmi i danni che ho subìto per effetto della sua inadempienza. Il principio costituzionale di eguaglianza. Particolarmente importante nella formulazione della norma giuridica è l’esigenza del rispetto del c.d. «principio di eguaglianza», che è solennemente proclamato da una tra le più importanti disposizioni della nostra Carta costituzionale (Art. 3). Dal principio di eguaglianza va tenuto distinto l’obbligo di applicare le leggi in modo eguale, senza arbitrarie differenziazioni di trattamento a favore o a danno dei singoli interessati (a questo significato va riportata l’affermazione che si legge nelle aule dei Tribunali: « La legge è uguale per tutti »). Nell’art. 3 Cost. è solennemente enunciato il principio di eguaglianza, che ha peraltro due profili: a) il primo è di carattere formale (art. 3, comma 1) ed importa che « tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali ». La norma fa esplicito riferimento ai soli « cittadini »; la Corte costituzionale ha però precisato che il principio di eguaglianza deve essere rispettato anche nei confronti degli stranieri, quanto meno per quanto riguarda i diritti fondamentali della persona. b) il secondo è di carattere sostanziale (art. 3, comma 2) ed impegna la Repubblica a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei citta- dini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese ». Si tratta di un’indicazione programmatica rivolta agli organi dello Stato, sollecitati ad assumere misure normative, ma anche amministrative e di politica economica e sociale idonee ad attenuare le differenze di fatto, economiche e sociali, che in concreto discriminano le condizioni di vita dei singoli. L’equità La norma giuridica, quindi, contiene la previsione astratta di una situazione tipo. L'operazione (spesso del giudice) di riconduzione del caso concreto a quello generale previsto dalla norma giuridica si chiama sussunzione. In qualche ipotesi al giudicante è consentito decidere sulla base di valori di giustizia condivisi dalla collettività sociale, che appaiano più adatti a regolare il caso concreto. Può però capitare che l’applicazione del comando al caso concreto dia luogo a conseguenze che urtano contro il sentimento di giustizia. L’equità è stata, pertanto, definita la giustizia del caso singolo, ma il ricorso a questa come criterio decisionale è però consentito solo in casi eccezionali. L’ordinamento giuridico spesso ritiene pericoloso affidarsi alla valutazione soggettiva del giudice e preferisce che i singoli possano prevedere esattamente quali saranno le conseguenze dei loro comportamenti. Conseguentemente, la legge stabilisce che il giudice deve seguire le norme del diritto e può discostarsene soltanto nel caso in cui la stessa legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità, il che avviene nelle cause di minor valore, attribuite alla competenza del Giudice di Pace. Dall’equità come criterio decisorio (caso singolo) va distinta l’equità ‘integrativa’ che si riferisce invece ai casi in cui la legge prevede che il giudice provveda ad integrare o determinare ‘secondo equità’ gli elementi di una fattispecie. CAPITOLO 2- IL DIRITTO PRIVATO E LE SUE FONTI (fatto tutto) Diritto pubblico e diritto privato Il diritto si distingue in due grandi branche: DIRITTO PUBBLICO, disciplina l’organizzazione dello Stato e degli altri enti pubblici, regola la loro azione nell’interesse della collettività, ed impone ai singoli il comportamento cui sono tenuti per rispettare la vita associata. Prevede disparità, soggezione e vincolo del pubblico interesse e si articola in COSTITUZIONALE (studia la costituzione e si occupa di analizzare le libertà e i diritti fondamentali dei cittadini, di regolare il funzionamento degli apparati dello stato e fra i vari poteri); PROCESSUALE (disciplina come si svolge il processo); AMMINISTRATIVO (disciplina le attività delle pubbliche amministrazioni quando entrano in contatto con i privati in una posizione di superiorità e spiega come vengono prodotti gli atti amministrativi); TRIBUTARIO e PENALE (stabilire quali sono fattispecie devianti per il mantenimento dell’interesse collettivo e li qualifica come reati). DIRITTO PRIVATO, invece, si limita a disciplinare le relazioni interindividuali, sia dei singoli che degli enti privati, non affidandone la cura ad organi pubblici, ma lasciando alla iniziativa personale anche l’attuazione delle norme. Anche il diritto privato è parte dell’ordinamento ma si tratta pur sempre di disposizioni in base a cui il singolo opera su un piano di uguaglianza con altri individui, non trovandosi in situazione di soggezione di fronte ad un potere pubblico supremo. Prevede parità e autonomia e si divide in CIVILE (studio delle obbligazioni, dei contratti e dei diritti reali); COMMERCIALE (regola l’esercizio dell’attività d’impresa in forma individuale o collettiva); INDUSTRIALE (studia i brevetti e le invenzioni industriali) e LAVORO (studia il rapporto di lavoro subordinato o autonomo, e il contratto di lavoro). La linea di demarcazione tra diritto pubblico e privato è variabile e incerta: lo Stato può avocare a sé la realizzazione di funzioni un tempo lasciate ai privati, enti pubblici possono svolgere attività di diritto privato in concorrenza con aziende private, soggetti privati possono essere concessionari di servizi pubblici, ed un medesimo fatto può venire disciplinato sia da norme di diritto privato che da norme di diritto pubblico. Distinzione tra norme cogenti e norme derogabili. Le norme di diritto privato si distinguono in: -derogabili (o dispositive): quelle norme la cui applicazione può essere evitata mediante un accordo degli interessati. -inderogabili (o cogenti): quelle norme la cui applicazione è imposta dall’ordinamento, prescindendo dalla volontà dei singoli, il cui carattere risulta spesso direttamente dalla formulazione. (es: art. 147 c.c. “il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole”); -suppletive: sono destinate a trovare applicazione solo quando i soggetti privati non abbiano provveduto a disciplinare un determinato aspetto dei rapporti tra loro: una lacuna, cui la legge sopperisce intervenendo a disciplinare ciò che i privati hanno lasciato privo di regolamentazione. (es: art. 1182 c.c- Luogo dell'adempimento- “se il luogo nel quale la prestazione deve essere eseguita non e' determinato dalla convenzione o dagli usi e non puo' desumersi dalla natura della prestazione o da altre circostanze, si osservano le norme che seguono”). Sebbene le norme di diritto pubblico siano quasi sempre cogenti, e quelle di diritto privato per la maggior parte dispositive, possono anche aversi norme di diritto pubblico suscettibili di deroga o norme di diritto privato cogenti (che richiedono comunque l’iniziativa del singolo). Con la norma dispositiva il legislatore, ai fini della certezza del diritto, pone un criterio di disciplina nel caso in cui la volontà dei singoli non si è manifestata, ossia enuncia una regola corrispondente ad un modello abituale di regolamentazione di quel tipo di operazione economica, che tuttavia le parti possono rendere inoperante rispetto alla disciplina del loro rapporto. Fonti delle norme giuridiche Per fonti legali di “produzione” delle norme giuridiche si intendono gli atti e i fatti idonei a produrre diritto. (Art 70 ss cc che disciplinano come si giunge all’emanazione di una legge nel nostro parlamento). Un atto è un’esplicazione dell’attività di un determinato organo o autorità munito del potere di produrre norme (es. una legge); ma la norma può anche nascere da un semplice fatto (es. una consuetudine). Dalle fonti di produzione si distinguono le fonti di “cognizione”, ossia i documenti e le pubblicazioni ufficiali da cui si può prendere conoscenza del testo di un atto normativo. Rispetto a ciascuna fonte, quando si tratti di un “atto”, si può distinguere: a) l’autorità investita del potere di emanarlo (il Parlamento, il Governo); b) il procedimento formativo dell’atto (es: il procedimento di emanazione di una legge cost.); c) il documento normativo (la legge considerata nel suo testo); d) i precetti ricavabili dal documento. E’ chiaro che ogni ordinamento deve stabilire ante omnia le norme sulla produzione giuridica, ossia a quali autorità, a quali organi, e con quali procedure, sia affidato il potere di emanare norme giuridiche, e con quali valori gerarchici. Spesso, infatti, un ordinamento contempla una pluralità di fonti generatrici di norme giuridiche; pertanto, si rende indispensabile regolarne il rapporto gerarchico. La gerarchia delle fonti esprime perciò una regola sulla produzione giuridica, che identifica la norma applicabile in caso di contrasto tra norme provenienti da fonti diverse. Sistema delle fonti del diritto Prima del codice civile troviamo un preambolo, le preleggi (o disposizioni sulla legge in generale). Nell’articolo 1 c’è l’indicazione delle fonti, che risente del periodo fascista a cui risale; infatti, dice che sono fonti del diritto: -le leggi--> fonte scritta -i regolamenti--> fonte scritta -le norme corporative-> sono quello nome del periodo fascista che è stato abrogato dopo la guerra. (non ci sono piu). -gli usi--> sono fonti non scritte, comportamenti ripetuti nel tempo che vengono percepiti come vincolanti. Gli usi sono fonte del diritto solo quando questa ripetizione viene perpetrata dalla convinzione che sia obbligatoria. Un elenco delle fonti del diritto si trovano nell’articolo 1 delle preleggi, che dice che sono fonti del diritto: 1) FONTI DI RANGO COSTITUZIONALE: — Principi supremi dell’ordinamento costituzionale, non modificabili da leggi di revisione costituzionale (da cui discendono i diritti inviolabili, godono di “super-legalità” costituzionale); — Costituzione e consuetudini costituzionali (comportamenti ripetuti nel tempo dagli organi costituzionali e dai soggetti politici in assenza di regole scritte); — Leggi di revisione costituzionale (art. 138 Cost: necessitano di una doppia approvazione da parte di entrambe le camere con i 2/3 dei consensi.) e altre leggi costituzionali (es., le leggi che si limitano a derogare una norma costituzionale senza modificarla). Nessuna delle fonti sotto ordinate può andare contro alla costituzione, ma anzi se una legge è deputata contraria ai principi della costituzione, si può fare un processo davanti alla corte costituzionale che la dichiara incostituzionale. Per il diritto privato, vige l’articolo 134 ss, perché quando sorge controversia e il giudice si trova ad applicare una norma di cui dubita la costituzionalità, è il giudice stesso che la riporta alla corte costituzionale; quindi, non è il privato che può rivolgersi direttamente alla corte. 2) FONTI COMUNITARIE — Regolamenti comunitari: atti aventi portata generale, obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno Stato membro. Nel caso di contrasto tra un regolamento e una legge interna, il giudice italiano deve disapplicare la norma interna e applicare la norma regolamentare; — Direttive: si rivolgono agli organi legislativi degli Stati membri e hanno lo scopo di armonizzare le legislazioni interne dei singoli Paesi. A differenza dei regolamenti, le direttive non sono immediatamente efficaci nell’ordinamento dei singoli Stati, ma devono essere “attuate” mediante l’emanazione di apposite leggi dei rispettivi Parlamenti. Uno stato che si renda inadempiente all’obbligo di attuare una direttiva entro il termine previsto dalla stessa può essere sanzionato dagli organi comunitari; — Decisioni: atti obbligatori in tutti i loro elementi per i destinatari da essi designati. Hanno lo stesso carattere vincolante del regolamento e della direttiva, ma si indirizzano a uno o più soggetti individuati); 3) FONTI DI RANGO PRIMARIO E SUBPRIMARIO — Leggi ordinarie dello Stato: approvate dal Parlamento, può modificare ed abrogare qualsiasi norma non avente valore di legge, mentre può essere modificata e abrogata solo da una legge successiva -> la legge ordinaria può essere abrogata con referendum popolare — Decreti-legge e decreti legislativi: equiparati alle leggi ordinarie, si trattano di provvedimenti aventi forza di legge emanati dal Governo e non dal Parlamento, in virtù o di una legge delega del Parlamento (art. 76 Cost.), oppure in presenza di casi straordinari di urgenza, ma è necessario che il decreto del Governo sia convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni oppure perde efficacia sin dall’inizio (art. 77 Cost.); — Leggi regionali e delle province autonome: oggi il criterio fondamentale segue l’art 117 Cost, dove i rapporti tra legge statale e regionale non è più quello della gerarchia, bensì della competenza, in quanto sono stabiliti distinti ambiti di operatività della legislazione statale e regionale. Il principio di gerarchia torna ad operare nelle materie di legislazione concorrente, nei qual casi spetta allo Stato la funzione di stabilire i principi fondamentali. 4) FONTI DI RANGO SECONDARIO — regolamenti governativi (emanati dal Governo, ministri e altre autorità amministrative anche non statali come le autorità indipendenti); — regolamenti ministeriali e di altre autorità; — statuti degli enti locali; — regolamenti degli enti locali; — statuti degli enti minori; — ordinanze. I regolamenti sono fonti secondarie, sottordine alla legge, e possono essere emanati nell’ambito di apposite prescrizioni di legge. Possono riguardare le materie più varie e regolano specifiche materie in forza di una delega o un’autorizzazione contenuta in una legge, che può fare rinvio per completare la disciplina a successivi regolamenti. 5) USI NORMATIVI Si tratta di regole di diritto non scritto, che si trovano nell’art 8 delle preleggi, che sostiene che nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati. Ci sono 3 tipi di usi: -usi praeter legem, operano al di là della legge, relativamente a materie non disciplinate -usi secundum legem, operano in accordo con la legge in quanto ad esse la legge fa rinvio -usi contra legem operano contro la legge (non sono ovviamente ammesse). Si tratta di usi normativi, osservati perché ritenuti vincolanti. Diversi da questi usi sono quelli contrattuali o negoziali, che invece sono solo delle pratiche negoziali diffuse. Questi usi si ritrovano in alcune normi del codice, es art 1340 (clausole d’uso), che sostiene che le clausole d’uso si ritengono inserite nel contratto se non risulta che sono state volute dalle parti. Altro esempio è l’art. 1368 (pratiche generali interpretative) in materia di interpretazione di contratti, dice che le clausole ambigue si interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso. CODICE CIVILE Speciale rilievo tra tutte le leggi ordinarie dello stato va riconosciuto a quel tipo di leggi che vengono definiti “codici”. Il codice viene individuato come una legge del tutto nuova, che si caratterizza per le note della: -organicità (volto a disciplinare un intero settore dell’esperienza giuridica); -sistematicità (coordinamento logico del materiale normativo); -universalità ed uguaglianza (la disciplina del codice si rivolge in egual modo a tutti i consociati, svolgendo una funzione unificatrice degli statuti giuridici delle diverse classi sociali); -abrogazione di tutto il diritto precedente e l’accentramento della disciplina (univocità delle soluzioni e facilità del reperimento e consultazione del materiale normativo). Il primo codice civile fu il Codde napoelon del 1804, seguito poi dal codice austriaco del 1811, italiano del 1865, fino ad arrivare al Bgb del 1900. Il nostro codice civile risale al 1942, si compone di 2969 articoli, con vari bis e ter, ossia interventi normativi in cui alcune parti sono state aggiunte o eliminate. Il codice nasce grazie a giuristi di alto livello, che spiega come un codice nato in un contesto così particolare sia ancora in vigore. E’ strutturato in 6 libri: -1° dedicato alle persone e alla famiglia; -2° dedicato alle successioni mortis causa; -3° dedicato alla proprietà e ai diritti reali; -4° dedicato alla obbligazione e al contratto; -5° dedicato all’impresa e al lavoro; -6° dedicato a norme di vario tipo; I Codici sono soggetti anch’essi al controllo di legittimità della Corte costituzionale e possono essere sempre modificati o, in tutto o in parte abrogati, con leggi ordinarie successive; spesso le modifiche vengono apportate con la tecnica della “Novella”, ossia sostituendo direttamente il testo di un articolo, ferma la numerazione originaria, ovvero aggiungendo articoli nuovi. Questo codice civile (civil low) soppianta il precedente codice civile del 1865, modifica non indolore. Tra le fonti del diritto non compare la pronuncia del giudice, cosa che invece è diversa nei paesi anglosassoni (common-law): il giudice non detta una regola individuale ma pone una regola generale astratta da applicare successivamente. La sentenza qui è una fonte del diritto e tutti i successivi giudici si baseranno anche sulle precedenti sentenze. CAPITOLO 3- EFFICACIA TEMPORALE DELLE LEGGI. (fatto tutto) Entrata in vigore della legge Per l’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi si richiede oltre all’approvazione da parte delle due Camere: -la promulgazione della legge da parte del Presidente della Repubblica (Art.73 Cost.); -la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica (Art.73 ult. comma, Cost.); -il decorso di un periodo di tempo, detto vacatio legis, che va dalla pubblicazione all’entrata in vigore della legge, e che di regola è di 15 gg. Con la pubblicazione la legge si reputa conosciuta e diventa obbligatoria per tutti, anche per chi, in realtà, non ne abbia conoscenza. Vale, infatti, il principio per cui ignorantia iuris non excusat, cosicché nessuno può invocare a propria scusa, per evitare una sanzione, di aver ignorato l’esistenza di una disposizione di legge. Abrogazione della legge Una disposizione di legge viene abrogata quando un nuovo atto dispone che ne cessi l’efficacia (anche se una norma, pur dopo abrogata può continuare ad essere applicata ai fatti verificatisi anteriormente, e può anche essere previsto un apposito regime transitorio). Per abrogare una disposizione occorre sempre l’intervento di una disposizione nuova di pari valore gerarchico: una legge non può essere abrogata che da una legge posteriore (art.15 disp. preleggi cod.civ: “Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore”). In questo caso si ha un’abrogazione tacita. L’abrogazione può essere espressa o tacita: 1) Espressa → quando la legge posteriore dichiara esplicitamente abrogata una legge anteriore. 2) Tacita → se manca, nella legge successiva, una tale dichiarazione formale, ma le disposizioni posteriori: -o sono incompatibili con una o più disposizioni antecedenti; -o introducono una nuova regolamentazione dell’intera materia già regolata dalla legge precedente, la quale, pertanto, deve ritenersi assorbita e sostituita integralmente dalle disposizioni più recenti anche in assenza di una vera e propria incompatibilità tra la vecchia e la nuova disciplina. La deroga si ha quando una nuova norma pone, ma solo per specifici casi, una disciplina diversa da quella prevista dalla norma precedente, che continua però ad essere applicabile a tutti gli altri casi. Un’altra figura di abrogazione espressa può essere realizzata mediante un referendum popolare, quando ne facciano richiesta almeno 500.000 elettori o 5 Consigli regionali, e la proposta di abrogazione si considera approvata se alla votazione partecipi la maggioranza degli aventi diritto, purché la proposta di abrogazione consegua la maggioranza dei voti espressi (Art.75 Cost. stabilisce che 500.000 cittadini o 5 Consigli regionali, possono proporre all'intero corpo elettorale “l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge"). Anche la dichiarazione di incostituzionalità di una legge ne fa cessare l’efficacia. Ma mentre l’abrogazione ha effetto solo per l’avvenire, la dichiarazione di incostituzionalità, invece, annulla la disposizione illegittima ex tunc, come se non fosse mai stata emanata, cosicché non può più essere applicata neppure nei giudizi ancora in corso e neppure ai fatti già verificatisi in precedenza. L’abrogazione di una norma che, a sua volta, aveva abrogato una norma precedente non fa rivivere quest’ultima, salvo che sia espressamente disposto: in tal caso la norma si chiama ripristinatoria. Irretroattività della legge L’art.11.1 delle preleggi stabilisce che “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Nel nostro ordinamento solo la norma penale non può essere retroattiva: “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”. La retroattività delle leggi di ambito privatistico non è invece in assoluto preclusa: la Corte Costituzionale ha infatti ritenuto giustificata la retroattività di una norma solo se motivata dall’esigenza di tutelare diritti e beni di rilievo costituzionale. Efficacia retroattiva hanno, poi, le c.d. “leggi interpretative”, ossia le leggi emanate per chiarire il significato di norme antecedenti. Se la norma ha efficacia retroattiva, essa si applica anche alla risoluzione delle controversie che siano ancora pendenti al momento della sua entrata in vigore. Successione di leggi In alcuni casi interviene il legislatore ha cura di regolare il passaggio tra la legge vecchia e quella nuova con specifiche norme, che si chiamano disposizioni transitorie. Relativamente alle questioni di diritto transitorio vi sono due teorie: -teoria del diritto quesito: la legge nuova non può colpire i diritti quesiti, che, cioè, sono già entrati nel patrimonio di un soggetto; -teoria del fatto compiuto: la legge nuova non estende la sua efficacia ai fatti definitivamente perfezionati sotto il vigore della legge precedente, ancorché dei fatti stessi siano pendenti gli effetti. Quest’ultima teoria è maggiormente seguita, anche se in definitiva occorre sempre risalire alla volontà del legislatore in vista delle nuove esigenze sociali. Si parla, invece, di ultrattività quando una disposizione di legge stabilisce che atti o rapporti, compiuti o svolgentisi nel vigore di una nuova normativa, continuano ad essere regolati dalla legge anteriore. CAPITOLO 4: L’APPLICAZIONE E L’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE. (fatto tutto) L’applicazione della legge Per applicazione della legge s’intende la concreta realizzazione, nella vita della collettività, di quanto è ordinato dalle regole che compongono l’ordinamento giuridico. Pertanto, se si tratta di norme di organizzazione o di struttura, la loro applicazione consiste nella effettiva creazione degli organi previsti e nel loro funzionamento. Se si tratta di norme di condotta, la loro applicazione consiste nel non fare ciò che è proibito e nel fare ciò che è doveroso. E’ compito dello Stato attraverso i suoi organi, curare l’applicazione delle norme di diritto pubblico. Viceversa, l’applicazione delle norme di diritto privato non è imposta in modo autoritario, ma è lasciata all’iniziativa, alla prudenza e al buon senso dei singoli. Interpretazione della legge La legge viene interpretata da 3 soggetti: -dalla magistratura--> quando si tratta di risolvere controversie, stabilire chi ha torto o ragione, il giudice emana una sentenza, esamina il caso concreto, trovare la norma applicabile, inquadrare il caso completo nella fattispecie astratta prevista dalla norma e risolvere la controversia, deve interpretare quindi le norme per farlo. Il giudice si limita a risolvere quello specifico caso. L’attività interpretativa assume valore vincolante solo quando è compiuta dai giudici dello Stato nell’esercizio della funzione giurisdizionale. Si deve però chiarire che l’interpretazione giudiziale svolge il suo ruolo autoritativo nei confronti delle sole parti del giudizio, che sono le sole destinatarie del provvedimento del giudice. -dalla dottrina--> è costituita dagli apporti di studio dei cultori delle materie giuridiche, i quali si preoccupano di raccogliere il materiale utile alla interpretazione delle varie disposizioni, di illustrarne i possibili significati, di sottolineare le conseguenze delle varie soluzioni interpretative. -dal legislatore--> , ossia quella che proviene dallo stesso legislatore, che emana apposite norme per chiarire il significato di norme preesistenti. Questa ha efficacia retroattiva: infatti essa chiarisce anche per il passato il valore da attribuire alla legge precedente, troncando i dubbi che erano sorti sulla sua interpretazione. Interpretare un testo normativo non vuol dire solo conoscere quanto il testo in sé già esprimerebbe, bensì attribuire un senso, ossia decidere che cosa si ritiene che il testo effettivamente possa significare e, conseguentemente, come vadano risolti i conflitti che insorgono nella sua applicazione. Gli enunciati normativi si riferiscono a situazioni ipotetiche e definite in via generale ed astratta: spetterà all’interprete, di fronte a rapporti concreti, decidere se considerarli inclusi nella disciplina della singola norma, oppure no, ed a tal fine l’interprete dovrà impiegare particolari tecniche di “estensione” o di “integrazione” delle disposizioni della legge. In terzo luogo, le formulazioni delle leggi sono spesso in conflitto tra loro: conflitti che si superano ricorrendo a criteri di gerarchia tra le fonti, a criteri cronologici, a criteri di specialità. In quarto luogo, di fronte a ciascun caso singolo difficilmente si può applicare un’unica norma, ma occorre utilizzare un’ampia combinazione di disposizioni: si parla di interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata. L’attribuzione da parte dell’interprete a un documento legislativo nel senso più immediato e intuitivo viene detta interpretazione dichiarativa. Quando invece il processo interpretativo attribuisce ad una disposizione un significato diverso da quello che apparirebbe, a prima vista, esserle “proprio”, si parla di interpretazione correttiva (che può essere estensiva o restrittiva). Le regole dell’interpretazione L’indagine dell’interprete non può dunque limitarsi alla lettura della legge. Il c.c. (art. 12) impone di valutare non solo il significato proprio delle parole, ma anche l’intenzione del legislatore. Con la formula “intenzione del legislatore”, poiché nelle società moderne nessuna persona fisica costituisce in realtà il legislatore, ci si riferisce quindi ad individuare lo scopo che la disposizione persegue (criterio di interpretazione teolologico) ossia della sua ratio. Altri criteri cui l’interprete e il giudice si rivolge, sono: -il criterio logico: attraverso l’argumentum a contrario, l’argumentum a simili, l’argumentum a fortiori, argumentum ad absurdum; -il criterio storico: analisi delle motivazioni con cui un istituto è stato introdotto in un sistema giuridico precedente, delle modifiche che ha via via subito e del modo con cui è stato interpretato e applicato; -il criterio sistematico: per determinare il significato di una disposizione è indispensabile collocarla nel quadro complessivo delle norme in cui va inserita, onde evitare contraddizioni e ripetizioni; -il criterio sociologico: la conoscenza degli aspetti economico-sociali dei rapporti regolati è spesso illuminante per pervenire ad una interpretazione congruente con la realtà disciplinata e su cui quelle regole sono destinate ad avere rilievo; -il criterio equitativo: volto ad evitare interpretazioni che contrastino col senso di giustizia della comunità, favorendo invece soluzioni equilibrate degli interessi confliggenti. COME si interpreta la legge: I criteri di interpretazione sono fissati dalle preleggi: L’articolo 12 delle preleggi si chiama interpretazione della legge, e va interpretata in 2 modi: -criterio testuale: «Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole». Es Articolo 2c.c.--> «La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa.» -Criterio logico-sistematico: «Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore». L’intensione del legislatore--> si deve interpretare in base al contesto e i valori fondanti dell’ordinamento. Esempio articolo 2043 c.c. «Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.») L’analogia Se l’ordinamento presenta delle lacune, ci sono controversie in cui non si trova una norma che regoli il caso specifico. In questo caso si ricorre all’analogia, (l’interpretazione analogica)--> ANALOGIA LEGIS. Essendo impossibile che il legislatore riesca a disciplinare l’intero ambito dell’esperienza umana, si verifica che il giudice si trovi di fronte a problemi che nessuna norma di legge ha espressamente previsto e regolato (lacune di legge). Si trova nel secondo comma dell’art. 12 delle preleggi (interpretazione della legge), che stabilisce che qualora il giudice non riesca a risolvere il caso su cui deve pronunciarsi nè applicando una norma direttamente, nè utilizzandone un’altra per interpretazione estensiva, deve procedere applicando “per analogia” le disposizioni che regolino casi simili, e qualora il caso rimanga ancora dubbio, applicando i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato. Ricorrere ad un procedimento analogico consiste nell’applicare ad un caso non regolato una norma non scritta desunta da una norma scritta, la quale, però, risulta dettata per regolare un caso diverso, sebbene simile a quello da decidere. Quell’elemento in comune deve consistere nella fondamentale giustificazione della disciplina del caso. Si hanno due tipi di analogia: -analogia legis: colma la mancanza normativa utilizzando un'altra norma magari della stessa branca del diritto o di branche simili; - analogia iuris: colma la mancanza normativa facendo ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato. Il ricorso all’analogia è sottoposto, nel nostro ordinamento a limiti: come sostiene l’art 14 delle preleggi (applicazione delle leggi penali ed eccezionali), essa non è consentita né per le leggi penali, né per quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi. Il divieto si giustifica in relazione alle norme penali, perché nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto compiuto. Si potrà quindi avere un’interpretazione estensiva, ma non un’analogia, che è solo un criterio per colmare delle piccole lacune. CAPITOLO 6: SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE (fatto tutto) Il rapporto giuridico Il rapporto giuridico è la relazione tra due soggetti, regolata dall’ordinamento giuridico (diritto oggettivo). Una relazione di amicizia, per esempio, si colloca sul piano dei rapporti sociali, ma è giuridicamente irrilevante. Una relazione sentimentale tra due persone è in sé priva di significato per il diritto; se però queste decidono di contrarre matrimonio il rapporto che ne deriva è disciplinato dal diritto e sorgono una serie di effetti giuridici. Il rapporto tra il creditore e il debitore, per fare ancora un esempio, è essenzialmente una relazione giuridica. -Soggetto attivo: colui a cui l’ordinamento giuridico attribuisce un potere (o diritto soggettivo). -Soggetto passivo: colui a carico del quale sussiste dovere (per es. di pagare). Quando si vuole alludere alle persone tra le quali intercorre un rapporto giuridico si usa l’espressione “parti”. Contrapposto al concetto di parte è quello di terzo, che è chi non è parte o non è soggetto di un rapporto giuridico. Il rapporto giuridico non è che una figura (la più importante) di una categoria più ampia: la situazione giuridica. Situazioni SOGGETTIVE attive (diritto soggettivo, potestà, facoltà, aspettativa, status) Il soggetto attivo del rapporto giuridico si connota quale titolare di un diritto soggettivo. 1)Il diritto soggettivo è il potere di agire per il soddisfacimento di un proprio interesse individuale, protetto dall’ordinamento giuridico. In alcuni casi il potere di agire non è attribuito al singolo nel suo proprio interesse, ma per realizzare un interesse altrui. 2) Le figure di poteri che al tempo stesso sono doveri (poteri-doveri) si chiamano potestà o uffici. Mentre l’esercizio del diritto soggettivo è libero, in quanto il titolare può perseguire i fini che ritiene più opportuno, l’esercizio della potestà deve sempre ispirarsi al fine della cura dell’interesse altrui. 3) Le facoltà (o diritti facoltativi) sono, invece, manifestazioni del diritto soggettivo che non hanno carattere autonomo, ma sono in esso comprese. Le facoltà non si estinguono se non si estingue il diritto di cui fanno parte. 4) L’aspettativa, che si ha quando un soggetto non ha ancora un diritto, ma un’aspettativa al conseguimento di quel diritto. Quest’ ipotesi del diritto soggettivo che si realizza attraverso stadi successivi viene anche considerata sotto il punto di vista oggettivo della fattispecie. Si parla, infatti, di fattispecie a formazione progressiva, per dire che il risultato si realizza per gradi e l’aspettativa attribuita al singolo costituisce un effetto anticipato della fattispecie. 5) Lo status è una qualità giuridica che si ricollega alla posizione dell’individuo in una collettività. Lo status può essere di diritto pubblico (es. stato di cittadino) o di diritto privato (es. stato di figlio). Diritti soggettivi: specie Il diritto soggettivo è il potere conferito da una norma ad un soggetto, di soddisfare un proprio interesse. La realizzazione dell’interesse può essere spontanea o coattiva: quest’ultima si verifica quando occorre far ricorso ai mezzi che l’ordinamento predispone per la tutela del diritto soggettivo. Chi ha un diritto è libero di usarlo, ma non di abusarne; altrimenti si va a elidere il diritto di un altro. Es art 832 cc -contenuto del diritto- “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico”. Prende in considerazione il lato attivo. Es. articolo 2043 -risarcimento per fatto illecito- “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Prende in considerazione il lato passivo. A seconda del tipo di potere attribuito e del tipo di interesse tutelato, il diritto soggettivo si distingue nelle seguenti due specie: -DIRITTO ASSOLUTO: la facoltà di godimento di un bene di cui si è titolari. C’è immediatezza e assolutezza, ovvero opponibilità erga omnes. 1) diritti reali: diritti sulle res, attribuiscono al titolare una signoria piena (proprietà9 o limitata (diritti reali su cosa altrui) su un bene. C’è una relazione immediata tra l’uomo e la cosa, gli altri soggetti sono solo tenuti a rispettarlo. Fanno parte della branchia patrimoniale. 2) diritti della personalità: diritto alla vita, alla salute, all’onore, alla privacy. Sono diritti che il soggetto può far valere contro chiunque, ma la differenza è che non sono diritti patrimoniali.2 -DIRITTI RELATIVI: sono diritti che mi spettano contro uno o più soggetti determinati, quindi non contro tutti. Si distinguono in 2 gruppi: 1)Diritto di credito: che vengono anche chiamati diritti personali in contrapposto ai diritti reali perché hanno come termine di riferimento non una res ma una persona, tenuta ad un determinato comportamento nei confronti del titolare del diritto. A fronte del diritto di credito si pone il dovere, di una o più persone determinate, di eseguire una determinata prestazione o comportamento per il soddisfacimento dell’interesse del creditore. 2)Diritto potestativo: è il diritto di andare ad incidere nella sfera giuridico patrimoniale di un altro soggetto, senza che lui possa fare nulla per impedirlo. Ramo non patrimoniale. 3) diritto relativo di natura familiare personale--> non è un diritto patrimoniale. C’è un soggetto che ha un a posizione di obbligatorietà, si parla di obblighi, ossia il lato passivo di rapporti giuridici che vedono sul lato attivo un diritto relativo ma che non è esclusivamente un credito, è un diritto relativo che nasce da rapporti familiari. Se prendiamo il ramo patrimoniale dei diritti assoluti e relativi, otteniamo il patrimonio di un soggetto. Che è l’insieme dei diritti di proprietà che un soggetto ha. INTERESSI LEGITTIMI Si parla di interesse legittimo nell’ambito dei rapporti tra il privato e i pubblici poteri. Tale situazione comporta il potere del singolo di sollecitare un controllo giudiziario in ordine al comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione. (Art 113 cost- Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa). In taluni casi, l’esercizio dei pubblici poteri incide direttamente sulla sfera di determinati soggetti, che sono portatori di interessi coinvolti dall’azione pubblica. La situazione giuridica dei portatori di tali interessi qualificati viene definita come “interesse legittimo”. Tradizionalmente questo non era studiato nel diritto privato, ma nel 1999 è intervenuta la sentenza 500, che ha dichiarato che quando la PA lede un interesse legittimo di un cittadino, se dimostra di avere subito un danno, potrà richiedere un risarcimento. Il privato, infatti, può contestare la validità rivolgendosi agli organi giudiziari competenti (T.A.R = tribunale amministrativo regionale), e denunciarne il relativo vizio, che può essere di: - incompetenza (un organo amministrativo ha compiuto un atto non rientrante nei suoi poteri) - violazione della legge (il provvedimento si pone in contrasto con le norme di legge) - eccesso di potere. Interessi diffusi--> sono interessi che riguardano tutta la collettività Aspettative--> non ho un diritto ma ho un’aspettativa di conseguire un diritto. Situazioni soggettive passive (dovere, obbligo, soggezione, onere) 1) La figura del dovere incombe su tutti a fronte di un diritto assoluto: dovere di astenersi dal ledere il diritto assoluto di un’altra persona. 2) La figura dell’obbligo cui è tenuto il soggetto passivo di un rapporto obbligatorio, a cui fa riscontro nel soggetto attivo la pretesa, ossia il potere di esigere uno specifico comportamento da un altro individuo; 3) La figura della soggezione invece, corrisponde al diritto potestativo. Da queste situazioni passive si deve distinguere la figura dell’onere, che ricorre quando ad un soggetto è attribuito un potere, ma l’esercizio di tale potere è condizionato ad un adempimento che però, essendo previsto nell’interesse dello stesso soggetto, non è obbligatorio e quindi non prevede sanzioni per l’ipotesi che resti inattuato. Posizioni giuridiche intermedie 1) Potestà: situazione giuridica di vantaggio, il potere di fare qualcosa per soddisfare l’interesse altrui (come i genitori con i figli). 2) Onere: è una situazione di doverosità (passiva) ma che viene imposta nell’interesse dello stesso onerato. Dovere di fare qualcosa per soddisfare un interesse proprio. Es Articolo 2697 (onere alla prova) “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”. Se vuoi ottenere soddisfatto un tuo interesse, hai l’onere di comportarti in un certo modo. Es articolo 1495: (termini e condizioni per l'azione) “Il compratore decade dal diritto alla garanzia, se non denunzia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge.” VICENDE DEL DIRITTO SOGGETTIVO 1) L’ACQUISTO DEI DIRITTI indica il fenomeno del collegarsi di un diritto con una persona che ne diventa il titolare. I titoli d’acquisto (o causa adquirendi) sono due: a) Titolo originario: il diritto si costituisce in capo a una persona indipendentemente dal fatto che il precedente titolare glielo trasmetta. b) Titolo derivativo: quando si acquista il diritto da un precedente titolare. Sono fondamentalmente due i modi di acquisto: il contratto a effetti reali (la compravendita) o la successione mortis causa (eredità). Colui che perde il diritto si chiama autore o dante causa; chi invece lo acquista si chiama successore o avente causa. Sarà meglio acquistare a titolo originario, perche se acquisto a titolo derivativo, il mio diritto dipende da colui che mi ha trasferito quel diritto. Se salta fuori che chi mi ha venduto il bene non era proprietario, o un precedente titolare nella catena che precede il mio acquisto non era proprietario, io non avrò acquistato nulla. Si distinguono in realtà altre due categorie: -Diritto derivativo traslativo: si trasmette proprio lo stesso diritto che aveva il precedente titolare. -Diritto derivativo costitutivo: l’acquirente non acquista esattamente il diritto dell’alienante, ma viene costituito un diritto nuovo. -la successione mortis causa, quando un soggetto muore, passa agli eredi. Sarà meglio acquistare a titolo originario, perche se acquisto a titolo derivativo, il mio diritto dipende da colui che mi ha trasferito quel diritto. Se salta fuori che chi mi ha venduto il bene non era proprietario, o un precedente titolare nella catena che precede il mio acquisto non era proprietario, io non avrò acquistato nulla. Questo giustifica le seguenti regole: - Il nuovo titolare non può vantare di un diritto di portata più ampia di quello che spettava al precedente titolare. -L’acquisto del diritto del nuovo titolare dipende dall’effettiva esistenza del diritto del precedente titolare. La successione è di due specie: A titolo universale, quando una persona subentra in tutti i rapporti di un’altra persona, e, cioè, sia nella posizione attiva, sia in quella passiva. A titolo particolare, quando una persona subentra solo in un determinato diritto o rapporto. La vicenda finale di un rapporto è la sua estinzione. Il rapporto si estingue quando il titolare perde il diritto senza che questo sia trasmesso ad altri. Non di tutti i diritti soggettivi è consentito al titolare disfarsi o trasferirli ad altri, basti pensare ai diritti personali. Inoltre, persiste anche il soddisfacimento dell’interesse, perché una persona può rinunciare a un diritto quando si è soddisfatta di un bene. 2) IL DIRITTO UNA VOLTA ACQUISTATO POTRA’ ESSERE MODIFICATO Una volta acquistato il diritto nella sua titolarità può essere modificato nel corso della sua vita. (espropriazione parziale o l’accollo del debito. 3) L’ESTINSIONE DEL DIRITTO (come si perdono le situazioni di diritto soggettivo che abbiamo visto) -soddisfazione dell’interesse--> I diritti hanno una loro durata, alla scadenza della quale si estinguono, come i diritti acquistati a termine, come i crediti. -La rinuncia da parte del titolare--> il momento in cui il titolare rinuncia al diritto, perde il diritto soggettivo. È un diritto patrimoniale. Ci sono diritti che non sono rinunciabili, ossia il diritto della personalità, quali il diritto alla vita, alla salute alla privacy e cosi via. -decorso del tempo--> può portare a estinguere le situazioni giuridiche soggettive di vantaggio, cioè i diritti. Sono 2 le ipotesi di estinzione dei diritti per decorso del tempo: --la prescrizione estintiva--> è una causa di estinzione del diritto per decorso del tempo. Il diritto dopo un certo periodo di tempo in cui non viene utilizzato, si estingue per prescrizione. Il concetto di prescrizione lo troviamo nell’articolo 2984 -prescrizione di 5 anni- “Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge.” -La prescrizione ordinaria è di 10 anni, lo prevede l’articolo 2946 -prescrizione ordinaria- “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”. Ma spesso la prescrizione può essere maggiore o anche inferiore. Non sono prescrivibili e non sono rinunciabili i diritti indisponibili, come quello sulle personalità o i diritti indicati dalla legge, come la proprietà, che è un diritto patrimoniale. La proprietà non si prescrive, perche il proprietario ha un diritto che non si prescrive. Tutti gli altri tipi di diritti sono prescrivibili. CAPITOLO 7: IL SOGGETTO DEL RAPPORTO GIURIDICO. (fatto tutto) Il soggetto di diritto privato Le situazioni giuridiche soggettive fanno capo ai soggetti. L’idoneità ad essere titolari di situazioni giuridiche soggettive viene definita capacità giuridica, che nel nostro soggetto compete a soggetti quali: -la persona fisica (Art 1-10 cc) -la persona giuridica (Art 11-42 cc), che sono degli enti che hanno una soggettività di diritto. -ad altre strutture organizzate che la legge tratta come autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive. (es. il condominio). A) LA PERSONA FISICA La capacità giuridica della persona fisica La capacità giuridica è l’idoneità a diventare titolare di diritti e doveri, e compete indifferentemente a tutti gli esseri umani (Art.3 Cost. “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”). Cosa non scontata, perché prima gli schiavi, gli ebrei durante il fascismo, le donne senza diritto di voto, non avevano capacità giuridica. La capacità giuridica si acquista al momento della nascita (Art 1 cc), ossia con la piena indipendenza dal corpo materno, che si realizza con l’inizio della respirazione polmonare. Non occorre la vitalità del soggetto, ma basta la nascita per permettere l’acquisizione della capacità giuridica. Questa si perde con la morte, con l’interruzione delle funzioni circolatorie e dalla morte cerebrale; oggi sempre più difficile da stabilire. Entro 24h dal decesso, la morte va dichiarata all’ufficiale di stato civile per la formazione dell’atto di morte. Le incapacità speciali Per l’accesso a taluni rapporti non è sufficiente la nascita, ma è richiesto il concorso di altri presupposti (es: la capacità matrimoniale si acquista al compimento del 16° anno di età, di testare al compimento del 18° anno di età, etc.). Se detti presupposti non sussistono, il soggetto non può essere parte di quel determinato rapporto. Dette incapacità si distinguono in: -assolute: se al soggetto è precluso quel determinato tipo di rapporto o di atto) -relative: se al soggetto è precluso quel determinato tipo di rapporto o di atto ma solo con determinate persone o solo in determinate circostanze). In tutti questi casi si ravvisa una limitazione della capacità giuridica (incapacità speciali). Questo tipo di incapacità è spesso pena accessoria a seguito di condanna penale. Il concepito Talune posizioni giuridiche sono tutelate anche a favore di chi, seppur non ancora nato, sia però concepito: l’Art.462 c.c- capacità delle persone fisiche- che attribuisce al concepito la capacità di succedere per causa di morte, sia per legge che per testamento. Accanto alla capacità di succedere, ai nascituri non concepiti, (Art.784 c.c.- donazione ai nascituri-) il legislatore accorda pure una capacità di ricevere per donazione sempre che sia fatta sempre in favore di figli di una determinata vivente al tempo della donazione e in favore di tutti i figli di questa. La giurisprudenza riconosce al concepito il diritto al risarcimento del danno alla salute ed all’integrità fisica eventualmente cagionatogli, prima o durante il parto, o al danno sofferto dall’uccisione del padre ad opera di un terzo durante la gestazione. In ogni caso questi diritti potranno essere fatti valere solo se e quando avvenga la nascita. La capacità legale d’agire La capacità d’agire è l’idoneità del soggetto a porre in essere in proprio atti negoziali destinati a produrre effetti nella sua sfera giuridica. La capacità di agire, disciplinata all’Art 2 cc-…., si acquista a 18 anni, anche se fino agli anni 70 era a 21 anni, salvi casi in cui la legge prevede un età inferiore, come L’Art 250 c.c. -->, che per riconoscere un figlio naturale richiede l’età minima di 16 anni. A protezione di soggetti privi in tutto o in parte di autonomia (malattia fisica, mentale, disagio), il c.c. prevede gli istituti: a) della minore età; b) dell’interdizione giudiziale c) dell’inabilitazione; d) dell’emancipazione; e) dell’amministrazione di sostegno; f) dell’incapacità di intendere o di volere (incapacità naturale). Ad una logica sanzionatoria e non di protezione risponde invece l’interdizione legale Da distinguere infine: - la capacità negoziale: ossia l’idoneità del soggetto a compiere personalmente atti di autonomia negoziale (es: vendere, comprare). -la capacità extranegoziale: l’idoneità del soggetto a rispondere delle conseguenze dannose degli atti dallo stesso posti in essere (es: ferite cagionate). a) LA MINORE ETA’ __ Con la legge 8 marzo 1975 la maggiore età è fissata al compimento del 18° anno, con la quale si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non si è richiesta un’età diversa. Gli atti posti in essere da un minorenne sono, di regola, annullabili (art.1425 c.c.), a meno che il minore abbia, non soltanto dichiarato, falsamente, di essere maggiorenne, ma addirittura abbia con raggiri occultato la sua minore età (Art.1426 c.c.). L’atto annullabile può essere impugnato dal rappresentante legale del minore o dallo stesso minorenne entro cinque anni da quando sia divenuto maggiorenne. Non può mai, viceversa, essere impugnato dalla controparte maggiorenne (si parla perciò di negozi claudicanti, Art.1441 c.c.). Nella quotidianità i minori vengono ammessi a stipulare tutta una serie di atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana (Art. 409.2 c.c). La gestione del patrimonio del minore (potere di amministrazione) ed il compimento di ogni atto relativo (potere di rappresentanza), competono ai genitori: - disgiuntamente, per quanto riguarda gli atti di ordinaria amministrazione, ossia quelli che non comportano rischi per l’integrità del patrimonio. -congiuntamente, per quanto riguarda gli atti di straordinaria amministrazione, ossia quelli suscettibili di incidere in termini significativi sul patrimonio, oltre a dover munirsi della autorizzazione del giudice. Peraltro, la legge richiede che i genitori, per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, si muniscano della preventiva autorizzazione del giudice tutelare (Art.320, 3 e 4 c.c.). In più, gli atti posti in essere dai genitori senza l’autorizzazione del giudice sono annullabili (Art. 322 c.c). Se invece uno dei due genitori è morto o impossibilitato ad esercitare la responsabilità genitoriale sul figlio, l’amministrazione spetta all’altro genitore (art.317 c.c.). Se entrambi i genitori sono morti, o per altra causa non possono esercitare la potestà, la gestione del patrimonio del minore e la relativa rappresentanza competono ad un tutore (Art. 343 c.c.) nominato dal giudice tutelare. Gli atti meno rischiosi devono essere autorizzati dal giudice tutelare, nei casi invece più rischiosi si richiede anche l’autorizzazione del tribunale (Art 374 e 375 cc). È però anche possibile che venga rimosso il tutore che abusa dei suoi poteri o per altri motivi (Art 384 cc). Invece, per quegli atti che non ammettono una rappresentanza, che attengono quindi a scelte intime e personali, il minore non può compierli. b) INTERDIZIONE GIUDIZIALE __ L’interdizione è pronunciata con sentenza del tribunale in base ai seguenti presupposti (Art. 414 c.c-….) -infermità di mente -abitualità di detta infermità (infermità non transitoria); -incapacità del soggetto, a causa di detta infermità, di provvedere ai propri interessi; -necessità di assicurare al soggetto una adeguata protezione L’interdizione può essere pronunciata solo a carico del maggiore di età, essendo il minorenne già legalmente incapace e tutelato dall’ordinamento. Il procedimento di interdizione può essere promosso (art. 417 c.c.) dallo stesso interdicendo; da un coniuge; dalla persona stabilmente convivente; dai parenti entro il quarto grado; dagli affini entro il secondo grado; dal pubblico ministero. Ci sono varie fasi del procedimento di interdizione: -promozione del procedimento di interdizione (art. 417 c.c.), -esame diretto dell’interdicendo da parte del giudice (art. 419 c.c.), -se il giudice lo ritiene, può nominare un tutore provvisorio dell’interdicendo (art 419 c.c.). Gli atti compiuti dall’interdicendo dopo la nomina del tutore provvisorio sono annullabili (art.427 c.c.). -nelle more del giudizio di interdizione, l’intercidendo è legalmente rappresentato dal tutore provvisorio. -in caso di successiva interdizione, gli atti compiuti dall’intercidendo prima della nomina del tutore sono annullabili (Art. 427 c.c). Gli effetti dell’interdizione decorrono dal momento della pubblicazione della sentenza di 1° grado, che pronuncia l’interdizione stessa (art. 421 c.c.). La sentenza viene annotata dal cancelliere nel registro delle tutele e comunicata entro dieci giorni all’ufficiale dello stato civile per essere annotata a margine dell’atto di nascita (art. 423 c.c.). L’interdetto si trova in una condizione per molti versi simile a quella in cui si trova il minore: non può compiere direttamente alcun atto negoziale, se non quelli necessari di vita quotidiana, e se ne compie sono annullabili. La gestione del patrimonio dell'interdetto è compiuta da un tutore nominato dal giudice tutelare. Il tutore può anche compiere gli atti personalissimi, sempre che ne sia accertata la necessità per un'adeguata protezione degli interessi dell’interdetto. Il giudice peraltro può prevedere che taluni atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti autonomamente dall'interdetto con l'assistenza del tutore. L’interdizione preclude al soggetto il matrimonio, il riconoscimento dei figli naturali, il testamento, accettare eredità. Se e quando dovessero venir meno i presupposti che hanno condotto all’interdizione, quest’ultima può essere revocata con sentenza del tribunale (art. 429 c.c.). Detta sentenza produce i suoi effetti solo con il passaggio in giudicato. c) INTERDIZIONE LEGALE _ L’interdizione legale è prevista nel Codice penale, e si tratta di una pena accessoria di una condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a 5 anni. È quindi una misura punitiva e non di tutela dell’incapace. Per quanto riguarda i rapporti patrimoniali, l'interdetto legale non potrà compiere atti dispositivi del proprio patrimonio. Per gli atti a carattere personale non c’è invece nessuna incapacità. Gli atti compiuti dal soggetto sono annullabili a richiesta di chiunque (e non solo dell’interdetto o del suo rappresentante). d) INABILITAZIONE _ L’inabilitazione è pronunciata dal tribunale, quando ricorra a uno dei seguenti presupposti (Art 415 cc): -Infermità di mente non talmente grave da far luogo all’interdizione. -Prodigalità (impulso patologico che incide negativamente sulla capacità del soggetto di valutare la rilevanza economica dei propri atti). - Abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti. -Sordità o cecità dalla nascita o dalla prima infanzia, sempre che il soggetto non abbia ricevuto un'educazione sufficiente a fargli acquisire la capacità necessaria per attendere personalmente ai propri interessi. Il procedimento di inabilitazione ricalca a quello di interdizione. L’inabilitato può autonomamente compiere gli atti di ordinaria amministrazione; mentre per gli atti di straordinaria amministrazione necessita dell'assistenza del curatore nominato dal giudice tutelare, che lo assiste nel compimento dell’atto, nel quale partecipano entrambi. e) EMANCIPAZIONE _ Il minore ultra-sedicenne, in determinate condizioni può contrarre il negozio giuridico del matrimonio (Art 84 cc); o ancora per riconoscere un figlio bastano i 16 anni (art 250 cc). Se il minore si sposa, passa allo stato di minore emancipato (Art 390 ss.). Innanzitutto, viene nominato un curatore, che è il coniuge se maggiorenne, altrimenti se sono entrambi minorenni è spesso un genitore. Un minore emancipato è in una condizione di incapacità parziale d’agire, può compiere da solo esclusivamente gli atti di ammin. ordin.; mentre per gli atti di straord. ordin. è necessaria l’assistenza del curatore. Il minore può anche esercitare un’attività d’impresa purché sia autorizzato dal tribunale; se però il giudice revoca l’autorizzazione, il minore non avrà più questi poteri previsti dall’Art 397. Sia il minore emancipato che quello in potestate, una volta compiuti i 18 anni escono da questo status e diventano legalmente capaci di agire. f) AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO __ L’amministrazione di sostegno si apre con decreto motivato del giudice tutelare, allorquando ricorrano - congiuntamente - i seguenti presupposti: (Art. 404 c.c.) a) infermità o menomazione fisica o psichica della persona; b) impossibilità per il soggetto, a causa di detta infermità o menomazione, di provvedere ai propri interessi. Il procedimento di amministrazione di sostegno può essere promosso (come dice l’Art. 406 c.c.): dallo stesso beneficiario, da un coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o curatore, dal pubblico ministero. Ai fini dell’apertura della procedura si amministrazione di sostegno, rispetto ai presupposti per la pronuncia di interdizione, rilevano: -non sono una infermità di mente, ma anche una semplice menomazione psichica; -non sono una infermità o menomazione psichica, ma anche un’infermità o menomazione fisica; -non sono una infermità o menomazione che coinvolga la sfera psichica o fisica del soggetto globalmente, ma anche una infermità o menomazione che incida soltanto su taluni profili della sua personalità; -anche l’abituale infermità di mente (come per l’interdizione). L'amministrazione di sostegno di regola può essere aperta solo nei confronti del maggiore di età, essendo il minorenne già tutelato in quanto tale. Il procedimento di amministrazione di sostegno può essere promosso (art. 406 c.c.): * dallo stesso beneficiario (anche se minore, interdetto o inabilitato); * da un coniuge; * dalla persone stabilmente convivente; * dai parenti entro il quarto grado; * dagli affini entro il secondo grado; * dal tutore o curatore; * dal pubblico ministero. Fasi del procedimento di amministrazione di sostegno: * promozione del procedimento di amministrazione di sostegno, * audizione personale dell'interessato da parte del giudice (art. 407, c.c.), * se il giudice lo ritiene, può nominare un amministratore di sostegno provvisorio, adottando * provvedimenti di urgenza per la cura della persona interessata (art. 405, c.c.), * gli effetti dell'amministrazione di sostegno decorrono dal deposito del relativo decreto di apertura, emesso dal giudice tutelare (art. 405, cod.c.), che viene annotato dal cancelliere nel registro delle amministrazioni di sostegno e comunicato, entro dieci giorni, all'ufficiale di stato civile per essere annotato in margine all'atto di nascita; * gli effetti dell'amministrazione di sostegno sono determinati volta a volta dal giudice tutelare. Il giudice tutelare nomina all'interessato un amministratore di sostegno nella persona designata - mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata - dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, o in mancanza scegliendolo tra i familiari (art. 408, c.c.). Il giudice tutelare, all'atto della nomina dell'amministratore di sostegno, indica, in relazione alla specificità della situazione ed alle esigenze del singolo amministrato: * gli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, con conseguente annullabilità degli atti che lo stesso avesse a concludere; * gli atti cui l'amministratore di sostegno deve dare il proprio assenso, prestando assistenza. Il beneficiario conserva integra la capacità di agire relativamente agli atti non indicati dal giudice. Gli atti compiuti dall'amministratore di sostegno in violazione di disposizioni di legge o in eccesso rispetto ai poteri conferitigli dal giudice sono annullabili (art. 412 c.c.) g) INCAPACITA’ NATURALE _ E’ incapace naturale la persona che sebbene legalmente capace, sia tuttavia incapace di intendere o di volere nel momento concreto in cui pone in essere un atto determinato (Art.428 c.c.). In tale situazione può trovarsi l’infermo di mente, il malato grave, l’anziano, il drogato, l’ubriaco. L’incapacità naturale può quindi consistere sia in una condizione permanente di incapacità, sia in una situazione transitoria: ciò che conta, affinchè l’incapacità naturale assuma rilevanza, è il momento in cui un atto giuridico sia stato posto in essere. Il soggetto, legalmente capace di compiere un determinato atto, è comunque ammesso ad impugnarlo se prova che, nel momento in cui l’ha compiuto, versava in uno stato di incapacità di intendere e volere. La controparte non è invece legittimata a proporre domanda di annullamento dell’atto stipulato dall’incapace naturale. L’art.428 distingue tre ipotesi: 1) Per gli atti unilaterali (es. accettazione di una eredità dannosa), per l’invalidità dell’atto occorre altre all’incapacità di intendere o di volere, un grave pregiudizio a danno dell’incapace. 2) per i contratti, per l’invalidità dell’atto occorre oltre all’incapacità di intendere e di volere la mala fede dell’altro contraente. L’annullamento degli atti unilaterali e dei contratti posti in essere dall'incapace naturale può essere richiesto da quest'ultimo entro cinque anni dal loro compimento. 3) il matrimonio, il testamento e la donazione sono impugnabili solo dimostrando che il soggetto era incapace di intendere o di volere nel momento in cui ha compiuto l’atto. Quindi, riassumendo, tra gli istituti che importano una incapacità legale, occorre distinguere tra: - Minore età ed interdizione giudiziale, che importano una incapacità assoluta, in quanto precludono al soggetto il compimento di qualsiasi atto negoziale. - Inabilitazione emancipazione ed amministrazione di sostegno, che importano invece una incapacità relativa in quanto lasciano permanere una più o meno ampia capacità negoziale. Incapacità legale ed incapacità naturale. Incapacità legale --> rileva il fatto che il soggetto si trovi in una determinata situazione di: minore età, interdizione giudiziale, interdizione legale, inabilitazione, emancipazione, inabilitazione, amministrazione di sostegno. Incapacità naturale --> rileva il fatto che il soggetto - seppur legalmente capace - si trovi concretamente, nel momento in cui copie l'atto negoziale, in una situazione di menomazione della propria sfera intellettiva e/o volitiva. La legittimazione La legittimazione è l’idoneità del soggetto ad esercitare e/o a disporre di un determinato diritto. Legittimato è chi ha il potere di disposizione rispetto ad un determinato diritto (es: proprietario) o chi è qualificato o ha veste per esercitarlo. Non sempre la legittimazione coincide con la titolarità del diritto soggettivo e peraltro non sempre il difetto di legittimazione produce l’invalidità dell’atto: talora, infatti, l’ordinamento si accontenta dell’apparenza (es: se compro un bene mobile come un vestito da chi non ne è proprietario, ne acquisto egualmente la proprietà, se ne ricevo la consegna, ignorando che il bene non apparteneva al venditore). La giurisprudenza è incline ad applicare estensivamente il principio dell’apparenza, subordinandolo al ricorso di tre presupposti: -una situazione di fatto non corrispondente ad una situazione di diritto; -il convincimento dei terzi - derivante da errore scusabile non da colpa - che la situazione di fatto rispecchi la situazione di diritto. -Un comportamento colposo del soggetto effettivamente legittimato, che abbia consentito il crearsi di situazioni di apparenza. I luoghi della persona _ Il luogo dove la persona fisica vive e svolge la propria attività ha per l’ordinamento giuridico rilievo da diversi punti di vista. Al riguardo la legge distingue: -il domicilio → come dice l’Art 43 del c.c. -Domicilio e residenza-. Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. -la residenza → luogo in cui la persona ha la sua volontaria ed abituale dimora; -la dimora → luogo in cui la persona attualmente abita. Il minore ha il domicilio nel luogo di residenza della famiglia. Se i genitori non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive (come dice l’Art. 45 c.c.). Inoltre, per determinati affari si può stabilire un luogo diverso (domicilio speciale) da quello in cui è la sede principale dei propri affari (domicilio generale). Mentre unico è il domicilio generale, si possono avere più domicili speciali. La cittadinanza La cittadinanza è la situazione di appartenenza di un individuo ad un determinato Stato. La cittadinanza italiana si acquista: -iure sanguinis → è cittadino per nascita il figlio di madre o padre con cittadinanza italiana (acquisto originario). Anche i figli adottivi, se stranieri, acquistano la cittadinanza italiana ove l’adottante o uno degli adottanti sia cittadino italiano. -iure soli → è cittadino chi è nato nel territorio della repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi; -per iuris communicatio → acquista la cittadinanza il coniuge straniero o apolide, di cittadino italiano purchè ne faccia richiesta e in quanto o risieda da almeno 6 mesi in Italia o sia unita in matrimonio da almeno 3 anni; -per naturalizzazione/concessione → la cittadinanza può essere concessa allo straniero del quale un genitore o un nonno fosse cittadino italiano, purchè risieda in Italia da almeno 3 anni o presti il servizio militare per l’Italia o assuma pubblico impiego alle dipendenze dello Stato; allo straniero che presti servizio, anche all’estero, alle dipendenze dello Stato per almeno 5 anni; al cittadino di uno dei Paesi della CEE che risieda per almeno 4 anni in Italia; all’apolide che risieda in Italia per almeno 5 anni; a qualsiasi straniero che risieda in Italia da almeno 10 anni. Con la nuova disciplina si è ammessa la possibilità che un cittadino abbia anche contemporaneamente un’altra cittadinanza e si è ammessa la possibilità di riacquistare la cittadinanza anche avendola in precedenza perduta. L’art.22 Cost. statuisce che nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La posizione della persona nella famiglia Il rapporto che lega le varie persone appartenenti alla stessa famiglia dà luogo ad una serie di diritti e doveri (status familiare). La parentela è il vincolo che unisce le persone che discendono dalla stessa persona e quindi dallo stesso stipite (art 74 c.c.). Ai finii della determinazione dell’intensità del vincolo, occorre considerare le linee e i gradi: -Linea retta, che unisce le persone di cui l’una discende dall’altra. -Linea collaterale, quella che, pur avendo uno stipite comune non discendono l’una dall’altra (es. fratelli). -I gradi che si contano calcolando le persone e togliendo lo stipite. Di regola, la legge riconosce effetti alla parentela solo fino al 6° grado (art 77cc). Diversa dalla parentela è l’affinità, in cui si tiene conto del grado di parentela con cui l’affine è legato al coniuge. Di regola, la morte di uno dei coniugi, anche se non vi sia prole, non estingue l’affinità. Questa cessa, invece, se il matrimonio è dichiarato nullo. Tra coniugi non v’è rapporto di parentela né di affinità, ma di coniugio. Scomparsa, assenza e morte presunta _ La personalità giuridica dell’individuo si estingue con la morte. Si tende a considerare decisiva la morte cerebrale, consistente nell’irreversibile cessazione di ogni attività del sistema nervoso centrale. L’accertamento del momento della morte è importante ai fini della disciplina dei trapianti. Nel nostro ordinamento, il tentativo di suicidio non è sanzionabile, mentre è punita la istigazione al suicidio. Se due persone muoiono nello stesso sinistro, può avere talora rilevanza stabilire quale delle sue sia morta prima. Si distingue: -Persona scomparsa → è quella rispetto alla quale concorrono questi due elementi: l’allontanamento dal luogo del suo ultimo domicilio o residenza e la mancanza di notizie. Accertati questi requisiti, il tribunale dell’ultimo domicilio o residenza può nominare un curatore (Art.48 c.c--…..)., il quale rappresenterà lo scomparso negli atti che siano necessari per la conservazione del suo patrimonio. -L’assenza → è la situazione che si verifica quando la scomparsa della persona si protrae per più tempo. Essa è dichiarata con sentenza, trascorsi due anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia della persona (Art.49 c.c….). Il tribunale ordina l’apertura dei testamenti, se vi sono, e i presunti eredi, legittimi o testamentari, sono immessi nel possesso temporaneo dei beni (Art.50 c.c-….). La dichiarazione di assenza non scioglie però il matrimonio dell’assente. Se ritorna l’assente (Art.56-….). -La dichiarazione di morte presunta → viene pronunciata con sentenza del tribunale quando la scomparsa si protrae a lungo (10 anni) o si riconnette ad avvenimenti (guerra, infortuni) che fanno apparire probabile la morte. Produce effetti analoghi a quelli prodotti dalla morte: gli aventi diritto possono disporre liberamente dei beni (Art.63 c.c.); il coniuge può contrarre nuovo matrimonio (Art.65 c.c.). Essa, tuttavia, da luogo solo ad una presunzione di morte, quindi, se la persona ritorna e se ne prova l’esistenza, recupera i beni nello stato in cui si trovano ed ha diritto di conseguire il prezzo di quelli alienati (Art.66 c.c.) e il nuovo matrimonio contratto dal suo coniuge è invalido (Art.68 e 117.5 c.c.). Tuttavia, l’annullamento non pregiudica i figli, i quali restano legittimi. Per la dichiarazione di morte presunta occorre che siano trascorsi 10 anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia dell’assente (Art.58 c.c.). Termini minori (2 anni) sono richiesti dall’Art.60 c.c. nell’ipotesi di scomparsa in operazioni belliche, prigionia di guerra, infortuni, come incidenti aerei. Gli atti dello stato civile Le vicende più importanti della persona fisica sono documentate in appositi registri (registri dello stato civile), tenuti nell’ufficio di ogni comune. I registri sono 4: -di cittadinanza -di nascita -di matrimonio -di morte. Essi sono pubblici (art.450 c.c.): chiunque può chiedere estratti e certificati. I registri dello stato civile adempiono, pertanto, anche alla funzione di pubblicità-notizia delle vicende principali della persona fisica. B) I DIRITTI DELLA PERSONALITA’ _ Art.2 Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nella formazioni sociali”. La Costituzione mira a garantire il cittadino, in primo luogo, contro gli abusi e l’arbitrio dei pubblici poteri, ossia mira ad assicurare a quest’ultimo una sfera intangibile di libertà nei confronti dello stato. La tutela Costituzionale dei diritti inviolabili prevede inoltre che i diritti inviolabili della persona sono tali anche nei confronti degli altri consociati. L’art.2 non fa riferimento unicamente ai diritti inviolabili specificatamente tipizzati in altre norme della stessa Costituzione, bensì anche a quelli che la coscienza sociale ritiene essenziali per la tutela della persona umana. Al fine di individuare i diritti che nel nostro ordinamento devono considerarsi inviolabili, un ruolo decisivo, oltre che le disposizioni di diritto interno, è svolto anche da norme di derivazione extrastatuale: -la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (garantita dalla Corte dell’Aja); -la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (CEDU - azionabile davanti alla Corte europea dei Diritti dell’uomo di Strasburgo); -il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali culturali ed il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (New York - azionabile davanti ad un apposito comitato); -la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (affidata alla Corte di Giustizia delle comunità europee di Lussemburgo). Caratteristiche dei diritti della personalità -ASSOLUTEZZA: comportano il dovere di tutti i consociati di astenersi dal ledere gli interessi presidiati da tali diritti e possono essere fatti valere nei riguardi di chiunque violi tale dovere. -NON PATRIMONIALITA’: tutelano valori non suscettibili di valutazione economica. -NECESSARIETA’: i diritti i acquistano automaticamente e immediatamente con la nascita. -INDISPONIBILITA’: neppure il titolare può rinunciarvi o trasmetterli ad altri; può solo consentire ad altri di usarmi temporaneamente (utilizzo dell’immagina scopo pubblicitario). -IMPRESCRITTIBILITA’: il titolare del diritto non lo perde se non lo usa per un periodo di tempo prolungato. 1) Diritto alla salute _ Il diritto alla salute è il potere di pretendere che altri si astengano dal tenere condotte che possono cagionare malattie, infermità, menomazioni. Si può agire in giudizio contro chiunque arrechi danni alla salute e alla integrità fisica, non solo contro terzi, ma anche contro sé stessi. L’art 5 cc, infatti dice che sono vietati gli atti di disposizione del proprio corpo che provochino una diminuzione permanente dell’integrità fisica (non posso neanche con il mio consenso accettare diminuzioni della mia integrità fisica, non posso ad esempio donare cornea.), mentre sono leciti se riguardano parti del corpo che si rigenerano (capelli, reni, sangue). Sono comunque vietati gli atti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume, anche se non provocano una lesione permanente dell’integrità fisica (utero in affitto, prostituzione). Ci sono comunque leggi speciali che consentono la donazione di organi (solidarietà), interventi di modificazione dei caratteri sessuali (libera esplicazione della personalità), ma deve trattarsi di atti a titolo gratuito. Fondamentale è anche l’Art 32 Cost (2°comma), che sostiene che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge (come le vaccinazioni). Si parla di principio di autodeterminazione. Il paziente però può rifiutare le cure: come dimostra la legge 219 del 2017, non solo il paziente può rifiutare, ma l’operatore sanitario non può sottoporlo ad accertamenti diagnostici, terapie, interventi chirurgici senza il suo consenso (neppure se tali cure siano necessarie per salvare la vita al paziente). Perché il paziente però possa presentare un valido con