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Questo documento descrive i concetti fondamentali del diritto privato. Si analizzano le funzioni e le fonti, oltre ai diversi tipi di interpretazione e situazioni giuridiche. L'obiettivo è fornire a studenti di giurisprudenza una panoramica generale sull'argomento.

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DIRITTO PRIVATO Il diritto privato si occupa dei rapporti tra individui, compreso lo Stato e gli enti pubblici, quando siano in posizione paritaria. Il diritto pubblico, invece, si occupa esclusivamente dei rapporti con lo Stato e gli enti pubblici, quando siano in posizione di supremazia. Le funzio...

DIRITTO PRIVATO Il diritto privato si occupa dei rapporti tra individui, compreso lo Stato e gli enti pubblici, quando siano in posizione paritaria. Il diritto pubblico, invece, si occupa esclusivamente dei rapporti con lo Stato e gli enti pubblici, quando siano in posizione di supremazia. Le funzioni del diritto privato sono la risoluzione e la prevenzione dei conflitti. risoluzione dei conflitti: in coincidenza con la nascita dello Stato; per risolverli serve l’intervento dello Stato con una serie di regole; prevenzione dei conflitti: se le regole funzionano bene per risolvere i conflitti queste possono essere utilizzate anche per prevenirli (si impara con l’esperienza). Vi è stata un'evoluzione nei rapporti tra diritto privato e pubblico, dallo Stato liberale allo Stato Sociale. Art. 118/IV Cost. ha introdotto il principio di sussidiarietà che favorisce l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale. I cittadini si pongono nei confronti dello Stato come portatori di interessi che possono essere particolari, ma non possono diventare generali. Funzioni del diritto privato in particolare: Non può esistere una società senza regole di diritto privato, nel caso italiano, sono contenute nel codice civile quindi, decise dal legislatore. Oggetto del diritto privato diritti economici: beni (cosa posso fare con le cose), contratti (che legano le persone), obbligazioni (ciò che mi obbliga a fare qualcosa), danni (superare una situazione spiacevole); attività economiche; diritti di famiglia; successioni. Nel diritto privato vi è un linguaggio specialistico, che si è sviluppato con gli anni, e un linguaggio giuridico. Il linguaggio giuridico deve risolvere le ambiguità nell’uso delle parole, deve togliere le incertezze per evitare che le persone non si capiscono tra di loro. Prende i termini del linguaggio comune e lo trasforma in un linguaggio tecnico univoco attraverso due modi: prendere dei termini del linguaggio ordinario è risemantizzare, cioè attribuendo loro un significato proprio (es.: conclusione: nel linguaggio ordinario, quando io concludo qualcosa mi riferisco al fatto di aver finito di fare qualcosa; nel linguaggio giuridico, quando conclude un contratto non lo finisco, anzi lo inizio perché la conclusione del contratto fa iniziare la vincola attività del contratto stesso); appoggiandosi alla creazione di parole ex-novo. (es.:fattispecie: quel caso concreto che viene astratto nella misura necessaria da poter essere sussunto in regola diritto) Ogni parola ha un suo significato preciso, ma anche le parole legate tra di loro finiscono per creare dei concetti che sono costituiti in maniera particolare all’interno del diritto. Il diritto privato è un sistema di regole che parte da un linguaggio specialistico, che identifica determinati tipi di nozioni, e queste nozioni devono essere chiare e coordinate tra di loro. Questo perché tutto è collegato con il principio della risoluzione dei conflitti (bisogna essere chiari, univoci e non ambigui). Si deve essere in grado di muoversi all’interno di tale struttura e di conoscerne le regole e le loro interdipendenze, sennò ne risente la certezza del diritto stesso. Nella realtà, abbiamo tanti sistemi di regole che non sempre sono coerenti tra loro (tante leggi, leggi che arrivano dall’altro giramenti come quello europeo, internazionale). Quindi è l’interpretazione che ci permette di arrivare alla coerenza, per questo bisogna acquisire una modalità di pensare molto specifica che parte dalla nozione fondamentale di: La norma giuridica è un comando giuridico, una regola. E’ sempre generale e astratta. (nell’esempio dell’incidente la fattispecie e l’astrazione del caso concreto necessario per poter applicare la regola cioè la norma giuridica). L’astrattezza e la generalità permettono alla norma giuridica di essere applicata a una molteplicità di casi, limitando così il rischio di applicare delle regole in maniera troppo casistica. Applicazione della norma giuridica: 1. deve passare dalla regola astratta alla fattispecie concreta; 2. deve accertare che la fattispecie concreta, sottoposta al giudizio, corrisponda alla fattispecie astratta contenuta nella norma. La sanzione è la conseguenza della violazione della norma giuridica. Non tutte le violazioni però sono direttamente sanzionate dal diritto (scelta del legislatore o errore in sede di scrittura normativa). Le fonti del diritto e l’interpretazione il diritto ambisce ad essere un sistema di regole, per diventarlo deve essere frutto di interpretazione. Vi è una pluralità di fonti, da qui arrivano le regole giuridiche: fonti del diritto interno: costituzione, legge ordinarie e atti aventi forza di legge, regolamenti, usi e consuetudini; fonti del diritto internazionale; fonti del diritto dell’UE. I rapporti tra le fonti possono essere di tipo gerarchico, cronologico, specialità, competenza. Costituzione (1948), struttura: - Norme fondamentali di organizzazione, cancella - principi fondamentali - libertà di associazione (art. 18) - principio di uguaglianza (art. 3) - diritto di proprietà (art. 42) - libertà di iniziativa economica (art. 41) - famiglia (art. 28,30,31) fonti primarie - leggi (L) - decreti legge (D.L.) - decreti legislativi (D.lgs) - leggi regionali Aspetto fondamentale del diritto privato nell’ordinamento italiano. Può essere contenuto in tante norme di natura differente. In Italia la maggioranza delle norme sono quasi tutte contenute nel codice civile del 1942. E’ strutturato in 6 libri, con la prima parte “disposizioni sulla legge in generale” che introduce i 6 libri: troviamo regole importanti su come si interpreta la legge, la vigenza delle leggi ecc. Deve essere letta insieme alle norme costituzionali (prevale la costituzione). I libri: 1. delle persone e della famiglia 2. delle successioni 3. delle proprietà 4. delle obbligazioni: relazioni che nascono dopo aver preso degli impegni volontari o quando commetto danni 5. del lavoro 6. della tutela dei diritti I codici di settore Negli anni c’è stata una tendenza a creare codici settoriali: leggi che hanno creato tanti codici diversi che sono scritti con un linguaggio meno preciso al codice civile perché si tratta di esperienze recenti: - codice del consumo - codice delle assicurazioni - codice in materia di protezione dei dati personali - codice del turismo Se ne potrebbero nominare altri, ma questi nominati si può far riferimento quando si studia diritto privato. I regolamenti generalmente interessano al diritto privato i regolamenti esecutivi di leggi. Gli usi o consuetudini Sono una fonte non scritta. elemento materiale/oggettivo: ripetizione costante ed uniforme di un certo comportamento della generalità dei consociati; elemento psicologico/soggettivo: convinzione che il comportamento sia giuridicamente obbligatorio. Le fonti internazionali - Le convenzioni internazionali ( contratti conclusi con gli Stati) - il diritto internazionale privato ( che è interna, ma disciplina i rapporti tra fonti interne ed esterne. Regola rapporti tra cittadini con cittadinanza diversa); - regolamenti dell’UE; - direttive dell’UE; - altre fonti (es. trattato UE, parte dei diritti fondamentali UE - carta di Nizza) L’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE Contenuta nelle “disposizioni preliminari” del c.c. all’art. 12: La legge deve essere interpretata in maniera globale, non si può dare un significato a una qualsiasi norma giuridica. Per dare un significato completo bisogna fare le seguenti interpretazioni: letterale; logica (finalità del legislatore); sistematica (come si collega ad altre norme contenute nel c.c.); storica (come è stata interpretata un tempo); restrittiva/estensiva (il campo di applicazione); Può avvenire in modi differenti a seconda di chi la fa: autentica, il legislatore dice come deve essere interpretata; giudiziale, quella del giudice; in Italia non è vincolante, sarebbe quindi nel caso concreto; amministrativa, giudici amministrativi (es.: l’agenzia delle entrate); dottrinale, quella che fanno i professori, nessuna rilevanza. Là dove non riesce l’interpretazione letterale, non si riesce a creare un significato logico, sistematico ecc, posso adottare l’analogia. → interpretare un vuoto normativo con una regola simile contenuta per casi o materie analoghe Si divide in: - analogia, art. 12/II preleggi, nei casi di lacune legislative; - analogia iuris, sulla base dei principi dell’ordinamento; - analogia legis, per casi simili o materie analoghe. Vi è divieto di analogia, ex art. 14 preleggi, per le norme penali e per quelle eccezionali o speciali. Le clausole generali permettono di adattare le regole giuridiche nel tempo. Sono concetti ampi ed elastici (es. buona fede, buoncostume, correttezza). Dipendono dal contesto: Ogni giudice può applicare, a seconda del contesto, questi criteri molto ampi LE SITUAZIONI E I RAPPORTI GIURIDICI Le regole creano un sistema che a sua volta determina dei rapporti tra i suoi consociati. Questi rapporti rientrano in particolari situazioni e danno luogo a particolari rapporti giuridici: situazioni attive (diritti soggettivi, poteri, facoltà) e passive (obblighi, oneri, soggezioni). Il diritto soggettivo E’ il potere attribuito dalla legge ad un soggetto di determinarsi liberamente in un certo ambito (proprietà: il diritto oggettivo astratto riconosce al proprietario di un certo bene il diritto soggettivo di fare cosa vuole con il stesso). E’ un insieme di pretese, facoltà, immunità e poteri riconosciuti al singolo per la soddisfazione di un suo interesse, secondo il suo libero apprezzamento. Può essere limitato dal diritto, per l’interesse di altri soggetti (immissioni) o del bene pubblico (stabilità idrogeologica dei terreni). Può essere: relativo, verso solo alcuni soggetti (diritto dell’obbligazione); assoluto, verso tutti (proprietà); diritti patrimoniali, hanno a che fare con i patrimoni di natura economica; diritti della personalità, riguardo alla persona; diritti disponibili, diritto collegato con aspetti che la legge riconosce come rinunciabili, alienabili, cambiabili (diritti patrimoniali); diritti indisponibili, a cui non si può rinunciare (diritti della personalità). Ci sono casi in cui nonostante diritti patrimoniali siano disponibili, diventano indisponibili: quando vogliamo difendere un diritto o un interesse superiore (es. diritti dei consumatori → diritti patrimoniali indisponibili; si protegge la categoria dei consumatori in generale e non solo il singolo individuo) Abuso del diritto: comportamento che, pur rientrando nei limiti del diritto, per circostanze, finalità o risultati crea danno irragionevole a un terzo o all’interesse generale. Le situazioni giuridiche Si suddivide in attive (diritti soggettivi, poteri, facoltà) e passive (obblighi, oneri, soggezioni). Le situazioni soggettive attive sono: diritto potestativo, potere di determinare, mediante un proprio atto di volontà, una modificazione nella sfera giuridica di un terzo (genitori con i figli); aspettativa, acquisto di un diritto, subordinato al verificarsi di un certo evento ( → non ho ancora un diritto, ma posso essere tutelato nell’aspettativa di veder maturare il diritto. es.: Un mio parente mi ha nominato erede, se vedo che qualcuno cerca di ledere il suo patrimonio, mentre lui ancora in vita, io posso tutelare il mio diritto/ interesse chiedendo atti tutelativi al giudice); facoltà, possibilità di tenere un determinato comportamento, non obbligatorio, che non esaurisce il diritto; potestà, potere attribuito nell’interesse altrui; status, complesso di situazioni giuridiche, attive e passive (status di consumatore). Le situazioni soggettive passive sono: dovere, divieto di tenere comportamenti lesivi di diritti soggettivi altrui, generalmente i diritti assoluti; obbligo, divieto di tenere comportamenti lesivi nei confronti di un determinato soggetto; soggezione, situazione che grava su chi è sottoposto a un diritto potestativo (quando devo subire le conseguenze di un diritto potestativo altrui); onere, comportamento, non obbligatorio, richiesto come presupposto per l’esercizio di un potere (se il comportamento non viene tenuto non è permesso l’esercizio di un determinato potere); responsabilità, situazione che grava su colui che ha commesso un illecito. Altre posizioni interesse legittimo, situazione del privato soggetto ad un potere della pubblica amministrazione (l’interesse che tutto vada secondo le norme dettate per il bene di tutti; es: io scopro che un concorso pubblico è truccato, posso avere l’interesse legittimo a far sì che venga ripetuto, non ho il diritto soggettivo di vincerlo); interesse collettivo, appartenenti ad un determinato gruppo di persone; interesse diffuso, appartenenti alla collettività (avere acqua pulita). Atti e fatti giuridici Fatto giuridico: qualsiasi accadimento. Atto giuridico: accadimenti causati dall’uomo. Dichiarazioni di volontà: ‘vuoi quella borsa?’. Dichiarazioni di scienza: si dice ciò che si conosce (testimonianza in tribunale). atti negoziali: vendo la borsa → negozio giuridico; atti non negoziali: matrimonio; atti patrimoniali: vendo la borsa → €; atti non patrimoniali: riconoscimento di un figlio; atti onerosi: impegno economico da entrambe le parti; atti gratuiti: atto economico solo da una parte (chi dona); atti tra vivi: donazione; atti a causa di morte: testamento; atti unilaterali; atti bilaterali; atti plurilaterali: più soggetti tra le due parti; atti collegiali: più soggetti esprimono una volontà univoca; atti validi; atti invalidi; atti leciti; atti illeciti: contrario alla legge (vendita cocaina); atti di autonomia privata: liberi → vendo la borsa; atti non autonomi: genitori costretti a iscrivere i figli a scuola → dettati dalla legge. Acquisto dei diritti a titolo originario: non è trasmesso da un altro soggetto → trovo i mirtilli nel bosco e li metto in tasca; a titolo derivato: compro i mirtilli da qualcuno; a titolo gratuito: regalo; a titolo oneroso: vendita; tra vivi; a causa di morte; universale: diritto successorio sull’intero complesso → erede di tutti i diritti positivi e negativi (crediti e debiti); particolare: non è sull’intero complesso patrimoniale ma solo su un elemento (casa). Perdita dei diritti Può avvenire per prescrizione estintiva, ovvero il titolare non lo esercita per un tot. di tempo, determinato, o per promulgata inerzia del titolare. Non si prescrivono il diritto di proprietà, i diritti indisponibili e le singole facoltà. La prescrizione La prescrizione inizia nel giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Il termine ordinario è di 10 anni, il termine speciale è di 20 anni (diritti reali sul bene altrui). La sospensione avviene per particolari circostanze (rapporti tra soggetti o condizioni soggettive del titolare). L’interruzione avviene con atti interruttivi del titolare o della controparte. La prescrizione inizia ex novo, cioè ricomincia da capo. Essa è inderogabile, non vi può dunque essere una rinuncia preventiva o una modifica dei termini. E’ successivamente rinunciabile e non è rilevabile d’ufficio. Prescrizione presuntiva (art. 2954, 2955, 2956): breve. La decadenza (art. 2964) si verifica quando il diritto non è stato esercitato entro il termine. Mancato esercizio del diritto entro il termine prestabilito. E’ inderogabile per i diritti indisponibili, e derogabile per i diritti disponibili. Decadenza convenzionale → stabilita dalle parti LA RESPONSABILITÀ CIVILE Si definisce responsabilità civile, o extracontrattuale (cioè che denota l’appartenenza di questo tipo di responsabilità ad un’area estranea a quella dei contratti), tutte quelle fattispecie in cui un soggetto, che non ha nessun obbligo nei confronti di un altro soggetto, è tenuto a dover risarcire questi. Si è in un ambito al di fuori di precedenti rapporti obbligatori. Si è in una situazione in cui i 2 o più soggetti non hanno alcun precedente rapporto obbligatorio. Il termine “responsabilità civile” è talvolta indicata anche come “responsabilità da fatto illecito”, in quanto è causata da un fatto illecito. Può essere definita anche come “responsabilità aquiliana” poiché tale tipo era disciplinata, ai tempi del diritto romano, da una legge ‘Lex aquilia’. Le funzioni della responsabilità civile Tradizionalmente si ripartiscono le funzioni in funzione: compensativa, cioè quella primaria per la responsabilità civile. Consiste nella funzione di risarcire i danni che il soggetto leso ha subito a causa dell’altro soggetto. Permette di ripristinare, a volte, la situazione antecedente all’evento dannoso, o comunque garantire un risarcimento alla parte danneggiata; preventiva, si fa riferimento all’efficacia che talora le norme in materia di responsabilità civile hanno nel prevenire i danni. Funzione di creare prevenzione/incentivazione all'affrontare dei sistemi idonei a prevenire quelli che sono i futuri danni, conseguenti a certe azioni; sanzionatoria, si ricollega di più a una riprovazione morale nei confronti della azioni lesive che causano un danno. Va a sanzionare/punire il soggetto agente per i danni causati, per il male che ha fatto, sia perché si è comportato male sia perchè il suo comportamento è sotto un aspetto morale riprovevole. Responsabilità civile obbligatoria e volontaria Parlando di responsabilità civile non si può dimenticare il ruolo importantissimo che svolge il sistema assicurativo, cioè i contratti di assicurazione. C’è spesso un sovrapporsi delle responsabilità nascenti dalle norme date dalla responsabilità civile, con le coperture previste per questa stessa responsabilità civile da parte di contratti di tipo assicurativo (il contratto assicurativo è un contratto oratorio che consente a un soggetto di assicurarsi riguardo a un evento futuro ed incerto, concernente una responsabilità civile propria - autoassicurarsi - o agli altri soggetti - eventuali danni che si possono creare a terzi). Spesso l’assicurazione nella situazione di responsabilità civile si presenta come un assicurazione obbligatoria → responsabilità civile nei confronti di terzi per la circolazione automobilistica. In altri casi l’assicurazione è volontaria, ovvero ci si può assicurare volontariamente per eventuali responsabilità civili in cui si possa incorrere (es. attività sportive, animale domestico). Non vi è un obbligo di legge, ma la funzione di assicurazione è sempre la stessa: quella di tutelare l’assicurato rispetto all’insorgere di eventuali responsabilità civili. La dottrina si è spesso chiesta quanto e come l’emergere del fenomeno assicurativo, ai fini di tutela del soggetto responsabile del risarcimento, possa aver fatto venir meno la funzione sanzionatoria e preventiva. In realtà recenti studi hanno dimostrato che, per quanto riguarda la prevenzione preventiva, il fatto che vi sia un’assicurazione non fa venir meno l’adozione da parte del responsabile del risarcimento dei danni di sistemi di prevenzione dell’eventuale danno. Per quanto riguarda la funzione sanzionatoria, è evidente che l’ampliarsi della tutela prevista dalle assicurazioni l’ha fatta certamente venir meno, per il semplice fatto che il soggetto civilmente responsabile non sarà più tenuto a risarcire di tasca sua i danni. Articolo 2043 c.c. - risarcimento per fatto illecito Quando parliamo di responsabilità civile dobbiamo parlare dell’art. 2043, cioè l’articolo cardine, il quale elenca gli elementi essenziali della responsabilità civile: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. I suoi elementi Si intende per “fatto” dannoso qualsiasi evento causato dall’uomo, non naturale. Il fatto può essere sempre solo un fatto commissivo o può essere anche omissivo? Ovvero, consiste sempre in un fare/agire o anche in un omettere di agire/non fare? Sì, è pacifico che sia fatti commissivi sia omissivi possono essere presupposto della fattispecie di cui art. 2043, e quindi consentire il risarcimento dei danni subiti da parte del danneggiato nei confronti del danneggiante. Mentre è pacifico che sempre i fatti commissivi siano causa di danni, per i fatti omissivi possono ritenersi tali solo in alcuni casi, ovvero in quei casi in cui il soggetto che ha omesso di agire era tenuto a farlo (in forza di una legge, di una sua obbligazione). L’omissione di agire da parte del soggetto responsabile, presunto responsabile del risarcimento del danno, presuppone l’esistenza di un obbligazione in suo capo di agire. Quando non vi sia questa obbligazione ad agire la semplice omissione del soggetto non vale a renderlo responsabile per il risarcimento dei danni. Altri elementi essenziali sono gli elementi psicologici, ovvero l’esistenza di colpa o dolo per ritenere il soggetto agente responsabile. La colpa può manifestarsi in 3 modalità diverse: negligenza, quando il soggetto non si comporta con le dovute cautele (es. non pone in essere la dovuta vigilanza); imperizia, quando il soggetto agente non è capace di compiere l’atto che ha causato il danno, non è in grado/non ha l’abilità (tecnica, manuale); imprudenza, quando il soggetto agente viola le norme di prudenza nell’esercitare una certa attività/nel porre in essere un certo atto. Tutte queste declinazioni della colpa hanno un elemento unificante, cioè quello in forza del quale il soggetto in situazione psicologica di colpa non voleva che si producesse l’evento lesivo che si è verificato. Fatto colposo: viola le prescrizioni/regole ma allo stesso tempo non voleva il verificarsi del danno. Questo differenzia il colposo dal doloso, in cui il soggetto voleva esattamente che si verificasse l’evento dannoso. Fatto doloso: nel danno c’è una volontà di creare la lesione che si è poi verificata. La responsabilità oggettiva Nella fattispecie di responsabilità oggettiva, la responsabilità del soggetto nasce semplicemente in quanto l’azione lesiva è riconducibile alla sfera di controllo dello stesso soggetto cui la responsabilità viene addebitata. Sostanzialmente, perché una certa responsabilità possa essere addebitata a un determinato soggetto è sufficiente che il danno sia emerso nello svolgimento di una certa attività. (es.: l’imprenditore è responsabile per i danni causati da suoi dipendenti, macchinari, prodotti, senza che sia necessario l’accertamento di un elemento soggettivo in capo a questi). Nei casi di responsabilità oggettiva la responsabilità del soggetto agente è esclusa solo quando si possa dimostrare l’esistenza del caso fortuito, cioè un caso/fatto estraneo alla sfera di azione del presunto responsabile di risarcimento, il quale fa venire meno qualsiasi responsabilità di questi. Articolo 2046 c.c. - imputabilità del fatto dannoso Per aver responsabilità civile è necessario, inoltre, che il soggetto agente sia in grado di intendere e di volere. Tale capacità è da riferirsi all’azione e alle sue conseguenze. I soggetti incapaci di intendere e di volere, di regola, non sono responsabili per i danni prodotti. La previsione è contenuta nell’art. 2046, che dice che non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere o di volere al momento dell’atto commesso, a meno che lo stato di incapacità derivi da una sua colpa, quindi, l’incapacità a cui ci si riferisce è un incapacità naturale, non legale. Per far si che la responsabilità del risarcimento venga esclusa ci deve essere un’incapacità naturale nel momento in cui la situazione è stata posta in essere. Inoltre, questo stato di incapacità non deve dipendere da colpa dello stesso incapace (es. ubriaco). Articolo 2047 c.c. - danno cagionato dall’incapace L’art. 2047 prevede che, in una serie di casi in cui i soggetti incapaci sono sottoposti alla sorveglianza di altri soggetti, vi sia la responsabilità dei sorveglianti. Qui la norma concerne soggetti la cui incapacità è stata dichiarata con un procedimento di interdizione, oppure soggetti che la stessa legge prevede siano legalmente incapaci (minori). Quindi la norma si riferisce a soggetti legalmente incapaci, i quali al momento in cui hanno posto in essere l’atto lesivo fossero altresì naturalmente incapaci di intendere e di volere. In questi casi è previsto che il risarcimento dei danni sia dovuto dal soggetto tenuto alla loro sorveglianza (genitore, tutore, curatore, maestro di sostegno). La stessa norma prevede che solo nei casi in cui il soggetto tenuto alla sorveglianza provi di non aver potuto impedire il fatto, questi è esente da responsabilità. E’ quindi una responsabilità abbastanza stringente perché non sempre è facilmente dimostrabile di non aver potuto impedire il fatto quando il fatto è stato commesso da un soggetto sottoposto alla propria sorveglianza. In ogni caso, il II comma dell’art. 2047 prevede che nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi era tenuto alla sorveglianza, il giudice, in considerazione delle situazioni economiche delle parti, può condannare l’autore del danno (danneggiante) a un'equa indennità → non è un risarcimento dei danni, che mira alla reintegrazione patrimoniale piena; si fa riferimento a una somma minore all’importo reale dei danni subiti. Confrontando i due articoli si può notare che il soggetto danneggiato da un soggetto naturalmente incapace, ma non sottoposto ad alcuna incapacità legale, non potrà avere nessun risarcimento o equo indennizzo. Articolo 2055 c.c. - responsabilità solidale Si deve ricordare che l’art. 2055 prevede la fattispecie in cui vi siano più soggetti che concorrono a causare il danno. Prevede una previsione solidale, ovvero tutti i responsabili del danno sono tenuti solidalmente a risarcire il danno. Ovvero, il danneggiato potrà domandare a ciascuno di essi, a chi preferisce, il risarcimento dell’intero danno e questi potrà poi rivalersi in regresso su tutti gli altri, proporzionalmente alla singola responsabilità di ciascuno. Questo sistema garantisce il creditore, il quale non verrà a subire eventuali incapacità di risarcire il danno da parte di uno o più dei vari soggetti che hanno concorso nel crearlo. Il danno Altro elemento della fattispecie della responsabilità civile è il danno. Perché si possa chiedere un risarcimento è necessario che l’azione del soggetto responsabile abbia causato un danno. Il danno si distingue tra patrimoniali e non patrimoniali. I danni patrimoniali sono tutti quei danni economici subiti dalla vittima, quindi lucro cessante e danno emergente. Il danno emergente sono le perdite economiche immediatamente conseguenti alla violazione posta in essere dal responsabile dell’azione illecita. Il lucro cessante sono le perdite conseguenti alla stessa violazione. I danni non patrimoniali (art. 2059) devono essere risarciti solo nei casi determinati dalla legge. Questa dizione è stata per lungo tempo considerata un riferimento esclusivamente alle norme penali, ovvero i danni non patrimoniali erano solo ed esclusivamente i danni morali che emergevano nel momento in cui l’atto illecito fosse previsto da una norma di legge penale, quale crimine penale. Solo in questi casi veniva in essere un danno risarcibile, a titolo di danno morale. Nel 1986 si iniziò a risarcire anche i danni biologici, cioè i danni alla vita e integrità fisica che sono stati ricostruiti partendo dall’art. 32 della Costituzione, il quale prevede il diritto all’integrità fisica. Da questo articolo la dottrina ha ricavato il diritto dei singoli individui ad avere diritto alla propria integrità fisica, diritto esarcibile quando essa venisse violata. Attualmente, la dottrina e parte della giurisprudenza ha iniziato a parlare di danni esistenziali. I danni esistenziali sono tutti quei danni riconducibili alla sfera di vita di un soggetto. Non sono danni morali, biologici o fisici, ma è la modificazione che il danno causato dall’illecito civile causa alla vita di un certo soggetto (es. investo un calciatore, il quale non può più giocare per paralisi). Nel 2008 si è affermato che le tipologie di danni potevano essere ricondotte solo a 2 grosse categorie: patrimoniali e non. Sostanzialmente, il danno patrimoniale può essere risarcito in tutti i casi previsti dalla legge oppure quando il danno sia la conseguenza della violazione di diritti costituzionalmente tutelati. In pratica, la giurisprudenza ha cercato di ricondurre questi danni non patrimoniali a precise norme di legge o a diritti costituzionalmente garantiti. Molte norme recenti, come la privacy, hanno stabilito precisi risarcimenti in caso di violazione dei diritti del singolo stabiliti nella stessa legislazione. Quindi, nel tempo si è accumulato un corpus legislativo più ampio a quello del codice del 1942. Il danno causato, oltre che esistente, deve essere un danno ingiusto. Si dice ‘ingiusto’ perché deve essere un danno contro il diritto. Per poter avere un danno risarcibile, il danno creato deve essere lesivo di diritti del soggetto vittima di tale danno. Come si stabilisce se è ingiusto? Vi è una disciplina legislativa che prevede che il soggetto abbia certi diritti. In ogni caso, si deve porre in rilievo che quando non vi sia esplicitamente una disciplina che proibisce certi comportamenti, o la violazione di certi diritti, i giudici procedono all’accertamento dell’ingiustizia del danno a mezzo di valutazioni comparative degli interessi in gioco, e a mezzo di principi generali. Il nesso di causalità e cause di esclusione alla responsabilità Il nesso di causalità è quel legame che c’è tra l’azione del soggetto agente e l’evento lesivo che fa in modo che si possa ricollegare al soggetto agente la causazione dell’evento lesivo, quindi del danno, e quindi imputare a questi il risarcimento del danno. In pratica, il soggetto agente può essere responsabile del risarcimento solo se ha davvero causato il danno. Ma, individuare se il danno è stato causato solo ed esclusivamente, oppure in generale, dalla sua azione non è sempre così facile ed evidente. Innanzitutto, bisogna distinguere tra la causalità materiale e la causalità giuridica. Per causalità materiale si intende quel legame fisico tra una certa azione e un certo evento lesivo, il quale causa il ‘danno evento’. (M investe L → evento legato alla rottura della gamba di L). Per causalità giuridica si intende quando si vuole riconnettere a una certa azione una serie di conseguenze diverse che siano ricollegabili a tale azione e che scaturiscono dal danno evento. In questo caso si parla di ‘danni conseguenza’. (M investe L --> M dovrà risarcire la bici, la gamba rotta, il non poter lavorare di L ecc). Il diritto ritiene che il soggetto debba risarcire tutti i danni conseguenza dovuti dall’azione colposa. Non sempre è facile capire quando c’è un nesso causale tra una certa azione e un certo evento lesivo. Ad esempio, quando vi sia un fatto sopravvenuto, che può determinare un peggioramento del danno emerso, è spesso molto difficile valutare come valutare tale evento sopravvenuto. Vi sono anche fattispecie a causalità indeterminata, cioè fattispecie in cui vi sia una pluralità di possibili agenti che possono avere causato lo stesso evento lesivo. Non ci sono quindi delle regole fisse e definitive per accertare l’esistenza di un rapporto causale, anche se spesso la dottrina fa ricorso al criterio della causalità adeguata. La causalità adeguata è un adeguamento/miglioramento delle vecchie regole che all’inizio erano state fissate per accertare il rapporto di causalità. Nella vecchia regola si riteneva che si potevano addebitare al soggetto agente tutte quelle conseguenze che fossero comunque derivate dalla sua azione o omissione; si faceva un ragionamento controfattuale e si toglieva dalla sequenza temporale l’azione o l’omissione del soggetto agente, se togliendo questo ragionamento controfattuale l’evento non sarebbe verificato, si riteneva che l’evento non era da addebitarsi al soggetto. Successivamente si è ritenuto che questa regola fosse troppo rigida e severa e, attualmente, si utilizza la regola della causalità adeguata. La causalità adeguata è una regola che integra in sé anche una parte predittiva perché si attribuisce la responsabilità al soggetto agente per tutte quelle conseguenze che al momento in cui fu posto in essere una certa azione era prevedibile si potrebbero verificare. (Se M avesse potuto prevedere che investendo L avrebbe potuto causargli la morte, allora si può ritenere che a questi è addebitabile anche la morte). Altro elemento per l’accertamento del rapporto causale è che normalmente la giurisprudenza ritiene che condizioni preesistenti di debolezza o che avrebbero comunque comportato un aggravamento, o conseguenze più gravi di quanto normalmente non avvenga, non vengono tenute in considerazione. Le cause di giustificazione Le cause di giustificazione sono quelle fattispecie in cui è esclusa la responsabilità del soggetto agente perché esistono/vi sono degli elementi nella fattispecie che fanno venir meno la sua colpevolezza. Due cause di giustificazione arrivano dal diritto penale: legittima difesa, riguarda quei danni causati dal soggetto per difendere sé od altri nei confronti di aggressioni/danni che possono essere causati da soggetti terzi (art. 2044 c.c.); stato necessità, quando non vi sia un'aggressione da parte di un altro soggetto ma vi sia comunque un pericolo attuale (veramente esistente e vicino) di un danno grave alla persona. Si deve evitare un danno grave alla propria persona o ad altri. E’ applicabile purché il pericolo in cui il soggetto incorre non sia stato da lui volontariamente causato o non fosse altrimenti evitabile (art. 2045 c.c.). Mentre nel caso di legittima difesa nulla è dovuto, nel caso di stato necessità l’art. 2045 prevede comunque che al danneggiato sia data una indennità rimessa all’equo apprezzamento del giudice. A queste due cause di giustificazione codicistiche (previste dal codice) si aggiunge poi, per elaborazione dottrinale giurisprudenziale, la causa di giustificazione del consenso degli aventi diritto, cioè tutte quelle fattispecie in cui è lo stesso soggetto leso che aveva acconsentito all’eventualità che si potesse verificare una lesione (es. attività sportiva). E’ un consenso preventivo che fa venir meno i presupposti per poter domandare il risarcimento del danno. La responsabilità vicaria e oggettiva Un caso di responsabilità vicaria è già stato osservato nel caso della responsabilità dei genitori/tutori/curatori, in cui un soggetto legalmente incapace avesse posto in essere un atto lesivo in uno stato di naturale incapacità di intendere e di volere (art. 2047). Articolo 2048 c.c. - responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte L’art. 2048 prevede la responsabilità vicaria dei genitori, dei tutori, degli insegnanti e di tutti coloro che si prendono cura dei minori. Per quanto riguarda i genitori e i tutori, l’articolo prevede che questi siano vicariamente responsabili per i danni causati dai loro figli minori non emancipati che abitano con essi. Per quanto riguarda gli insegnati/educatori, questi sono responsabili per gli atti illeciti compiuti dai minori/allievi/apprendisti nel tempo in cui sono sottoposti alla loro vigilanza. La responsabilità vicaria dei genitori/tutori è temporalmente più ampia rispetto a quella degli insegnanti. A quali tipologie si riferisce tale articolo? Si riferisce a quelle fattispecie in cui il soggetto è legalmente incapace ma è naturalmente capace di intendere e di volere con riguardo all’atto lesivo posto in essere. In questi casi accade che il genitore/tutore/insegnante è responsabile per i danni causati dal minore sottoposto alle sue cure, salvo il caso in cui questi prova di non aver potuto impedire il fatto → offrire la prova liberatoria dell’impossibilità di impedire il fatto lesivo. Questa prova liberatoria è spesso molto severa, per cui certi autori hanno ritenuto che tale articolo si trasformi in una norma di responsabilità oggettiva, perché richiede al genitore/tutore di provare di non poter impedire il fatto quando il fatto è già stato compiuto. Articolo 2049 c.c. - responsabilità dei padroni e dei committenti L’art. 2049 prevede una responsabilità oggettiva. L’articolo ritiene che il datore di lavoro sia sempre responsabile per il pagamento dei danni causati dai fatti illeciti dei propri collaboratori, purché questi fatti illeciti siano commessi nell’esercizio della loro incombenze. E’ molto semplice individuare chi siano i collaboratori del datore di lavoro, ove rientrano i lavoratori dipendenti e i soggetti di cui si serve per l’esercizio della sua attività imprenditoriale. Più complicato può essere definire quale sia l’ambito dell'esercizio delle loro incombenze, ovvero se la responsabilità vicaria oggettiva del datore di lavoro copra solo il periodo in cui il lavoratore effettivamente presta il suo lavoro a favore del datore, oppure ambiti anche più ampi, in cui il lavoro svolto per il datore sia un’occasione per commettere l’atto illecito. La responsabilità oggettiva è collegata non al compimento di atti con colpa o dolo, ma semplicemente all’esercizio di una certa attività all’interno di una certa sfera di azione. Articolo 2051 c.c. - danno cagionato da cosa in custodia L’art. 2051 disciplina le fattispecie in cui il danno sia causato da una cosa. Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito, cioè che provi che un evento esterno, da lui indipendente e non prevedibile, causi il danno. In questo caso, la responsabilità per il danno creato da cose/beni, è addossato a colui che ha in custodia il bene. In pratica, non è importante che il soggetto responsabile sia proprietario, possessore o detentore, non importa che titolo. Vi è un rapporto fisico tra il soggetto che detiene il bene e il bene stesso. L’importante è che ci sia un rapporto di custodia. Articolo 2052 c.c. - danno cagionato da animali L’art. 2052 si riferisce alla responsabilità di coloro che detengono animali che causano un danno. In questo caso, l’eventuale danno causato dall’animale è addossato o al proprietario o a chi se ne serve per il tempo in cui è avvenuto il fatto. Ne è responsabile sia che esso fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito. Anche in questo caso, la responsabilità è esclusa nel caso in cui il proprietario/chi si serviva dell’animale prova il caso fortuito. Articolo 2053 c.c. - rovina di edificio Altra fattispecie in cui vi sia una responsabilità civile collegata alla situazione di titolo di proprietà su un bene è la situazione in cui si prevede che il proprietario di un edificio, o altra costruzione, sia responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina/cedimento/rottura. Anch’esso prevede che la responsabilità possa venir meno se questi dimostra che questa rovina dell’edificio non è causata nè da un difetto di costruzione, né da un difetto di manutenzione. I casi in cui il proprietario dell’edificio non sarà responsabile per i danni saranno quelli in cui eventi esterni, a cui lui non poteva opporre nessuna resistenza, causano la rovina degli edifici (es. sbattere di un camion contro una casa, la quale cade). Un altro caso di responsabilità, vicina a quella oggettiva, è quella per l’esercizio di attività pericolose. In questo caso, la responsabilità è addossata a colui che esercita attività pericolose (pericolose per la natura dell’attività stessa o per la natura dei mezzi adoperati), salvo che provi di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno. Il fatto che il danno abbia già avuto luogo rende difficile dimostrare che, in realtà, le misure idonee erano state adottate per evitare il danno. Articolo 2054 c.c. - circolazione dei veicoli Una norma molto utilizzata per l’ampio numero di veicoli in circolazione è l’art. 2054. Distingue tra la responsabilità del conducente e la responsabilità del proprietario del veicolo. La norma si riferisce ai veicoli senza guida di rotaie. La prima responsabilità individuata (I comma) è quella del conducente del veicolo, il quale è obbligato a risarcire il danno prodotto sia a persone che a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Il II comma prevede che, qualora 2 veicoli si scontrino, vi sia una presunzione, salvo prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia ugualmente concorso a produrre il danno subito ai singoli veicoli. Spetterà poi ai guidatori far valere la propria versione. L’ultima norma prevede che il proprietario del veicolo/l'usufruttuario sia responsabile in solido (responsabilità solidale) con il conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà. Vi è sempre una responsabilità oggettiva del proprietario del veicolo per il solo fatto che ne è proprietario, anche se non ne era conducente al momento del danno, salvo che provi la sua non volontà (es. auto rubata). L’ultimo comma prevede che sia il proprietario che il conducente siano responsabili dei danni causati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione. La responsabilità da prodotto La responsabilità da prodotto (mobile) è una fattispecie moderna, in quanto solo con l’emergere della produzione dei beni di massa è emersa la necessità di una tutelare i consumatori da prodotti che causano dei danni. Tale articolo richiede che l’acquirente dimostri che vi era un vizio nel bene e la mancata conoscenza di esso dipendesse da colpa del venditore. Il compratore, il quale ritenga di essere stato danneggiato da un prodotto mobile, può richiedere il risarcimento del danno, danno conseguente dall’uso del prodotto. La disciplina prevede una serie di casi in cui il produttore può dimostrare la sua mancata responsabilità. E’ una disciplina molto stringente perché prevede solo il risarcimento dei danni patrimoniali, e in maniera molto limitato quelli non patrimoniali. Il risarcimento dei danni extracontrattuali I danni che possono essere risarciti sono quelli patrimoniali e non patrimoniali, cioè economici e non. Tra i danni patrimoniali possono essere risarciti sia il danno emergente che il lucro cessante, ovvero sia i danni economici causati immediatamente dall’atto lesivo, sia le future perdite di guadagno. Il danno non patrimoniale deve essere risarcito come un’unica voce di risarcimento, la quale comprenda sotto di sé le diverse voci di danno biologico, morale, esistenziale ecc. Si deve ricordare che ultimamente, siccome si sono rilevate delle forti discrepanze tra le diverse corti nel risarcimento dei danni non patrimoniali (perchè difficilmente quantificabili), sono state emanate delle tabelle in cui si fissa l’ammontare massimo di danno risarcibile. Il danno risarcibile sarà sempre il danno patrimoniale e, qualora ne occorra l’eventualità, anche il danno non patrimoniale ricorrendo alle tabelle, se esistenti, o a una valutazione del giudice. Articolo 1227 c.c. - concorso del fatto colposo del creditore Per quanto riguarda il risarcimento dei danni extracontrattuali, è applicabile a questo risarcimento la disposizione dell’art. 1227, il quale prevede che il fatto colposo del creditore, che ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento sia diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Sostanzialmente prevede il concorso del danneggiato nel causare il danno. La norma prevede l’obbligazione del danneggiato di adoperarsi affinché i danni subiti siano limitati. “Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.” E’ vero che colui che ha commesso l’atto lesivo è tenuto a sostenere tutti i danni conseguenti, ma il soggetto leso è comunque a sua volta tenuto a cercare di limitare, per quanto possibile, le conseguenze ulteriori. Un problema che si pone al diritto è: fino a che punto il danno subito dalla vittima può essere risarcito? Normalmente, si ritiene che sia risarcibile il danno che è la prevedibile conseguenza dell’atto lesivo posto in essere. Ma ci si accorge che questo principio non è poi così saldo e sempre seguito. Un’altra regola in materia di risarcimento è quella che vieta che il soggetto danneggiato si possa arricchire in conseguenza del danno subito. Come si risarcisce il danno? Il danno si può risarcire sia in forma equivalente, ossia pecuniario/monetario, sia in forma specifica. L’art. 2058 dice infatti che in primis, se possibile, il risarcimento va fatto in forma specifica, cioè sarà cura del danneggiante riportare il bene lesionato nella situazione precedente. Spesso la riparazione in forma specifica può essere più costosa del risarcimento pecuniario. Per cui, il codice dice che la specifica può avvenire se possibile e se non è eccessivamente onerosa per il danneggiante. Vi sarà dunque una valutazione comparativa posta sull’onere del danneggiante e del valore effettivo del bene per verificare se si può richiedere il risarcimento in forma specifica, se questo non è possibile si farà una riparazione per equivalente → si valuterà il valore del danno causato e si risarcirà il danno patrimoniale. La responsabilità extracontrattuale impone sul danneggiato l’onere della prova sia del rapporto di causalità, sia nell’esistenza di un danno, sia della colpa o del dolo della controparte se richiesta. E’ una prova molto più difficile rispetto a quella che si richieda nella responsabilità contrattuale, ove è sufficiente che la parte del contratto adempiente dimostri che l’altra parte è inadempiente e che gli ha subito un danno (quindi non deve dimostrare né un profilo soggettivo di colpa o dolo, né il rapporto di causalità). Invece, nell’extracontrattuale è richiesto che chi vuole il risarcimento del danno deve provare tutti i presupposti richiesti dall’art. 2043, o dei vari articoli specifici. Inoltre, vi è una differenza tra responsabilità extracontrattuale e contrattuale in termini di prescrizione. In materia contrattuale, la prescrizione è di 10 anni. → vantaggio In materia extracontrattuale, la prescrizione è di soli 5 anni. Ciò non toglie che comunque sia consentito il cumulo delle 2 azioni, ovvero sia consentito che il soggetto agisca sia con l’azione contrattuale che extracontrattuale congiuntamente. LE PERSONE FISICHE Capacità giuridica e capacità di agire capacità giuridica: capacità di essere titolari di situazioni giuridiche; capacità di agire: capacità di compiere atti giuridici, di disporre dei propri diritti. Sia la capacità giuridica che la capacità di agire possono essere sottoposte a limitazioni. Le persone fisiche acquistano la capacità giuridica al momento della nascita (art. 1/I c.c.). Il concepito non ancora nato è tuttavia titolare di certi diritti (art. 1/II c.c.). La capacità di agire gli acquista a 18 anni (art. 2 c.c.). In certi casi può venire meno, quando il soggetto non è in grado di provvedere ai propri interessi = incapacità di agire. Diritti della personalità e libertà civili Diritto al nome e allo pseudonimo (art. 9 c.c.); Diritto all’integrità fisica (art 32 Cost. e 5 c.c); Diritto alle libertà di movimento Diritto alla libertà di religione, di parola, di opinioni politiche (artt. 19,21,22 Cost.); Diritto all’onore Diritto alla verità personale Diritto alla riservatezza della vita privata Residenza, domicilio, dimora Le persone giuridiche possono trovarsi in luoghi diversi: residenza: luogo in cui la persona ha la dimora abituale (art. 43/II c.c.). Ha anche una valenza amministrativa, cioè è iscritto nelle leggi comunali; domicilio: luogo dove la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi (art, 43/I c.c.). [es. luogo in cui la persona lavora regolarmente]; dimora: luogo in cui la persona si trova in un certo periodo. [es. vacanze: hotel] La cittadinanza, legge 91/1992 La cittadinanza si acquista per: nascita da cittadini italiani; nascita sul suolo italiano da cittadini ignoti (non si conosce l’identità) o apolidi (privi di cittadinanza); adozione; matrimonio (dopo 6 mesi di residenza sul territorio italiano e 3 anni dal matrimonio); beneficio di legge (concessa in forza di particolari servigi fatti dal cittadino straniero); naturalizzazione (dopo un certo periodo sul territorio italiano, si presenta la domanda di cittadinanza). In Italia, si può avere più di una cittadinanza: doppia cittadinanza (es. essere cittadini italiani e cittadini tedeschi). Oltre alla cittadinanza italiana i cittadini hanno, in automatico, la cittadinanza europea la quale consente una serie di diritti e doveri (es. in un luogo privo di ambasciate italiane, ci si può rivolgere a qualsiasi ambasciata europea). La cittadinanza si perde: impiego pubblico, carica pubblica, servizio militare per uno stato estero; rinuncia a cittadinanza di chi ha cittadinanza straniera e risiede all’estero. Può rinunciare alla cittadinanza solo colui che ha già una cittadinanza straniera e risiede all’estero, in quanto non è consentito rinunciare alla cittadinanza diventando apolidi. Lo straniero ha capacità di diritto privato, quindi può concludere contratti/matrimoni/donazioni/testamenti, ma non di diritto pubblico, ovvero partecipare alle elezioni in Italia (né attivamente nè passivamente). Coloro che sono stranieri ma appartengono all’UE hanno diritto di partecipare alle elezioni locali (es. votare per il consiglio comunale nel quale sono residenti). Lo straniero ha diritti fondamentali e inviolabili. L’incapacità di agire La capacità di agire consiste nella possibilità di disporre dei propri diritti e si acquista al compimento dei 18 anni (art. 2 c.c.). In certi casi essa può venire meno, quando il soggetto non è in grado di provvedere ai propri interessi in modo autonomo. In tali casi si parla di incapacità di agire. Con riferimento alla sua natura l’incapacità di agire si distingue in: legale, vi sono specifiche norme che prevedono che il soggetto è incapace di agire (minore); giudiziale, quando una sentenza (giudice) privi un soggetto della sua capacità di agire; naturale, quando un soggetto è legalmente capace di agire ma in quel momento era naturalmente incapace di intendere e di volere. Con riferimento ai suoi effetti, si distingue in: relativa, comporta che il soggetto non può porre in essere atti di amministrazione straordinaria (tutti quegli atti che comportano una modificazione del patrimonio, in termini quantitativi e qualitativi → vendo qualcosa e con i soldi compro delle azioni) senza il supporto di certi soggetti, cui compito è quello di supportare o sostituire il soggetto incapace; assoluta, non può porre in essere né atti di ordinaria amministrazione (atti quotidiani della vita) né di straordinaria amministrazione. Le incapacità di protezione Si parla di essa quando l’incapacità della persona fisica è posta in tutela della stessa, vi sono vari casi: Minori di età (art. 2 c.c.), si presume che non siano in grado di provvedere alle proprie esigenze; Minori emancipati (art. 390 c.c.), minori che per particolari esigenze sono stati dichiarati emancipati dal giudice, ovvero dispongono di una maggiore capacità di agire rispetto agli altri minori; Minori emancipati autorizzati a continuare l’attività di impresa commerciale (art. 397 c.c.), [es. continuare l’attività del padre morto]. Può compiere atti di ordinaria e straordinaria amministrazione; Interdetti giudiziali, per abituale infermità di mente (art. 414 c.c.), il giudice emana una sentenza di interdizione del soggetto. Soggetti che non riescono a provvedere a se stessi; Inabilitati giudiziali, per abituale infermità di mente, prodigalità (non in grado di conservare il proprio patrimonio, regalando o donando), abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti, sordo muto e cieco dalla nascita che non abbiano ricevuto sufficiente educazione (art. 415 c.c.), il giudice emana una sentenza di inabilitazione, possono porre in essere atti di ordinaria amministrazione ma non di straordinaria; L’amministrazione di sostegno, per impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi a causa di un'infermità o di una menomazione fisica o psichica (art. 404 c.c.). Altre incapacità legali Previste non dal giudice ma direttamente dalla legge: interdizione legale per condanna a più di 5 anni di reclusione (art. 32 c.p.), non gli è permesso di gestire il proprio patrimonio; fallito, non gli è permesso di amministrare i suoi beni. L’incapacità assoluta Riguarda sia gli atti di ordinaria (vita quotidiana) che di straordinaria amministrazione (modificano la consistenza o le caratteristiche del patrimonio). I soggetti in stato di incapacità assoluta sono: minori: provvede il genitore o tutore; interdetti: provvede il tutore. L’incapacità relativa Si trova in tale situazione il soggetto che non può compiere atti di straordinaria amministrazione ma può porre in essere atti di ordinaria amministrazione. I soggetti in stato di incapacità relativa sono: minore emancipato e l'inabilitato, devono essere assistiti dal curatore negli atti di straordinaria amministrazione. Possono essere autorizzati a esercitare o continuare esercizio attività commerciale. la persona soggetta ad amministrazione di sostegno, però può compiere certi atti, determinati dal giudice, solo con l’assistenza dell’amministratore. L’incapacità naturale Incapacità di intendere e volere in un soggetto che non sia legalmente incapace. E’ uno stato transitorio, non ufficialmente documentato. (es. stupefacenti) Cessazione dell’incapacità acquisto maggiore età; guarigione (interdetti e inabilitati); riacquisto piena capacità di agire (sottoposti ad amministrazione di sostegno). Conseguenze inosservanza regole su atti degli incapaci Nel caso degli incapaci legali, l’atto negoziale è annullabile, su domanda della parte lesa, in quanto si presume che tale atto sia pregiudizievole per l’incapace. L’atto è posto a tutela dell’incapace, pertanto non è annullabile se posto in essere da minore che con i raggiri ha occultato la sua minore età. Il raggiro non consiste nella mera dichiarazione del minore di aver raggiunto la maggiore età ma consiste nel porre in essere veri e propri atti ingannevoli (es. documenti falsi). Le conseguenze degli incapaci naturali in merito a: atto personale (donazione, testamento, matrimonio), sarà sempre annullabile; atto unilaterale, sarà annullabile solo se ha recato un grave pregiudizio alla persona che era incapace nel momento in cui ha posto in esse l’atto (remissione di un debito); contratto, sarà annullabile solo se c’è grave pregiudizio per la persona che l’ha posto in essere e se l'altro contraente era in malafede. La fine della persona fisica Si ha con la morte, L. 578/1993 “cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”. In Italia vi sono varie norme su prelievo di organi a fini di trapianto, questa disciplina permette ai soggetti deceduti di essere espiantati a favore di soggetti che stanno aspettando un trapianto di organo → il consenso viene ormai considerato ‘automatico’, di default, a meno che non ci sia una dichiarazione che ne specifichi il contrario. Quando due o più soggetti della stessa famiglia, per il quale ci sia un interesse stabilito, muoiano insieme si presume che siano morti nello stesso momento (es. schianto aereo) → Presunzione di commorienza quando non si riesca a stabilire l’ordine cronologico dei decessi (quando due persone della sua famiglia muoiono nello stesso evento si presume che siano morti nello stesso momento, se non si riesce a stabilire un ordine cronologico diverso). Scomparsa, assenza, morte presunta scomparsa: allontanamento dall’ultimo domicilio senza che se ne abbiano più notizie - nomina di curatore che si prenderà cura dei beni lasciati dallo scomparso, li amministrerà ma non potrà venderli; assenza: trascorsi 2 anni dall’ultima notizia - immissione degli eredi nel possesso temporaneo dei beni, possono goderne ma non possono disporne; morte presunta: trascorsi 10 anni dall’ultima notizia - immissione degli eredi nei beni (possesso dei beni del presunto morto) e nuovo matrimonio del coniuge. Qualora l’assente torni, tornerà in possesso di tutti i suoi beni, non potrà però domandare agli eredi i frutti fino a quel momento percepiti. Se il presunto morto torna successivamente all’immissione dei soggetti nei beni, potrà recuperare i beni solo nello stato in cui si trovano. Quindi, se gli eredi hanno venduto i suoi beni e usato in parte il patrimonio, lui potrà entrare in possesso solo di ciò che è rimasto. Il coniuge, nel caso in cui abbia concluso un nuovo matrimonio, quest'ultimo sarà dichiarato nullo perché viene a mancare il requisito di libertà di stato e tornerà in vigore il vecchio matrimonio. I figli nati dal secondo matrimonio saranno comunque considerati figli legittimi. LE PERSONE GIURIDICHE Le persone giuridiche sono l’opposto delle persone fisiche, in quanto non esistono in natura ma sono delle figure inventate dal diritto per degli scopi di tutela delle persone fisiche rispetto a certi rischi in cui si può incorrere quando si esercitano delle attività di tipo commerciale (nasce nel 1400, apertura dei commerci). Sono anche chiamate ‘organizzazioni’ e sono considerate soggetti di diritto. Essendo delle persone inventate e non persone vere e proprie, non possono essere parte di rapporti che presuppongono le qualità delle persone fisiche (matrimonio, adozione). Possono però essere penalmente responsabili (D.lgs 231/2001), in quanto negli ultimi anni si è assistito a un continuo mutamento delle tipologie di sanzioni penali erogate (soprattutto di tipo economico), quindi le persone giuridiche possono essere sottoposte a sanzioni penali economiche. Elementi essenziali Gli elementi essenziali per essere considerati persone giuridiche sono: denominazione, avere un nome per poter essere riconosciute; nazionalità, a secondo di essa si è sottoposti a legislazioni diverse; sede, corrisponde al domicilio/residenza della persona fisica; atto costitutivo, non è obbligatorio che sia redatto per iscritto o da un notaio, però è necessario che contenga il nome, la nazionalità, la sede e le regole di funzionamento; statuto (solo eventuale), si affianca all’atto costitutivo, disciplina con maggiore precisione le regole di funzionamento. Capacità di agire Le persone giuridiche non possono agire autonomamente, agiscono attraverso propri organi, individuali o collegiali (persone fisiche). Quando l’organo è collegiale la regola che si utilizza è la regola del principio di maggioranza, ovvero la maggioranza dei partecipanti all’organo decide/sceglie; non sempre sono così semplici, perché i criteri su cui si basa la maggioranza possono essere diversi. Deliberazione assunta sulla base dei voti. Tipologie di persone giuridiche pubbliche/private, emanazione di poteri pubblici (Università, comune)/emanazione di soggetti privati (associazione, società); associative o corporazioni, in cui prevale l’elemento associativo (associazioni e società), in cui il massimo del rilievo è attribuito all’elemento associativo; non associative o istituzioni, in cui prevale l’elemento materiale (fondazioni); con scopo/senza scopo di lucro o profitto, si prefiggono o no dei guadagni; con/senza personalità giuridica, conferisce o no una serie di ulteriori attribuzioni alla persona giuridica. L’autonomia patrimoniale L’autonomia è il modo attraverso il quale si raggiunge il primo scopo della persona giuridica: tener distinti i patrimoni. Comporta una distinzione tra il patrimonio della persona giuridica e quello dei suoi partecipanti. Vi è una limitazione della responsabilità delle persone fisiche che partecipano all’organizzazione. Vi sono 2 tipi di autonomia patrimoniale: perfetta, nei casi delle persone giuridiche con personalità giuridica. Consiste nella separazione dei patrimoni della persona giuridica da quella dei suoi partecipanti (persone fisiche); imperfetta nei casi delle persone giuridiche senza personalità giuridica. In questi casi, la persona giuridica non sarà responsabile dei debiti contratti dalle persone fisiche che ne fanno parte, ma le persone fisiche che ne fanno parte saranno responsabili per i debiti contratti dalla persona giuridica. L’acquisto della personalità giuridica persone giuridiche pubbliche: istituzione per legge, nel momento in cui si istituisce; persone giuridiche private con scopo di profitto: iscrizione nel registro delle imprese, tenuto presso le Camere di Commercio. Tutte le informazioni sono disponibili al pubblico, garantendo ai terzi di conoscere determinati elementi della persona giuridica che gli consentono di agire nei confronti della stessa sulla base di certe conoscenze; persone giuridiche private senza scopo di profitto: iscrizione nel registro delle persone giuridiche (prefetture, regioni o province autonome), tenuto nella Prefettura o la Regione o Provincia autonoma, dipende dagli scopi. Tale iscrizione è subordinata a determinati presupposti; presupposto: condizioni previste da norme di legge, scopo possibile e lecito, patrimonio adeguato allo scopo; persone giuridiche private appartenenti al Terzo settore: iscrizione nel Registro Unico nazionale del Terzo settore, in questo caso vi deve essere il notaio; il notaio deve redigere l’atto costitutivo, controllare la legalità dello statuto, patrimonio minimo (15’000€ per associazioni e 30’000€ per fondazioni) e iscrivere ente. Le associazioni Sono persone giuridiche caratterizzate dal fatto che l'elemento più importante è l’elemento personale, ovvero il fatto che più di due persone si uniscono in un’associazione per perseguire uno scopo comune. Le associazioni sono delle persone giuridiche non aventi scopo di lucro, lo scopo è perseguire gli interessi individuali o collettivi dei soggetti che vi appartengono. Sono costituite con un atto costitutivo, che può essere anche un atto orale. Deve essere redatto in forma scritta e pubblica quando l’associazione voglia ottenere la personalità giuridica. Lo statuto non sempre è necessario, serve quando l’associazione è molto grande. Gli organi dell’associazione sono 2: l’assemblea degli associati e gli amministratori. scopo comune; atto costitutivo e statuto (art. 16 c.c.); divieto di associazioni criminali, politico-militari e segrete (art.18/II Cost.); forma pubblica per ottenere personalità giuridica; assemblea associati, tutti i soggetti che fanno parte dell’associazione, tutti con gli stessi doveri e diritti (principio di parità); amministratori, agiscono in nome/per conto dell’organizzazione. Possono essere nominati in conformità dello stato dell’atto costitutivo, possono essere eletti dell’assemblea degli associati e sono gli unici che possono esprimersi in nome e per conto dell’associazione verso l’esterno. Le associazioni riconosciute Acquistano personalità giuridica dopo l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche, regionale o nazionale. L’iscrizione al registro persone giuridiche assolve anche una funzione di pubblicità, cioè consente ai terzi di conoscere le informazioni dell’associazione. Si acquisisce l’autonomia patrimoniale perfetta, i debiti dei singoli associati non saranno debiti dell'associazione e viceversa. Si ha un patrimonio dell’associazione. Le associazioni non riconosciute Non hanno personalità giuridica (sindacati). Non sono soggette a pubblicità e controlli amministrativi, ciò comporta una minore tutela dei terzi che entrano in contatto con queste. Autonomia patrimoniale imperfetta (art. 38), l’associazione non sarà responsabile per i debiti degli associati ma gli associati saranno responsabili solidalmente per i debiti contratti dall’associazione. Gli associati in pratica Possono essere esclusi solo per gravi motivi, deve aver posto in essere un comportamento gravemente lesivo dello statuto, dell’atto costitutivo, dei principi dell’associazione/giuridici. L’associato può fare ricorso verso tale esclusione, però il giudice dovrà limitarsi a verificare se esclusione sia conforme allo statuto e se davvero esistono i fatti addebitati. L’associazione può rifiutare l’iscrizione di un nuovo associato, con giudizio insindacabile da parte dell’autorità giudiziaria, ovvero non si può ricorrere al giudice. L’estinzione dell’associazione deliberazione dell’assemblea degli associati, non hanno più interesse di perseguire gli scopi dell’associazione; verificarsi di una delle cause previste nello statuto: “cause dell’estinzione dello statuto”; raggiungimento dello scopo; venire meno di tutti gli associati, l'associazione con un solo associato non ha senso di esistere; Per estinguersi, deve passare un periodo di liquidazione, quindi: nomina dei liquidatori, che hanno il compito di condurre l’associazione lungo il processo di liquidazione; pagamento debiti, riscossione crediti; → l’associazione è dichiarata estinta eventuali beni o somme residue devono essere devolute secondo statuto o atto costitutivo o volontà assemblea, o attribuiti da pubblica amministrazione ad enti con fini analoghi. Le fondazioni Sono delle persone giuridiche in cui l’elemento rilevante è il patrimonio. Infatti, sono create da uno o più soggetti che destinano un certo patrimonio a un determinato scopo. Tale patrimonio può essere donato con un atto pubblico tra vivi (donazione) o con un atto a causa di morte (testamento) (art. 14 c.c.). In questo caso, siccome spesso sono coinvolti dei patrimoni assai rilevanti, e questi patrimoni sono gestiti da amministrazioni con non molti controlli esterni, non esistono fondazioni non riconosciute. La fondazione nasce non con l’atto pubblico tra vivi o con un atto a causa di morte, ma nasce solo nel momento in cui ha il riconoscimento come persona giuridica. Da tale momento, ci sarà anche l’autonomia patrimoniale perfetta della fondazione. L’autorità amministrativa ha poteri di intervento sulle fondazioni (artt. 25 e 26 c.c.), questi poteri sono molto incisivi (nominare e sostituire amministratori, nominare commissario straordinario, annullare deliberazioni, coordinare più fondazioni) L’estinzione delle fondazioni raggiungimento dello scopo; scopo diventato impossibile; cause estinzione previste da atto costitutivo; Esiste una procedura di liquidazione della fondazione, posta in essere dagli amministratori che diventano liquidatori o da altri soggetti. I liquidatori provvederanno a estinguere i debiti e incassare i crediti, terminato questo periodo intermedio ci sono due possibilità: estinzione della fondazione con devoluzione del patrimonio residuo, ad associazioni/fondazioni con scopi simili; trasformazione della fondazione, qualora il patrimonio della fondazione non sia più sufficiente per perseguire gli scopi posti. Si può trasformare in una con scopi più limitati. I comitati Sono costituiti da più persone fisiche al fine di raccogliere fondi, per un interesse generale (Art. 39 c.c.). Hanno autonomia patrimoniale imperfetta (artt. 40 e 41 c.c.), il comitato ha un patrimonio che è indifferente ai debiti delle persone fisiche che lo costituiscono, ma non viceversa. I sottoscrittori rispondono per il contributo promesso. Senza scopo di lucro. Gli enti del terzo settore D.lgs 3 luglio 2017, n.117 c.d. Codice del Terzo settore. Gli enti del terzo settore sono le organizzazioni di volontariato, le associazioni, riconosciute o non, gli enti filantropici, le imprese sociali, le società di mutuo soccorso, le fondazioni e altri enti di carattere privati diversi dalle società, ecc. Per essere sottoposti alla disciplina del terzo settore è necessario che tutti questi enti siano costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. A mezzo dello svolgimento di una o più attività di interesse generale, in forma di azione volontaria, erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, mutualità, produzione o scambio di beni o servizi. A tali enti è consentito lo svolgimento di attività diverse (commerciali e produttive), solo se strumentali e secondarie rispetto ad attività principale, e se previsto dallo statuto o atto costitutivo. Il patrimonio deve essere destinato esclusivamente al perseguimento dell’attività statutaria, non possono fare investimenti o dividersi i guadagni. I BENI Art. 810 c.c.: “Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti” Giuridicamente, solo ciò che può formare oggetto di diritto può essere considerato un bene. Non sono compresi nella nozione le cose comuni, cioè che appartengono a tutti (aria, acqua), e quelle che non possono essere oggetto di diritti (stelle, sole). Sono beni le energie naturali suscettibili di appropriazione, come l’energia elettrica (art. 814 c.c.). Le tipologie di beni Quando parliamo di beni li distinguiamo tra: materiali o cose, sono quei beni che si possono toccare; immateriali, sono quelle cose, che possono essere oggetti di diritto, ma che non hanno una materialità fisica (diritto d’autore, brevetto, marchio). Entrambi hanno un valore economico e possono circolare. Tradizionalmente, i beni che avevano maggior valore erano quelli materiali ma oggigiorno sono quelli immateriali. I beni materiali si possono distinguere in: immobili: per natura e per destinazione (suolo, sorgenti, edifici), tutto ciò che è incorporato al suolo (art. 812 c.c.); mobili, tutti gli altri beni (art. 812/III c.c.); mobili registrati, per il loro particolare valore devono essere iscritti in pubblici registri (automobili, aeromobili, imbarcazioni) (art. 815 c.c.); universalità di mobili, pluralità di cose che appartengano a una stessa persona e hanno una destinazione unitaria (art. 816 c.c.). Le regole sulla circolazione dei beni mobili ed immobili sono diverse. Ovvero, per il trasferimento del diritto di proprietà sul bene mobile è sufficiente il consenso del proprietario, mentre per i beni mobili registrati e immobili è subordinato all’iscrizione di tale trasferimento sul pubblico registro. Quindi, sostanzialmente, è diverso il regime di pubblicità perchè solo i trasferimenti iscritti sui registri sono opponibili ai terzi → Nei casi di beni mobili registrati e immobili ai possono essere fatti valere nei confronti dei soggetti terzi Solo i beni mobili possono essere res nullius (cosa di nessuno), perché solo essi possono essere non di proprietà di qualcuno. Altra tipologia di beni: le pertinenze. Art. 817 c.c.: “Cose destinate in modo durevole a servizio od ornamento di un’altra cosa. La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima.” Sono dei beni accessori rispetto alla cosa principale (villa: piscina). Quando un bene è messo così a servizio di un bene principale si crea il vincolo pertinenziale o regime dei trasferimenti, ovvero il principio in forza del quale trasferendo il principale, se non si prevede altrimenti, c'è automaticamente il trasferimento di tutti i beni pertinenziali. I frutti Art. 820 c.c. naturali, provengono direttamente da un bene, vi concorra o no l'opera dell'uomo (prodotti agricoli, legna, parti degli animali, prodotti delle miniere, cave e torbiere). Finché non avviene la separazione, i frutti formano parte della cosa. Si può tuttavia disporre di essi come di cosa mobile futura; civili, si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia (interessi dei capitali, canoni enfiteutici, rendite vitalizie e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni) → Un soggetto ha diritto ad avere questi frutti perché un soggetto terzo tra godimento da un suo bene. I beni possono essere pubblici o appartenenti a privati. I beni pubblici e appartenenti allo Stato o a un altro ente pubblico, con lo scopo primario di soddisfare il pubblico interesse. Si dividono in 3 categorie: beni demaniali, beni fondamentali per il patrimonio e l’esistenza stessa dello Stato (mare, spiaggia, porti, torrenti). Sono beni inalienabili (no venduti a terzi) e non possono essere usucapiti (i terzi non possono diventarne proprietari a titolo originario. Sono beni dello Stato e rimangono tali) (art. 822 c.c.); beni patrimonio indisponibile, beni che sono raccolti non per i caratteri essenziali ma perché sono destinati a servire gli enti pubblici (foreste, miniere, cave). La loro proprietà può essere trasferita con un procedimento speciale (art. 826 c.c.); beni patrimonio disponibile, beni con lo stesso regime di qualsiasi bene di proprietà dei privati. Non hanno nessuna disciplina legislativa per la loro amministrazione. I beni degli enti ecclesiastici ed edifici di culto Art. 831 c.c. “Gli edifici destinati all'esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano.” C’è una serie di varie norme su tali beni, di solito vi sono degli accordi tra le chiese e lo Stato. Nel caso di edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico non possono essere destinati ad altro scopo, anche se di privati, fino a che non vi sia un accordo con le autorità ecclesiastiche → Circolazione o distruzione subordinata ad accordi con autorità ecclesiastiche. Principio della destinazione del bene. Altre tipologie di beni sono: divisibili/indivisibili, possono o non essere frazionati, senza perdere la loro caratteristica; consumabili/inconsumabili, l’utilizzo ne comporta o non l'estinzione (inconsumabili: utilizzabili più volte = auto); fungibili/infungibili, possono essere sostituti o no da un bene dello stesso valore. Il patrimonio E’ composto da tutti i beni materiali e immateriali appartenenti a un certo soggetto (persona fisica o giuridica). Deve essere calcolato sulla base delle poste attive e passive. LA PROPRIETÀ’ Il concetto di proprietà è notevolmente mutato nel tempo. E’ un concetto molto legato al sistema politico, ai concetti ideologici imperanti nel periodo storico e alle condizioni economiche. AI tempi feudali il concetto di proprietà era fortemente frazionato, poco omogeneo (proprietà feudale): il sovrano era l’unico proprietario dei beni del regno, mentre in realtà questi beni venivano subordinati ad altri soggetti, i quali avevano il diritto di utilizzare i beni in modi diversi, a seconda del titolo che gli veniva conferito su tali beni, quindi sullo stesso terreno esistevano pluri diritti. Quest’idea medievale viene meno con le codificazioni liberali, nasce l’idea di proprietà come diritto attribuito al singolo: diritto sacro ed intangibile. Ovvero, i beni diventano di proprietà di un unico soggetto, e questo soggetto ha il diritto di disporre di questi beni in modo assoluto, senza che altri possano interferire nel rapporto tra i beni e il soggetto che ne dispone. Questo concetto viene mene a seguito di una serie di trasformazioni materiali e ideologico nel XIX°-XX° secolo, le quali iniziano ad affermare che in realtà il diritto di proprietà non è un diritto poi così illimitato, in quanto può venire in conflitto con altri diritti. A seconda delle diverse ideologie imperanti il diritto di proprietà viene più o meno limitato, o completamente abolito. In alcuni paesi europei è stato limitato non per forza di idee socialiste, ma per forza di idee che tendono a immaginare il diritto non volto solo come beneficio del singolo proprietario ma proprio per la collettività. Ci si è resi conto che il diritto non deve confliggere con i diritti di altri soggetti, pubblici o privati. Caratteristiche Il diritto di proprietà, costruito sul modello francese, ha determinate caratteristiche: è un prototipo di diritto soggettivo, è il modello a cui si fa riferimento quando si parla di diritto soggettivo; patrimoniale, ha una valenza di tipo economico; assoluto, non può essere limitato da soggetti terzi diversi dal proprietario; natura privata, viene riconosciuto ai singoli privati cittadini; disponibile, il proprietario può disporre di tale diritto (vendere, donare). Il frazionamento della nozione di proprietà Come già anticipato, queste modificazioni si sono manifestate nel frazionamento, venire meno di un concetto uniforme e monolitico di proprietà. Vi è una modifica delle modalità di utilizzo, e un emergere/aumentare del numero dei beni immateriali che diventano sempre più centrali nell’economia. E’ evidente che tale diritto su beni immateriali necessitano di una tutela/norme giuridiche dirette da quelle dei beni materiali. La proprietà così monoliticamente definita in realtà diventa una realtà frazionata in quanto iniziano ad emergere diverse discipline specialistiche a tutela del diritto di proprietà di beni immateriali → frazionamento della disciplina sulla proprietà, in conseguenza del moltiplicarsi delle tipologie proprietarie. La proprietà nella Costituzione E’ riconosciuta e garantita dalla legge. Art. 42/I Cost. “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.” Tale norma riconosce e garantisce la proprietà privata ma, allo stesso tempo, sottolinea che tale proprietà può essere sia privata che pubblica. Art. 42/II “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti” Principio di solidarietà, esaltazione della funzione sociale della proprietà. Ciò significa che la proprietà privata è tutelata ma solo nella misura in cui questa abbia una funzione sociale: contribuzione al benessere sociale. Tale proprietà deve essere utilizzata in modo economicamente efficiente e in modo che tutti possano beneficiarne. Inoltre, vi è l’idea di rendere accessibile a tutti la proprietà, nata in maniera molto teorica Art. 42/III Cost. “La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.” Ulteriore limitazione che viene posto al proprietario rispetto ai suoi beni, è la possibile l’espropriazione. Vi sono dei limiti molto stretti per far si che essa possa aver luogo: solo per motivi di interesse generale (costruzione ospedale); solo nei casi previsti dalla legge; solo in cambio di un indennizzo (misura di compensazione dei danni subiti, che non corrisponde completamente al valore del bene perso, ma consente di ristorare il soggetto della perdita subita). La definizione del codice civile Art. 832 c.c.: “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico” Nel contenuto della norma si rileva la facoltà di godere - cioè utilizzare - la facoltà di disporre - cioè di non essere più proprietario di tale diritto (vendere/donare/testamento) - e la facoltà di escludere terzi dal godimento della cosa - essendo un diritto pieno ed esclusivo, ogni soggetto estraneo dal proprietario è automaticamente escluso dal godimento del bene. Limitazioni al diritto di proprietà In realtà, vi sono dei casi in cui tale diritto viene limitato. Tali casi sono stabiliti: per legge, il diritto del proprietario viene contenuto o limitato (es. art. 842/I e art. 843/III c.c.); per consuetudine, (montagna → cammino su terreni altrui, ma nessuno me lo può impedire); per limiti spaziali (art. 840 c.c.). Vi sono poi limiti posti nell’interesse pubblico e privato. Esistono infatti norme urbanistiche ed altre norme limitative dei diritti proprietari. Il problema che si pone è la fattispecie di quando le norme sono così restrittive da impedire la costruzione di edifici, o l’utilizzo del terreno per i fini che il proprietario si era prefissato. Ovvero, il diritto viene talmente ridotto che sembra quasi scomparso. La dottrina si è spesso interrogata su queste fattispecie arrivando alla conclusione che il diritto può essere limitato fino a che sia conservato un minimo essenziale. Privato: a volte il diritto può essere limitato per consentire ad altri soggetti di esplicare il loro. Il primo caso è quello degli atti emulativi. Art. 833 c.c.: “Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri” Gli elementi costitutivi della fattispecie sono: una molestia, danno o disturbo a un soggetto terzo; mancanza di un apprezzabile interesse del porre in essere tali atti, da parte del proprietario; intento esclusivo di recare danno di disturbo. Il giudice può condannare il soggetto che pone in essere tali atti a smettere immediatamente e risarcire eventuali danni. La seconda fattispecie in cui vi è una limitazione del diritto di proprietà sono le immissioni. Art. 844 c.c. “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.” Le fattispecie sono: fumo, calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili; che non siano normalmente tollerabili. Queste immissioni devono normalmente tollerabili, quando vanno al di fuori allora si può richiedere l’intervento del giudice. La ‘normale tollerabilità’ deve essere esaminata dal giudice in base alla fattispecie. Per controllarla non si ricorre solo a misurazioni/verifiche ma si deve anche verificare altro. Il giudice deve contemperare l’esigenza alla produzione in ragione alla proprietà, ovvero se le immissioni sono causate da attività produttive, essendo quest’ultime da tutelare, si devono contemperare. Il giudice, può altresì tener conto della proprietà di un determinato uso. Se la zona era già dedicata allo stabilimento di imprese (zona industriale), il singolo che costruisce una casa di civile abitazione, non potrà ricorrere a questa norma perché l’uso fatto prima della zona era già un uso industriale. Nell’interesse dei privati il c.c. prevede delle distanze legali: distanze tra edifici, vi devono essere almeno 3 mesi di distanza, che spesso vengono ampliati dai regolamenti urbanistici delle città o dei paesi. E’ prevista per problemi igienico-sanitari (art. 873 ss. c.c.). Se non si vuole rispettare tale distanza, si può costruire in aderenza (attaccati); distanze per luci (buchi per permettere alla luce di entrare, senza permettere dall’interno di vedere verso l’esterno) e vedute (aperture nelle mura che permettono sia l’ingresso della luce sia la possibilità di vedere all’esterno - finestre/porte finestre) (art. 900 ss. c.c.); stillicidio, il proprietario deve costruire l'immobile affinché le acque piovane si riversino non sul fondo del vicino ma sul proprio. (art. 908 c.c.). Modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo, si diventa proprietari in forza della trasmissione del diritto di proprietà operata da un soggetto che era precedentemente proprietario. La conseguenza sarà che eventuali pesi o limitazioni imposti sopra il diritto saranno trasmessi dall’originario al nuovo proprietario; a titolo originario, il proprietario diventa tale senza che vi sia un precedente proprietario che gli trasferisce il diritto. L’acquisto a titolo originario può avvenire attraverso: l’occupazione (art. 923 c.c.), cioè con l’impossessamento di qualcosa senza proprietario (cane/bici/mobile abbandonato). l’invenzione (art. 927 ss. c.c.) , cioè il ritrovamento di una cosa smarrita. Quando si trova qualcosa di smarrito si deve consegnare all'ufficio oggetti smarriti. Si pubblicherà un annuncio, se il proprietario si riconosce entro un anno deve pagare al ritrovatore il decimo/la somma del bene ritrovato. Se tale somma eccede i 5,16€, il premio è di un ventesimo. Se non ha valore commerciale, sarà fissato dal giudice. Se non si trova il proprietario, allora il bene apparterrà a chi l’ha trovato. Nel caso di invenzione, il proprietario del bene l’ha perso, non l’ha più la materiale detenzione ma ciò nonostante continua a ritenersi proprietario del bene (smarrimento del telefono). ritrovamente del tesoro, non si può andare su fondi altrui a cercare tesori, perchè i tesori appartengono al proprietario del fondo. Solo se il bene viene ritrovato per caso si può chiedere al proprietario di avere la metà del tesoro (art. 932 c.c.); ritrovamento di oggetti d’interesse storico o artistico, sono sottoposti a una disciplina speciale. Sono sottoposti direttamente al patrimonio dello Stato o dei comuni. Generalmente, sia il proprietario del fondo che il ritrovatore sono esclusi dalla possibilità di impossessarsi di tali oggetti (art. 826/II). accessione, cosa accessoria che si incorpora o unisce alla cosa principale: può avvenire, per esempio: -per fatto dell’uomo (art. 934 ss c.c.) → un soggetto pianta degli alberi su un terreno che non è suo, tali beni diventano automaticamente di proprietà del proprietario del fondo; -alluvione, aumento del terreno con successivi incrementi causati dallo scorrere dei fiumi; -avulsione, fiume o torrente stacca una zolla di terra e la attacca in un fondo più a valle. accessione invertita (art. 938 c.c.) → vedi spiegazione dopo l’elenco; unione e commistione, quei casi in cui più beni appartenenti a diversi proprietari vengono uniti o mischiati. Se è possibile separarli, ogni bene torna al proprio proprietario. Se non è possibile, ognuno diventa proprietario del bene in proporzione del suo contributo. Nel caso in cui il bene non si possa dividere e uno dei soggetti ne detenga una parte maggiore, quest’ultimo diventa proprietario di tutto con l’obbligo di pagare all’altro il valore della cosa unita o mescolata (art. 939 c.c.); specificazione, se taluno ha adoperato una materia che non gli apparteneva per formare una cosa nuova, possa o no la materia riprendere la sua prima forma, ne acquista la proprietà pagando al proprietario il prezzo della materia. Salvo che il valore della materia superi quella della manodopera, altrimenti la proprietà spetta al proprietario della materia, pagandone la manodopera (art. 940 c.c.); usucapione, si diventa proprietari per il possesso prolungato nel tempo di un determinato bene. In qualche caso, la norma sull’accessione diventa una regola completamente contraria: l’accessione invertita (art. 938 c.c.). Se la costruzione di un edificio occupa, in buona fede, terreno altrui tale terreno diventa del costruttore. Il presupposto principale deve essere quello della buona fede, ovvero non sapesse di costruire su terreno altrui. Secondo presupposto è che il proprietario del fondo non faccia opposizione entro 3 mesi dalla costruzione. In questo caso, l’autorità giudiziaria può attribuire al costruttore anche la proprietà del fondo, ma il prezzo che questi dovrà pagare al proprietario del suolo non sarà il prezzo corrente del bene sul fondo, ma il doppio. Inoltre, dovrà pagare anche eventualmente il risarcimento del danno. L’acquisto a titolo derivativo avviene tramite: contratto, un atto tra i soggetti; successione a causa di morte, il proprietario decide e, in forza di eredità o delegato, si diventa proprietari del bene. Le irregolarità del titolo si trasmettono dal proprietario originario al nuovo. Le azioni a tutela del diritto di proprietà Le azioni a tutela del diritto di proprietà si chiamano azioni petitorie. E’ importante sottolineare che possono essere esercitate solo dal proprietario. Sono azioni imprescrittibili, cioè possono essere esercitate in qualsiasi momento senza limiti nel tempo. Tuttavia, altri soggetti potranno opporre al proprietario l’acquisto del diritto a titolo originario fermando così la sua azione. Esistono diverse azioni in tutela: L’azione di rivendicazione (art. 948 c.c.), è un’azione che può essere esercitata dal proprietario contro chi possiede o detiene la cosa senza titolo. Ovvero, contro quei soggetti che dispongono materialmente della cosa ma non hanno titolo per farlo. La funzione di questa azione è di ottenere la riconsegna del bene. L’onere della prova incombe sul proprietario. Deve provare di essere proprietario del titolo. L’azione negatoria (art. 949 c.c.), che si suddivide in 2 fattispecie. La prima è quella in cui un terzo afferma di avere dei diritti su una cosa. Il proprietario, sempre dimostrando di esserlo, può agire per negare il diritto altrui sul bene. La seconda è quella di un soggetto che turba o molesta il proprietario nel suo diritto. Il proprietario non può esercitare il suo diritto perché un altro soggetto nega che il proprietario lo sia, lo turbi o molesti. In questo caso, il proprietario chiede al giudice la cessazione della turbativa e, inoltre, può anche chiedere il risarcimento del danno. Quando vi sia incertezza sui confini tra fondi o si voglia apporre dei termini sui fondi si può ricorrere a: - art. 950 c.c. regolamenti di confini: quando il confine è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che sia stabilito giuridicamente. Ogni mezzo di prova è ammesso. - art. 951 c.c. apposizione di termini: mancanza di segni di riconoscimento dei confini, uno o entrambi i proprietari possono richiedere che tali segni siano posti, a spese comuni. LA COMUNIONE E LA COMPROPRIETÀ’ La comunione Si parla di comunione dei diritti quando più soggetti hanno lo stesso diritto sulla stessa cosa. Quindi ci sono soggetti i cui diritti insistono sullo stesso bene. Questa comunione può essere una comunione volontaria, incidentale (una comunione momentanea che accade senza che i soggetti lo vogliano, ma dalla quale comunque soggetti possono liberarsi, ad esempio nel caso di successione) o forzosa (si ha quando dei soggetti godono di diritti sullo stesso bene). Quando la comunione ha a oggetto il diritto del proprietario, si parla di comproprietà. E' ovvio che quando più soggetti siano proprietari dello stesso bene ci sarà per forza una limitazione dei poteri di godimento dei vari proprietari. L’uso della comproprietà Le regole generali sulla comproprietà: i comproprietari hanno il diritto di servirsi della cosa comune, senza alterarne la destinazione o impedire ad altri il godimento; i comproprietari possono disporre della quota di proprietà sul bene. Il fatto che i soggetti siano comproprietari del bene non vuol dire che possano disporre della loro quota di proprietà, uno dei soggetti può liberamente vendere la propria quota di proprietà sul bene, ovviamente offrendo prima la quota in vendita agli altri comproprietari; i comproprietari sono obbligati a contribuire al godimento, conservazione e miglioramento della cosa. Così come possono godere del bene sono altresì obbligati a pagare la loro quota per il godimento, la conservazione e il miglioramento della cosa. L'amministrazione della comproprietà Nell'ordinaria amministrazione, è sufficiente la maggioranza semplice delle quote, se invece bisogna effettuare un atto di straordinaria amministrazione è necessaria la maggioranza qualificata, ovvero la maggioranza dei comproprietari deve raggiungere certe proporzioni minime. Quando però si voglia alienare, costituire diritti reali e contrarre un contratto di locazione per un periodo maggiore di 9 anni è necessario che tutti comproprietari siano d'accordo, perché sono tutti atti a disposizione del bene, che ha un impatto esteso sul diritto di comproprietà. Se alcuni dei comproprietari deliberano illegittimamente, ovvero assumono una decisione concernente il bene comune in violazione della disciplina legislativa, tale decisione/deliberazione dei comproprietari può essere impugnata davanti al giudice. La divisione della comproprietà I comproprietari possono, se i beni lo consentono (ovvero che non siano in una specie di comproprietà necessaria), dividere i beni, cioè diventare proprietari dei beni facendo usare la comproprietà. Questa divisione può essere semplice quando i beni possono essere divisi → divisione in parti uguali. In altri casi, si può dividere la comproprietà attribuendo a certi comproprietari dei beni e prevedendo una compensazione in denaro → divisione con conguagli di denaro. In altri casi, se la divisione è impossibile, ad esempio c'è un solo bene e nessuno dei comproprietari lo vuole, dovendo conguagliare in denaro gli altri. In questo caso si venderà il bene e si dividerà il ricavato della vendita tra i comproprietari, perché è impossibile la divisione. La divisione si chiama convenzionale quando le parti, i comproprietari di comune accordo provvedono a determinare i beni spettanti a ciascuno di essi in senso divisione. Diventa invece una divisione giudiziale quando le parti non riescono a mettersi d'accordo sulle quote, o sui beni, da attribuire all'interno della quota che spetta a ciascuno e quindi necessitano dell'intervento del giudice per determinare le diverse quote. Divisione della comproprietà retroattiva, cioè il diritto di proprietà sul bene attribuito a ciascuno dei comproprietari si considera attribuito fin dal momento in cui i comproprietari sono divenuti proprietari. Il condominio Si parla di condominio quando su un certo bene insistono un insieme di regole di proprietà esclusiva e regole di comproprietà. Nel condominio ci sono una serie di diritti di proprietà esclusiva dei condomini, cioè quelle sulle loro private abitazioni, e poi invece gli stessi condomini hanno su delle parti comuni, indivisibili = il diritto di comproprietà (ascensore, scale, atrio comune). La disciplina del condominio è stata recentemente modificata perché aveva dato luogo a una serie di innumerevoli problemi giuridici, è contenuta nell’art. 1117 c.c.. Quando parliamo di condominio dobbiamo ricordarci che i condomini hanno, sulle parti comuni e indivisibili, una quota proporzionale al valore della loro proprietà, quelli che vengono chiamati millesimi. Ovvero più grande è la proprietà privata ed esclusiva del condomino, maggiore è il numero di quota della comproprietà che lo stesso condomino ha. Assemblea ed amministratore Nel condominio, essendoci una pluralità di proprietari, deve esserci obbligatoriamente un’assemblea dei proprietari la quale decide sull’amministrazione del condominio, sulla base di criteri in maggioranza numerica e di quota, a seconda dell’oggetto della decisione. Sul c.c. ci sono tutta una serie di regole che determinano quali sono le maggioranze previste, a seconda dell’oggetto della decisione dell’assemblea. Anche l’assemblea può essere composta o dai meri proprietari o dagli inquilini, perché su certe spese (straordinarie) devono pronunciarsi proprietari, mentre su altre (correnti: pulizie) devono pronunciarsi gli inquilini riuniti all’interno dell’Assemblea condominiale. Quando vi siano più di 8 condomini la legge prevede che vi sia un amministratore. La legge è stata anche modificata, obbligando gli amministratori, o comunque il condominio, ad aprire un conto corrente intestato al condominio e che sia separato dai conti e dai patrimoni sia degli amministratori che dei condomini, perc

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