Diritto del Lavoro PDF - Aurora Ferraro, Prof. Diamanti
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Summary
Il documento approfondisce il diritto sindacale e del lavoro, affrontando la storia del diritto del lavoro, il ruolo dei sindacati e i contratti collettivi. Esamina la relazione tra diritto individuale e collettivo, toccando tematiche cruciali come la libertà sindacale e le varie forme di lotta sindacale. L'analisi si focalizza anche sull'evoluzione storica del diritto industriale.
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GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti DIRITTO SINDACALE ——————————— Indice 2....
GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti DIRITTO SINDACALE ——————————— Indice 2. Introduzione 3. La storia 18. Problemi posti dall’articolo 39 Cost. 23. Libertà sindacale e settore militare 29. Il settore militare: legge 46/2022 40. Art.39 Cost. e contrattazione collettiva 47. La retribuzione minima 49. Vari tipi di rapporto con il contratto collettivo 60. La struttura organizzativa del sindacato 63. Efficacia del contratto collettivo 68. Struttura della contrattazione nel pubblico impiego 71. La presenza sindacale sul luogo di lavoro 82. Diritti attribuiti alle rappresentanze sindacali dei lavoratori 90. La partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa 92. L’articolo 28 dello statuto dei lavoratori 98. La struttura del procedimento 102. Lo sciopero 108. Le forme anomale di sciopero 113. Le conseguenze dello sciopero 117. Le prestazioni minime garantite 125. Altre forme di lotta sindacale 130. Mappa concettuale finale 132. Introduzione al diritto del lavoro in senso stretto 149. Lavoro autonomo 1 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti 28/10/2024 Diritto sindacale e diritto del lavoro hanno due accezioni diverse. Il primo si occupa del ruolo dei sindacati, dei contratti collettivi che disciplinano i rapporti di lavoro nei vari settori. Il secondo, invece, attiene più precisamente al singolo rapporto di lavoro. Ci sono lavori a termine (tempo determinato) e lavori a tempo indeterminato, vi è la disciplina dei licenziamenti, molto complessa e articolata, e quella degli orari di lavoro. Questa parte attiene al secondo semestre, il rapporto individuale di lavoro e la sua disciplina. In questa prima parte, invece, si parla di qualcosa che molto spesso ha a che fare non con l’individuale ma con il collettivo, il diritto sindacale è fatto anche da diritti individuali ma ha una dimensione collettiva, come la parola sindacale già insegna. È un diritto che si occupa di interessi che vanno oltre a quelli individuali. Con un contratto collettivo si regolamenta il rapporto di lavoro non di un soggetto ma di una molteplicità di soggetti. Se pensiamo al contratto collettivo del settore pubblico scuola, sono interessati tutti coloro che lavorano nel settore pubblico della scuola. La dimensione collettiva è quindi naturale nel diritto sindacale, se esiste uno sciopero non è che un soggetto individuale lo proclama e un altro partecipa, lo sciopero deve essere proclamato da un’organizzazione sindacale che chiama allo sciopero tutti i lavoratori del settore, dell’azienda, della regione, della nazione, dipende dal tipo di iniziativa sindacale di sciopero, la proiezione è sempre collettiva. Tutta l’azione sindacale è permeata da questa dimensione collettiva. La parola chiave, quindi è “collettivo”. Perché è una dimensione collettiva? Abbiamo fatto degli esempi che conosciamo per la nostra esperienza di vita quotidiana, sappiamo quindi che uno sciopero non ha senso se non in una dimensione collettiva. Questa dimensione collettiva ha a che fare con l’origine del diritto del lavoro, trattare questo tema della dimensione collettiva significa inquadrare bene l’origine e capire gli sviluppi del diritto del lavoro. 2 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti La Storia Nel periodo rinascimentale e delle monarchie assolute, la dimensione collettiva c’è in quanto noi come uomini siamo animali sociali, da soli valiamo poco. La dimensione collettiva poteva esserci per le corporazioni, soggetti che svolgevano un certo tipo di attività e che erano accomunati dallo svolgere questo tipo di attività, questo sempre nel periodo rinascimentale, però non c’era un tema di dimensione collettiva come unico modo per rapportarsi ad un contro potere. I poteri erano ben definiti da un assetto del feudalesimo che ha comunque avuto sviluppi nel tempo. Tendenzialmente, però, chi nasceva in un modo permaneva all’interno di questa situazione per tutta la vita, c’era un certo immobilismo sociale. Con la Rivoluzione francese, accompagnata da quella americana, nasce lo stato moderno, basato sulla legge, dove nessuno è indipendente rispetto ad essa. Accanto alla legge, uno dei presupposti culturali della formazione di questo nuovo modo di concepire la società era la libertà individuale. La Rivoluzione francese con i suoi tre principi di libertà, uguaglianza e fraternità si fonda sulla libertà dell’individuo, è contro gli assetti organizzati e statici della società. L’idea di fondo della Rivoluzione francese è l’affermazione della libertà individuale, su cui si basa la nascente industria, che si affianca all’agricoltura e cresce esponenzialmente soprattutto all’inizio nel Regno Unito per poi raggiungere altri paesi. L’industria è la capacità di organizzare il lavoro altrui: un conto era essere servi della gleba, condizione per cui il proprietario aveva l’obbligo di mantenimento, altro conto è pensare al lavoro in modo dinamico: si hanno capitali e ricchezza, quindi si organizza un’attività; per organizzare l’attività serve avvalersi del lavoro di altri che offrano la loro capacità di lavorare. Si offre capitale e capacità organizzativa e si è disposti a pagare la messa a disposizione della capacità lavorativa. Questo è il fondamento dell’industria moderna: da un lato soggetti che vendono la forza lavoro e ricevono una retribuzione, dall’altra un soggetto che ha del capitale, dei macchinari e che crea un’attività organizzata per realizzare qualcosa da destinare poi al commercio. Si crea per vendere, si creano quindi anche bisogni: c’è disponibilità economica lavorando, la si impiega per sopravvivere ma anche per concedersi sfizi, e chi produce questi sfizi a sua volta deve cercare di renderli appetibili per venderli. Abbiamo quindi soggetti che vendono la forza lavoro (siamo alla fine del ‘700, con una realtà industriale molto grezza), abbandonando spesso la campagna (fenomeno dell’urbanizzazione, con la creazione di grossi centri urbani, chi ha la forza lavoro si sposta dalla campagna alla città e offre la propria capacità di lavorare, tutto in un grande disordine, non c’erano i piani urbanistici, le autorizzazioni per avviare le industrie, sensibilità sui problemi ambientali e via dicendo). In città c’era qualche occasione per lavorare, guadagnare e mantenere la famiglia, soprattutto per chi non aveva ottenuto fondi in campagna con cui mantenersi. La città si riempie e i singoli (“classe operaia”) 3 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti vengono assunti dai datori di lavoro (“classe borghese”). Certamente non è il contratto di assunzione di oggi, non c’erano i concorsi pubblici, il discorso era molto semplice: servono 100 persone per un’attività, X si offre, il datore di lavoro pone le condizioni e X sceglie se accettare o meno. In una condizione del genere, chi ha uno sproporzionato potere contrattuale rispetto ad un altro? È deducibile che il potere contrattuale sia tutto dalla parte del datore di lavoro. Ci spostiamo già sul piano giuridico: questa forte differenza di potere non trova una risposta adeguata nel primo codice da cui discendono tutti i codici dell’Europa continentale contemporanei, cioè il codice napoleonico. Il codice napoleonico è la consacrazione giuridica della vittoria della rivoluzione borghese che si afferma con la Rivoluzione francese rispetto al vecchio stato assolutistico basato sulla divisione in classi. Il codice napoleonico e il nostro attuale codice civile sono codici che nascono sul presupposto che siamo tutti sullo stesso piano. Io ho bisogno di una cosa, tu ne offri un’altra e ci accordiamo, se voglio comprare una casa non ho bisogno di qualcuno che mi aiuti, faccio il mio contratto, io la compro e qualcuno me la vende, non ci sono condizioni di disparità, si incontrano le volontà e bisogna vedere se prezzo e oggetto del contratto vanno bene per entrambi. È un tipico contratto individuale e tutto il codice napoleonico è strutturato così. L’individuo è libero e solo e conclude contratti, la vita sociale è fatta di contratti individuali. Anzi, la Rivoluzione francese non vede di buon occhio le coalizioni, che rievocano un periodo storico travolto dalle rivoluzioni. Da questo punto di vista la coalizione è vista male, come un ritorno alla nobiltà, una compressione della libertà individuale (che invece è esaltata dal liberalismo). A questo punto accade qualcosa. Con una situazione di assoluto squilibrio nei posti di lavoro (il lavoratore non ha la stessa forza contrattuale del datore di lavoro, non ha nulla di particolare da offrire oltre alla propria forza lavoro) si creano fenomeni sociali importanti: anzitutto intorno alle fabbriche si determina un’aggregazione sociale, queste persone vivono intorno alle fabbriche (Londra cresce a dismisura perché intorno agli opifici si crea un’urbanizzazione, seppur selvaggia. In Cina negli anni ’90 molti lavoratori dormivano persino in fabbrica); il lavoratore lavora il numero di ore di lavoro determinate dal datore di lavoro, non si fa differenza tra uomini, donne e bambini. La situazione diventa molto pesante e va ad incidere sulla salute individuale ma anche collettiva: la durata media della vita, in un certo periodo, diminuisce drasticamente, si diffondono malattie e condizioni sanitarie collegate allo stile di vita estremo (per esempio, a causa del carbone). Vi è un fenomeno che intacca la stessa salute collettiva, e questo è il primo problema che si pone nel corso della rivoluzione industriale. Questo determina reazioni spontanee: i lavoratori si rendono conto di avere, insieme, un certo peso specifico. Se il datore di lavoro ha da sostituire 30, 40, 50 persone è diverso rispetto al 4 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti sostituire una singola persona. È evidente che il peso è diverso e il datore di lavoro deve prestare attenzione alle richieste. Qui c’è la base del diritto sindacale, insieme ad altri si ha una forza contrattuale che si riequilibra, anche se ovviamente non del tutto. Il fenomeno della coalizione, nonostante l’avversione del codice napoleonico e dei principi fondanti della Rivoluzione francese, tende a realizzarsi spontaneamente, non c’è altro modo per essere ascoltati se non creando qualcosa che possa indurre il datore di lavoro ad ascoltare. Non è una nascita indolore: il sistema non consente le coalizioni. Per i motivi detti, le vede di cattivo occhio. In Italia il codice sardo del 1859 considerava reato punibile penalmente l’associazione sia di lavoratori sia di datori di lavoro (associazionismo), erano elementi che inquinavano la libera contrattazione tra i singoli, dogma della nascente attività industriale e del nuovo regime in cui la borghesia aveva un ruolo importantissimo affermatosi dopo la Rivoluzione francese. Anche la monarchia diviene costituzionale, il re non è più padrone assoluto e a fronte di un regime in cambiamento viene ostacolata la coalizione, vista come un ritorno al passato e quindi penalmente punita. Però, una legge che fosse assolutamente contraria al sentire comune non sarebbe mai durata molto. Infatti, il reato di associazione c’è nel codice del 1859, ma di fatto le coalizioni di lavoratori e di datori di lavoro continuano ad esistere e c’è una certa tolleranza; a meno che non vi siano episodi violenti, la legge viene quasi dimenticata. Le prime coalizioni di lavoratori (1860 in Italia) nascono per cercare di avere una voce sola verso i datori di lavoro, ma anche per aiutarsi tra lavoratori. L’elemento solidaristico delle prime coalizioni è molto importante in questo periodo: se un lavoratore si infortuna, il datore di lavoro lo lascia a se stesso e leggi a riguardo non esistono. Vengono create quindi casse mutue (l’INPS veniva chiamata proprio “cassa mutua” nel gergo comune): il lavoratore guadagnava 100 e metteva 1 o 2 a disposizione in questa cassa comune per sostenere i colleghi o addirittura se stesso qualora si trovasse nell’impossibilità di lavorare. Era una somma modestissima messa a disposizione degli altri lavoratori per il mutuo soccorso. È già una coalizione di lavoratori che si aiuta e nello stesso tempo cerca di parlare in modo unitario con il datore di lavoro per ottenere migliori condizioni. La base della nascita dell’associazionismo sindacale da cui poi discende il diritto sindacale che ci apprestiamo a studiare è questa, è una base storica. Queste casse mutue divengono poi a fine ‘800 le prime confederazioni di lavoratori e si accompagnano alle prime leggi di tutela sull’orario di lavoro per le donne e bambini (fine dell’800), nasce anche l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro); questo sfocerà poi nel sistema attuale. Tutto nasce quindi in una dimensione collettiva e trova riconoscimento, nel 1889, con il codice penale Zanardelli, con cui viene abolito il divieto di associazione (diviene una mera 5 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti libertà, dal punto di vista contrattuale ogni sciopero era un inadempimento che poteva legittimare il licenziamento). Lo sciopero non è più punito, a meno che non vi siano state violenze, anche se a seguito dello sciopero il datore può decidere di licenziare o non pagare. Lo stato prende atto, comincia a intervenire, si rende conto che c’è un problema di salute pubblica (per esempio per donne e bambini). Allo stesso tempo nasce il sindacalismo vero e proprio, arrivando ad un istituto particolare che si occupa degli infortuni sul luogo di lavoro. Abbiamo visto come nasce l’idea stessa di sindacalismo e come lo stesso approccio dello stato a questa problematica cambi nel tempo (a fine ‘800 nasce l’INAIL, leggi a tutela dei fanciulli e delle donne, leggi che impediscono di iniziare a lavorare prima di una certa età). Ci avviamo al ‘900, dove comincia a strutturarsi il sistema delle relazioni sindacali, perché sui luoghi di lavoro essendoci delle coalizioni cominciano ad esserci anche le relative iniziative di fronte a richieste non accettate dal datore di lavoro. Iniziano gli scioperi, anche i datori di lavoro iniziano ad organizzarsi, per coordinarsi nella propria organizzazione, in quella che diventerà per esempio Confindustria, Confartigianato, Confagricoltura. Si creano quindi organizzazioni sindacali dei lavoratori ma anche dei datori di lavoro. Essendoci delle coalizioni sempre più organizzate, i problemi che nascono sul luogo di lavoro (retribuzione, compiti da svolgere, cessazione del rapporto, …) non possono essere liquidati dal datore di lavoro come avveniva nella prima rivoluzione industriale con due parole. Ci sono coalizioni organizzate che presentano i problemi, questi vengono trattati dai datori di lavoro e le proprie associazioni e dalle associazioni sindacali dei lavoratori, seppur in una fase embrionale. Ci si rende poi conto che non sempre ci si trova d’accordo, sia datori di lavoro che lavoratori hanno interesse che la questione sia risolta nel più breve tempo possibile: è così che nascono i collegi arbitrali, nati sull’accordo delle associazioni sindacali dei datori di lavoro e delle associazioni sindacali dei lavoratori. I collegi sindacali provvedono a risolvere le questioni che non trovano soluzione in un accordo tra le parti (“collegi dei probiviri”). Chi sono i probiviri? Persone sagge che hanno conoscenze in questo ambito, giuristi ma anche soggetti nominati dai sindacati di entrambe le parti. I collegi dei probiviri cominciano a costruire le basi del diritto del lavoro: risolvendo problemi dettano anche disciplina. I licenziamenti non hanno una disciplina, i probiviri stabiliscono che sulla base del codice napoleonico i rapporti contrattuali non dovrebbero avere durata indeterminata, perpetua, possono non avere una scadenza ma ci deve essere la possibilità di sciogliersi dal vincolo contrattuale (su questa base viene maturata una teoria dei licenziamenti come “locatio operarum”, utilizzando la disciplina sulle locazioni, con possibilità per entrambi i soggetti di sciogliersi dal rapporto dando un preavviso). Questa è una regola, ma se ne creano anche molte altre, dalla fine dell’800 fino circa al 1923-24 (1923 prima organica legge sull’orario di lavoro, 8 ore giornaliere, 48 settimanali, aumentabili con lo straordinario a 10 giornaliere per 6 giorni a settimana). Queste regole saranno poi recepite nel codice civile del ’42. 6 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti Tutto si forma in modo non necessariamente organico, c’è bisogno di risolvere questioni, c’è un contrasto, il datore di lavoro non può più ordinare di fare come dice lui, perché dall’altro lato c’è un’organizzazione sindacale organizzata. Nascono quindi i collegi dei probiviri che creano diritto: l’associazione sindacale è libera, i licenziamenti sono liberi perché c’è il principio per cui i rapporti non devono essere perpetui, il dipendente può dimettersi liberamente (in entrambi i casi dando preavviso). Si formano una serie di norme su base volontaria che saranno tradotte in vere e proprie norme legislative con il codice civile del ’42. È quindi una formazione progressiva quella del diritto sindacale e del diritto del lavoro e questo processo si fonda su determinati principi (l’organizzazione sindacale c’è, è libera, può proclamare sciopero, anche se è un illecito dal punto di vista civilistico), su libertà di fatto, nel rispetto del codice civile. L’epoca della libertà sindacale si interrompe con l’avvento del fascismo, che ha una sua idea del mondo delle relazioni sindacali, un’idea statalista. L’associazione sindacale non può essere libera, non può essercene più di una, va ricomposto un quadro organico in cui ci sia una sola organizzazione sindacale per settore di datori di lavoro e una sola associazione sindacale per settore dei lavoratori. Addirittura, viene istituita una camera (che sarebbe oggi il Senato), che è la camera delle corporazioni; c’è l’idea di recuperare il corporativismo, tutti hanno mestieri e interessi diversi che si devono armonizzare nella camera delle corporazioni. Non c’è sindacato libero, c’è un sindacato solo fascista che può essere poi dei metalmeccanici, dei chimici e così via, non c’è libertà sindacale (quindi sono sciolte associazioni sindacali che non siano quella unica prevista dallo stato) e non c’era la possibilità di proclamare scioperi. È un’ideologia che ha conseguenze in quanto elimina le libertà, lo sciopero torna ad essere reato, l’associazionismo anche, si penalizza di nuovo. Ci sono contratti collettivi corporativi che diventano norme dello stato. Ci sono quindi solo due associazioni, una per i lavoratori e una per i datori di lavoro. All’interno di queste associazioni ci sono quelle che si occupano di diversi settori, però è un unico sindacato, una confederazione, fondamentalmente. Ci sono contratti collettivi che hanno un’efficacia obbligatoria, diventano norme dello stato. Nel settore metalmeccanico, per esempio, il contratto collettivo è uno solo e si applica a tutti i lavoratori e datori di lavoro del settore, che siano o meno iscritti al sindacato. Questo dell’unicità del contratto è un problema che abbiamo tutt’ora, ma comunque in questo periodo non c’è libertà, l’associazione sindacale non è libera, rientra nell’ambito di un’idea di stato che disciplina tutto e dove anche i contratti collettivi e le corporazioni sono organizzate e disciplinate in questo modo. È il periodo del ritorno alla repressione penale dell’attività sindacale. In questo regime nasce il codice civile, codice di natura prevalentemente liberale. 7 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti Questo periodo dura fino alla caduta del fascismo e alla nascita della costituzione repubblicana e dello stato democratico, che riabilita tutti i principi opposti all’autoritarismo che vietava l’attività sindacale. Lo fa in due articoli della costituzione in materia sindacale: ❖ Articolo 39: l’associazione sindacale è libera. ❖ Articolo 40: diritto di sciopero, è trasformato da mera libertà come era nel codice Zanardelli a un vero e proprio diritto. Oggi non si può licenziare per aver scioperato, lo sciopero è un diritto costituzionale che si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolamentano. Non è un diritto assolutamente libero, immaginiamo se in un ospedale si proclama uno sciopero e tutti scioperano, non è possibile, l’ambito dei servizi pubblici essenziali e anche l’ambito militare è ben regolamentato. Cambia quindi la prospettiva, viene incoraggiata l’attività sindacale e tutto questo trova consacrazione nello statuto dei lavoratori, la legge 300/1970, che prevede una serie di diritti collegati all’attività sindacale. Lo statuto dei lavoratori dà completa attuazione ai due articoli della costituzione e prevede: ❖ Titolo II: i diritti di libertà sindacale. ❖ Titolo III: i diritti di attività sindacale, riconosciuti oggi anche nell’ambito militare. Cosa significa attività rispetto a libertà? ❖ Libertà: è un principio, ciascuno può fondare la sua associazione sindacale, è un’iniziativa libera. Allo stesso modo ciascuno può aderirvi o meno. ❖ Attività: le associazioni sindacali sul luogo di lavoro possono are determinate cose, come convocare un’assemblea sindacale, promuovere un referendum su una certa materia tra lavoratori, hanno diritto a non essere trasferiti se non in presenza di certe condizioni, hanno diritto a permessi alcuni retribuiti alcuni no, hanno diritto di fare proselitismo e affiggere documentazione. Sono diritti che, se non li avesse riconosciuti la legge, non ci sarebbero, si parla quindi di diritti di attività sindacale che si accompagnano a quelli di libertà sindacale. Consentire, incoraggiare e proteggere un’attività sindacale è qualcosa di più del solo consentire la libertà sindacale (si potrebbe dire, per esempio, che si è liberi di fare assemblee ma fuori dall’orario lavorativo, o durante le ferie). Quindi, oggi il mondo del diritto sindacale ha i due articoli della costituzione e varie leggi a tutela dell’esercizio dell’attività sindacale, che si pone quindi in una prospettiva diversa rispetto ad una mera libertà. Per questo, alcuni diritti sono riconosciuti nel Titolo II dello statuto dei lavoratori e altri nel Titolo III che riguarda proprio l’attività sindacale. 8 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti Il Titolo II ribadisce per esempio il diritto di libertà sindacale, prevede il divieto di discriminazioni di qualunque tipo, tra cui quella sindacale, un lavoratore non può subire discriminazioni perché esercita una certa attività sindacale, perché parla una certa lingua eccetera. Si va anche oltre il piano sindacale. Sempre nell’ambito della libertà sindacale, vi è il divieto di sindacati “di comodo”, promossi e costituiti dal datore di lavoro (altererebbe la genuinità dell’attività sindacale e il corretto equilibrio delle relazioni sindacali). Vediamo come le cose cambiano con la costituzione, si ritiene che l’attività sindacale sia utile perché disciplina il conflitto, tendenzialmente risolve un conflitto. Il contratto collettivo in fondo è una risoluzione di un conflitto, è il frutto di un accordo, è un sistema di composizione ordinata del conflitto. Quindi, l’attività del sindacato è utile in quanto porta ad una regolamentazione che si applica a milioni di lavoratori e che è concordata dalle parti. Il sindacato è quindi un organismo intermedio, incoraggiato dall’articolo 2 della costituzione (non siamo uno stato statalista, incoraggiamo i corpi intermedi, cosa che sono i sindacati). I sindacati svolgono una funzione socialmente apprezzata, tant’è che ricevono tutela per lo svolgimento di questa funzione. La contrattazione collettiva è la manifestazione plateale della composizione del conflitto. Quindi, con la costituzione nasce una teoria dell’ordinamento intersindacale. Viene valorizzato l’ordinamento sindacale di corpi intermedi: il contratto collettivo, gli accordi interconfederali sono accordi che vengono incoraggiati perché costituiscono espressione della soluzione di un conflitto, cosa vista in modo positivo. Il conflitto sindacale nella costituisce costituisce un fattore positivo, visto come elemento di evoluzione e progresso delle condizioni generali del lavoro e punto di equilibrio tra gli interessi imprenditoriali e gli interessi dei lavoratori. Il contratto è l’incontro di due volontà che raramente coincidono totalmente, la volontà negoziale si compone. Dal contrasto tra datore di lavoro e lavoratori nascono le piattaforme contrattuali, in cui i soggetti dicono quello che vogliono, poi si scontrano e incontrano fino a quando non si compongono e questo è un fattore di progresso perché la composizione realizza anche la composizione degli interessi sottostanti, gli interessi si compongono nel contratto collettivo. La nostra costituzione incoraggia gli ordinamenti (tutti sempre sottoposti ai principi generali dell’ordinamento) che hanno una loro autonomia, l’ordinamento intersindacale ha una propria autonomia, fa degli accordi che non sono solo i contratti collettivi ma anche accordi tra confederazioni (accordi interconfederali). È un sistema giuridico che fa parte dell’ordinamento statale ma che è autonomo, purché rispetti i principi. Cos’è quindi oggi l’ordinamento sindacale, il diritto sindacale? Il diritto sindacale è il frutto di tutto questo, non lo si può concepire se non storicamente. I principi che governano oggi il diritto sindacale devono essere compresi attraverso la storia. Considerando gli interessi tutelati e come questi vengono tutelati, il punto di equilibrio si trova nel conflitto positivo tra le 9 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti parti. Vi è poi ovviamente anche il conflitto esasperato, che viene represso, ma nel mondo del sindacato e del lavoro va visto come un fattore di crescita destinato a dare un punto di equilibrio. 31/10/2024 Abbiamo fatto una lezione introduttiva per capire come nasce il diritto sindacale, che si inserisce nel più generale sviluppo del diritto del lavoro. Comprendere cos’è il diritto sindacale si può esclusivamente in una prospettiva storica, collocando storicamente la sua nascita in relazione alle problematiche poste dalla rivoluzione industriale. Abbiamo visto l’evoluzione, come si arriva all’attuale ordinamento costituzionale, dove il ruolo dell’attività sindacale e del diritto sindacale è individuato dalla costituzione nei due articoli (39 e 40) che si occupano della materia sindacale. (APPROFONDIMENTO: la libertà sindacale trova riscontro anche in istituzioni internazionali, prima fra tutte l’International Labour Organization, organismo delle nazioni unite che si occupa del mondo del lavoro e, tra i principi fondamentali, c’è proprio quello di libertà sindacale). Art.39: libertà sindacale, principio non scontato visti i passaggi tra repressione e libertà, tanto che si è stabilito per la prima volta un diritto di sciopero di fianco alla libertà sindacale come un diritto costituzionalmente protetto. Abbiamo visto un altro fenomeno interessante, l’esistenza accanto all’ordinamento statale, che è quello che regolamenta molti aspetti della nostra vita attraverso la legge, degli organismi intermedi. Capire questo significa capire in concreto come funziona un regime democratico e come si caratterizza rispetto a regimi autoritari. Nel nostro ordinamento l’attività sindacale è uno degli aspetti attraverso cui si manifesta la libertà di associazione e del favore verso i corpi intermedi. Questi ultimi poi, quando sono strutturati, dove si manifesta e si sviluppa la personalità di ciascuno di noi, sono corpi che talvolta hanno un vero e proprio ordinamento interno riconosciuto dallo stato. Un esempio è il CONI (per l’attività sportiva), che disciplina ogni aspetto dell’attività, comprese sanzioni. Lo stato ha una funzione del tutto sussidiaria, raramente ci sono stati ricorsi contro decisioni delle autorità sportive ai tribunali amministrativi, ma sono casi rarissimi. Abbiamo un ordinamento che si autodisciplina, questa è l’idea di ordinamento intermedio e anche a livello sindacale, per quanto riguarda i rapporti tra le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori e il modo in cui devono funzionare queste relazioni, l’ordinamento, attraverso la contrattazione collettiva e gli accordi interconfederali ha creato un proprio ambito giuridico. Tant’è che si è usata l’espressione “ordinamento intersindacale”, con una propria autonomia ma collegato all’ordinamento statale. Questo è 10 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti in linea con la previsione costituzionale della valorizzazione della personalità umana nei corpi intermedi. In regimi autoritari questo è scarsamente concepibile, perché lo stato tende al controllo totale anche di quelli che sono gli ordinamenti intermedi. L’associazionismo nei regimi autoritari è sotto controllo statale (come, per esempio, il sindacato in Cina). In quegli ordinamenti con vocazione autoritaria, le prime entità che ne subiscono la conseguenza, perché non possono nascere e svilupparsi, sono proprio i corpi intermedi. Da noi l’associazionismo è diffuso in ogni campo, i corpi intermedi sono favoriti dal nostro ordinamento, il costituente voleva così, in quanto pensava che la personalità si potesse sviluppare, secondo le proprie inclinazioni, anche e soprattutto all’interno di questi organismi. La partecipazione a questi organismi intermedi favorisce l’idea stessa di partecipazione, dà l’idea di essere qualcuno che conta in una scelta, ciascuno ha la consapevolezza del proprio essere. Questo non è nei regimi autoritari molto auspicato, in quanto le linee direttive vengono dall’alto, l’iniziativa e il senso di partecipazione e di “contare” non sono favoriti, in quanto potrebbero creare situazioni di dissenso. Se il dissenso è represso non si devono nemmeno favorire quei luoghi dove la consapevolezza del proprio essere, della propria partecipazione e della propria libertà potrebbe crescere ed essere un ostacolo degli obiettivi dello stato. Questo non è un discorso teorico, avere la consapevolezza di cosa la nostra costituzione prevede, come ritiene importante lo sviluppo della libertà critica di ciascuno è fondamentale. Abbiamo detto che la costituzione si occupa del tema sancendo il principio della libertà sindacale, non solo libertà di costituire associazioni sindacali, ma anche libertà di agire. La libertà di costituire un’associazione, se non ci fosse anche la libertà di agire in un certo contesto di relazioni intersindacali sarebbe una libertà vuota. Il diritto d’azione è inevitabilmente connesso alla libertà: “pensiero e azione” era lo slogan di sintesi della scuola mazziniana dell’800. Il pensiero astratto non è nulla se non può tradursi in comportamenti concreti e attivi. Il diritto di sciopero, manifestazione di azione sindacale, viene quindi protetto nel nostro ordinamento in ambito costituzionale, sempre nell’ambito delle leggi che regolamentano lo sciopero, perché uno degli aspetti di fondo del nostro mondo costituzionale è il bilanciamento: non esistono nel nostro ordinamento diritti assoluti, non esiste un diritto che prevale su qualsiasi altro diritto di natura costituzionale. L’idea di fondo del regime democratico è quello del bilanciamento di diritti. Interessi e diritti si confrontano in un continuo bilanciamento e questo bilanciamento viene operato in primo luogo dal legislatore. La legge è sempre frutto di un bilanciamento di interessi diversi, poi il bilanciamento lo fanno i giudici interpretando la legge (entro certi limiti, perché devono tener 11 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti conto del bilanciamento già creato dal legislatore) e la corte costituzionale quando valuta la legittimità costituzionale delle leggi. Se il bilanciamento e l’equilibrio costituisce uno dei fattori fondamentali nella composizione dei diversi interessi che l’ordinamento esprime, questo varrà anche nell’ambito dell’azione sindacale, che è libera e favorita, ma va bilanciata con il diritto di iniziativa economica privata, perché un altro principio costituzionale è quello sancito dall’articolo 41 della costituzione che prevede che l’iniziativa economica è libera, sempre che non si svolga in contrasto con l’attività sociale. La libertà di iniziativa economica è, quindi, l’altro asse portante del nostro ordinamento: la nostra costituzione crede che la libertà di iniziativa economica costituisca un fattore di sviluppo, perché favorisce la concorrenza, la necessità di migliorare la propria organizzazione se si vuole competere sul mercato, la razionalizzazione dell’organizzazione produttiva per chi ha avviato e vuole vedere crescere un’attività imprenditoriale. Tutto questo, quindi, ha protezione costituzionale, come ha protezione costituzionale la libertà sindacale e il diritto di sciopero. Questi sono quindi diritti che esprimono valori in cui l’ordinamento crede (libertà di iniziativa economica purché non in contrasto con l’attività sociale; libertà di azione sindacale purché non comprima eccessivamente la libertà sindacale). Quindi, cosa avviene normalmente in questo bilanciamento? Come si trova il bilanciamento? La corte costituzionale quando valuta una legge non svolge un lavoro semplice, può sbagliare. La corte quindi si è data alcuni principi, un diritto costituzionalmente tutelato (e noi abbiamo parlato di due diritti fondamentali, la libertà di iniziativa economica e di azione sindacale) non può essere compresso nel suo nucleo essenziale, cioè la corte deve mettere ordine, il giurista non può essere confuso, altrimenti non può dare risposte comprensibili e condivisibili dall’opinione pubblica. Non ci può essere una previsione legislativa di questo tipo: se una legge consentisse in qualsiasi momento la libertà di assemblea, di riunione, di interrompere l’attività lavorativa per discutere problemi sindacali senza dare preavviso, senza avere un limite di tempo, di orari, nel corso del mese, dell’anno per svolgere l’attività e quindi favorisse così la libertà sindacale a totale detrimento della libertà di iniziativa economica, probabilmente valutando questa legge la corte potrebbe dire che la libertà di iniziativa economica è lesa nel suo nucleo essenziale. Se l’imprenditore può in qualsiasi momento, senza poter nulla dire in virtù di questa legge, essere interrotto nell’attività produttiva, il nucleo dell’iniziativa economica (che è offrire un prodotto o servizio efficiente che l’imprenditore sia in grado di offrire a costi remunerativi) viene meno, non può prevedere la produzione né nulla, se l’attività in qualsiasi momento potrebbe essere interrotta per uno o due giorni. Non esiste e non esisterà mai questa legge, ma questo è per capire grossomodo cosa si intenda per salvaguardia del nucleo essenziale. Dal lato opposto, se ci fosse una legge che dicesse che l’imprenditore può impedire in qualsiasi momento lo svolgimento di un’assemblea sindacale, nonostante sia stata richiesta 12 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti nei tempi previsti e nonostante sia all’interno dei limiti orari annuali o mensili per questo tipo di attività, dall’altra parte si avrebbe una lesione del nucleo essenziale di quel diritto di libertà di azione sindacale e sciopero, che non è compatibile con la costituzione. Negli esempi fatti i giudici costituzionali avrebbero vita facile, non dovrebbero nemmeno stare troppo ad interrogarsi e avere grossi dubbi per arrivare alle decisioni, ma la realtà è di situazioni dove capire se è stato leso il nucleo essenziale di un diritto costituzionalmente protetto è un’attività complessa, che richiede un ragionamento articolato, non è un fatto matematico, bisogna bilanciare, vedere in che misura quel diritto non può essere adeguatamente esercitato dalla previsione di legge che l’ha compresso; è una valutazione non semplice, ma questo è il lavoro della corte: il bilanciamento. I giuristi si danno dei metodi come il nucleo essenziale e la proporzionalità: per esempio, se il legislatore ha un obiettivo, la legge deve essere anzitutto idonea a raggiungere l’obiettivo fissato dal legislatore; in più l’obiettivo deve essere raggiunto con la misura più mite, la misura che di meno incide sugli altri diritti. Del resto, la sproporzione vale anche nell’azione militare, se ne parla sempre nell’ambito ONU, il principio di proporzionalità appartiene anche all’ordinamento militare, l’azione sarà proporzionale alla situazione, all’offesa o all’attacco ricevuto, questo anche per evitare che il conflitto si allarghi a dismisura. Non si può reagire con la bomba atomica a qualsiasi provocazione. Le leggi nell’ambito sindacale dovrebbero tener conto di questo bilanciamento, le misure devono essere tali da non provocare un’eccessiva compressione del diritto opposto che si tocca con quella misura legislativa. Se si deve usare la forza fisica la si usa in modo proporzionale, anche perché se la si usa tutta, se la situazione si protrae si è destinati a soccombere, sono principi di conservazione e di reazione adeguata e proporzionale. Questi sono principi fondamentali che ci fanno capire il contesto in cui si muove il diritto sindacale rispetto al diritto di iniziativa economica privata, perché tanto il bilanciamento è tutto lì, il confronto è tutto tra queste due situazioni, entrambe tutelate adeguatamente dalla nostra costituzione. Quando si parla di libertà sindacale, però, bisogna tenere anche presente che non si può essere discriminati per motivi sindacali. Questa va ad incidere sul nucleo essenziale protetto dalla costituzione: non si può essere discriminati perché si è svolta attività sindacale, e questo vale anche nell’ordinamento militare. Dopo la sentenza della corte costituzionale del 2018 e dopo la legge del 2022 sulla possibilità di svolgimento dell’attività sindacale, l’ordinamento militare prevede che ci possano essere rappresentanti a tutela degli interessi della categoria (anche retributivi e di carriera). 13 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti Quindi se X è diventato membro di organismi sindacali e non passa più di grado, si tratta di discriminazione per ragioni sindacali rispetto ad una progressione normale di carriera che non ha motivo di essere bloccata (in quanto il curriculum di X è in linea con quello di tutti gli altri e non ci sono cose negative a bloccarlo). Il fatto che qualcuno venga eletto dai colleghi nell’ambito dell’attività sindacale non può pregiudicare i diritti fondamentali della persona che ha avuto questo incarico e svolge questa attività. Quindi, la discriminazione per ragioni sindacali è vietata. Il nostro ordinamento comunque vieta ogni forma di discriminazione a prescindere, collegate a fattori, religiosi, politici e molto altro. L’articolo 15 della legge n.300/1970 (statuto dei lavoratori) prevede il divieto di discriminazioni (a cui consegue la nullità dell’atto discriminatorio, è stato utilizzato il potere per un fine diverso da quello per cui era stato assegnato), ribadito anche negli anni 2000 in altre leggi che hanno dato attuazione a direttive europee proprio in materia di discriminazione. (DIGRESSIONE SULLA DISCRIMINAZIONE: Divieto di discriminazione per ragioni politiche, di sesso, di razza, di opinioni politiche, di libertà sindacale. Questi fattori, caratteristiche di una stessa cerchia, non possono diventare fattori discriminanti. La previsione dell’articolo 15 dello statuto dei lavoratori è che ogni atto che sia connotato da una discriminazione è nullo. Questa è una previsione di carattere generale. Quando gli elementi da prendere in considerazione sono stati incisi dal fattore discriminante, magari di natura sindacale, allora l’atto è nullo perché significa che è stato utilizzato il potere che dava la possibilità di disporre di quell’atto per un fine diverso rispetto a quello per cui era stato assegnato. Vediamo come opera la discriminazione in concreto. È difficile che un soggetto che vuole porre in essere un atto discriminatorio dichiari la sua volontà, questo avviene sicuramente nel regime autoritario, dove non si devono rendere motivi a nessuno. Ciò che decide il potere è sempre vero e giusto in uno stato autoritario, in uno democratico no. Come si dimostra il fattore discriminatorio? Può darsi che, in un caso su 100, chi ha disposto l’atto ne ha parlato magari con qualcun altro, in questo caso c’è la prova diretta, se chi ha ricevuto la confidenza va a testimoniare può esserci una prova diretta della discriminazione. Nella maggior parte dei casi questa prova non c’è, chi vuole discriminare si guarda bene dal dichiararlo. Prova presuntiva: ammettiamo che di una classe in accademia il 90% degli uomini ha raggiunto un certo grado e invece solo il 10% delle donne ha raggiunto lo stesso livello. Qualcosa non torna, proprio per questo a livello euro – unitario c’è una direttiva che si è tradotta in 3 disposizioni di legge tra il 2003 e il 2006 in Italia che nel processo consente l’inversione dell’onere della prova di fronte a dati statistici. 14 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti Questo è importante, di fronte a dati statistici si ha la possibilità di arrivare alla prova. Il 90% degli appartenenti ad uno stesso genere ha avuto promozione, il 10% degli appartenenti all’altro genere invece no. Il difensore della parte femminile introduce questo dato nel processo e a questo punto il giudice chiede al PM di spiegare in modo convincente come mai soltanto il 10% ha avuto il risultato. È il PM che deve provare che non c’è stata discriminazione in questa differenza statistica ma che ci sono ragioni obiettive per cui si è creata questa situazione di così evidente disparità statistica. Si porta il dato statistico, se esiste, e a questo punto spetta alla controparte dimostrare che non c’è discriminazione. L’inversione dell’onere della prova ha effetti non trascurabili dal punto di vista processuale, quando il processo è incerto si decide sulla base del principio dell’onere della prova, se non ci sono prove evidenti in un senso o nell’altro il giudice chiede chi avesse l’onere della prova (X rispetto a Y), se X non è riuscito a dare prova piena allora perde la causa. Questo è il principio dell’onere della prova, quindi in una situazione come quella prospettata poc’anzi, se il PM non riuscisse a dimostrare che non ci sono stati fattori discriminatori il giudice direbbe che c’è stata discriminazione. La differenza è quindi notevole. L’aspetto sostanziale, l’affermazione di principio che nessuno può essere discriminato per le ragioni dette, al cui interno c’è anche la ragione di ordine sindacale, si è rafforzato enormemente con le leggi dal 2003 al 2006 che hanno introdotto il principio dell’ inversione dell’onere della prova su basi statistiche, oltre all’accelerazione al rito, ha previsto un rito speciale che consente di avere risultati in tempi brevi. Però la cosa importante è l’inversione dell’onere della prova che completa il quadro di tutele rispetto alla discriminazione, che diventa una tutela forte, effettiva. Uno dei principi dell’Ue è proprio l’effettività, se un certo regime giuridico è preordinato a ottenere questi risultati, questi devono effettivamente essere conseguiti. In Italia non siamo al primo posto, perché molto spesso ci sono provvedimenti dei giudici che non si riesce ad attuare. Comunque, nei paesi anglosassoni e nel Regno Unito c’è addirittura un reato, l’oltraggio alla corte, in caso di mancata esecuzione dell’ordine del giudice, infatti c’è una grande effettività. Nell’ambito della vita civile, per esempio, da noi eseguire uno sfratto è difficile, ci vuole tempo; in Inghilterra se l’avvocato manda una diffida al moroso dicendo di uscire perché non ha pagato il canone e questo non la rispetta nel termine di 90 giorni si va davanti al giudice che dà un ordine che, se non viene eseguito, porta alla denuncia per oltraggio alla corte. L’effettività è molto importante nel mondo del diritto: è inutile affermare un diritto se poi questo non è effettivo. Nel mondo delle discriminazioni anche per ragioni sindacali, questa normativa sulle discriminazioni ha aiutato moltissimo, non dimentichiamo che nel mondo solo sindacale abbiamo anche l’articolo 28 (repressione della condotta anti sindacale)che è un altro 15 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti strumento processuale che aiuta molto sul piano dell’effettività, perché anche qui c’è una sanzione penale se non si rispetta l’ordine del giudice. Oggi il nuovo codice prevede, in casi particolari, non nel mondo del diritto del lavoro, una sorta di astreinte, istituto di origine belga, che si ritrova in altri ordinamenti, per cui se il giudice dà un ordine e uno non lo esegue, non c’è la sanzione penale come nel Regno Unito ma c’è una penale economica. Si paga una somma di denaro per ogni giorno in cui non viene eseguito il provvedimento del giudice, anche questo è un bel deterrente. Quando viene toccato il portafoglio, prima di non eseguire un ordine, una sentenza, un’ordinanza del giudice, ci si pensa. Questo istituto ha cominciato ad essere utilizzato, stiamo rincorrendo l’effettività. Il mondo del diritto è il mondo di ciò che deve essere, anche sul piano delle discriminazioni.) La protezione del nucleo essenziale del diritto di libertà sindacale e di svolgere azione sindacale ricomprende al suo interno il divieto di discriminazione: se la corte costituzionale fosse investita di una legge che in qualche modo discriminasse per ragioni sindacali, potrebbe dire che la legge è in contrasto con la costituzione, con il principio di uguaglianza e con i principi generali del nostro ordinamento. Altro fattore fondamentale è il rispetto dei propri confini: l’imprenditore deve fare l’imprenditore, non può trasformarsi nel sindacalista che contrasta con gli interessi di se stesso. L’imprenditore non può promuovere un sindacato, secondo l’articolo 17 dello statuto dei lavoratori, vi è il divieto di costituire i sindacati di comodo (anche detti “sindacati gialli”, comportamento antisindacale), anche indirettamente (finanziandoli). Se qualcuno costituisse un’associazione sindacale finanziata dall’imprenditore, dovrebbe avere una dialettica con l’imprenditore ed è chiaro che questa sarebbe inquinata, in quanto dipendente dall’imprenditore (che nella maggior parte dei casi ha interessi contrastanti con il finanziato). È un fattore che incide sul genuino conflitto di interessi, sul conflitto positivo, ma se questo è alterato dall’origine perché il sindacato non è autentico l’articolo 17 ne fa divieto. Facciamo un inciso: se si parla di rispettare confini, non bisogna pensare che il sindacato non debba essere coinvolto o avere voce in capitolo nelle iniziative imprenditoriali, è ovvio, l’imprenditore deve fare il proprio ruolo, ma qui c’è anche l’articolo 46 della costituzione che prevede e favorisce la partecipazione dei lavoratori nella gestione dell’impresa. Se c’è la condivisione degli obiettivi che l’impresa si dà e quindi si danno dei ruoli alle parti sociali anche sindacali è meglio, la partecipazione in Italia non ha avuto molta attuazione in diritto costituzionale, ma comunque è prevista dalla costituzione. La corte costituzionale non potrebbe dire che se si prevede una possibilità di partecipazione in una legge nel CdA delle aziende da parte del sindacato questa è incostituzionale perché va fuori dai confini dell’attività sindacale, perché è previsto dall’articolo 46 che favorisce la partecipazione e lo ritiene un fattore di sviluppo. 16 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti Infatti, il tema della partecipazione si sta riproponendo a 70 anni dalla costituzione come prospettiva futura, perché in una società dove conta sempre di più la società e la conoscenza, in cui il lavoratore è sempre più formato e può creare sempre più ricchezza attraverso le sue conoscenze, essere partecipe delle dinamiche aziendali nel conseguimento di un obiettivo (che porta anche al riconoscimento di premi) significa che la resa della produttività aumenta inevitabilmente. Anche nell’ambito militare, un reparto militare sfiduciato in una situazione bellica potrebbe provocare tragedie rispetto ad un team motivato e con un obiettivo comune. Parliamo ora dell’articolo 39 sulla libertà sindacale per come è strutturato, per i problemi che pone, e poi vedremo come la libertà sindacale si esercita nell’ambito dell’ordinamento militare, affrontando il tema della sentenza della corte costituzionale del 2018 (in materia di libertà sindacale e ordinamento militare) e della legge del 2022 (regolamenta la materia sulla base della sentenza della corte costituzionale). 17 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti Problemi posti dall’art.39 Cost. L’articolo 39 prefigurava un ordinamento sindacale ordinato che avrebbe dovuto avere anche la possibilità di esercitare le proprie attività in modo disciplinato e dando regolamentazioni per tutti gli appartenenti ad un certo settore. Definiamo meglio: l’attività per eccellenza nell’ambito sindacale è la contrattazione collettiva, perché nella contrattazione collettiva si compone il conflitto tra datore di lavoro e parte sindacale ogni volta che bisogna regolamentare le condizioni. La parte più banale ma non secondaria è quella economica: se l’imprenditore chiede 100 e il datore di lavoro offre 50, il conflitto andrà composto in qualche modo, anche attraverso le trattative, trovando bilanciamenti. Se la principale attività che si svolge nell’esercizio dell’attività sindacale è la composizione del conflitto nella contrattazione collettiva, bisogna vedere come il costituente pensava di regolamentare questa cosa. Poniamo subito il problema: i contratti collettivi vengono fatti per settore, questo anche nel pubblico impiego, i dipendenti dei ministeri, i dirigenti dei ministeri, settore militare (accordi per la parte economica), enti locali, non ci può essere un contratto che ovunque regolamenta tutto. Pensiamo al privato ora, c’è il settore metalmeccanico, vastissimo, che va dalle automobili ai mezzi militari, dai treni alla cantieristica navale. Parlando di settore chimico, è logico che sia diverso dal metalmeccanico, anche non conoscendo la materia. Grossomodo, se si parla di agricoltura o di industria si intuisce la differenza, se si parla di chimica o di farmaceutica o di metalmeccanica o di edilizia o di logistica si capisce; i contratti non possono disciplinare l’edilizia come la metalmeccanica, perché i problemi sono diversi, ogni settore ha una propria specialità e quindi i contratti si troveranno per grossi settori. Qual è il problema che il costituente si è posto? È auspicabile che per tutta la metalmeccanica, per tutta la chimica, per tutta l’edilizia ci sia un contratto comune, uno solo, e per avere un unico contratto il costituente ha studiato un meccanismo, che non si è realizzato, ma che era ragionevole. Il problema si pone perché se nel settore metalmeccanico ci sono 4 sindacati (e la libertà di iniziativa sindacale permette di avere quanti sindacati si desiderano) e dall’altra parte un’associazione sindacale imprenditoriale (Finmeccanica per la metalmeccanica. È l’organizzazione sindacale di Confindustria che si occupa del settore della metalmeccanica, che raccoglie le aziende affiliate a Confindustria del settore metalmeccanico), qual è il contratto? Se un’associazione sindacale, la CISL, dice che vuole fare il contratto da solo, e la CGIL dice lo stesso, si pone un problema. Il costituente, quindi, prevede un meccanismo: la libertà sindacale è garantita e possono esserci più sindacati; per arrivare alla formazione di un unico contratto nei vari settori il meccanismo è questo: 18 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti 1. Chiedere ai sindacati del settore di registrarsi per sapere quanti sono in un registro tenuto presso il ministero del lavoro. L’unica caratteristica richiesta per registrarsi, nell’ambito dell’articolo 39, è che si tratti di sindacati a base democratica (ossia che i membri direttivi devono essere eletti). È normale, l’associazione sindacale fa il suo congresso provinciale, regionale, nazionale, ci saranno gruppi di persone con idee e programmi diversi e vengono eletti. Quello che non è ammesso è che il “creatore” del sindacato possa essere segretario a vita e decidere (sindacato dittatoriale), non è un sindacato con base democratica, si può fare ma non può essere registrato nel registro dei sindacati. 2. L’effetto della registrazione, una volta accertata la base democratica, era la possibilità di partecipare alle trattative per la formazione dell’unico contratto che il costituente aveva in mente per i singoli settori (chimica, edilizia, metalmeccanica e così via). 3. Come partecipare alle trattative? Con una rappresentanza unitaria, diciamo con 10 persone. Questi 10 vengono nominati dai sindacati registrati; se ci sono 4 sindacati e 10 posti, la nomina avviene su base di rappresentanza: se sono il sindacato A e ho un numero di iscritti rispetto a tutti gli iscritti ai sindacati del settore metalmeccanico pari al 40%, su 10 ne avrò 4, e così via per tutti gli altri. Se uno ha più iscritti ha anche più rappresentanti, la rappresentanza si forma su base proporzionale pura. Come ci si conta? Semplicemente, il lavoratore che si vuole iscrivere al sindacato lo fa presenta al datore di lavoro, il quale deve operare una piccolissima trattenuta dallo stipendio (per mantenere il sindacato) che poi trasmette all’INPS che a sua volta passa al sindacato. Se in Italia il 40% dei lavoratori ritiene di appartenere al sindacato metalmeccanico della CGIL, lo dice al datore di lavoro, il lavoratore firma una delega, il datore di lavoro fa la trattenuta, la manda all’INPS con la delega, l’INPS raccoglie tutte le deleghe e dà i soldi ricevuti al sindacato della CGIL. A quel punto, chiedere all’INPS di contare tutte le deleghe e fare le percentuali non è un grande problema, su base 100 si fa un calcolo matematico. La rappresentanza unitaria si forma in questo modo, sulla base dei dati trasmessi dall’INPS. Questo è il meccanismo previsto dall’articolo 39 per concludere il contratto, poi la rappresentanza unitaria va a trattare con il sindacato dei datori di lavoro e nasce il contratto. A questo punto il contratto vale per tutti, anche per i lavoratori che non sono iscritti al sindacato. È un meccanismo di assoluta semplicità e linearità, con l’obiettivo di non avere caos contrattuale, di avere un unico contratto per categoria. 19 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti [Nozione di categoria: operai, impiegati, quadri e dirigenti, queste sono le 4 categorie che esistono nell’ambito della ripartizione delle funzioni nel rapporto di lavoro, previste dal codice civile. Sono le categorie che individuano le mansioni e le posizioni dei lavoratori. Qui però “categoria” assume un significato diverso: è l’ambito di riferimento della contrattazione collettiva (metalmeccanici, chimici, edili, agricoltori,…). La categoria è una nozione ampia che va delimitata. C’è un articolo, il 2070 del codice civile, che indica come si individua la categoria. Però questo articolo è stato realizzato quando c’erano le norme corporative, nel periodo del fascismo; quindi come si può applicare questo articolo ai contratti collettivi dopo la guerra, dopo l’entrata in vigore della costituzione, che sono diversi in quanto non sono fonti del diritto dirette come le norme corporative? Questa norma faceva riferimento alla categoria merceologica, alla nozione merceologica di categoria, sotto il profilo del diritto sindacale. È una nozione che si basa su un presupposto oggettivo, si guarda, secondo le conoscenze comuni e il senso comune in cui vengono utilizzate le parole, cosa si intende per attività metalmeccanica, che nasce come attività che modifica l’acciaio e il ferro, che crea prodotti con la caratteristica di avere come base la modificazione all’origine del ferro e di altri materiali per realizzare prodotti accomunati merceologicamente dalla materia prima. La categoria, secondo il vecchio articolo 2070, quindi veniva individuata su base merceologica. Il 2070, quindi, nasce in un contesto di norme corporative in cui il contratto collettivo era fonte di diritto, e questo porta qualche problema per il contratto di diritto comune successivo alla mancata attuazione dell’articolo 39 della costituzione. Questa nozione merceologica significa che il giudice deve nominare un consulente tecnico, perché ci sono aziende che sono al confine tra una categoria e l’altra. Quando ci sono situazioni di confine non è facile individuarle, anche se il giudice può avvalersi di una consulenza tecnica (CTU) che indichi fattori che portino a pendere più verso una categoria anziché un’altra, nei casi di compresenza di elementi merceologici identificabili. Questa è quindi la nozione oggettiva o merceologica dell’articolo 2070. Si pone il problema che il contratto collettivo non è più quello corporativo, quindi a determinare le categorie sono le parti sociali, che fanno quello che vogliono. È la nozione contrattuale (NON oggettiva o merceologica) di categoria, dipende dal contratto collettivo stesso che specifica quai settori rientrano nel contratto. Questa è la nozione soggettiva o contrattuale di categoria, perché dipende dalle parti. 20 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti Questa è la nozione che si adatta meglio al nostro ordinamento, perché il contratto è un contratto collettivo di diritto comune e il 2070 fa riferimento alle norme corporative. Al giudice oggi basta che siano identificate ciò che rientri in una determinata categoria. Il problema della nozione oggettiva non viene eliminato, ci sono casi in cui rientra in gioco: Un esempio riguarda la nozione di retribuzione sufficiente, l’abbiamo studiata per dire i casi in cui il contratto collettivo trovava generale applicazione in virtù dell’articolo 36 della costituzione sotto il profilo delle quantificazioni retributive. Un lavoratore va davanti al giudice, lavora presso una certa azienda ed è pagato 400€ al mese per fare 40 ore settimanali, tempo pieno. Il lavoratore va davanti al giudice e fa presente che l’azienda non è iscritta a nessuna associazione sindacale (se una è iscritta si applica il contratto collettivo dell’associazione sindacale a cui è iscritta). Il lavoratore dice che l’azienda viola l’articolo 36 sella costituzione, perché la retribuzione non è sufficiente al mantenimento del lavoratore e della sua famiglia. Chiede al giudice di rideterminare la retribuzione e di condannare il datore di lavoro a pagargli la differenza. Il giudice effettivamente constata che 400€ non sono sufficienti, quindi va a vedere il contratto collettivo per vedere la retribuzione minima sufficiente, ma quale contratto collettivo? Qui non c’entra la nozione soggettiva, perché il datore di lavoro non è iscritto ad alcun sindacato, quindi il giudice deve per forza vedere il 2070 e vedere di cosa si occupa l’azienda. Qui viene applicata la nozione di categoria del 2070, la nozione merceologica, in quella soggettiva non si trova nulla, nonostante il 2070 sia una norma riferita all’ordinamento corporativo. (DOMANDA D’ESAME! Cos’è la categoria sindacale? Come si individua la categoria sindacale?)] Questo meccanismo non è stato attuato, ci fu un’opposizione, negli anni successivi al ’48 vi fu un’opposizione durissima da parte dei sindacati più piccoli (“piccoli” relativamente, si parlava comunque di grandi confederazioni, soprattutto la CISL si oppose). La CISL si oppose perché aveva meno numeri nella rappresentanza unitaria rispetto alla CGIL, allora questa cosa non andava bene, perché pensava di contare meno e quindi ci fu un’opposizione. Considerando che i sindacati hanno un bacino culturale politico di riferimento (il sindacato cattolico è la CISL, il sindacato collegato al comunismo è la CGIL, il sindacato collegato alla destra è la UGL, eccetera), la CISL fece pressione sulla Democrazia Cristiana, partito di maggioranza che esprimeva anche la presidenza del consiglio, perché questa legge di attuazione dell’articolo 39 non fosse fatta, e infatti fu così. La CISL faceva anche una questione teorica, faceva riferimento al sindacalismo nordamericano, che non ha mai voluto avere niente a che fare con lo stato, registrazioni, riconoscimenti, era un sindacalismo libero sulla base dei rapporti di forza che sapeva creare e quindi c’era un contrasto culturale all’idea di registrazione. Era un contrasto molto forzato perché se il costituente avesse dato una valutazione discrezionale per iscrivere un sindacato nel registro (dicendo che deve avere un certo numero di iscritti, per esempio), allora poteva 21 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti essere un controllo troppo opprimente che andava ad incidere sul principio di libertà sindacale. Ma nel momento in cui l’unica caratteristica era la base democratica, nessun sindacato aveva nulla da temere, sarebbero stati tutti iscritti senza problemi nel registro. Questa opposizione teorica contro la registrazione, vista come un fattore di ingerenza nella vita del sindacato, era un po’ forzata. Questo ha creato grossi problemi, non si ha un contratto collettivo unico e teoricamente potrebbero essercene più di uno e ce ne sono. La storia ha preso poi un’altra piega, c’è di fatto un contratto più importante, trainante, di riferimento ai fini legislativi. Oggi non c’è stata questa legge, il tentativo del costituente di dare ordine per avere un unico contratto collettivo per settore, nel privato non si è realizzato, nel pubblico impiego è diverso perché ci sono i comparti quindi bene o male i sindacati si devono contare, perché la rappresentanza unitaria c’è e il contratto è uno. Questo è lo stato dell’arte in materia di attuazione dell’articolo 39. Il 39 trova immediata attuazione per quanto riguarda la libertà sindacale, principio costituzionale di immediata applicazione. Non ha trovato applicazione per le modalità di formazione dell’unico contratto collettivo per ogni settore produttivo, e i motivi sono quelli detti. 22 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti Libertà sindacale e settore militare Detto questo veniamo al problema della libertà sindacale e settore militare; anche qui ci sono dei principi costituzionali da bilanciare. La libertà di iniziativa sindacale da una parte e la tutela della sicurezza e dell’efficienza dell’organismo posto a presidio della difesa della patria (organismo militare) e le particolarità di funzionamento, perché il principio gerarchico è fondamentale per l’efficienza dell’organizzazione militare, ha particolarità di funzionamento rispetto a cui si riteneva che l’attività sindacale potesse essere un fattore di turbativa: infatti, c’era un divieto, in una legge del 2009 ma anche in precedenza, di costituire associazioni sindacali nell’ambito militare. Non è che i militari non avessero rappresentanze, c’erano delle rappresentanze istituzionali che presentavano i problemi e le richieste dei militari, ma non erano sindacati militari. L’istituzione li ha riconosciuti perché un minimo dialogo dovevano farlo, però come associazione sindacale vera e propria vi era il divieto. Questa cosa dura dal ’48 fino al 2018 almeno, poi nel 2018 accade che la corte costituzionale viene investita del problema: si era formata un’associazione militare nell’ambito della GdF che aveva l’ambizione di essere una vera e propria organizzazione sindacale, il ministero della difesa e dell’economia hanno fatto presente che era cosa proibita, si è andati in giudizio e il giudice ha chiesto alla corte costituzionale se la norma che proibiva in assoluto ogni iniziativa sindacale in ambito militare fosse costituzionalmente legittima, investendo così la corte costituzionale della questione. Nel porre la questione, il giudice rilevava anche che per la polizia di stato le cose erano cambiate fin dagli anni ’80, perché la polizia era stata demilitarizzata, non faceva più parte dell’ordinamento militare, ed essendo stata demilitarizzata erano state realizzate organizzazioni sindacali di polizia riconosciute poi con legge dello stato fin dagli anni ’80. Abbiamo per un verso la polizia di stato che era militare fino alla fine degli anni ’70, poi essendo stata demilitarizzata ha potuto costituire associazioni sindacali e una legge è stata fatta per tutto questo, pur occupandosi comunque di un settore delicato. Ha una struttura che richiama comunque quella militare per il modo in cui opera e per la delicatezza delle funzioni. Nonostante ciò, essendo demilitarizzata poteva avere la sua attività sindacale. I carabinieri invece no, sono un’arma militare ma l’attività che svolge sul territorio non è molto diversa da quella della polizia di stato. I carabinieri hanno una capillarità maggiore sul territorio ma al di là di questo i magistrati si avvalgono sia di carabinieri che di poliziotti come ufficiali di PG. Questo era un elemento che per il giudice che sollevò la questione strideva con il divieto assoluto di organizzazione sindacale. La questione viene posta alla corte costituzionale anche richiamando una normativa europea che espressamente si occupava del problema: l’attività sindacale non può essere proibita in assoluto nemmeno per il settore militare, al massimo deve essere disciplinata dagli stati nazionali, tenendo conto delle particolari 23 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti esigenze del settore e degli interessi pubblici che potrebbero contrastare con l’assoluta libertà di attività sindacale. 4/11/2024 (INTRO: Abbiamo parlato del ruolo dell’ordinamento intersindacale e delle formazioni intermedie in cui viene valorizzata la persona individuale secondo anche le indicazioni dell’articolo 2 della costituzione, del bilanciamento di interessi (liberà sindacale e diritto di azione sindacale contrapposto a iniziativa economica privata, quindi il problema del continuo bilanciamento di interessi che si trova all’interno delle norme stesse, che dovrebbero avere al loro interno già un bilanciamento effettuato. A volte le norme sono un po’ generiche e rinviano all’interprete che deve in concreto effettuare il bilanciamento) Abbiamo poi parlato della protezione della libertà sindacale, del divieto di discriminazione, del divieto dei sindacati di comodo, dell’articolo 39 limitatamente alla problematica relativa alla libertà sindacale e abbiamo iniziato ad introdurre il tema della libertà sindacale all’interno dell’ordinamento militare.) Sul punto ripartiamo, per vedere cosa è accaduto e gli interventi che hanno determinato l’attuale situazione normativa in materia di esercizio dell’attività sindacale nel settore militare. C’era un problema di bilanciamento, il legislatore doveva effettuare un bilanciamento tra una libertà tutelata anche dalla costituzione oltre che dall’ordinamento euro unitario (libertà sindacale di adesione o non adesione ad alcun sindacato e di iniziativa, di fondare un sindacato e di partecipare attivamente alle relative attività). Questa libertà, espressione di un principio generale, deve contemperarsi con le esigenze proprie delle istituzioni, in questo caso di quella militare, che presenta sicuramente delle particolarità sotto il profilo della riservatezza, della tempestività, dell’azione, dell’efficienza, della valorizzazione dell’elemento gerarchico, che potrebbero apparire non del tutto compatibili cn l’esercizio della libertà sindacale. Abbiamo già visto che la libertà sindacale deve contemperarsi in generale con la libertà di iniziativa economica privata. Ma lì abbiamo solo un problema di contemperamento, non può arrivare l’esercizio della libertà sindacale a incidere sul nucleo essenziale di diritti opposti o di diritti che vengono toccati dall’attività sindacale, come il diritto di svolgere attività economica e di iniziativa economica. Il punto è capire quando si arriva ad incidere sul nucleo essenziale di un diritto. Questo è un metodo che ci aiuta a trovare in concreto il bilanciamento, si può anche comprimere un diritto per favorirne un altro a seconda del momento storico ed altri fattori, ma mai nel suo nucleo essenziale, perché comprimere il nucleo essenziale di un diritto significa farlo morire, 24 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti il diritto non esiste più. Trovare questo limite non è facile, ma è un compito che il legislatore si deve porre costantemente e costantemente chi applica la legge (giudici ordinari o corte costituzionale) si deve porre. Il legislatore pensava di aver assolto a questo compito di bilanciamento in un certo modo, ritenendo incompatibile l’esercizio dell’attività sindacale, e quindi l’attuazione della libertà che si traduce poi in un’attività, nell’ambito dell’ordinamento militare, vietando quindi la costituzione di associazioni sindacali in ambito militare. Esistevano delle associazioni, degli organismi previsti nell’ambito della legislazione militare dove in qualche modo si manifestavano le esigenze degli appartenenti al corpo militare; quindi, c’era un minimo di interlocuzione nell’ambito di questi organismi che vivevano all’interno dell’istituzione militare. Ma il problema andava oltre, il problema era che l’istituzione militare è assolutamente incompatibile con l’attività sindacale e questo, quindi, era un problema che non poteva essere risolto sulla base del fatto che esistevano raggruppamenti nell’istituzione delle forze armate dove si raccoglievano le esigenze degli appartenenti che si confrontavano poi con la direzione e con il ministero. Il problema venne sollevato nell’ambito della guardia di finanza: c’era stato un tentativo di costituire un’associazione sindacale per il personale anche militare dipendente dal ministero della difesa, dell’economia e delle finanze. Era stata chiesta l’autorizzazione a costituire un’associazione di carattere sindacale e la risposta del ministero era stata negativa sulla base del fatto che esisteva una legge e un articolo di legge (articolo 1475 comma 2 del dlgs 66/2010) che stabiliva che i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali. Di fronte al rifiuto del ministero, coloro che volevano costituire questa associazione nell’ambito della GdF, promossero un ricorso al TAR, lamentando che la decisione del ministero, pur formalmente rispettosa del testo della legge detta, si poneva in contrasto con gli articoli 11 e 14 della convenzione europea dei diritti dell’uomo e recepita nel nostro ordinamento (art.117 cost, deve ritenersi immediatamente operativa anche nel nostro ordinamento). Questa convenzione prevede che la libertà di associazione debba essere garantita in qualche modo anche nell’ambito dell’istituzione militare. Si pone quindi questo problema al TAR del Lazio, che respinge la questione ritenendo non vi sia un dubbio di costituzionalità dal momento che le ragioni che presiedono alla legge del 2010 sono ragioni di tutela dell’ordinamento militare in senso lato che appaiono ragionevoli e quindi possono giustificare la compressione totale di questo diritto. Contro la sentenza del TAR veniva proposto appello al consiglio di stato, considerando che c’era stata una decisione della corte europea dei diritti dell’uomo in Francia e una decisione di un comitato collegato alla corte europea dei diritti dell’uomo che si occupa dei diritti sociali, che avevano accolto un reclamo proposto da un sindacato francese che apparteneva 25 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti alla gendarmeria nazionale, dove si poneva l’analogo problema di svolgimento di attività sindacale. Tra l’altro, per la polizia questo divieto era venuto meno, ma la polizia era stata demilitarizzata negli anni ’80. Anche questo era un aspetto un po’ disarmonico, perché anche la polizia assolve nell’ambito dell’ordinamento interno delle funzioni essenziali in materia di sicurezza, quindi avevamo da una parte i carabinieri con le stesse funzioni della polizia ma con disciplina diversa. Entrambe assolvevano alla stessa funzione delicata di tutela della sicurezza interna. Il consiglio di stato, al contrario del TAR, ritenne la questione di costituzionalità non manifestamente infondata. I giudici, per investire la corte costituzionale, devono ritenere che la questione di legittimità costituzionale di una certa norma che stanno esaminando sia rilevante (e in questo caso lo era) e non manifestamente infondata, ci deve essere un’evidenza di infondatezza della questione sollevata. La corte costituzionale viene quindi investita della questione. Siamo nel 2018 e la corte fa una ricognizione sia dell’articolo 39 sia della normativa internazionale che abbiamo recepito in materia di diritti sindacali. Pone a raffronto queste previsioni con la nostra previsione di legge che esclude in radice la possibilità di costituire o di aderire ad associazioni sindacali per gli appartenenti alle forze armate. La corte si occupa quindi dell’articolo 11 della CEDU che afferma il diritto di associazione sindacale come diritto fondamentale e che “non può essere oggetto di restrizione se non per ragioni necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine, alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute, della morale, dei diritti e libertà altrui”. Ma l’articolo 14 della CEDU a sua volta sancisce il godimento dei diritti e delle libertà riconosciute dalla convenzione tra cui il diritto di iniziativa sindacale senza nessuna discriminazione. Si era posto anche il problema della discriminazione: è discriminazione il fatto che un soggetto, solo perché appartenente alle forze armate, si veda escluso in radice questa possibilità? Quindi la corte costituzionale dice che se ci possono essere delle restrizioni, questo significa che il diritto non può essere compresso del tutto, non può essere eliminato. Un conto è dire che c’è un diritto all’associazionismo sindacale con restrizioni collegate a esigenze di sicurezza interna, un conto è dire che non c’è nessun diritto, nessuna possibilità. La corte si pone il tema e dice che se anche la normativa internazionale prevede che questo diritto debba essere in qualche modo garantito salvo restrizioni, le parole “salvo restrizioni” non possono essere lette come “salvo eliminazione del diritto”, perché un conto è una restrizione, un conto è un’eliminazione. Dal punto di vista dell’ordinamento internazionale, l’eliminazione di un diritto fondamentale non significa restringerlo: restringerlo significa in primo luogo riconoscerlo e poi eventualmente restringere alcuni aspetti nelle sue manifestazioni concrete. 26 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti Questo è il ragionamento che fa proprio la corte costituzionale, il divieto assoluto previsto dall’articolo 1475 osta a questi principi; quindi, deve essere riconosciuto anche all’interno dell’ordinamento militare, con alcune limitazioni: una limitazione la pone subito la corte, ed è data dal fatto che: 1. Il sindacalismo in ambito militare deve essere fatto dai militari 2. Non deve tradursi nell’adesione ad altre associazioni sindacali di carattere generale che sono presenti nell’ordinamento (=neutralità). Questo è ragionevole per la specificità e per la delicatezza dei diritti alla cui preservazione è orientata l’azione militare, i diritti di difesa e protezione. Per tutto questo può essere corretto il divieto di aderire ad altre associazioni sindacali. Per la corte non è un divieto costituzionalmente illegittimo. Però, non può essere invece accolta l’impostazione della legge che pone il divieto di costituire associazioni agli stessi militari, va bene che non aderisca ad un’associazione esterna, ma impedire una qualsiasi iniziativa sindacale appare eccessivo, una compressione del nucleo essenziale del diritto. Viene, quindi, ritenuta accoglibile la questione di costituzionalità, anche perché questi principi, per esempio il principio di neutralità delle forze armate, va calato in un ordinamento democratico che riconosce pur sempre i diritti fondamentali a tutti i cittadini, siano o non siano appartenenti alle forze armate. La corte si concentra sui limiti che il legislatore dovrebbe individuare e una volta che la corte elimina il divieto, proprio perché siamo nell’ambito di un ordinamento così delicato come quello militare, indica anche come dovrà essere limitato questo diritto da una legge, invita il legislatore a intervenire con una nuova legge e dà delle indicazioni al legislatore, e tra queste indicazioni vi è il fatto che: 3. Non può essere ammesso il diritto di sciopero, limitazione giustificata dalla necessità di garantire l’esercizio di altre libertà fondamentali collegate alla sicurezza internazionale e nazionale del paese. Quindi è ragionevole che vi sia un divieto di esercizio del diritto di sciopero in un ordinamento militare caratterizzato dalla necessità di un’azione pronta ed efficace, anche in situazioni di emergenza, che può essere ostacolata dall’esercizio del divieto di sciopero. 4. Altro tema delicatissimo è quello del finanziamento, la corte dà delle indicazioni e dice che non può esserci un finanziamento da parte di soggetti esterni, perché il finanziatore condiziona il finanziato. Se dipendo finanziariamente da qualcuno, per quanto sia il più obiettivo possibile, in qualche modo vengo condizionato. 27 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti Il finanziamento deve essere interno, non da parte di soggetti terzi, tanto più in un settore delicato come quello della difesa, in cui i rischi, anche di sicurezza, sono all’ordine del giorno. Si pensi all’attività di spionaggio, di acquisizione di informazioni, collegate alla delicatezza delle informazioni custodite nell’ambito militare. Il finanziatore potrebbe, a suo modo, finanziare per un interesse collegato all’ottenimento di informazioni in un settore sensibile come quello della difesa. Il finanziamento è un altro principio che la corte costituzionale tiene presente. 5. La corte costituzionale poi distingue, ci sono sicuramente attività che esulano dal confronto sindacale, le attività operative dei corpi militari non possono essere oggetto di confronto in sede sindacale, lì è questione di attività che il corpo ha, sulla base di indicazioni governative attraverso il ministero della difesa, qualsiasi corpo militare non può essere condizionato dall’iniziativa sindacale che vuole intervenire, perché lì è proprio il cuore dell’attività delicata e di sicurezza che va a svolgere, quindi l’organizzazione e i compiti restano di competenza del ministero della difesa e dei vari corpi e non possono essere oggetto di contrattazione in sede sindacale. Questo, quindi è un altro limite posto dalla corte, che rinvia al legislatore per la disciplina concreta. Il limite assoluto non può essere accettato, ci sono però limiti che devono essere dati all’esercizio dell’attività sindacale nell’ambito di un’attività sindacale che in linea di principio viene consentita. Il legislatore doveva tradurre questi principi in norma di legge: la sentenza 120 del 2018 pubblicata il 20 giugno del 2018. Il legislatore poi interviene con la legge del 28 aprile 2022 n.46 che detta norme sull’esercizio della libertà sindacale del personale delle forze armate e delle forze di polizia a ordinamento militare, delegando il governo per alcune attività di coordinamento, sulla base di quello che la legge prevede. 28 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti Il settore militare: legge 46/2022 ART.1 – Diritto di associazione sindacale 1. Il comma 2 dell'articolo 1475 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, è sostituito dal seguente: «2. In deroga al comma 1, i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale per singola Forza armata o Forza di polizia a ordinamento militare o interforze». 2. Il diritto di libera organizzazione sindacale, di cui all'articolo 39 della Costituzione, è esercitato dagli appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia a ordinamento militare, con esclusione del personale della riserva e in congedo, nel rispetto dei doveri e dei principi previsti dall'articolo 52 della Costituzione. 3. Gli appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia a ordinamento militare non possono aderire ad associazioni professionali a carattere sindacale diverse da quelle costituite ai sensi dell'articolo 1475, comma 2, del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, come sostituito dal comma 1 del presente articolo. 4. Gli appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia a ordinamento militare possono aderire a una sola associazione professionale a carattere sindacale tra militari. 5. L'adesione alle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari è libera, volontaria e individuale. 6. Non possono aderire alle associazioni di cui alla presente legge i militari di truppa di cui all'articolo 627, comma 8, del codice di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, limitatamente agli allievi. I primi articoli sono fondamentali, viene recepita l’indicazione della corte costituzionale. In particolare, l’art.1 secondo cui, in deroga a quanto previsto dall’articolo 1475 della legge 66/2010 i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale per singola forza armata o forza di polizia a ordinamento militare o interforze. 29 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti il secondo comma prevede il diritto di libera organizzazione sindacale (di cui all’articolo 39 della costituzione) è esercitato dagli appartenenti alle forze armate e alle forze di polizia ad ordinamento militare, con esclusione del personale di riserva e in congedo, e si precisa che, però, gli appartenenti alle forze armate e alle forze di polizia ad ordinamento militare non possono aderire ad associazioni professionali a carattere sindacale diverse da quelle costituite ai sensi dell’ordinamento militare. La legge consente la costituzione di sindacati nell’ambito delle singole forze armate ma che sono specifici della forza armata, non aderiscono a confederazioni esterne di carattere sindacale. Gli appartenenti alle forze armate possono aderire ad una sola associazione professionale a carattere sindacale tra militari. L’adesione a queste associazioni è libera, volontaria e individuale. Anche l’adesione, quindi, non è per gruppi ma individuale. ART.2 – Principi generali in materia di associazioni professionali a carattere sindacale tra militari All’articolo 2 sono indicati i principi generali in materia di associazioni professionali a carattere sindacale tra militari, recependo le indicazioni della corte costituzionale: in particolare si dice che gli statuti delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari sono improntate ai seguenti principi: ❖ Democrazia ❖ Trasparenza ❖ Partecipazione ❖ Nel rispetto dei principi di: a. Coesione interna b. Neutralità c. Efficienza d. Prontezza operativa delle forze armate. L’organizzazione sindacale deve essere democratica ed elettiva, orientata al rafforzamento della partecipazione femminile. Questa è una caratteristica che già l’art.39 pone, cioè il carattere democratico dell’associazione sindacale, che significa che gli organismi direttivi devono essere eletti. Il secondo principio è la neutralità e l’estraneità alle competizioni politiche, ai partiti e ai movimenti politici. Questo è il principio di neutralità delle forze armate, che impone che non ci sia un collegamento diretto con una parte politica o partecipazione a partiti politici. 30 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti Lo stesso vale per l’estraneità alle competizioni politiche, le elezioni sono un momento rispetto a cui serve la massima neutralità dell’organizzazione sindacale militare, nel rispetto del principio di neutralità, altro principio costituzionale che viene bilanciato con il principio di libertà. Ciascuno può avere le proprie idee, ma l’associazione sindacale non può programmaticamente far riferimento ad un partito politico o ad altra associazione sindacale caratterizzata politicamente. Il terzo requisito è l’assenza di finalità contraria ai doveri derivanti dal giuramento prestato dai militari. Il giuramento ha un valore simbolico, la formula riporta determinate finalità, lo statuto dell’associazione sindacale non può essere contrario alle finalità proprie del giuramento dei militari. Altro requisito è la trasparenza del sistema di finanziamento e assenza di scopo di lucro. Il finanziamento deve essere non derivante dall’esterno e non deve esserci scopo di lucro. Infine, vanno rispettati gli altri requisiti previsti dalla normativa. Si precisa, infine, che l’attività sindacale è volta alla tutela degli interessi collettivi degli appartenenti alle forze armate e che non può interferire con lo svolgimento dei compiti operativi o con la direzione dei servizi. Una volta stabiliti i principi generali e fondamentali in materia di associazionismo sindacale militare, la legge indica le modalità di costituzione delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari e prevede che debba essere depositato lo statuto presso il ministero della difesa per vedere se lo statuto rispetta i requisiti generali indicati in precedenza, con successiva iscrizione in un apposito albo per esercizio di attività previste nello statuto stesso. C’è tutto un meccanismo, che ci interessa poco in quanto troppo specifico, in cui se ci fosse qualche contrasto tra qualche disposizione dello statuto e i principi generali, il ministero può rimandare lo statuto all’associazione sindacale perché provveda a sostituire quelle parti che ritiene non rispettino le previsioni di legge. ART.4 – Limitazioni Più interessante è l’articolo 4 sulle vere e proprie limitazioni all’attività sindacale militare: sono divieti che ricalcano molte delle indicazioni della corte costituzionale: ❖ Il divieto di assumere una rappresentanza di lavoratori non appartenenti alla forza armata o alla forza di polizia ad ordinamento militare; 31 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti ❖ Il divieto di proclamare lo sciopero o azioni analoghe sostitutive o partecipare ad uno sciopero proclamato da organizzazioni estranee al personale militare; ❖ Il divieto di promuovere manifestazioni pubbliche in uniforme o con armi di servizio, o sollecitare o invitare gli appartenenti alle forze armate a parteciparvi; ❖ C’è un divieto particolare di assumere la rappresentanza in via esclusiva di una o più categorie di personale anche facente parte della stessa forza armata. In ogni caso la rappresentanza di una singola categoria all’interno di un’associazione professionale a carattere sindacale non può superare il 75% del totale (categoria= ufficiali o sottufficiali per esempio). Non ci può essere un’associazione sindacale solo di sottufficiali, per esempio, può essere dell’arma, ma non di una categoria all’interno della forza armata. Questo per evitare eccessive frammentazioni e una connotazione un po’ troppo corporativa che potrebbe creare attriti tra categorie all’interno della stessa forza armata. Si vuole prevenire questo rischio che vi siano contrasti d’interesse tra categorie. In ogni caso, a prescindere dal divieto, gli appartenenti a una categoria non possono superare il 75% degli iscritti al sindacato. Non può esserci l’80% di ufficiali e il 15% di sottufficiali. Anche qui, per evitare che l’associazione sindacale divenga un’associazione rappresentativa di categoria, questo è qualcosa che si ritiene costituisca un fattore di disomogeneità e quindi tendenzialmente pericoloso all’interno della forza armata. ❖ Non si può assumere una denominazione che richiami quella di una o più categorie di personale, anche indirettamente. ❖ Non si possono assumere denominazioni o simboli che richiamino anche organizzazioni sindacali esterne. ❖ Non si può promuovere iniziative di associazioni politiche o dare supporto a campagne elettorali afferenti alla vita politica del paese. Questo afferisce al principio di neutralità delle forze armate rispetto a qualsiasi parte politica. Le forze armate rappresentano il paese, quindi non possono confondersi con le singole forze politiche che legittimamente svolgono le loro attività nell’ambito dell’attività politica, ma in questo caso minerebbero la neutralità, caratteristica essenziale dal punto di vista costituzionale delle forze armate. ❖ Non si può stabilire la propria sede o il proprio domicilio sociale presso unità o strutture dei ministeri di riferimento, perché si vuole evitare l’interferenza. Nel sindacalismo esterno, invece, i sindacati hanno diritto, quando il datore di lavoro ha una certa dimensione, ad un locale adeguato a svolgere la loro attività; qui è l’opposto, 32 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti perché c’è il rischio di commistione e confusione tra l’istituzione e l’associazione sindacale che va evitato. ❖ Altro divieto è aderire ad associazioni sindacali diverse da quelle costituite ai sensi della presente legge o affiliarsi o avere relazioni di carattere organizzativo convenzionale con le medesime associazioni esterne. Qui si ribadisce che non ci deve essere confusioni con associazioni sindacali esterne che poi hanno la loro area culturale e politica di riferimento, con il rischio di minare la neutralità della forza armata. ART.5 – Competenze delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari Le associazioni curano la tutela collettiva dei diritti e degli interessi dei propri associati, garantendo che essi assolvano ai compiti propri delle forze armate e che l’adesione all’associazione non interferisca con il regolare svolgimento dei servizi istituzionali. Qui c’è la preoccupazione di un organismo che deve essere assolutamente efficiente come la forza armata sul fatto che ci siano delle inefficienze collegate all’adesione. È tra i compiti dell’associazione sindacale evitare il rischio che l’attività dell’associazione stessa vada a creare interferenze improprie con il regolare svolgimento del servizio. Nella competenza dell’associazione professionale di carattere sindacale militare si trovano tutte le materie che riguardano i contenuti del rapporto di impiego del personale militare, che sono quelle indicate nella legge 195/1995 agli articoli 4 e 5: ❖ Anzitutto i livelli retributivi, sono fondamentali, c’è una trattativa, tipica funzione sindacale propria dell’associazione sindacale militare. ❖ Possono prestare assistenza fiscale e dare consulenza relativamente alle prestazioni previdenziali e assistenziali a favore dei propri iscritti. Anche questo è un tema importante, le associazioni sindacali possono dare questo tipo di consulenze in caso di malattie e necessità. ❖ Si occupano dell’inserimento nell’attività lavorativa di coloro che cessano dal servizio militare, anche questo può capitare, rientra nei compiti. ❖ Previdenze per infortuni e infermità, tema molto delicato l’infermità di servizio. Anche qui, avere un’associazione sindacale che dà informazioni e aiuta a trovare assistenza legale per infermità collegate al servizio che vengono contestate può essere di aiuto ed è una funzione apprezzata. 33 GM (CP) Aurora Ferraro Prof. Diamanti ❖ Pari opportunità; ❖ Prerogative sindacali; ❖ Misure a tutela della salute e della sicurezza del personale militare sui luoghi di lavoro, anche questo tema molto delicato: rientra nell’attività sindacale anche interfacciarsi con le istituzioni per le misure a tutela della salute e sicurezza dei loro rappresentati. ❖ Possono essere richiesti spazi per attività culturali, assistenziali e ricreative e per la promozione del benessere del personale e dei loro famigliari. Ci sono, per esempio, luoghi usufruibili durante le ferie come i circoli, stabilimenti balneari eccetera. Anche queste sono oggetto di confronto con le associazioni sindacali militari. ❖ È esclusa la competenza per le materie che riguardano l’ordinamento militare, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico – operativo, il rapporto gerarchico – funzionale e l’impiego del personale in servizio. Il ministero qui esercita le sue prerogative proprio per la delicatezza delle missioni che sono di volta in volta assegnate e che sono quindi escluse dalla trattativa con le associazi