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This document provides a detailed overview of microscopy, covering both optical and electronic microscopes. It discusses the principles of microscopy, including factors like image resolution and magnification. Key aspects of microscopy techniques, such as sample preparation and analysis, are also outlined. The document includes a discussion of various microscopy types and their applications in the study of cell structures.

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MICROSCOPIA ESAME Le cellule si possono studiare anche dal punto di vista morfologico e biochimico e funzionale. L’analisi morfologica prende in esame l’organizzazione strutturale delle cellule, delle varie parti di esse e dei costituenti extracellulari. Ci si avvale dei microscopi, atti a ingrandir...

MICROSCOPIA ESAME Le cellule si possono studiare anche dal punto di vista morfologico e biochimico e funzionale. L’analisi morfologica prende in esame l’organizzazione strutturale delle cellule, delle varie parti di esse e dei costituenti extracellulari. Ci si avvale dei microscopi, atti a ingrandire l’immagine delle strutture in esame. Importante e cruciale è l’integrità dell’oggetto da sottoporre all’osservazione. L’analisi biochimica e funzionale ha lo scopo di studiale la natura chimica e le modalità di funzionamento delle cellule, delle loro parti e delle loro interrelazioni in ambito tissutale. ANALISI MORFOLOGICA: (strumenti: microscopi ottici ed elettronici, citofluometri. Tecniche: allestimento preparati nel modo più conservativo possibile) (occhio umano: 1) cristallino: lente che proietta un’immagine ottica sulla retina 2) iride: diaframma che regola l’incidenza dei raggi luminosi 3) coni e bastoncelli: recettori fotosensibili inizio della via ottica che porta le informazioni al cervello dove viene elaborata l’immagine) Ottica geometrica: se un raggio luminoso si propaga in un mezzo non omogeneo può subire fenomeni di riflessione (colore), assorbimento, rifrazione. Se i raggi provenienti dallo stesso punto, dopo aver subito rifrazioni e/o riflessioni, convergono nuovamente in uno stesso punto, si dice che formano una immagine reale della sorgente. Lente: mezzo trasparente limitato da due superfici curve. - Per conoscere l’organizzazione strutturale ci sono dei metodi di osservazione diretta, che richiedono diversi tipi di microscopi. La microscopia si divide in microscopia ottica e elettronica. l’occhio è utile in tutti i tipi di microscopia infatti a prescindere dallo strumento di osservazione, che può essere semplice con una sola lente, composto con due o più lenti (campo chiaro, campo scuro, contrasto di fas, fluorescenza), moderno o antico, l’occhio era, è e rimarrà sempre la parte più importante dell’osservazione di materiale. Ciò che contraddistingue la microscopia ottica da quella elettronica è la natura del mezzo con cui si analizza l’oggetto, in quello ottico si impiega la luce in quello elettronico si usano appunto gli elettroni. Microscopio ottico: aberrazione: difetti nel creare l’immagine, possono essere cromatiche e sferiche l’obiettivo è a corta distanza focale, e l’oggetto viene posto appena al di là del fuoco. di questo, nello spazio tra i due gruppi diotttrici, si forma un’immagine reale ingrandita e capovolta, detta immagine intermedia IR. Se l’oculare viene posto in modo che l’IR cada all’interno della sua distanza focale, si ottiene un’immagine secondaria, virtuale, ancora ingrandita e diritta, anche se capovolta rispetto all’oggetto. Il rapporto tra le dimensioni dell’immagine finale e quelle dell’oggetto esprime l’ingrandimento ottenuto. Ci sono due sistemi di lenti, l’oculare che è il gruppo di lenti più vicino all’occhio e l’obiettivo che è la lente più vicino all’oggetto. Oltre un certo limite non si distinguono particolari ulteriori, cioè non cresce il potere di risoluzione, ovvero la capacità di distinguere come separati due punti molto vicino tra loro fino a 0.2 mm, il microscopio ottico fino a 0.2 µm, mentre il microscopio elettronico fino a 0.2 nm. R= λ/ 2n x senα Non si possono definire come separati due punti che distano tra loro meno di 0.2µm. si dice che l’ingrandimento utile per un microscopio ottico è di 1000 volte e il suo potere risolutivo è di circa 0,2 µm. questo è il limite massimo che si può ottenere da qualunque tipo di microscopio che sfrutta il potere della luce, ovvero per ogni microscopio ottico. Il limite di risoluzione è appunto fornito dalla formula di Abbe dove λ è la lunghezza d’onda della luce, n l’indice di rifrazione del mezzo interposto tra oggetto e lente, solitamente aria, e α il semi-angolo di apertura della lente obiettivo. Il prodotto tra n e il seno dell’angolo viene definito apertura numerica. Dato che l’indice di rifrazione per l’aria è circa 1, e sen di alpha può essere considerato prossimo a 1, R risulta proporzionale a ½ λ, cioè alla metà della lunghezza d’onda della luce. Considerando la luce con la lunghezza d’onda di 400nm, il potere di risoluzione sarà quindi pari a 200nm (0,2 µn). per migliorare il limite di risoluzione una via possibile è quella di aumentare il valore dell’indice di rifrazione del mezzo interposto (n). si potrà interporre pertanto un mezzo con indice di rifrazione più alto, come per esempio una goccia di olio con indice di rifrazione all’incirca uguale a quello del vetro (pari a 1.5): in questo caso si parla di osservazione microscopica a immersione che permette di distinguere punti distanti poco più di 0.1 µm. Se no si può utilizzare luce di lunghezza d’onda minore, come per esempio la radiazione ultravioletta con la quale possiamo arrivare a un potere di risoluzione pari a 0.1 µm, che rappresenta il limite estremo della microscopia ottica. In questo caso, essendo la luce ultravioletta invisibile all’occhio umano, per il rilevamento delle immagini occorre fare ricorso a pellicole fotografiche sensibili all’ultravioletto. Struttura del microscopio ottico composto: il tubo portaottica sorregge una coppia di oculari dal lato dell’osservatore (in caso di microscopi più economici, non si hanno due oculari bensì uno (microscopi monooculari)) e gli obiettivi dal lato del tavolino su cui viene posto l’oggetto da osservare. Gli obiettivi sono su una torretta girevole denominata revolver che consente una rapida sostituzione dell’obiettivo. Il tubo e il tavolino sono montati su un braccio ricurvo e il tutto su un basamento. Braccio e basamento prendono il nome generico di stativo. Per la messa a fuoco vengono utilizzati dispositivi meccanici di spostamento, uno per grandi spostamenti (vite macrometrica) e uno per la messa a fuoco fine (vite micrometrica), i dispositivi di messa a fuoco agiscono in ceri microscopi spostando il tavolino, alzandolo e abbassandolo, mentre in altri microscopi agiscono sul tubo. Sotto il tavolino è posto il dispositivo di illuminazione costituito da una sorgente di illuminazione e dal condensatore di Abbe. La sorgente di illuminazione è oggi data da lampade a incandescenza o alogene mentre un tempo era costituito da un specchietto concavo che raccoglieva la luce diffusa e la mandava alle parti ottiche sovrastanti. Il condensatore di Abbe è una lente convergente che concentra la luce, emessa dalla sorgente, su una zona limitata del preparato, da cui fuoriesce un cono luminoso il cui diametro coincide con quello della lente frontale dell’obiettivo; il condensatore può essere alzato o abbassato modificando così la convergenza dei raggi luminosi e quindi regolando la quantità di luce che raggiunge la lente frontale. Questa luminosità può variare grazie anche a un diaframma di campo a iride posto nel condensatore. (DIAFRAMMA DI CAMPO: regola l’ampiezza del fascio di luce che arriva al condensatore e permette di variare la sezione di illuminazione del preparato) Il diaframma di apertura, invia nell’obiettivo un cono di luce più o meno ampio a seconda dell’NA dell’obiettivo. Permette quindi di sfruttare al massimo il potere di risoluzione del microscopio. Un ogni obiettivo e oculare sono riportati i valori (come per esempio 10x e 40x), che indicano l’ingrandimento. È possibile calcolare l’ingrandimento totale che si ottiene utilizzando un determinato obiettivo con un particolare oculare semplicemente moltiplicando i relativi valori riportati. Negli obiettivi viene riportato anche un altro valore relativo all’apertura numerica di quell’obiettivo, espresso da un numero decimale. Questa apertura numerica è data dal prodotto fra n e il seno del semi-angolo d’illuminazione di quel dato obiettivo e indica la massima quantità di luce che l’obiettivo è in grado di ricevere per la formazione delle immagini. Sono preferibili gli obiettivi con una maggiore apertura numerica perché danno immagini più luminose e più risolte. TIPI DI OBIRTTIVO: Nei migliori obiettivi a secco, per esempio 40x, l’angolo arriva intorno ai 70°; poiché l’indice di rifrazione del mezzo interposto (aria) è pari a 1, ne consegue che il prodotto di n per seno di alpha sarà pari a 0.95. di norma gli obiettivi 40x a secco più commerciali hanno un angolo di illuminazione più piccolo, per cui l’apertura numerica si riduce a 0.65 o meno. Si definiscono ottiche finite quei microscopi in cui l’obiettivo forma un’immagine ingrandita dell’oggetto che viene proiettata in un determinato piano focale all’interno del tubo microscopico; questa immagine viene poi presa dall’oculare per essere ulteriormente ingrandita. Poi abbiamo gli obiettivi infinito, riconoscibili grazie al simbolo dell’infinito inciso sopra, questi presentano meno aberrazioni (i raggi luminosi decorrono quasi paralleli e le anomalie dovute ai fenomeni di convergenza sono ridotte o assenti) e sono più luminosi sia perché hanno una maggiore apertura numerica sia perché posseggono un minor numero di lenti. DIVERSI TIPI DI MICROSCOPI OTTICI: la maggior parte dei componenti cellulari è quasi uniformemente trasparente alla luce della regione visibile dello spettro, a causa soprattutto del loro alto contenuto d’acqua. Nel normale microscopio ottico composto a trasmissione i diversi organuli cellulari o i diversi tipi cellulari nei tessuti possono essere distinti tra loro grazie a una precedente colorazione differenziale; infatti senza colorazione l’alta quantità di acqua e la minima differenza nell’indice di rifrazione fra le diverse parti rende le strutture omogeneamente trasparenti, per cui non è praticamente o quasi possibile vederle distinte tra loro. Per questo sono stati creati diversi microscopi ottici (es, di fase, a luce polarizzata ecc). Microscopio ottico in campo chiaro: è lo strumento più in uso per lo studio dei preparati fissati ma non consente un buono studio di materiale biologico “a fresco” poiché fornisce solo un debole contrasto. Microscopio ottico in campo scuro: Il normale condensatore in campo chiaro è sostituito con un condensatore (paraboloide) che deflette il fascio di luce in modo tale che attraversi l’oggetto con forte obliquità proseguendo in massima parte fuori dal sistema ottico MICROSCOPIO A CONTRATO DI FASE: (ottiene informazioni utili circa la composizione di cellule e tessuti analizzati) si basa sul fenomeno dell’interferenza luminosa. L’occhio apprezza le differenze di lunghezza d’onda (colore) e di intensità della luce (ampiezza); tuttavia non riesce a percepire le variazioni di fase. Per questo è stato trovato il sistema per sfruttare al massimo le piccole differenze nell’indice di rifrazione dei vari elementi cellulari, rendendole visibili e consentendo l’osservazione di cellule viventi non colorate con un microscopio detto a contrasto di fase. Questa tecnica di microscopia è molto utilizzata per andare ad osservare le cellule di colture in vitro; infatti si evita l'utilizzo di coloranti e fissativi che spesso comportano notevoli alterazioni strutturali ottenendo così dei dati molto più reali. Il preparato viene illuminato da un fascio luminoso in realtà suddiviso a livello del condensatore in due porzioni di fase differente e con diverso angolo di incidenza. Il cambiamento ulteriore di fase dovuto alla porzione di luce che attraversa il campione, andandosi a ricombinare con la luce non rifratta renderà visibili componenti trasparenti ma di indice di rifrazione differente da quello del mezzo. Dall’oggetto di fase, colpito dal cono cavo di luce, partono onde di luce diretta e onde difratte sfasate tra loro di ¼ λ. Le onde dirette verranno ulteriormente sfasate di ¼ λ dall’anello di fase dell’obiettivo mentre le onde diffratte passeranno inalterate Così si ha una differenza di fase di mezza lunghezza d’onda (1/4 +1/4) tra onde dirette e onde diffratte, che è la stessa di un oggetto di ampiezza. Contrasto di fase positivo (anticipo): L’anello di fase anticipa l’onda diretta di ¼ λ Contrasto di fase negativo (ritardo): L’anello di fase ritarda l’onda diretta di ¼ λ. 1 Caso (ANTICIPO): oggetti con indice di rifrazione più alto del mezzo che li circonda appariranno scuri su fondo più chiaro 2 Caso (RITARDO): oggetti con indice di rifrazione più basso del mezzo che li circonda appariranno chiari su fondo più scuro. L’ Anello di fase proietta sul preparato un cono di luce, cavo al centro. I raggi che colpiscono gli organelli citoplasmatici producono due raggi: uno diretto (che non subisce alterazioni); l’altro che risulterà deviato e sfasato di valore pari a una frazione di λ (x·λ). Quest’ultimo subisce un ulteriore ritardo di fase, pari a ¼ λ (ritardo finale= ¼ λ+x·λ) quando attraversa la parte più spessa dell’anello di fase (obiettivo). I raggi deviati interferiscono con quelli diretti dando origine a raggi finali che avranno una minore ampiezza (minore luminosità). Gli organelli, pertanto, risulteranno visibili, con diverse tonalità di grigio fino al nero. Tramite la microscopia a contrasto di fase si evita l'utilizzo di coloranti e fissativi che spesso comportano notevoli alterazioni strutturali ottenendo così dei dati molto più reali di quella che è l'organizzazione cellulare. Osservando una qualunque immagine in contrasto di fase, si sarà notato che gli orli dell’oggetto sono marcati da un doppio alone, di solito scuro all’interno e chiaro all’esterno. Se tale alone è utile per mettere in risalto i contorni dell’oggetto, per contro, nasconde i dettagli presenti in corrispondenza dell’alone stesso. lo sfasamento è dato dal rapporto fra cammino ottico e lunghezza d'onda Le condizioni di contrasto sono quindi variabili all’interno dello spettro ottico:si ottiene la sovrapposizione di infinite immagini leggermente diverse fra loro, corrispondenti a tutti i valori di λ presenti nella radiazione utilizzata. Ciò riduce il contrasto e compromette la definizione. È per questo motivo che molti costruttori forniscono nel corredo di fase un filtro verde: introducendolo nell’illuminatore, si fa lavorare il sistema per quella porzione dello spettro per cui l’occhio è più sensibile e per cui, quindi, il progettista ha calcolato il sistema MICROSCOPIO A LUCE POLARIZZATA: la comune luce consiste in un insieme di raggi che hanno in comune una direzione di propagazione, ma vibrano in differenti piani. La microscopia a luce polarizzata utilizza appunto la luce polarizzata, cioè LUCE CHE VIBRA IN UN SOLO PIANO. Un oggetto può risultare isotropo, se trasmette la luce con la stessa velocità in tutte le direzioni, se cioè presenta lo stesso indice di rifrazione in tutte le direzioni, oppure anisotropo o birifrangente, se non trasmette la luce con la stessa velocità in tutte le direzioni in quanto presenta indici di rifrazione diversi secondo il piano di vibrazione del raggio di luce rispetto all’orientamento delle molecole. Il microscopio in questione è in disuso ma in passato veniva utilizzato per identificare strutture birifrangenti e distinguerle da quelle monorifrangenti. MICROSCOPIO INTERFERENZIALE DI NOMARSKI: anche questo tipo di microscopio utilizza la luce polarizzata. Tramite un particolare prima di Wollaston, questa luce viene scissa in due raggi convergenti tra loro di una distanza piccola compresa tra 1 e 0,1 µm. così facendo il primo raggio colpisce un punto dell’oggetto e l’altro un punto immediatamente adiacente, sempre compreso però all’interno della risoluzione di quell’obiettivo. Tra i due raggi si viene a creare una sfasatura, dipendente dall’indice di rifrazione e dallo spessore dei mezzi attraversati. Tramite un secondo prisma, sempre di Wollaston, i due raggi vengono fatti interferire e l’immagine che si ottiene è simile a quella del contrasto di fase, con in più un evidente effetto tridimensionale. Permette lo studio di oggetti trasparenti non colorati in cui appunto appaiono gli aspetti tridimensionali dei preparati. Consente di osservare i vari piani di un oggetto relativamente spesso fornendo immagini con caratteristico rilievo. MICROSCOPIO A FLUORESCENZA vantaggi: sistema facile da usare, poco costoso e a buona sensibilità. Svantaggi: Il campione si illumina completamente, tutte le molecole fluorescenti presenti sono eccitate => photobleaching, Il campione se “vivo” è sottoposto a fenomeni di fotocitotossicità => danneggiamento campione, La luce osservata al detector non arriva esclusivamente dal piano di osservazione, ma può arrivare da sopra o da sotto => immagini poco nitide, In esperimenti di co- localizzazione di due molecole non si può essere certi che queste si trovino sullo stesso piano di osservazione. il preparato viene illuminato da luce ultravioletta a una determinata lunghezza d’onda e i suoi componenti vengono esaminati a seconda della fluorescenza che viene emessa. La sorgente luminosa è una lampada a vapori di mercurio che emette radiazioni ultraviolette (invisibili). LA FLUORESCENZA è il fenomeno per cui determinate sostanze, dette fluorescenti, colpite dalle radiazioni ultraviolette emettono luce di lunghezza d’onda maggiore (visibili). Essa dipende dal rilascio di energia da parte di elettroni di una molecola, che eccitati dalla luce ultravioletta, passano da un determinato orbitale a uno superiore. Gli elettroni eccitati sono però molto instabili, e tendono perciò a tornare al loro stato originale, rilasciando l’energia che hanno assorbito sotto forma di calore e di luce. Questa luce emessa viene chiamata fluorescenza. Poiché parte dell’energia assorbita viene rilasciata sotto forma, appunto, di calore, la luce emessa avrà energia minore e una maggiore lunghezza d’onda, per cui rientra nel campo del visibile. Esistono due tipi di fluorescenza, quella naturale chiamata auto-fluorescenza o fluorescenza primaria, prodotta da sostanze presenti nel tessuto cellulare, come per esempio la vitamina A, la riboflavina, le porfirine, le clorofille; quella invece secondaria, ovvero una fluorescenza indotta da colorazione ovvero la fluorocromizzazione, con coloranti fluorescenti detti fluorocromi. Oggi questi fluorocromi possono essere trovati tranquillamente in commercio, tra i più prodotti si ricordano l’arancio di acridina per le nucleoproteine e per gli acidi nucleici, lo iuduro di propidio, che colora di rosso il DNA, il DAPI che da un’intensa fluorescenza blu per il DNA, soprattutto per i tratti di timina e adenina, la fluoresceina isotiocianato e la rodamina isotiocianato, utilizzate per la marcatura di anticorpi e di antigeni tissutali. Un tempo la lampada a vapori di mercurio era posta sotto il condensatore, per cui la luce ultravioletta attraversava il preparato eccitandolo; per evitare danni permanenti alla vista, veniva poi fermata prima di arrivare all’oculare da appositi filtri di sbarramento. Questo sistema viene chiamato ipo-fluorescenza ed era però poco sensibile a causa dell’eccessivo assorbimento della luce da parte dei diversi sistemi diottrici da essa attraversati. Attualmente si preferisce utilizzare l’epifluorescenza, dove il preparato viene eccitato dall’alto. Tale microscopio si avvale di una sorgente luminosa ad alta energia (lampada a vapore di mercurio, ad argon o alla xenon), di un filtro d’eccitazione (lascia passare luce a λ che eccita il fluorocromo in uso), un filtro di sbarramento (lascia passare luce a λ corrispondente a quella emessa dal fluorocromo in uso) e uno specchio dicroico (riflette la luce di λ pari o inferiore a quella di eccitazione e trasmette la luce a λ superiore a quella di eccitazione). Gli obiettivi più adatti sono detti obiettivi a fluorite e sono identificati dalla sigla FLUOR o FL. MICROSCOPIO CONFOCALE RIPRODUZIONE 3D DELLE IMMAGINI: Spostandosi lungo l'asse verticale è possibile eseguire serie di scansioni successive corrispondenti a piani focali via via più profondi all'interno del campione. Queste scansioni prendono il nome di sezioni ottiche e la loro sovrapposizione ordinata, eseguita via software, consente di ricostruire un'immagine complessiva dell'intero volume scandito, in cui tutti i piani sono contemporaneamente a fuoco. nella microscopia ottica tradizionale, il preparato è ridotto in sottili sezioni e quanto più la sezione è sottile tanto più sarà elevata la qualità dell’immagine. Nel processo di sezionamento, si perde la tridimensionalità dell’oggetto; se poi si osserva una struttura biologica senza sezionarla, l’eccessivo spessore da immagini confuse. L’inconveniente può essere superato con il microscopio confocale, il quale focalizza solo un determinato piano per volta, eliminando le informazioni luminose che provengono da zone sovra e sotto-fuoco. Viene registrata una ben precisa sezione ottica sottile. Dall’unione di tutte queste immagini è possibile ricostruire l’immagine tridimensionale della struttura. La sorgente luminosa è data da un fascio laser che viene concentrato in un foro (foro confocale), la cui immagine, riflesso da uno specchio dicroico, viene focalizzata dall’obiettivo solo in un ben definito punto dell’oggetto sotto osservazione, i cui organuli sono stati marcati con uno o più fluorocromi. La luce emessa da quello stesso punto per fluorescenza, tornando indietro, attraversa lo specchio dicroico e viene focalizzata dall’obiettivo su un secolo foro confocale. La luce viene raccolta da un apposito rivelatore che registra l’informazione su un computer. La fluorescenza emessa da punti contigui a quello di focalizzazione torna anch’essa indietro; non è focalizzata nel secondo foro confocale, per cui viene fermata, non giunge al rivelatore e non crea disturbo. Facendo scorrere, il raggio laser nei piani di sezione ottica, il computer registra una serie di immagini puntiformi, perfettamente a fuoco, ricostruendo l’immagine. Questo microscopio permette di avere una buona visione di cellule e tessuti in vivo. I fluorocromi precedentemente usati in epi-fluorescenza erano citotossici e perciò dannosi per le cellule viventi. La scoperta e la produzione di fluorocromi vitali ha permesso di superare questo limite consentendo l’osservazione in vivo delle cellule o di strutture che, a causa del loro spessore, non darebbero immagini accettabili con altri microscopi. Questo microscopio consente di studiare le interazioni tra le molecole mediante le tecniche di FRAP (florescence recovery after photobleaching ovvero recupero della fluorescenza dopo il fotosbiancamento) e FRET (florescence resonance energy transfer ovvero trasferimento per risonanza durante la fluorescenza). FRAP: è una tecnica semplice, che è utilizzata per misurare la mobilità delle molecole, si avvale del fotosbiancamento. Il recupero della fluorescenza avviene poi nel tempo, quest’ultimo può essere misurato e può fornire il tasso di trasporto o le costanti di diffusione delle molecole. FRET: è una tecnica che studia l’interazione tra le molecole. Si avvale di quenching che consiste nel trasferimento di energia da una molecola fluorescente donatrice a un’altra molecola fluorescente accettore, che si trova fisicamente vicina al fluorocromo eccitato (donatore). Il fenomeno del trasferimento avviene se lo spettro di emissione del fluorocromo donatore si sovrappone a quello del fluorocromo accettore e se i due fluorocromi distano meno di 10nm. Laser: fascio di luce coerente e monocromatica concentrata in un raggio rettilineo estremamente coinciso. luminosità delle sorgenti laser elevatissima Il sistema dei “pinholes”: 1. elimina la luce emessa dalle regioni fuori del piano di fuoco dell'obiettivo (fa arrivare poca luce al campione) 2. raccoglie solo la luce proveniente dal piano a fuoco. COLOCALIZZAZIONE: presenza di due o più strutture nella stessa posizione. In microscopia a fluorescenza, la presenza di due o più fluorocromi sulla stessa struttura cellulare. Proteine marcate di colori differenti che co-localizzano danno come output un terzo colore, ad esempio rosso + verde = giallo. Affinchè la presenza di un colore “da fusione” rappresenti realmente la colocalizzazione spaziale di due molecole marcate da due diversi fluorocromi e non la semplice sovrapposizione di molecole dotate delle stesse coordinate X Y ma di diverse coordinate Z (sovrapposizione di più piani focali), è indispensabile che venga analizzato un singolo piano focale. ALLESTIMENTO DEI CAMPIONI: i due principali procedimenti sono l’osservazione diretta di cellule e di tessuti viventi oppure di cellule e di tessuti uccisi. Si potrebbe pensare che la prima delle due sia meglio per studiare un’immagine più vera e dinamica, ma non è così, infatti molti procedimenti limitano l’utilizzo di questo procedimento. Perciò il ricorso a preparati fissati e ridotti in sottili fettine trasparenti e colorate è quello che trova la più ampia applicazione in istologia. METODI DI STUDIO DI CELLULE E TESSUTI VIVENTI: Frammenti molto sottili di organi o di cellule isolate dall’organismo possono restare in vita per breve tempo ed essere osservate in sopravvivenza preferibilmente al microscopio a contrasto di fase. È anche possibile colorare cellule viventi. _determinati coloranti non tossici, detti coloranti vitali, hanno la proprietà di colorare elettivamente alcune cellule viventi per identificare o studiare funzioni particolari, per esempio per il fenomeno della fagocitosi si usa il blu trypan, la tionina, il litiocarminio, il pirrolo o l’inchiostro di china. se il colorante viene iniettato nell’animale intero, si parla di colorazione vitale o intra vitam. se no si può immergere un pezzo di organo appena prelevato da un animale nel liquido colorante e ottenere, dopo un breve lavaggio del pezzo, che alcune cellule restino dorate; si parla di colorazione sopravitale. METODI DI STUDIO DI CELLULE E TESSUTI UCCISI: 1) FISSAZIONE: è la prima tappa. La fissazione si propone di preservare la struttura protoplasmatica dalle alterazioni conseguenti alla morte della cellula con il minimo cambiamento struttale. Tutto ciò avviene grazie a un trattamento chimico che uccide rapidamente la cellula, agendo sui componenti proteici cellulari in modo da impedire il fenomeno di autolisi. La precipitazione dei componenti cellulari porta ad artefatti da fissazione, cioè produce immagini che non esistevano prima. Perciò i migliori fissativi sono quelli che precipitano le proteine nella forma più fine, possibilmente in aggregati ultramicroscopici, cosi che la morfologia non sia modificata. Ci sono fissativi chimici e fissativi fisici, i più comuni fissativi chimici si possono dividere in due gruppi in base alla loro azione sulle proteine. Un gruppo comprende i fissativi che coagulano le proteine come l’alcol etilico, bicloruro di mercurio. Il secondo gruppo comprende fissativi non coagulanti le proteine come la formalina e l’acido osmico. Nel caso invece della fissazione fisica, si opera in genere per congelamento o per riscaldamento. Le cellule che si trovano disperse in un mezzo liquido, quali le cellule del sangue, quelle dei liquidi di cavità sierose e di qualunque secreto o essudato si esaminano agevolmente con la tecnica degli strisci. Gli strisci di cellule monostrato possono essere di solito osservati direttamente al microscopio dopo essiccamento o fissazione e colorazione. Si usa per l’esame morfologico del sangue e nella citologia esfoliativa allo scopo di evidenziare cellule neoplastiche o comunque alterate in qualche secreto o liquido fisiologico o di lavaggio di organi. FISSATIVI SEMPLICI Etanolo: coagulante non addittivo Formaldeide: addittivo non coagulante Acidi organici e minerali picrico:coagulante; acetico:addittivo Tetrossido di osmio: non coagulante Sali di metalli pesanti 2) INCLUSIONE E SEZIONAMENTO: il materiale biologico da esaminare al microscopio, per risultare trasparente, deve essere tagliato in sezioni di spessore non superiore a 10µm, preferibilmente tra 2-5 µm, in modo da ottenere immagini nitide e di buona risoluzione. Si adopera uno strumento ovvero il microtomo, nel quale il materiale da sezionare viene spinto progressivamente in avanti da un congegno capace di portarlo sotto una lama affilata che taglia fettine di un determinato spessore. Per effettuare sezioni così sottili di materiale appena fissato, occorre dargli una maggiore consistenza; ciò si ottiene includendolo in sostanze di natura diversa che successivamente induriscono. Sono la paraffina, la celloidina o resine plastiche, nelle quali il materiale biologico è immerso quando sono ancora in fase liquida, in modo che possano impregnarlo completamente. La metodica prevede una serie di passaggi successivi alla fissazione: 1)disidratazione progressiva nella serie degli alcoli ascendenti 2)diafanizzazione in solventi apolari 3)inclusione in paraffina 50-60°C 4)solidificazione a temperatura ambiente 5)sezionamento al microtomo 6)distensione delle sezioni in acqua 7)montaggio 8)sparaffinatura delle sezioni in solventi apolari 9)reidratazione delle sezioni nella serie di alcoli discendenti 10)acqua distillata 11) colorazione delle sezioni 12)disidratazione nella serie ascendente degli alcoli 13)chiarificazione in solventi apolari 14)montaggio in resine sintetiche e loro solidificazione a 37°C, in modo da conservare il preparato per lungo tempo. Volendo effettuare sezioni di un tessuto appena prelevato, senza fissarlo, si può congelare e poi eseguire le sezioni con un particolare microtomo, detto microtomo congelatore o con un criostato. Il primo è praticamente un normale microtomo in cui il pezzo viene reso duro da un getto di anidride carbonica. Il criostato invece è un microtomo contenuto all’interno di una cella frigorifera e il pezzo è mantenuto duro dalla temperatura fredda presente nella cella. 3) PERMEABILIZZAZIONE: La fissazione può essere combinata con la permeabilizzazione (per colorare componenti del citoplasma o del nucleo con immunofluorescenza): Si effettua trattando i campioni fissati con detergenti blandi (Es. Triton X100). E’ indispensabile per immunomarcature intracitoplasmatiche e nucleari in quanto permeabilizza le membrane permettendo l’ingresso dell’Ab negli organuli. Non è necessaria per immunomarcature su Ag di membrana. 4) COLORAZIONI ISTOLOGICHE: il colorante si lega stabilmente ad alcune strutture cellulari che rimangono colorate anche dopo ripetuti lavaggi delle sezioni nel solvente in cui era sciolto il colorante. Si distinguono colorazioni dirette o stostantive, quando le sezioni prendono il colorante direttamente dalla soluzione, sia essa alcolica o acquosa, e colorazioni indirette o aggiuntive o per mordenzatura, quando il preparato viene sottoposto all’azione preliminare di sostanze preparatorie alla colorazione (mordenti, quali Sali d’alluminio, di ferro o di cromo). Le colorazioni possono essere – semplici quando si usa solo un colorante, - combinate quando si usano due o più coloranti simultaneamente o in successione. I coloranti possono inoltre essere naturali se estratti da piante o animali e artificiali. In istologia vengono di solito adoperate combinazioni di coloranti che hanno lo scopo di mettere in evidenza i vari componenti delle cellule e dei tessuti. La combinazione più comunemente adoperata è l’ematossilina-eosina, con la quale i nuclei assumono l’ematossilina essendo colorati in blu scuro e tutto il resto si colora di rosa con l’eosina,( Ematossilina: ha affinità per le molecole cariche negativamente (DNA, RNA ed alcune proteine). Eosina: ha affinità per le molecole cariche positivamente (proteine del citosol)); i metodi cosiddetti tricromi, quali quelli di Mallory, Galgano, Azan, oltre al colorante nucleare usano poi miscele che contengono diversi coloranti, come arancio G. Coloranti con affinità per componenti cellulari cariche negativamente: basici, sostanze basofile Coloranti con affinità per componenti cellulari cariche positivamente: acidi, sostanze acidolfili Protocollo colorazione cresyl-violetto: Sparaffinare e portare all’acqua: a) 2 passaggi di 2 minuti in Histolemmon b) 2 passaggi di 2 minuti ciascuno in alcool assoluto c) 1 passaggio di 2 minuti in ciascuno dei seguenti alcoli : 95° 70° 50° d) 1 passaggio in acqua di 2 minuti Colorare: Trattare per 3-5 minuti cresyl violetto allo 0,5% Sciacquare per pochi secondi in due bagni di acqua distillata Differenziare in acqua acidulata Disidratatare: a) 2 passaggi di 1 minuto ciascuno in alcol 95° e assoluto b) 2 passaggio di 1 minuto in Histolemmon Montare in resina le aree "bianche"? I fluidi presenti nei tessuti o negli spazi interstiziali non si colorano con E&E Sangue, linfa etc. Si riconoscono come ampi spazi bianchi Anche i lipidi ed il grasso non si colorano. IMMUNOFLUORESCENZA: Colorazione con anticorpi coniugati con fluorocromi per evidenziare in situ costituenti tissutali che sono specifici antigeni. IMMUNOFLUORESCENZA PER ANTIGENI DI SUPERFICIE si può effettuare anche su cellule vive IMMUNOFLUORESCENZA PER ANTIGENI INTRACELLULARI - è necessario fissare e permeabilizzare le cellule La GFP (Green Fluorescent Protein) è una proteina di 238 aa (27 KDa) isolata dalla medusa Aequorea victoria. Inducendo mutazioni nel gene della GFP sono state prodotte varianti di questa proteina con caratteristici spettri di assorbimento ed emissione: BFP - Blue Fluorescent Protein, CFP - Cyan Fluorescent Protein, YFP - Yellow Fluorescent Protein, RFP - Red Fluorescent Protein (G)FP: proteine intrinsecamente fluorescenti - Possono essere fuse geneticamente alla proteina da marcare - Sono assolutamente biocompatibili e il legame al target è forte - La fisiologia della cellula o dell’organismo non viene significativamente alterata, quindi sono sonde ideali per l’osservazione "in vivo" – è possibile creare linee cellulari o organismi transgenici che esprimono direttamente la proteina marcata anziché quella normale. 5) MONTAGGIO: Microscopia elettronica: gran parte delle strutture subcellulari sfugge all’analisi microscopica classica, in quanto la capacità risolutiva del microscopio ottico è intimamente legata alla lunghezza d’onda della luce, nel campo del visibile. Utilizzando un fascio di elettroni, ovvero una radiazione elettromagnetica di lunghezza d’onda molto ridotta, si è potuto oltrepassare quel limite di 0,2µm otticamente invalicabile. Ma vi erano numerosi problemi da risolvere, tra cui l’impossibilità di una visione diretta del preparato (la retina non è sensibile agli elettroni) e la costruzione di strumenti che, al pari delle lenti convergenti nei confronti dei raggi luminosi, fossero in grado di modificare il cammino del fascio di elettroni. MICROSCOPIO OTTICO A TRASMISSIONE TEM : visto che il limite risolutivo del microscopio ottico, espresso nella formula di Abbe è uguale a ½ λ, i limiti imposti dalla lunghezza d’onda della luce possono essere superati soltanto utilizzando radiazioni a lunghezza d’onda minore. È noto da tempo che un fascio di elettroni attraversando un campo magnetico viene focalizzato secondo le stesse leggi dell’ottica convenzionale. Se un fascio di elettroni viene accelerato a forte velocità, alle particelle cariche negativamente in movimento è associata una radiazione la cui lunghezza d’onda è calcolabile in base alla formula di Abbe. Con tensioni di accelerazione dell’ordine di 50000 V, la lunghezza d’onda risulterà perciò pari a 0,05 nm. RUSKA costruì il primo microscopio elettronico dove la sorgente luminosa era sostituita da una fonte di elettroni e le cui lenti erano date da elettromagneti; con questi apparecchi si poteva raggiungere, in teoria, un limite di risoluzione inferiore a 0,1 nm. Il potere di risoluzione in microscopia elettronica, non è di quest’ordine di grandezza, in quanto le lenti magnetiche sono caratterizzate da un angolo di apertura abbastanza piccolo. I più moderni strumenti possono, raggiungere un potere di risoluzione di circa 0,2 nm, con la conseguente possibilità di utilizzare ingrandimenti molto elevati. Costituto da: 1. Colonna elettronottica 2. Sistema di comando e controllo dei circuiti elettrici ed elettronici 3. Sistema di produzione e controllo del vuoto. Gli elettroni sono sottoposti, appena lasciato un filamento metallico portato all’incandescenza, a una forte differenza di potenziale e accelerati lungo la colonna elettronica (Sorgente elettronica, Condensatori, Sistema ingrandimento immagine, Sistema registrazione e visualizzazione immagine): Sorgente elettronica: 1) filamento di tugsteno che portato all’incandescenza emette elettroni + cilindro metallico (Wehenhelt) = CATODO 2) dischetto metallico sotto il catodo con foro centrale caricato positivamente= ANODO; Condensatori: lenti elettromagnetiche che fanno convergere il fascio sul preparato; Sistema ingrandimento immagine Obiettivo: ingrandisce circa 100X= prima immagine dell’oggetto Lenti intermedie Lenti proiettive; Sistema registrazione e visualizzazione immagine: schermo a fluorite+ sistema di ripresa fotografica. Per percorrere la distanza fra sorgente, lenti e infine lo schermo, gli elettroni non debbono incontrare intralci materiali, per cui l’ambiente interno deve essere evacuato dall’aria fino a valori di vuoto. Gli elettroni vengono assorbiti, deviati e in parte trasmessi continuando il loro percorso. Questi ultimi contribuiscono a formare un’immagine su uno schermo fluorescente oppure possono essere osservati su un monitor televisivo o impressionano una lastra fotografica. Da qualche tempo l’immagine viene inviata tramite telecamera ad appositi elaboratori elettronici, trasformata in digitale e conservata su rapporti informatici. Le lenti possono modificare il percorso del fascio elettronico con le medesime modalità previste dall’ottica classica per le lenti in vetro, sono di tipo elettromagnetico, cioè costituite da un solenoide che crea un campo le cui linee di forza fanno convergere gli elettroni in un punto, detto fuoco. COME SI FORMA L’IMMAGINE: Gli elettroni del fascio entrano in collisione con gli atomi del preparato e vengono deflessi La deflessione crea una variazione di intensità Questa variazione di intensità viene raccolta dallo schermo o dalla pellicola e forma l’immagine del campione (in bianco e nero) ALLESTIMENTO DEI CAMPIONI: è necessario che il materiale da esaminare sia fissato, disidratato e ridotto in fettine estremamente sottili, cioè dell’ordine di 50/80 nm di spessore. 1) FISSAZIONE: i fissativi più adoperati in micro. Elettro. Sono il tetrossido di osmio e la glutaraldeide. In genere la prefissazione in glutaraldeide viene fatta seguire da una post- fissazione con acido osmico. Quest’ultimo agisce anche come colorante sia grazie al suo alto numero atomico per cui i costituenti cellulari cui si lega diventano più o meno opachi agli elettroni, sia perché si lega come osmio ridotto alle lipoproteine ed altri costituenti della cellula. 2) DISIDRATAZIONE: il tessuto viene sottoposto a disidratazione in concentrazioni crescenti di alcol etilico o acetone. 3) INCLUSIONE E SEZIONAMENTO: per ottenere sezioni molto sottili si fa ricorso a mezzi di inclusione, fra i quali i più adoperati sono monomeri acrilici o resine epossidiche che impregnano il tessuto e vengono poi fatti polimerizzare mediante un adatto catalizzatore. Per ottenere sezioni della grandezza di 50/80 nm si adoperano speciali microtomi, detti ultramicrotomi, ad avanzamento termico o meccanico, che utilizzano lame di vetro o di diamante. Le sezioni così ottenute sono distese su una pellicola estremamente sottile di collodio, di carbone o di altra sostanza applicata su un retino metallico. 4) COLORAZIONE A CONTRASTO: si usano coloranti elettronici, che sono Sali di atomi pesanti, come l’acetato di uranile e il citrato di piombo, i quali, si legano elettivamente a certe strutture del preparato e ne elevano il contrasto. Una tecnica molto importante per lo studio delle macromolecole, che ha dato ottimi risultati nello studio delle molecole di DNA e anche di RNA, è la cosiddetta tecnica monostrato di KLEINSCHMIDT. Il contrasto e rilievo di dette strutture biologiche viene solitamente ottenuto con la cosiddetta ombreggiatura rotativa. La tecnica consiste nel rivestire il campione con un sottile film di platino, che è stato vaporizzato e spruzzato sul campione con un basso angolo di incidenza. Il film di platino è stabilizzato con uno strato di carbone e recuperato dopo aver idrolizzato il campione. La replica in platino del campione è raccolta e osservata al micro. Elettro. Una tecnica molto impiegata in microscopia elettronica per lo studio dei virus e delle macromolecole è la colorazione negativa in cui la struttura in esame viene impregnata con una soluzione di Sali di metalli pesanti. Questi spazi appariranno colorati (neri) e le macromolecole appariranno incolori (bianchi) come in un negativo fotografico. Si usano traccianti che si rendono visibili grazie alla loro opacità agli elettroni. Numerose particelle opache sono state utilizzate per gli studi sulla pinocitosi e sulla fagocitosi e per lo studio del trasporto di sostanze attraverso le barriere cellulari. Si è fatto ricordo a sostanze colloidali come l’oro, il biossido di torio, l’ossido di ferro, ferritina. Una tecnica ha fornito contributi alla conoscenza della struttura interna delle membrane biologiche e delle strutture responsabili delle comunicazioni fra cellule, è quella del congelamento-frattura (freeze-fracture) e del criodecappaggio (freeze.etching). il materiale è sottoposto a congelamento rapido, traferito nel vuoto quindi fratturato con una lama. La superficie di frattura viene quindi ombreggiata da carbone e platino in modo da ottenere una replica o stampo della superficie. Le immagini presentano colori particolari che, a causa dell’ombreggiatura, appaiono tridimensionali e consentono di apprezzare, oltre alla dimensione anche i rapporti reciproci fra strutture vicine. MICROSCOPIO ELETTRONICO A SCANSIONE SEM: IL SEM è costitutito da: Sistema di illuminazione = sorgente elettronica, lenti di focalizzazione, bobine di deflessione Sistema di rivelazione e trasferimento dei segnali = segnali elettronici trasformati in corrente elettrica e opportunamente amplificati Sistema di produzione e registrazione delle immagini:( CRT) sorgente che genera il fascio responsabile dell’immagine, anodo che li accellera, schermo fluorescente Sistema del vuoto è un tipo di microscopio elettronico usato per lo studio topografico della superficie delle strutture biologiche. Nel microscopio elettronico a trasmissione La sezione di tessuto viene attraversata da un fascio di elettroni; Nel microscopio elettronico a scansione, invece, la superficie del campione, In precedenza fissato in glutaraldeide o tetrossido di osmio, è precedentemente rivestita con appositi apparecchi da un sottile strato di metalli pesanti per consentirne l’osservazione. Il campione, Inserito In Un’apposita camera Del microscopio, Viene esplorato da un fascio molto sottile di Elettroni, Detti primari, Che deflessi da un particolare dispositivo, formano una sorta di pennello che esplora per punti successivi la superficie dell’oggetto. Gli elettroni primari vanno a eccitare la superficie del campione che mette raggi X ed elettroni secondari. Gli elettroni secondari vengono raccolti da un rilevatore posto vicino al campione. La componente essenziale del rilevatore è uno scintillatore, che emette fotoni, i quali, in sincronismo con il fascio di elettroni primario, operano la scansione sullo schermo del monitor. Il sincronismo tra la scansione effettuata sul campione e quella del monitor è operato dal sistema di scansione. L’immagine che si forma sullo schermo riproduce con effetto tridimensionale la superficie analizzata, rivelandone tutti i particolari con una risoluzione solitamente di 20nm. Tuttavia, con sorgenti elettroniche speciali si possono raggiungere risoluzioni più elevate. Il microscopio elettronico a scansione consente anche la microanalisi dei metalli contenuti nel campione: siccome con l’eccitazione del campione, da parte degli elettroni primari, si ha anche emissione di raggi x, una specifica microsonda raccoglie i raggi x emessi e ne analizza lo spettro che essendo caratteristico di ogni elemento, ne consente l’identificazione. 1. Elettroni secondari: elettroni a bassa energia (perché persa in seguito ad urti anelastici) provenienti dalla superficie del campione= morfologia della superficie 2. Elettroni backscattered: elettroni che emergono dal campione senza perdita di energia ma con cambiamento di direzione= informazioni sulla composizione 3. Catodoluminescenza 4. Raggi X. Fissazione Disidratazione: serie crescente degli alcooli Disidratazione al punto critico (CPD): serve per passare dalla fase liquida a quella gassosa senza danni: CO2 Montaggio su supporto Metallizzazione per sputtering: migliora l’interazione fra fascio e campione: ricopertura con metalli La Metallizzazione è la deposizione di un sottile film di alluminio in condizione di vuoto che consente di rivestire diverse tipologie di prodotti. Lo Sputtering permette di depositare un film sottile di metallo conferendo a un prodotto prestazioni estetiche e meccaniche. ANALISI BIOCHIMICA E FUNZIONALE: (strumenti: cromatografi, elettroforesi, spettrometri. Tecniche: frazionamento) le caratteristiche molecolari e funzionali di un campione biologico possono essere valutate con l’uso di particolari tecniche istologiche e tramite specifici metodi di analisi. CITOCHIMICA E ISTOCHIMICA: la citochimica utilizza tecniche atte a localizzare, al microscopio ottico e al microscopio elettronico, la presenza di determinate sostanze nell’interno della cellula e di risalire indirettamente alla loro composizione chimica. Questo tipo di analisi viene nominata anche istochimica, se si prefigge di localizzare sostanze chimiche non solo nelle cellule, ma anche nei componenti extracellulari dei tessuti. Sono metodi di analisi in situ. L’istochimica si differenzia nettamente quindi dalla biochimica, che opera su prodotti estratti dalle cellule e dai tessuti o su frazioni cellulari, sia dalla comune indagine istologica, dove la colorazione del preparato ha il semplice significato di mettere in evidenza la morfologia del tessuto. METODI DI COLORAZIONE: in istochimica, i metodi di colorazione sfruttano la proprietà di determinati reagenti di formare prodotti di reazione colorati, visibili al microscopio ottico. Alcune tecniche trovano anche applicazione in microscopia elettronica; in questi casi interessa che il prodotto di reazione risulti opaco agli elettroni e quindi evidenziabile al microscopio elettronico. I metodi istochimici si basano su due presupposti: che la reazione sia specifica per la sostanza chimica che si vuole identificare; che la sostanza chimica che si ricerca e il prodotto di reazione tra essa e il reagente impiegato non venga allontanato dalla sua posizione originaria nella cellula o nel tessuto da tutti i trattamenti necessari. In istochimica si ricorre spesso al metodo del freeze-drying o al criostato, che immobilizzano le sostanze chimiche nella loro sede originaria. LIPIDI: l’identificazione dei lipidi viene effettuata per mezzo di alcuni coloranti (solfato di blu Nilo) liposolubili. Poiché i lipidi si sciolgono totalmente nei solventi, dopo fissazione il pezzo viene tagliato direttamente al criostato e le sezioni sono trattate con uno de coloranti. Il montaggio del coprigetto viene effettuato con sciroppi o con gelatine idrosolubili e non in balsamo, perché lo xilolo scioglierebbe i grassi anche dopo la colorazione. Le gocciole di grasso possono essere anche messe in evidenza con la tradizionale tecnica delle fette, ma previa fissazione in acido osmico che, reagendo prevalentemente con gli acidi grassi insaturi, da luogo a composti insolubili nello xilolo, evidenza polisaccaridi neutri, il glicogeno, l’amido, la cellulosa. Si usa in questa reazione il reattivo di Schiff, dato da fucsina basica (rossa) ridotta e decolorata con acido solforoso. Tramite una preventiva ossidazione con acido periodico, i gruppi glicolici, ove presenti, vengono trasformati in gruppi aldeidici che interagiscono con la fucsina ridotta (incolore), riossidandola e riportando l’intensa colorazione rossa. Per aumentarne la specificità si può ricorrere all’impiego di test di controllo con enzimi quali l’amilasi, per eliminare il glicogeno, e verificare se si attua la scomparsa della colorazione. I glicosaminoglicani (GAG) si colorano elettivamente con il colorante Alcian blu o anche con fucsina-paraldeide; per l’elevato contenuto di gruppi acidi, sono intensamente basofili e metacromatici. Alcuni coloranti basici del gruppo della tiazina colorano certi componenti tissutali con una tinta diversa dalla propria. Questa proprietà è detta metacromasia e si verifica con sostanze di alto peso molecolare contenenti molti gruppi anionici liberi, come i mucopolisaccaridi acidi della sostanza fondamentale della cartilagine e quelli dei granuli dei leucociti basofili e dei mastociti. In presenza di questi gruppi acidi, il blu di toluidina vira dal blu al rosso-viola. l'identificazione dei polisaccaridi va assumendo sempre più importanza nello studio e caratterizzazione delle superfici cellulari nei diversi tipi cellulari. Questo studio è stato reso possibile dalla scoperta di particolari famiglia di proteine (lectine). Ciascuna di queste proteine si lega elettivamente a specifici zuccheri, così le lectine coniugate a determinati marcatori consentono la localizzazione delle glicoproteine con diversi tipi di microscopi, fornendo anche informazioni sulla loro composizione glucidica. PROTEINE: La maggior parte dei fissativi e ancor più i rischiaranti esercita un’azione inattivante sugli enzimi, Il materiale deve essere preparato In modo particolare. In molti casi occorre utilizzare sezioni non fissate e ottenute al criostato; In altri L’enzima resiste a una breve Fissazione in acetone a freddo, in formaldeide, in glutaraldeide e in altre dialdeidi. I metodi istochimici per gli enzimi sono basati sull’incubazione di sezioni in presenza di un opportuno substrato specifico per l’enzima. Il substrato viene attaccato dall’enzima, presente nel tessuto, Con formazione di un prodotto di reazione insolubile che è già colorato o che può essere reso visibile al microscopio mediante procedimenti successivi. Viene messo in evidenza non l’enzima ma il prodotto di una reazione che è catalizzata dall’enzima. Usando substrati opportuni è possibile localizzare molti enzimi sia idrolitici siano idrolitici. Tra gli enzimi non idrolitici possono essere dimostrate istochimicamente le ossidasi, enzimi che catalizzano il trasporto di elettroni da un substrato donatore all’ossigeno, e le deidrogenasi, che catalizzano deidrogenazioni, cioè reazioni di trasferimento di elettroni dal substrato a un accettore di elettroni. Tra gli enzimi idrolitici si ricordano le diverse fosfatasi che liberano gruppi fosfato da vari substrati. Queste reazioni istochimiche con lo sviluppo delle tecniche immunoistochimiche, hanno perso ormai molta della loro importanza. ACIDI NUCLEICI: Gli acidi nucleici, sia il DNA sia l’RNA, per la presenza nella loro molecola di numerosi radicali fosforici presentano spiccata affinità per i coloranti basici (azzurro B, blu di toluidina ecc.). Per la dimostrazione specifica del DNA si ricorre spesso alla reazione di Feulgen. essa si fonda sul principio analogo a quello della reazione PAS. Le sezioni di tessuto fissato sono dapprima sottoposte a idrolisi acida blanda con l’acido cloridrico. L’idrolisi è sufficiente per allontanare l’RNA, ma non il DNA da cui provengono allontanate le purine a livello del legame glucosidico purina-desossiribosio del DNA, smascherando i gruppi aldeidici del desossiribosio che reagiscono con il reattivo di Schiff Ossidandolo e riportando la colorazione rosso-porpora. Così le zone contenenti DNA (cromatina) appaiono colorate in rosso, Mentre il nucleolo e il citoplasma restano incolore. L’intensità di questa colorazione non dipende dal tempo di permanenza del colorante, ma dalla quantità di DNA presente, per cui si possono anche effettuare analisi quantitative con uno specifico microscopio chiamato istofotometro, ora in disuso Perché sostituito da specifici programmi di analisi di immagini. IMMUNOISTOCHIMICA E IMMUNOCITOCHIMICA: Alcune tecniche consentono la localizzazione citochimica di diverse sostanze in genere proteine o polisaccaridi, ai microscopi sia ottico sia a fluorescenza sia elettronico. Non si riesce così a localizzare una generica sostanza proteica o polisaccaridica ma una ben precisa molecola (actina o miosina). Ognuna di queste sostanze funge da antigene (sostanza immunogenica, cioè in grado di indurre una attivazione del sistema immunocompetente che porta alla formazione di anticorpi), Per ciascuno dei quali si possono tenere i relativi anticorpi (proteine del siero prodotte in seguito all’esposizione ad un antigene che formano con essi un complesso immune). Gli anticorpi specifici, ottenuti immunizzando un animale contro un antigene di cui si vuole studiare la localizzazione, Vengono coniugati con una sostanza fluorescente o con una molecola opaca agli elettroni, Quale la proteina ferritina, Oppure marcati con particelle di oro colloidale. Le sezioni di tessuto sono poi esposte all’anticorpo, in modo che questo si leghi solo nei siti del tessuto in cui è presente l'antigene. Se l’anticorpo viene marcato con fluoresceina o rodamina, si formerà un complesso antigene- Anticorpo Visibile al microscopio a fluorescenza; se viene Marcato Con ferritina o con oro colloidale, sarà visibile al microscopio elettronico. Quando si fa legare direttamente l’anticorpo marcato all’antigene si parla di metodo diretto Che però è poco sensibile. Nel cosiddetto metodo indiretto, usato più comunemente, l’antigene viene fatto prima agire con un anticorpo non marcato (anticorpo primario); successivamente, una volta che si è formato il complesso antigene-anticorpo, si fa reagire con un altro anticorpo, Questa volta marcato, contro l’anticorpo primario (anticorpo secondario). Più copie di anticorpo secondario si possono legare all’anticorpo primario con il risultato di dare un segnale più evidente; Inoltre un altro vantaggio del metodo indiretto è che si esclude che la specificità Dell’anticorpo primario venga modificata dai procedimenti chimici impiegati per la marcatura. L’identificazione dell’anticorpo secondario, Oltre che per fluorescenza, Può essere effettuata con metodi colorimetrici. L’immunoistochimica ha infatti compiuto un notevole progresso con l’impiego dell’enzima perossidasi. Questo enzima può essere coniugato con l’anticorpo secondario e successivamente e rivelato per mezzo di una reazione istochimica usando come substrato la diaminobenzidina DAB e l’acqua ossigenata. L’azione dell’enzima perossidasi sul substrato determina un precipitato color rosso-mattone che consente di localizzare l’antigene. Altro enzima molto utilizzato come marcatore è la fosfatasi alcalina. L’utilizzatore di anticorpi marcati con enzimi ha consentito di incrementare la sensibilità dei metodi immunoistochimici in quanto occorrono poche molecole di enzimi per produrre una reazione visibile al microscopio. Si può anche marcare l’anticorpo secondario con isotopi radioattivi, Come per esempio iodio radioattivo, ricorrendo, per la rivelazione, all’autoradiografia. (Reazione indiretta: poiché ad ogni anticorpo primario a livello della porzione Fc, si legano 2 molecole di anticorpo, ad ogni molecola di antigene corrisponde un maggior numero di fluorocromo)

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