Summary

Il documento fornisce informazioni generali sulla microscopia, comprendendo i principi principali dei microscopi ottici e il loro utilizzo in diversi ambiti scientifici. Il documento descrive le capacità di ingrandimento e la risoluzione dei microscopi, oltre a differenziare i tipi di microscopi ottici e i microscopi elettronici.

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MICROSCOPIA La microscopia è utilizzata per l'osservazione dei microrganismi e per la loro identificazione (preliminare o definitiva). Lo strumento che si utilizza è il microscopio, che consente di ingrandire l'immagine dei microrganismi attraverso l'utilizzo di una lente. La caratteristica fondamen...

MICROSCOPIA La microscopia è utilizzata per l'osservazione dei microrganismi e per la loro identificazione (preliminare o definitiva). Lo strumento che si utilizza è il microscopio, che consente di ingrandire l'immagine dei microrganismi attraverso l'utilizzo di una lente. La caratteristica fondamentale è la capacità di ingrandimento, ovvero la capacità di aumentare con strumenti artificiali l'immagine di un oggetto, fino a renderla osservabile. Altra caratteristica fondamentale è la risoluzione, ovvero la capacità che permette di avere una visione nitida di due punti di un oggetto vicini tra loro. Le cellule e i tessuti si possono studiare dal punto di vista morfologico, biochimico e funzionale: - L'analisi morfologica prende in esame l'organizzazione strutturale delle cellule, parti di esse e costituenti extracellulari. Per effettuarla si utilizzano i microscopi ottici ed elettronici. Il campione deve essere più conservativo possibile; - L’analisi biochimica e funzionale prende in esame la natura chimica e il funzionamento delle cellule. Per effettuarla si utilizzano cromatografi, elettroforesi e spettrometri. Il campione viene scomposto per scoprire le interazioni interne. OCCHIO UMANO Il microscopio risulta necessario per operare in laboratorio perché l'occhio umano è uno strumento limitato. Esso è costituito da: - Il cristallino = lente biconvessa che proietta un'immagine sulla retina; - L’iride = diaframma che regola l'incidenza dei raggi luminosi; - La retina = l’inizio della via ottica, che porta le informazioni al cervello, dove viene poi elaborata l'immagine; - Il corpo vitreo = sostanza gelatinosa che mantiene la forma del bulbo; - L’umor acqueo = mantiene la forma e converge i raggi luminosi; - La cornea = epitelio fibrillare che permette il passaggio dei raggi. STEREOMICROSCOPIO Gli stereomicroscopi sono strumenti progettati in modo differente dal microscopio ottico convenzionale e per una differente finalità. Sono dotati di coppie di obiettivi e oculari che lavorano simultaneamente dando una visione realistica del soggetto analizzato. Sono adatti all'osservazione di insetti, foglie, pietre, circuiti elettronici, fibre, tessuti o per eseguire attività come dissezione, determinazione di macroinvertebrati e microchirurgia. MICROSCOPIO OTTICO Il microscopio ottico si basa sull'interazione tra un raggio luminoso e il campione in esame. È costituito da: Lo stativo = parte fissa del microscopio (comprende base e braccio) che sorregge tubo e tavolino; Il tavolino porta oggetti = base per appoggiare il campione da analizzare; Il tubo = sono poste le lenti; Il revolver = sono posizionati tutti i vari obiettivi con le lenti; L’oculare = lente vicino all'osservatore; Il condensatore = lente convergente che concentra la luce in una zona limitata del preparato; La sorgente luminosa = lampada che illumina il condensatore; La vite macrometrica = consente grandi spostamenti di tubo o tavolino per la messa a fuoco; La vite micrometrica = consente piccoli spostamenti per la messa a fuoco fine; Eventuali filtri colorati. La messa a fuoco può essere regolata facendo alzare/abbassare il tavolino. L'ingrandimento finale è dato dal prodotto dell'ingrandimento dell'oculare e dell'obiettivo. IL POTERE DI RISOLUZIONE Il potere di risoluzione di un microscopio è la capacità di distinguere come separati due punti molto vicini tra loro. Dipende dalle caratteristiche dell'obiettivo ed è limitato dalla natura della radiazione luminosa. -Il rapporto di proporzione inversa lunghezza d'onda-potere di risoluzione afferma che “tanto più è piccola la lunghezza d'onda, tanto è maggiore il potere di risoluzione”. -Il rapporto di proporzione diretta apertura numerica-potere di risoluzione afferma che “tanto più è grande l'apertura numerica, tanto è maggiore il potere di risoluzione”. Il potere di risoluzione dello strumento di osservazione determina il livello di dettaglio contenuto nell'immagine, mentre un aumento di ingrandimento non determina un aumento di risoluzione delle immagini. LIMITE DI RISOLUZIONE L'occhio umano ha un potere di risoluzione di 0,3 mm; il microscopio ottico di 0,2 μm; il microscopio elettronico fino a 0,2 nm. Oltre un certo valore d’ingrandimento, il potere di risoluzione non cresce perché non è possibile distinguere particolari ulteriori. Si dice allora che l'ingrandimento utile del microscopio ottico è circa mille volte (1000x) e il suo potere risolutivo è di 0,2 μm. Questo limite risolutivo è il massimo che si può ottenere da qualunque microscopio ottico. E’ espresso tramite la formula di Abbe: 𝑹=𝝀/(𝟐𝒏⋅𝒔𝒆𝒏𝜶) R= limite di risoluzione; 𝜆= lunghezza d’onda della luce; n= indice di rifrazione del mezzo interposto tra oggetto e la lente, che solitamente è l’aria (n=1); 𝜶= angolo di apertura della lente obiettivo; nsen𝜶= apertura numerica (NA). Per abbassare R si diminuisce 𝜆 e si aumenta A. Per migliorare il limite di risoluzione di un microscopio si aumenta il valore dell'indice di rifrazione del mezzo interposto (n). Si interpone quindi, fra la lente frontale e l’oggetto, un mezzo con indice di rifrazione più alto, per esempio una goccia d'olio. In questo caso si parla di osservazione microscopica ad immersione, che permette di distinguere come separati punti distanti più di 0,1 μm. In alternativa, si può utilizzare la radiazione ultravioletta (𝜆 pari a 250-350 nm), con la quale si può raggiungere un potere di risoluzione di 0,1 μm (limite estremo della microscopia ottica). In questo caso, essendo la luce ultravioletta invisibile all'occhio umano, per il rilevamento delle immagini occorre fare ricorso a pellicole fotografiche sensibili all'ultravioletto. TIPOLOGIE DI MICROSCOPI OTTICI VI sono diversi tipi di microscopi ottici,come: - Microscopio in campo chiaro (luce da sotto o obliqua); - Microscopio in campo oscuro (luce trasversale); - Microscopio in campo misto colorato; - Epi-illuminazione (luce da sopra); - Microscopio a luce polarizzata; - Microscopio a contrasto di fase (Zernike); - Microscopio a contrasto di fase interferenziale (di Nomarski); - Microscopio a fluorescenza; - Microscopio confocale (Minsky). MICROSCOPIO IN CAMPO CHIARO Il microscopio in campo chiaro è lo strumento più in uso per lo studio dei preparati fissati, ma non consente un buono studio di materiale biologico “a fresco” a causa del debole contrasto. Il campione è visualizzato in contro luce, grazie alla luce che passa direttamente dal condensatore al vetrino. Dunque il campione risulterà scuro e il fondo chiaro. MICROSCOPIO IN CAMPO SCURO Il microscopio in campo scuro utilizza uno speciale condensatore munito di diaframma, che viene applicato (sotto al sistema delle lenti) ad un comune microscopio ottico. Il condensatore ha lo scopo di dare al preparato un'illuminazione radente, lasciando buia la parte inquadrata dall'obiettivo. In questo modo soltanto i raggi che hanno attraversato la struttura biologica verranno raccolti dall'obiettivo, mentre quelli che attraversano il mezzo verranno deviati fuori dal campo di osservazione. Dal momento che il percorso seguito dalla luce della sorgente non è rettilineo, l'occhio dell'osservatore percepirà il tipico effetto del campo scuro, dunque il campione risulterà illuminato e il fondo scuro. : a sinistra un’osservazione con microscopia in campo chiaro, a destra in campo scuro. MICROSCOPIO IN CAMPO MISTO COLORATO Il microscopio in campo misto colorato è costituito da un filtro colorato che viene posto al di sotto del condensatore. Quest’ultimo fa arrivare la luce colorata al campione. MICROSCOPIO A LUCE POLARIZZATA La luce polarizzata vibra su un solo piano e non può essere vista dall’occhio umano in circostanze normali. Tuttavia, viene utilizzata nel microscopio a luce polarizzata per evidenziare le caratteristiche dei minerali e di altri materiali. Un oggetto posto sul cammino di questa luce può risultare isotropo, se trasmette la luce con la stessa velocità in tutte le direzioni e dunque presenta lo stesso indice di rifrazione in tutte le direzioni. Oppure anisotropo, se non trasmette la luce con la stessa velocità in tutte le direzioni, in quanto presenta indici di rifrazione diversi secondo il piano di vibrazione del raggio di luce. Il microscopio a luce polarizzata utilizza pertanto le proprietà ottiche birifrangenti (scomposizione di un raggio in due) dei materiali anisotropi. Questo è ormai in disuso. :a sinistra un’osservazione con microscopia a luce polarizzata, a destra in campo misto colorato. MICROSCOPIO A CONTRASTO DI FASE Il microscopio a contrasto di fase è un tipo particolare di microscopio che lavora nel campo del visibile. Si basa sul fenomeno dell'interferenza luminosa e viene impiegato per analizzare le cellule delle colture in vitro senza aggiungere coloranti o fissativi, che potrebbero comunque compromettere la riuscita della coltura. Queste cellule alla luce visibile risulterebbero trasparenti, poiché hanno lo stesso indice di rifrazione del mezzo, e proprio la microscopia a contrasto di fase elimina questo problema. Quando la luce incontra un oggetto di una certa ampiezza, questo la assorbe in parte, riducendo l’ampiezza delle onde luminose. Nel microscopio a contrasto di fase il preparato viene illuminato da un fascio luminoso suddiviso in due dal condensatore. Il microscopio a contrasto di fase utilizza due sorgenti luminose: - una lampada sotto il campione; - una luce che viene diffratta o riflessa dal campione. Presenta inoltre un diaframma ad anello posto nel condensatore, detto anello di fase, che lascia passare la luce come un fascio di luce cavo (vuoto al centro). Differenza di fase Prima di entrare nel preparato le onde luminose sono dette "in fase", significa che la loro ampiezza e la loro frequenza risultano uguali e le onde si sovrappongono in modo che i massimi di una si trovino in corrispondenza dei massimi dell'altra, rafforzandosi a vicenda. All'uscita di ogni punto del preparato ci sono due raggi: uno trasmesso e uno diffratto. I raggi diffratti vengono fatti congiungere con quelli trasmessi dando vita all'immagine. Dunque: Se le onde luminose sono in fase, l'oggetto apparirà luminoso; Se sono fuori fase, l'oggetto sarà ombreggiato o scuro. Gli oggetti con indice di rifrazione più alto del mezzo che li circonda appariranno scuri su fondo più chiaro e si diranno in anticipo. Gli oggetti con indice di rifrazione più basso del mezzo che li circonda appariranno chiari su fondo più scuro e si diranno in ritardo. Il microscopio a contrasto di fase converte la differenza di fase (invisibile all'occhio) in differenza di ampiezza (visibile all'occhio) del raggio che li attraversa. MICROSCOPIO A CONTRASTO DI FASE INTERFERENZIALE Il microscopio a contrasto di fase interferenziale è fondato sui principi del microscopio a contrasto di fase (permette lo studio di oggetti trasparenti non colorati). Consente di osservare i diversi piani di un oggetto, relativamente spesso, fornendo immagini con caratteristico rilievo. Questo tipo di microscopio utilizza la luce polarizzata, che tramite un particolare prisma di Wollaston viene scissa in due raggi divergenti tra loro di una piccola distanza (variabile da obiettivo a obiettivo) compresa tra 1 e 0,1-0,2 μm. In questo modo un raggio colpisce un certo punto dell'oggetto e l'altro punto immediatamente vicino, ma compreso all'interno della risoluzione dell'obiettivo. Poi, tramite un secondo prisma di Wollaston, i due raggi vengono fatti interferire e l'immagine che si ottiene è simile a quella del contrasto di fase, ma con un più evidente effetto tridimensionale. :a sinistra un’osservazione con microscopia a contrasto di fase, a destra a contrasto di fase interferenziale. MICROSCOPIA A FLUORESCENZA La fluorescenza è il fenomeno per cui determinate sostanze, dette “fluorescenti”, una volta colpite dalle radiazioni ultraviolette, emettono luce di lunghezza d'onda maggiore e quindi divengono visibili. Nel momento in cui l’atomo della sostanza viene colpito dalla radiazione ultravioletta, l’elettrone periferico si eccita e passa da un determinato orbitale ad uno superiore. Gli elettroni eccitati sono però instabili e tendono a ritornare all’orbitale di partenza, disperdendo l'energia sotto forma di calore e luce. La fluorescenza può essere di due tipi: - fluorescenza primaria, naturale o autofluorescenza, è prodotta da sostanze presenti nel tessuto come la clorofilla, la vitamina A, la riboflavina e le porfirine; - fluorescenza secondaria,è indotta da una colorazione con coloranti fluorescenti detti “fluorocromi”. I fluorocromi si legano in modo selettivo a diversi componenti cellulari e tissutali consentendone la visione al microscopio. Sono ad oggi disponibili in commercio numerosi fluorocromi, i più adoperati sono: l'arancio di acridina che presenta particolare affinità con le nucleoproteine e gli acidi nucleici; lo ioduro di propidio che colora in rosso il DNA; il DAPI che dà un'intensa colorazione di blu al DNA, specie per i tratti ricchi di adenina e timina. Nel microscopio a fluorescenza il preparato viene illuminato con luce ultravioletta a una determinata lunghezza d'onda e i suoi componenti vengono esaminati in base alla fluorescenza emessa. L'immagine non è dovuta perciò alla luce che attraversa il preparato, ma al preparato stesso che si autoillumina. I vantaggi di questo sistema sono che è relativamente semplice da usare, poco costoso ed a medio-buona sensibilità. Gli svantaggi sono invece che il campione si illumina completamente, significa che tutte le molecole fluorescenti presenti sono eccitate, quindi si presenta il fenomeno del “photobleaching”. Per photobleaching s’intende la distruzione irreversibile di un fluorocromo. Un altro fenomeno è quello del “quenching”, ossia avviene un trasferimento di energia da una molecola fluorescente (donatrice) a un’altra molecola fluorescente (accettore), che si trova fisicamente vicina al fluorocromo eccitato (donatore). Un tempo nei microscopi a fluorescenza, la lampada a vapori di mercurio era messa sotto il condensatore (ipofluorescenza),per cui la luce ultravioletta attraversava il preparato eccitandolo. Per evitare danni alla vista, veniva fermata prima di arrivare all'oculare, da appositi filtri di sbarramento e all'occhio dell'osservatore arrivavano solo i raggi luminosi emessi per fluorescenza. Attualmente si preferisce utilizzare un sistema molto più sensibile, denominato epifluorescenza, nel quale il preparato viene eccitato dall'alto. Tale microscopio è costituito da: - una sorgente luminosa ad alta energia, come una lampada a vapori di mercurio, ad argon o allo xenon; - un filtro d'eccitazione, che lascia passare la luce a 𝜆 che eccita il fluorocromo in uso; - un filtro di sbarramento che lascia passare la luce a 𝜆 corrispondente a quella emessa dal fluorocromo; - uno specchio dicroico che riflette la luce a 𝜆 pari o inferiore a quella di eccitazione e trasmette la luce a 𝜆 superiore a quella di eccitazione. Non tutti gli obiettivi sono idonei per essere utilizzati nelle osservazioni in fluorescenza, quelli più adatti sono detti obiettivi a fluorite (o con lenti a fluorite) e sono identificati con la sigla FLUOR o FL. Il grande sviluppo della microscopia a fluorescenza si deve anche alla produzione di moltissimi fluorocromi che emettono luce a diversa lunghezza d'onda, consentendo la visualizzazione e localizzazione contemporanea di componenti cellulari distinte o di organuli diversi all'interno di una cellula. Alcuni esempi sono: FICT = verde; TRIC = verde nucleo e citoplasma e arancione vacuoli acidi; PE e TEXAS RED = rosso. MICROSCOPIO CONFOCALE Nella microscopia ottica tradizionale il preparato viene ridotto in sezioni sottilissime e più la sezione è sottile, più sarà alta la qualità dell'immagine. Nel processo di sezionamento però, si perde la tridimensionalità dell'oggetto. Al contrario, se si osserva una struttura biologica senza sezionarla, l'eccessivo spessore darà immagini confuse dovute alla sovrapposizione del piano focale su cui è stato regolato il microscopio, con i piani immediatamente soprastanti e sottostanti. Inoltre con i microscopi a fluorescenza vi è il problema della fluorescenza dei piani secondari, che interferisce con le parti sulle quali vogliamo focalizzarci. Il microscopio confocale invece, avvalendosi di dispositivi elettronici, si focalizza su un piano per volta, eliminando tutte le informazioni luminose che provengono dai piani sottostanti e soprastanti. Viene quindi analizzata volta per volta una ben precisa sezione ottica sottile. Poi dall'unione delle immagini delle diverse sezioni, che sono state registrate a diversi livelli del preparato, è possibile ricostruire, sempre con l'ausilio di un computer, l'immagine tridimensionale della struttura in esame (anche se di notevole spessore). Il sistema utilizzato dalla microscopia confocale è molto simile a quello della epifluorescenza, con la differenza che la sorgente luminosa è rappresentata da un fascio laser che va ad eccitare i fluorocromi. Dunque: 1) Un fascio di luce laser (frecce gialle) viene concentrato in un primo pinhole e quindi riflesso da uno specchio dicroico sul preparato; 2) La luce emessa per fluorescenza (frecce rosse) dagli organelli del preparato (marcati con uno o più fluorocromi) viene focalizzata dall'obiettivo su un secondo pinhole e quindi raccolta da un rilevatore, che registra l'informazione su un computer; 3) La fluorescenza emessa pur attraversando lo specchio dicroico, non passa dal secondo pinhole e quindi non giunge al rilevatore. L'utilità di utilizzare i pinholes sta nel fatto che questi focalizzino la luce solo in un determinato punto, permettendoci di concentrarci solamente su quello, senza avere alcuna interferenza proveniente dai punti vicini, sopra o sottostanti. Inoltre facendo scorrere, attraverso un dispositivo di scansione, il raggio laser nei vari punti dei piani di sezione ottica, il computer registra una serie di immagini puntiformi perfettamente a fuoco, in base alle quali ricostruire l'immagine complessiva del piano di sezione. L'insieme delle immagini dei piani di sezione ci permette poi di ottenere l'immagine tridimensionale e perfettamente a fuoco dell'intero campione in esame. Il grande vantaggio del microscopio confocale è che consente anche l'analisi di cellule e tessuti in vivo, chiamata “confocal live imaging”. Questo è permesso dall'utilizzo di molecole fluorescenti vitali, come la GFP (green fluorescent protein) e suoi derivati che non sono citotossici. Si possono effettuare anche osservazioni time-lapse. Il microscopio confocale consente inoltre di studiare la mobilità e le interazioni delle molecole mediante le tecniche FRAP (recupero della fluorescenza dopo il fotosbiancamento) e FRET (trasferimento di energia per risonanza durante la fluorescenza). La tecnica FRAP è relativamente semplice ed è utilizzata per misurare la mobilità delle molecole e si avvale del photobleaching. ~Come avviene? Un laser porta il fluorocromo al photobleaching (gli fa perdere definitivamente fluorescenza). Altre molecole fluorescenti accanto alla zona colpita dal laser, riempiono lo spazio dove era scomparsa la fluorescenza facendogliela riacquistare (è possibile solamente se le molecole sono in grado di muoversi). La tecnica FRET permette invece di studiare le interazioni tra molecole. Si avvale del quenching (consiste nel trasferimento di energia da una molecola fluorescente donatrice a un'altra molecola fluorescente accettore, che si trova fisicamente vicina al fluorocromo eccitato donatore. Il secondo fluorocromo si eccita ed emette fluorescenza solo se è posto ad una distanza minore di 10mm dall'altro= TANDEM, questo spiega che è avvenuta un'interazione fra le due molecole). Vi sono però degli svantaggi: - costo molto elevato; - alta fototossicità e conseguente danneggiamento dei campioni; - alto rischio di photobleaching che impedisce al campione di essere analizzato. ALLESTIMENTO DEI CAMPIONI I due principali procedimenti di analisi morfologica sono l’osservazione in vivo di cellule e di tessuti viventi, oppure di cellule e di tessuti uccisi con procedimenti che ne conservano le immagini il più possibile simili a quelle degli elementi cellulari viventi, ovvero dopo fissazione. Il campione può essere dunque osservato: Fissato (di norma con paraformaldeide 2-4%); A fresco (cellule in condizioni vitali o confocal live imaging). Nell'osservazione in vivo i frammenti degli organi o le cellule isolate dall'organismo possono restare in vita per breve tempo, ed essere osservate con microscopio a contrasto di fase. È possibile anche colorare le cellule vive tramite le colorazioni vitali e sopravitali, eseguite con coloranti non tossici: - Le colorazioni vitali hanno la proprietà di colorare selettivamente alcune cellule viventi, permettendo la loro identificazione o lo studio di funzioni particolari per la fagocitosi si usa il blu trypan, la tionina, il litocarminio, il blu pirrolo o l'inchiostro di china; per i processi di ossificazione l’alizarina; per i mitocondri il verde Janus. prevedono che il colorante sia iniettato direttamente all'interno dell'animale di cui si vogliono analizzare i tessuti; - Le colorazioni sopravitali prevedono invece che un pezzetto di organo venga immerso nel liquido colorante, oppure che il colorante venga aggiunto direttamente al terreno della coltura in vitro. L'osservazione di cellule e tessuti uccisi necessita di diversi passaggi preparatori: 1) Prelievo; 2) Fissazione; 3) Disidratazione; 4) Chiarificazione; 5) Inclusione; 6) Solidificazione; 7) Sparaffinatura; 8) Taglio; 9) Reidratazione; 10) Colorazione; 11) Montaggio. LA FISSAZIONE Ha lo scopo di bloccare i processi di degenerazione del tessuto prelevato, rendendolo stabile nel tempo ed inalterabile all’azione dei successivi trattamenti. Mantiene inalterate le caratteristiche strutturali e morfologiche del campione. Uccide rapidamente la cellula, agendo soprattutto sui componenti proteici cellulari in modo da impedire fenomeni di autolisi (autodigestione cellulare, dovuta agli enzimi dei lisosomi). La fissazione si può eseguire utilizzando agenti chimici o fisici: I più comuni fissativi chimici si possono dividere in due gruppi in base alla loro azione sulle proteine: - I fissativi che coagulano le proteine, come l’alcol etilico, le soluzioni di bicloruro di mercurio, di acido acetico, di acido tricloroacetico e di acido picrico; - I fissativi che non coagulano le proteine, come la formalina e l’acido osmico. Per la fissazione fisica si opera in genere per rapido congelamento o per rapido riscaldamento. Si possono anche utilizzare miscele fissative costituite da acqua, sali e uno o più fissativi chimici (liquido di Bouin, Carnoy, Müller, Susa) Le cellule che si trovano disperse in mezzo al liquido come le cellule del sangue, si esaminano agevolmente con la tecnica degli strisci. Questa tecnica si usa per l’esame morfologico del sangue con lo scopo di evidenziare cellule neoplastiche o comunque alterate. INCLUSIONE E TAGLIO (SEZIONAMENTO) Nella microscopia ottica, il preparato dovrà essere attraversato dalla luce quindi il materiale biologico da analizzare dovrà risultare trasparente. Per ottenere ciò, il preparato deve essere tagliato in sezioni di spessore non superiore a 10 μm, preferibilmente tra i 2-5 μm per ottenere una buona risoluzione. Si procede dunque al sezionamento. Il taglio viene effettuato con il microtomo, dove il materiale viene spinto in avanti sotto una lama affilata che taglierà le fettine dello spessore necessario. Volendo effettuare sezioni di un tessuto appena prelevato senza fissarlo (ai fini di mantenere integre le sue attività enzimatiche) si può congelare e poi eseguire le sezioni con un particolare microtomo detto, microtomo congelatore (il campione viene indurito dall’anidride carbonica). Per rendere il campione più rigido al momento del taglio è sottoposto ad inclusione di sostanze indurenti. Normalmente in microscopia ottica si utilizza la paraffina (a 50°-60° in due passaggi da un’ora ciascuno), ossia una miscela di idrocarburi non miscibile in acqua. Dunque prima dell’inclusione è necessaria la disidratazione: 1. Disidratazione progressiva nella serie degli alcoli ascendenti (50, 70, 80, 95), ogni passaggio di un’ora ciascuno. Se l’etanolo è assoluto si effettuano solo due passaggi di un’ora ciascuno. 2. Diafanizzazione in solventi apolari. 3. Inclusione in paraffina a 50-60°. 4. Solidificazione a temperatura ambiente per almeno 12h. 5. Sezionamento al microtomo.In seguito all’inclusione si effettuano: 6. 7. Sparaffinatura per eliminare la paraffina in eccesso così da ridurre lo spessore del campione; 8. La reidratazione delle sezioni nella serie degli alcoli discendenti (95, 80, 70, 50) e infine in acqua distillata. 9. Chiarificazione per rendere trasparente il campione immergendolo in benzolo, toluolo o xilolo. Quest'ultima è una sostanza che oltre a rendere trasparente il campione, scioglie l'etanolo e solubilizza i lipidi. Per la chiarificazione si effettuano due passaggi da mezz'ora ciascuno. E in seguito si può proseguire con la colorazione. COLORAZIONE Si può parlare di una vera e propria colorazione quando il colorante in soluzione si lega stabilmente alle strutture cellulari, che rimangono colorate anche dopo ripetuti lavaggi. Le colorazioni si dividono in: - Colorazioni dirette quando le sezioni prendono il colorante direttamente dalla soluzione, sia essa acquosa o alcolica; - Colorazione indirette, quando il preparato viene sottoposto all'azione preliminare di sostanze dette “mordenti” (sali d'alluminio, di ferro o di cromo). - Semplici, quando si usa un solo colorante; - Combinate, quando si usano due o più coloranti simultaneamente o in successione. La combinazione più comunemente adoperata è l'ematossilina-eosina (E&E) con la quale i nuclei (carichi negativamente) assumono l'ematossilina e si colorano in blu scuro e tutto il resto (citoplasma e sostanze extracellulari) si colora in rosa con l'eosina (carichi positivamente). Dunque l’ematossilina è un colorante basico che colora le sostanze negative (acidofile). Mentre l’eosina è un colorante acido che colora le sostanze positive (basofile). I coloranti inoltre possono essere naturali (estratti da animali o da piante) o artificiali. Gli "spazi bianchi" che risultano al microscopio sono dovuti ai fluidi presenti nei tessuti o negli spazi interstiziali non si colorano con l'E&E, così come i lipidi. Dopo la colorazione i preparati si disidratano di nuovo e si montano su vetrini mediante dei balsami. MONTAGGIO Il montaggio serve a ridurre il fotodecadimento (photobleaching) e a preservare la struttura tridimensionale del campione. Per effettuarlo si utilizzano antifading (reattivi antiossidanti, che attenuano il decadimento della fluorescenza) collante e vetrino coprioggetto. Si deve prestare attenzione alla presenza di sostanze fluorescenti nel terreno di coltura e alla presenza di cellule morte che aumentano il rumore di fondo. MICROSCOPI ELETTRONICI La risoluzione della microscopia ottica è strettamente legata alla lunghezza d'onda della luce che attraversa il preparato e questo non ci consente di vedere gran parte delle strutture subcellulari. Utilizzando un fascio di elettroni, ovvero una radiazione elettromagnetica di lunghezza d'onda molto ridotta, si è potuto oltrepassare il limite di 0,2 μm. Ciò però comporta l'impossibilità della visione diretta del preparato, poiché la retina degli occhi non è sensibile agli elettroni. Diviene dunque necessario avvalersi di supporti elettronici che ci permettono di analizzare il campione in esame. In microscopia elettronica l'analisi di materia vivente è impossibile. I microscopi elettronici sono principalmente di due tipi: a trasmissione (TEM) e a scansione (SEM). TEM (Microscopio Elettronico a Trasmissione) Il microscopio elettronico a trasmissione è costituito da più parti. Una colonna elettronica: - Sorgente elettronica Filamento di tungsteno che portato all’incandescenza emette elettroni Cilindro metallico che rappresenta il catodo, mentre il dischetto metallico con il foro centrale posto sotto il catodo rappresenta l’anodo; - Condensatori Lenti elettromagnetiche che fanno convergere il fascio sul preparato - Sistema ingrandimento immagine Obiettivo 100X Lenti intermedie Lenti proiettive - Sistema registrazione e visualizzazione immagine Schermo a fluorite e sistema di ripresa fotografica Sistema di comando e controllo dei circuiti elettronici. Sistema di produzione e controllo del vuoto. Gli elettroni del fascio entrano in collisione con gli atomi del preparato e vengono deflessi creando una variazione d’intensità. Questa variazione d’intensità viene raccolta dallo schermo o dalla pellicola e forma l’immagine del campione (in bianco e nero). Le fasi di allestimento di un campione per TEM sono: - Fissazione, avviene con fissativi in soluzione tampone così da veicolarli nelle cellule; - Disidratazione, in serie crescente degli alcoli o degli acetoni; - Inclusione in resina (fluida a temperatura ambientale, polimerizza a 60°); - Taglio, per mezzo dell’ultramicrotomo; - Colorazione, con Uranile acetato, Piombo citrato e Tetrossido di Osmio. SEM (Microscopio Elettronico a Scansione) Il microscopio elettronico a scansione permette di esaminare la superficie dei preparati. La superficie del campione precedentemente fissato (in glutaraldeide o tetrossido di osmio) è in genere rivestita da un sottile strato di metalli pesanti, come l’oro o l’oro-palladio, per consentirne l'osservazione. Il campione viene inserito in un'apposita camera del microscopio e interagisce con un fascio molto sottile di elettroni, detti elettroni primari (circa 7 nm di diametro). Gli elettroni primari vanno a eccitare la superficie del campione che emette raggi X ed elettroni secondari. Gli elettroni secondari vengono raccolti da un rilevatore posto vicino al campione. Lo scintillatore posto all’interno del rilevatore emette fotoni, i quali, contemporaneamente al fascio di elettroni primario, scansionano sullo schermo del monitor l’immagine tridimensionale del preparato e/o per avere informazioni sulla sua composizione chimico fisica. La risoluzione è all’incirca di 20 nm, tuttavia con sorgenti elettroniche speciali si possono raggiungere risoluzioni più elevate (3 nm). Il microscopio elettronico a scansione consente anche la microanalisi dei metalli contenuti nel campione: con l'eccitazione del campione si ha anche emissione di raggi X, una specifica microsonda raccoglie i raggi X emessi e ne analizza lo spettro. Essendo esso caratteristico di ogni elemento, ne consente l'identificazione. È costituito da più parti. Un sistema d’illuminazione: - sorgente elettronica; - lenti di focalizzazione; - bobine di deflessione. Sistema di rivelazione e trasferimento dei segnali i segnali elettrici vengono trasformati in corrente elettrica e opportunamente amplificati. Sistema di produzione e registrazione delle immagini (CTR): - sorgente che genera il fascio responsabile dell’immagine; - anodo che li accelera; - schermo fluorescente. Sistema del vuoto. L'aberrazione cromatica è dovuta alla dispersione dell'energia degli elettroni. Il microscopio elettronico funziona ad una ben determinata lunghezza d'onda degli elettroni e quindi non si dovrebbe avere aberrazione cromatica. In realtà non esiste una sorgente monocromatica, infatti alcuni elettroni hanno più energia di altri. Inoltre quando un fascio di elettroni arriva sul campione e lo attraversa, parte degli elettroni perde energia a causa dell'interazione con il campione stesso e gli elettroni non sono più monocromatici. Si cerca di ottenere campioni il più possibile sottili in quanto più spessi sono, più provocano aberrazione cromatica, si cerca quindi di avere una sorgente stabile. Le fasi di allestimento di un campione per SEM sono: - Fissazione; - Disidratazione, in serie crescente degli alcooli (per togliere l’acqua); - Disidratazione al punto critico (CPD) con CO2, che serve per passare dalla fase liquida a quella gassosa senza danni (per togliere l’alcol); - Montaggio su supporto; - Metallizzazione per sputtering, ossia la copertura del campione con metalli al fine di migliorare l’interazione tra fascio di elettroni e campione. Siccome gli elettroni hanno difficoltà ad entrare in un oggetto, si favorisce l'entrata avvolgendo il campione con un sottile film di metallo. 1) Il campione si trova sull'anodo (positivo); 2) Il catodo (negativo) è avvolto dal film di metallo; 3) Delle particelle di Argon ionizzato vengono sparate sul film di metallo; 4) Gli atomi del film di metallo vengono espulsi dagli atomi di Argon; 5) Gli atomi del metallo avvolgono il preparato, creando una nube atomica; 6) La nube atomica favorisce l'entrata degli elettroni; 7) In questo modo si ottengono immagini ad alta qualità.

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