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Questo documento è un riassunto di istituzioni di diritto privato. L'autore discute le fonti del diritto, elencandole in ordine di importanza e le relative caratteristiche. Il testo include esempi e approfondimenti su concetti chiave come l'interpretazione della legge e il procedimento analogico.

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ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO (RIASSUNTO TRIMARCHI) SEZIONE PRIMA INTRODUZIONE Capitolo 1 – L’ORDINAMENTO GIURIDICO E LE FONTI DEL DIRITTO DIRITTO: insieme di comandi rivolti ai...

ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO (RIASSUNTO TRIMARCHI) SEZIONE PRIMA INTRODUZIONE Capitolo 1 – L’ORDINAMENTO GIURIDICO E LE FONTI DEL DIRITTO DIRITTO: insieme di comandi rivolti ai consociati per dare ordine alla loro convivenza e organizzare le loro attività. NORMA GIURIDICA: comando giuridico generale ed astratto. Questo suo carattere è necessario per garantire maggior ordine nella vita sociale e per evitare che essa possa favorire o danneggiare una persona determinata e per impedire discriminazioni al momento della sua applicazione. La norma giuridica quasi sempre si collega con uno o più rimedi o MECCANISMI SANZIONATORI, i quali possono essere: - PENA: il timore nei suoi confronti entra nel gioco delle motivazioni dei consociati e porta al rispetto della norma; - COAZIONE DIRETTA: intervento da parte della forza pubblica per impedire il compimento di un atto vietato (violazione di domicilio); - ESECUZIONE FORZATA: intervento della forza pubblica per eliminare una situazione antigiuridica (edificio costruito abusivamente verrà demolito). Altre volte il diritto attribuisce particolari VANTAGGI subordinandoli ad alcune condizioni. Per esempio si riconosce efficacia ad un contratto, ma solo se esso è lecito e fatto secondo le sue prescrizioni. Altrimenti esso sarà INVALIDO, l’invalidità si può considerare una sanzione. Tuttavia non tutte le norme sono collegate in modo diretto al meccanismo sanzionatorio. Esempio art 315 cod. civ. Tali regole sono comunque giuridiche, in quanto si collegano con altre a formare quel complesso sistema di norme che è detto: ORDINAMENTO GIURIDICO. L’intero sistema giuridico si fonda sul principio che il giudice deve decidere secondo la legge, ma non vi è rimedio contro una sentenza sbagliata del giudice di ultima istanza. FONTI DEL DIRITTO: ad esse sono dedicate alcune disposizioni anteposte al Cod. civ., ovvero le disposizioni sulla legge in generale. L’ordine nelle quali vengono elencate esprime una precisa gerarchia. Sono: - COSTITUZIONE, prima per il suo carattere intrinseco di norma fondamentale che regge la comuni- tà degli italiani e perché esprime i principi fondamentali dell’ordinamento. Inoltre essa getta i pilastri su cui si basa la democrazia repubblicana; - LEGGI ORDINARIE, la differenza principale con quelle costituzionali sta nel fatto che quest’ultime non solo regolano i privati, i giudici e gli organi dello Stato, ma anche il Parlamento stesso. Le leggi ordinarie devono sottostare alla costituzione e se vengono considerate non conforme ad essa se ne di- chiara l’invalidità. Le principali norme del diritto privato sono contenute nel CODICE CIVILE ema- nato nel 1942. - LEGGI REGIONALI, emanate solo per alcune circoscritte materie stabilite dalla costituzione. Devo- no sottostare ai limiti e ai principi delle leggi ordinarie e costituzionali e non possono essere in contra- sto con quelle di altre regioni. Vi sono alcune regioni, definite a STATUTO SPECIALE, che hanno un’autonomia legislativa più accentuata, - REGOLAMENTI, si distinguono in varie categorie a seconda della materia regolata. Per ciò che con- cerne il diritto privato vi sono i REGOLAMENTI DI ESECUZIONE: disciplinano l’applicazione del- le leggi statali e regionali, specificandole e completandole. La loro invalidità è rilevata del giudice ordi- nario; - USI o CONSUETUDINI; nascono dalla tradizione. Per la loro esistenza sono necessari un ELE- MENTO MATERIALE OGGETTIVO, ovvero la pratica costante e uniforme tenuta per lungo tem- po dalla generalità, e un ELEMENTO PSICOLOGICO SOGGETTIVO, ossia la convinzione che la pratica sia obbligatoria in quanto conforme a una regola giuridica. Il ruolo della consuetudine nel dirit- to è particolarmente ridotto. Essa ha valore solo se sia direttamente richiamata dalla legge o dal rego- lamento. I maggiori richiami avvengono in materia agricola, commerciale e marittima. ATTIVITÁ GIURISDIZIONALE Come già detto la norma giuridica è generale e astratta, ma alla fine è sempre un fatto concreto, una situazione che deve essere giudicata giuridica o meno, lecita o illecita e in tal modo si deve giungere ad un giudizio non più generale e astratto, ma bensì individuale e concreto. Tale giudizio viene espresso dal giudice nella SENTENZA, la quale deve essere conforme alla norma generale e può essere accompagnata da DISPOSIZIONI e ORDINI che ne conseguono. Il procedimento d’applicazione della norma generale e astratta è considerato come un SILLOGISMO: norma premessa maggiore, fatto premessa minore e sentenza conclusione. Tutto ciò non consiste nella semplice riproduzione di un articolo di norma di legge, ma spesso essa deve essere interpretata, talvolta non esiste una norma direttamente applicabile al caso e quindi deve essere creata con particolari tecniche. L’INTERPRETAZIONE: questo problema riguarda qualsiasi legge e non solo quelle che sono formulate in modo imperfetta. Questo perché ogni legge viene espressa con parole e ogni formulazione verbale può portare a problemi interpretativi. L’interpretazione va condotta in relazione al contesto e ciò porta alla conseguenza che la medesima parola può assumere significati differenti. Esempio la parola “famiglia” in alcuni casi si intende solo i coniugi e i figli, in altri, invece, verrà intesa in senso più ampio prendendo in considerazione anche i parenti più lontani. A tale proposito l’art. 12 comma 1 delle disposizioni sulla legge in generale stabilisce che nell’applicare la legge non si può attribuire ad essa alcun significato se non quello fatto palese dalla parole secondo la connessione di esse e dall’intenzione del legislatore. Questo articolo non è di grande aiuto, poiché nella prima parte fa un espresso richiamo all’attività del giudice e al suo dovere di fedeltà alle legge e nella parte finale il concetto dell’intenzione del legislatore è un qualcosa di particolarmente complesso. Questo perché la legge è il risultato di una complessa elaborazione di politici ed esperti e quindi non esiste un’unica intenzione o interpretazione della legge comune a tutti. Per comprendere ciò basta analizzare i lavori preparativi di una norma nei quali emorgono opinioni differenti e spesso confuse. Da tutto questo emerge la chiara volontà di limitarsi a dettare le direttive centrali per poi lasciare al giudice il compito di specificare e adattare ai casi concreti la legge. L’interpretazione di ciascuna norma deve essere condotta con riferimento al complesso dell’ordinamento giuridico e ai problemi della società, quindi anche se una norma specifica non viene modificata può variare la sua interpretazione in base a cambiamenti di altre leggi e allo sviluppo della società: INTERPRETAZIONE EVOLUTIVA. PROCEDIMENTO ANALOGICO: non sempre esiste una norma che può essere applicata direttamente al caso concreto. Infatti i problemi che si possono presentare sono una moltitudine e non esistono leggi per tutti. In tal caso è compito del giudice andare a crearne una tenendo conto delle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, art. 12 comma 2 delle disposizioni sulla legge in generale. Il momento essenziale di tale procedimento è la DETERMINAZIONE DELLA RAGIONE GIUSTIFICATRICE della norma per poter stabilire se essa può giustificare l’applicazione del medesimo trattamento nel caso analogo non previsto. Il giudice dovrà preferire lo scopo più coerente, più utile e degno. In altri casi si dovrà decidere in base ai principi generali dell’ordinamento giuridico, come quello d’uguaglianza, responsabilità delle proprie azioni, etc. Esempi di procedimento per analogia: art. 1768 cod. civ. dispone che il depositario deve usare nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia, ma aggiunge che se il deposito è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore. Da qui si ricava un principio generale, ovvero “chi rende una prestazione gratuitamente è assoggettato a una responsabilità minore rispetto a chi agisce per corrispettivo”. LEGGI ECCEZIONALI: se si prende in considerazione il senso puramente logico-formale si può affermare che qualsiasi norma può considerarsi l’eccezione di un’altra, ma ciò non è corretto quindi si deve operare una valutazione politico-giuridica che porta a considerare eccezionali solo quelle leggi per cui l’applicazione analogica sia pericolosa o inopportuna ai fini di un corretto funzionamento del meccanismo di produzione del diritto. Per chiarire questo concetto è opportuno fare una distinzione: - LEGGI STRUTTURALI, esprimono principi stabili e portano e giudizi consolidati e accertati; - LEGGI CONGIUNTURALI, dettate da contingenti variabili e di conseguenza la loro applicazione analogica giudizi di valore non consolidati. In base a questa distinzione si arriva alla vera e propria definizione di leggi eccezionali: sono leggi eccezionali tutte le leggi congiunturali e quindi ad esse non sono applicabili per analogia. Ciò per la necessità di avere decisioni giudiziarie adeguate, oggettive, uniforme e prevedibili. CLAUSULE GENERALI: quando il legislatore si limita a fissare i principi lasciando al giudice il compito di specificare in relazione ai vari tipi di casi intervengono esse che possono essere: - buona fede; - correttezza; - buon costume; - ordine pubblico; - giustificato motivo; - e molti altri. Un ruolo importante lo assume l’EQUITÁ: si contrappone alla rigidità della norma, esprimendo l’ideale di una giustizia perfettamente adeguata alle particolarità di ogni caso concreto. Autorizzare il giudice a decidere secondo equità significa autorizzarlo a derogare in alcuni casi all’applicazione rigida della legge. Egli deve tener conto di tutte le circostanze del caso concreto che appaiono rilevanti in base al comune sentimento di giustizia. IL GIUDICE E LA LEGGE GIUDICE: la sua funzione non è semplicemente quella di prendere delle decisioni relative a un determinato caso in base alle norme formulate dal legislatore, ma egli, come si è già visto, può e deve decidere anche in base a regole create da sé o da egli interpretate. E’ ovvio che tali regole non hanno la medesima efficacia delle norme giuridiche, infatti esse non sono vincolanti per gli altri casi. Anche se in tal modo si vengono a creare i cosiddetti PRECEDENTI che possono influenzare le future controversie. Spesso è accaduto che con il passare del tempo le interpretazioni o le decisioni prese dai giudici nei singoli casi siano divenute delle vere e proprie leggi. 1. INTERPRETAZIONE: notevole importanza in campo politico e costituzionale, in quanto attiene alla produzione del diritto e ai rapporti tra potere legislativo e giudiziario. Questo aspetto si comprende se si osserva la storia. – 17 e 18 secolo: le cause sono decise esclusivamente in base alla legge riguardante il caso specifico e l’interpretazione non era ammessa. In caso di mancanza di norma intervenivano gli esperti a cui era concessa l’interpretazione. – Sviluppo degli stati moderni: nascono i tribunali superio- ri. Nel contempo si accentua la tendenza del sovrano a riservarsi l’interpretazione, in particolare ri- guardo i suoi editti e le sue ordinanze. Il potere di produrre il diritto era suddiviso quindi tra i tribunali e il sovrano. – Rivoluzione francese: l’interpretazione è affidato esclusivamente al legislatore, mentre il giudice aveva solo il compito di applicare la legge. – 1804: Codice civile francese. Abolizione di tutte le decisioni precedenti e concessione al giudice di decidere anche in mancanza di norma specifica del caso concreto. Di conseguenza gli venne concessa l’interpretazione, ma non vi era il precedente giudi- ziario. – ‘800 e ‘900: Scuola della libera ricerca del diritto, la quale dà al giudice l’obbligo di rispettare i comandi espressi dalla legge, ma laddove non vi sia una legge precisa o che risulti dubbia spetta a lui ricercare una soluzione consona. 2. POTERI DEL GIUDICE: la loro ampiezza dipende dalla tecnica legislativa. Una legislazione fatta di principi generali lascia largo spazio all’interpretazione giurisprudenziale. Ma tutto ciò comporta alcuni inconvenienti: - INCERTEZZA: diversi giudici potrebbero decidere in maniera differente riguardo il medesimo caso; - la possibilità di elaborare regole davvero ADEGUATE; - INFLUENZA POLITI- CA da parte del giudice nell’interpretazione. Infatti egli potrebbe decidere in basi a propri criteri poli- tici. Capitolo 2 – DIRITTO PRIVATO E DIRITTO PUBBLICO L’ordinamento giuridico si suddivide in: - DIRITTO PUBBLICO, ha per oggetto l’organizzazione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e gli altri enti pubblici, ovvero quelli che sono costituiti per realizzare interessi collettivi. Inoltre rientrano nel diritto pubblico i rapporti reciproci di questi enti quando riguardano l’esercizio delle loro funzioni pubbliche e i rapporti di questi con i privati quando in essi si manifesta la supremazia dell’ente pubbli- co e la soggezione del privato; - DIRITTO PRIVATO regola i rapporti reciproci degli individui sia nel campo personale che in quello patrimoniale. Regola anche l’organizzazione e l’attività di società, associazioni e altri enti privati. Esso nel secolo scorso era considerato lo “statuto dei privati”, inteso come la specificazione dei diritti dell’uomo ed era caratterizzato da un forte individualismo. Oggi esso si caratterizza per l’adozione di particolari strumenti tecnici: come impresa-proprietà-contratto-società-obbligazione. E di particolari principi: come uguaglianza-autonomia-concorrenza-divieto dell’autotutela. Si è detto che il diritto pubblico assume un carattere di supremazia nei confronti di quello privato, ma ciò non è sempre vero. Infatti i poteri di supremazia sono contenuti in limiti definiti in relazione alle necessità pubbliche e ad un giusto contemperamento tra interessi pubblici e privati. Di conseguenza al di fuori di tali limiti trovano applicazione le regole dettate dal diritto privato. E’ importante da ricordare anche che spesso l’ente pubblico preferisce ricorrere agli strumenti del diritto privato, per esempio nel caso in cui un comune vuole acquistare un determinato terreno. Capitolo 4 – ASPETTI GENERALI DEL DIRITTO PRIVATO DIVIETO DELL’AUTOTUTELA PRIVATA: la regola giuridica ha la finalità di assicurare il pacifico convivere e lo sviluppo dei consociati. Per raggiungere ciò non basta indicare cosa spetti a ciascuno, ma è necessario disciplinare il procedimento di attuazione del diritto. Tutti gli ordinamenti progrediti vietano al privato di farsi giustizia da sé. Il divieto riguarda qualsiasi atto di chi, al fine di realizzare un proprio interesse, leda un diritto dell’obbligato o lo privi del potere di fatto finora esercitato su una cosa. Esempio art. 1168 cod. civ. passaggio su un terreno. L’autotutela implica responsabilità civile e, talvolta, nei casi più gravi costituisce reato ed è soggetta a sanzioni penali. Tuttavia esiste qualche deroga a tale divieto ed è consentita dalla legge in particolari casi. Per esempio quando sia necessaria per difendere un proprio o altrui diritto contro un’aggressione attuale, ma la difesa deve essere sempre proporzionata all’offesa: art. 2044 Cod. Civ. Un altro caso in cui l’autotutela è consentita consiste nel fatto che un creditore che detiene un bene del suo debitore può trattenerlo finché il debitore non adempi il debito. DIRITTO SOGGETTIVO: nel mondo giuridico esistono varie posizioni i cui schemi sono espressione della realtà storica. Nel diritto privato la più importante è proprio il diritto soggettivo. Insieme di pretese, facoltà, immunità e poteri riconosciuti al singolo per la soddisfazione di un suo interesse secondo il suo libero apprezzamento. Esso è definito in modo tale che ad esso corrisponda sempre un dovere. I diritti soggettivi si distinguono in: - diritti relativi: attribuiscono a una persona pretese che questa può far valere solo nei confronti di una o più persone determinata (credito di una somma di denaro). Questi possono anche avere per oggetto un’astensione (diritto derivante da un patto di non concorrenza); - diritti assoluti: attribuiscono a una persona pretese che questa può far valere nei confronti di una moltitudine di persone indeterminata (diritto di proprietà, il brevetto). Da un altro punto di vista i diritto soggettivi si distinguono in: - diritti della personalità: diritto alla vita, al nome, all’onere, alla libertà di movimento, all’integrità fisica. Questo tipo di diritti sono intrasmissibili; - diritti patrimoniali: hanno per contenuto un’utilità economica e sono trasmissibili. Essi a loro volta si suddividono in: 1. diritti patrimoniali assoluti: proprietà, diritti assoluti sulle cose e sulle opere dell’ingegno e le invenzioni; 2. diritti patrimoniali relativi, ovvero quelli di credito e i rapporti che ne derivano: obbligazioni. Carattere essenziale del diritto soggettivo è la libertà nel suo esercizio da ogni intervento esterno, attribuendo al singolo una zona di potere nella quale egli può muoversi liberamente. Questo aspetto appare chiaramente il diritto soggettivo viene messo a confronto con la nozione di POTESTÁ, ovvero potere attribuito a una persona per l’esercizio di una FUNZIONE rivolta a proteggere e realizzare un interesse altrui. La figura principale di tale potere consiste nella DISCREZIONALITÁ: possibilità di decisione finalizzata proprio alla realizzazione dei determinati interessi. Ciò non vuol dire comunque che non sia sottratta a controlli esterni e nemmeno a sanzioni giuridiche in caso di abuso. AUTONOMIA PRIVATA: potere del singolo di regolare nel modo che ritiene maggiormente opportuno i rapporti giuridici. Essa si esplica tramite i NEGOZI GIURIDICI: dichiarazioni dispositive alle quali l’ordinamento fa seguire effetti giuridici conformi all’intento del dichiarante e si svolge entro i limiti posti dal diritto. Questi richiedono l’accordo di entrambi le parti che sono coinvolte. Altri aspetti fondamentali del diritto privato sono: - STABILITÁ - DINAMICA - CONCORRENZA - SOLIDARIETÁ. Capitolo 5 – I RAPPORTI GIURIDICI NORMA GIURIDICA: consiste in un comando. Quindi se a un soggetto è comandato di tenere un certo comportamento è oggetto di un dovere. Da qui nasce la definizione di DOVERE GIURIDICO: esso può avere per oggetto un’azione (pagare, trasportare) oppure un’astensione (non costruire, non diffamare). Esso è sempre imposto per la realizzazione di un determinato interesse. Se di questo interesse è portatore un soggetto al quale sia attribuita la possibilità di pretendere l’adempimento del dovere, diciamo che questi è titolare di una PRETESA. Per esempio al dovere del debitore corrisponde la pretesa del suo creditore. La presenza della pretesa correlata al dovere è una costante del diritto privato, ma non del diritto pubblico. OBBLIGO: dovere corrispondente ad una pretesa. Termine strettamente correlato a quello di pretesa. Infatti dire che A ha nei confronti di B l’obbligo di tenere un certo comportamento equivale a dire che a B spetta la corrispondente pretesa nei confronti di A. FACOLTÁ: possibilità di scelta. Per esempio il proprietario di una macchina ha la facoltà di utilizzarla, demolirla e così via. L’esercizio di una facoltà presuppone che esso non sia impedito da altri. Tuttavia essa è protetta contro certi tipi di interferenza, ma non verso altri. Per esempio la facoltà di un commerciante di trattare un affare con un cliente non è protetto contro la concorrenza di chi voglia cercare di sottrarglielo offrendo condizioni migliori, ma è protetto contro la concorrenza sleale. POTERE: possibilità di operare modifiche, creazioni, trasferimenti o estinzioni di pretese e obblighi nel modo voluto. SOGGEZIONE: situazione di chi subisce le conseguenze dell’esercizio del potere giuridico. IMMUNITÁ: deriva dalla mancanza di potere. Se A non ha il potere di modificare una certa situazione giuridica di B, diciamo che B ha una corrispondente immunità. Esempio importante è quello del debitore e il creditore. Infetti il creditore non soddisfatto potrà appropriarsi dei beni del debitore, ma non di tutti, i quali sono soggetti all’immunità, come quelli sacri. DIRITTO SOGGETTIVO: vedere cap. 4. ASPETTATIVA: avviene quando alcuni elementi da cui dipende l’acquisizione di un diritto non si sono ancora verificati. Quando essa non viene presa in considerazione dalla legge è chiamata, aspettativa di fatto. Esempio i figli di una persona si attendono di succederle alla sua morte. Al contrario quando la legge tutela l’aspettativa questa viene detta, aspettativa di diritto. Esempio quando si vieta atti che possano impedire il perfezionarsi del diritto (art. 1358 cod. civ.). Essa si può definire come un diritto in formazione e assume la natura del diritto che sta andando a formare. DIRITTO POTESTATIVO: potere di determinare, mediante un proprio atto di volontà, una modificazione della sfera giuridica di un altro soggetto, il quale non può che subirla. Esempio il diritto di riscatto (art. 1500 cod. civ. oppure il diritto di prelazione). ONERE: comportamento non obbligatorio, ma richiesto come presupposto per l’esercizio di un potere. Esempio il compratore di una cosa difettosa, se vuole potersi valere dei rimedi di legge, ha l’onere di denunciare i difetti al venditore entro otto giorni dalla scoperta (art. 1459 comma 1 cod. civ.). SEZIONE SECONDA I SOGGETTI Capitolo 6 - LA PERSONA FISICA La capacità giuridica La capacità giuridica è la capacità di una persona di essere soggetto di diritti e di obblighi. Essa si distingue dalla capacità di agire, che è la capacità di disporre dei propri diritti. La capacità giuridica in generale spetta ad ogni uomo; può, invece, essere esclusa, in particolari casi limitati, la capacità di essere soggetto di particolari rapporti giuridici ( limitazione della capacità giuridica). La nascita e l’acquisto della capacità giuridica La capacità giuridica si acquista, di regola, al momento della nascita (art. 1 c.c.). La legge, tuttavia, dispone che il concepito possa ricevere per donazione o per successione a causa si morte, alla condizione però che successivamente egli nasca e nasca vivo (art. 1 comma 2 c.c.). L’acquisto del concepito è subordinato all’evento della nascita. Durante la gestazione il nascituro ha solo un’aspettativa, tutelata mediante un’amministrazione dei beni nel suo interesse e l’eventuale prestazione di garanzie; al momento della nascita l’aspettativa diventa diritto perfetto. Il nascituro potrà rimanere in vita anche solo per pochi attimi, ma questi bastano per consolidare l’acquisto, con la conseguenza che il bene verrà trasmesso agli eredi legittimi. Inoltre la legge ammette che vengano lasciati beni al figlio non ancora concepito di una data persona vivente. Questo acquisterà l’eredità se e quando nascerà, altrimenti il bene verrà trasmesso secondo le disposizioni sussidiarie dettate dallo stesso testatore o in alternativa dalla legge (art. 42 comma 3 c.c.). Diritti della personalità e libertà civili A tutela della personalità umana il diritto riconosce a ciascun uomo alcuni diritti e libertà fondamentali. È garantita l’inviolabilità fisica della persona. Ledere l’integrità fisica altrui costituisce un atto illecito. Anche la convenzione con la quale una persona disponga del proprio corpo vivente è illecita e priva di effetto quando l’atto così consentito cagioni una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o sia altrimenti contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. (art. 5 c.c.). Il diritto garantisce poi la libertà fisica di movimento e la libertà di fare o non fare; le libertà di religione, di parola, di opinioni politiche. Per la tutela del diritto al nome la legge consente a ciascuno di agire in giudizio, sia contro chi gli contesti il diritto all’uso del proprio nome, sia contro chi ne usi indebitamente cagionandogli danno. Il diritto all’onore è tutelato contro l’ingiuria e la diffamazione. Ogni persona ha diritto alla riservatezza della propria vita privata e alla verità personale. Infine la Costituzione garantisce a ciascuno l’inviolabilità del domicilio e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione. La capacità di agire. Le incapacità di protezione La capacità di agire è la capacità di disporre dei propri diritti e di assumere impegni mediante manifestazioni di volontà. Le cause principali per cui la capacità di agire può essere limitata o esclusa attengono a una riduzione o alla mancanza della capacità di intendere e di volere. Il diritto intende proteggere l’incapace contro il pericolo che egli rechi danno a sé stesso. A questo scopo consente l’annullamento dei negozi giuridici stipulati dall’incapace. Inoltre, in determinati casi, il diritto, affida a determinate persone il compito di provvedere agli interessi dell’incapace, avendo cura della sua persona, rappresentandolo negli atti civili, amministrandone i beni, o assistendolo nel compimento di certi atti. La possibilità che il genitore o il tutore si sostituisca all’incapace è esclusa quando si tratta di atti che implicano scelte di carattere strettamente personale. Le cause che possono limitare o escludere la capacità di intendere e di volere sono la minore età, l’alterazione delle facoltà mentali e altre minorazioni. La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno, e con essa si acquista la capacità generale di agire (art. 2 c.c.). L’abituale infermità di mente che rende incapace di provvedere ai propri interessi dà luogo ad una sentenza di interdizione, quando sia necessaria per assicurare un’adeguata protezione all’incapace. L’interdetto è privo della generale capacità di compiere atti giuridici, tranne solo qualche eventuale e limitata eccezione, ed è affidato ad un tutore (art. 414 c.c.). Se l’infermità di mente non è così grave da giustificare l’interdizione, si può pronunciare una sentenza di inabilitazione, che limita solo la capacità di compiere atti di ordinaria amministrazione e attribuisce all’inabilitato l’assistenza di un curatore (art. 415 c.c.). La legge prende anche in considerazione la posizione delle persone che, per effetto di infermità, ovvero di una menomazione fisica o psichica, hanno necessità di un’assistenza per l’attuazione dei propri interessi. Per questi casi è prevista una amministrazione di sostegno (art. 404 ss. c.c.). l’amministrazione di sostegno si distingue dall’interdizione e dall’inabilitazione in primo luogo per la sua portata più limitata e poi perché può essere disposta anche solo per un periodo determinato. Minori, interdetti, inabilitati, beneficiari dell’amministrazione di sostegno sono in stato in incapacità legale: assoluta quella dei minori e degli interdetti, che non possono stipulare validamente nessun negozio giuridico; relativa quella dei minori emancipati, degli inabilitati e dei beneficiari dell’amministrazione di sostegno, i quali hanno una più o meno limitata capacità di agire. L’incapacità legale va distinta dalla effettiva incapacità di intendere e di volere, che si designa come incapacità naturale. Quando vi è incapacità legale le norme protettive dell’incapace trovano applicazione anche se questi abbia la capacità naturale di intendere e di volere. In particolare il contratto, o altro negozio giuridico, stipulato dal minore o dall’interdetto è annullabile sempre, senza indagare se il minore sia particolarmente dotato, o se l’interdetto abbia agito durante un lucido intervallo. Quando vi è solo incapacità naturale di intendere e di volere, la buona fede dell’altra parte può essere giustificata; di qui la seguente disciplina di legge, rivolta a conciliare razionalmente i contrapposti interessi:  I negozi del diritto di famiglia compiuti da chi si trovi in stato di incapacità naturale di intendere e di volere possono essere annullati (art. 120 c.c.);  L’incapacità naturale rende senz’altro annullabile il testamento (art. 591 c.c.), la donazione (art. 775 c.c.), e per analogia qualsiasi atto di liberalità;  L’esigenza di tutelare l’affidamento è debole anche per gli atti unilaterali, in cui non vi è una controparte in senso proprio: essi sono annullabili se gravemente dannosi per l’incapace (art. 428 c.c.);  L’affidamento si tutela nel campo degli affari, dunque nella materia dei contratti: perciò qui occorre non solo provare che l’atto reca un grave pregiudizio all’incapace, ma inoltre che risulti la malafede dell’altro contraente (art. 428 c.c.). L’incapace di intendere e di volere non risponde civilmente dei propri atti illeciti [a meno che lo stato di incapacità derivi da sua colpa (art. 2046 c.c.)]. L’interdizione legale del condannato Il condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni è, durante la pena, in stato di interdizione legale, la quale, per ciò che concerne la disponibilità e l’amministrazione dei beni, implica gli stessi effetti dell’interdizione giudiziale (art. 32 c.p.). anche questa è un’incapacità di agire, ma con tutt’altro scopo:non già quello di proteggere il condannato, bensì quello di punirlo. La minore età. La potestà dei genitori Il negozio giuridico concluso dal minore di età è annullabile (art. 1425 c.c.): la sua efficacia può venire eliminata in base ad una tempestiva domanda giudiziale proposta nell’interesse del minore (artt. 1441, 1442 c.c.). Quando si tratti, invece, di parole dette da un bambino in tenera età, il negozio giuridico è inesistente, e dunque radicalmente privo di effetti fin dall’inizio e senza necessità che venga esercitata un’azione giudiziale di annullamento. Il negozio giuridico concluso dal minorenne è annullabile senza necessità di provare che esso gli sia effettivamente dannoso. La cura della persona del minore e l’amministrazione dei suoi beni è affidata normalmente ai suoi genitori, i quali hanno a questo scopo un insieme di poteri ‘DEFINITO’ che costituiscono la potestà. Prima della Riforma del Diritto di Famiglia del 1975 la potestà sui figli era esercitata dal solo padre, mentre oggi è esercitata di comune accordo da entrambi, salvi i casi di impedimento dell’uno o dell’altro. In caso di contrasto fra i genitori su questioni particolare importanza, è previsto l’intervento del giudice, che deve cercare di favorire un accordo, e, in caso di insuccesso, deve attribuire il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare gli interessi del figlio (art. 316 c.c.). Nel caso in cui vi sia urgenza di provvedere per evitare il pericolo di un grave pregiudizio per il figlio il padre può adottare i provvedimenti indifferibili, anche in contrasto con la volontà della madre (la deroga al principio di uguaglianza dei coniugi è giustificata dall’ art. 29 Cost.). La potestà va esercitata nell’interesse del minore. Il suo esercizio costituisce un dovere (potere-dovere), anche se ciò non deve far dimenticare il naturale diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli. La potestà dei genitori comprende, oltre al dovere del mantenimento, il potere-dovere di sorveglianza e di educazione. Il potere di sorveglianza implica il potere di tenere il figlio presso di sé, o di destinargli una certa abitazione ; quando il figlio se ne allontani senza permesso, i genitori possono richiamarlo, ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare (art. 318 c.c.). Il potere di sorveglianza implica anche quello di regolare le frequentazioni del figlio o di intercettarne la corrispondenza, qualora ne sia il caso. Dal dovere di sorveglianza dipende la responsabilità Civile dei genitori verso i terzi danneggiati dal fatto illecito del figlio minore, se questi abita con i genitori stessi (art. 2048 c.c.). Il potere di educazione comprende la facoltà di compiere scelte assai delicate circa il corso di studi e l’educazione religiosa; vi è poi il potere di usare mezzi di correzione e di disciplina, nei limiti approvati dal costume (art. 571 c.p.). La potestà dei genitori comprende il potere-dovere di amministrazione del patrimonio e di rappresentanza legale dei figli negli atti che non presuppongono scelte strettamente personali. I genitori che esercitano la potestà hanno in comune l’usufrutto legale sui beni del figlio, tranne quelli che il figlio abbia acquistato col proprio lavoro e gli altri indicati nell’art. 324 c.c.; questo diritto comprende il potere di godere dei beni e percepirne il reddito. La sanzione per la violazione dei doveri inerenti alla potestà sul figlio consiste, secondo i casi, nella decadenza della potestà, nella rimozione dall’amministrazione, nella privazione o limitazione dell’usufrutto legale o in altri provvedimenti che il tribunale ritenga convenienti all’interesse del figlio (artt. 330, 333, 334 c.c.). La tutela dei minori Se entrambi i genitori sono morti, o per altre cause non possono esercitare la potestà, si apre la TUTELA (art. 343 c.c.). Il Giudice Tutelare nomina tutore la persona designata dal genitore che ha esercitato per ultimo la potestà. Se questa designazione manca, o se si oppongono gravi motivi, sarà scelta un’altra persona, preferibilmente fra i prossimi parenti o affini del minore (art. 348 c.c.). Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni (art. 357 c.c.). Tutto ciò avviene ovviamente sotto il controllo del Giudice Tutelare. L’emancipazione Il minore che abbia compiuto i sedici anni di età può, per gravi motivi, essere autorizzato a contrarre matrimonio (art. 84 c.c.). Il minore, sposandosi, acquista l’emancipazione, ossia la capacità di compiere da solo gli atti di ordinaria amministrazione. Per gli altri occorre l’assistenza del Curatore (che NON si sostituisce al minore, ma lo assiste) ed eventualmente l’autorizzazione del Giudice Tutelare e del tribunale (art. 394 c.c.). Tutela degli interdetti e curatela degli inabilitati Per INTERDIZIONE si intende l’abituale infermità di mente che rende incapace di provvedere ai propri interessi e quindi privo di della generale capacità giuridica. L’interdetto si trova, quindi, in uno stato di incapacità assoluta; egli è assoggettato ad una tutela, alla quale si applicano le disposizioni sulla tutela dei minori (art. 424 c.c.). Per INABILITAZIONE si intende l’infermità mentale non grave, che limita solo la capacità di compiere atti di straordinaria amministrazione. Per gli altri gli occorre l’assistenza del curatore ed eventualmente l’autorizzazione del giudice tutelare e del tribunale. L’interdizione o l’inabilitazione può essere revocata con sentenza qualora ne venga meno la causa (art. 429 c.c.). Amministrazione di sostegno L’amministrazione di sostegno è disposta dal giudice tutelare su ricorso dello stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, del coniuge, della persona stabilmente convivente, o di altri soggetti indicati dalla legge (artt. 404, 406, 417 c.c.). L’Amministratore di Sostegno agisce solo per determinati atti o categorie di atti, precisati nel provvedimento della sua nomina e può essere disposto anche solo per un tempo determinato. Il decreto di nomina contiene anche le indicazioni sull’oggetto dell’incarico, degli atti che egli ha il poter di compiere in nome e per conto del suo beneficiario e quelli che, invece, il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore. Nello svolgimento del suo compito l’amministratore deve tener conto dell’interesse, dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario e deve sempre informarlo degli atti da compiere: in caso di contrasti con il beneficiario deve avvertire il giudice tutelare. Gli atti compiuti in violazione di disposizioni di legge sono ANNULLABILI. Quando vengano meno i presupposti dell’amministrazione di sostegno, questa è revocata dal giudice tutelare su istanza dello stesso beneficiario, dell’amministratore di sostegno, o degli altri soggetti previsti dalla legge (art. 413 c.c.). Sede della persona: domicilio e residenza Il luogo in cui una persona vive e opera costituisce il punto di riferimento per lo svolgimento di numerosi rapporti giuridici. La legge distingue: la dimora, luogo in cui la persona si trova attualmente, anche per breve tempo; la residenza, luogo in cui la persona ha la dimora abituale; il domicilio, luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi (art. 43 c.c.). Scomparsa, assenza, morte presunta Quando una persona non è più comparsa nel luogo del suo ultimo domicilio o dell’ultima residenza e non se ne hanno più notizie, il Tribunale, su istanza degli interessati o dei presunti successori legittimi o del pubblico ministero può nominare un curatore e dare gli altri provvedimenti necessari per la conservazione del patrimonio dello scomparso (art. 48 c.c.). Trascorsi due anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia, il Tribunale può dichiarare l’ assenza e immettere nel possesso temporaneo dei beni dell’assente coloro che ne sarebbero eredi se egli fosse morto (artt. 49, 50 c.c.). Costoro dovranno conservare il patrimonio per restituirlo all’assente nel caso in cui ritorni. Trascorsi dieci anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia dell’assente, il Tribunale può dichiarare la morte presunta, fissandone la data nel giorno a cui risale l’ultima notizia (art. 58 c.c.). i presunti eredi e legatari acquistano allora la libera disponibilità dei beni (art. 63, 64 c.c.) e il coniuge può contrarre nuovo matrimonio (art. 65 c.c.). Se il presunto morto ritorna, o ne è provata l’esistenza, recupera i beni nello stato in cui si trovano (art. 66 c.c.). Il nuovo matrimonio del coniuge, celebrato dopo la dichiarazione di morte presunta, è nullo; ma i suoi effetti civili si producono fino al momento della dichiarazione giudiziale di nullità (art. 68 c.c.). Capitolo 7 - LE PERSONE GIURIDICHE Cenni introduttivi Si presentano quali possibili soggetti di rapporti giuridici, lo Stato stesso e gli altri enti pubblici territoriali (Regioni, Province, Comuni), svariati enti istituiti o regolati dalla legge in modo particolare per la realizzazione di scopi di interesse pubblico e poi consorzi, società, associazioni e fondazioni. Questi enti possono essere considerati come soggetti della vita giuridica in modo analogo agli uomini e vengono designati come persone giuridiche. Talvolta si tratta di realizzare interessi di carattere generale, quindi è necessario che un Ente si faccia portatore istituzionale di tali interessi; altre volte può trattarsi di uno scopo per il quale non bastano le forze di un singolo, ma occorrono le attività ed i mezzi materiali coordinati di più persone. Vi è uno scopo ulteriore che spinge alla costituzione di una persona giuridica: spesso si è disposti ad arrischiare in essa alcuni determinati beni o somme di denaro, e niente di più. Questo risultato si può raggiungere conferendo denaro e beni ad una persona giuridica, la quale svolgerà l’attività come un soggetto separato, senza implicare la personale e illimitata responsabilità di chi opera per mezzo di essa ( limitazione di responsabilità). L’autonomia patrimoniale Perché si possa parlare di una persona giuridica occorre essere in presenza di un patrimonio (inteso come un insieme di rapporti giuridici attivi e passivi) che sia staccato dal patrimonio di qualsiasi persona fisica e sia sottoposto a vicende autonome, dirette a realizzare un determinato scopo. L’autonomia del patrimonio della persona giuridica significa che, finché questa dura, esso è stabilmente destinato allo scopo dell’ente, subisce le conseguenze delle operazioni deliberate e attuate dagli organi di questo, mentre è insensibile alle vicende che riguardano i soggetti in qualche modo interessati all’esistenza e all’attività dell’ente stesso. La comunione non ha alcuna autonomia patrimoniale, perché diritti e debiti comuni non costituiscono un patrimonio unificato e distinto da quello dei partecipanti. Una separazione patrimoniale netta e completa la troviamo, invece, nella società per azioni: i soci non rispondono dei debiti della società e, soprattutto, il patrimonio sociale non è assoggettato in alcun modo alle pretese dei creditori particolari dei singoli soci. In questo caso l’ente ha un’ autonomia patrimoniale perfetta. In posizione intermedia tra questi stremi si collocano vari tipi di organizzazioni giuridiche collettive che appaiono dotate di un’autonomia patrimoniale imperfetta, perché il loro patrimonio non è del tutto insensibile alle vicende patrimoniali dei partecipanti ed è soggetto a disgregarsi parzialmente anzitempo a causa delle pretese dei creditori di questi. Autonomia patrimoniale vuol dire, dunque, insensibilità del patrimonio dell’ente ai debiti personali del singolo partecipante o, quanto meno, esistenza di qualche schermo giuridico che difenda, in maggior o minor misura, il patrimonio dell’organizzazione dai contraccolpi dei debiti dei singoli partecipanti, assicurando in ogni caso la destinazione preferenziale dell’attivo dell’ente alla soddisfazione dei creditori dell’ente stesso. La separazione del patrimonio dell’ente da quelli dei partecipanti implica che esso operi nel mondo del diritto come un soggetto giuridico distinto. Quanto più netta è la separazione, tanto più rigorosa diventa la disciplina di legge intesa ad assicurare la tutela dei creditori sociali, degli interessati e del pubblico in generale, accentuando obblighi di pubblicità delle vicende più importanti dell’ente, disponendo controlli pubblici, particolari formalità e cautele per lo scioglimento e per le altre operazioni che possano pregiudicare i creditori sociali, tipicità delle strutture organizzative. Gli organi Presenza di una o più persone alle quali il patrimonio è affidato. Queste costituiscono l’ organo amministrativo dell’ente. Vi sono organizzazioni, le quali hanno lo scopo di realizzare interessi generali o di persone esterne alla loro struttura organizzativa (istituzioni). In esse la direttiva di massima per operare degli amministratori è costituita dallo scopo dell’ente, qual è definito nell’atto costitutivo. Invece, le organizzazioni a carattere associativo ( corporazioni) si propongono di realizzare interessi di cui sono portatrici persone operanti all’interno della loro struttura organizzativa. In esse i partecipanti ( soci o associati) deliberano riuniti in assemblea generale. In alcune persone giuridiche sono presenti anche organi di controllo. E’ possibile, infine, la presenza di organi ulteriori, con il compito di rappresentare e difendere particolari interessi. Gli atti giuridici compiuti dagli organi dell’ente, entro i limiti dei loro poteri, vengono imputati a quest’ultimo. All’ente vengono, inoltre, imputati gli atti illeciti compiuti dai titolari degli organi nell’esercizio delle loro incombenze. Classificazione delle persone giuridiche private Le istituzioni sono vincolate a uno scopo che è prestabilito nell’atto costitutivo ed è relativamente immutabile. Esse possono proporsi di realizzare un fine di carattere generale (ad esempio un’istituzione per la ricerca scientifica), oppure interessi di una particolare categoria di persone (ad esempio una casa di riposo per musicisti anziani): anche in quest’ultimo caso ai beneficiari non spetta di dominare l’ente. Fra le istituzioni hanno importanza prevalente le fondazioni: queste vengono istituite da uno o più fondatori, i quali conferiscono il patrimonio iniziale e fissano nell’atto costitutivo lo scopo dell’ente e le norme sull’amministrazione. Possono anche venire costituite ad opera di un comitato promotore, il quale raccolga presso terzi i fondi necessari. Le corporazioni sono gruppi di persone che gestiscono sovranamente la propria organizzazione e dispongono liberamente del patrimonio comune. L’interesse è liberamente e sovranamente interpretato dai membri del gruppo, i quali potrebbero anche sciogliere l’ente o modificarne lo scopo. Gli enti a struttura corporativa prendono il nome di associazioni, se il loro scopo diretto non è l’esercizio di un’attività produttiva. Se lo scopo è lucrativo o mutualistico prendono il nome di società. Se lo scopo è il comune soddisfacimento in comune di un bisogno economico dei partecipanti, attraverso il compimento di un’opera, la prestazione di un servizio, oppure il coordinamento e la disciplina delle attività economiche dei partecipanti, prendono il nome di consorzi. Capitolo 8 - LE ASSOCIAZIONI La libertà di associazione e la tutela dell’individuo nell’associazione L’associazione è un’organizzazione collettiva privata, formata da una pluralità di persone che perseguono uno scopo comune di natura ideale o, comunque, diverso dall’esercizio di un’attività economica. Essa nasce per effetto di un accordo fra le persone che decidono di associarsi (atto costitutivo) e stabiliscono le regole di funzionamento dell’associazione (statuto). In Italia la libertà di associazione è garantita dall’art. 18 Cost.. Il riconoscimento e l’autonomia patrimoniale Le associazioni possono venire riconosciute con provvedimento dell’autorità amministrativa. Il riconoscimento non è un presupposto per l’efficacia giuridica dei patti associativi; esso si limita a conferire la personalità giuridica:ciò significa la più netta separazione dell’ente delle persone degli associati e dei gestori e implica che dei debiti dell’associazione risponde solo questa con il suo patrimonio. In mancanza del riconoscimento, invece, alla responsabilità dell’associazione si accompagna la responsabilità personale di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione stessa [ma anche la responsabilità di qualsiasi associato (art. 38 c.c.)]. Il riconoscimento ha, dunque, efficacia costitutiva della personalità giuridica. Il riconoscimento potrà venire negato quando il patrimonio appaia insufficiente a garantire le ragioni dei creditori futuri. Gli atti più importanti nella vita delle persone giuridiche sono soggetti a pubblicità nel registro delle persone giuridiche, che può essere consultato da chiunque. La soggettività giuridica e il patrimonio delle associazioni I contributi degli associati e i beni altrimenti acquistati costituiscono il fondo dell’associazione. Questo fondo è proprietà dell’associazione e non proprietà comune degli associati, i quali non hanno alcun diritto su di esso e, quando recedono dall’associazione, o ne sono esclusi, non hanno diritto alla liquidazione di una quota (artt. 24, 37 c.c.). Il patrimonio sociale è, dunque, ben distinto rispetto a quello dei singoli associati, tanto nell’associazione riconosciuta, quanto in quella non riconosciuta. Atto costitutivo e statuto Le associazioni si costituiscono con un accordo tra un gruppo di persone, che saranno i primi associati. Per costituire un’associazione non riconosciuta non sono necessarie formalità particolari. É sufficiente l’accordo, comunque manifestato, sugli elementi essenziali per l’esistenza dell’associazione. Se l’associazione aspira ad ottenere il riconoscimento, l’atto costitutivo dovrà essere redatto in forma pubblica (artt. 14, 2699 c.c.) e dovrà indicare anche la denominazione, il patrimonio e la sede. Gli organi dell’associazione L’assemblea degli associati delibera in base al principio maggioritario. Le deliberazioni dell’assemblea possono essere impugnate dinanzi all’autorità giudiziaria. Il controllo giudiziario è necessario a tutela dei singoli associati, dell’ente stesso e di interessi generali. Esso, però, non deve ledere l’autonomia dell’associazione, e perciò non può portarsi sull’opportunità delle scelte operate dall’assemblea, ma solo sulla loro conformità alla legge, all’atto costitutivo e allo statuto. (art. 23 c.c.); si dice che il controllo è di legalità, non di merito. L’assemblea degli associati nomina gi amministratori. Federazioni di associazioni e associazioni parallele Le grandi associazioni presentano problemi organizzativi che vanno risolti attraverso il decentramento. Una soluzione è quella di costituire numerose associazioni minori, di carattere settoriale o locale, e riunirle in una federazione: quest’ultima non è altro che un’associazione, i cui membri sono altre associazioni anziché persone fisiche. Altra struttura possibile è quella delle associazioni parallele: gli iscritti partecipano tanto alle sezioni locali o settoriali, quanto all’associazione di vertice, con due rapporti paralleli e inscindibili. Ammissione e recesso degli associati Le associazioni, nella loro struttura tipica, sono aperte all’adesione di nuovi membri. Gli statuti determina i requisiti necessari per l’ammissione. Il rifiuto dell’ammissione non può venire sindacato dall’autorità giudiziaria, perché ciò contrasterebbe con la libertà di associazione. L’associato può sempre recedere dall’associazione,se non ha assunto l’obbligo di farne parte per un tempo determinato (art. 24 c.c.). L’impegno di partecipare all’associazione per tutta la vita è nullo, per la tutela della libertà del singolo. Anche quando l’impegno di restare nell’associazione sia valido, sarà sempre possibile recedere anticipatamente e con effetto immediato per giusta causa. Esclusione degli associati L’esclusione di un associato non può essere deliberata dall’assemblea che per gravi motivi; la deliberazione di esclusione deve essere motivata. Essa potrà venire impugnata di fronte all’autorità giudiziaria non solo per violazione di regole legali o statuarie sul procedimento (art. 23 c.c.), ma anche per gravi motivi (art. 24 c.c.). L’autorità giudiziaria, però, non può sostituire i propri criteri a quelli dell’associazione. L’associato receduto, o escluso, o che comunque abbia cessato di appartenere all’associazione, non può pretendere che gli venga liquidata una quota del patrimonio sociale (artt. 24, 37 c.c.). L’estinzione dell’associazione L’associazione si estingue quando lo scopo è stato raggiunto o è diventato impossibile, o quando siano venuti a mancare tutti gli associati (art. 27 c.c.). L’associazione si estingue, inoltre, per deliberazione dell’assemblea, approvata con il voto di almeno tre quarti degli associati (art. 21 c.c.). L’associazione non viene meno immediatamente, ma entra in liquidazione. In questa fase non si possono compiere nuove operazioni (art. 29 c.c.): si devono solo definire i rapporti giuridici pendenti, pagando i creditori dell’associazione. I beni che restano sono devoluti secondo le disposizioni dell’atto costitutivo o dello statuto o secondo le deliberazioni dell’assemblea che ha stabilito lo scioglimento. In mancanza, provvede l’autorità governativa attribuendo i beni ad altri enti che abbiano fini analoghi (artt. 30, 31, 32 c.c.). Esaurita la liquidazione, l’associazione si estingue. Capitolo 9 - FONDAZIONI E COMITATI Costituzione, riconoscimento La fondazione è un’istituzione creata da un fondatore (o da più fondatori) per attuare la destinazione di un patrimonio a un determinato scopo. Si distingue dall’associazione, perché quest’ultima consiste in un gruppo di persone, le quali, deliberando in assemblea, possono determinare, interpretare e modificare liberamente gli scopi dell’associazione, orientarne l’attività attraverso la scelta e il controllo degli amministratori, e anche deciderne lo scioglimento. La fondazione, invece, persegue finalità esterne, che sono predeterminate dal fondatore con l’atto costitutivo, si impongono agli organi della fondazione e sono relativamente immutabili. La fondazione ha solo organi serventi; non ha un organo dominante, come è l’assemblea degli associati in un’associazione. La fondazione è costituita con atto pubblico o con testamento (art. 14 c.c.). L’atto costitutivo deve contenere la denominazione dell’ente, l’indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede e le norme sull’ordinamento e sull’amministrazione. Deve inoltre determinare i criteri e le modalità di erogazione delle rendite (art. 16 c.c.). Anche la fondazione acquista la personalità giuridica con il riconoscimento amministrativo. Se l’attività è iniziata prima del riconoscimento e ne derivano delle obbligazioni, di queste risponderanno personalmente coloro che le hanno assunte. La costituzione e gli altri fatti più importanti della vita delle fondazioni sono soggetti a pubblicità nel registro delle persone giuridiche. Organi. Controlli pubblici Gli amministratori sono nominati secondo le modalità prescritte dall’atto costitutivo, ma se ciò non avviene sarà l’Autorità Amministrativa a designarli in base all’art. 25 comma 1 del c.c.. Inoltre, l’Autorità Amministrativa:  Controllerà l’attività di tali amministratori per assicurare che il patrimonio venga effettivamente utilizzato per lo scopo stabilito e non per interessi interni alla fondazione;  Annullerà tutte quelle deliberazioni non previste nell’atto costitutivo o contrarie all’ordine pubblico ed al buon costume;  Può sciogliere l’Amministrazione nominando un Commissario Straordinario qualora gli amministratori non agiscano secondo lo statuto o lo scopo scelto (art. 25 c.c.). Diritti dei beneficiari Sovente gli statuti delle fondazioni prevedono l’erogazione di somme o l’esecuzione di altre prestazioni a terzi. Ci si domanda, allora, se questi abbiano un corrispondente diritto soggettivo: se possano, cioè, agire per ottenere la prestazione, nel caso che la fondazione non la esegua. La risposta è affermativa, nel caso che il terzo sia determinato dall’applicazione meccanica di criteri previsti nell’atto costitutivo della fondazione, senza necessità di ulteriori valutazioni discrezionali. Trasformazione ed estinzione delle fondazioni La struttura e lo scopo della fondazione sono quelli determinati inizialmente nell’atto costitutivo. La loro immutabilità non può, però, essere assoluta. Perciò, se lo scopo si esaurisce, o diventa impossibile o di scarsa utilità, o se il patrimonio diventa insufficiente, l’autorità governativa può trasformare la fondazione, allontanandosi il meno possibile dal suo carattere originario (art. 28 c.c.). Nel caso che il patrimonio sia divenuto insufficiente il provvedimento più razionale è spesso quello della fusione con altre fondazioni che abbiano uno scopo analogo. La trasformazione non è però ammessa quando i fatti che vi darebbero luogo sono considerati nell’atto di fondazione come causa di estinzione dell’ente e di devoluzione dei beni a terze persone (art. 28 c.c.). La fondazione si estingue per le cause previste nell’atto costitutivo e nello statuto; si estingue inoltre quando lo scopo è stato raggiunto o è diventato impossibile (art. 27 c.c.), se l’autorità governativa non provvede alla trasformazione. I comitati I comitati sono gruppi di persone che raccolgono presso terzi fondi destinati ad uno scopo annunciato. Lo scopo annunciato costituisce un vincolo di destinazione che grava sui fondi raccolti, e che i componenti del comitato non possono successivamente modificare. Appartengono al genere delle fondazioni. In assenza del riconoscimento manca il beneficio della limitazione di responsabilità: delle obbligazioni assunte risponde non solo il fondo raccolto, ma rispondono anche, personalmente e solidalmente, i componenti del comitato. I fondi comuni, però, non appartengono più a coloro che li hanno offerti e neppure appartengono ai componenti del comitato. La responsabilità personale per le obbligazioni assunte dal comitato grava sui componenti del comitato, e non anche sui sottoscrittori, i quali sono tenuti soltanto ad effettuare le oblazioni promesse (art. 41 c.c.). Coloro che si assumono la gestione dei fondi raccolti sono responsabili personalmente e solidalmente della conservazione dei fondi e della loro destinazione allo scopo annunciato (art. 40 c.c.). Qualora i fondi raccolti siano insufficienti allo scopo, o questo non sia più attuabile, o raggiunto lo scopo, si abbia un residuo di fondi, l’autorità governativa stabilisce la devoluzione dei beni, se questa non è stata disciplinata al momento della costituzione (art. 42 c.c.). SEZIONE TERZA NOZIONI PRELIMINARI SUI BENI E SUI DIRITTI PATRIMONIALI Capitolo 10 - I BENI L’oggetto dei diritti patrimoniali Il diritto soggettivo attribuisce e garantisce al suo titolare determinate utilità. Queste derivano, talvolta, dall’utilizzazione di una cosa o di un’energia naturale che abbia valore economico. Altre volte derivano da un comportamento altrui (la prestazione). Distinzione fra diritti reali e diritti di credito. Accanto ai diritti reali e ai diritti di credito vi è un’altra grande categoria di diritti patrimoniali: i diritti sulle opere dell’ingegno. Oggetto di questi diritti è l’opera letteraria, scientifica, artistica, l’invenzione industriale, il modello di utilità o il modello ornamentale. L’opera dell’ingegno si può dunque concepire come un bene immateriale. Beni materiali. Definizione e classificazione delle cose Sono beni materiali le cose e le energie suscettibili di appropriazione e che possono perciò formare oggetto di diritti (artt. 810, 814 c.c.). 1) Cose mobili e immobili Sono beni immobili i terreni (comprese le sorgenti e i corsi d’acqua) e tutto ciò che sia materialmente incorporato al suolo: principalmente gli edifici e gli alberi; si aggiungono i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti, quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione. Sono mobili tutti gli altri beni (art. 812 c.c.). La staticità degli immobili e la maggiore facilità di individuazione rende più facile annotare i trasferimenti e le altre vicende giuridiche in pubblici registri, affinché chiunque ne possa prendere conoscenza (pubblicità immobiliare). I trasferimenti mobiliari possono manifestarsi ai terzi, nella maggior parte dei casi, solo attraverso gli spostamenti del possesso, cioè del potere di fatto esercitato sulla cosa: questo viene a svolgere così una funzione di pubblicità. La circolazione delle cose mobili è più semplice: queste possono venire trasferite senza il rispetto di forme particolari, mentre per trasferire beni immobili si richiede un atto scritto (art. 1350 c.c.). 2) Cose fungibili e infungibili Cose fungibili sono quelle che possono sostituirsi indifferentemente le une alle altre, perché uguali quantità di cose dello stesso genere sono del tutto equivalenti ai fini dell’utilizzazione. Infungibili sono invece le cose prodotte in esemplari unici, gli originali delle opere d’arte non multiple, e tutte le cose usate. Sono infungibili, di regola, gli immobili. Cos eminentemente fungibili sono i biglietti di banca e le monete. Il venditore di cose fungibili non è tenuto a consegnare esemplari determinati, ma si libera trasferendo esemplari qualsiasi appartenenti al genere richiesto, purché siano di qualità non inferiore alla media (art. 1178 c.c.). Se viene illecitamente distrutta una cosa il risarcimento in forma specifica è possibile se si tratta di una cosa fungibile: se si tratta invece di una cosa infungibile, il danno potrà venire risarcito solo pagandone l’equivalente in danaro. Solo le cose fungibili possono essere oggetto del contratto di mutuo (art. 1813 c.c.). 3) Cose consumabili e non consumabili Sono consumabili le cose insuscettibili di uso continuativo o ripetuto, perché vengono consumate dal primo atto di utilizzazione. In consumabili sono le cose suscettibili di utilizzazione ripetuta, anche se questa finisca, prima o poi, per deteriorarle. Le cose in consumabili possono venire attribuite in uso temporaneo a una persona con l’obbligo di restituirle dopo un certo tempo. Ciò non è normale, invece, con le cose consumabili, le quali non potrebbero venire restituite dopo l’uso, dato che questo le distruggerebbe; ma se esse sono anche fungibili, è possibile consumarle e restituire successivamente un’uguale quantità di cose dello stesso genere, come accade nel mutuo (art. 1813 c.c.). 4) Pertinenze Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa, senza esserne parte costitutiva. La destinazione può essere operata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima (art. 817 c.c.). Gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto. D’altra parte, la pertinenza può formare oggetto di un atto di disposizione separato e perdere così tale sua qualità (art. 818 c.c.). 5) Universalità di mobili Universalità di mobili è una pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria. Gli atti e i rapporti giuridici possono avere ad oggetto la universalità o le singole cose che la compongono. 6) Frutti I frutti si distinguono in due categorie: frutti naturali e frutti civili. Sono frutti naturali quelli che provangono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l’opera dell’uomo, come i prodotti agricoli, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere (art. 820 c.c.). Essi appartengono al proprietario della cosa che li produce. Sono frutti civili quelli che si ritraggono da una cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia (art. 820 c.c.) Capitolo 11 - DIRITTI REALI E DIRITTI DI CREDITO Nozione di diritto reale Il diritto reale è il diritto di trarre da una cosa le sue utilità economiche legalmente garantite o alcune di esse. Correlativo al diritto reale è il dovere di chiunque di astenersi dall’impedirne o turbarne l’esercizio. Classificazione dei diritti reali Fra i diritti reali ha una posizione preminente la proprietà. Essa consente di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico (art. 832 c.c.). Gli altri diritti reali incidono su cose altrui e hanno un contenuto più limitato. Si dividono in due gruppi. A un primo gruppo appartengono i diritti di trarre determinate utilità dall’uso della cosa altrui ( diritti reali di godimento). A un secondo gruppo appartengono i diritti reali che attribuiscono un potere di disposizione preferenziale del valore pecuniario della cosa, qualora il diritto di credito, che con essa si è voluto garantire, non venga soddisfatto dal debitore (diritti reali di garanzia). I diritti reali di godimento sono:  L’usufrutto: consente di usare la cosa altrui e trarne i frutti, rispettandone però la destinazione economica (art. 981 c.c.);  L’uso: simile all’usufrutto, ma con un contenuto più limitato: chi ha il diritto d’uso di una cosa può utilizzarla direttamente; se è fruttifera può raccoglierne i frutti, ma solo nella misura che occorre ai bisogni suoi e della sua famiglia (art. 1021 c.c.);  L’abitazione : consente di abitare una casa limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia (art. 1022 c.c.);  La superficie: consente di utilizzare il suolo altrui per una costruzione (artt. 952, 955 c.c.);  La servitù : peso imposto sopra un fondo (detto fondo servente) per l’utilità di un altro fondo (detto fondo dominante) appartenente a diverso proprietario (art 1027 c.c.);  L’enfiteusi: diritto di utilizzare un fondo e farne propri i frutti, in perpetuo o per lunga durata, con l’obbligo di migliorare il fondo stesso e di pagare al proprietario un canone periodico (artt. 958, 960 c.c.). I diritti reali di garanzia sono il pegno e l’ipoteca, che differiscono fra loro essenzialmente per l’oggetto su cui cadono: il pegno ha per oggetto cose mobili non iscritte in pubblici registri, l’ipoteca ha per oggetto le cose immobili e gli altri beni iscritti nei pubblici registri. Se il credito garantito non è soddisfatto alla scadenza, il creditore può promuovere l’esecuzione forzata sul bene oggetto del pegno o dell’ipoteca, per soddisfarsi su di esso con preferenza rispetto agli altri creditori. Il proprietario della cosa gravata da un diritto reale altrui la può trasferire a un terzo, il quale l’acquista ugualmente gravata; si manifesta qui il carattere reale del diritto, il quale inerisce alla cosa e la segue nei trasferimenti. Nozione di obbligazione: la prestazione dovuta L’oggetto immediato è il comportamento del debitore. Il diritto di credito (detto anche personale) attribuisce al creditore la pretesa di esigere una prestazione da una o più persone determinate. Il rapporto fra creditore e debitore è detto obbligazione (o rapporto obbligatorio). La prestazione dovuta può essere positiva o negativa: può cioè consistere in un’azione o in un’astensione. Occorre però che si tratti di una prestazione suscettibile di valutazione economica, di una prestazione di carattere patrimoniale (art. 1174 c.c.). ciò che la norma richiede è che si tratti di prestazioni che possano essere oggetto di scambio economico senza offendere i principi della morale e del costume sociale. Se la prestazione primariamente dovuta non viene adempiuta esattamente, sorgono obblighi di restituzione, riparazione o risarcimento del danno, che si affiancano all’obbligo primario, oppure lo sostituiscono. In ogni caso poi, accanto alla prestazione principale, che costituisce l’oggetto centrale dell’ obbligazione, se ne collocano altre con funzione complementare. L’art. 1175 c.c. impone al debitore e al creditore di comportarsi secondo le regole della correttezza. Il debitore è tenuto anche a quelle prestazioni strumentali o accessorie che appaiono dovute, secondo un criterio di correttezza appunto, al fine di realizzare pienamente l’interesse del creditore alla prestazione. Obblighi di correttezza sono imposti anche al creditore, il quale pure è tenuto a quel minimo di cooperazione che è usuale fra persone corrette per facilitare al debitore l’adempimento o, quanto meno, per evitare inutili aggravi. Causa della prestazione, azione, responsabilità patrimoniale Se il debitore non adempie, il creditore può rivolgersi all’autorità giudiziaria perché gli procuri coattivamente ciò che gli spetta. Questo potere di provocare un provvedimento giudiziario a difesa del proprio diritto si chiama azione. L’obbligazione manifesta una rilevanza giuridica, perché costituisce la causa che giustifica la prestazione: se l’obbligazione non esistesse e la prestazione venisse eseguita ugualmente, questa sarebbe ingiustificata e chi l’avesse ricevuta dovrebbe restituirla, o restituirne il valore (art. 2033 ss. c.c.). L’obbligazione è giusta causa della prestazione e dà azione al creditore per conseguire ciò che gli è dovuto. Vi sono anche delle obbligazioni imperfette, perché presentano solo il primo di questi due aspetti. Mediante l’esercizio dell’azione il creditore tende ad ottenere la soddisfazione del proprio diritto per via giudiziaria. Nell’ipotesi di inadempimento di una prestazione di fare, il creditore può agire contro il debitore per il risarcimento dei danni e potrà ottenere così somme che spesso gli consentiranno di procurarsi sul mercato prestazioni equivalenti a quella mancata. Un discorso analogo vale per l’ipotesi di inadempimento degli obblighi di non fare: ciò che è fatto in violazione dell’obbligo sarà distrutto a spese del debitore (art. 2933 c.c.) e al creditore sarà comunque dovuto il risarcimento di danni. Il diritto di credito, dunque, implica l’assoggettamento del patrimonio del debitore, nella consistenza che esso ha al momento della esecuzione forzata. L creditore può soddisfarsi anche su beni conseguiti dal debitore successivamente alla nascita del debito. I beni, però, che nel frattempo siano usciti dal patrimonio del debitore non saranno più raggiungibili: di qui un rischio per il creditore. Il secondo rischio del creditore è quello di non trovare di che soddisfarsi, perché altri creditori lo hanno preceduto con azioni esecutive individuali, o di subire il concorso di altri crediti per un ammontare complessivo superiore al patrimonio del debitore, così da conseguire solo una soddisfazione proporzionalmente ridotta. Le fonti delle obbligazioni L’art. 1173 c.c. indica, come fonti delle obbligazioni, il contratto, il fatto illecito e ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico. La formula generica che chiude l’articolo comprende fonti più disparate. Vanno menzionate le promesse unilaterali, la gestione di affari, la ripetizione dell’indebito e l’arricchimento senza causa. Le obbligazioni reali Talvolta un’obbligazione è a carico di un soggetto se ed in quanto egli sia proprietario di una determinata cosa, o titolare di un diritto reale su di essa; l’obbligazione è intrinsecamente collegata con il diritto reale. Le obbligazioni reali sono inerenti a un diritto reale sia nel senso che l’obbligato può liberarsi rinunciando al diritto stesso in favore dell’altra parte. Confronto tra diritti reali e diritti di credito La differenza tra diritti reali e diritti di credito risulta immediatamente dal confronto fra le definizioni sopra enunciate. Oggetto del diritto reale sono tutte o alcune delle utilità di una cosa determinata; oggetto del diritto di credito è una prestazione del debitore. Il titolare di un diritto reale lo esercita direttamente sulla cosa, ed è solo necessario che la generalità dei terzi si astenga dal frapporgli ostacoli. Viceversa, l’obbligazione è uno strumento di cooperazione: il diritto del creditore è soddisfatto mediante l’adempimento del debitore, tenuto nei suoi confronti a pagargli una somma, a svolgere un lavoro, ad eseguire un trasporto, a costruire un’opera… La prestazione del debitore può consistere anche nell’astenersi dal compiere un atto o dallo svolgere un’attività. Nel diritto reale il dovere di astensione riguarda chiunque ed è strumentale affinché il titolare possa, senza impedimenti, trarre dalla cosa le utilità che gli sono riservate. Nell’obbligazione negativa, invece, l’astensione è dovuta solo da uno o più debitori determinati e costituisce l’oggetto centrale del diritto. Il diritto reale è in relazione immediata con la cosa, aderisce ad essa e la segue presso chiunque essa si trovi in senso fisico o giuridico (si dice che i diritti reali sono opponibili ai terzi); il diritto di credito, invece, segue la persona del debitore. Il diritto reale è tutelato contro le lesioni provenienti da qualunque terzo ( assolutezza della tutela); invece la tutela del diritto di credito è data, di regola, solo contro il debitore ( relatività della tutela). Diritti personali di godimento di cose Vi sono diritti di credito nei quali la prestazione dovuta dal debitore consiste nel concedere l’uso di una cosa. Poiché questi diritti personali di godimento attribuiscono al creditore la facoltà di utilizzare direttamente la cosa che ne è oggetto, essi appaiono simili, per questo aspetto, ai diritti reali di godimento. Il diritto personale di godimento implica pur sempre un obbligo di cooperazione, anche attiva, del debitore. Questi deve infatti consegnare la cosa al creditore, e anche successivamente è tenuto a garantirlo contro le molestie di terzi che pretendano di avere diritti sulla cosa. Obblighi di questo genere non caratterizzano, invece, i diritti reali. Tipicità dei diritti reali Ai privati è consentito di costituire diritti di credito che abbiano per oggetto le prestazioni più varie, anche non espressamente previste dalla legge, alla sola condizione che siano lecite e suscettibili di valutazione economica. I diritti reali, invece, sono in numero chiuso: si possono costituire, cioè, solo diritti reali espressamente previsti dalla legge, e non altri. Inoltre non è consentito modificarne il regime legale, se non entro limiti assai ristretti, nei casi in cui ciò sia eccezionalmente ammesso dalla legge. Il patrimonio Il patrimonio è un insieme di rapporti giuridici attivi e passivi, aventi contenuto economico, unificati dalla legge vuoi in considerazione della loro appartenenza al medesimo soggetto, vuoi in considerazione di una loro destinazione unitaria. Si ha un patrimonio generale della persona, la cui unitarietà si manifesta nella regola che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni (art. 2740 c.c.). Si ha poi un patrimonio di destinazione quando una parte dei rapporti facenti capo a una persona, oppure una pluralità di rapporti facenti capo a più persone, sono costituiti in una distinta unità giuridica in vista di una loro funzione specifica. Se il patrimonio di destinazione fa capo a una pluralità di persone è detto patrimonio autonomo. Se il patrimonio di destinazione fa capo a una sola persona, distinguendosi dal patrimoni generale di questa, viene detto patrimonio separato. Caratteristica costante del patrimonio autonomo e del patrimonio separato è la destinazione preferenziale dell’attivo alla soddisfazione delle passività comprese nel patrimonio stesso. Svolge così una funzione di garanzia e responsabilità. Capitolo 12 - ACQUISTO E TUTELA DI DIRITTI PATRIMONIALI Acquisti a titolo originario e a titolo derivativo I diritti patrimoniali si possono acquistare a titolo originario, oppure a titolo derivativo. Il diritto si acquista a titolo originario quando non è trasmesso da un’altra persona che ne fosse titolare. L’acquisto è invece a titolo derivativo quando l’acquirente succede a u precedente titolare e il diritto gli spetta come e in quanto spettava a colui che l’aveva acquistato. Questo fenomeno si chiama successione. Il soggetto che esce dal rapporto si chiama autore, o dante causa; il soggetto che gli subentra, successore, o avente causa. Il diritto soggettivo resta immutato nel suo contenuto, mentre ne cambia il titolare. Talvolta l’acquisto derivativo ha per oggetto un diritto nuovo, che però deriva da un diritto del dante causa, perché lo suppone e ne assorbe una parte del contenuto o comunque lo limita (successione costitutiva). Perché possa verificarsi un acquisto a titolo derivativo occorre un valido titolo d’acquisto, cioè un atto o fatto giuridico che giustifichi l’acquisto da una determinata persona ed occorre altresì che il dante causa sia titolare del diritto che deve venire trasmesso. Ciò corrisponde al modo regolare di circolazione dei diritti. Tutela in forma specifica e tutela per equivalente Quando un diritto è leso, o messo in pericolo, o viene in conflitto con una pretesa altrui, l’ordinamento giuridico sovente tende ad assicurare in modo pieno l’esercizio delle facoltà e dei poteri che ne costituiscono l’oggetto. Per esempio: al proprietario è concessa l’azione di rivendicazione per conseguire la disponibilità della cosa che gli sia stata sottratta. In quest’ipotesi si dice che il diritto è tutelato in forma specifica. Non sempre, però, è concessa la tutela in forma specifica; qualche volta essa non è possibile, nei casi in cui non è possibile ristabilire la situazione che si sarebbe avuta in mancanza dell’atto illecito. In questi casi il titolare del diritto leso può solo pretendere il risarcimento del danno: il pagamento, cioè, di una somma di danaro di valore corrispondente alle utilità che gli sono state sottratte. Si dice allora che il diritto è tutelato per equivalente. SEZIONE QUARTA ATTI ILLECITI E RESPONSABILITÁ CIVILE Capitolo 13 - GLI ATTI ILLECITI Atti dannosi leciti e illeciti Non ogni atto dannoso è vietato. Nella vita associata accade assai spesso di recar danno ad altri lecitamente. Altre volte, invece, l’atto dannoso è vietato (atto illecito): esso può venire preventivamente impedito, se possibile; una volta commesso, dà luogo a responsabilità per i danni. Questa ha la funzione, da una parte, di risarcire il danneggiato; al tempo stesso costituisce una sanzione che colpisce chi si è comportato in modo vietato e la cui minaccia dovrebbe contribuire preventivamente a scoraggiare il compimento di atti illeciti. Atipicità degli atti illeciti In Italia si è formulato un principio assai generale, quello dell’art. 2043 c.c., il quale definisce l’atto illecito come qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto. Si è accolto un principio di atipicità degli atti illeciti. Spetta all’interprete il compito di specificare il concetto di ingiustizia del danno, in modo da determinare le figure concrete degli atti illeciti. La soluzione di questo problema dipende dalla valutazione comparativa di due interessi contrapposti: l’interesse minacciato da un certo tipo di condotta e l’interesse che l’agente con quella condotta realizza o tende a realizzare. Illeciti contro la persona Sono illeciti, innanzitutto, gli atti lesivi della vita, dell’integrità fisica, della salute e della libertà altrui. Una lesione della salute può essere causata non solo materialmente, ma anche con atti o parole che cagionino uno shock nervoso o turbamenti d’animo di particolare gravità. La libertà è tutelata contro la costrizione fisica, la minaccia l’inganno. Nel caso di uccisione di una persona un diritto al risarcimento viene attribuito ai familiari. Illeciti contro l’onore, la riservatezza e la verità personale Costituiscono diffamazione e sono illecite le comunicazioni di notizie, voci, apprezzamenti che offendono la reputazione altrui. La responsabilità civile, in applicazione dell’art. 2043 c.c., può derivare anche da atti colposi. La tutela dell’onore presenta, però, spesso un problema, quello di venire in conflitto con l’esigenza della libertà di parola, necessario presupposto del dibattito e della critica politica, letteraria, scientifica, della cronaca, della storiografia e dello steso esercizio di alcune funzioni pubbliche. Innanzitutto vi è un’assoluta immunità dei membri del Parlamento per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni (art. 68 Cost.). inoltre costituisce causa di giustificazione l’esercizio di funzioni giurisdizionali, e lo stesso è a dirsi per l’esercizio delle funzioni amministrative. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la verità del fatto stesso non costituisce, per sé sola, una causa di giustificazione: occorre che la divulgazione del fatto vero risponda a un interessamento apprezzabile. Perciò sono cause di giustificazione l’esercizio della cronaca e della critica su fatti di pubblico interesse e la comunicazione di notizie nello svolgimento di un rapporto professionale o di cooperazione purché i fatti enunciati siano veri e i giudizi critici siano proporzionati allo scopo che li giustifica. Diffondere sul conto di una persona notizie non vere, anche se non diffamatorie, costituisce lesione del suo diritto all’identità e verità personale. Ogni persona ha, infine, diritto alla riservatezza della vita privata, cioè ad una sfera di intimità sottratta alla curiosità degli estranei. L’inviolabilità del domicilio e la segretezza della corrispondenza e di qualsiasi altra forma di comunicazione sono principi enunciati dalla Costituzione (artt. 14, 15 Cost.), la cui violazione è colpita da sanzioni penali e civili. La legge civile vieta inoltre di esporre o pubblicare l’ immagine di una persona senza consenso di questa (art. 10 c.c.). La pubblicazione è però lecita quando sia giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione sia collegata ad avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico, purché non si rechi pregiudizio ingiustificato alla reputazione o anche al decoro della persona ritratta. Infine la legge detta una disciplina limitativa della raccolta e della diffusione dei dati personali. La giurisprudenza va oltre queste specifiche disposizioni e riconosce ora un diritto generale alla riservatezza: diritto che è violato se si divulgano, attraverso la stampa, il cinematografo, o altrimenti, fatti della vita privata di una persona, anche non disonorevoli, ma riservati. Lesioni di diritti reali Nel campo degli interessi patrimoniali la tutela più intensa spetta ai diritti reali. Sono illeciti, innanzitutto, gli atti che danneggiano materialmente la cosa o a distruggono. Il diritto reale altrui si può violare anche attraverso l’impossessamento o la disposizione della cosa, che sottragga all’avente diritto; in questo caso la piena responsabilità per il danno si ha solo nelle ipotesi di malafede e di colpa grave. Pregiudizio a posizioni contrattuali La lesione più ovvia del credito contrattuale proviene dal debitore, quando non esegua la prestazione dovuta, o adempia male o con ritardo. Ma una posizione contrattuale può venire pregiudicata anche da un terzo, quando in qualche modo cooperi con il debitore nell’inadempimento. Il terzo incorre in responsabilità quando, mosso dall’intento specifico di danneggiare il creditore, induca il debitore all’inadempimento mediante incentivi impropri o cooperi con lui attivamente in una manovra fraudolenta a danno del creditore. Concorrenza sleale e illeciti contro l’impresa Commette concorrenza sleale l’imprenditore il quale compia atti idonei a creare confusione della propria attività e dei propri prodotti con attività e prodotti del concorrente, oppure diffonda notizie ed apprezzamenti idonei a determinare il discredito dei prodotti e dell’attività del concorrente, oppure si appropri di pregi dei prodotti o dell’impresa del concorrente. L’art. 2598 c.c. dopo avere menzionato queste categorie di atti, conclude con un generale divieto degli atti dannosi non conformi ai principi della correttezza professionale. Falsa informazione La falsa informazione costituisce un illecito civile anche quando sia solo colposa; ma ove si tratti di un’informazione di cortesia la responsabilità è limitata ai casi di dolo o colpa grave. Illeciti connessi con l’amministrazione della giustizia La denuncia penale dell’innocente è colpita da sanzione solo se vi è malafede del denunciante. L’agire o il resistere in un giudizio civile avendo torto sono fonti di una piena responsabilità per i danni solo se risulta che la parte soccombente era in malafede o i colpa grave. Il provvedimento del giudice che abbia deciso ingiustamente può essere impugnato per ottenerne rapidamente il riesame. La legge limita la responsabilità del giudice alle ipotesi di dolo e ad ipotesi particolari e ben definite di colpa grave. Mentre la responsabilità per dolo è sottoposta alla disciplina ordinaria, nelle ipotesi di colpa grave il danneggiato non può agire contro il giudice, ma può chiedere il risarcimento del danno solo allo Stato, il quale, dopo aver pagato il risarcimento, eserciterà un’azione di rivalsa contro il magistrato, ma per una misura non superiore ad un certo limite. Responsabilità per omissione L’omissione diventa giuridicamente illecita quando costituisca violazione di uno specifico dovere giuridico di agire: questo può derivare dalla legge, da un contratto o da un precedente comportamento attivo. Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte Il padre e la madre sono responsabili congiuntamente del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati che abitino con essi (art. 2048 c.c.). Il figlio minore può non essere personalmente responsabile, se si tratta di un bambino (artt. 2046, 2047 c.c.); se invece si tratta di un giovane che abbia già la capacità naturale di intendere e di volere, allora egli è personalmente responsabile, in solido con i genitori. La responsabilità dei genitori è fondata sulla presunzione di una colpa nella sorveglianza: questa presunzione può venire eliminata con la prova di non aver potuto impedire il fatto. La stessa regola si applica al tutore. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del fatto illecito dei loro allievi o apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro sorveglianza a meno che provino di non aver potuto impedire il fatto (art. 2048 c.c.). Le cause di giustificazione Comportamenti che sono generalmente antigiuridici possono essere in alcuni casi, giustificati da particolari circostanze. L’art. 51 c.p. menziona fra le altre cause di giustificazione l’esercizio di un diritto. Esistono però anche alcune cause tipiche di giustificazione:  Consenso dell’avente diritto. Non è responsabile chi lede un diritto con il consenso della prona che può validamente disporne (art. 50 c.p.). i diritti personali alla vita, alla salute, all’integrità fisica (art. 5 c.c.), all’onore e i diritti fondamentali di libertà non sono disponibili.  Legittima difesa. Non è responsabile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa (art. 2044 c.c., art. 52 c.p.).  Agisce in stato di necessità chi compie un fatto dannoso costrettovi dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, se il pericolo non è stato da lui volontariamente causato, né era altrimenti evitabile. A differenza dell’ipotesi di legittima difesa, qui il danneggiato non è in torto: il pericolo non proveniva da lui, bensì da un fatto di natura, oppure dal fatto di un terzo. D’altra parte non si considera in torto neppure il danneggiante necessitato. Perciò la legge impone che il danno vada ripartito fra l’uno e l’altro in una misura che appaia equa secondo le circostanze (art. 2045 c.c.). lo stato di necessità si ha solo quando il danneggiante agisca per salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave alla persona: l’esigenza di salvare una cosa, o di evitare il pericolo di un danno non grave alla persona non giustifica il sacrificio di diritti altrui. Il dolo Il divieto di danneggiare altri ingiustamente si riferisce tanto agli atti diretti a cagionare danno (atti dolosi), quanto agli atti che non intendono cagionare danno ma determinano il pericolo del suo verificarsi (atti colposi) (art. 2043 c.c.). Il dolo consiste nella coscienza e nella volontà di cagionare l’evento dannoso. La colpa L’illecito è colposo quando l’evento dannoso non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia; ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline. Il criterio di valutazione del comportamento dell’agente è costituito dalla diligenza dovuta secondo le circostanze. Questa non coincide con la diligenza media o usuale in circostanze analoghe. La diligenza usuale vale solo come misura del minimo dovuto: l’avere adottato una diligenza inferiore costituisce sempre colpa. La creazione di un rischio di danno non costituisce sempre un’imprudenza colpevole. Perché si possa parlare di colpa occorre che il rischio vada oltre la misura che si considera socialmente giustificata e tollerabile. Questa non dipende solo dalla probabilità dell’evento dannoso, ma anche dalla gravità del danno che ne risulterebbe. La probabilità e la gravità del danno va poi confrontata con l’utilità sociale del tipo di condotta in questione e con il costo delle misure idonee a ridurre o ad eliminare il rischio. Atti colpiti solo se compiuti con l’intenzione di nuocere, oppure con dolo o con colpa grave Di regola, la lesione di un interesse giuridicamente tutelato implica responsabilità tanto se è dolosa, quanto se è colposa (art. 2043 c.c.). questa regola comporta, però, alcune eccezioni. Talvolta la responsabilità può derivare solo da atti commessi con dolo, oppure da atti commessi con dolo o con colpa grave. La capacità di intendere e di volere Il presupposto perché l’atto illecito possa venire imputato all’agente è che questi avesse la capacità di intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso (art. 2046 c.c.). Ci si riferisce qui alla capacità naturale e non alla capacità legale. La capacità naturale può essere esclusa può essere scusa da insufficiente maturità, dovuta alla giovane età, da malattia mentale, da altre minorazioni, da stati ipnotici, da ubriachezza o da intossicazione per mezzo di stupefacenti. Se lo stato di incapacità deriva da colpa dell’agente, questi resta responsabile. In caso di danno cagionato da persona non responsabile per incapacità, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto. Capitolo 14 - LA RESPONSABILITÁ OGGETTIVA Nozione Vi sono atti dannosi che sono leciti e non sono fonte di responsabilità e vi sono atti dannosi vietati, che possono venire impediti preventivamente, se possibile, e danno luogo a responsabilità per danni. Vi è una terza categoria di attività dannose, intermedia tra queste due: attività che sono consentite, ma obbligano al risarcimento dei danni che ne derivano. Si tratta di attività dannose o rischiose consentite, e che sono tuttavia fonte di responsabilità ( responsabilità oggettiva o responsabilità senza colpa). Le ipotesi di responsabilità oggettiva per rischio La legge prevede in una serie di ipotesi una responsabilità senza colpa. L’art. 2049 c.c. dispone che i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. La legge non ammette che il datore di lavoro si possa liberare provando di essere esente da colpa, avendo usato la dovuta diligenza nella scelta e nella sorveglianza del dipendente. La responsabilità del datore di lavoro è, dunque, una responsabilità indipendente dalla colpa. Analogo fondamento oggettivo ha la responsabilità del proprietario di un veicolo per i danni cagionati dal conducente (art. 2054 c.c.). Vi è poi una serie di norme che dispongono una responsabilità oggettiva per i danni cagionati da cose. Sia nel caso della rovina di un edificio come nel caso di danno da circolazione di veicoli, è stabilito che il proprietario, o altri soggetti indicati dalla legge, sono responsabili se l’incidente è dovuto a vizio di costruzione o a difetto di manutenzione (artt. 2053, 2054 c.c.). L’esercente risponde di qualsiasi danno che l’aeromobile abbia cagionato a persone ed a beni sulla superficie, anche per causa di forza maggiore, con la sola esclusione dei danni dovuti al fatto doloso di un terzo, compiuto senza connessione con l’esercizio dell’aeromobile, e dei danni dovuti esclusivamente a colpa del danneggiato (art. 965 c. nav.). L’esercente di un impianto nucleare è responsabile di ogni danno alle persone o alle cose, quando sia provato che il danno è causato da un incidente nucleare avvenuto nell’impianto nucleare o connesso con questo. Il codice civile contiene, inoltre, due norme che dispongono la responsabilità per il danno causato da cose o animali, salva la prova del caso fortuito (artt. 2051, 2052 c.c.). La dimostrazione di aver adottato tutte le misure idonee ad impedire il fatto dannoso non è sufficiente per escludere la responsabilità. Dimostrare la mancanza d colpa non equivale ancora alla prova del caso fortuito. La responsabilità per il fatto dei dipendenti  Il rapporto di preposizione: l’art. 2049 c.c. esprime il principio che ciascuno deve rispondere dei danni cagionati a terzi dalle persone che impiega al proprio servizio. Perché operi questa responsabilità occorre un rapporto di preposizione fra l’autore del fatto dannoso ( commesso o preposto) e il responsabile (committente o preponente); occorre inoltre che il danno sia stato cagionato dal preposto nell’esercizi delle incombenze alle quali è adibito. Chi si vale dell’opera di soggetti esterni o estranei non risponde dei danni che costoro possono illecitamente cagionare a terzi.  L’esercizio delle incombenze: il fatto illecito del preposto impegna la responsabilità oggettiva del preponente solo se è stato compiuto nell’esercizio delle incombenze a cui egli è adibito. L’imprenditore deve rispondere dei danni che siano la maggiore realizzazione del maggior rischio che l’impresa introduce nella società. Perché ciò possa dirsi è necessario e sufficiente che il fatto dannoso sia stato agevolato dall’esercizio delle incombenze. La responsabilità per il danno cagionato da cose o da animali  Determinazione del responsabile : a proposito del danno cagionato da animali l’art. 2052 c.c. dispone che la particolare responsabilità in esso prevista, estesa fino al limite del caso fortuito, grava sul proprietario dell’animale, o su chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso. La responsabilità in questione non colpisce chi detenga l’animale nell’interesse altrui. La disposizione sul danno cagionato da cose designa come responsabile colui che le ha in custodia (art. 2051 c.c.).  Il caso fortuito quale limite della responsabilità : tanto la responsabilità per il danno cagionato dalle cose, quanto la responsabilità per il danno cagionato da animali, si estendono fino al limite del caso fortuito (artt. 2051, 2052 c.c.). La prova della mancanza di colpa non è sufficiente ad escludere la responsabilità, perché non equivale alla prova del fortuito. Provare il caso fortuito significa provare che il danno è dovuto a un evento imprevedibile e inevitabile, estraneo alla cosa o all’animale e alla sfera del custode. Un’interpretazione migliore ravvisa il caso fortuito nell’evento così raro, e straordinario nelle sue conseguenze, da essere estraneo al rischio tipico della cosa o dell’animale. Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose La responsabilità oggettiva è osta dalla legge a carico di chiunque eserciti un’attività valendosi dell’opera di dipendenti o utilizzando cose che possano recare danno. Se si tratta di un’attività pericolosa, concorre l’applicazione dell’art. 2050 c.c.: chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Se il danno è dovuto al fatto di un dipendente nell’esercizio di un’attività non pericolosa, il danneggiato dovrà provare la colpa di questo, al fine di far operare la responsabilità oggettiva del suo datore di lavoro. Ma se si tratta di un’attività pericolosa, invece, il danneggiato è esonerato da questa prova: starà invece a chi esercita l’attività pericolosa dimostrare che sono state adottate tutte le misure idonee ad evitare l’incidente. Responsabilità del produttore Se un incidente è causato da un difetto di produzione o di progettazione, il produttore risponde del danno e non gli è consentito di esonerarsi dalla responsabilità dimostra

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