Chirurgia Plastica Aggiornamento 2023 - PDF
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Università degli Studi di Firenze
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This document covers various topics related to plastic surgery, with a focus on breast reconstruction procedures. It discusses techniques using expanders, different types of flaps, and the potential challenges of reconstructive surgery. The document is applicable to professionals in the field.
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CHIRURGIA DELLA MAMMELLA Gli espansori sono delle protesi temporanee che sono fornite di una piccola valvola che consente di apportare in sede ambulatoriale dei rifornimenti di soluzione fisiologica in modo da consentire un allestimento progressivo di una tasca muscolare, al di sotto del quale la pr...
CHIRURGIA DELLA MAMMELLA Gli espansori sono delle protesi temporanee che sono fornite di una piccola valvola che consente di apportare in sede ambulatoriale dei rifornimenti di soluzione fisiologica in modo da consentire un allestimento progressivo di una tasca muscolare, al di sotto del quale la protesi dovrà essere impiantata. In questa slide (sotto) si vede come l’espansore è messo al di sotto del muscolo grande pettorale. Questo muscolo è piuttosto grande, a forma di ventaglio, le cui fibre hanno origine a livello sternale e a livello della faccia anteriore delle coste. I vari fasci muscolari poi si riuniscono in un unico tendine che si inserisce nella grande tuberosità dell’omero. Quindi il muscolo grande pettorale riveste la superficie supero- mediale della protesi. Per quanto riguarda la copertura infero- laterale, questa sarà data dal muscolo serrato anteriore. Al contrario questo è un muscolo molto più sottile, difficile da lavorare, che non permette di essere direttamente sollevato, ma che ha bisogno di un’espansione progressiva realizzabile appunto tramite l’espansore, che quindi consente di creare una tasca totalmente sottomuscolare dove verrà localizzata la protesi definitiva. Qui (sotto) si ha un esempio clinico di una donna che è stata sottoposta a mastectomia totale destra. Questa donna ha fatto poi una ricostruzione in due tempi: prima ha messo l’espansore, per dare il tempo di organizzare una tasca sottomuscolare, poi la protesi definitiva. Nello stesso esempio si vede inoltre che la paziente ha subito una riduzione (mastopessi) della mammella superstite (sx), affinché si crei una simmetria tra le due mammelle sia dal punto di vista estetico che funzionale in modo che i cingoli scapolo-omerali non subissero modificazioni. Altri interventi di ricostruzione possono prevedere lo spostamento di volumi mammari; nell’immagine (sotto) si vede come per un tumore retroareolare sia stato necessario la rimozione di una porzione cilindrica dell’areola sino alla fascia muscolare. La ricostruzione è avvenuta mediante l’allestimento e lo spostamento di un lembo locale prelevato dal quadrante infero-laterale della solita mammella. Lembi molto simili possono essere utilizzati quando un tumore coinvolge ad esempio i quadranti inferiori; questi possono essere ricostruiti mediante mobilizzazione dei pilastri mediali e laterali della mammella. Lo stesso vale anche per tumori che coinvolgono i quadranti superiori. 64 CHIRURGIA PLASTICA Ricostruzione mammaria eterologa La ricostruzione dopo chirurgia demolitiva, in termini di ricostruzione eterologa, prevede l’utilizzo di protesi, espansori e protesi, lembi di vicinanza con protesi, lembi a distanza e/o lembi microchirurgici. Gli espansori sono delle protesi temporanee munite di una piccola valvola che consente, tramite rifornimenti ambulatoriali, di riempire progressivamente il volume di questa protesi con soluzioni fisiologiche, per distendere i muscoli che ospiteranno la protesi definitiva. Lo scopo dell’espansore è quello di distendere il serrato anteriore, muscolo estremamente sottile e fragile, il quale (al contrario del muscolo gran pettorale che può essere facilmente sollevato) ha bisogno di una distensione progressiva. La distensione progressiva viene condizionata anche dalla compliance della paziente, a seconda del dolore e della rapidità della distensione. Gli espansori hanno varie forme a seconda che siano progettati per un determinato quadrante da espandere. Possono essere di diversi tipi: gli espansori forniti di valvola sono i più utilizzati e consentono, con una puntura percutanea, il rifornimento di una quantità di volume controllata dall’operatore; gli espansori a richiamo osmotico hanno al loro interno dei sali che richiamano liquidi dal corpo con conseguente espansione non controllabile dall’operatore; gli espansori a gas contenenti componenti chimici che producono aria che determina l’espansione. L’espansore di Becker è un espansore “definitivo” che può essere lasciato a permanenza; è una protesi a doppio lume che dà la possibilità, tramite puntura percutanea, di raggiungere il lume aggiuntivo interno e variarne il volume. La presenza della valvola metallica che consente la puntura non è compatibile con alcuni esami strumentali, come la RM, e ciò può interferire con le successive procedure a cui la paziente può dover essere sottoposta nel futuro. Pazienti che vanno incontro ad interventi di ricostruzione, soprattutto monolaterale, dovranno poi essere inserite in una sorta di programma di follow-up per valutare, oltre alla tenuta della protesi, l’eventuale necessita di modificare l’impianto non necessariamente per ragioni patologiche/di malfunzionamento; bensì per rendere la mammella ricostruita il più possibile similare alla mammella controlaterale sana dato che quest’ultima (al contrario della mammella protesica) andrà in contro a modificazioni ed invecchiamento fisiologici. Ricostruzione mammaria mista La ricostruzione mista prevede l’utilizzo anche di parti del corpo della paziente, tra cui, il più usato, è un lembo prelevato dal muscolo grande dorsale, che basa la sua vascolarizzazione sul fascio toracodorsale; è una tecnica ricostruttiva che consente enormi miglioramenti della cute, poiché consente di portare un tessuto ricco di sangue, come un muscolo, in aree che probabilmente sono state lesionate da precedenti trattamenti, come il caso di donne radiotrattate che hanno subito danni al letto vascolare (radiodermiti che appaiono come cute dura, sclerotica e nera). Sono interventi con morbilità maggiore dato che determinano perdita della funzione del muscolo grande dorsale, che serve a trazionare il tronco sulle mani dopo che le mani hanno preso un punto fisso (trazioni alla sbarra, sci di fondo); di solito è una funzione che viene vicariata facilmente, tenendo presente tutte le variabili. Questo muscolo può essere prelevato, mantenendo dei vasi perforanti che provengono dalla toracodorsale, con delle isole cutanee nel caso in cui la regione toracica anteriore abbia bisogno di essere arricchita anche della porzione cutanea che risulta deficitaria; una volta tunnellizzato al di sotto dell’ascella può essere collocato nel quadrante anteriore. 65 CHIRURGIA DELLA MAMMELLA Il lembo può avere diversi orientamenti e diverse dimensioni. In questa slide (dx) sono rappresentati alcuni esempi. È chiaro che l’orientamento dell’isola cutanea dev’essere condizionata dal deficit cutaneo che deve andare a colmare. Ad esempio, un orientamento più orizzontale consente di andare a ricostruire più facilmente deficit cutanei nella regione infero-laterale della mammella. Esempio (sotto) di caso clinico di mastectomia in cui per la ricostruzione è stato prelevato dal dorso una porzione per ricostruire la mammella sx mediante sollevamento del muscolo grande dorsale in solido con un’isola cutanea e protesi sottostante. Sul dorso è visibile un esito cicatriziale che di solito si cerca di realizzare in corrispondenza dell’altezza per la quale verrà poi coperta del reggiseno. Integrazione da sbobine 2020-2021 Un’altra opzione è rappresentata dall’utilizzo di lembi perforanti. I lembi perforanti permettono di prelevare dal dorso solo un’isola cutanea risparmiando il muscolo, basando la vascolarizzazione dell’isola cutanea su una arteria perforante della toracodorsale. Quindi questi lembi permettono di evitare di prendere il muscolo come vettore della vascolarizzazione. I lembi perforanti sono dunque lembi che, a differenza dei lembi assiali, vengono isolati e non vanno a sacrificare muscoli vettori dei vasi. Questa è una scelta che prevederà l’uso solo di tessuto cutaneo e sottocutaneo; quindi, è possibile usare questo tipo di lembi quando non ci sarà bisogno di tessuto muscolare perché nella regione toracica i muscoli a disposizione sono tutti utilizzabili. 66 CHIRURGIA PLASTICA Qui (sotto) si vede come questo lembo perforante sia particolarmente utile per ricostruire deficit del polo superiore della mammella. Per quanto riguarda i lembi di vicinanza, questi sono i più semplici da eseguire; il più importante è il “lembo di Holmstrom”. Questo è un lembo prelevato su perforanti della toracica laterale della mammaria esterna. Qui (sotto) si vede il lembo allestito e si vede che dalla porzione superiore dell’addome è stata utilizzata una quantità considerevole di tessuto per ricostruire il quadrante infero-laterale della mammella portando anche tessuto cutaneo e adiposo. (fine integrazione) Ricostruzione mammaria autologa La ricostruzione autologa pura prevede solo l’utilizzo di tessuti della paziente, senza interazione con materiali protesici. Il TRAM flap (“transverse rectus abdominis myocutaneous flap”) è uno dei lembi più utilizzati; è un lembo storico, che prevede la rimozione di una losanga cutanea in solido contenente anche 67 CHIRURGIA DELLA MAMMELLA una porzione del muscolo retto dell’addome il quale agisce come vettore del fascio vascolo-nervoso epigastrico superiore. La rimozione di un muscolo come il retto dell’addome porta ad un indebolimento della parete addominale che si sostanzia in una morbilità molto elevata; basti pensare che la paziente non riuscirà ad alzarsi dal letto contraendo i muscoli retti ed/o avrà problemi a fare il torchio addominale durante la defecazione. Per questi motivi tale tecnica non viene più utilizzata ed ha lasciato spazio ad un’evoluzione, ovvero il muscle sparing: il muscolo viene dissezionato ed al suo interno viene presa solo una striscia di muscolo contenente il fascio vascolo-nervoso, perciò, gran parte del muscolo resta in sede. La neo-mammella sarà costituita solo ed esclusivamente dal grasso prelevato dalla parte bassa del ventre insieme alla sua porzione cutanea. Dall’evoluzione del muscle sparing si arriva ad un lembo completamente perforante che è il DIEP flap (“deep inferior epigastric perforator flap”): questo prevede di lasciare il retto dell’addome in sede, previo isolamento di una perforante proveniente da un altro fascio vascolo nervoso che è l’arteria epigastrica inferiore profonda. Questo lembo viene gestito solo da piccoli vasi che saranno interrotti nella zona di origine e ricollegati attraverso anastomosi a dei vasi riceventi, in genere la mammaria interna. In questo caso l’integrità della parete muscolare è preservata ed il tessuto prelevato dall’addome viene anastomizzato con i vasi riceventi nella sede mammaria. 68 CHIRURGIA PLASTICA Una variante del DIEP e il SIEP flap (“superior inferior epigastric perforator flap”) che prevede come fascio vascolo-nervoso i vasi epigastrici inferiori superficiali, vasi molto piccoli e di difficile gestione; non è sempre possibile prelevare questo lembo. Altri esempi di ricostruzione autologa sono lembi prelevati dalla regione glutea (con vascolarizzazione basata sull’arteria glutea superiore ed/o inferiore) oppure prelevati nella faccia anteriore della coscia (prevedono la loro vascolarizzazione sull’arteria circonflessa mediale del femore); questo tipo di lembo nella pratica risulta poco utilizzato perché consente di trasferire poco tessuto rispetto ad un tessuto di provenienza addominale. Nonostante la ricostruzione mammaria autologa escluda per definizione l’impiego di device protesici, un ricorso ad elementi quali stent o reti può rendersi necessario durante l’attuazione della procedura chirurgica al fine di evitare complicazioni come la formazione di laparocele. Controindicazione assoluta alla rimozione del lembo addominale è la condizione di obesità; secondo le linee guida, non possono essere sottoposti alla procedura i pazienti con BMI superiore a 30, il che non è facile dato che la maggior parte di questi pazienti sono donne oversize. Sempre nell’ambito della ricostruzione autologa va parlato dell’uso del grasso, degli innesti adiposi, oggi si parla spesso di espansione inversa. L’espansione inversa è un intervento completamente autologo, con morbidità bassa, attuabile in donne con impossibilità di prelevare tessuto dall’addome per mancanza di elasticità. Consiste nel posizionare un espansore ed una volta portata a termine l’espansione si procede con infiltrazioni di grasso prelevato da aree donatrici ed opportunamente elaborato. Una delle tecniche più utilizzate è quella descritta da Sydney Coleman che prevede una centrifugazione a 3500rpm per 3 minuti; in questo modo si vanno ad allontanare tutte le componenti del grasso non necessarie come le frazioni oleose (altamente pro- flogogene e che non vanno assolutamente iniettate) o le frazioni ematiche. Il preparato purificato viene infiltrato tra la faccia esterna della capsula (che avvolge la faccia anteriore dell’espansore) ed il tessuto sottocutaneo; man mano che il tessuto adiposo viene infiltrato l’espansore viene deteso. Il processo è costituito da vari step ripetitivi che permettono al termine di arrivare ad una ricostruzione completa. Questa è una tecnica non vista di buon occhio da molti oncologi dato il rischio di presenza di cellule staminali di origine adipocitaria; iniettare questo tipo di cellule in una paziente oncologica potrebbe essere una scelta discutibile. Resta comunque una pratica utilizzata, il professore la usa non tanto per le ricostruzioni totali quanto per le quadrantectomie, facendo molta attenzione a non infiltrare il grasso nel corpo ghiandolare residuo ma solo nella porzione più superficiale; alcuni chirurghi infiltrano il grasso nel muscolo grande pettorale per avere a disposizione più piani di infiltrazione, ciò rende l’intervento più vantaggioso rispetto alla infiltrazione della sola porzione superficiale. Ricostruzione pre-pettorale Come detto precedentemente, la protesi mammaria non può essere posizionata all’interno della tasca sottocutanea perché questa non rappresenta un tessuto di copertura soddisfacente con rischio di andare 69 CHIRURGIA DELLA MAMMELLA incontro ad estrusioni, a decubito, a contratture, etc. Oggi come oggi l'utilizzo di mesh, formate da tessuti sintetici (come le reti in titanio), biologici o di origine animale (derma porcino, pericardio bovino o equino etc.) che consentano, interponendosi tra la faccia esterna della protesi e la faccia interna della tasca sottocutanea, di effettuare ricostruzioni pre-pettorali. Nel caso di derma di origine porcina, questo viene de-cellularizzato attraverso una serie di procedure, in particolare radio-trattamenti, per poi venire reidratato per funzionare come scaffold: verrà abitato dai fibroblasti che produrranno nuove fibre in modo da costruire un isolante intorno alla protesi mammaria; questa verrà poi inserita al di sotto della tasca sottocutanea. Ci sono alcuni parametri importanti da rispettare tra cui lo spessore del lembo e la vaso-idoneità della vascolarizzazione della tasca cutanea, che deve essere rispettata e tutelata durante tutto l’intervento di mastectomia; importante anche fare attenzione all'uso di elettrocauteri perché portano a un danno intrinseco del lembo vascolare. Con questa tecnica è possibile anche correggere diversi gradi di ptosi. Questa tecnica di ricostruzione pre-pettorale può essere utilizzata in associazione ad una “skin reduced mastectomy”, laddove la rimozione della ghiandola mammaria comporta inevitabilmente un ridimensionamento dei tessuti cutanei di rivestimento, di lembi e di peduncoli porta capezzoli integri oppure localizzare per esempio una cicatrice, come se fosse un trattamento esclusivamente estetico dove c’è limitazione della cicatrice solo nella posizione superiore. Queste sono donne trattate bilateralmente e possono tranquillamente essere paragonate ad un trattamento di chirurgia a fine estetico. È molto importante laddove si ha a che fare con mutazioni genetiche BRCA1 e BRCA2 in assenza di malattia; in questi casi diventa difficile proporre interventi particolarmente mutilanti o con morbidità particolarmente elevate. Al termine l’intervento può avere anche resa estetica migliore del quadro di partenza. Linfoma anaplastico a grandi cellule correlato all’inserimento della protesi mammaria È stata vista una certa correlazione tra l'uso di alcune protesi mammarie con delle testurizzazioni particolarmente aspre e l'insorgenza di un tumore non mammario, in questo caso un linfoma non Hodgkin. Integrazione da sbobine 2020-2021 Questo tumore riconosce diverse cause, tra queste: una flogosi cronica conseguente all’attrito meccanico che alcune testurizzazioni (quelle più aspre, quindi le protesi macro-testurizzate) possono creare sui tessuti circostanti; le asperità di queste testurizzazioni estreme possono rilasciare particelle di silicone, con conseguente flogosi ed evoluzione a linfoma; (ipotesi oggi più accreditata) eziologia su base infettiva; ipotesi che attesta l’insorgenza di un biofilm batterico dove i batteri (alcuni rari gram negativi come la Ralstonia pickettii) albergherebbero facilmente nel fondo delle asperità delle testurizzazioni stimolando questa risposta neoplastica nel soggetto. Ultimamente si è notata un’analogia dal punto di vista genetico tra i pazienti con protesi che sviluppavano questo linfoma; è stato ipotizzato che questo particolare assetto genetico (mutazione JAK/STAT3) provochi un’alterazione della risposta immunitaria del soggetto nei confronti del materiale protesico, con conseguente neoplasia. Altri tipi di testurizzazioni che possono dare questa problematica sono per esempio le protesi con rivestimento di poliuretano. La conclusione è che la patogenesi di questo tumore è in realtà di tipo multifattoriale: in soggetti geneticamente predisposti, altri fattori ambientali possono favorire l’insorgenza di questa problematica. (fine integrazione) Si tratta di una malattia molto rara (100 casi in tutto il mondo), che si sviluppa a carico dei linfociti T, con prognosi sempre benigna se trattato, il trattamento richiede solo esclusivamente la rimozione delle 70 CHIRURGIA PLASTICA protesi in solido con la capsula (fino a due anni fa si sono registrati soltanto 3 decessi in tutto il mondo su 10 milioni di donne portatrici di protesi). Il linfoma non è stato messo solo in relazione alle protesi mammarie, ma sono stati descritti anche linfomi anaplastici in relazione a impianti dentari, pacemaker, etc. Come si manifesta clinicamente questo linfoma? È un sieroma freddo tardivo. La sua comparsa è piuttosto tardiva rispetto al posizionamento della protesi stessa (difficilmente prima dei 7 anni dall'impianto) ed è accompagnata dalla produzione di una quantità abnorme di siero, che deve essere chiaramente analizzato ricercando le caratteristiche specifiche del tumore. In una minoranza dei casi (17%) nasce invece ab initio come una neoformazione solida all’interno della capsula. In un’alta percentuale di casi (20%) si ha l’associazione di queste due problematiche (sieroma tardivo e neoformazione solida intracapsulare). La sintomatologia è una linfoadenopatia classica. Integrazione da sbobine 2020-2021 Approccio diagnostico per questo tipo di linfoma: accertamento del sieroma attraverso un’indagine ecografia; ago aspirato eco guidato con ricerca nel liquido raccolto di linfociti epitelioidi (esame citologico); indagine immunoistochimica: se è presente questo tipo di linfoma l’immunoistochimica ritrova linfociti che esprimono CD30 (quindi CD30+), mentre l’antigene ALK è sempre assente (ALK-). Più rara è l’espressione di altri antigeni come CD4, CD45, CD43, CD2 e CD3. Quindi nella formazione di un eventuale sieroma tardivo deve essere sempre sospettata la presenza di linfoma anaplastico a grandi cellule, quadro che deve essere posto in diagnosi differenziale con un accumulo di liquido sieroso secondario, per esempio, a trauma o infezione. Terapia del linfoma: una volta accertata la diagnosi di tumore tramite citologia, si esegue un prelievo bioptico a livello della capsula e si accerta la diagnosi anche di tipo istologico. Una volta avuta anche la diagnosi istologica si esegue un intervento chirurgico che consiste nella capsulectomia periprotesica e rimozione dell’impianto. Se la patologia è avanzata si esegue anche una terapia adiuvante (chemioterapia e radioterapia). La prognosi è quasi sempre buona, soprattutto se la diagnosi non è tardiva, e spesso il trattamento si limita alla rimozione dell’impianto protesico. Ricostruzione del complesso areola-capezzolo In genere non viene fatto contestualmente alla ricostruzione del tono mammario, si tende ad aspettare un periodo di 4-5 mesi perché il tono si possa assestare. Infatti, il complesso areola capezzolo, nonostante richieda tecniche chirurgiche molto semplici, ha comunque un impatto cromatico molto elevato. Quindi un suo mal posizionamento potrebbe portare all’alterazione di una ricostruzione mammaria eseguita correttamente. Quindi la posizione corretta deve essere valutata dopo che il tono mammario si è assestato. (fine integrazione) 71