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This document provides an overview of biochemistry, focusing on the structure and function of carbohydrates, proteins, and lipids. It also includes information about the process of carbohydrate and lipid digestion. The focus is on the different roles of these compounds.
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BIOCHIMICA 6/11 La biochimica è la scienza che studia le molecole che costituiscono la materia vivente e le reazioni chimiche attraverso le quali vengono sintetizzate, trasformate ed utilizzate per la costruzione di componenti cellulari o per la produzione di energia. Tutte le caratteristiche str...
BIOCHIMICA 6/11 La biochimica è la scienza che studia le molecole che costituiscono la materia vivente e le reazioni chimiche attraverso le quali vengono sintetizzate, trasformate ed utilizzate per la costruzione di componenti cellulari o per la produzione di energia. Tutte le caratteristiche strutturali e funzionali di un organismo derivano da poche classi di molecole in cui precursori più semplici sono uniti da legami covalenti. Tutti i tessuti sono costituiti per il 70% da acqua, circa il 25% da macromolecole biologiche, per una piccola percentuale da ioni. Le macromolecole biologiche sono: proteine, acidi nucleici, carboidrati, lipidi. Le proteine sono costituite da amminoacidi, che si legano tra loro tramite legami peptidici per formare polimeri, i quali a loro volta possono dare luogo ad importanti strutture sovramolecolari. I lipidi hanno come unità strutturale gli acidi grassi che si legano attraverso legami esterei. Gli acidi nucleici hanno come unità strutturale i nucleotidi che si legano attraverso il legame fosfodiestero a formare un filamento di DNA o RNA. I carboidrati hanno come unità strutturale i monosaccaridi che si legano tra loro attraverso legami glicosidici. I carboidrati I carboidrati sono composti costituiti da carbonio, idrogeno e ossigeno noti anche con il termine glucidi (dal greco glucos, dolce) o zuccheri. I carboidrati non svolgono solo una funzione energetica ma hanno anche una funzione strutturale: i carboidrati legati alla membrana cellulare svolgono un ruolo nel riconoscimento cellulare e nella comunicazione tra cellule. Alcuni sono costituenti di coenzimi e acidi nucleici (ogni nucleotide è costituito da una base azotata e da uno zucchero). I carboidrati possono essere classificati in monosaccaridi, oligosaccaridi, polisaccaridi. I monosaccaridi sono gli zuccheri semplici, costituiti da un’unica unità glucidica. Nel momento in cui si uniscono più unità glucidiche si ottengono gli oligosaccaridi. Gli oligosaccaridi e polisaccaridi possono essere a loro volta suddivisi in omosaccaridi (costituiti dallo stesso tipo di unità glucidica) e eterosaccaridi (costituiti da unità glucidiche diverse). Monosaccaridi: unità singole di carboidrati in cui varia il numero di atomi di carbonio (triosi 3C, tetrosi 4C, pentosi 5C, esosi 6C) Formula generale: (CH2O)n con n compreso tra 3-9 Es: n=6 → C6H12O6 (glucosio o fruttosio) 1 Caratteristiche degli zuccheri: - Un certo numero di gruppi ossidrilici OH che conferiscono allo zucchero caratteristiche alcoliche - Un gruppo carbonilico C=O che, a seconda di dove è posizionato nella molecola, conferisce caratteristiche aldeidiche o chetoniche (per questo motivo i monosaccaridi sono aldeidi o chetoni di alcol polivalenti). Il glucosio ha il gruppo carbonilico all’inizio della molecola, questo fa si che nel glucosio sia presente il gruppo funzionale aldeidico quindi il glucosio è un aldoso Il fruttosio presenta il carbonio carbonilico all’interno della molecola quindi è un chetoso. Il monosaccaride aldoso più semplice è la gliceraldeide, ovvero uno zucchero a tre atomi di carbonio che presenta in posizione 1 un gruppo aldeidico e in posizione 2 un carbonio asimmetrico. La presenza del carbonio asimmetrico determina due molecole diverse di gliceraldeide che si possono ottenere in base alla disposizione del gruppo alcolico legato al carbonio asimmetrico: se il gruppo alcolico si trova a destra otteniamo la D-gliceraldeide, se si trova a sinistra otteniamo la L-gliceraldeide. Queste due molecole sono due enantiomeri, cioè stereoisomeri le cui molecole sono l’una l’immagine speculare e non sovrapponibile dell’altra. Con l’aumentare del numero di atomi di carbonio, aumenta il numero di carboni asimmetrici e quindi il numero di stereoisomeri possibili. Questo numero corrisponde a 2n, dove n rappresenta il numero di carboni chirali (asimmetrici). 2 Monosaccaridi aldosi Monosaccaridi chetosi In soluzione acquosa tutti i monosaccaridi con numero di atomi di carbonio superiore a 4 assumono una struttura ciclica più stabile della struttura lineare. Il gruppo carbonilico forma un legame covalente con l’atomo di ossigeno di un gruppo ossidrilico lungo la catena formando emiacetali (aldeide + alcol) o emichetali (chetone + alcol) interni. 3 Ciclizzazione del glucosio In soluzione acquosa la molecola si ripiega e questo facilita una reazione di addizione nucleofila intramolecolare che permette la ciclizzazione. Come avviene la ciclizzazione? Il gruppo alcolico legato al carbonio 5, attraverso il suo ossigeno che possiede una parziale carica negativa, compie un attacco sul carbonio aldeidico del glucosio: questo permette la ciclizzazione della molecola e in questo modo otteniamo un carbonio in posizione 1 che viene definito carbonio anomerico. In base a come avviene la ciclizzazione possiamo avere alfa-D-glucosio in cui il gruppo OH è localizzato al di sotto del piano o il beta-D-glucosio in cui il gruppo OH è localizzato al di sopra del piano. Ciclizzazione del fruttosio In questo caso è sempre il gruppo alcolico legato al carbonio 5 a compiere un attacco in questo caso al carbonio carbonilico che si trova in posizione 2. Questo genera una struttura diversa. Anche in questo caso possiamo ottenere alfa-D-fruttosio se il gruppo OH si trova al di sotto del piano e beta-D- fruttosio se il gruppo OH è al di sopra del piano. La posizione dell’OH legato al carbonio anomerico è importante per definire il legame glicosidico presente nei carboidrati più complessi, quindi già a partire dai disaccaridi. 4 Disaccaridi I disaccaridi sono composti da due molecole di monosaccaride unite da un legame glicosidico tra l’OH anomerico di un monosaccaride e un OH alcolico del successivo. Il legame è una condensazione che libera una molecola di H2O. In generale il legame glicosidico unisce il gruppo emiacetalico di uno zucchero con un atomo nucleofilo di un’altra molecola. I legami glicosidici tra gli zuccheri sono denominati in base alla configurazione dell’OH del primo zucchero coinvolto nel legame: - Se l’OH anomerico è in configurazione alfa (al di sotto del piano) → legame alfa-glicosidico - Se l’OH anomerico è in configurazione beta (al di sopra del piano) → legame beta-glicosidico Uno dei disaccaridi più importanti è il lattosio, costituito da una molecola di galattosio e una molecola di glucosio. Il galattosio è un monosaccaride aldoso a sei atomi di C, ha una struttura quasi identica al glucosio perché ciò che varia è la posizione del gruppo alcolico in posizione 4 (nel glucosio è al di sotto del piano). Questi due monosaccaridi si legano tra loro attraverso il legame beta-1,4-glicosidico perché coinvolge l’OH in configurazione beta legato al carbonio 1 del galattosio con l’OH legato al carbonio 4 del glucosio. Il lattosio viene scomposto nei due zuccheri semplici dall’enzima lattasi. Un altro disaccaride è il saccarosio, costituito da una molecola di alfa-glucosio e una molecola di beta-fruttosio. In questo caso c’è un legame diglicosidico tra il carbonio 1 del glucosio e il fruttosio: è un legame 1-alfa-2-beta-diglicosidico, poiché coinvolge l’OH legato in configurazione alfa al carbonio 1 del glucosio e l’OH in configurazione beta al carbonio 2 del fruttosio. Il saccarosio è il carboidrato più cariogeno ed insieme ad altri carboidrati fermentabili introdotti con la dieta, rappresenta un importante fattore responsabile dei cambiamenti biochimici e fisiologici all’interno del biofilm orale. Il saccarosio viene metabolizzato dai batteri del cavo orale e convertito in acidi in grado di abbassare il pH e favorire l’azione di altri batteri: erosione della dentina (carie di radice) che si trova a più stretto contatto con la polpa sottostante. 5 Il maltosio è costituito da due molecole di alfa-D- glucosio (è un omopolisaccaride). Il maltosio è presente nel malto derivante dalla fermentazione dell’orzo e di altri cereali. Il nostro organismo ricava il maltosio dalla digestione dell’amido, un polisaccaride di riserva tipico del regno vegetale. Il legame è alfa-1,4-glicosidico tra l’OH in configurazione alfa di una molecola di glucosio e l’OH in posizione 4 di un’altra molecola di glucosio. Il cellobiosio è l’unità strutturale della cellulosa, è costituito da due molecole di beta-D-glucosio (omopolisaccaride). Il legame è beta-1,4-glicosidico che si instaura tra l’OH in configurazione beta di una molecola di glucosio e l’OH in posizione 4 della successiva molecola di glucosio. La presenza del legame beta-1,4-glicosidico e l’assenza, nella maggior parte dei mammiferi di beta-glicosidasi, rendono la cellulosa non digeribile e non assimilabile. Polisaccaridi I polisaccaridi rappresentano la maggior parte dei carboidrati presenti in natura. Sono polimeri con una massa molecolare elevata composti da molte unità monosaccaridiche (decine, centinaia o migliaia) legate tra loro tramite legami glicosidici. Omopolisaccaridi Amido, glicogeno e cellulosa: sono tutti e tre costituiti da molecole di glucosio. Differiscono per il tipo di legame glicosidico e per la loro provenienza La cellulosa è un omopolisaccaride strutturale presente nelle pareti cellulari dei vegetali. È un polimero beta-D-glucosio con legami beta-1,4-glicosidici a formare strutture lineari costituite da 3000 a 15000 residui di glucosio. I lunghi filamenti di cellulosa si dispongono parallelamente a formare fibrille stabilizzate da legami idrogeno. Il legame beta conferisce alla cellulosa una conformazione rigida piuttosto allungata adatta al suo ruolo strutturale. La cellulosa non è utilizzabile dal nostro organismo come fonte di glucosio, ma è importante per la peristalsi intestinale. L’amido è la principale fonte alimentare di glucosio per l’uomo. È costituito da una porzione ramificata, amilopectina, e una porzione lineare, amilosio. L’amilosio presenta lunghe catene prive di ramificazioni 6 con legame alfa-a,4 costituite da 200-3000 unità di glucosio. L’amilopectina presenta ramificazioni ogni 25-30 unità di glucosio e da 15-250 residui di glucosio per ramificazione. La struttura è stabilizzata da legami idrogeno e la sua complessità rende l’amido naturale poco aggredibile da parte delle amilasi dell’apparato digerente. La cottura prolungata dei cibi rompe i legami idrogeno rendendo l’amido idrolizzabile e quindi digeribile. Il glicogeno è il polisaccaride di riserva degli animali strutturalmente simile all’amilopectina. Presenta legami alfa-1,6-glicosidici nel punto di ramificazione e legami alfa-1,4-glicosidici nei tratti lineari. Presenta ramificazioni molto più frequenti (ogni 8-12 residui) ma caratterizzate da un numero di residui di glucosio inferiori rispetto all’amilopectina. Le cellule epatiche e muscolari accumulano grandi quantità di glucosio sottoforma di glicogeno, in tal modo mantengono adeguati e fisiologici livelli di osmolarità. Una enorme molecola di glicogeno influisce esattamente come una sola molecola di glucosio. La cellula può accumulare grandi quantità di glucosio senza esplodere. Il glicogeno epatico può contenere fino a 30000 unità di glucosio. Nel fegato è stoccato 1/3 del glicogeno di tutto l’organismo (circa 70-10g; circa 5/8gr/gr tessuto). Rappresenta la principale scorta endogena di carboidrati che può essere sfruttata dai vari tessuti. Si stima che il cervello in condizioni di riposo consumi circa 0,1gr di glucosio al minuto. Il principale ruolo del glicogeno del fegato è quello di mantenere stabili e costanti i livelli di glucosio ematico. Il glicogeno muscolare contiene circa 10000 unità di glucosio. Nei muscoli sono immagazzinati i 2/3 del glicogeno dell’organismo (circa 200-300gr; circa 1gr/100gr tessuto). Il glicogeno muscolare è una fonte di energia prontamente disponibile per il muscolo in attività ma non può essere rilasciato nel circolo ematico per essere sfruttato da altri tessuti. 7 I lipidi Classificazione L’unità funzionale dei lipidi è l’acido grasso. Gli acidi grassi sono acidi carbossilici a lunga catena idrocarburica. In un acido grasso distinguiamo una testa polare data dal gruppo carbossilico (COOH) e una lunga catena idrocarburica apolare, la quale può avere un numero di atomi di carbonio che varia da 4 a 36. Caratteristiche generali degli acidi grassi: - Basso stato di ossidazione - Modesta solubilità (dipende dalla lunghezza della catena idrocarburica) - Saturi ed insaturi - Anfipatici Gli acidi grassi insaturi contengono uno o più doppi legami (monoinsaturi o polinsaturi) che sono sempre in configurazione cis. 8 Acidi grassi saturi Gli acidi grassi saturi non presentano doppi legami nella catena idrocarburica e le loro proprietà chimico-fisiche dipendono dalla lunghezza della catena idrocarburica. La denominazione usata più frequentemente è quella numerica: es. l’acido palmitico ha 16 atomi di carbonio e viene indicato come 16:0 dove 0 indica l’assenza di doppi legami. Acidi grassi insaturi Gli acidi grassi insaturi contengono uno o più doppi legami (monoinsaturi o polinsaturi) che sono sempre in configurazione cis. Negli acidi grassi polinsaturi i doppi legami non sono coniugati ma separati da un gruppo metilenico. Nomenclatura acidi grassi insaturi Oltre ad indicare la presenza o meno di doppi legami, bisogna anche indicare la posizione in cui sono presenti. Ad esempio, l’acido oleico è un acido a 18 atomi di carbonio, che presenta un doppio legame in configurazione cis in posizione 9, ovvero è compreso tra l’atomo di carbonio 9 e 10. Esistono due tipi di nomenclature: la nomenclatura carbossilica e la nomenclatura standard. Secondo la nomenclatura carbossilica assegniamo il numero 1 al carbonio carbossilico e la posizione del doppio legame viene indicata come 18:1Δ9 dove 9 è la posizione del primo carbonio coinvolto nel doppio legame. Secondo la nomenclatura standard assegna la posizione 1 al carbonio metilico terminale ovvero il carbonio omega: in questo caso la nomenclatura è 18:1ω9 perché la posizione del primo carbonio coinvolto nel doppio legame è 9. 9 Proprietà fisiche degli acidi grassi Dipendono dalla lunghezza della catena idrocarburica e dal grado di insaturazione. Gli acidi grassi saturi presentano molecole completamente estese che interagiscono tra loro attraverso interazioni deboli che permettono uno stretto impacchettamento delle code idrocarburiche, quindi quando gli acidi grassi saranno presenti nella struttura di un trigliceride, la presenza delle code idrocarburiche farà si che si formino dei lipidi più complessi con una consistenza cerosa a temperatura ambiente. Negli acidi grassi insaturi la presenza di doppi legami determina una distorsione della catena idrocarburica che impedisce uno stretto impacchettamento, quindi i trigliceridi che contengono questi acidi grassi a temperatura ambiente hanno una consistenza oleosa. La presenza di doppi legami influenza la temperatura di fusione. Riassumendo Gli acidi grassi saturi: - Non presentano doppi legami - Hanno consistenza burrosa (solida a temperatura ambiente) - Sono contenuti negli alimenti di origine animale - Possono provocare un aumento del colesterolo nel sangue e ne favoriscono il deposito sulle pareti dei vasi sanguigni. Gli acidi grassi insaturi: - Presentano doppi legami (fino a 6) - Hanno consistenza oleosa (liquidi a temperatura ambiente) - Sono contenuti negli alimenti di origine vegetale - Contribuiscono ad abbassare i livelli di colesterolo nel sangue Gli acidi grassi possono essere divisi in acidi grassi essenziali e non essenziali. Gli acidi grassi non essenziali sono quegli acidi grassi che il nostro organismo è in grado di sintetizzare. Gli acidi grassi essenziali non possono essere sintetizzati dal nostro organismo e che devono essere introdotti con la dieta. Gli acidi grassi essenziali sono gli omega-6 e omega-3. Gli omega-6 sono presenti negli oli vegetali e abbassano la concentrazione ematica di colesterolo e trigliceridi. Gli omega-3 sono presenti nel pesce e abbassano la concentrazione ematica di trigliceridi e diminuiscono il rischio di malattie cardiovascolari. 10 Nei lipidi gli acidi grassi non sono mai in forma libera Gli acidi grassi si legano a due tipologie diverse di scheletri carboniosi: glicerolo e sfingosina. Gli acidi grassi si legano al glicerolo (molecola a tre atomi di C) tramite legame estereo. Trigliceridi Costituiti dal glicerolo che lega tre acidi grassi. Le proprietà fisiche dei trigliceridi derivano dagli acidi grassi che li costituiscono. I trigliceridi vengono depositati nel tessuto adiposo sottoforma di gocce lipidiche. I trigliceridi sono quindi dei lipidi di deposito, infatti essi servono come: - Materiale di riserva energetica - Materiale isolante contro la dispersione del calore - Materiale protettivo per gli organi interni del corpo 11 8/11 Il trigliceride è un lipide più apolare, costituito da uno scheletro carbonioso (molecola di glicerolo) che lega ai suoi tre gruppi alcolici tre acidi grassi. Le piccole porzioni polari (come i gruppi alcolici del glicerolo) sono completamente impegnate nel legame estereo con gli acidi grassi. I glicerofosfolipidi sono formati da uno scheletro carbonioso che lega due acidi grassi, uno in posizione 1 e uno in posizione 2. Nella terza posizione, ovvero il terzo gruppo alcolico del glicerolo, si lega con un legame estereo al gruppo fosfato per formare una molecola detta acido fosfatidico (ovvero il fosfolipide più semplice). Se al fosfato leghiamo altre molecole, otteniamo altri tipi di glicerfosfolipidi come la fosfatidiletanolammina, la fosfatidilcolina. Queste molecole (diversamente dai trigliceridi) sono anfipatiche, perché posseggono una porzione apolare e una porzione polare. Acido fosfatidico: In posizione 1 e 2 si lega un acido grasso. La posizione 3 è esterificata con un fosfato inorganico. Si forma un legame estereo ogni volta in cui si legano un gruppo alcolico (OH) e un gruppo acido (COOH). Anche nei fosfolipidi è presente un carbonio asimmetrico perché il carbonio centrale lega 4 diversi sostituenti, quindi possiamo avere due diversi stereoisomeri a seconda della posizione dell’acido grasso legato al carbonio centrale. Tutti i fosfolipidi naturali appartengono alla serie esterica L, quindi l’acido grasso in posizione 2 lo troviamo a sinistra. 12 L’acido fosfatidico è il fosfolipide più semplice, è poco abbondante nelle membrane biologiche però svolge molte funzioni: è implicato nei processi di trasduzione del segnale, nel rimodellamento del citoscheletro e nella proliferazione cellulare. Dall’acido fosfatidico è possibile ottenere tutti gli altri tipi di glicerofosfolipidi. I gicerofosfolipidi sono la fosfatidilcolina, fosfatidiletanolammina, fosfatidilserina e fosfatidilinositolo. Queste molecole sono anfipatiche, quindi possono essere costituenti delle membrane biologiche, nelle quali si inseriscono con le porzioni polari verso l’esterno della cellula, mentre le due code idrocarburiche sono presenti all’interno del doppio strato fosfolidico. I glicerofosfolipidi rappresentano il 60% di tutti i lipidi che possiamo trovare in una membrana plasmatica. Il colesterolo Un lipide molto presente nelle membrane biologiche è il colesterolo (23%), importante per regolare la fluidità della membrana. È anfipatico perché costituito da una grande porzione apolare e da una piccola parte polare data dal suo unico gruppo alcolico (OH) Il colesterolo è un lipide costituito da 27 atomi di carbonio. È formato da un nucleo steroideo, dato dalla condensazione di quattro anelli (tre a 6 atomi di C e uno a 5 atomi di C). A questa struttura è legata una coda idrocarburica a 8 atomi di carbonio. Presenta un doppio legame tra il carbonio 5 e 6, e due gruppi metilici legati al carbonio 10 e 13. Presenta una piccola parte polare, che è data dal gruppo alcolico legata al carbonio 3. Il colesterolo si inserisce con la sua parte apolare strettamente a contatto con le catene idrocarburiche degli acidi grassi dei fosfolipidi, con la piccola parte polare è in prossimità delle teste polari dei fosfolipidi. Il colesterolo ha un’importante funzione strutturale, fornisce un supporto strutturale e carattere idrofobico delle membrane cellulari di cui regola anche la fluidità. Deriva da un processo di sintesi endogena, con la quale produciamo circa 700/900mg di colesterolo al giorno, che avviene in tutti i tessuti, ma principalmente nel fegato, intestino e surrene. Una parte è di origine esogena, quindi viene introdotto con la dieta, attraverso la quale introduciamo circa 300mg di colesterolo al giorno, che a loro volta, vanno a regolare la quantità che viene sintetizzata dal nostro organismo. 13 Possiede importanti funzioni perché è il precursore degli acidi biliari (molecole cruciali per il processo di digestione dei lipidi), degli ormoni steroidei e della vitamina D (importante nella regolazione della calcemia) Dal colesterolo, attraverso un processo di sintesi epatica, possiamo sintetizzare gli acidi biliari. Negli acidi biliari non abbiamo una catena idrocarburica a 8 atomi di C, ma abbiamo una catena a 5 atomi di C che termina con un gruppo carbossilico acido. Abbiamo fino a tre gruppi alcolici, i quali conferiscono una certa polarità alla molecola. Gli acidi biliari hanno in tutto 24 atomi di carbonio. Queste molecole permettono di emulsionare i grassi che introduciamo con la dieta e permettono di renderli più digeribili. La presenza dei gruppi polari tutti sullo stesso piano della molecola, permette agli acidi biliari di interagire con la sua porzione apolare con la goccia lipidica e con la parte polare con la soluzione acquosa. Un’altra funzione importante è quella di essere il precursore degli ormoni steroidei che vengono prodotti dalle ghiandole surrenali e dalle gonadi, come il testosterone, l’estradiolo, il cortisolo. Dal colesterolo è possibile sintetizzare la vitamina D, la quale è importante nella regolazione della calcemia (ovvero la concentrazione ematica di calcio). Questa molecola viene prodotta attraverso una serie di reazioni che coinvolgono tre diversi organi: la pelle, i reni e il fegato. Il deficit di vitamina D è una delle cause del rachitismo, patologia scheletrica ad esordio infantile, causata da un difetto della mineralizzazione della matrice ossea e potenzialmente responsabile, in uno stadio avanzato, di deformità e fratture ossee. In un individuo adulto i livelli di colesterolo devono essere compresi tra i 130-200 mg su 100ml di sangue. 14 Proteine Sono le macromolecole più abbondanti, costituiscono circa il 50% del peso secco della cellula e il 18% del peso corporeo. Le proteine sono costituite dagli amminoacidi, ovvero composti quaternari costituiti da carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto. In ogni amminoacido c’è un carbonio centrale che lega quattro diversi costituenti: un gruppo amminico (NH2), un gruppo carbossilico (COOH), un idrogeno e una catena laterale (R). In base alla natura della catena, esistono 20 tipi di amminoacidi che possono essere divisi in quattro gruppi: amminoacidi apolari, amminoacidi polari non carichi, amminoacidi acidi e amminoacidi basici. Gli amminoacidi apolari sono quelli in cui è presente una catena laterale R di natura alifatica o aromatica (es. alanina). Gli amminoacidi polari non carichi nella catena laterale presentano un gruppo polare (OH o un gruppo SH). Gli amminoacidi acidi nella catena laterale presentano un gruppo carbossilico acido, possono essere definiti bicarbossilici. Gli amminoacidi basici sono quelli in cui la catena laterale presenta un gruppo amminico, vengono definiti biamminici. Al pH fisiologico (7,4) tutti gli amminoacidi hanno il gruppo carbossilico dissociato (COO-) e il gruppo amminico protonato (NH3+) La catena laterale degli amminoacidi fa sì che siano presenti in delle regioni particolari di una proteina. I 10 amminoacidi con la catena apolare (alifatica o aromatica) tenderanno ad essere presenti nella porzione interna della proteina, ovvero quella in cui non hanno contatto con l’acqua. Gli amminoacidi polari non carichi sono idrofilici, quindi tenderanno ad interagire con le molecole d’acqua e altre molecole polari. Anche gli amminoacidi acidi e basici sono idrofili. Dal punto di vista nutrizionale gli amminoacidi possono essere suddivisi in amminoacidi essenziali e amminoacidi non essenziali. Gli amminoacidi non essenziali sono quelli che possono essere sintetizzati dall’organismo. Quelli non essenziali non possono essere sintetizzati e devono essere introdotti con la dieta. In base al contenuto degli amminoacidi le proteine si dividono in: alto, medio e basso valore biologico. Sono proteine ad alto valore biologico tutte le proteine che contengono amminoacidi essenziali (latte, uova, carne, pesce). Le proteine a medio valore biologico sono quelle in cui scarseggiano alcuni amminoacidi essenziali. Le proteine a basso valore biologico sono quelle in cui mancano molti amminoacidi essenziali. 15 Dal punto di vista metabolico gli amminoacidi possono essere classificati in glucogenici e chetogenici. Sono definiti glucogenici gli amminoacidi dal cui scheletro carbonioso è possibile sintetizzare glucosio. Sono definiti chetogenici gli amminoacidi dal cui scheeltro carbonioso è possibile sintetizzare molecole di natura lipidica. Alcuni amminoacidi sono sia glucogenici che chetogenici, dal loro catabolismo è possibile ottenere sia glucosio che lipidi. Gli amminoacidi si legano tra di loro attraverso il legame peptidico, che si instaura tra un gruppo carbossilico di un amminoacido e il gruppo amminico dell’amminoacido successivo. Ciò avviene attraverso una reazione di condensazione che causa l’eliminazione di una molecola d’acqua. Questo legame si forma grazie all’azione di un enzima, peptidiltransferasi che permette ai due amminoacidi presenti nel ribosoma di legarsi tra loro. Dall’unione di due amminoacidi si ottiene un dipeptide Queste catene presentano ad un’estremità della catena un gruppo amminico libero che identifica l’inizio della catena, e all’altra estremità un gruppo carbossilico libero che identifica la fine della catena. Le proprietà del legame peptidico sono state scoperte da due scienziati (Pauling e Corey) attraverso studi di diffrazione ai raggi X. Da questa evidenza definirono il legame peptidico come un legame intermedio tra il legame singolo e il doppio legame. Questo legame è rigido, non è possibile che avvenga la rotazione della molecola intorno al legame peptidico ma queste grandi molecole hanno la capacità di ruotare intorno ai legami tra il carbonio carbonilico del C-alfa del primo amminoacido e il gruppo amminico del C-alfa del secondo amminoacido. Il legame peptidico stabilizza la struttura primaria della proteina. La struttura primaria è l’esatta sequenza degli amminoacidi nella catena polipeptidica ed è stabilizzata dal legame peptidico. Dalla struttura primaria, derivano i livelli di organizzazione superiori che determinano la struttura tridimensionale. 16 La struttura secondaria è la conformazione spaziale della proteina definita dalla natura delle sue catene laterali. È stabilizzata da legami idrogeno. In base alla natura delle catene laterali possiamo avere più tipi di strutture secondarie (alfa-elica, foglietto ripiegato, tripla elica allungata). Alfa-elica: struttura secondaria in cui la catena polipeptidica si avvolge intorno ad un asse centrale con un passo di spira di circa 3.6 residui amminoacidi. (il passo è la distanza percorsa per compiere un giro intorno all’asse centrale). Il legame peptidico è situato sulla spira, le catene laterali R dei singoli amminoacidi sono perpendicolari rispetto all’asse dell’alfa-elica. Questa struttura è stabilizzata da legami idrogeno che si formano all’interno della catena. Il legame idrogeno si forma tra l’ossigeno carbonilico di un legame peptidico e l’idrogeno ammidico di un legame peptidico situato a 4 residui di distanza sulla catena Il legame idrogeno si forma tra un idrogeno legato ad un atomo fortemente elettron attrattore con un altro atomo fortemente elettron attrattore. La natura delle catene laterali degli amminoacidi determina la tipologia di struttura secondaria e ne influenzano la stabilità. L’alanina possiede una piccola catena laterale che si adatta bene alla struttura ad alfa-elica. La glicina è un piccolo amminoacido, destabilizza la struttura ad alfa elica per l’elevata possibilità di rotazione intorno al proprio C-alfa. La prolina interrompe l’alfa-elica per la sua catena laterale ciclica. Foglietto- beta: struttura ripiegata formata da due o più catene polipeptidiche quasi completamente distese. I legami idrogeno sono intercatena (tra una catena e l’altra) e perpendicolari allo scheletro del peptide. Le catene che formano il foglietto-beta possono disporsi in modo parallelo o antiparallelo. Le diverse tipologie di strutture secondarie possono coesistere all’interno di una grande proteina. La struttura terziaria di una proteina è la sua conformazione parziale tridimensionale. È stabilizzata da legami che si instaurano tra le catene laterali. Una tipologia di legame importante che stabilizza la struttura terziaria è il ponte disolfuro, si forma tra due cisteine (amminoacidi che hanno come catena laterale un CH2SH). Questo legame è importante per molti tipi di proteine come l’insulina, un ormone di natura proteica costituito da due catene che si legano tra loro attraverso ponti disolfuro. 17 La struttura terziaria rappresenta il massimo livello di organizzazione strutturale delle proteine monomeriche. Per le proteine costituite da più catene polipeptidiche il massimo livello di organizzazione strutturale è la struttura quaternaria. La struttura quaternaria è la disposizione spaziale delle diverse catene polipeptidiche che costituiscono la proteina. Dal punto di vista strutturale possiamo classificare le proteine in proteine globulari e proteine fibrose. Le proteine globulari sono quelle costituite da catene polipeptidiche ripiegate a formare una struttura compatta, sferica. Sono le proteine solubili in acqua (es. enzimi, proteine di trasporto, ormoni di natura proteica). Le proteine fibrose sono costituite da catene polipeptidiche disposte in lunghi fasci. Sono meno solubili in acqua perché presentano elevate quantità di amminoacidi idrofobici. Hanno un ruolo strutturale. (es. collagene, elastina). Dal punto di vista della composizione chimica possiamo classificare le proteine in proteine semplici e proteine coniugate. Le proteine semplici sono costituite da soli amminoacidi. Le proteine coniugate sono quelle in cui oltre alla componente amminoacidica sono presenti altri gruppi funzionali detti gruppi prostetici. Le emoproteine contengono un gruppo prostetico, gruppo eme contenente un ferro, la presenza di questo gruppo funzionale fa sì che tali proteine possono trasportare l’ossigeno. Si tratta della mioglobina ed emoglobina. Queste proteine, grazie alla presenza del gruppo prostetico, possono legare l’ossigeno. La differenza funzionale è che la mioglobina lega l’ossigeno e fa si che il tessuto muscolare abbia sempre a disposizione un deposito di ossigeno. L’emoglobina lega l’ossigeno e trasporta ossigeno nel sangue che farà in modo di trasportarlo ai tessuti. Questa differenza funzionale dipende dalla differenza strutturale delle due proteine. Struttura della mioglobina: ha un’unica catena polipeptidica avvolta su sé stessa a formare 8 alfa- eliche. All’interno di una tasca idrofobica della mioglobina si inserisce un gruppo eme, il quale contiene un ferro che può formare 6 legami coordinativi (4 con l’azoto, 1 con un amminoacido della porzione proteica, 1 attraverso il quale il ferro lega l’ossigeno). La mioglobina lega una molecola di ossigeno a formare mioglobina ossigenata. La mioglobina ha un’elevata affinità per l’ossigeno. L’emoglobina è costituita da 4 catene polipeptidiche, ogni catena lega un gruppo eme quindi l’emoglobina può legare 4 atomi di ossigeno. L’emoglobina è contenuta nei globuli rossi. Il ruolo dell’emoglobina è quello di trasportare ossigeno attraverso i globuli rossi a tutti i tessuti. La sua struttura quaternaria determina una diversa affinità per l’ossigeno. 18 A livello polmonare sono presenti elevate pressioni parziali di ossigeno che fanno si che l’emoglobina si saturi completamente. L’emoglobina, attraverso il sangue, raggiunge i tessuti periferici, dove la pressione parziale dell’ossigeno è molto più bassa. In corrispondenza di questi valori di pressione parziale l’emoglobina tenderà a rilasciare l’ossigeno. L’ossigeno rilasciato dall’emoglobina si lega alla mioglobina che in questo modo può formare un deposito di ossigeno a livello muscolare. Esistono delle varianti fisiologiche dell’emoglobina, negli individui adulti l’emoglobina è costituita da due subunità alfa e da due subunità beta. Le subunità alfa sono presenti in tutte le fasi dello sviluppo, le subunità beta sono presenti solo dopo alcune settimane dalla nascita. Nella fase embrionale e a livello fetale al posto delle subunità beta sono presenti le subunità gamma perché queste subunità gamma possiedono un’affinità per l’ossigeno molto maggiore rispetto alle subunità beta presenti nell’individuo adulto. Proprio per questa diversa affinità i bambini riescono a respirare all’interno della pancia della mamma. Esistono varianti patologiche dell’emoglobina, come nel caso dell’emoglobina presente in pazienti affetti da anemia falciforme: questa patologia è dovuta al fatto che a causa di una mutazione viene sostituito un amminoacido con un altro in corrispondenza delle subunità beta. L’emoglobina normale presenta a livello delle subunità beta un residuo di acido glutammico che a causa di una mutazione può essere sostituito con una valina, un amminoacido apolare. Questa piccola variazione di un singolo amminoacido determina conseguenze importanti: le molecole di emoglobina interagiscono tra loro attraverso interazioni idrofobiche precipitando e facendo assumere al globulo rosso una morfologia a falce. La conseguenza è la riduzione di apporto di ossigeno all’interno del torrente ematico. 19 13/11 Enzimi Molecole di natura proteica ad alto peso molecolare che intervengono in tutti i processi di degradazione e sintesi delle macromolecole biologiche. - Agiscono in soluzioni acquose in condizioni blande di pH e temperatura - Lavorano in maniera coordinata nelle vie metaboliche - Possono agire grazie alla presenza di specifici amminoacidi al sito attivo oppure necessitare della presenza di cofattori o coenzimi - Hanno un elevato grado di specificità - Accelerano la velocità delle reazioni chimiche Gli enzimi sono catalizzatori di natura proteica in grado di accelerare la velocità delle reazioni chimiche (fino a 1016 volte). Ad es. l’anidrasi carbonica è un enzima che permette la reazione per la quale la CO2 in acqua forma acido carbonico. Condizioni che rendono possibile una reazione - Avere un ΔG0 negativo, quindi deve essere spontanea ed esoergonica - Avere una energia sufficiente (energia di attivazione) per raggiungere lo stato di transizione 20 1) Variazioni di energia libera G Affinché una reazione chimica possa avere luogo, l’energia dei reagenti o substrati (S) deve essere superiore all’energia dei prodotti. 2) Energia di attivazione È l’energia che bisogna avere per raggiungere lo stato di transizione dal quale possiamo più facilmente ottenere i prodotti. Affinché una reazione sia possibile, due reagenti A e B devono avere la possibilità di urtare e di acquistare una energia utile alla formazione del complesso A-B. Questa energia è l’energia di attivazione (Ea). L’enzima avvicina ed orienta i substrati in modo da promuovere la formazione del complesso ES e facilitare il raggiungimento dello stato di transizione. 21 Energia delle reazioni catalizzate e non La reazione è spontanea e l’aggiunta di un catalizzatore non modifica la variazione di energia libera (deltaG0) ma abbassa l’energia di attivazione Ea). Ea è l’energia di attivazione della reazione, è l’energia che occorre fornire ai reagenti perché si possa formare il complesso attivato ed influenza la velocità di una reazione. Come funziona un enzima? 1) In una reazione catalizzata da enzimi, l’enzima reagisce con il substrato o reagente o reagenti, a formare un complesso intermedio attivato. Es. nel complesso le interazioni sono di tipo debole (legami idrogeno, idrofobici, ionici di van der Waals) ma tali da aumentare il contenuto di energia facilitando il raggiungimento dello stato di transizione. 2) Le reazioni enzimatiche avvengono mediante il legame del reagente (substrato) all’interno di una tasca dell’enzima detta sito attivo la cui superficie è rivestita da residui amminoacidici i cui gruppi funzionali legano il substrato e catalizzano la reazione chimica. Complesso E-S e sito attivo 22 Specificità del sito attivo L’interazione tra il substrato ed enzima è altamente specifica: - Modello chiave-serratura: il substrato si lega al sito attivo come la chiave in una serratura - Modello dell’adattamento indotto: la struttura dell’enzima si adatta a quella del substrato Gli enzimi reagiscono in modo specifico con il substrato per formare un complesso ES in grado di abbassare l’energia di attivazione ed accelerare la reazione che catalizzano. La possibilità per gli enzimi di formare il complesso E-S ha posto le basi per la teoria di Michaelis- Menten utile a spiegare le proprietà cinetiche di molti enzimi. Cinetica enzimatica Teoria di Michaelis-Menten L’equazione Michaelis-Menten descrive l’andamento della velocità iniziale di una reazione in funzione della concentrazione del substrato. La velocità di una reazione catalizzata dipende in modo iperbolico dalla concentrazione di substrato. Quando la [S] è bassa la maggior parte dell’enzima è in forma libera e la velocità è proporzionale alla [S]. all’aumentare della [S] tutto l’enzima è saturato si raggiunge la velocità massima. 23 La Km indica l’affinità di E per S L’enzima 1 e l’enzima 2 posseggono un diverso valore di Km ovvero raggiungono ½ Vmax a diversi valori di Km: l’enzima 1 a una Km più bassa perché è minore la concentrazione di substrato necessaria per raggiungere ½ Vmax. Questo enzima possiede rispetto all’enzima 2 una maggiore affinità per il substrato. Tanto più basso è il valore di Km tanto maggiore è l’affinità dell’enzima per il substrato. Due enzimi presenti nel fegato catalizzano la stessa reazione, cioè la fosforilazione del glucosio a glucosio-6-fosfato. Questa reazione può essere catalizzata dalla esochinasi o dalla glucochinasi. La differenza è la loro affinità per il glucosio. La esochinasi possiede un’affinità molto elevata per il glucosio, raggiunge ½ Vmax a concentrazioni di glucosio molto basse. La glucochinasi ha affinità bassa per il glucosio, raggiunge ½ Vmax a concentrazioni più alte. Grazie alla presenza di due diversi enzimi il fegato può regolare la glicemia: in condizioni di alta glicemia il fegato ha la capacità di estrarre dal flusso ematico una grande concentrazione di glucosio, viceversa in condizioni di bassa glicemia ha la capacità di riversarlo nel sangue. La capacità di estrarre glucosio dal sangue dipende dalla presenza di questi due enzimi aventi una diversa Km. Quando la esochinasi raggiunge la saturazione, interviene la glucochinasi. 24 Regolazione dell’attività enzimatica I fattori che regolano l’attività enzimatica: - pH - temperatura - inibitori (reversibili e irreversibili) - modificazioni covalenti - associazione e dissociazione subunità - regolazione genica Effetto del pH e della temperatura sull’attività enzimatica L’attività di un enzima dipende dal pH poiché la protonazione o deprotonazione di alcuni amminoacidi del sito attivo ne modificano la struttura e quindi la funzione catalitica. Ogni enzima ha un pH ottimale sopra e sotto il quale l’attività decresce. La velocità delle reazioni chimiche dipende dalla temperatura. La stabilità di una proteina dipende dalla temperatura. Inibizione enzimatica Inibitore = composto che interagisce con l’enzima diminuendo la velocità di reazione e quindi l’attività. Inibizione reversibile: - inibitori non competitivi - inibitori a-competitivi - inibitori competitivi (es: statine, per ipercolesterolemia) Inibizione irreversibile: - Es. aspirina: modifica covalentemente ci ciclossigenasi e riduce la sintesi dei segnali infiammatori. - Es. penicillina: inibisce gli enzimi batterici (peptidil transferasi) 25 Regolazione dell’attività enzimatica mediante modificazione covalente reversibile Es. fosforilazione/defosforilazione di residui di serina, treonina, tirosina La possibilità di compiere questo processo modula fortemente l’attività di un enzima La fosforilazione aumenta l’attività di alcuni enzimi La fosforilazione diminuisce l’attività di altri enzimi Regolazione dell’attività enzimatica mediante modificazione covalente irreversibile Attività proteolitica A livello intestinale tali enzimi vengono modificati irreversibilmente attraverso il taglio proteolitico che libera un piccolo frammento e permette di esporre il sito attivo di un enzima. Regolazione dell’attività enzimatica mediante associazione e dissociazione di subunità 26 L’attività metabolica di una cellula può essere modulata attraverso dei messaggeri (es. ormoni) che vanno ad interagire su specifici recettori presenti nella membrana cellulare. Alcuni ormoni si legano al proprio recettore formando un complesso ormone-recettore la cui variazione conformazionale fa attivare la proteina trimerica G, la quale è costituita da tre subunità (alfa, beta, gamma). L’interazione dell’ormone con il recettore determina la dissociazione della subunità alfa della proteina G che in questo modo potrà attivare un enzima presente nella membrana cellulare chiamato adenilatociclasi. In risposta al segnale ormonale, l’adenilatociclasi sintetizza all’interno della cellula il secondo messaggero, l’AMP ciclico, il quale trasdurrà il segnale. L’AMP ciclico si lega alle subunità regolatorie della proteina chinasi A (enzima). La proteina chinasi A è un enzima tetramerico costituito da due subunità catalitiche e due subunità regolatorie. La proteina chinasi A è inattiva. A seguito di una stimolazione ormonale, tramite meccanismo di trasduzione viene prodotto un secondo messaggero, l’AMP ciclico il quale si lega alle subunità regolatorie della proteina chinasi A e questo determina una variazione conformazionale dell’enzima dal quale si dissociano le subunità catalitiche. L’enzima una volta dissociato sarà attivato e sarà in grado di catalizzare la reazione di fosforilazione. Le cellule sono in grado anche di regolare la quantità di un enzima attraverso meccanismi che agiscono sulla sua sintesi (regolazione dell’espressione genica): meccanismi di induzione e repressione. Regolazione genica L’aumento (induzione) o la diminuzione (repressione) della sintesi di un enzima, modifica la popolazione dei siti attivi. Induzione: processo attraverso il quale possiamo aumentare l’espressione del gene che codifica per un determinato enzima. Repressione: processo attraverso il quale possiamo diminuire l’espressione del gene che codifica per un determinato enzima. 27 In condizioni di bassa glicemia il pancreas secerne un ormone, glucagone, il cui ruolo è quello di aumentare la glicemia. Un modo con il quale il glucagone aumenta la glicemia è andando a modulare l’espressione di un gene che codifica per un enzima chiave di una via metabolica, quindi il glucagone andrà ad interagire con il recettore presente nelle cellule del tessuto epatico e questo determinerà la produzione del secondo messaggero, il quale andrà ad attivare la proteina chinasi A. La proteina chinasi A, a sua volta fosforila diversi substrati e tra questi fosforila anche il fattore Kreb (un fattore di trascrizione), il quale sarà in grado di legarsi a specifiche regioni del DNA aumentando l’espressione del gene che codifica per un enzima chiave di una via metabolica che deve essere attivata in questo contesto. Se siamo in una condizione di alta glicemia, l’ormone in circolo sarà l’insulina, il cui ruolo è quello di abbassare l’energia. L’insulina attiva un fattore attiva un fattore trascrizionale che agendo a livello del DNA reprime, diminuisce la sintesi di un enzima che rilascia glucosio nel sangue. Specificità e classificazione Una caratteristica fondamentale degli enzimi è la loro specificità, ovvero la preferenza per una determinata reazione o per un determinato substrato. - Specificità assoluta: la capacità di riconoscere un solo substrato o un gruppo ristretto di substrati (es. la glucochinasi è un enzima che riconosce soltanto il glucosio) - Specificità di gruppo: capacità di riconoscere substrati con lo stesso gruppo funzionale (es. esochinasi è un enzima che fosforila il glucosio a glucosio-6-fosfato e altri esosi, come il mannosio, fruttosio…) - Specificità di legame: capacità di riconoscere un tipo particolare di legame (es. le proteasi sono enzimi che riconoscono il legame peptidico, che andranno ad idrolizzare il legame presente nelle proteine) - Stereospecificità: capacità di ottenere un solo stereoisomero In base alla specificità gli enzimi vengono classificati in sei grandi classi: 1) ossidoreduttasi: catalizzano reazioni di ossidazione e riduzione 2) transferasi: trasferiscono gruppi funzionali (es. le transaminasi sono enzimi epatici che appartengono alla classe delle transferasi e hanno il ruolo di trasferire il gruppo amminico) 3) idrolasi: enzimi in grado di scindere un legame attraverso l’introduzione di una molecola d’acqua (es. le proteasi sono idrolasi che scindono il legame peptidico introducendo una molecola d’acqua) 4) liasi: enzimi in grado di addizionare o rimuovere gruppi, scindere o formare legami (senza utilizzare l’acqua) 5) isomerasi: trasferimento di gruppi all’interno di molecole, permettono di isomerizzare un composto con un altro 6) ligasi (sintetasi): permettono di formare legami con consumo di ATP Gli enzimi intervengono in tutte le reazioni presenti all’interno delle cellule e in tutti i processi metabolici 28 Introduzione al metabolismo cellulare Il metabolismo cellulare è l’insieme di tutte le reazioni chimiche che avvengono all’interno delle cellule. Ogni reazione è catalizzata da uno specifico enzima e si organizza nelle vie metaboliche. La via metabolica è un sistema sequenziale di reazioni in cui il prodotto della prima reazione diventa il substrato della seconda reazione, e così via fino a che non trasformiamo un substrato iniziale in un prodotto. La glicolisi è una via metabolica in cui si parte dal glucosio che nella prima reazione catalizzata dal primo enzima viene convertito in glucosio-6-fosfato, che diventa a sua volta il substrato della seconda reazione che è catalizzata da un altro enzima che converte il glucosio-6-fosfato in fruttosio-6-fosfato, fino ad arrivare al prodotto finale della glicolisi che è l’acido piruvico. In tutto questo percorso si ottengono vari intermedi che sono gli intermedi metabolici. Le vie metaboliche possono essere: - vie metaboliche lineari - vie metaboliche cicliche Nelle vie metaboliche cicliche almeno uno dei substrati della via coincide con il prodotto finale. Es: ciclo di Krebs. 29 Il metabolismo cellulare può essere classificato in catabolismo e anabolismo Il catabolismo è l’insieme di tutte le reazioni di ossidazione con le quali degradiamo le macromolecole e otteniamo energia sotto forma di ATP. L’anabolismo è la componente di sintesi che consiste in una serie di reazioni di biosintesi con le quali otteniamo molecole complesse a partire da quelle più semplici. Il catabolismo è l’insieme di reazioni di ossidazione attraverso le quali le sostanze ricche di energia (carboidrati, grassi, proteine) vengono degradate nei prodotti poveri di energia (anidride carbonica, acqua, ammoniaca). Durante questo percorso di degradazione, dall’ossidazione di queste molecole noi conserviamo l’energia che si libera dall’ossidazione in coenzimi ridotti (NADH, NADPH, FADH2) e in ATP. L’ATP è la moneta di scambio tra il catabolismo e l’anabolismo perché l’energia contenuta nell’ATP verrà sfruttata durante l’anabolismo per le reazioni di sintesi attraverso le quali a partire da precursori semplici (amminoacidi, zuccheri, acidi grassi, nucleotidi) possiamo ottenere le corrispondenti macromolecole (proteine, polisaccaridi, lipidi, acidi nucleici). Le due fasi del metabolismo (catabolismo e anabolismo) sono tra loro accoppiate. Reazioni accoppiate Le reazioni di sintesi sono reazioni endoergoniche (hanno bisogno di energia, ΔG0 positivo), e possono avvenire solo se accoppiate a reazioni esoergoniche (liberano energia, ΔG0 negativo). Questo accoppiamento è garantito dall’ATP (composto in grado di trasferire energia). 30 ATP L’ATP (adenosina trifosfato) è un nucleotide, è una molecola che contiene molta energia. È composto da una base (adenina), la quale è legata tramite un legame beta-N-glicosidico a uno zucchero (ribosio). Il carbonio in 5 del ribosio può legare un fosfato a formare AMP attraverso un legame estereo (tra il gruppo alcolico in posizione 5 del ribosio e il fosfato che è acido). Quando a questo fosfato se ne legano altri due, i due legami sono ad alto potenziale di trasferimento quindi sono legami ricchi di energia che vengono chiamati legami anidridici, i quali si formano ogni volta che leghiamo due composti di natura acida. La capacità dell’ATP di fungere da trasportatore di energia dipende dalla presenza di 2 legami anidridici ad elevato potenziale di trasferimento che conservano l’energia derivante dai processi catabolici utile a favorire i processi endoergonici di sintesi. DOVE E COME SI SINTETIZZA L’ATP? Meccanismi di produzione dell’ATP 1) mediante fosforilazione a livello del substrato che utilizza composti ad alta energia che utilizza composti ad alta energia (nella GLICOLISI = reazione in cui l’acido 1,3-difosfoglicerico e l’acido fosfoenolpiruvico reagiscono con ADP per formare ATP oppure nel CICLO di KREBS nella reazione catalizzata dalla succinil-CoA sintetasi) 2) per fosforilazione ossidativa cioè il processo mitocondriale in cui l’ossidazione di substrati nella catena respiratoria si accoppia alla fosforilazione di ADP in ATP. La maggior parte di ATP (90%) lo otteniamo nel processo di fosforilazione ossidativa che avviene a livello mitocondriale, nella fase terminale del catabolismo. 31 Metabolismo terminale La parte terminale del metabolismo cellulare avviene a livello mitocondriale e consiste in reazioni di carattere ossidativo che partono da una molecola, l’acetil CoA. L’acetil CoA rappresenta il punto di convergenza di tutte le vie cataboliche. È possibile ottenere l’acetil CoA dai glucidi, da molti amminoacidi e da molecole di natura lipidica, che vengono degradate a formare questo frammento bicarbonioso legato al coenzima A. L’acetil coenzima A entra nella fase terminale del metabolismo, in cui prima parte è rappresentata dal ciclo di Krebs. Nel ciclo di Krebs l’acetil CoA viene completamente degradato a due molecole di anidride carbonica. L’energia di questo processo viene conservata nella formazione di coenzimi ridotti, che sono tre molecole di NAD ridotto e una molecola di FAD ridotto. Saranno proprio questi enzimi ridotti che verranno utilizzati a livello mitocondriale dalla catena di trasporto di elettroni e fosforilazione ossidativa per sintetizzare ATP. L’acetil CoA entra nel ciclo di Krebs. 32 Il ciclo di Krebs Chiamato anche ciclo dell’acido citrico (è il primo composto ottenuto nella reazione) o ciclo degli acidi tricarbossilici (tre intermedi del ciclo di Krebs hanno tre gruppi carbossilici). Svolge diverse funzioni ma da un punto di vista catabolico il suo ruolo è quello di ossidare completamente due molecole di acetil CoA a due molecole di anidride carbonica. La conseguenza di questo processo è la formazione di enzimi ridotti. Per ogni molecola di acetil CoA che entra nel ciclo di Krebs produciamo tre molecole di NAD ridotto, una molecola di FAD ridotto e una molecola di GTP (che da un punto di vista energetico è come dire una molecola di ATP). Tutto questo avviene attraverso una serie di reazioni, le quali avvengono nella matrice mitocondriale. L’acetil CoA entra nel ciclo di Krebs condensandosi con una molecola a quattro atomi di carbonio chiamata acido ossalacetico. Si forma quindi un composto a 6 atomi di carbonio, l’acido citrico. A questo punto iniziano una serie di reazioni attraverso le quali possiamo impiegare anidride carbonica e di conseguenza produrre coenzimi ridotti. Il ciclo di Krebs possiede anche un ruolo anabolico, alcuni intermedi possono essere prelevati dal ciclo ed utilizzati per la sintesi di altre molecole, ad esempio il citrato in condizioni di buona alimentazione può essere trasportato nel citosol dove permetterà la sintesi di molecole di natura lipidica. Funzione anabolica del ciclo di Krebs Alcuni intermedi del ciclo di Krebs possono essere prelevati dal ciclo ed utilizzati per altre molecole. Es. il citrato può essere trasportato nel citosol dove permette la sintesi di molecole di natura lipidca. La conseguenza è che il ciclo rallenta, tuttavia è possibile ripristinare un’adeguata portata del ciclo attraverso delle reazioni che formano degli intermedi che possono rialimentare il ciclo. 33 Catena respiratoria Il NAD e FAD ridotti sono trasportatori di equivalenti riducenti (due elettroni e due protoni). Questo è possibile grazie alla presenza nella membrana mitocondriale di trasportatori di elettroni aventi una struttura molto complessa in grado di accettare e cedere elettroni al complesso successivo. La catena respiratoria è composta da 4 complessi: - complesso I: complesso della piruvato deidrogenasi - complesso II: succinato deidrogenasi - complesso III: citocromo c reduttasi - complesso IV: citocromo c ossidasi Questi trasportatori permetteranno di trasferire gli elettroni fino all’ossigeno, il quale verrà ridotto ad acqua. Il trasferimento degli elettroni lungo i complessi respiratori avviene secondo un gradiente, gli elettroni scorrono da una componente che ha un potenziale redox più negativo (più adatto a cedere elettroni), verso una componente con potenziale redox positivo (massima disponibilità ad accettare elettroni). ES: Il NAD ridotto ha un potenziale redox pari a -315mV, l’ossigeno molecolare (accettore finale degli elettroni) ha un potenziale redox di +815mV, quindi c’è un gradiente favorevole affinché gli elettroni scorrano attraverso i complessi respiratori. Il trasferimento degli elettroni è un processo esoergonico (ΔG0