Appunti di Diritto Commerciale - PDF
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Edoardo Russo
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Questi appunti trattano di diritto commerciale, concentrandosi su concetti come contratti, società e responsabilità. L'autore, Edoardo Russo, illustra principi chiave e istituti del diritto privato con un approccio pratico volto alla comprensione dei concetti.
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DIRITTO COMMERCIALE APPUNTI DI EDOARDO RUSSO Il legislatore del codice civile, in particolare quando si occupa di norme inerenti le società, è un legislatore ordinato, pertanto è fondamentale all’interno del corso leggere e interpretare le norme. Il legislatore del codice civile utilizza frasi e p...
DIRITTO COMMERCIALE APPUNTI DI EDOARDO RUSSO Il legislatore del codice civile, in particolare quando si occupa di norme inerenti le società, è un legislatore ordinato, pertanto è fondamentale all’interno del corso leggere e interpretare le norme. Il legislatore del codice civile utilizza frasi e parole che ci portano all’esatta comprensione della portata semantica (cosa signi ca la parola?) e della portata percettiva (questa espressione serve per quale comando? Quale divieto? Quale regola?). —> Il diritto commerciale non si studia a memoria, ma capendo ciò che il legislatore vuol dire e facendolo proprio in modo attivo. Per studiare diritto commerciale è inoltre fondamentale avere in mente alcuni istituti del diritto privato. RIPASSO DI PRIVATO CON INIZIO DI COMMERCIALE IL CONTRATTO La maggior parte dei modelli societari di cui ci occuperemo nascono mediante la stipula di un contratto. L’articolo 1321 ci dice: “Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere fra loro un rapporto giuridico patrimoniale.” Il contratto è dunque anzitutto un accordo. L’accordo può intervenire fra due o più persone. Quando avviene fra due parti si parla di contratto bilaterale o a prestazioni corrispettive, in questo caso si parla anche di contrapposizione di interessi. Quando invece il contratto è fra più parti (come il contratto di società) non si parla più di contrapposizione di interessi, ma di una comunione di interessi. ESEMPIO. Il contratto di società o di consorzio sono contratti plurilaterali con comunione di scopo. Questo si contravviene dall’articolo 1420: “Nei contratti con più di due parti in cui le prestazioni di ciascuna sono erette al conseguimento di uno scopo comune”. Questa è una norma de nitoria che de nisce il contratto plurilaterale con comunione di scopo. Con il contratto di società due o più persone mettono insieme beni o servizi per l’esercizio di una attività allo scopo di dividerne gli utili. Questo contratto deve appartenere a un contratto predisposto dal legislatore? La risposta è no, nonostante il legislatore proponga dei modelli contrattuali paradigmatici. Tuttavia ai privati è concesso quello di cui ci parla l’articolo 1322, che riguarda l’autonomia contrattuale: “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”. fi fi fi Partiamo dal secondo comma. Per tipo contrattuale si intende il modello contrattuale. Noi possiamo però anche crearne di nuovi: questa autonomia che la legge riconosce ai privati conosce il solo limite che gli interessi devono essere meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Il primo comma ci dice invece che si può determinare il contenuto del contratto, cioè si può utilizzare un tipo contrattuale ma cambiarne il contenuto fra le parti per soddisfare meglio l’interesse dei contraenti. Questa modalità di autonomia contrattuale è particolarmente interessante quando si tratta di società. Il nostro sistema infatti conosce sei modelli di società lucrative (con lo scopo di divedere l’utile fra i soci) e un modello di società mutualistica. Le regole relative a ciascun modello societario si impongono così come risultano dal testo normativo? Ovviamente no, perché tanta parte di queste norme hanno natura dispositiva (le parti possono disapplicarle e sostituire a quelle altre regole di matrice contrattuale). È ovvio che non tutte le norme possono essere dispositive e le parti non potranno modi carle, ma ce lo dice già l’articolo 1322 quando ci dice ‘nei limiti imposti dalla legge’. ESEMPIO. In una società in nome collettivo tutti i soci sono amministratori della società. Questa però è una norma dispositiva e si possono nominare soci-amministratori e soci- non amministratori. All’interno della società in nome collettivo, inoltre, tutti i soci rispondono dei debiti della società e i creditori possono chiedere i soldi ai soci (responsabilità patrimoniale illimitata). In questo caso non è possibile limitare la responsabilità dei soci perché la norma è una norma imperativa. —> una norma è inderogabile in genere quando protegge terzi, interessi di altre parti. Infatti i soci possono disporre dei propri interessi (potranno decidere chi è amministratore fra loro), ma non possono disporre dei diritti dei creditori della società. LA FORMA Accade che il legislatore per taluni contratti richieda una forma solenne (la tipica è l’atto pubblico, ma può essere anche scrittura privata autenticata). Articolo 2699: “L'atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico u ciale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato.” Il contenuto dell’atto riproduce esattamente quello che è stato detto al notaio in sua presenza. Un atto pubblico quindi è la massima garanzia del vero, mentre la scrittura privata regolata dall’articolo 2702: La scrittura privata fa piena prova, no a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta. La sottoscrizione può essere autenticata dal notaio. Rispetto all’atto pubblico cambia il problema della corrispondenza al vero. Se vi è atto pubblico non c’è dubbio, se la fi ffi fi scrittura privata è autenticata il notaio si limita a dire che la rma è stata apposta in sua presenza, ma nulla sa del contenuto di quel documento. La forma non serve sempre allo stesso scopo: certe volte si può chiedere una forma solenne si ni di validità del contratto, altre volte ai ni di prova. —> nel secondo caso il contratto esiste e produce i suoi e etti, ma per far valere i diritti di quel contratto in giudizio o vi è il documento oppure non si può provare. RESPONSABILITÀ Abbiamo detto che il socio di una società in nome collettivo risponde illimitatamente e si dice che la società in nome collettivo è caratterizzata dalla responsabilità illimitata dei soci. Quando usiamo la parola RESPONSABILITà non ha sempre lo stesso signi cato: nel diritto civile quando parliamo di responsabilità dobbiamo distinguere perché potrebbe trattarsi di: - Responsabilità per debito: è quella di cui parliamo quando parliamo dei soci di una società in nome collettivo. Questa evoca la posizione di un debitore nei confronti di un creditore. L’articolo di riferimento è il 2740: “Il debitore risponde dell’ adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”. - Responsabilità per garanzia. Qui dobbiamo avere in mente l’articolo 1936 che introduce la gura del deiussore: “È deiussore colui che obbligandosi personalmente verso il creditore garantisce l’adempimento di una obbligazione altrui”. Qui il garante è tenuto al pagamento di un debito altrui. Nel diritto commerciale non ci capiterà di parlare di questa tipologia. - Responsabilità risarcitoria. Signi ca che qualcuno tiene una condotta indebita (viola un dovere) e provoca un danno a qualcun altro. Signi ca allora impegno a risarcire il danno provocato. —> Parleremo in questo caso di due vicende: dal danno provocato dall’inadempimento di un contratto e di quella che deriva da un fatto illecito. Partiamo dall’articolo 1218: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento è derivato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.” Questa è la prima norma da guardare quando si parla di responsabilità risarcitoria. Per quanto riguarda l’illecito bisogna guardare l’articolo 2043: “Qualunque fatto doloso o colposo che provochi ad altri un danno ingiusto obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno” ESEMPIO IN COMMERCIALE. Supponiamo di avere un’impresa edile e di dover riparare un tetto. Come appaltatore viene stipulato un contratto di appalto, ma l’esecuzione dell’opera potrebbe provocare un danno a un terzo. Se dovesse cadere un tubo all’automobile parcheggiata sotto pagherà l’appaltatore perché ha causato un danno ingiusto, anche senza nessun rapporto di natura contrattuale con il proprietario della macchina. La vicenda però può essere più complessa perché delle volte anche il committente è stato chiamato a risarcire il danno ad esempio perché è stato riconosciuto aver agito con colpa nella scelta dell’esecutore dell’opera. fi fi fi fi fi fi fi ff fi fi Perché ci ha fatto questo reminder sulla responsabilità? Perché in molti casi noi studenti non abbiamo le idee chiare. Quando si parla di soci di una società in nome collettivo diremo che sono illimitatamente e solidamente responsabili. Quando l’amministratore di una società per azioni svolge la propria attività senza rispettare le norme della legge e dello statuto perché (ad esempio) è al di sotto degli standard di competenza e provoca un danno alla società è tenuto a risarcire al danno. Ma queste due responsabilità (dei soci e degli amministratori) sono molto di erenti fra loro. Gli amministratori di una società per azioni non sono illimitatamente responsabili nei confronti della società perché quando si parla di loro responsabilità è perché hanno provocato un danno. Ma cosa è dunque il diritto commerciale? Possiamo de nirlo in modo rozzo come il complesso delle norme che si occupano dell’impresa, cioè dei fenomeni produttivi considerando i soggetti e le attività. I fenomeni produttivi sono oggetto dell’intervento del legislatore da più punti di vista perché il diritto tributario si occupa di questi, così come il diritto del lavoro. Ecco allora possiamo dire che il diritto commerciale è solo una parte del complesso di norme che si occupa di questi ed in particolare la parte che ha per tema i rapporti fra privati. I soggetti sono le organizzazioni produttive ed in particolare ci occuperemo delle società, che sono dal punto di vista giuridico dei soggetti, ma dal punto di vista della realtà sono realtà produttive. Le attività sono le azioni dell’operatore economico che hanno bisogno di strumenti e di regole. —> gli strumenti ( ad esempio il marchio di impresa) sono dei congegni giuridici utilizzando i quali l’operatore svolge la propria attività produttiva. Le regole guardano alla speci cità delle azioni dell’operatore economico. Il diritto commerciale si occupa inoltre delle regole appartenenti alla crisi dell’impresa che è regolata dal codice della crisi di impresa e dell’ insolvenza varato dal legislatore alcuni anni fa. All’interno di questa branca del diritto sono inoltre nati e sviluppati settori particolari: attività bancaria, assicurative, nanziaria e si sono strati cate regole speci che a seconda della grandezza dell’impresa. Il diritto commerciale non è solo quello che studieremo noi, ma ha un respiro molto più ampio. Il diritto commerciale da dove viene? Il diritto commerciale che noi studiamo deriva dall’età dei comuni nel 1300/1400 dalle corporazioni delle arti e dei mestieri. fi fi fi fi fi ff Il diritto commerciale che regola i rapporti fra privati nasce come risposta alle esigenze degli operatori economici. ESEMPIO. Nella Firenze del 300/400 nacque un ceto mercantile che si è trovato ad avere la necessità di spostare prodotti niti attraverso le navi. La risposta degli operatori economici fu proprio la nascita del contratto di assicurazione e degli assicuratori. A Firenze nacque inoltre la commenda (antenata della società in accomandita per azioni). Questa era il riconoscimento di due famiglie di soci: soci mercatores (imprenditori) e soci nanziatori. Questi ultimi hanno iniziato a godere del bene cio della responsabilità limitata anche nei confronti dei terzi creditori. —> si poteva fare un investimento senza rischiare l’intero patrimonio. VENDITA INTERNAZIONALE Se prendiamo in considerazione il commercio internazionale a dettare le regole sono delle convenzioni fra Stati. Fra un imprenditore italiano e uno statunitense ad esempio si applicherà il corpo di regole derivanti dalla Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci. Fra gli aspetti da regolare in un contratto di vendita fra un italiano e uno statunitense c’è anche chi stipula il contratto di trasporto e chi lo paga, chi si assume il rischio e a partire da quale tratto, chi si occupa dello sdoganamento. Gli operatori economici trovano una loro espressione so sticata nella camera di commercio internazionale di Parigi. Questa ha il compito di mappare e codi care le prassi degli operatori del commercio internazionale. Ha fatto dunque una ricognizione delle clausole più utilizzate dagli operatori economici nei contratti di vendita di merci con trasporto e si è resa conto che in alcuni casi i contratti contenevano clausole tese ad addossare al compratore tutte le attività (freccia in alto rossa). Quindi chi fa cosa? La camera di commercio internazionale ha standardizzato i comportamenti e ad ognuna di queste frecce corrisponde una sequenza di comportamenti standard. All’interno del contratto si inserirà la sigla che precede le frecce a seconda di come gli operatori si siano messi d’accordo. —> sarà su ciente solo una delle sigle piuttosto che scrivere tutti i passaggi. SCHEMA DA PRENDERE DA FRA. fi ffi fi fi fi fi Quali sono le fonti del diritto commerciale? Faremo riferimento per la maggior parte dei casi al codice civile, in particolare alle regole contenute nel libro V. Tuttavia è evidente che le fonti non coincidono solo con quello perché abbondante è la legislazione speciale che si occupa di temi tipici: - per il marchio d’impresa faremo riferimento al codice della proprietà industriale (che deriva da alcune direttive europee) —> è bene ricordare che il diritto commerciale italiano riceve l’impronta del diritto comunitario e dobbiamo avere in mente le direttive e i regolamenti che incidono. - Autonomia privata: esiste il precetto dettato dall’articolo 1322. Il legislatore infatti mette a disposizione i modelli societari che incontreremo nel codice civile, ma l’autonomia contrattuale consente di determinare il contenuto dell’atto costitutivo. Il fenomeno produttivo è guardato da più punti di osservazione, anche del legislatore tributario e del diritto del lavoro. Questo perché dobbiamo sempre avere precauzione nell’uso dei termini. Il codice civile detta una de nizione di imprenditore che non corrisponde sempre a quello del legislatore del diritto tributario. IMPRENDITORE Nel nostro sistema giuridico la disciplina delle attività economiche ruota intorno alla gura dell'imprenditore, del quale il legislatore dà una de nizione generale nell'art. 2082 cod. civ.: È imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al ne della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Si tratta di una de nizione che descrive un fenomeno della realtà: le nozioni in commerciale servono per descrivere le fattispecie a cui si applica una disciplina. LE PAROLE DEL DIRITTO. Fattispecie è il modello a cui deve corrispondere un fenomeno della realtà. Se il fenomeno coincide con quel modello andrà applicata quella particolare disciplina. NB. Questa de nizione va imparata a memoria perché ogni parola ha un peso. L'impresa è attività nalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi. È in sintesi attività produttiva, potendosi considerare in senso lato anche l'attività di scambio in quanto volta ad incrementare l'utilità dei beni spostandoli nel tempo o nello spazio. Per quali care una data attività come produttiva è dunque irrilevante la natura dei beni o servizi prodotti o scambiati ed il tipo di bisogno che essi sono destinati a soddisfare, anche se non è impresa l'attività di mero godimento (classico esempio quello del proprietario di immobili che ne gode i frutti concedendoli in locazione). Non vi è, però, incomparabilità fra attività di godimento ed impresa in quanto la stessa attività può costituire nel contempo godimento di beni preesistenti e produzioni di nuovi beni o servizi (così è attività di godimento e produttiva quella del proprietario di un fondo agricolo che destini lo stesso a coltivazione o per distinguerla meglio dal mero godimento l'attività del proprietario di un immobile che adibisca lo stesso ad albergo o residence: in tal caso le prestazioni sono accompagnate dall'erogazioni di servizi collaterali come la pulizia dei locali o il cambio biancheria che eccedono il mero godimento del bene) fi fi fi fi fi fi fi fi Attività economica è sinonimo di attività produttiva? No. Il legislatore usa le parole attentamente e di fatto attività economica signi ca svolta con metodo economico cioè organizzata in modo tale che sia possibile riprodurre la ricchezza consumata per produrla. —> con i ricavi della gestione bisogna essere in grado di coprire i costi. Cosa signi ca questo? Signi ca che non è imprenditore chi produca beni o servizi che vengano erogati gratuitamente o a prezzo politico, tale cioè da far oggettivamente escludere la possibilità di coprire i costi con i ricavi. Così non è imprenditore l'ente pubblico o l'associazione che gestiscono gratuitamente o a prezzo simbolico un ospedale o un istituto d'istruzione, una mensa o un ospizio per poveri. È imprenditore invece chi gestisce i medesimi servizi con metodo economico anche se ispirato da un ne pubblico o ideale. Metodo economico è dunque uguale a scopo di lucro? No. Il lucro dal punto di vista del diritto commerciale è l’avanzo di gestione. Ovviamente un operatore economico è mosso normalmente dall’intenzione di ricavare un’utile, ma il lucro non è fattore essenziale al fenomeno imprenditoriale. Corte di Cassazione n 22/955 del 2020. ‘L’ente associativo dedito esclusivamente all’attività di formazione professionale sulla base di progetti predisposti dalla regione, dalla quale riceva contributi per la copertura integrale dei costi di organizzazione non è assoggettabile al fallimento, considerato che la gratuità di una simile attività concretamente assicurata con l’erogazione dei predetti contributi escluda che l’ente operi in modo che siano remunerati, anche solo in parte, i fattori di produzione con i propri ricavi”. Quando abbiamo un ente associativo il cui scopo è la formazione professionale (con costi coperti da contributi regionali) non si è in presenza di un’impresa. Vediamo come la de nizione da cui abbiamo preso le mosse non è meramente teorica, ma quando si tratta di quali care giuridicamente un fenomeno della realtà occorre attribuire una portata percettiva precisa agli elementi individuati nell’articolo 2082, con particolare riguardo al fattore dell’economicità. SUL LUCRO Quando si parla di lucro di solito si distingue fra lucro oggettivo e soggettivo. Il lucro oggettivo è quello che risulta dalla di erenza positiva fra ricavi e costi, mentre il lucro soggettivo è la percezione dell’utile da parte dell’operatore economico. —> nel diritto societario ciò che muove i soci a organizzarsi per esercitarsi in comune l’attività produttiva è conseguire un utile al ne della ripartizione. Il lucro ne oggettivo , ne soggettivo è essenziale al fenomeno imprenditoriale: possiamo riconoscere impresa anche dove il lucro non c’è, basta che vi sia il metodo economico. fi fi fi fi ff fi fi fi NB. Se una vicenda produttiva concretamente evidenzia costi maggiori dei ricavi non è che non si è in presenza di una impresa, ma si è in presenza di un’impresa in di coltà. Il metodo economico rappresenta dunque l’estratta capacità di quella organizzazione produttiva a riprodurre la ricchezza consumata. Non vi è impresa quindi quando il metodo economico è radicalmente assente, cioè quando si tratta di una attività istituzionalmente esercitata con metodo non economico. ESEMPI. Il concetto di imprenditore e impresa da tempo sono in via di rivisitazione. Le tracce di questo processo le troviamo in due testi normativi a cui secondo lei si da poca attenzione: - codice del terzo settore: parliamo del decreto legislativo n. 117/2017. La de nizione contenuta all’articolo 4: “Sono enti del terzo settore: le organizzazioni di volontariato, le associazioni di produzione sociale, gli enti lantropici, le imprese sociali (incluse le cooperative sociali), ecc e gli altri enti di carattere privato costituiti per il perseguimento senza scopo di lucro di nalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento in via esclusiva o principale di una o più…” Dentro queste ritroviamo le organizzazioni di volontariato e le cooperative sociali che svolgono attività di produzioni di beni o prestazioni di servizi. In questo contenitore troveremo organizzazioni che sicuramente non sono impresa perché istituzionalmente l’attività è svolta senza metodo economico, ma troveremo altri fenomeni riconducibili all’articolo 2082 e vi è dunque impresa. —> l’attività di impresa è compatibile con il terzo settore, ma la condizione che il legislatore impone è che sia escluso lo scopo di lucro (articolo 8). - Disciplina dell’impresa sociale: decreto legislativo 112/2017. Le imprese sociali le troviamo all’interno degli enti del terzo settore, tuttavia per le loro speci che caratteristiche hanno una disciplina apposita. L’impresa sociale è una vera e propria impresa, ma quello che è escluso è lo scopo di lucro. LE PAROLE DELLA NORMA: PROFESSIONALMENTE. Con questo termine il legislatore non vuole intendere che sia l’attività esclusiva o principale, ma signi ca non occasionalità. Professionalità signi ca esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva. —> ci porta a dire che non è imprenditore chi compie un'isolata operazione di acquisto e di successiva rivendita, ma neanche chi compie una pluralità di atti economici coordinati quando circostanze oggettive palesano il carattere non abituale ed occasionale dell’attività. ATTIVITà STAGIONALI E PLURALITà DI ATTIVITà. La professionalità non implica però che l'attività imprenditoriale debba essere necessariamente svolta in modo continuato e senza interruzioni: per le attività cicliche o stagionali è su ciente il costante ripetersi di atti di impresa secondo le cadenze proprie di quel dato tipo di attività. La professionalità non implica neanche che quella d'impresa sia l'attività unica o principale: è imprenditore anche il professore che gestisce un negozio o un albergo. Qui emerge il tema de l’unico a are. fi fi fi ff fi ffi fi fi ffi ESEMPIO PROF PER COMPRENDERE. Supponiamo di organizzare uno spettacolo teatrale, a ttando il teatro e curando allestimento e scene e chi vuole assistere paga un biglietto. Questa vicenda implica attività d’impresa? Se organizzo un concerto di Ligabue avrò bisogno di un’organizzazione tecnica. L’organizzazione di questo concerto implica attività d’impresa? La risposta a queste due domande deriva dalla valutazione dei fenomeni della realtà e non si può dare una risposta astratta. Nel primo caso allesto uno spettacolo amatoriale, il secondo caso è tutta un’altra cosa da un punto di vista organizzativo ed economico. Nel primo caso potremo dire che impresa non c’è, nel secondo caso magari si perché mi ci vuole molto tempo per organizzare il tutto, avrò bisogno di diverse attrezzature. —> il fatto che si tratti dal punto di vista economico di un unico a are non esclude il requisito della professionalità e dunque che si possa trattare di un’impresa. CAMPOBASSO. Impresa si può avere anche quando si opera per il compimento di un unico a are. Questo avviene quando il singolo a are implica il compimento di operazioni molteplici e complesse e l'utilizzo di un apparato produttivo idoneo ad escludere il carattere occasionale e non coordinato. Così diventa imprenditore anche il costruttore di un singolo edi cio. La professionalità va accertata in base ad indici esteriori ed oggettivi. LE PAROLE DELLA NORMA: ORGANIZZATA Quando parliamo di organizzazione parliamo della combinazione dei fattori produttivi. L’operatore economico che voglia svolgere un’attività descritta dall’articolo 2082 deve servirsi di un apparato produttivo e questo è frutto dell’attività organizzativa svolta dall’operatore economico. Quando parliamo di organizzazione produttiva parliamo di azienda, cioè frutto dell’attività consistente nella combinazione di fattori produttivi da parte dell’imprenditore. —> l’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Anche qui possiamo dire che l’organizzazione produttiva è un fenomeno normale dell’attività imprenditoriale e da un certo livello dimensionale in su è addirittura necessaria. I manuali però pongono il problema del livello di organizzazione minimo perché possa dirsi che c’è impresa. Secondo lei è una questione molto superata e comunque i fenomeni imprenditoriali che noi prenderemo in considerazione sono fenomeni che implicano l’organizzazione produttiva. —> possiamo dire che il tema dell’organizzazione è un tema risolto. IL PROBLEMA DAL MANUALE. Visto ciò che è normale un livello di organizzazione, resta da precisare ciò che è essenziale a nché una data attività produttiva possa dirsi organizzata in forma di impresa. ff ffi fi ffi ff ff IL LAVORO. La sempre più ampia fungibilità fra lavoro e capitale e la possibilità che l'attività produttiva raggiunga dimensioni notevoli pur senza l'utilizzo di lavoratori impongono la conclusione che l'organizzazione imprenditoriale può essere anche organizzazione di soli capitali e del proprio lavoro intellettuale e/o manuale. IL CAPITALE. Non è necessario inoltre che l'attività organizzativa dell'imprenditore si concretizzi nella creazione di un apparato strumentale sicamente percepibile (locali, macchinari, mobili, ecc.). È ben vero che non vi può essere impresa senza impiego ed organizzazione di mezzi materiali, ma questi possono ridursi al solo impiego di mezzi nanziari propri o altrui (abbiamo già parlato delle attività di nanziamento e investimento). Possiamo affermare che ciò che quali ca l'impresa è l'utilizzazione di fattori produttivi (ed anche il capitale nanziario è un fattore produttivo) ed il loro coordinamento da parte dell'imprenditore per un ne produttivo. In de nitiva, la qualità di imprenditore non può essere negata - per difetto del requisito dell'organizzazione - sia quando l'attività è esercitata senza l'ausilio di collaboratori (autonomi o subordinati), sia quando il coordinamento degli altri fattori produttivi (capitale e lavoro proprio) non si concretizzi nella creazione di un complesso aziendale materialmente percepibile. Sintomatico è poi che il requisito dell'organizzazione sia richiesto per l'imprenditore e per il piccolo imprenditore, ma non per il lavoratore autonomo. Complessivamente considerati questi dati confermano che un minimo di organizzazione di lavoro altrui o di capitale è pur sempre necessaria per aversi impresa sia pure piccola ed in mancanza si avrà semplice lavoro autonomo non imprenditoriale. —> semplici lavoratori autonomi restano i prestatori d'opera manuale, i mediatori e gli agenti di commercio n quando si limita a utilizzare mezzi materiali in espressivi, n quando cioè non si può ritenere superata la soglia della semplice autoorganizzazione del proprio lavoro. Il tema dell’organizzazione è stato recentemente preso in considerazione dal legislatore che ne ha fatto un particolare obbligo in caso dell’operatore economico. Per capirlo guardiamo l’articolo 2086 del codice civile secondo comma: “L’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva ha il dovere di istituire un assetto organizzativo amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa”. La realizzazione di un apparato organizzativo in senso ampio è un dovere per l’operatore economico perché lo scopo del legislatore è che attraverso questo si possa rilevare tempestivamente la crisi dell’impresa e la perdita della continuità aziendale. Lo capiamo legandolo all’articolo 3 del codice della crisi e dell’ insolvenza: “ L’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo Stato di crisi e ad assumere senza indugio le iniziative necessarie a fargli fronte. L’imprenditore collettivo deve istituire un assetto amministrativo, organizzativo e contabile adeguato ai sensi dell’articolo 2086 del codice civile ai ni della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e della soluzione di idonee iniziative.” fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi LE PROFESSIONI INTELLETTUALI È possibile che un fenomeno della realtà che abbia tutte le caratteristiche dell’articolo 2082 del codice civile non sia un’impresa? Si è possibile con riguardo ad un fenomeno particolare : le professioni intellettuali. Di queste parla il libro V del codice civile dall’articolo 2229 e seguenti. Le professioni intellettuali sono attività che dal punto di vista economico consistono in prestazione di servizi a essenziale contenuto intellettuale. Quindi il professionista mette a disposizione l’esperienza e la competenza. Perché siamo fuori dall’attività d’impresa? Unicamente per ragioni storiche. PLLOLA STORICA PER CAPIRE. Nel 1942 l’attività produttiva quali cabile come impresa e i soggetti quali cabili come imprenditori erano gli artigiani, i piccoli commercianti. Di fatto è proprio in quegli anni che si iniziava ad a acciare il fenomeno della grande impresa anche in Italia. Dunque l’avvocato, il commercialista o il medico erano distanti anni luce dal punto di vista dell’attività dal fenomeno imprenditoriale. Quindi è stato inevitabile che il legislatore escludesse i professionisti intellettuali dal mondo dell’imprenditore. Questa distinzione permane ancora oggi perché il mondo dei liberi professionisti è un mondo che è custodito gelosamente da chi ne è protagonista. Per capirlo guardiamo l’articolo 2229: La legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi. L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente. Dunque le professioni intellettuali sono anzitutto le professioni riconducibili a ordini professionali, che per l’esercizio della propria attività devono essere iscritti in appositi albi. Nel tempo il fenomeno della necessità di iscriversi agli ordini e albi si è ampliato ed esistono ordini di vario genere e tipo. Guardiamo anche l’articolo 2232: Il prestatore d'opera deve eseguire personalmente l'incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l'oggetto della prestazione. Quello che li caratterizza è dunque anche la cosiddetta personalità della prestazione: non è una organizzazione produttiva, ma una persona in carne ed ossa che personalmente svolge la propria attività. Ma esistono professioni intellettuali non riconducibili ad albi o elenchi? Se si, si tratta di impresa? fi ff fi L’esperto di marketing, il programmatore software sono operatori economici che prestano servizio a contenuto intellettuale pur senza avere un ordine professionale di appartenenza. I manuali dicono dipende dal modo in cui viene esercitata l’attività. DAL MANUALE. Quanto n qui esposto vale, ovviamente, sempreché si sia in presenza di attività quali cabile come esercizio di professione intellettuale. In pratica però non sempre è agevole stabilire se una data attività costituisce professione intellettuale e ricade perciò nell'ambito di applicazione dell'art. 2238. È tuttavia opinione prevalente e corretta che a tal ne non si debba dar rilievo solo all'etichetta legislativa di professione intellettuale o al fatto che sia prevista l'iscrizione in albi professionali (criterio formale). Decisivo è invece il carattere eminentemente intellettuale dei servizi prestati (criterio sostanziale). ESEMPIO: IL FARMACISTA. È perciò oggi del tutto paci co che sia imprenditore commerciale il farmacista, benché quali cato per legge come professionista intellettuale: Oggetto prevalente dell'attività del farmacista è, infatti, la vendita al pubblico di specialità farmaceutiche acquistate dalle case produttrici. Fra farmacista e clienti intercorrono pertanto rapporti di compravendita e non di prestazione d'opera intellettuale. La conseguenza più importante di non essere considerati imprenditori no a qualche anno fa era l’esenzione dal fallimento, oggi però non è più così perché il legislatore ha avvicinato le regole riguardanti l’imprenditore e l’impresa e quelle riguardanti i professionisti intellettuali. Se guardiamo il codice della crisi e dell’ insolvenza all’articolo 1 enuncia: “Il presente codice disciplina le situazioni di crisi o insolvenza del debitore, sia esso consumatore o professionista, ovvero imprenditore che eserciti anche non a ni di lucro un’attività commerciale artigiana o agricola operando quale persona sica, giuridica o altro ente collettivo” Oggi dunque ci stanno dentro tutti all’interno del codice della crisi, anche il professionista intellettuale, al quale sarà applicata una procedura concorsuale speci ca (sovra- indebimento). C’era un’inconveniente no a qualche anno fa: quando più professionisti esercitano insieme l’attività costituiscono uno studio associato, chiamato giuridicamente associazione professionale. Rarissimo era imbattersi in una società di professionisti: le professioni intellettuali sono attività che no a qualche anno fa erano incompatibili con la forma societaria. Questo perché la società è un soggetto giuridico che si frappone fra il cliente e il professionista e non era possibile il rapporto diretto fra professionista e cliente, ma da qualche anno a questa parte il legislatore ha concesso anche la creazione di società fra professionisti intellettuali iscritti in albi o elenchi. —> qui ciascuno dei soci professionisti è però tenuto a instaurare un rapporto personale con il cliente. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi INIZIO DI UN’IMPRESA È importante da capire quando inizia e quando nisce un’impresa perché solo se da un certo momento in poi si può dire che c’è attività d’impresa allora si può anche dire che da quel momento si applica la relativa disciplina. Il legislatore per quanto riguarda l’inizio dell’impresa non fa dipendere questo dall’iscrizione nel registro delle imprese. Se il legislatore tace dovranno ragionare gli interpreti e i giudici. INTERPRETI. Gli interpreti dicono che si debba distinguere a seconda che si tratti di imprenditori individuali, imprese collettive (diversa dalla società come un’associazione che eserciti anche attività d’impresa) e le società in generale. - per gli imprenditori individuali e le imprese collettive: il principio da applicare è il principio di e ettività. Bisogna capire dunque quando un’attività che ha le caratteristiche dell’articolo 2082 cominci ad esistere, in altre parole quali care giuridicamente la realtà. L’orientamento prevalente (anche in giurisprudenza) è quello che attribuisce rilevanza anche alla fase organizzativa a condizione che questa sia non equivocabile di un’avvio di un’attività produttiva in senso proprio (VEDASI PARTE SUCCESSIVA SU ATTIVITà DI ORGANIZZAZIONE E DI ESERCIZIO). - Per le società: la giurisprudenza dice che nel caso di società l’attività di impresa inizia nel momento in cui la società viene costituita attraverso l’atto costitutivo e la registrazione nel registro delle imprese. Questo perché la società ha ragione d’esistere solo in vista dell’attività produttiva per lo svolgimento della quale è costituita. MANUALE. La qualità di imprenditore si acquista con l’e ettivo inizio dell’esercizio dell’attività di impresa: la stessa iscrizione nel registro delle imprese non è condizione né necessaria, né su ciente. Le società acquisterebbero la qualità di imprenditori n dal momento della loro costituzione e dunque prima dell’e ettivo inizio dell’attività imprenditoriale in quanto per le società lo svolgimento di attività di impresa costituisce la ragione stessa della loro costituzione. ATTIVITà DI ORGANIZZAZIONE E DI ESERCIZIO. In mancanza di una fase preparatoria solo la ripetizione nel tempo di atti di impresa omogenei renderà certo che non si tratta di atti occasionali, ma di attività professionalmente accertata. Se ciò è paci co è controverso se l’inizio dell’impresa possa essere anticipato: se cioè si possa diventare imprenditore già durante la fase preliminare di organizzazione; infatti anche l’organizzazione della produzione è attività tipicamente imprenditoriale ed è attività che pone esigenze di tutela del credito non diverse da quelle che sorgono durante l’esercizio. —> gli atti organizzazione determineranno l’acquisto della qualità di imprenditore quando -per il loro numero e/o signi catività- manifestano in modo non equivoco lo stabile orientamento dell’attività verso un determinato ne produttivo. LA FINE DELL’IMPRESA Per quanto riguarda la cessazione dell’attività di impresa leggiamo direttamente la norma che è l’articolo 33 del codice della crisi e dell’ insolvenza che enuncia: “La ff ffi fi ff fi fi fi ff fi fi liquidazione giudiziale può essere aperta entro un anno dalla cessazione dell’attività del debitore se l’insolvenza si è manifestata anteriormente o entro l’anno successivo.” È importante capire quando l’attività di impresa cessa, dunque, perché a partire da quel momento si inizia a contare l’anno entro cui i creditori possono chiedere la liquidazione giudiziale. Il secondo comma aggiunge “Per gli imprenditori la cessazione dell’attività coincide con la cancellazione dal registro delle imprese.” NOTA LA DIFFERENZA. Per l’inizio dell’attività non si guarda all’iscrizione nel registro delle imprese, per la cessazione dell’attività si guarda alla cancellazione dal registro delle imprese. Questo sia che si tratti di imprenditori individuali, sia che si tratta di società. C’è un MA. Infatti per taluni operatori economici l’iscrizione nel registro delle imprese è condizione di esistenza, ma altri (come gli imprenditori individuali) potrebbero acquistare la quali ca di imprenditore a prescindere dall’iscrizione nel registro delle imprese. Quindi la società in nome collettivo può essere una società di fatto, senza iscrizione nel registro delle impresa. Infatti la norma continua: “Per gli imprenditori la cessazione dell’attività coincide con la cancellazione dal registro delle imprese e se non iscritti dal momento in cui i terzi hanno conoscenza della cessazione stessa” Torna così nuovamente il principio di e ettività per quelle attività di impresa che non necessitano l’iscrizione nel registro delle imprese. Bisognerà guardare allora alla dissoluzione del suo apparato produttivo, ma bisogna anche questa dissoluzione sia stata portata a conoscenza dei terzi. INCAPACITÀ DI AGIRE RIPRESA DA PRIVATO. La capacità giuridica è la capacità di essere titolari di diritti (si acquista con la nascita) , mentre la capacità di agire può diminuire o essere perduta totalmente durante il corso della vita, nei casi di incapacità parziale o totale di agire. La capacità all’esercizio di attività di impresa si acquista con la piena capacità di agire e quindi al compimento del 18 anno di età: si perde in seguito ad interdizione o inabilitazione. INCOMPARABILITà. Non costituiscono limitazioni alla capacità di agire, ma semplici incompatibilità, i divieti di esercizio di impresa commerciale posti a carico di coloro che esercitano determinati u ci o professioni. Notiamo che si possa trattare di Tizio imprenditore, ma potrebbe trattarsi anche di Caio che partecipi ad una società. Questo perché il legislatore ha in mente che l’incapace di agire possa esercitare personalmente attività di impresa, ma possa anche partecipare ad una società di persone. Con “incapace di agire” facciamo riferimento a: - Minore d'età fi ffi ff - Interdetto: Maggiorenne le cui condizioni di salute/ vicende personali menomano la capacità di agire —> Art. 414 c/c : “Il maggiore di età e il minore emancipato , i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione” L’interdizione è la privazione delle capacità di agire a seguito di una pronuncia giudiziale: viene nominato un tutore che agisce in suo nome e nel suo interesse - Inabilitato: non è totalmente privato della capacità di agire ed è a ancato da un curatore. —> Art.415: “Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo all'interdizione, può essere inabilitato. Possono anche essere inabilitati coloro che, per o per abuso abituale di bevande alcooliche o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Possono in ne essere inabilitati il sordo e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia” Può quindi capitare che uno di questi soggetti si trovi a svolgere attività d’impresa? Le norme ci dicono di sì e si riferiscono all’esercizio di un’impresa commerciale. Vi devono però essere delle condizioni: 1 L’impresa deve essere continuata, non iniziata ex novo 2 E’ necessaria un’apposita autorizzazione del giudice 3 E’ esercitata in nome del minore dal genitore, in nome dell’interdetto dal tutore e PERSONALMENTE dall’inabilitato. Il giudice tutelare che autorizza la prosecuzione dell’attività dell’ inabilitato quasi sempre nomina un institore (sorta di direttore generale che a anca l’imprenditore inabilitato). MANUALE. L’amministrazione del patrimonio degli incapaci è regolata in modo da garantirne la conservazione e l’integrità. Il legislatore considera con sfavore l’impiego del patrimonio degli incapaci in attività commerciali e in tale prospettiva pone un divieto assoluto di inizio di impresa commerciale (salvo per il minore emancipato): è pertanto possibile solo la continuazione dell’esercizio. L’esercizio di impresa commerciale richiede scioltezza e rapidità di decisioni, che sono incompatibili sia con la distinzione fra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, sia col sistema di autorizzazione atto per atto: ciò spiega perché l’autorizzazione del tribunale all’esercizio di impresa commerciale ha carattere generale e comporta un sensibile ampliamento dei poteri del rappresentante legale dell’incapace o del limitatamente capace. Guardiamo ora le norme: - Minore d’età: Art 320 comma 5: “L'esercizio di una impresa commerciale non può essere continuato se non con l'autorizzazione del giudice tutelare” ffi fi ffi —> questa norma si occupa della rappresentanza e dell’amministrazione dei beni del minore. - Interdetto: Art. 424: “Le disposizioni sulla tutela dei minori e quelle sulla curatela dei minori emancipati si applicano rispettivamente alla tutela degli interdetti e alla curatela degli inabilitati...” —> anche qui, dunque, benché non esplicitato si fa riferimento all’autorizzazione del giudice tutelare - Inabilitato: Art. 425: “L'inabilitato può continuare l'esercizio dell'impresa commerciale soltanto se autorizzato dal giudice tutelare. L'autorizzazione può essere subordinata alla nomina di un institore.” —> qui c’è scritto che può essere subordinata, ma nella maggior parte dei casi il giudice nomina un institore che a anca l’inabilitato. Inoltre l’inabilitato, a di erenza degli altri due, eserciterà personalmente l’impresa, sia pure con l’assistenza del curatore o institore. AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO. Il bene ciario dell’amministratore di sostegno conserva invece capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva. Di conseguenza egli potrà liberamente iniziare o proseguire un’attività di impresa senza assistenza (salvo che il giudice tutelare disponga diversamente). —> i provvedimenti autorizzativi del tribunale e i provvedimenti di revoca sono comunque soggetti ad iscrizione nel registro delle imprese. INCAPACI E SOCIETà Le norme che abbiamo appena visto fanno riferimento al caso in cui trattiamo di imprenditori individuali. Se invece si tratta di società le cose possono essere leggermente di erenti. Per quanto riguarda le società di persone dobbiamo guardare all’articolo 2294: “La partecipazione di un incapace alla società in nome collettivo è subordinata in ogni caso all'osservanza delle disposizioni degli articoli 320, 371, 397, 424 e 425”. Le società di persone sono modelli societari caratterizzati dal fatto che i soci sono illimitatamente responsabili. E’ chiaro che il minore sarebbe esposto al rischio di impresa e non è possibile farlo se non con l’autorizzazione del giudice. Perciò si tratta di una identica disciplina a quella che abbiamo visto nel caso degli imprenditori individuali. Per quanto riguarda le società di capitali dobbiamo comprendere che le azioni sono considerate dal legislatore come dei beni. —> La partecipazione sociale non espone il socio alla responsabilità illimitata e non espone il suo restante patrimonio al rischio d’impresa: non c’è bisogno di applicare questa disciplina. Le norme relative all'interdizione e all’ inabilitazione sono da qualche anno superate: il legislatore ha introdotto la gura dell’amministratore di sostegno. Per capire di cosa sia tratta leggiamo l’articolo 404: ff ffi fi fi ff “La persona che, per e etto di un'infermità ovvero di una menomazione sica o psichica, si trova nell’ impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio” Ci troviamo dinanzi alla prospettiva rovesciata: chi si trova nominato un amministratore di sostegno è pienamente capace di agire a meno che il giudice caso per caso riduca questa capacità. —> non ci sono norme che valgono in tutti i casi in cui viene nominato un amministratore di sostegno e bisognerà vedere caso per caso. LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE. L’incapace resta perciò esposto a tutte le conseguenze che derivano dalla titolarità di un’impresa commerciale , ivi compreso l’assoggettamento alla procedura della liquidazione giudiziale. L’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del minore solleva tuttavia delicati problmi di giustizia sostanziale. È invero iniquo far ricadere tali e etti, soprattutto le sanzioni penali, sul minore; ma sia pure con qualche sforzo interpretativo è possibile evitare che le sanzioni penali colpiscano il minore. —> ciò sopratutto se si da rilievo non al nomen bensì alla posizione nell’impresa e al potere di rappresentanza legale. Più arduo è invece sottrarre il minore alle incapacità personali della liquidazione giudiziale: ciò in quanto tali incapacità conseguono automaticamente dall’apertura della procedura e l’apertura della liquidazione giudiziale può avvenire solo nei confronti del minore in quanto imprenditore commerciale. Non del genitore o del tutore che imprenditore non è. Risulta da alcuni provvedimenti: - Gennaio 2005 tribunale di Roma: titolare della quota di maggioranza di una società di persone di cui era amministratrice unica, vi era un problema di amministrazione/ a ancamento. Il giudice ha nominato un amministratore di sostegno e ha ritenuto che fosse necessario nel caso concreto applicare analogicamente l’Art. 2294. IMPUTAZIONE DELL’ATTIVITà DI IMPRESA E WALTER BIGIAVI MANUALE. L’individuazione del soggetto cui è imputabile la disciplina dell’attività di impresa non solleva particolari problemi quando gli atti di impresa sono compiuti direttamente dall’interessato. Infatti è principio generale che centro di imputazione degli e etti dei singoli atti giuridici è il soggetto e solo il soggetto il cui nome è stato validamente speso. —> questo criterio di imputazione risponde ad esigenze di certezza giuridica. Il problema è il legame tra attività e soggetto. A chi correliamo l’attività d'impresa? Chi è l’imprenditore e chi è tenuto all’ osservanza delle norme? Nel nostro paese non vi è un adempimento formale, e in particolare non è necessario che vi sia l’iscrizione nel registro delle imprese per alcune tipologie di imprese. —> La mancata iscrizione non compromette l’acquisto della qualità di imprenditore. “Esercita” è l’ unico verbo che il legislatore ci fornisce da l’art. 2082. ffi ff ff ff fi Gli interpreti e la giurisprudenza non hanno esitazione: il dato giuridicamente rilevante è la SPENDITA DEL NOME: imprenditore è colui nel nome del quale l’attività è svolta. —> quando parliamo di attività parliamo di una combinazione di atti di natura giuridica e materiale. Quando si tratta di quelli di giuridici questi devono essere compiuti in nome di qualcuno. Il legislatore non ssa un diverso criterio di imputazione dell’attività di impresa e della sua disciplina: ciò implica che la qualità di imprenditore è acquistata dal soggetto e solo dal soggetto il cui nome è stato speso. L’IMPRENDITORE OCCULTO Ma la questione non si chiude qui: Walter Bigiavi si è posto questo problema: supponiamo che Tizio risulti svolgere un’attività d’impresa, ma supponiamo anche che non decida nulla riguardo a quell’attività poiché non è altro che il braccio operativo di Caio (è lui che decide cosa fare). Il rischio d’impresa e dunque le conseguenze negative dell’esercizio (debiti) su chi incidono? Tizio o anche Caio? I creditori a chi chiedono il pagamento? Walter Bigiavi ha sostenuto questa tesi in ‘l’imprenditore occulto’ e ‘la difesa dell’imprenditore occulto’: nel nostro ordinamento giuridico è possibile a ermare l’esistenza di un principio cardine, ovvero la necessaria correlazione tra potere e rischio. —> Chi prende le decisioni relative a una data vicenda produttiva (=potere) è colui sul quale deve incidere il rischio di impresa (deve corrispondere ai creditori). Al dato meramente formale (spendita del nome) Bigiavi ha corrisposto un dato sostanziale. Infatti altro è il soggetto (persona sica o giuridica) che compie in proprio nome i singoli atti di impresa (imprenditore palese o prestanome); altro è il soggetto che somministra al primo i necessari mezzi nanziari, dirige l’azienda e fa suoi i guadagni (il dominus). Questa però non è rimasta solo una teoria e una domanda posta dallo studioso e di fatto il nuovo codice crisi ed insolvenza all’articolo 256: 1 comma: “La sentenza che dichiara l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti di una società...(con soci illimitatamente responsabili)... produce l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale anche nei confronti dei soci, pur se non persone siche, illimitatamente responsabili.” In questo caso l’imprenditore è la società in nome collettivo ma le procedure di liquidazione giudiziale sono 4 (società e 3 soci responsabili). I creditori di quella società in nome collettivo possono rivolgersi alla società o ad ognuno dei soci illimitatamente responsabili. ESEMPIO. Supponiamo adesso: 4 soci, 3 palesi ed 1 occulto mai apparso nei rapporti con i terzi (creditori sociali): si apre la procedura anche nei suoi confronti. Infatti il 4 comma enuncia : “Se dopo l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale della società risulta l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, (...) dispone l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti dei medesimi.” fi fi fi fi ff —>Se dopo l’apertura della procedura se ne aggiungono altri illimitatamente responsabili il tribunale apre la procedura anche nei loro confronti. ALTRO ESEMPIO. Tizio imprenditore apparentemente individuale che esercita in proprio nome. Si apre liquidazione giudiziale e si scopre l'esistenza di Caio suo socio occulto. —> Qui è rimasta nascosta la natura della società stessa in quanto si credeva si trattasse di impresa individuale. Ai creditori risponde chi? Risposta del legislatore con il 5 comma Comma 5: “Allo stesso modo si procede quando, dopo l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti di un imprenditore individuale o di una società, risulta che l'impresa è riferibile ad una società di cui l'imprenditore o la società è socio illimitatamente responsabile.” —> E’ lo stesso legislatore in questo caso a ritenere irrilevante la spendita del nome attribuendo più rilevanza alla sostanza che alla forma. IMPLICAZIONI DEL TEMA SOLLEVATO DA WALTER BIGIAVI. Partiamo da un esempio: Tizio e Caio in società per azioni. Tizio socio per il 95%, Caio per il 5%. Società per azioni: limitazione responsabilità dei soci, risponde solo la società con il proprio patrimonio. Ma supponiamo che Tizio sia socio di maggioranza e che adoperi la società come uno schermo da frapporre tra sé e il resto del mondo (lui vero Dominus della società) : si parla di “abuso della limitazione di responsabilità”. Soluzione? Si tratterebbe di far cadere il bene cio di limitazione di responsabilità, ma no. Esso è tutelato come strumento indispensabile perché crescano le vicende produttive. Allora, come vedremo, il legislatore introduce la responsabilità risarcitoria al posto della responsabilità per debito. MANUALE. Non lo aggiungo perché Campobasso va contro Bigiavi; mentre la Gandini è a favore della sua teoria. (Che poi certo che la legge fa schifo se non si mettono d’accordo manco davanti le leggi e ognuno scrive quello che vuole) L’IMPRENDITORE E LE CATEGORIE Nella realtà l’imprenditore non è mai SOLO quello dell’ Art. 2082. Il codice civile distingue diversi tipi di imprese e di imprenditori in base a tre criteri di selezione, operanti su piani diversi: - l’oggetto dell'impresa, che determina la distinzione fra imprenditore agricolo (art. 2135) e imprenditore commerciale (art. 2195); - la dimensione dell'impresa, che serve ad enucleare la gura del piccolo imprenditore (art. 2083) e, di ri esso, quella dell'imprenditore medio-grande; fl fi fi - la natura del soggetto che esercita l'impresa, che determina la tripartizione legislativa fra impresa individuale, impresa costituita in forma di società ed impresa pubblica. La distinzione più rilevante è quella fra imprenditore agricolo ed imprenditore commerciale. Una volta che abbiamo stabilito che si tratti di imprenditore agricolo O di imprenditore commerciale cambiano le regole da applicare. —>Un tempo la di erenza di implicazioni normative era maggiore di oggi. I manuali continuano a proporre anche una terza gura: imprenditore civile. Secondo quasi tutti gli interpreti non vale la pena di perdere tempo. LA DISTINZIONE SECONDO L’OGGETTO: IMPRENDITORE AGRICOLO Guardiamo l’articolo 2135 c/c: 1 comma: “È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse...” Il primo comma reca la de nizione proponendoci due famiglie di attività agricole: “essenziali” e “per connessione”. Attività agricole essenziali: la selvicoltura è la coltivazione del bosco (non il taglio del bosco); allevamento di qualunque tipo di animali (prima era solo “bestiame”, ovvero da carne, latte, lana e lavoro); 2 comma: “Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine” Indica due fattori essenziali: il ciclo biologico e l’attitudine allo sfruttamento del fondo + Ciclo biologico: se compro bestiame per rivenderlo non curo il ciclo biologico, sono solo un commerciante di bestiame. + + Legame con fondo/acque dolci-salmastre-marine: il legislatore dice che utilizzano o possono utilizzare i luoghi: il nesso deve essere quantomeno possibile. ESEMPIO. L'allevamento in batteria di polli: non toccavano mai il pavimento. C’è attività agricola o no? Non c'è il nesso con il campo/ fondo. ALTRO ESEMPIO. Agricoltura in serra. Una volta si sarebbe detto non si tratta di attività agricola perché attività agricola è quella che ha che fare con il terreno (ambiente naturale) e rischio ambientale (se piove a dirotto o grandina, l’imprenditore agricolo ha perso tutto). Oggi invece il legislatore ha fatto una scelta di erente riformulando l’articolo 2135: quel che conta è che ci sia la cura e lo sviluppo del ciclo biologico (o una fase) e vi sia almeno l’attitudine ad utilizzare il fondo (l’insalata crescerebbe nel campo, ma io ho la tecnologia per farla crescere in serra). PLUS. Forse rimangono fuori quei vegetali che niscono nel nostro piatto ma che se seminati in campo non crescerebbero a atto (mondo del geneticamente modi cato). ff fi ff ff fi fi fi Dunque: per riconoscere un’attività agricola essenziale sono irrilevanti le dimensioni, le modalità di svolgimento dell'attività ed in particolare le tecnologie utilizzate, così come la natura del soggetto che svolge l’attività (tizio, società per azioni, società cooperativa) perché ciò che è importante è solo il ciclo biologico e una possibile relazione con il fondo. Attività agricole per connessione: sono attività che per loro natura non sono agricole. Sono attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione di prodotti ottenuti mediante la coltivazione di fondo, bosco o allevamento di animali. ESEMPIO. Se entro in un negozio di frutta e verdura, ho a che fare con un imprenditore agricolo o commerciale? Dipende. Di per sé quella sarebbe un’attività commerciale (non c’entra il ciclo biologico o il fondo), tuttavia il legislatore riquali ca giuridicamente queste attività e lo fa se ricorrono quei particolari ingredienti che danno vita alla connessione. Per capirlo leggiamo il 3 comma dell’articolo 2135 cc: “Si intendono (comunque) connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente* dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali” Rileviamo i due elementi della connessione: - Connessione soggettiva: chi svolge una di queste attività deve essere anche anzitutto imprenditore agricolo (svolge anche un’attività agricola essenziale). —> coltivo patate e le vendo in un negozio che apro in città *“Prevalentemente” = bisogna che oggetto di quella attività siano prodotti ottenuti svolgendo un’attività agricola essenziale, almeno in misura prevalente. —> io coltivo un vigneto e costituisco una cantina per i vini. Lavoro in questa cantina usando anche le uva dei viticoltori della zona. Bisognerà vedere in che misura utilizzo l’uva prodotta nel mio vigneto e quella prodotta negli altri. Se è prevalente quella prodotta nel mio vigneto sarò ancora considerato imprenditore agricolo, ma se è prevalente la manipolazione di uva prodotta da altri non c’è più connessione ed io sarò imprenditore agricolo (in quanto coltivo vigna) e imprenditore commerciale (perché gestisco l’attività i vinicolazione). - Connessione oggettiva: deve lavorare prodotti prevalentemente derivanti dalla propria attività agricola essenziale. Poi vi è la seconda famiglia di attività agricole per connessione, prosecuzione 3 comma... “nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come de nite dalla legge” E’ qui compreso, ad esempio, il mondo dell’agriturismo. Supponiamo che più imprenditori agricoli che esercitano un’attività agricola essenziale costituiscano una società cooperativa che costruisce e gestisce una cantina per la vini cazione dell’uva dei soci (cd. cantine sociali). fi fi fi L’attività svolta da quella società è agricola per connessione o un’attività commerciale? La società cooperativa che gestisce la cantina non è lo stesso soggetto che coltiva/ alleva (chi coltiva o alleva sono i soci, non la società): sembra che salti la connessione soggettiva. Interviene il legislatore con alcune leggi speciali per risolvere il problema Prima norma: decreto legislativo n. 228 del 2001 Ha riscritto tutto l’articolo 2135 introducendo questa norma: “Si considerano imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi quando utilizzano quello svolgimento delle attività di cui all’art 2135 3o comma = attività connesse, prevalentemente i prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico” Le cooperative e i consorzi costituite da imprenditori agricoli esercitano attività agricole per connessione se lavorano i prodotti dei soci o se prestano ai soci beni o servizi da impiegare nell’attività agricola essenziale. —> realtà molto di use nel mondo dell’agro-alimentare. Se riconosciamo un’impresa agricola per connessione, dal punto di vista del diritto commerciale si applicherà una disciplina in parte diversa rispetto a quella che si applica all’imprenditore commerciale. —> importante perché il settore degli imprenditori agricoli è oggetto di agevolazione da parte del diritto agrario. LA DISTINZIONE SECONDO LA GRANDEZZA La dimensione dell’impresa è il secondo criterio di di erenziazione. Il piccolo imprenditore è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore, ma è esonerato, anche se esercita attività commerciale, dalla tenuta delle scritture contabili; mentre l’iscrizione nel registro delle imprese ha di regola solo funzione di pubblicità-notizia. L’imprenditore che esercita un’attività di modeste dimensioni è altresì esonerato dalla liquidazione giudiziale, ma può usufruire delle procedure concorsuali da sovra- indebitamento. 2) Imprenditore piccolo e non piccolo. Ciò che rileva questa volta è la dimensione dell’impresa. Guardiamo l’articolo 2083 del codice civile “Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata con prevalenza del lavoro proprio e dei componenti della famiglia” —> la nozione di piccolo imprenditore ha rilievo essenzialmente negativo. Ci presenta subito 3 gure tipiche di piccolo imprenditore: il coltivatore diretto, l’artigiano e il piccolo commerciante. —> Il legislatore del 1942 aveva ben chiari i fenomeni della realtà. Ad oggi i termini sono profondamente modi cati, ma ciò che più ci interessa della de nizione è l’ultima parte: reca il criterio generale per il riconoscimento del piccolo imprenditore: la prevalenza del lavoro proprio e dei componenti della famiglia. fi ff fi fi ff LE PAOLE DEL DIRITTO: PREVALENZA DEL LAVORO Quando usiamo il termine prevalenza qui facciamo riferimento alla prevalenza del lavoro sugli altri fattori della produzione. E’ una prevalenza sicuramente di tipo quantitativo in termini di valore economico; ma anche qualitativo perché il legislatore ha in mente un’attività caratterizzata dall’essenziale impronta dell’imprenditore che la esercita. —> ciò ci porta a dire che il piccolo orafo non è una piccola impresa, perché i gioielli ricevono un’impronta essenziale di colui che esercita quella attività (aspetto qualitativo). N.B: Ciò che emerge dal 2083 è un’attività di modestissime dimensioni: quando oggi il legislatore in altri luoghi normativi parla di piccole-medie imprese ha in mente qualcosa di completamente diverso. RATIO. E’ un fenomeno di dimensioni talmente modeste che non valeva la pena correlare quel fenomeno alle regole pensate per le imprese di dimensioni maggiori. RECAP. Per aversi piccola impresa è perciò necessario che: - l’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa - Il suo lavoro e quello degli eventuali familiari che collaborano prevalgano sia rispetto al lavoro altrui, sia rispetto al capitale investito. —> non è perciò mai piccolo imprenditore chi investe ingenti quantità di capitale nell’impresa (ad esempio, un gioielliere) LA DISCIPLINA CONCORSUALE MANUALE. La versione originaria delle legge fallimentare nel ribadire che i piccoli imprenditori commerciali non fallivano, stabiliva una de nizione di questi ultimi basata esclusivamente sul mancato superamento di determinate soglie quantitative. —> queste soglie hanno poi perso tutto il loro signi cato e rimaneva solo la nozione dettata dal codice civile. Con le riforme del diritto fallimentare del 2006/2007 erano stati reintrodotti criteri esclusivamente quantitativi e monetari: la legge fallimentare ssava i criteri dimensionali a nché una data impresa fosse assoggettata a fallimento, mentre la nozione del codice civile rimaneva valida solo ai ni dell’applicazione dello statuto dell’imprenditore. Oggi il Codice della crisi e dell’ insolvenza all’Art 2 lettera D parla di “impresa minore”, che presenta congiuntamente i seguenti requisiti (nei tre esercizi precedenti): - Attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 300.000 - Ricavi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200.000 - Ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro 500.000 Possiamo dire allora che per individuare l’impresa minore il legislatore del codice della crisi e dell’insolvenza fa riferimento ad un criterio meramente quantitativo. Dunque l’imprenditore che nei tre esercizi antecedenti non abbia superato queste soglie per il codice della crisi e dell’insolvenza (CCI) non è soggetto alla liquidazione giudiziale. —> basta averne superato anche solo uno di quei tre requisiti per esservi sottoposto. ffi fi fi fi fi Qualcosa resta a suscitare l’attenzione dell’arte 2083, in particolare 2 temi: l’artigiano e l’impresa familiare L’ARTIGIANO MANUALE. In Italia esisteva una legge (860, 25/7/1956) che a ermava espressamente che l’impresa rispondente ai requisiti fondamentali nella stessero da considerarsi artigiana a tutti gli e etti di legge (anche a quelli civilistici e fallimentari). Il dato caratterizzante risiedeva nella natura artistica o usuale dei beni prodotti e non più nella prevalenza del lavoro proprio o familiare: rispettati i limiti per il personale l’impresa doveva ritenersi artigiana e sottratta al fallimento anche quando non era più rispettato il criterio della prevalenza. Questa situazione deve ritenersi oggi superata: infatti nel nostro ordinamento esiste la legge quali cata “legge quadro sull’artigianato” n 443 del 1985, più volte rimaneggiata dal legislatore. Si chiama legge quadro perché è una legge nazionale e traccia i con ni della potestà normativa delle regioni, che emanano norme legislative in materia di artigianato (Art. 117 costituzione). —> Spetta infatti alle regioni l’emanazione di provvedimenti diretti alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato, con particolare riferimento alle agevolazioni di accesso al credito, all’assistenza tecnica, alla ricerca applicata, alla formazione professionale, alla realizzazione di insediamenti artigiani, all’ agevolazione per l’esportazione —> protezione e promozione dell’imprenditoria artigiana Andiamo a vedere gli articoli della legge quadro, in particolare partiamo dall’articolo 3 che ci da la de nizione di impresa artigiana : “E’ artigiana l’impresa che esercitata dall’imprenditore artigiano nei limiti dimensionali di cui la presente legge ha per scopo prevalente lo svolgimento di un’attività di: produzione di beni anche semilavorati o di prestazione di servizi escluse le attività agricole, di intermediazione nella circolazione dei beni, di somministrazione al pubblico di elementi e bevande ” Il legislatore delimita l’ambito economico: è fuori l’agricoltura, è fuori il commercio, è fuori la ristorazione. SEMILAVORATI. I beni possono essere anche semilavorati: impresa artigiana non è data solo dall’artigiano che lavora in modo tradizionale, ma anche la piccola impresa industriale. SERVIZI. Ma anche meccanici e parrucchieri rientrano fra le imprese artigiane. Questi che abbiamo nominato possono essere considerati quali imprenditori artigiani solo se ricorrono delle particolari condizioni. L’articolo 2 ci dice: “E’ imprenditore artigiano colui che esercita personalmente professionalmente in qualità di titolare l’impresa artigiana, svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro anche manuale nel processo produttivo” ff fi fi ff fi Quindi se pensiamo ad un’impresa artigiana e ad una persona sica, costui non si limita a dirigere l’azienda dall’u cio, ma svolge in modo prevalente il proprio lavoro (anche manuale) nel processo produttivo. —> il fenomeno della piccola industria può essere talvolta considerato imprenditore artigiano se e nel caso in cui si sveglia alle 5 del mattino perché è lui ad accendere le macchine. RECAP. La nuova de nizione di impresa artigiana si basa: A) sull’oggetto dell’impresa B) Sul ruolo dell’artigiano nell’impresa richiedendosi che esso svolga in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo Continuano inoltre ad essere imposti limiti per quanto riguarda i dipendenti utilizzabile (ampliati rispetto alla precedente legge), ma rimane saldo il principio che il personale dipendente deve essere personalmente diretto dall’artigiano. Possiamo anche avere società artigiane: “ E’ artigiana l’impresa costituita ed esercitata in forma di società anche in forma cooperativa escluse le società per azioni a condizione che la maggioranza dei soci ovvero uno nel caso di due soci svolga in prevalenza lavoro personale e anche manuale nel processo produttivo e che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale” Insomma è un mondo produttivo che è caratterizzato dal ruolo particolare dei titolari (o soci) che deve essere prevalente. Limiti dimensionali: Art 4 ” L’impresa artigiana può essere svolta anche con la prestazione d’opera di personale dipendente, diretto personalmente dall’imprenditore artigiano o dai soci della società artigiana; sempre che non si superino i seguenti limiti: - impresa che non lavora in serie di massimo 18 dipendenti - Impresa che lavora in serie di massimo 9 dipendenti - Impresa che svolge la propria attività nel settore delle lavorazioni artistiche tradizionali con massimo 32 dipendenti. - Impresa di costruzione edile di massimo 10 dipendenti.” Dal punto di vista dimensionale questa impresa artigiana non coincide mica con l’artigiano di cui all’articolo 2083. Ad un certo punto nell’evoluzione dei fenomeni economici il legislatore è andato distante dal legislatore del 1942. Tutto questo lavoro di “delimitazione della fattispecie” serve perché questo mondo è destinatario di misure di promozione e di protezione. —> certe volte le imprese decidono di rimanere al di sotto di questi limiti dimensionali e di organizzare la propria attività produttiva rispettando le indicazioni provenienti dalla legge quadro. MANUALE. Si deve inoltre convenire che la legge quadro ha realizzato una vistosa frattura rispetto alla legge del 1956 e preclude ogni residua possibilità di ricondurre il nuovo modello di impresa artigiana nell’alveo della de nizione codicistica del piccolo imprenditore. —> lo scopo della nuova legge è infatti quello di ssare i principi direttivi che dovranno essere osservati dalle regioni ed il riconoscimento della quali ca artigiana in base alla fi ffi fi fi fi fi legge quadro non basta per sottrarre l’artigiano allo statuto dell’imprenditore commerciale. IMPRESA FAMILIARE All'articolo 2083 possiamo legare il fenomeno descritto dall’articolo 230 bis del c/c contenuto nel libro primo. —>Introdotta dalla riforma del diritto di famiglia, che toccò anche questi ambiti: il legislatore è intervenuto per riconoscere alla moglie e agli altri familiari alcuni minimi diritti anche di tipo economico (spesso capitava che lavorassero presso l’azienda del pater). Infatti nessun diritto particolare era riconosciuto a chi lavorava nell’impresa. Il legislatore introduce l’impresa familiare in questo modo “Salvo che sia con gurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attivita' di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonche' agli incrementi della azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantita' e qualita' del lavoro prestato.” All’inizio della norma vi è un inciso: “salvo che”. La norma ha carattere residuale: il fenomeno ricorre e le norme di protezione operano se non è riconoscibile un diverso rapporto. Di quali familiari si tratta? Ce lo dice il 3o comma: il coniuge (+ ad oggi il convivente di fatto) , i parenti entro il terzo grado e gli a ni entro il secondo. LE PAROLE DEL DIRITTO. I parenti sono coloro che hanno un legame di sangue (antenato in comune), gli a ni sono i parenti dl coniuge. Questi familiari hanno diritti patrimoniali ed amministrativi. Fondamentale diritto patrimoniale: comma 1o 230 bis: partecipazione agli utili dell’impressione familiare, ai beni acquistati reinvestendo gli utili, agli incrementi dell’azienda anche in ordine all’avviamento. Questi diritti di partecipazione sono misurati in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato dal familiare. Un principale diritto amministrativo: le decisioni concernenti l’impiego degli utili, nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla gestione dell’impresa sono adottate a maggioranza dai familiari che partecipano all’impresa stessa. Domanda 1) L’impresa familiare del 230 bis coincide sempre con la piccola impresa del 2083? No, perché potrebbero essere imprese di grandi dimensioni gestite dalla famiglia. Domanda 2) Questa impresa è individuale o collettiva? Individuale dell’imprenditore, che è colui il quale l’attività di impresa fa capo. I familiari sono considerati solo rispetto al loro rapporto con l’imprenditore (altrimenti avremmo società). Domanda 3) I diritti patrimoniali si traducono immediatamente nella corrisponsione di una somma al familiare o no? No, volutamente i soggetti coinvolti regolano con un apposito contratto questo genere di elementi. ffi ffi fi Art 230 bis 4 comma: “Il diritto di partecipazione è intrasferibile, può essere liquidato in denaro alla cessazione per qualsiasi causa della prestazione del lavoro ed altresì in caso di alienazione dell’azienda” (= diritto di credito che viene monetizzato e pagato alla cessazione del lavoro o in caso di vendita dell’azienda. Se non c’è una regolazione precisa del rapporto il familiare non ha diritto alla percezione periodica di un compenso.) LA STRUTTURA DELL’IMPRESA. La disciplina dell’impresa familiare ha sollevato numerosi dubbi sia per quanto riguarda i rapporti interni all’azienda, sia per quanto riguarda i rapporti con i terzi. Tende oggi a prevalere, anche in giurisprudenza, la tesi che risolve ed esaurisce l’istituto in una particolare disciplina a carattere esclusivamente obbligatorio che non altera la struttura individuale dell’impresa. —> i diritti patrimoniali dei partecipanti all’impresa familiare vanno concepiti come semplici diritti di credito. Si deve inoltre ritenere che l’imprenditore agisce nei confronti dei terzi in proprio e non quale rappresentante dell’impresa familiare, sicché solo a lui saranno imputabili gli e etti degli atti posti in essere nell’esercizio dell’impresa. IMPRESA PUBBLICA E PRIVATA Quando parliamo di impresa privata ci riferiamo alla natura giuridica dei soggetti a cui l’attività è riferita, quindi si tratta o di Tizio o Caio oppure si tratta di soggetti collettivi che originano da un’iniziativa di Tizio o Caio. —> potrà trattarsi di una società costituita o di un soggetto collettivo diverso dalle società (è possibile che un ente collettivo eserciti un’attività di impresa, come un’associazione o una fondazione). Alcuni decenni fa (primi anni 90) c’erano moltissime imprese pubbliche: queste erano riconducibili a un soggetto di natura pubblica. In larga parte dei casi si trattava di enti pubblici economici. —> il fenomeno era talmente di uso che tante banche erano pubbliche, così come le ferrovie dello stato. MANUALE. Infatti attività di impresa può essere svolta anche dallo Stato o da altri enti pubblici. È rilevante distinguere fra tre possibili forme di intervento dei pubblici poteri nel settore dell’economia: a) Lo stato o altro ente pubblico territoriale possono svolgere direttamente attività di impresa avvalendosi di proprie strutture organizzative b) La pubblica amministrazione può dar vita ad enti di diritto pubblico il cui compito istituzionale esclusivo o principale è l’esercizio di attività di impresa. Sono i cosiddetti enti pubblici economici. c) Lo stato e gli altri enti pubblici possono in ne svolgere attività di impresa servendosi di strutture di diritto privato: attraverso la costituzione di ( o partecipazione) società, generalmente per azioni. —> in tal ultimo caso l’impresa si presenta formalmente come un’impresa societaria privata quand’anche tutte le azioni o quote appartengano allo Stato. ff fi ff A partire dagli inizi degli anni 80 si è avviato un processo di privatizzazione che inizialmente ha avuto carattere formale: gli enti pubblici si sono trasformati in società per azioni, cambiando così la natura giuridica del soggetto. —> questo processo ha fatto un ulteriore passo avanti: alla privatizzazione formale è seguita una privatizzazione sostanziale. Infatti se l’azionista era solo lo Stato era cambiato prima solo il carattere formale. Quando si parla di privatizzazione sostanziale signi ca che l’azionariato è diventato in larga parte privato. PLUS. Questo sopratutto nel mondo delle banche e delle telecomunicazioni. Riguardo quest’ultima prima esisteva solo la SIP. In altri casi come le ferrovie le rotaie sono ancore dello Stato e anche i convogli che viaggiano fanno capo a Trenitalia che vede una consistente partecipazione pubblica. —> il processo di privatizzazione sostanziale in diversi ambiti economici non è mai giunto a compimento, ma se ne parla oggi è perché da qualche tempo si è assistito a un ritorno signi cativo delle realtà pubbliche nell’esercizio delle attività produttive, tanto a livello nazionale quanto locale (basti pensare ad Hera). Le multi-utilities sono società per azioni, ma gli azionisti di maggioranza sono enti pubblici locali legati da un patto di sindacato. RECAP. Quando parliamo di impresa pubblica non pensiamo più ad un ente pubblico perché sono diventate società per azioni, ma dal punto di vista sostanziale spesso gli enti pubblici territoriali esercitano attività riconducibili al paradigma di cui all’articolo 2082. HERA PER CAPIRE. Hera è una società per azioni quotata: la compagine annovera 111 comuni del territorio che insieme ai soci pubblici detengono il 45%. Il 54% sono dunque soci privati, ma sono molti e non coordinati: si chiama polverizzazione. I soci pubblici sono invece legati da un patto: questo permette ai soci pubblici di governare la società anche con il meno del 50%. —> Inoltre Hera ha cambiato statuto e solo i soci pubblici hanno le azioni a voto plurimo, mentre i soci privati hanno solo azioni a voto singolo. Quando una società fa capo a dei soci legati da un patto, questi soci sono obbligati a comunicarli alla consob, che lei pubblica. IMPRESA INDIVIDUALE E COLLETTIVA Quando trattiamo di imprenditore può essere un imprenditore sico, ma nella maggior parte dei casi è in modo collettivo. Lo strumento naturale e normale è lo strumento societario, ma le forme che è possibile utilizzare per l’esercizio di un’impresa sono più numerose. Potrà trattarsi anche di un’associazione, di una fondazione o come dice il decreto legislativo 117/2017 può trattarsi di: “Sono enti del terzo settore: le organizzazioni di volontariato, le associazioni di produzione sociale, gli enti lantropici, le imprese sociali (incluse le cooperative sociali), ecc e gli altri enti di carattere privato costituiti per il fi fi fi fi perseguimento senza scopo di lucro di nalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento in via esclusiva o principale di una o più…” —> c’è compatibilità fra soggetti appartenenti al terzo settore e impresa, nonostante loro perseguano scopi ideali e non il lucro. Esiste inoltre il consorzio che per ora ci limitiamo a richiamare. Questo è il contratto mediante il quale due o più imprenditori costituiscono un’organizzazione comune per lo svolgimento di fasi delle rispettive imprese. —> questo avviene soprattutto fra imprenditori agricoli che costituiscono queste organizzazioni per svolgere alcune fasi, come la conservazione, la trasformazione o il trasporto. LE IMPRESE DEL TERZO SETTORE Le associazioni, le fondazioni e in generale tutti gli enti privati con funi ideali o altruistici possono svolgere attività commerciale quali cabile come attività di impresa. L’esercizio di attività commerciali da parte di tali enti può costituirne anche l’oggetto esclusivo o principale; anche se è più frequente che l’attività commerciale presenti carattere accessorio rispetto all’attività ideale costituente l’oggetto principale dell’ente. Da tempo era avvertita l’esigenza di un quadro di regole compiuto per le imprese gestite senza scopo di lucro (cd. Imprese del terzo settore): un settore economico in costante crescita per volume degli investimenti e rilievo sociale. A queste esigenze è stata data risposta dapprima con la disciplina dell’impresa sociale ed in ne con la nuova disciplina del codice del terzo settore (decreto legislativo 117/2017). Questo decreto ha introdotto regole speciali ed in particolare: a) sono soggetti ad obbligo di iscrizione nel registro delle imprese solo gli enti del terzo settore che esercitano la loro attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale b) Tutti gli enti del terzo settore sono tenuti a redigere annualmente il bilancio di esercizio. Queste disposizioni traggono origine dall’orientamento secondo cui la disciplina delle imprese commerciali non sarebbe applicabile agli enti di diritto privato diversi dalle società quando l’attività di impresa abbia carattere accessorio. Si a erma cioè che l’articolo 2201 del codice civile ( Gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attivita' commerciale sono soggetti all'obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese. ) costituisca espressione di un principio generale valido per tutte e imprese collettive non societarie. La tesi si spinge anche oltre. La preoccupazione diu sottrarre tali enti alla liquidazione giudiziale porta a sostenere che gli stessi dovrebbero inoltre essere esonerati dall’intero statuto commerciale dell’imprenditore. PER CAMPOBASSO questa ricostruzione non può essere condivisa: fi ff fi fi 1) L’articolo 2201 è una norma eccezionale che trova fondamento nella struttura pubblicistica dell’ente 2) Questo articolo si limita a prevedere l’esonero dalla registrazione e come visto non può essere considerato come esonero degli enti pubblici titolari di imprese dall’intero statuto degli imprenditori commerciali. Si deve perciò concludere che le associazioni e fondazioni esercenti attività commerciale in forma di impresa, siano o no quali cabili come enti del terzo settore, diventano sempre e comunque imprenditori commerciali e restano esposti alla liquidazione giudiziale. L’IMPRESA SOCIALE Le imprese sociali costituiscono un sottoinsieme delle imprese del terzo settore: sono pertanto tutte quali cate come enti del terzo settore. L’impresa sociale non è un nuovo tipo di ente diverso da quelli già previsti e regolati dall’ordinamento, bensì una quali ca che gli enti di diritto privato possono assumere a certe condizioni e che comporta l’applicazione di una normativa speciale. Ciascuna impresa sociale sarà regolata: 1) dalla disciplina speci ca (decreto legislativo 112/2017) 2) Dalla normativa del codice del terzo settore 3) Dalla disciplina propria dell’ente che esercita l’impresa sociale In conformità con i principi di responsabilità sociale dell’impresa che devono ispirare l’attività delle imprese del terzo settore è inoltre richiesto che le imprese sociali operino adottando gestioni responsabili e trasparenti. LE REGOLE E LA DISCIPLINA APPLICABILE AGLI IMPRENDITORI Quando parliamo di disciplina dell’imprenditore indichiamo alcuni set di norme che rinveniamo del cc e che fanno parte dello “statuto dell’imprenditore”. Con questa espressione si fa riferimento a un set di norme che il legislatore del codice civile riferisce all’imprenditore e all’impresa. Questi sono dedicati alla: - pubblicità legale - alla rappresentanza - alle scritture contabili SULLA PUBBLICITà LEGALE Quanti operano sul mercato avvertono da sempre la necessità di poter disporre con facilità di informazioni veritiere e non contestabili su fatti e situazioni delle imprese con cui entrano a contatto. Per le imprese commerciali (oggi anche per le imprese agricole) e in generale per le imprese a struttura societaria questa esigenza è soddisfatta dallo stesso legislatore con l'introduzione di un sistema di pubblicità legale: è previsto l'obbligo di rendere di pubblico dominio determinati atti o fatti della vita dell’impresa. fi fi fi fi In tal modo le informazioni legislativamente ritenute rilevanti non solo sono accessibili ai terzi interessati (pubblicità notizia), ma producono l'e etto tipico proprio di ogni forma di pubblicità legale: l'opponibilità a chiunque degli atti o dei fatti così resi conoscibili. Il registro delle imprese è uno strumento previsto da sempre agli articolo 2188 e seguenti. Nonostante questo le previsioni sono rimaste per molto tempo inattivate e solo dagli anni 90 del secolo scorso ha iniziato a funzionare. MANUALE. Va tenuto presente che la nuova disciplina del registro delle imprese ha introdotto signi cative novità rispetto al sistema previsto dal codice del 1942 che possono essere così sintetizzate: a) l'attuale registro delle imprese non è più sullo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali, ma è anche strumento di informazione sui dati organizzativi di tutte le imprese. b) La tenuta del registro delle imprese è a data alle camere di commercio, con cessazione dei compiti di pubblicità legali delle imprese svolte in passato dalle cancellerie dei tribunali c) Il registro delle imprese è tenuto con tecniche informatiche in modo da assicurare completezza ed organicità della pubblicità, e da garantire la tempestività dell'informazione su tutto il territorio nazionale: nota bene che il registro delle