Capitolo 3: Dall'Identità del Brand alla Collezione (PDF)
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Politecnico di Milano
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Questo capitolo affronta la codifica del linguaggio del brand nel campo della moda come industria culturale. Esso analizza i codici stilistici e come vengono gestite le collezioni. Approfondisce inoltre l'importanza della semiotica nell'interpretazione dei sistemi simbolici.
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## C/3 ### DALL'IDENTITÀ DEL BRAND ALLA COLLEZIONE: LA CODIFICA E LA GESTIONE DEI CODICI STILISTICI #### LA MODA COME INDUSTRIA CULTURALE La moda è tra i settori industriali più longevi nella storia delle società occidentali e tuttora molto rilevante sul piano economico. Al contempo è certamente u...
## C/3 ### DALL'IDENTITÀ DEL BRAND ALLA COLLEZIONE: LA CODIFICA E LA GESTIONE DEI CODICI STILISTICI #### LA MODA COME INDUSTRIA CULTURALE La moda è tra i settori industriali più longevi nella storia delle società occidentali e tuttora molto rilevante sul piano economico. Al contempo è certamente una delle espressioni più compiute della cultura contemporanea, terreno di incontro di linguaggi e discipline artistiche e al tempo stesso abito quotidiano. Proprio per questa sua peculiare natura, la moda è spesso inclusa in una definizione ampia di industria culturale, caratterizzata da prodotti e servizi che, pur facendo parte delle attività economiche e produttive, hanno un alto contenuto culturale.¹ Del resto le scienze umane e sociali, con grande enfasi nella seconda metà del secolo scorso, hanno contribuito a scardinare la concezione di cultura come prodotto alto, frutto dell'elaborazione intellettuale e della codifica testuale della conoscenza. Si è affermato invece l'interesse per le culture, intese come insiemi di valori e pratiche simboliche condivise nell'ambito di comunità sociali. Queste possono essere descritte solo rappresentando la complessità della rete di relazioni e pratiche instaurate tra gli individui che vi appartengono e sono solo parzialmente codificate nei testi, mentre più spesso sono il risultato di processi di elaborazione collettiva che si materializzano in artefatti tangibili e intangibili. Gli oggetti che partecipano di questo sistema di relazioni diventano quindi parte attiva nella definizione delle identità soggettive e collettive dei gruppi sociali. Analizzando a fondo la natura di questi prodotti ad alto contenuto culturale vi si riscontrano tre caratteristiche peculiari. La prima riguarda il loro essere beni maturi e storicizzati, riconosciuti come portatori di una ricca stratificazione di significati e narrazioni: l'evoluzione delle loro forme e del loro utilizzo, la conoscenza dei processi con cui vengono prodotti, le identità dei marchi ad essi associati nella storia. La seconda caratteristica è relativa al loro essere oggetti istituzionalizzati nella vita quotidiana che hanno acquisito nel tempo un carattere di forte familiarità e che partecipano della definizione degli stili di vita delle persone. Il terzo attributo è legato al loro essere utilizzati come vere e proprie protesi semantiche, ovvero come strumenti di mediazione culturale nell'ambito delle pratiche sociali. Nell'interpretazione della società moderna e contemporanea, la cultura materiale è stata quindi una componente importante, indagata in particolare dalle discipline umanistiche e dalle scienze del linguaggio. Infatti, a partire dalla metà del secolo scorso, il design è oggetto di studio dei semiologi che ne riconoscono la natura di processo di significazione capace, nel dar forma ad artefatti materiali e immateriali, di operare una sintesi visiva di segni e simboli in un sistema di significato compiuto.6 In altre parole il processo progettuale è capace di mediare contenuti e codici generati da una collettività di attori attraverso la propria visione estetica, intercettando significati emergenti nei contesti socio-tecnici e culturali e ricomponendoli in unità di senso, oggetti che partecipano del quotidiano. Anche la moda è certamente parte di questo universo di «attrezzi per vivere, come sono stati definiti da Emanuela Mora, e gioca un ruolo particolarmente importante proprio nel dar forma al dialogo simbolico tra l'individuo e il suo gruppo di riferimento. Per questo motivo è un ambito che ben si presta ad essere interpretato attraverso le scienze del linguaggio e non a caso infatti, negli anni Sessanta, il semiologo Roland Barthes parte proprio dalle pagine delle riviste femminili per concepire una teoria del linguaggio capace di raccontare meglio la società moderna. La semiotica può quindi supportare l'interpretazione dei codici e dei sistemi simbolici cui il processo progettuale attinge. Questi sono legati da un lato ai contenuti emergenti in uno specifico momento e dall'altro ai codici espressivi interni al brand di riferimento. Ovvero da un lato il processo di ricerca progettuale analizza e sintetizza, attraverso una visione estetica, le tendenze socioculturali, trasformandole in ispirazioni visive per la collezione. Ma il design dei prodotti non può prescindere dalla conoscenza e integrazione degli elementi di linguaggio propri della marca e ### LA CODIFICA DEL LINGUAGGIO DEL BRAND La codifica del linguaggio del brand rappresenta un passaggio fondamentale per indirizzare il processo progettuale e raccordarlo con quello strategico e di posizionamento. Infatti, come afferma Gérald Mazzalovo, la funzione di brand management opera ad un livello di definizione di valori della marca, etica del brand, mentre spesso non ha strumenti per comprendere la natura, la complessità e le implicazioni dell'estetica del brand.¹º Allo stesso modo la funzione di design tende ad operare unicamente sulla base di una propria visione estetica, con poca integrazione con l'altra area funzionale e quindi talvolta prescinde dai codici estetici immanenti nel brand stesso." Ma quando una marca è consolidata e presente nell'immaginario collettivo, i suoi codici hanno un'importanza fondamentale nei meccanismi di percezione e attribuzione di significato ai prodotti da parte dei consumatori. ¹² Per poter indirizzare correttamente il processo progettuale nel trovare una sintesi compiuta tra i propri codici estetici e quelli della marca è quindi utile comprendere il processo di traduzione dei valori del brand in espressioni tangibili. | DALL'INTANGIBILE VERSO IL TANGIBILE | ENCICLOPEDIA DI PRODUZIONE | ENCICLOPEDIA DI PERCEZIONE | |---|---|---| | LIVELLO TEMATICO SUPERFICIALE | temi/spazi/tempi/attori/stili | stile narrativo/ruoli | | LIVELLO NARRATIVO INTERMEDIO | | | | LIVELLO ASSIOLOGICO PROFONDO | valori di base/identità del brand | | *Il modello semiotico di interpretazione del linguaggio della marca. (Fonte: Semprini 2002)* A questo proposito è particolarmente efficace il modello semiotico introdotto da Andrea Semprini (fig. 1) che identifica tre livelli di codifica del linguaggio per la comprensione dell'identità del brand. ¹³ Questi tre livelli consentono di mettere in relazione l'enciclopedia di produzione di significati da parte della marca con l'enciclopedia di percezione di tali significati da parte dei consumatori. Il primo livello è quello assiologico, ovvero il più profondo ed è costituito dai valori fondanti e distintivi. Il secondo è quello narrativo, ovvero la messa in scena dei valori in uno stile narrativo, che caratterizza la personalità del brand. Il terzo è quello che Semprini definisce discorsivo, ovvero quando le strutture narrative del brand prendono forma in storie reali, nuove in ogni atto comunicativo ed espressivo, ma al tempo stesso riconoscibili. La funzione di quest'ultimo è particolarmente evidente nella moda, in cui la stagionalità delle collezioni si configura come vera e propria attività di racconto di nuove storie, ancorate al sistema di valori e allo stile narrativo del brand. Diviene pertanto un vero e proprio livello tematico nel quale vengono presentati i temi della stagione. Per orientare il processo creativo il modello semiotico di Semprini può essere integrato in uno schema di lettura dell'identità del brand che rappresenta la complessità delle sue diverse espressioni e i codici che ne traducono l'estetica (fig. 2).¹⁴ Nel livello più profondo vi sono i caratteri identitari che fanno capo al sistema di valori distintivi del brand, generatisi dalla sua specifica storia, dal contesto socioculturale nel quale ha avuto origine, talvolta strettamente legati ai tratti locali e geografici che ne hanno definito il sistema valoriale e l'offerta. Questo livello ha un carattere intangibile e di permanenza, anche se il lento e necessario adattamento ai cambiamenti di contesto può portare a trasformazioni che avvengono nel lungo periodo e non sono mai radicali e repentine. Il livello intermedio, quello narrativo, rappresenta già una prima traduzione dei caratteri intangibili in un vero e proprio stile espressivo e in un preciso codice estetico. È questo il livello in cui i codici stilistici distintivi risiedono in forma di aggregati di segni e simboli che caratterizzano l'identità della marca. Alcuni di essi si riferiscono al brand in quanto tale e rappresentano l'identità visiva cosiddetta corporate fatta per esempio dal logo, dal logotipo e dai suoi colori caratteristici e dalle regole compositive e visive utilizzate sui diversi media e supporti comunicativi. Altri codici, meno espliciti, si riferiscono ad alcuni attributi tipici dei prodotti, come materiali, colori, dettagli particolari, utilizzati con continuità nel tempo: elementi visivi e percettivi che, pur nella variabilità dei temi stagionali, garantiscono la riconoscibilità del brand attraverso il linguaggio estetico dei prodotti. Il livello intermedio, o narrativo, ha un carattere di stabilità che va naturalmente oltre la stagionalità, ma evolve nel medio periodo, perché più vicino ai punti di contatto con i clienti finali. Il livello più superficiale, quello tematico, è rappresentato infine dalle espressioni stagionali della marca, non soltanto quelle legate al prodotto, ma a tutti | LIVELLO TEMATICO | LIVELLO NARRATIVO | LIVELLO ASSIOLOGICO | |---|---|---| | È basato sulla sintesi tra codici permanenti (narrativi) e stagionali (tendenze culturali/di mercato) | È basato su codici permanenti (stile narrativo) i cui elementi sono coerenti con l'identità del marchio | È basato su valori fondamentali e attributi distintivi che caratterizzano l'unicità del brand | | | | | |---|---|---| | STORIA | CONTESTO ECONOMICO E SOCIO-CULTURALE | IDENTITÀ DI BRAND | | REFERENZE GEOGRAFICHE | | IDENTITÀ D'IMMAGINE | | KNOWLEDGE-HOW | | IDENTITÀ STILISTICA | | HERITAGE DEL BRAND | | IDENTITÀ RETAIL | | | | COMUNICAZIONE | | | | PRODOTTO | | | | RETAIL | *Un modello di lettura dell'identità del brand. Valori, codici stilistici, espressioni. Modello interpretativo elaborato dagli autori.* ### UN'ESPERIENZA SUL CAMPO #### INTERVISTA A MARIANNA CIMINI *Fashion designer, fondatrice del brand Marianna Cimini e consulente creativo* Mi chiamo Marianna Cimini e sono una fashion designer. Sono originaria della Costiera Amalfitana ma vivo a Milano che è diventata la mia città d'adozione da diversi anni. Qui gestisco e curo il mio brand ormai arrivato alla sua decima stagione, e in parallelo mi occupo di lavori di consulenza per altri brand, di ricerca tendenze e di styling. **Quali sono le tappe fondamentali che ti hanno portato al tuo attuale lavoro?** Gestendo in prima persona un brand, il mio lavoro ha un taglio sia creativo che imprenditoriale. Per quanto riguarda l'aspetto creativo, mi occupo di tutto quello che porta al conseguimento di una collezione: la ricerca dei tessuti, la realizzazione dei disegni e delle relative specifiche da spiegare alle modelliste, lo sdifettamento delle tele prova, l'attribuzione modello/tessuto fino ad arrivare finalmente alla realizzazione del campionario. A campionario realizzato seguono poi altre valutazioni decisive per il buon andamento della collezione. È necessario scegliere ed entrare in sintonia col fotografo, lo stylist, le modelle con cui verrà realizzato il look-book e ADV che dovranno incarnare ed enfatizzare lo spirito e il gusto della collezione. La parte imprenditoriale, invece, subentra nel far sì che tutto questo sia possibile: a ogni attività destino un budget che devo rispettare. **Come cambia l'approccio creativo di un fashion designer che si trova a dover disegnare la sua collezione e allo stesso tempo è consulente creativo per un altro brand? Come queste due prospettive creative si nutrono e completano a vicenda?** Mi piace lavorare a compartimenti stagni per far sì che non vi siano influenze tra una collezione e l'altra. Quando lavoro per un cliente sono un'ospite e devo rispettare in primis i suoi DNA e identità; ogni proposta creativa deve sempre tener presente per chi si sta lavorando e il mio gusto si plasma e interagisce con le esigenze dell'azienda. Sulla mia collezione invece sono più libera in termini di creatività, ma più limitata dal punto di vista della realizzabilità che va a scontrarsi con tutti i paletti che spesso fanno da intralcio alle aziende più giovani. Sono due esperienze molto diverse ma in egual misura interessanti, perché mi spingono ad avere una visione costantemente elastica e un approccio ad ogni nuovo progetto sempre curioso e positivo. L'estetica della marca, come definita da Floch, è composta quindi da elementi stabili e specifici che fanno capo principalmente alla percezione visiva, ma in generale a tutta la sfera sensoriale, come più evidente nella comunicazione e nella distribuzione, dove per esempio anche gli aspetti olfattivi e sonori sono molto importanti e possono divenire tratto distintivo dei codici del brand. ¹⁵ La funzione di brand management ha pertanto il compito di integrare questi codici e salvaguardare la loro "continuità-evoluzione" attraverso la supervisione dei tre macro-processi che caratterizzano l'impresa moda: creazione e sviluppo prodotti, sviluppo mercati e distribuzione, pianificazione e gestione della comunicazione. ¹⁶ Ognuno di questi conduce alla materializzazione di una specifica sfera di espressione della marca, punto di contatto con i consumatori finali, di cui la collezione è sicuramente un elemento centrale. ### IL LINGUAGGIO DEL PRODOTTO TRA CODICI ICONICI E STAGIONALI Il valore di un brand si sostanzia nella sintesi di fattori tangibili e intangibili che Kapferer ben spiega attraverso la metafora dell'aura.¹⁷ Ovvero la marca, grazie alla relazione positiva instaurata e costantemente alimentata con i propri consumatori attraverso l'apprezzamento dei prodotti, si fa portatrice di valori che oltrepassano gli aspetti tangibili e innescano un meccanismo di attrattività del brand in quanto tale a prescindere dai prodotti stessi. È però sempre Kapferer a sottolineare l'importanza dei prodotti nel processo di costruzione del valore della marca, ricordando il loro essere al tempo stesso la memoria e il futuro del brand. L'errore spesso commesso a livello di brand management è infatti considerare l'effetto aura come uno stato invariante, che viene sostenuto soprattutto attraverso la comunicazione, e non viene invece riconosciuto come risultato di un costante investimento sul valore dei prodotti. Laddove questa attenzione viene a mancare la marca può essere progressivamente svuotata del suo valore dai consumatori. Ben esemplifica questa dinamica il non lontanissimo processo di riposizionamento e rifocalizzazione stilistica operato da Dolce & Gabbana tra il 2011 e il 2013. Il 2011 è infatti l'ultimo anno in cui gli stilisti presentano la collezione D&G, seconda linea creata negli anni Novanta al culmine del processo di internazionalizzazione del brand e gestita con accordi di licenza. D&G è il simbolo del processo di sfruttamento del valore del brand operato da molti gruppi del prêt-à-porter tra gli anni Ottanta e Novanta. In questa fase le licenze sulle seconde linee sono molto poco controllate in termini di qualità di prodotto e spesso gestite dai licenziatari attingendo in modo superficiale ai codici del brand, talvolta cannibalizzando elementi stilistici delle prime linee e talvolta rendendo irriconoscibili e troppo commerciali le collezioni. Nel 2011 D&G è ancora una realtà di successo sui mercati asiatici ed est-europei e rappresenta il 40% del fatturato dell'azienda ma è anche percepita come estremante commerciale nei mercati più evoluti e maturi, come quello italiano, responsabile di una lenta dinamica di trading down del brand *a-d | Marianna Cimini collezione PE 2018. In figura a, total look realizzati in seersucker di cotone stampato con disegno "limonata". In figura b, abito coulisse in sersucker bianco e abito smerlato in popeline di cotone nero. In figura c, total look in mix di fantasie in micro e macro vichy in tessuto jacquard e tinto filo. In figura d, mix di stampe piazzate e all over per le camice maschili e gonne lunghe. (Fotografo: Simone Battistoni; Make-up artist: Simona Parrella; Stylist: Alessandro D'Amico).* Dolce & Gabbana, rispetto al posizionamento desiderato nel prêt-à-porter di lusso. I segnali di questa svalutazione sono alla base di una decisione che porta con sé molte azioni di ristrutturazione anche del modello di business e dell'organizzazione, a partire dalla riacquisizione di quasi tutte le licenze¹ e dal forte investimento nella ri-localizzazione domestica della produzione, che trasforma la sede varesotta in un polo industriale in costante sviluppo. ¹⁹ Ma il processo di riposizionamento passa sicuramente attraverso un forte investimento sul prodotto e una rinnovata focalizzazione dei codici stilistici sugli elementi valoriali e il DNA originario del marchio che, nella cultura mediterranea e siciliana in particolare, ha radicato il proprio linguaggio. I segnali di questo cambiamento si notano innanzitutto nei codici utilizzati nella comunicazione che segna una cesura netta con l'interpretazione sfacciata e provocatoria fatta da Steven Klein ancora nel 2011, con protagonista Madonna. Nella campagna PE 2012 del fotografo Giampaolo Sgura, si riverberano le atmosfere create per i due stilisti alla fine degli anni Ottanta da Ferdinando Scianna. Ma le atmosfere crepuscolari e neorealiste di Scianna trovano in Sgura una cifra più solare e ironica, ancor più accentuata nella comunicazione della PE 2013 i cui scatti sono dello stesso Domenico Dolce. È infatti del 2013 la collezione che celebra in modo evidente questo ritorno consapevole ed esplicito ai codici stilistici originari, ma con accenti più vividi. L'ispirazione è l'iconografia più tipica dell'isola e mescola archetipi culturali come le marionette e i carretti siciliani con i già noti abiti in pizzo nero e le semplici camice bianche maschili. Molti dei codici inaugurati con questa stagione divengono presto così popolari ed efficaci che si consolidano nelle collezioni successive, come vera e propria cifra narrativa di Dolce & Gabbana. E si riconoscono costantemente nei temi che si susseguono nelle stagioni seguenti: dall'ispirazione alle rovine romane della PE 2014, alla Sicilia d'epoca spagnola della PE 2015; dalla celebrazione del cliché della mamma del Sud nell'AI 2016, alle fiabe disneyane dal singolare sapore mediterraneo nell'AI 2017. La riconoscibilità di Dolce & Gabbana nelle stampe raffiguranti l'opulenta natura mediterranea e nei castigati abiti in pizzo nero rappresenta in modo esemplare l'importanza dei codici del prodotto nella costruzione del valore della marca. Questi elementi distintivi vengono spesso definiti iconici proprio perché la loro persistenza e progressiva penetrazione dell'immaginario collettivo dei clienti è fondamentale nell'alimentare l'effetto aura e nel creare una vera e propria mitologia del brand, come sostenuto da Ciappei. ²⁰ *3 Illustrazione della sfilata della collezione Prada AI 2014/15. La collezione è ispirata alla Germania degli anni Settanta con un preciso riferimento a due importanti figure della cultura tedesca: Pina Bausch, ballerina e coreografa protagonista della corrente del teatro-danza (tanztheater) in cui i ballerini interpretano l'opera teatrale o il balletto attraverso le proprie emozioni e Rainer Werner Fassbinder, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, nonché uno dei maggiori esponenti del Nuovo Cinema Tedesco degli anni Settanta e Ottanta. Una collezione che filtra i codici permanenti dello stile Prada, caratterizzato da una femminilità sobria e a tratti ironica attraverso la rilettura della Germania tedesca degli anni Settanta, in cui l'eleganza severa e drammatica è espressa nelle silhouette, negli accostamenti materici e nei must-have di stagione come i cappotti oversize con dettagli in shearling.* Per indirizzare il processo progettuale verso una sintesi efficace tra temi stagionali e codici stilistici permanenti, è pertanto importante poter avere modelli interpretativi utili alla codifica degli elementi iconici. In particolare questi possono essere espressi in tre differenti componenti del prodotto: materiali, architettura e dettagli. Per quanto i primi (tessuti, pellami, stampe ecc.) siano tra i fattori più sensibili ai *Le referenze a Pina Bausch e al teatro-danza (in alto a sinistra), sono rilette attraverso abiti sottoveste in organza di seta che lascia intravvedere maglie dal profondo scollo a V. Gli espliciti riferimenti alle Lacrime amare di Petra von Kant (in basso a sinistra), si ritrovano negli archetipi formali, come il maglione tennis con fasce a righe a contrasto, rivisitato nelle proporzioni e decontestualizzato per diventare una maxi maglia da indossare come abito. Le architetture brutaliste tedesche (in alto a destra), caratterizzate dalla rudezza del cemento a vista, ispirano le superfici e le costruzioni dei capi in cui i tagli severi e le proporzioni accentuate sono sdrammatizzati da inserti metallici e in montone colorato. Le ibridazioni materiche (in basso a destra), codice distintivo dello stile Prada, caratterizzano i tessuti raffinati come la seta stampata rifiniti da bordure in vernice e puc e i caban oversize in shearling impreziositi da inediti trattamenti metallici. Infine le stampe geometriche dal gusto Art déco, codice distintivo del marchio, sono contaminate da cromatismi anni Settanta creando dissonanze compositive ed espressive. (Illustrazioni di Eleonora Barosi).* cambiamenti stagionali, vista la costante ricerca di toni e abbinamenti cromatici caratteristici di ogni stagione, ²¹ vi sono comunque marchi che hanno costruito una forte riconoscibilità dei codici proprio in questi elementi. Basti pensare al tessuto bouclé di Chanel, alla pelle intrecciata di Bottega Veneta o a colori iconici come il rosso Valentino o il cosiddetto greige, sofisticata miscela di beige e grigio di Armani; o infine, nel mondo delle stampe, al caratteristico tartan di Burberry o ai tessuti monogram, concentrato simbolico dei codici stilistici di marca. Anche l'architettura del prodotto può essere distintiva di un brand sia in termini di approccio alla costruzione del cartamodello, sia come ricorrenza di specifici archetipi vestimentari. Questo il caso ad esempio della decostruzione bidimensionale della silhouette, tipica di Rei Kawakubo, del kaftano stampato Paisley di Etro, o del cappotto 101801 disegnato da Anne Marie Beretta per Max Mara nel 1981, tuttora icona intramontabile. Infine, anche la caratterizzazione del prodotto attraverso dettagli e decorazioni può divenire cifra riconoscibile del linguaggio del marchio. Come ad esempio l'etichetta con il codice alfanumerico e anonimo di Martin Margiela, che fa capolino con le sue cuciture evidenti sull'esterno del capo; o la sferetta in gomma tipica delle suole di Tod's; o ancora la fibbia logata della baguette di Fendi. Ogni collezione è una sintesi tra elementi iconici e tematiche stagionali, e i codici stilistici permanenti sono il filtro interpretativo che consente a ispirazioni spesso comuni a più brand nella stessa stagione di essere caratterizzate in base alla specifica identità del marchio stesso. Così succede che l'interesse verso gli anni Settanta, che caratterizza la cultura contemporanea dopo il 2010,²² assuma sfumature molto diverse nel contesto di diverse collezioni. Per esempio, Prada, nell'AI 2014/2015,²³ precorrendo i tempi come spesso accade, sceglie di quella decade due figure dalla femminilità non scontata, come Pina Bausch e Hanna Schygulla ritratta nei panni di Petra von Kant da Rainer Werner Fassbinder (fig. 3). Ritroviamo quindi in quella collezione la Germania degli anni Settanta con le ispirazioni Art déco, le forme solide e squadrate dell'architettura brutalista e i materiali leggeri e impalpabili delle tuniche del teatro-danza. Lo scenario ideale dove riconoscere facilmente i tratti tipici del linguaggio di Prada, come gli accostamenti dissonanti di materiali e colori e la rivisitazione dissacrante di classici borghesi, in questo caso sottovesti, maglioni con scollo a V e cappotti formali bordati in pelliccia, decontestualizzati e abbinati in modo irrituale. Se paragoniamo questa collezione severa e drammatica con gli anni Settanta che attraversano moltissime altre collezioni presentate nella PE 2015, la funzione dei codici stilistici è particolarmente evidente. Questi costituiscono un filtro interpretativo fondamentale per contestualizzare le ispirazioni derivanti dalla ricerca progettuale stagionale nell'universo estetico della marca, connotandone il linguaggio in modo distintivo e riconoscibile.