Appunti Filosofia del Linguaggio 2022/2023 PDF
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Università degli Studi di Parma (UNIPR)
2022
Andrea Bianchi
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Summary
Appunti del corso di Filosofia del Linguaggio dell'anno accademico 2022/2023 tenuti dal professor Andrea Bianchi presso l'Università degli Studi di Parma. Gli appunti descrivono argomenti riguardanti la comunicazione, il significato e altri concetti correlati alla filosofia del linguaggio, con esempi.
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Appunti presi nell'anno 2022/2023, prof del corso Andrea Bianchi Filosofia del Linguaggio Università degli Studi di Parma (UNIPR) 30 pag. Docume...
Appunti presi nell'anno 2022/2023, prof del corso Andrea Bianchi Filosofia del Linguaggio Università degli Studi di Parma (UNIPR) 30 pag. Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) Lezione 2→ “Introduzione” ——————————————————————————————————————————— Riassunto prima lezione: Obiettivo del corso è ragionare su alcune questioni di fondo che riguardano la comunicazione. L’autore del libro d’esame è William Lycan e il titolo è “Filosofia del linguaggio. Un’introduzione contemporanea”, di questo testo vanno preparati i primi 11 capitoli, le pagine non sono tantissime ma non va solo letto. L’esame consiste in un’orale, orale in cui si vuole verificare che si è entrati dentro alla disciplina. Il punto di fondo è che il filosofo non ha verità in tasca da offrire, cerca di ragionare su certe questioni, cerca di individuare certi problemi; abbiamo detto che la questione di fondo è il capire un po’ meglio in che cosa consiste la comunicazione, cosa vuol dire “comunicare”. Si è parlato di una nozione intorno alla quale ruota tutto il corso, ovvero, la nozione di “significato”. Da un lato la nozione di “significato” è una nozione di uso comune (tutti noi parliamo di significato, se non si è capito il significato), dall’altro si parla di significato quando certe cose hanno significato e altre non ce l’hanno (se io dico che Andrea Bianchi è veneziano, comunico un qualcosa perchè ho utilizzato delle espressioni, dei suoni che hanno un significato). Dobbiamo capire cosa ha significato e cosa non. Per capire la problematicità di una nozione come quella di significato c’è molto lavoro da fare, per capire alcuni dei problemi che coinvolgono la nozione di significato si è discusso di un esempio noto proposto dal filosofo americano Hilary Putnam è un problema che non riguarda immediatamente il significato (ma che ci si arriverà), il problema che solleva è la nozione di rappresentazione o la nozione di immagine, che sono nozioni estremamente legate alla nozione di significato. ——————————————————————————————————————————— L’esempio che ci interessa è “Una formica cammina su una spiaggia di sabbia e camminando traccia una linea sulla sabbia, per caso la linea da essa tracciata fa una linea ad un certo punto e, tornando indietro, incrocia se stessa parecchie volte fino a divenire una caricatura riconoscibile di Winston Churchill ”. La domanda è “La formica ha tracciato un’immagine di Winston Churchill, un’immagine che lo rappresenta, quella linea lì è una linea che lo rappresenta?” Con ciò stiamo problematizzando la nozione di rappresentazione o quella di immagine, quello che vogliamo capire è quand’è che qualcosa è un’immagine di qualcosa altro o quante che che qualcosa rappresenta qualcosa altro. La linea sulla sabbia è un’immagine di Churchill, lo rappresenta oppure no? Chi la prodotta non aveva volontà di farlo (formica), questa linea può essere presa all’oscuro di come sia stata prodotta per una rappresentazione; queste informazioni non ci dicono se questa linea è o non è una rappresentazione, non ce lo dicono in quanto sulla sabbia a 10 metri di distanza io traccio un’immagine di Churchill, io posso farlo, e supponiamo che tracci una linea che è sovrapponibile a quella della formica, a 10 metri di distanza abbiamo quindi una linea prodotta da noi e una dalla formica, siamo d’accordo sul fatto che io ho prodotto un’immagine di Churchill? Sì possiamo dire che quella tracciata da noi è una rappresentazione, quella dalla formica, per ora, non è una rappresentazione. Qualcuno dice “è un’immagine” perchè qualcuno ci vede Churchill, il rischio però è che in questo modo anche le nuvole sono immagini, …; supponiamo che dopo 5 minuti la linea della formica venga spazzata via dal vento, per quei 5 minuti c’è stata una rappresentazione (fatta dalla formica) di Churchill sulla sabbia? Il punto di partenza è che quella che ho tracciato io è un’immagine di Churchill, quello che dobbiamo capire è quale sia la proprietà rilevante della linea che ho tracciato io e se la possiede anche quella che ha fatto la formica. Quando si parla di riflettere la realtà potrebbe venire in mente una nozione che userà anche Putnam, non è se un qualcosa assomiglia a qualcos’altro non vuol dire che sia una rappresentazione (si pensi a due gemelli, non diciamo che uno è uguale all’altro), Churchill è diverso da una linea, quindi non è il fatto che la linea sia simile a Churchill che la rende un’immagine di esso. 1 di 30 Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) “La formica ha tracciato l’immagine di Winston Churchill, un’immagine che lo rappresenta?” La maggior parte della gente risponderebbe di no a tale domanda, in effetti la formica non aveva mai visto Churchill e neanche una fotografia di Churchill, non ne aveva neanche l’intenzione di disegnarne un’immagine, essa semplicemente ha tracciato una linea, una linea che noi possiamo vedere come un’immagine di Churchill; possiamo esprimere questo concetto dicendo che la linea non è in se stessa di una rappresentazione di una cosa piuttosto che di qualsiasi altra. La somiglianza non è sufficiente perché qualcosa rappresenti Churchill o che si riferisca a lui. C’è un senso per cui questa linea assomigli a Churchill ma noi diremmo comunque che non è un’immagine di Churchill. Per rappresentare qualcosa non è necessario né sufficiente assomigliarvi. La domanda che ci pone adesso Putnam è: “Come può una qualche cosa essere necessaria o sufficiente per tale scopo, come può una cosa rappresentare una cosa differente o stare per essa?” Supponiamo che la formica, uscita dal suo formicaio, tracci una linea differente da quella di prima, la linea che fa ora rappresenta Churchill o no? Se dietro alla produzione di questi oggetti fisici (linee) ma non dietro alla produzione del tratto della formica c’è Churchill stesso, vuol dire che Churchill gioca un qualche ruolo causale nella produzione della linea tracciata da noi, se io non fossi mai entrato in contatto con Churchill (anche in modo in diretto) non sarei riuscito a riprodurre una rappresentazione di Churchill; le linee tracciate sulla sabbia non hanno nulla a che fare con quest’ultimo, senza il contatto con la persona in questione nessuno sarebbe riuscito a produrre una rappresentazione di esso. “Perchè questa sequenza di suoni mi consente di parlare di quell’individuo lì, che relazione c’è tra questa sequenza di suoni che io produco e quell’individuo lì?” La cosa che lega questa sequenza di suoni all’individuo in questione è data da molte cose, una di queste può essere il fatto che noi siamo a conoscenza dell’individuo e di conseguenza c’è naturale associare il nome di una persona al suono che quella persona “produce” (es. col nome Fedez ci viene in mente Fedez, l’aspetto che ha, …). Questi sono i vari problemi con cui ha a che fare il filosofo del linguaggio si trova ad avere a che fare, ma in realtà siamo partiti da un caso che non è linguistico affatto; restringeremo sempre di più il nostro campo di attenzione sulla comunicazione verbale, sulle parole, sul significato, … Lezione 3: Nelle lezioni precedenti abbiamo accennato al fatto che per capire in cosa consiste la comunicazione abbiamo bisogno di sapere delle nozioni, in primis quella di significato, che sono problematiche; la nozione di immagine o di rappresentazione non è che non sembra problematica ma capire che cosa faccia di una rappresentazione una rappresentazione, quale sia il collegamento tra una rappresentazione e ciò che rappresenta non è semplice (es. della formica che traccia Churchill sulla sabbia, ragionamento di Putnam). Abbiamo visto che la somiglianza non è né necessaria né sufficiente, qualcosa per essere immagine di qualcos’altro non deve essere simile a quel qualcos’altro e se dovesse essere simile non per questo né è un’immagine. Veniamo a noi e alla forma di comunicazione che usiamo di più la comunicazione verbale, con la quale si intende sia la comunicazione orale sia quella scritta. Quando qualcuno comunica oralmente produce dei suoni (dei rumori), quando qualcuno comunica per iscritto produce delle linee; questi suoni e queste linee ci permettono di comunicare (non qualsiasi suono o linea conta come comunicazione), la domanda è “che cosa è che rende certi suoni o certi linee sulla lavagna, o sul libro un qualcosa che comunica qualcos’altro?”, una differenza tra i suoni che emetto nel dire una cosa e i suoni che emetto mentre fischio è che i primi invece dei secondi hanno un significato, mi vogliono dire qualcosa. La nozione di significato sembra essere centrale per capire quello che avviene quando comunichiamo, certe “cose” (suoni, linee,…) hanno significato e certi altri no; ma la cosa in cui consiste il significato di un suono è il senso che decidiamo di dargli. Con un’opera d’arte ha senso parlare di “comunicazione”? Secondo il prof no in quanto un’opera d’arte, per quanto bella può essere e per quanto possa colpirci, non ha un suono che ci viene trasmesso, non ha un suono legato ad un significato. 2 di 30 Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) I suoni che proferisco, suscitano in noi emozioni o ricordi diversi ma ciò non vuol dire che i suoni che ho prodotto hanno significati diversi, ciò che ha un significato trasmette un messaggio che può essere recepito diversamente da ognuno di noi. Un quadro, come qualsiasi opera d’arte, c’è la nozione del messaggio, non di significato in quanto sarebbe un “tirare” la nozione di linguaggio. Le lettere dell’alfabeto non hanno un significato, la parola che si crea usando le lettere dell’alfabeto fa sì che essa assuma un significato. Il messaggio che io grassetto dipende dal significato delle parole che io uso, a questo punto, allora, il significato delle parole che io uso deve essere colto da tutte le persone. Quando parliamo di significato stiamo parlando di un qualcosa che viene prima, è un qualcosa che è associato in un qualche modo a questo suono o a questo segno e che consente a questo suono o a questo segno di trasmettere qualcosa, un messaggio, un’informazione a tutti noi. Quando è che due espressioni linguistiche hanno lo stesso significato? Prendiamo come esempio “Andrea Bianchi è veneziano” e “Andrea Bianchi è nato a Venezia”; espressioni diverse sia che appartengano alla stessa lingua sia che appartengano a lingue diverse possono avere lo stesso significato. L’espressione linguistica, quindi, non dipende dalla lingua che viene utilizzata poiché lo stesso significato, lo stesso messaggio, può essere trasmesso utilizzando espressioni di lingue diverse che hanno lo stesso significato. Perchè diciamo che entrambe le frasi hanno lo stesso significato e la frase “Fedez è italiano/poco intelligente” ha un significato diverso? Ha un significato diverso perchè, pur essendo entrambe informazioni vere, sono informazioni diverse e sono informazioni diverse perchè il significato delle due espressioni linguistiche è diverso. Sono espressioni linguistiche composte in quanto è formata da espressioni linguistiche più semplici (composta da nome proprio “Andrea Bianchi” e un predicato “è veneziano”); se io vi dicessi “Andrea Bianchi” non ho ancora comunicato niente, ci aspetteremmo una conclusione della frase. Un’enunciato è un qualcosa di cui in genere possiamo chiederci se è vero oppure falso, “Andrea Bianchi è veneziano” è un’enunciato vero, “Andrea Bianchi è emiliano” è un’enunciato falso. Gli enunciati sono la moneta di scambio della comunicazione, sono quelli che usiamo per comunicare; trasmettiamo comunicazione, trasmettiamo messaggi solo quando proferiamo enunciati. Enunciati sono espressioni, in genere, composti delle quali ci possiamo chiedere se sono vere o false (valori di verità). Il rischio è che gli enunciati siano sempre espressioni composte; ci sono dei casi limite come ad esempio “Piove”, “Nevica”, questi sono casi difficili da trattare in quanto caso mai piove qui ora ma non piove da un’altra parte; in genere un’enunciato, quindi un’espressione che trasmette informazione, è un’espressione composta, composta da espressioni più semplici. Quindi il punto importante è che il significato di un’enunciato dipende dal significato delle espressioni che lo compongono. Quando è che una traduzione di un’enunciato in un’altra lingua è buona e quando non è buona? In genere si dice che una traduzione è buona quando preserva il significato dell’originale, la traduzione di un’enunciato italiano è un’enunciato inglese che ha lo stesso significato dell’originale italiano. Questa struttura convenzionale delle lingue è cruciale, e questa è una ragione per cui uno può arrivare a dubitare di certi usi della parola “linguaggio” (“linguaggio dell’arte”,…), una lingua è un qualcosa che ha una struttura composizionale, l’espressione di una lingua sono in numero infinito ma sono prodotte componendo tra loro un numero finito di parole, e il significato di una qualsiasi espressione dipende dal significato delle espressioni che la compongono. “Due enunciati composti da espressioni che hanno lo stesso significato, hanno per forza lo stesso significato?” Prendiamo per esempio “Carlo ama Maria” e “Maria ama Carlo”, questi due enunciati non hanno lo stesso significato perchè l’ordine fa la differenza, sono entrambi enunciati che hanno un significato, hanno chiaramente un significato diverso in quanto uno può essere vero e uno potrebbe essere falso. Un’enunciato non è un’insieme di parole, non sono 3 parole, un’enunciato sono delle parole disposte in un certo modo, un’enunciato ha una scrittura, ha una forma, forma grammaticale o forma logica. Il significato di un’enunciato non dipende solo dal significato delle espressioni componenti, il significato di un’enunciato dipende dal significato delle espressioni componenti e dalla sua forma/struttura logica. Questi due enunciati (Carlo e Maria) sono composti dalle stesse espressioni e significano la sessa cosa ma hanno struttura differente, la differenza di struttura spiega la differenza di significato. 3 di 30 Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) Lezione 4: Ci interessa il tema della comunicazione e abbiamo un chiaro esempio di comunicazione, la comunicazione verbale. Vogliamo capire come caratterizzare la comunicazione, cosa è e cosa non è la comunicazione, in cosa consiste, …; la nozione di linguaggio e di comunicazione è molto “tirata” da altri campi come ne può essere un’esempio la comunicazione dell’arte (cosa esprime un’opera d’arte). Il punto è non usare le parole troppo troppo liberamente, quando parliamo di significato parliamo di qualcosa che vedremo tra poco, e andremo a vedere se questa cosa la ritroviamo anche in altri ambiti, anche laddove non c’è comunicazione verbale ma qualcos’altro. Da ora in poi restringeremo sempre di più il campo occupandoci di comunicazione verbale, il nostro esempio principe è quello del proferimento di un’enunciato, quando qualcuno proferisce un enunciato trasmette un’informazione, comunica qualcosa producendo dei suoni e ciò che sembra cruciale, ciò che consente a questi suoni di comunicare qualcosa è che questi suoni sono dotati di significato. Quando parliamo di significato si intende un proferimento a cui appartengano dei suoni con del significato (esempio: “Andrea Bianchi è veneziano”). Quando comunichiamo, comunichiamo non attraverso singole parole, se dico “Andrea Bianchi” o “Gatto” non ho comunicato niente, aspettiamo che venga conclusa la frase in quanto un nome comune o un nome proprio in sé per sé non ci dà nessuna informazione. Gli enunciati sono la moneta di scambio della comunicazione verbale, comunichiamo proferendo enunciati. Un enunciato è un’espressione di senso compiuto, di un enunciato ci possiamo chiedere se è vero oppure falso, di espressioni che non sono enunciati non ci possiamo chiedere una cosa del genere se dico “Andrea Bianchi” o “Gatto” non vi ho dato nulla di vero o falso, non ho prodotto un enunciato, non ho prodotto un tipo di espressione che comunica un messaggio. Quindi sono gli enunciati a consentirci di trasmettere messaggi, un messaggio è in un qualche modo codificato da un enunciato. “Il docente di teorie del linguaggio della mente” non è un enunciato perchè non è un qualcosa di cui ci possiamo chiedere se è vero o falso; comunichiamo proferendo enunciati, gli enunciati sono particolari espressioni linguistiche dotate di un significato che consente loro di trasmettere un messaggio. Il linguaggio, che parliamo, e il significato hanno una struttura composizionale, il significato di un’espressione composta dipende dal significato dell’espressioni componenti. Una domanda che non ci siamo ancora posti è “Gli animali hanno un linguaggio, possiedono un linguaggio?”, a questa domanda dobbiamo stare attenti e cercare di capire se quello che fanno è sufficientemente simile a quello che facciamo noi. Le scimmie, o altre speci d’animali, senz’altro usano dei segni per comunicare, al contempo sembra difficile parlare di linguaggio proprio perchè il sistema di segni che usano loro non è composizionale, non mettono assieme più segni a formare un segno composto il cui significato dipende dal significato dei segni più semplici che ci occorrono. La composizionalità è cruciale, e il fatto che il linguaggio sia composizionale ci permette di comprendere espressioni, enunciati che non abbiamo mai incontrato prima. Il significato di un’enunciato dipende dal significato delle sue parti componenti, dalle espressioni che lo compongono e dalla sua struttura sintattica. Se uno comprende il significato delle sue parti componenti e coglie la struttura sintattica dell’enunciato può comprendere il significato dell’enunciato anche se prima non ha mai incontrato prima un enunciato. Il significato è composizionale. Per capire la parola significato cerchiamo di capire meglio cosa facciamo con un enunciato. Qual’è la forma di un enunciato come “Andrea Bianchi è veneziano”? Intuitivamente quando qualcuno proferisce un enunciato di questo tipo, sta parlando di un particolare individuo e gli sta attribuendo una proprietà. Quando avete sentito per la prima volta “Andrea Bianchi è veneziano” abbiamo acquisito informazioni sul professore, e ovviamente le due espressioni che compongono l’enunciato svolgono due ruoli diversi nell’enunciato, “Andrea Bianchi” il nome proprio ha la funzione di parlare del professore “è veneziano” è un enunciato che svolge una funzione diversa, una volta che ci siamo riferiti ad un individuo utilizzando il nome proprio dite qualcosa di lui, gli viene attribuita una proprietà. Questo enunciato è un enunciato semplice di forma “soggetto-predicato”, ma potrebbero esserci enunciati più complessi. Ha in posizione di soggetto un nome proprio che ci consente di parlare di uno specifico individuo; di questo enunciato possiamo dire che è composto di una parte che si riferisce ad un individuo, è 4 di 30 Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) composto da un predicato che esprime una proprietà, l’enunciato parla di un individuo e di questo individuo dice qualcosa, l’enunciato è vero se e solo se all’individuo appartiene la proprietà che gli è stata data. Non ogni insieme di parole è un enunciato. Se prendessimo un nome proprio con un altro nome proprio come per esempio “Andrea Bianchi e Michele Guerra” non è un enunciato, è una sequenza di due nomi propri e ciò non ci consente di dire qualcosa, non sto cominciando qualcosa, per comunicare qualcosa devo prendere un oggetto, o riferirmi ad un determinato oggetto e dire qualcosa di quell’oggetto. Non sempre gli enunciati sono di questo tipo, quando dico “Tutti gli uomini sono mortali” non sto parlando di un qualcosa o un qualcosa, non mi sto riferendo ad un particolare individuo, sto facendo qualcos’altro (e dobbiamo capire cosa facciamo), ma, nel caso nostro, quello che stiamo facendo è proprio quello di parlare di un individuo e gli stiamo dicendo qualcosa. Di espressioni come “è veneziano” ce ne occuperemo poco in questo corso, osserviamo come si restringe sempre di più la domanda; siamo partiti parlando di: 1. Significato in generale 2. Significato di un enunciato 3. Significato di un’espressione linguistica La domanda su cui lavoreremo è “In che cosa consiste il significato di quelle espressioni che ci consentono di prendere a oggetto di discorso un oggetto condiviso, che consentono di riferirci a uno specifico individuo?” Espressioni come “Andrea Bianchi” ci consentono di parlare di uno specifico oggetto extra-linguistico, questo nome consente ad ognuno di noi di parlare di qualcuno nello specifico. Chiamiamo termine singolare una qualsiasi espressione la cui finzione è quella di riferirsi ad uno specifico individuo, la cui unica funzione è quella di parlare di uno specifico individuo; abbiamo qui un esempio di termine singolare, Andrea Bianchi è un nome proprio (termine singolare). “Ci sono altre tipi di espressioni linguistiche che consentono di riferirci ad uno specifico individuo?” Sì ci sono altri tipi di espressioni come per esempio “quell’uomo/lui (indicando qualcuno) è veneziano”, “quell’uomo/lui” sembra svolgere il ruolo che “Andrea Bianchi” svolge nell’altro enunciato. Un altro modo per esprimere la frase di prima potrebbe essere, anche, “L’uomo col maglione è veneziano”, questa è un espressione che viene chiamata descrizione definita, è un’espressione introdotta dall’articolo determinativo singolare; questa descrizione però non mi piace tantissimo in quanto non si riferisce ad un’uomo in particolare ma bensì se più uomini dovessero indossare un maglione sorgerebbero dei dubbi. Questo tipo di espressione è una descrizione definita impropria perchè non arriva ad un singolo individuo. Possiamo usare anche un altro tipo di espressione ovvero attraverso l’enunciato “Il professore di teorie e linguaggi della mente all’università di Parma è veneziano” che è una descrizione definita ci permette a tutti di parlare di qualcuno in particolare. Abbiamo individuato tre tipologie di espressioni linguistiche che consentono di parlare di uno specifico individuo; ciò che queste tre tipologie di espressione linguistica hanno in comune è che si riferiscono ad uno specifico individuo. Possiamo usare un nome proprio per riferirsi a qualcuno ma non sempre lo possiamo usare per esempio “questo oggetto (pennarello) è rosso”, “questo oggetto” non ha un nome proprio, possiamo parlarne ma non possiamo parlarne usando il suo nome, volendo potremmo introdurre un nome per “questo oggetto”, ma quest’oggetto non ha un nome. Ci sono casi in cui ci sono oggetti che hanno un nome ma non ne conosciamo il nome come per esempio, al contempo posso parlare di lui, non attraverso il nome proprio, ma utilizzando altri strumenti. I due strumenti che posso utilizzare quando non sono a conoscenza del nome dell’oggetto sono: 1. Descrivendolo, utilizzando un’espressione che lo descrive es. “Il ragazzo con la maglia del Mc Donald’s”, con ciò posso parlare di lui 2. Utilizzare espressioni come “Quell’uomo”, “Lui”. Queste espressioni sono chiamate indicali e sono espressioni il cui riferimento dipende dal contesto di proferimento. Mentre “Andrea Bianchi è veneziano” dice qualcosa su una persona nello specifico, chiunque dica “Lui è veneziano” si riferisce alla persona nello specifico solo se essa viene indicata da un altro individuo. Alcuni indicali non hanno nemmeno bisogno di un gesto di accompagnamento, per esempio “Io sono veneziano”, questo esempio ci fa capire che si sta parlando di un individuo “Io” nello specifico, sto prendendo un individuo ad oggetto di discorso e a questo individuo sto attribuendo una proprietà. 5 di 30 Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) Qual’è la differenza tra “Andrea Bianchi è veneziano” e “Io sono veneziano”? Che se io uso questi due enunciati dico la stessa cosa, trasmetto un informazione sul sottoscritto (prof), se lo dice Sofia invece dice “Andrea Bianchi è veneziano” riferendosi quindi al prof, ma se Sofia dovesse dire “Io sono veneziana” vorrebbe dire che è lei veneziana e non più il prof. “Io” è un indicale il cui riferimento dipende dal contesto di proferimento e in particolare “Io” è un’espressione che si riferisce sempre a colui che proferisce l’espressione in questione; ciascuno di noi può parlare di se stesso usando “Io”. Sostanzialmente possiamo parlare di qualcuno o di qualcosa nominandolo, o usando il nome, o descrivendolo, o “indicandolo” cioè utilizzare un’espressione che nel contesto specifico parla di quell’individuo lì. Le espressioni come “quell’uomo”, “quel professore” o “quel ragazzo” sono chiamati dimostrativi complessi laddove “lui” o “quello” sono considerati dimostrativi semplici, dimostrativi in quanto hanno bisogno di essere accompagnati da un’indicazione. La differenza che c’è tra “quell’uomo” e “lui” è che “quell’uomo” ha anche un elemento descrittivo; queste espressioni qui sono “termini singolari” e consentono ad un parlante di prendere un particolare individuo come oggetto di discorso quindi sono espressioni che hanno un riferimento specifico. In questo momento ci stia focalizzando su una categoria specifica di espressioni linguistiche, i termini singolari. Sappiamo che questi hanno un riferimento e un’altra cosa che sappiamo è che hanno un significato, ciò lo sappiamo perchè li possiamo usare come soggetti in espressioni composte che hanno un significato, siccome il significato in un’espressione composta dipende dal significato delle espressioni componenti se dovessimo parlare del significato di “Andrea Bianchi è veneziano” dipende dal significato del nome proprio “Andrea Bianchi”. 1. In che cosa consiste il significato di “nome proprio”, quale è il significato di “nome proprio”? 2. In virtù di che cosa il “nome proprio” si riferisce a quello che si riferisce, che cosa lega il “nome proprio” all’oggetto a cui si riferisce, qual’è il meccanismo del riferimento (per quanto riguarda i “nomi propri”)? Queste sono due delle domande che ci porteremo avanti nel corso. “Gatto” per esempio non è un “nome proprio”, di solito viene chiamato “nome comune”, non è un’espressione la cui funzione è quella di riferirsi ad uno specifico individuo, non è un termine singolare. Per “nome proprio” intendiamo tutti quei nomi che appartengono all’uomo (nomignoli, nomi, …), agli animali domestici (Nana, Sofà, Ginger, Romeo, …), alle catene montuose (Himalaya, Kilimangiaro, …), ai fiumi, ai laghi, ai mari, (il Pò, Lago di Como, Mar Mediterraneo, …), alle città (Parma, Milano, …), … Se parlo di “Sofia” (ce ne sono 5 in classe) non sto capendo a chi mi sto riferendo ma un conto è l’omonimia e un conto è l’indicalità. “Supponi che ci fosse una legge per cui ognuno di noi deve avere un nome proprio diverso da qualcun altro” Con ciò ci sarebbero nomi propri, non ci sarebbero casi di omonimia e questi casi di nomi propri si riferirebbero ad un individuo specifico in virtù di un meccanismo che è diverso dal meccanismo con cui stiamo lavorando ora. Tutti gli esseri umani che conosciamo hanno un “nome proprio”, ma anche un essere vivente non umano può avere un “nome proprio”, come gli animali domestici, le formiche non hanno un nome proprio (se ovviamente non vengono seguite da qualcuno che abbia dato dei nomi alle formiche). Un “nome proprio” non è un enunciato. Un “nome proprio” compare, occorre in molti enunciati di solito in posizione di soggetto o di complemento oggetto, è un termine singolare che ha la funzione di riferirsi ad un determinato oggetto. Quello che vogliamo capire, di un “nome proprio”, è in che cosa consiste il suo significato e cosa lo lega al suo riferimento. Un nome, quando utilizzato, si riferisce ad un determinato individuo, ma che cosa fa sì che quel suono si riferisca a quel determinato individuo; molti suoni non si riferiscono a nessun individuo. 1. Il significato di un “nome proprio” (es. “Andrea Bianchi”) deve contribuire a determinare il significato e quindi il messaggio trasmesso da questo enunciato; questo enunciato, è composto da una parte che prende oggetto di discorso, quindi si riferisce ad un particolare individuo e di questo individuo dice qualcosa. Il significato, di un “nome proprio”, è il suo riferimento, cioè l’oggetto a cui si riferisce (ipotesi referenzialisfta). Quest’ipotesi risponde alla prima delle due domande sui nomi propri, alla domanda “Qual’è il significato del nome proprio?”. 6 di 30 Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) 1. Tommaso Zanichelli 3 maggio 2023, 15:51:51 (link associato alla figura di Frege, spiegato molto bene) Lezione 5 e 6: Emettendo certi suoni, o producendo certi segni alla lavagna riusciamo a comunicare qualcosa a qualcuno in virtù del fatto che i suoni o i segni abbiano un significato. La nozione di significato è centrale per capire in cosa consiste almeno la comunicazione verbale. Stiamo cercando di mettere a fuoco una nozione che è fondamentale per comprendere come funziona la comunicazione verbale. Vogliamo capire in che cosa consiste il significato, la domanda sul significato è una domanda generale. Abbiamo deciso di affrontare la questione sul significato occupandoci di una categoria specifica di espressioni, i nomi propri (“Andrea Bianchi”, “Sofia”, …). Utilizzando i nomi propri possiamo entrare in una relazione diretta con gli enti che ci circonda, per parlare di qualcosa o di qualcuno usando il nome proprio, posso anche farlo, non col nome proprio, ma bensì con una descrizione definita o un indicale. I nomi propri in genere hanno un riferimento: “Giuseppe è seduto in prima fila” è diverso da “Leonardo è seduto in prima fila” in quanto questi due enunciati si riferiscono a due individui diversi. Gli enunciati qua sopra utilizzati hanno un significato e ciò è dato dal fatto che le espressioni che li compongono hanno un significato; i nomi propri hanno un significato e i nomi propri, in genere, hanno un riferimento. A partire da questi dati ci facciamo due domande, la prima riguarda al significato del nome proprio, la seconda invece ci chiede come sia possibile che un nome proprio si riferisca ad una determinata cosa. 1 Vedremo come Gottlob Frege risponderà, in un colpo solo, a queste domande; Frege comincia prendendo un’altra ipotesi, un’altra risposta alla prima domanda. Incomincia criticando l’idea secondo la quale il significato di un nome potrebbe essere l’oggetto stesso per cui il nome sta (es. “Giuseppe” è il significato del nome); contro queste ipotesi Frege elabora due argomenti: 1. Argomento dei nomi vuoti, secondo Frege esistono dei nomi che non hanno un riferimento (attraverso i quali non parliamo di nessun individuo) ma hanno significato, quindi il significato di questi nomi non può essere il loro riferimento ne è un esempio “Odisseo”, se esso dovesse avere un significato ma dovesse avere un riferimento, allora il significato di questo nome non è l’oggetto per cui sta ma deve essere qualcos’altro. 2. Puzzle di Frege sull’identità, se l’ipotesi referenzialisfta fosse vera due nomi propri con lo stesso riferimento (oggetto) dovrebbero avere lo stesso significato. Per Frege, però, non è così; Frege per l’esempio userà due parole “espero” e “fosforo”, questi due nomi si riferiscono allo stesso corpo celeste (Venere), sono due termini co-referenziali. Hanno, anche, lo stesso significato? Frege ci vuole far vedere che non hanno lo stesso significato per questo motivo: “L’identità sfida la riflessione con quesiti che ad essa si connettono e ai quali non è facile dare risposta […]; A=A e A=B sono evidentemente enunciati di diverso valore conoscitivo: A=A vale a priori e secondo Kant va detto analitico mentre enunciati della forma A=B spesso contengono ampliamenti assai preziosi del nostro sapere e non sempre sono giustificabili a priori.” “Espero è espero” e “Espero è fosforo” sono due enunciati che hanno un significato diverso in quanto ci sono due espressioni componenti in questo enunciato che hanno significato diverso, l’unica differenza tra questi due enunciati è che dove compare “espero” (come compl. oggetto) nell’altro compare “fosforo”. Quindi il nome proprio “espero” e il nome proprio “fosforo” hanno diverso significato ma hanno lo stesso riferimento, quindi il significato di un “nome proprio” non è il suo riferimento, ipotesi referenzialisfta è falsa. Frege non sta dando voce ad un’opinione, sta facendo vedere che questa tesi è insostenibile, sta confutando una tesi, quindi non sta cercando di trovare una differenza tra i nomi, è vero che hanno un’origine diversa ma questo non dimostra la loro differenza a livello di significato; ciò quindi che possiamo vedere da questa confutazione è che questi due nomi non hanno lo stesso significato e trasmettono informazioni diverse. A partire da questo, Frege, proporrà una sua risposta alternativa a questo sul significato dei nomi. 7 di 30 Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) ——————————————————————————————————————————— Esercizio, quali di questi 4 enunciati sono veri e quali falsi? 1) Giuseppe ha milioni di cellule (enunciato vero) 2) Giuseppe ha otto lettere (enunciato falso) 3) “Giuseppe” ha milioni di cellule (enunciato falso) 4) “Giuseppe” ha otto lettere (enunciato vero) ATTENZIONE: non confondere un nome con il nome di quel nome, il nome di Giuseppe si riferisce a Giuseppe, il nome del nome di Giuseppe (rappresentato tra le virgolette) si riferisce, non a Giuseppe ma, al nome di Giuseppe. ~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~ Altro esempio: 1) Jerge Bergoglio è Jerge Bergoglio 2) Jerge Bergoglio è Papa Francesco Questi due enunciati hanno diverso significato, dato dalla differenza del significato dei due nomi; Il nome Jerge Bergoglio e Papa Francesco, pur essendo co-referenziali, pur riferendosi allo stesso oggetto, hanno diverso significato e quindi possiamo concludere dicendo che il significato di un nome non è il suo riferimento. ——————————————————————————————————————————— Lezione 7: Ci stiamo focalizzando su due nozioni centrali della filosofia del linguaggio contemporanea; la nozione di significato che è, assolutamente, centrale perché è grazie al fatto che certi suoni o certi segni hanno significato che noi possiamo comunicare, non ci sarebbe comunicazione linguistica, comunicazione verbale se non ci fosse significato. Abbiamo deciso di affrontare la nozione di significato da una prospettiva particolare, non ci occupiamo di significato in generale, ci occupiamo, affrontiamo il problema nella particolare prospettiva di una certa categoria di espressioni linguistiche, i nomi propri. Vogliamo capire in che cosa consista il significato di “nome proprio”, se rispondiamo alla domanda per questa categoria specifica di espressioni linguistiche poi potremmo avere qualche strumento in più per affrontare la stessa domanda relativamente ad altre tipologie di espressioni linguistiche o anche in generale, per il momento siamo focalizzati sui nomi propri. Ci chiediamo in che cosa consista il significato di nome proprio, questa è la prima domanda a cui stiamo cercando di rispondere; la seconda nozione fondamentale della quale ci stiamo occupando è quella di riferimento, a differenza del significato, il riferimento è qualcosa di più specifico, però non tutte le espressioni hanno riferimento (tutte le espressioni hanno significato), ci sono espressioni significanti che non hanno riferimento. Il riferimento è una relazione che sussiste tra certe espressioni specifiche, per esempio i nomi propri, e l’oggetto di cui servono per parlare, però non tutte le espressioni servono per parlare, non tutte le espressioni servono per parlare di oggetti e quindi non tutte le espressioni hanno un riferimento specifico. I nomi propri, però, sono espressioni che hanno un riferimento, usiamo i nomi propri per parlare di specifici individui, per prendere come oggetto del discorso specifici individui. Quello che vogliamo capire è in che cosa consiste il riferimento, che tipo di relazione è questa relazione che connette certe espressioni linguistiche a certi individui. Abbiamo discusso di due argomenti centrali nella filosofia del linguaggio contemporanea proposti nel 1892 da Frege in cui si fa vedere come non possiamo identificare il significato e riferimento, non possiamo rispondere alla domanda “Che cos’è il significato del nome proprio?” dicendo “Il significato del nome proprio è l’oggetto per cui sta”; non possiamo rispondere così in quanto: 1) Perché ci sono nomi propri che hanno significato ma non hanno riferimento (es. “Pegaso”, “Odisseo”), argomento nomi vuoti 2) Il significato del nome proprio non può essere riferimento perché ci sono nomi che hanno lo stesso riferimento che sono co-referenziali (“espero” e “fosforo”) ma non hanno lo stesso significato. Dobbiamo porci di nuovo la domanda “Che cos’è il significato di un nome proprio?”, abbiamo concluso dicendo che non è il riferimento ma dobbiamo avere una presa più forte sul significato, vogliamo una risposta alla domanda, la risposta che Frege da a questa domanda è al contempo una risposta che da anche 8 di 30 Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) alla seconda domanda, rispondendo alla domanda sul significato dei nomi Frege risponde anche alla domanda sul meccanismo di riferimento. Frege chiama “senso” ciò in cui si differenziano questi due nomi (“espero” e “fosforo”), coppie di nomi co- referenziali hanno lo stesso riferimento (stanno per lo stesso oggetto) ma possono avere senso diverso, in particolare l’argomento di Frege ci porta a dire che il nome proprio “espero” e il nome proprio “fosforo” allora è una differenza nel senso di queste due espressioni, queste due espressioni pur avendo lo stesso riferimento non hanno lo stesso senso. Un nome esprime un senso e questo senso in genere determina un oggetto come riferimento; è stato detto “in genere” in quanto se dovessimo prendere il nome “Odisseo” esprime un senso, ma questo senso non esprime nessun oggetto, oppure “espero” esprime un senso e ne determina il riferimento (ci porta al pianeta Venere). Due nomi co-referenziali possono non essere sinonimi (e non avere lo stesso senso). La relazione tra una parola e cosa è mediata da qualcos’altro, qualche volta è stata chiamata idea, immagine, ecc… ; la relazione tra un nome e un oggetto non è diretta, anzi viene detto anche che i nomi hanno denotazione ma non connotazione, non c’è un qualcosa lì in mezzo (tra nome e oggetto). Frege critica una posizione sul significato secondo cui il significato è un’entità mentale o psicologica, dice infatti: “Dal riferimento e dal senso dei segni va distinta la rappresentazione ad essi connessa. Quando il riferimento di un segno è un oggetto percepibile dai sensi, la rappresentazione che, io parlante, ne ritengo è un’immagine interna, che è il risultato di atti, sia interiori che esteriori, da me compiuti. L’immagine interna è spesso intrisa di sentimenti e la nitidezza delle singole parti è diseguale e fluttuante. Neppure per una stessa persona la stessa rappresentazione è sempre associata allo stesso senso. La rappresentazione (mentale) è soggettiva: quella dell’uno è diversa da quella dell’altro” Alla domanda “Che cos’è il significato di un nome proprio?” non dobbiamo rispondere “la rappresentazione mentale che un parlante ha in relazione ad un nome proprio”, Frege dice che: “La rappresentazione differisce così in modo sostanziale dal senso del segno. Quest’ultimo (il senso del segno) può essere possesso comune di molti e non è parte o modo della psiche individuale”. “Perché il senso di un nome deve essere possesso comune di molti e non è parte o modo della psiche individuale?” Sostanzialmente perché la nozione di senso è quella che ci serve per spiegare la comunicazione, l’idea è che comprendere un’espressione è afferrarne il senso, il significato. Se due o più persone riescono a comprendere la stessa espressione devono anche afferrare lo stesso senso, quindi questo “senso” non deve essere una cosa nella mia testa differente da quello che hanno in testa altre persone, bensì deve essere una cosa inter soggettivo, il punto è comunicare, proferire espressioni (enunciati) che hanno un significato che può essere colto dagli interlocutori. “Andrea Bianchi è veneziano” ognuno di noi può associarci immagini diverse a questo enunciato, non ci sta comunicando un’immagine sua interna, ci sta dicendo qualcosa che ci fa afferrare e cogliere qualcosa; se ci fosse qualcosa che tutti noi capiamo e comprendiamo, tutti noi associamo il medesimo significato, il medesimo senso, ma allora il “senso” non può essere un qualcosa di soggettivo, mentale e individuale ma deve essere qualcos’altro. Frege ci dice ancora: “Il riferimento di un nome proprio è l’oggetto stesso che con esso designiamo. La rappresentazione che noi abbiamo è soggettiva e non ci interessa, in mezzo sta il senso che, naturalmente, non è più soggettivo come la rappresentazione (accessibile a tutti) ma non neanche l’oggetto stesso.” Frege, a questo punto, fa una similitudine che è: “Supponiamo che uno osservi la Luna attraverso un cannocchiale (io paragono la Luna stessa al riferimento) essa è l’oggetto che osserviamo, è l’oggetto di cui parliamo, mediato dall’immagine reale proiettata dalla lente dell’obiettivo all’interno del cannocchiale e l’immagine che si forma sulla retina dell’osservatore” La prima immagine (della luna proiettata dalla lente dell’obiettivo all’interno del cannocchiale) è paragonabile al senso; la seconda immagine (della luna che si forma sulla retina dell’osservatore ) è paragonabile alla rappresentazione o all’intuizione. Ogni volta che qualcuno si mette davanti al cannocchiale quell’immagine c’è, quindi Frege non sta negando che ci siano rappresentazioni mentali, immagini, intuizioni in gioco quando parliamo o quando ascoltiamo 9 di 30 Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) qualcuno parlare; ci sta semplicemente dicendo che quando parliamo di significato non ci stiamo occupando dell’immagine proiettata sulla retina (rappresentazione, intuizione). Certamente l’immagine del cannocchiale è unilaterale (ha solo una visione) poiché dipende dal luogo di osservazione (se ci spostassimo da un’altra parte avremmo una diversa immagine rispetto a quella di prima) ma è obiettiva in quanti può essere utilizzata da più osservatori; facciamo un esempio: nel punto in cui ci sono io a guardare la luna arriva Alberto, l’immagine proiettata all’interno del cannocchiale sarà sempre quella ma quella proiettata sulla retina no, cambia in base all’osservatore. Stiamo cercando di avvicinarci alla risposta di Frege alla domanda “Che cos’è il significato di nome proprio”, abbiamo visto che il significato di nome proprio non è l’oggetto stesso, ma è oggettivo, deve essere accessibile a molti e non deve essere parte o modo della psiche individuale. Abbiamo visto che deve essere in un certo senso prospettico, unilaterale, in un particolare modo di determinare un riferimento; dato uno stesso oggetto ci sono sensi diversi che arrivano o che determinano l’oggetto stesso, ma questi sensi sono oggettivi accessibili a chiunque. Frege fa un altro passaggio dicendo che: “È possibile dunque individuare tre livelli di differenza per ciò che concerne parole, espressioni ed interi enunciati. La differenza può riguardare le rappresentazioni oppure il senso ma non il riferimento o infine anche il riferimento […] Nel seguito non parleremo più di rappresentazioni ed intuizioni (entità mentali, soggettive, ognuno ha le sue) le abbiamo menzionate qui affinché la rappresentazione che una parola suscita nell’ascoltatore non venga scambiata per il suo senso o il suo riferimento ”; quindi il senso di un nome proprio non deve essere un’entità mentale. Frege conclude dicendo: “Al fine di un’esposizione concisa ed esatta introduciamo la seguente terminologia, un nome proprio esprime il proprio senso e si riferisce o designa il proprio riferimento, impiegando un nome ne esprimiamo il senso e ci riferiamo al suo riferimento.” Non abbiamo ancora risposto alla domanda riguardante il significato del nome proprio, ma per ora siamo arrivati ad escludere il fatto che il significato del nome proprio sia l’oggetto per cui sta il suo riferimento, abbiamo anche escluso il fatto che possa essere un’entità mentale soggettiva; abbiamo anche detto quali caratteristiche deve avere, ovvero che deve essere qualcosa di afferrabile da chiunque comprenda il nome. C’è un’aspetto fondamentale, che abbiamo già messo a luce, che è “dato uno stesso oggetto ci sono più immagini dello stesso, più modi di arrivare allo stesso oggetto”, dell’esempio della luna per esempio abbiamo un’immagine diversa oggettiva accessibile a chiunque si mette davanti al cannocchiale della Luna, un solo corpo celeste, un solo oggetto, ma tante immagini diverse; stiamo parlando delle immagini che sono lì per essere colte da chiunque (e non delle immagini retiniche). L’idea di fondo di Frege è che il significato di un nome proprio è, nella sua terminologia, un modo di darsi (modo di presentazione) di un oggetto. Prendiamo come esempio “espero” e “fosforo”, indicano lo stesso oggetto (pianeta Venere) ma in due modi di arrivare a questo oggetto; al nome “estero” è connesso ad un particolare contenuto descrittivo, alla domanda a che cosa si riferisce “espero” tutti avrebbero risposto che si riferisce al primo corpo celeste che si vede di sera; viceversa il nome proprio “fosforo” è associato a un contenuto descrittivo diverso, e alla domanda a che cosa si riferisce il nome “fosforo” avrebbero risposto dicendo che è l’ultimo corpo celeste che sparisce dal cielo alla mattina. Questi due contenuti descrittivi (come la proiezione della luna sul cannocchiale e sulla retina) sono due modi di presentare un oggetto, di arrivare ad un oggetto che tutti i parlanti competenti associano ai due nomi in questione, stesso oggetto ma due contenuti descrittivi diversi. C’è da tenere presente che quella a cui stiamo arrivando viene definita “teoria descrittiva dei nomi propri”. Questi due nomi (espero e fosforo) hanno lo stesso riferimento, stanno per lo stesso oggetto, ma hanno due contenuti descrittivi, due significati, due sensi diversi. Lezione 8: Dopo aver cercato di inquadrare l’argomento di questo corso, il tema del significato focalizzato sulla categoria di espressioni linguistiche, i nomi propri; abbiamo cominciato a porci due domande importanti sul funzionamento dei nomi propri. Ci poniamo queste due domande: 10 di 30 Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) 1) La prima è “Che cos’è il significato di un nome proprio” ; mettiamo a fuoco il tema del significato ma ci focalizziamo su una categoria specifica di espressioni (nomi propri). 2) La seconda domanda riguarda un’altra nozione fondamentale della filosofia del linguaggio, quella di riferimento, i nomi propri sono strumenti per parlare di enti particolari (persone, fiumi,…); quello che vogliamo capire è come fa un nome a riferirsi ad uno specifico individuo, cosa ci consente di parlare di uno specifico individuo utilizzando un particolare nome, qual’è il legame tra il nome e l’oggetto a cui il nome si riferisce. La seconda domanda è insomma una domanda sul meccanismo del riferimento, “che cosa determina il riferimento di un nome proprio quando viene usato da qualcuno?”, abbiamo visto innanzitutto le origini della filosofia del linguaggio, stiamo prendendo in esame il pensiero di quello che viene considerato il padre della filosofia del linguaggio contemporanea Frege. Frege comincia dicendoci che cosa il significato di un nome non è, produce degli argomenti importanti che sono stati al centro della discussione filosofica sul linguaggio per far vedere che il significato di un nome non può essere l’oggetto a cui il nome si riferisce. Ci sono nomi che non hanno un riferimento ma hanno un significato, e ci sono coppie di nomi che hanno lo stesso riferimento, sono co-referenziali, ma che non hanno lo stesso significato. Se Frege ha ragione, il significato del nome proprio non è il suo riferimento, non è l’oggetto a cui si riferisce (ipotesi referenzialisfta è falsa), Frege qui ci ha detto cosa il significato non è. Ieri abbiamo visto che il significato del nome proprio non solo non è l’oggetto a cui si riferisce ma non è neanche un’immagine mentale. Ieri, inoltre, abbiamo anche iniziato a vedere che cosa, per Frege, è il significato di nome proprio; per Frege il significato di un nome proprio è un senso, ovvero un modo di presentazione di un oggetto (contenuto descrittivo); la risposta che da Frege alla seconda domanda sui nomi propri (quella che fa riferimento al meccanismo del riferimento) è che un nome proprio si riferisce ad un oggetto in virtù del fatto che è associato ad un contenuto descrittivo (senso) che descrive quell’oggetto lì. Che ruoli svolge nell’apparato teorico di Frege la nozione di senso? Da un lato il senso del nome proprio è ciò che un parlante competente associa al nome, per esempio chiunque comprenda dall’enunciato “espero è un pianeta” lo fa perchè comprende il nome proprio espero laddove comprende il nome proprio “espero” e afferrarne il senso. Attraverso la nozione di senso ci rendiamo conto della competenza linguistica sui nomi propri, comprendere un nome e sapere quale senso esprime e della comprensione, quando utilizzo un nome gli altri ci comprendono se afferrano il senso del nome utilizzato. Inoltre, dall’altro lato, c’è un ruolo molto importante che svolgono i sensi, ovvero che fanno da “colla”, ciò che fa sì che un nome si riferisca ad un particolare oggetto piuttosto che ad un altro particolare oggetto. Mettiamo da parte, brevemente, i nomi propri e consideriamo termini singolari che non sono nomi propri (descrizioni definite). Prendiamo per esempio “il docente di teorie e linguaggi della mente nell’università di Parma nell’anno accademico 2022-2023 è veneziano”, questa espressione può fungere da soggetto in un enunciato di forma soggetto-predicato, utilizzando questa descrizione definita si sta parlando del sottoscritto (il prof), questa descrizione definita si riferisce, direbbe Frege, a me (prof) e non a qualcun altro; “comprendere una descrizione definita è sapere qual’è il suo riferimento?” Chi non sa chi è il docente non comprende l’enunciato? Lo comprende, comprendere una descrizione definita non è affermarne il riferimento. Comprendere una descrizione definita è comprendere, afferrare un particolare contenuto descrittivo che presenta un particolare individuo. Quello che non è ovvio, sul quale Frege insiste, è che anche i nomi funzionano in questo modo; a partire da Frege viene, in filosofia linguaggio, elaborata una teoria dei nomi propri (manuale cap.3, teoria descrittiva) che ci dice, sostanzialmente, che per ogni nome proprio vi è una particolare descrizione definita che gli è sinonimo, che ne esplicita il significato, il senso. L’idea di fondo di Frege è che i nomi propri non siano agganciati direttamente ad oggetti, sono piuttosto agganciati a contenuti descrittivi, a modi di presentazione di oggetti; prendiamo come riferimento l’enunciato “Jack lo squartatore era un pazzo”, “Jack lo squartatore” è un nome proprio, da questo enunciato cosa si comprende? Nessuno sa chi è Jack lo squartatore, questo nome, infatti, è stato introdotto per parlare di un individuo che aveva commesso tanti omicidi nella Londra dell’800. L’espressione “Jack lo squartatore” non è stata introdotta prendendo un individuo e dicendogli “ti chiamerò così” bensì le cose sono andate in maniera diversa. Il nome è stato introdotto associando, indirettamente ad un individuo, i casi di omicidio che erano stati compiuti; “Jack lo squartatore è l’autore degli omicidi …” è un enunciato ma non è informativo in 11 di 30 Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) quanto questa descrizione e questo nome proprio hanno lo stesso senso. Prendiamo come caso d’esame questa azione: introduciamo un nome “Rosalba è la studentessa più giovane in aula K4 il giorno …”; questo enunciato non è informativo ma comprendiamo l’enunciato e abbiamo anche gli strumenti per capire se è vero o falso; dopo aver chiesto in classe chi è la più giovane possiamo dire che “Rosalba è Rebecca”, questo enunciato è vero (in quanto Rebecca è la più piccola della classe) ed è anche informativo, abbiamo scoperto che Rosalba è Rebecca; “Rosalba è parmigiana” quindi “Rebecca è parmigiana” è falso come enunciato. Questo esempio ci serve in quanto il nome “Rosalba” è stato introdotto per qualcuno e può da noi essere utilizzato per parlare di quel qualcuno, ma è stato introdotto per qualcuno associandogli un contenuto descrittivo, quando io ho detto il nome non sono andato da Rebecca a dirle “ti chiamerò Rosalba”, ho detto “chiamerò Rosalba la studentessa più giovane in aula K4 in questo momento” si dà il caso che è proprio Rebecca la ragazza più giovane, il punto di Frege è che i nomi sono sempre agganciati ad un particolare contento descrittivo. Introdurre un nome nel nostro linguaggio è associargli un contenuto descrittivo particolare, è solo in virtù di questo contenuto descrittivo che il nome arriva all’oggetto. Torniamo all’esempio del cannocchiale, anche se non è perfetto perchè possiamo vedere la luna anche ad occhio nudo; prendiamo come riferimento dei corpi celesti che non si possono vedere ad occhio nudo (e quindi ci serve il cannocchiale), ci sono molti modi di accedere a questi oggetti ai quali si accede sempre attraverso un’immagine (non mentale) su una lente, così il nostro accesso all’oggetto è sempre mediato dall’immagine in questione; il nostro accesso ad un oggetto, per Frege, è sempre attraverso un contenuto descrittivo, gli oggetti ci sono dati descrittivamente; noi quando introduciamo un nome lo associamo non direttamente ad un oggetto ma ad un particolare modo di descrivere quell’oggetto, ad un particolare contenuto descrittivo, i nomi hanno un senso esplicitabile attraverso una descrizione definita. Frege sostiene che ci sono nomi propri che hanno un significato ma non hanno un riferimento, ne è un esempio che abbiamo in questione è il nome “Odisseo”, il significato di questo nome può essere “Il greco che ha ideato il Cavallo di Troia”, non riusciamo a trovare il riferimento di questa descrizione in quanto nessuno individuo ha ideato il Cavallo di Troia. Al nome, direbbe Frege, è associato un senso (contenuto descrittivo) che non descrive nulla, comprendiamo il nome ma non arriviamo ad un oggetto. Per il momento ci siamo occupati di termini singolari, Frege ci dice che i nomi propri e le descrizioni definite hanno un senso e, in genere, quando le cose non vanno male (come nel caso “Odisseo”) anche una “bedeutung” (riferimento), ora però da quando si è introdotta la nozione di senso in questo modo, Frege, estende la nozione di senso a tutte le espressioni linguistiche; i nomi propri hanno un senso, le descrizioni definite hanno un senso ma anche i predicati hanno un senso e anche gli enunciati hanno un senso. A partire dalle considerazioni che fa sui nomi propri e le descrizioni definite Frege articola una teoria semantica a due livelli, ogni espressione linguistica e in particolare, anche, quelle espressioni linguistiche che usiamo come moneta di scambio della comunicazione cioè gli enunciati hanno un senso e, in genere, anche una bedeutung. Es:“Andrea Bianchi è veneziano” Questa espressione ha un senso e una gedanke (pensiero, senso dell’enunciato), non è un’entità psicologica, mentale per Frege il pensiero è un contenuto. Frege chiama questo contenuto gedanke, il gedanke è il senso di un enunciato, il senso di un enunciato è composto dal senso delle espressioni componenti, quindi dal senso del nome proprio e del predicato. Frege ci dice anche che un enunciato ha una bedeutung, quest’ultima è un valore di verità, quindi “Andrea Bianchi è veneziano” esprime un pensiero, che si può esprimere utilizzando anche un’altra lingua. I pensieri sono i messaggi che ci scambiamo nella comunicazione, quando proferisco un enunciato trasmetto un pensiero; il pensiero è un’entità astratta che può essere contenuto in un atto mentale o può essere il contenuto di un enunciato. In uno scritto, intitolato “Der Gedanke”, Frege dice che i pensieri sono entità del terzo regno: c’è il regno degli oggetti concreti (dove apparteniamo noi), il regno dell’entità mentali e c’è un terzo regno al quale appartengono i pensieri, i numeri, … In genere, quando la filosofia del linguaggio è diventata una disciplina praticata soprattutto negli stati uniti e in Inghilterra, al termine pensiero si è sostituita l’espressione proposizione. Una cosa che è importante è che bisogna tener ben distinto il piano delle espressioni linguistiche (parola, complesso di parole, anche se non tutti i complessi di parole sono espressioni linguistiche es. “Andrea 12 di 30 Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) Lorenzo” sono due nomi, non concatenati da creare un’espressione linguistica composta) e il significato; il significato non è un’espressione linguistica, il significato del significato delle espressioni linguistiche è qualcosa di non linguistico, gli oggetti non linguistici non hanno significato, es. “Io” non è il mio nome, quando si vuole parlare di un’espressione linguistica bisogna usare le virgolette (“”). Le proposizioni non sono entità linguistiche, due enunciati di lingue diverse possono esprimere la stessa proposizione, una stessa proposizione può essere espressa in italiano o in inglese o in francese quindi non è un elemento dell’italiano, dell’inglese o del francese. “Teoria descrittiva dei nomi propri” è stata una teoria che fino al 1970 qualsiasi filosofo del linguaggio avrebbe scritto in diverse varianti. I nomi propri sono connessi ad uno specifico individuo via un contenuto descrittivo (es. Rosalba, Jack lo squartatore, espero, …), ma sono stati introdotti in questo modo? Prendiamo come es. “Andrea Bianchi”, qual’è il suo senso? Comprendere l’enunciato vuol dire che afferriamo il senso del nome, quindi se per comprendere l’enunciato bisogna comprendere le espressioni componenti e una delle espressioni è il nome “Andrea Bianchi”, se per comprendere il nome bisogna afferrarne il senso e il senso è dato dalla descrizione definita “Il docente di teoria dei linguaggi della mente, …” dobbiamo dire che non comprendiamo il nome in quanto noi lo conosciamo come “Andrea Bianchi”. Lezione 9: La teoria di Frege è stato un punto di riferimento per molti di coloro che si sono occupati di linguaggio e di comunicazione da un punto di vista filosofico dopo di lui. Frege è arrivato a questo partendo da una riflessione sui nomi propri, su una categoria specifica di espressioni linguistiche. Ciò che vedremo ora è come proprio a partire da una riconsiderazione di queste categorie di espressioni linguistiche, i nomi propri, che l’edificio teorico costruito da Frege viene messo in discussione. Noi continueremo a parlare di nomi propri, ma se quello che vedremo, nelle prossime lezioni, è vero allora c’è qualcosa che non va nel quadro complessivo che Frege ha articolato e poi è stato ripreso molte e molte volte nel corso del ventesimo secolo. Le prime critiche “decisive” all’impostazione Freghiana sui nomi propri risalgono al 1970, quando un giovane logico, matematico e filosofo Saul Kripke tiene tre lezioni nell’università di Princeton che vengono poi raccolte in volumi nel 1972 dal titolo “Naming and necessity” (“Nome e necessità”), nonché il testo più importante della filosofia del novecento, è un testo che ha cambiato profondamente il panorama filosofico internazionale. Anche in questo testo si parte con la questione del funzionamento dei nomi propri, come funzionano i nomi propri; Kripke trae conclusioni molto più generali, che non riguardano solo il linguaggio, ma riguardano anche una serie di nozioni filosofiche di una certa importanza. Kripke non è il solo a criticare il modello Freghiano, quella che Kripke, nel suo libro, chiama “The Frege Russell View of Proper Names” nonché la “Teoria di Frege Russell dei nomi propri”. “Che cos’è che accomuna Frege e Russell, seppure hanno visioni diverse (per esempio su come funzionano le descrizioni definite)?” Gli accomuna il fatto che per ogni nome proprio vi è una particolare descrizione definita che gli è sinonimo, che ne esprima il senso. Russell arriva a dire che i nomi propri non sono altro che descrizioni definite camuffate, abbreviazioni definite; sotto a tutto ciò c’è l’idea che Frege, Russell e tutti che si rifanno a questi due hanno una concezione sbagliata del riferimento, della relazione tra parole e cose, in particolare della relazione tra nomi propri e oggetti. “Qual’è la concezione che ci ha portato fin qui?” La concezione è quella per cui la “colla” è di tipo descrittivo, un nome proprio si “aggancia” ad un individuo in virtù del fatto che il nome proprio è associato ad un contenuto descrittivo che va a pescare proprio quell’individuo. Il legame è di tipo descrittivo, al nome è associato non direttamente un individuo; e quindi questa relazione non è diretta ma mediata da un contenuto descrittivo. I nomi funzionano come le descrizioni definite. ——————————————————————————————————————————— Nelle prossime lezioni esamineremo alcuni argomenti elaborati da Kripke, e da altri, contro la “Teoria descrittiva dei nomi propri”, contro la tesi “Per ogni nome proprio vi è una descrizione definita che le è sinonima” e poi andremo a vedere quale è l’alternativa che elabora Kripke; dove vedremo cosa non va nella “Teoria descrittiva dei nomi propri” produce degli argomenti contro la risposta di Frege, Russell e tanti altri alle due domande sui nomi propri e poi elabora una risposta alternativa a queste due domande. ——————————————————————————————————————————— 13 di 30 Document shared on https://www.docsity.com/it/appunti-presi-nell-anno-2022-2023-prof-del-corso-andrea-bianchi/9877177/ Downloaded by: omar-didiba ([email protected]) 2. Tommaso Zanichelli 8 maggio 2023, 17:05:07 Secondo Frege è falso in quanto il riferimento, secondo Frege, è l’individuo che ha ucciso Smith, la descrizione ci riferisce a via contenuto descrittivo, riferimento all’altro uomo (il vero assassino), quindi dobbiamo capire se quest’ultimo è pazzo o no (noi abbiamo detto di no). Secondo Frege e Russell quindi è falso ciò che dice il giornalista. Una descrizione si aggancia in un certo modo ad un particolare individuo, descrittivamente. Quello che è più controverso è che anche i nomi propri si aggancino agli individui a cui si riferiscono in questo modo, cioè descrittivamente. Nel 1970 un altro filosofo americano, Keith Donnellan, pubblica un articolo sui nomi propri dal titolo “Proper Names and the Principal of Identifying Descriptions”, “I nomi propri e il principio delle descrizioni identificanti”. È interessante notare come nel 1966, sempre, Donnellan avesse scritto e pubblicato un’altro articolo dal titolo “Reference and Description”, in questo articolo Donnellan non parla di nomi propri ma si occupa direttamente di descrizioni definite, sostenendo tesi controverse che mettono in discussione il quadro descrittivista anche per quanto riguarda le descrizioni definite. ——————————————————————————————————————————— Apriamo questa piccola parentesi che può essere utile per capire cosa sta dietro a tutto quello che vedremo poi: Finora abbiamo dato per scontato che le descrizioni definite sono strumenti che servono per riferirsi ad un individuo che arrivano a questo individuo via contenuto descrittivo. Quello che sostiene Donnellan è che le descrizioni definite (particolare tipo di espressione linguistica, non è un enunciato, non è un predicato, è un’espressione di solito introdotta da un articolo determinativo singolare, anche se non sempre è così, tipo: “Mio padre”, “Mio fratello” sono tutte descrizioni definite) in realtà hanno due usi diversi, un uso che possiamo chiamare attributivo (Frege e Russell che potrebbero avere ragione) e un uso che è l’uso referenziale (né Frege né Russell, in questo caso, avrebbero ragione). Quello che vogliamo capire è come funziona una descrizione definita, un’espressione che in genere è introdotta da un articolo determinativo singolare, che sia: “il, lo, la, …” ——————————————————————————————————————————— Prendiamo come esempio quello di Donnellan: “L’assassino di Smith è pazzo”, questo è un enunciato che ha una descrizione definita in posizione di soggetto, quello che Donnellan cerca di farci vedere è che questo enunciato può essere usato in due modi completamente diversi in virtù del fatto che la descrizione definita, che occupa la posizione di soggetto, può svolgere due tipi di lavoro diverso. “Smith” è una particolare persona che è stata assassinata: 1) Caso di uso attributivo: supponiamo che il porro Smith sia appena stato assassinato e che sul luogo dell’omicidio arrivi la polizia e un agente, vedendo il cadavere, esclami “L’assassino di Smith è pazzo”. L’agente sta parlando dell’unico persona che ha ucciso Smith, in questo caso dobbiamo andare a vedere chi ha ucciso Smith e questa persona è colui di cui l’agente sta parlando. In questo caso la descrizione sembra funzionare come Frege o Russell ci dicono che funziona, dobbiamo andare in cerca di qualcuno che soddisfi il contenuto descrittivo della descrizione. 2) Caso di uso referenziale: una certa persona viene imputata dell’assassinio di Smith, le prove sembrano essere schiaccianti e viene portata a processo; questa persona che viene condotta a processo si comporta in maniera bizzarra, un giornalista presente al processo esclama “L’assassino di Smith è pazzo”, usa questo enunciato. Supponiamo che la persona imputata non sia colpevole (e che il colpevole sia nella sala del processo e non è una persona pazza, è tranquilla) ma sia pazza; 2 “Quando il giornalista esclama “l’assassino di Smith è pazzo” è vero o falso e di chi sta parlando?”, sta parlando dell’imputato (anche se non è l’assassino di Smith), dobbiamo dire che questa descrizione non si riferisce ad un particolare individuo in virtù del suo contenuto descrittivo perchè se si riferisse in virtù del suo contenuto descrittivo si riferirebbe a quella persona presente al processo che non è affatto pazza (il vero assassino). La descrizione che usa il giornalista si riferisce, la descrizione definita gli consente di parlare dell’imputato (anche se non ha ucciso nessuno), in questo caso qui sembra che il parlante, con questa descrizione, sembra che parli di qualcuno che non ha la proprietà di aver ucciso Smith. Un’altra esempio che fa Donnellan è: supponete che siate ad una festa e con un vostro amico diciate “Il tipo che beve Martini è triste”, supponete anche nella stessa stanza, alle vostre spalle (che non abbiamo visto), c’è una persona che beve Martini ma è felice; quando diciamo “Il tipo che beve Martini è triste” a chi ci stiamo riferendo, intuitivamente, come al processo, alla persona che stiamo osservando (Frege non direbbe così). Quello che pensa Donnellan, riguardo a queste descrizioni definite, è che questi usi sono usi tali per cui si sta effettivamente parlando di qualcuno, ma al qualcuno di cui si sta parlando non si arriva tramite contenuto descrittivo, non è l’unico individuo che sta bevendo Martini. Donnellan, utilizzando questa descrizione definita, afferma che il parlante si sta riferendo a quello difronte a lui? Anche se non è l’unico che sta bevendo Martini, questa descrizion