Summary

These notes discuss indicators and validity in sociological research. They outline four stages in operationalization, including concept representation, concept specification, indicator selection, and composite indicator formation. The importance of theoretical grounding and the different types of indicators are explored.

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LEZIONE 4: INDICATORI E VALIDITA’ Molte proprietà generali, sociologicamente importanti, sono complesse (ad es. «religiosità», «impegno politico» ecc.) e non si prestano a essere misurate direttamente con una singola operazione. Occorre perciò, innanzitutto, scomporre la proprietà generale in compon...

LEZIONE 4: INDICATORI E VALIDITA’ Molte proprietà generali, sociologicamente importanti, sono complesse (ad es. «religiosità», «impegno politico» ecc.) e non si prestano a essere misurate direttamente con una singola operazione. Occorre perciò, innanzitutto, scomporre la proprietà generale in componenti più specifiche, dette dimensioni. La religiosità si può scomporre in dimensioni come le seguenti: «esperienziale», «rituale», «ideologica» ecc. Per ciascuna si individuano poi componenti ancora più specifiche, gli indicatori. Questi sono legati alle dimensioni e alla proprietà generale da un rapporto semantico oppure da una regola di esperienza (rapporti di indicazione). Ad esempio, «partecipare alla messa» è considerato un indicatore della dimensione rituale della religiosità. Paul Lazarsfeld ha distinto 4 fasi del processo di interpretazione empirica o operazionalizzazione (tenendolo distinto da quello di operativizzazione, che designa la traduzione dell’indicatore o direttamente della proprietà, se questa non è complessa, in variabile. Le quattro fasi sono le seguenti: 1)Rappresentazione figurata del concetto (imagery): entrando nei dettagli della domanda di ricerca, si riflette sui diversi aspetti e significati del concetto che si vuole misurare. Si parte da un abbozzo di concetto (sfocato e vago) per poi precisarlo meglio. Alcune domande guidano il percorso di chiarificazione: l’intensione del concetto è comprensibile? coincide con altre già presenti in letteratura? se no, perché? si applica coerentemente ai casi/eventi/comportamenti che vogliamo studiare? è un concetto dicotomico, politomico, graduabile, misurabile? quale utilità ha questa formulazione (teorica o pratica) piuttosto che un’altra già presente o comunque ipotizzabile? 2)Specificazione del concetto: occorre articolare il concetto originario nelle sue parti componenti, che Lazarsfeld chiama dimensioni. Le dimensioni sono cioè dei sub-concetti, anch’essi non ancora direttamente trasformabili in operazioni di ricerca empirica. Talvolta si scompongono le dimensioni in sottodimensioni (es. suddividiamo l’impegno «per i propri soci» e «per soggetti esterni») 3)Scelta degli indicatori: nella terza fase individuiamo gli indicatori adatti a rappresentare le dimensioni. Gli indicatori sono ancora concetti, ma a un livello di generalità inferiore rispetto al concetto e alle dimensioni. Il singolo indicatore rappresenta la proprietà solo in modo parziale. Mentre tra le dimensioni e il concetto generale c’è un rapporto semantico stretto, ciò non vale necessariamente per il rapporto tra indicatore e dimensione. Ad es. il «n° di ore impegnate in banchetti, gazebo e volantinaggi negli ultimi 3 mesi» non deriva logicamente o semanticamente dal concetto di partecipazione sociale, ma lo consideriamo suo indicatore sulla base del significato socialmente diffuso circa tali attività. 4)Formazione degli indicatori compositi: talvolta si costruisce un indicatore composito, aggregando tutti gli indicatori elementari del concetto, o più indicatori compositi per ciascuna dimensione. Sono utili soprattutto per fare comparazioni, longitudinali o trasversali (tra Paesi, fasce di popolazione ecc.). Si può dare a tutti gli indicatori elementari lo stesso peso, oppure dare maggiore importanza ad alcuni e meno ad altri. Dal punto di vista statistico, l’aggregazione delle variabili che rappresentano gli indicatori semplici può avvenire in vari modi: mediante semplice enumerazione (se si tratta di dummies), somma, media ecc., a seconda del tipo di variabili usate. La costruzione degli indici può essere fatta con tecniche di analisi dei dati: ad es., come vedremo, l’analisi fattoriale. Una volta rilevati più indicatori validi di una proprietà e (se si tratta di variabili quantitative) accertata l’attendibilità della scala, si può eventualmente procedere a condensare l’informazione contenuta nei singoli indicatori in un’unica variabile. Parliamo in tal caso di indicatore composito (composite indicator). Il ricercatore si presuppone abbia un modello dedotto da considerazioni teoriche ben fondate, si parla in questo modo di interpretazione empirica che prevede una strategia theory driven, ma può avvenire anche il processo opposto di interpretazione teorica di variabili che vengono misurate senza avere in mente un sottostante concetto generale che invece sottende una strategia data driven. INDICI (intesi come qualunque variabile ottenuta dalla sintesi di più vv componenti): i)CLASSIFICAZIONE COMPOSITA Tipologia o classificazione incrociata: si forma incrociando almeno 2 vv categoriali. Es dichiararsi di dx o di sx e favorevoli alle istituzioni della democrazia liberale o contrari. I quattro tipi costituiscono lo spazio degli attributi. Sulla base di una riflessione teorica potremmo definire i tipi: conservatore, reazionario, riformista, rivoluzionario. I tipi costituiscono le modalità di una nuova vv categoriale che possiamo chiamare “orientamento politico”. Tassonomia: i criteri di classificazione sono applicati in successione, su porzioni distinte dei casi in esame, quindi in modo non simmetrico ii)INDICE SINTETICO Ranking (vv componenti ordinali): si intende una variabile derivata che ha le proprietà di una vv di livello ordinale. Indice cardinale (vv componenti cardinali o dummy): si combinano due o più variabili componenti cardinali un operatore matematico o statistico. Le variabili devono avere il requisito della omogeneità scalare: se, come spesso capita, non sono state misurate con le stesse scale, vanno omogeneizzate, ossia rese equivalenti nei loro campi di variazione, prima di procedere alla loro combinazione. La procedura di trasformazione dei dati più diffusa in tal senso è la standardizzazione. Se si attribuiscono agli indicatori livelli diversi di validità, le relative variabili componenti prima di essere combinate vanno ponderate attraverso opportuni pesi semantici. Se due indicatori da combinare insieme nell’indice sintetico, pur avendo una scala omogenea, hanno un rapporto inverso rispetto alla proprietà indicata (cioè ci si aspetta che all’aumentare del primo il secondo regolarmente diminuisca), prima di combinarli occorre dar loro lo stesso orientamento effettuando per l’uno o in alternativa l’altro una inversione di polarità semantica Quando ricorriamo agli indicatore? Non ricorriamo a una definizione operativa diretta di una proprietà complessa quando: l’UdR (un ente, un territorio ecc.) non si può osservare e/o interrogare direttamente e non vi sono proxy subjects o documenti da cui ottenere informazioni fedeli; L’UdR si può interrogare ma: o le risposte a domande dirette sono a rischio elevato di distorsione; o i concetti da rilevare sono familiari a chi fa ricerca ma non a chi risponde. Possiamo in tali casi ricorrere a indicatori, proprietà meno astratte che mettiamo in relazione semantica con la proprietà generale (stipulando un rapporto di indicazione) e che ammettono definizioni operative dirette. Esempio 1 di operazionalizzazione: digital inequality Esempio 2 di operazionalizzazione: partecipazione politica VALIDITÀ NEL RAPPORTO DI INDICAZIONE Un indicatore è valido «se fa effettivamente ciò che dovrebbe fare, ovvero se misura ciò che il ricercatore si proponeva di misurare». Lo stesso indicatore può rappresentare più concetti Ad es.: Ind.2: ‘stipendio adeguato’ può essere indicatore di «Job satisfaction» ma anche di «equità sociale percepita». Per rilevare nella stessa ricerca le due proprietà e descriverne la distribuzione (semplice, bivariata ecc.) possiamo anche usare alcuni indicatori del tipo ‘2’ ma abbiamo soprattutto bisogno di indicatori puri come ‘1’ e ‘3’. Se però vogliamo studiare la dipendenza tra le due proprietà (ad esempio ipotizzando che la percezione di equità influenzi la soddisfazione), occorre rilevarle con indicatori distinti. Un indicatore può in molti casi sovrapporsi parzialmente a due o più concetti. Conviene quindi, distinguere in un indicatore I, rispetto a una proprietà P, la parte indicante dalla parte estranea: la prima è la parte di contenuto che I ha in comune con il concetto P; la seconda è la parte residua di I. Naturalmente sono preferibili indicatori puri, la cui parte indicante sia il più ampia possibile e quella estranea minima. La scelta degli indicatori per un concetto è sempre di natura teorica e va adeguatamente argomentata dal ricercatore. La scelta tra molteplici indicatori, per molti concetti virtualmente infiniti, è affidata alla discrezionalità del ricercatore al quale viene chiesto di esplicitarla, argomentandola di fronte alla comunità scientifica. Da questa argomentazione deriva la validità di contenuto riconosciuta a ciascun indicatore. Un indicatore è valido «se fa effettivamente ciò che dovrebbe fare, ovvero se misura ciò che il ricercatore si proponeva di misurare», possiamo anche dire che un indicatore I è tanto più valido quanto più è grande la parte indicante (di P) rispetto alla parte estranea. Come si giudica valido un indicatore? → validazione sintattica o di contenuto →Per la validazione sintattica (o statistica) si usano apposite tecniche di analisi dei dati che esaminano le correlazioni tra gli indicatori da validare e indicatori assunti come criterio, già validati nel contenuto. Si applica solo a indicatori operativizzati come variabili cardinali. La validazione sintattica non è quindi autosufficiente, poggia sempre su giudizi di validità di contenuto Un esempio di validazione sintattica: concurrent validity: Si convalida un nuovo indicatore se correla con altri indicatori dello stesso concetto già considerati validi. L’indice r di correlazione sottostima la validità, tanto più quanto maggiore è l’errore accidentale di misurazione. Sono state perciò proposte delle correzioni di r per stimare la vera validità. →Con la validazione di contenuto si mettono a confronto semantico l’indicatore e il concetto indicato; il ricercatore si avvale della letteratura e del confronto con altri esperti per esprimere un giudizio qualitativo. Criteri per valutare la validità di contenuto: : la pertinenza teorica: gli indicatori scelti coprono adeguatamente il dominio di significato (intensione) del concetto teorico o vi sono lacune e/o, viceversa, ridondanze? Quali sono le conseguenze sul piano estensionale della scelta degli indicatori? Sono indicatori citati in letteratura, usati in precedenti ricerche? Se no, perché? la contestualizzazione culturale: gli indicatori individuati rivestono lo stesso significato in rapporto al concetto in contesti culturali diversi? Ad esempio: si possono equiparare termini come “national pride”, “national Stolz” e “orgoglio nazionale”? la dimensionalità: ci sono ambiguità negli indicatori scelti che creano rischi di scivolamenti semantici verso altri concetti usati nella ricerca? Con l’individuazione degli indicatori si chiude il processo di interpretazione empirica di un concetto, ossia quella serie di operazioni che portano il ricercatore da un piano astratto (l’Imagery) a una serie di variabili (originarie o derivate) da inserire nella matrice dati. (es uso a questo scopo dell’analisi fattoriale confermativa) A tale processo si contrappone talvolta quello, di direzione opposta, di interpretazione teorica delle variabili: si parte cioè dalle variabili presenti nella base dati e si cerca di individuare una proprietà più generale che concettualmente le riassuma. Ciò avviene soprattutto quando si esaminano dati prodotti da altri (istituti di ricerca o enti amministrativi), ossia nella cosiddetta analisi secondaria dei dati (es uso a questo scopo dell’analisi fattoriale esplorativa)

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