PDF: Storia della psicologia

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Questo documento, datato 2018, offre una panoramica dettagliata sulla storia della psicologia, esaminando le sue origini, l'evoluzione dei concetti chiave e i principali sviluppi nel tempo. Attraverso un'analisi approfondita, il documento esplora le radici filosofiche e scientifiche della psicologia, delineando le figure e gli eventi che hanno contribuito alla sua affermazione come disciplina autonoma, e tratta anche il concetto di ψυχή. I concetti chiave includono la psicologia scientifica e le sue connessioni con la filosofia.

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COPYRIGHT I contenuti di questo file sono una rielaborazione personale del corso di da parte di un autore anonimo. Tutti i contenuti (testi, immagini, dati) presenti su questo file appartengono ai rispettivi proprietari. Il presente file è fornito al solo scopo di aiutare la comunità studentesca ma NON intende sostituirsi al/ai manuale/i né al corso in sé, per il quale è caldamente raccomandata la frequenza alle lezioni. Inoltre, il presente file NON è destinato alla vendita e NON può essere pubblicato online da parte di terzi. I contenuti offerti sono redatti con cura, tuttavia, l'autore declina ogni responsabilità, diretta e indiretta, nei confronti degli utenti e in generale di qualsiasi terzo, per eventuali imprecisioni, errori, omissioni, danni (diretti, indiretti, conseguenti, punibili e sanzionabili) derivanti dai suddetti contenuti. Chiara Milano, STP T1, A.A. 2018/2019, prof. Antonelli Storia della psicologia La psicologia è una scienza giovane (ha 150 anni circa) e ha come oggetti di ricerca le sensazioni, le emozioni e così via dell’uomo, gli stessi di alcune parti di altre scienze come la filosofia e le scienze fisiologiche (medicina). Tale sovrapposizione con altri ambiti di ricerca ha obbligato la psicologia a definire con precisione i confini del proprio ambito di ricerca e degli strumenti metodologici e a svolgere un’analisi critica del proprio passato. Questa però è un’operazione complessa; il principale ostacolo è il pluralismo della psicologia, la mancanza di un criterio univoco. Dalla fine dell’Ottocento a oggi infatti la psicologia non è stata una scienza unitaria e compatta con principi condivisi, ma ha presentato orientamenti diversi, talvolta contrastanti, in quanto si fondano su principi differenti. Ciò dipende dal fatto che la mente e il comportamento umano sono polivalenti, ovvero si prestano ad essere studiati in modi e da punti di vista diversi. L’uomo infatti è:  essere naturale, quindi indagabile con gli schemi e i metodi delle scienze naturali;  essere sociale, inserito nella storia e nella filosofia, quindi che non si presta a essere indagato con gli strumenti delle scienze naturali. La psicologia è quindi un insieme di discipline o sub-discipline; esse possono avere: finalità pratico-operativa: mira a intervenire sulla realtà per modificarla (es: psicologia clinica); finalità teoretica-conoscitiva, esplicativa, che mira a raccogliere conoscenze. Le scienze teoretiche a loro volta possono essere suddivise in: - discipline nomotetiche: mirano a ricondurre dati empirici, raccolti attraverso uno studio sperimentale, a determinate leggi universali del funzionamento mentale (da νόμος, nòmos = legge) - discipline idiografiche: mirano a comprendere caratteristiche del funzionamento mentale che riguardano il singolo individuo (da ἴδιον, ìdion = individuo); si servono di uno studio inserito nel flusso dell’esperienza individuale, per comprendere il funzionamento mentale del singolo. La diversità diventa più evidente nel passaggio dal piano teorico a quello pratico, che prevede l’interazione con i soggetti secondo la sensibilità personale dello psicologo (“equazione personale”); ciò non avviene nel passaggio dalla teoria alla pratica nelle altre discipline. Un approccio storico mostra come ci siano problemi che si ripetono nel tempo e che vengono affrontati in maniera diversa in base al contesto in cui si trovano. Storicamente la psicologia si è sviluppata senza un unico riferimento, ma attorno a tradizioni e modelli di ricerca sviluppatisi in successione (es: in USA dal funzionalismo si sviluppò il comportamentismo) o simultaneamente (es: negli anni 1912-13 si svilupparono il comportamentismo in USA, la riflessologia in Germania), con radici in visioni dell’uomo diverse che a volte si sono influenzate tra loro positivamente o con contrasti. ORIGINI DELLA PSICOLOGIA Etimologia del termine “psicologia”: - dal greco: ψυχή (psyché), anima e λόγος (lògos), discorso razionalmente strutturato = “scienza dell’anima” - dal latino: il termine psychologia comparì per la prima volta a inizio Cinquecento, agli albori dell’età moderna; attribuzione incerta. I primi a introdurre il termine psychologia furono: Filippo Melantone: tedesco, teorico e teologo della Riforma, ne parlò durante le sue lezioni; Marcus Marulus (in realtà croato Markò Marulič): dalmata, umanista, scrisse Psychologia de ratione animae humanae, ma non rimangono copie del testo, quindi è incerto il significato che l’autore voleva attribuire alla parola psychologia del titolo I primi usi documentati del termine psychologia si attribuiscono a: Johann Thomas Freig (Freigius): tedesco, scrisse un’opera arrivata fino a noi in cui per la prima volta compare il termine psychologia, intesa come scienza dell’anima; Rodolfo Goclenio (Goclenius): tedesco, scrisse Ψυχολογια hoc est homini perfectione (1509), inserendo per la prima volta il termine come titolo di un’opera; nel 1613 poi inserì il lemma psychologia nel Lexicum philosophicum. La definitiva consacrazione del termine psicologia si ha con Christian Wolff, tedesco, il quale elaborò una distinzione tra: - psicologia empirica: Psychologia empirica (1732)  stampo naturalistico - psicologia razionale: Psychologia rationalis (1734)  coincide con la filosofia Tra il Cinquecento e il Settecento quindi il termine psychologia inizia ad essere usato, poi anche nelle varie lingue (non solo latino, ma anche francese, tedesco, inglese, italiano), e la codifica definitiva del termine si deve a Wolff, che intende la psicologia come una delle sezioni della metafisica insieme a ontologia, teologia e cosmologia. Prima del Cinquecento la “psicologia” era trattata dai filosofi, che la consideravano come una parte della più ampia riflessione filosofica; solo successivamente la psicologia acquisisce indipendenza. Nell’età moderna però (inizio Cinquecento) ci si rese conto per applicare i metodi delle scienze naturali allo studio dell’uomo era necessario superare le vecchie concezioni filosofiche religiose, portando alla nascita della psicologia scientifica. Essa fu favorita da: - sviluppo di nuove teorie riguardo la mente e la conoscenza; - nascita della biologia (darwiniana: mentre Cartesio separava gli uomini, dotati di mente, e gli animali, Darwin pose nuovamente l’uomo nel mondo animale); - sviluppi nella fisiologia degli organi di senso  si toccano anche ambiti psicologici. Tutto ciò fece sì che, in Germania, si creasse il clima favorevole per l’istituzionalizzazione del nuovo ambito disciplinare della psicologia (vedi dopo, Wundt). ANTROPOLOGIA = studio dell’uomo: anch’essa si diffonde a partire dal Cinquecento e vede una divisione, attuata da studiosi tra Seicento e Settecento, in: - somatologia = studio del corpo dell’uomo (cfr. anatomia e fisiologia) - psicologia = studio dell’anima dell’uomo. La nascita di un nuovo termine non significa tuttavia la nascita di una nuova disciplina; infatti, quando inizia a diffondersi il termine psychologia si stavano già sviluppando riflessioni intorno all’anima a partire da medicina e filosofia. A partire dal Settecento, poi, si ebbero definizioni precise della psicologia. Le questioni psicologiche non sono assenti nel periodo precedente la nascita del termine stesso. Ad esempio Aristotele (V secolo a.C.) scrisse il trattato Περί ψυχής (Perì Psychés) / De anima, che può essere considerato il primo trattato occidentale di psicologia. All’inizio del trattato Aristotele definisce l’ambito di studio dell’opera, affermando di voler condurre un “λόγος περί τῆς ψυχής” (lògos perì tés psychés) = “discorso scientifico intorno all’anima”. A partire dall’Ottocento si configurò la psicologia come ambito autonomo. Ebbinghaus, tedesco, nel 1900, al IV congresso di Parigi aprì il suo intervento dicendo che “la psicologia ha un lungo passato, ma una breve storia”: - lungo passato: l’indagine psicologica è stata svolta fin dall’antica Grecia negli ambiti più disparati (dalla filosofia alla medicina) senza configurarsi in una disciplina unitaria - breve storia: intesa come la storia della psicologia dalla sua nascita come una scienza indipendente. L’anno di demarcazione tra il lungo passato e la breve storia viene identificato (convenzionalmente) con (scenario principale: Germania e università tedesche di fine Ottocento): 1879: Wilhelm Wundt fondò, all’Università di Lipsia, il primo Laboratorio di psicologia sperimentale, annesso a uno studio di psicologia sperimentale  istituzionalizzazione della psicologia come disciplina 1860: Gustav Th. Fechner pubblicò, all’Università di Lipsia, gli Elemente der Psychophysik (“Elementi di psicofisica”), portando alla quantificazione di fenomeni considerati fino a quel momento non quantificabili (es: i fenomeni mentali)  fondazione teorica 1875: William James, americano, fondò all’università di Harvard un piccolo laboratorio didattico di psicologia sperimentale (nello stesso anno Wundt ottenne a Lipsia gli spazi poi usati per il Laboratorio del 1879). IL “LUNGO PASSATO” DELLA PSICOLOGIA: il pensiero antico e medievale e il concetto di ψυχή La ψυχή omerica (Grecia antica, VIII secolo a.C.):  ψυχή (psyché) = soffio, alito, soffio vitale, respiro fresco, freddo  connesso alla respirazione;  ψύχω (psycho) = soffiare, respirare, raffreddarsi (forma media e passiva).  ἄνεμος (ànemos) = vento, soffio  da qui il latino animus, che significa originariamente “sospiro”, “tensione faticosa”; al femminile anima è la traduzione latina di ψυχή. Nel pensiero occidentale, fino al V secolo a.C. circa, non era stato ancora sviluppato in modo esplicito il concetto di un sistema specifico che controllasse unitariamente le sensazioni, i pensieri e le emozioni: ciò che in seguito sarebbe stato indicato con il termine greco ψυχή e poi con il corrispondente vocabolo latino anima. Nei poemi omerici infatti si trovano varie espressioni per le funzioni psichiche (es: νοῦς; φρήν; τυνός = “ribollimento”), ma tutte queste funzioni rimanevano tra loro ancora scollegate. Analogamente, anche il corpo dell’uomo greco arcaico, in campo medico, veniva rappresentato come un insieme disaggregato di funzioni specifiche; ciò è visibile nelle decorazioni dei vasi della fase geometrica, in cui le figure umane sono rappresentate da figure geometriche (es: Anfora del lamento funebre del Dyplon di Atene) o nelle sculture di età arcaica, con figure umane rappresentate con linee dure e ben definite (es: Kleobi e Bitone del Museo Archeologico di Delfi). In Omero c’è una distinzione tra l’intelletto (il νοῦς, noùs) e la ψυχή, che significa “soffio”, “respiro”, indicando due aspetti: - soffio vitale che fa respirare l’uomo, il principio della vita dell’individuo e del cosmo, concepito come animato; - spirito che esce dal corpo (dalla bocca o dalla ferita mortale) nel momento della morte e che poi sprofonda nell’Ade, dov’è una sorta di ombra o fantasma che conduce una pessima esistenza. Quella omerica è quindi una concezione naturalistica della ψυχή: non c’è alcun riferimento all’interiorità propria dell’uomo moderno, che inizia a emergere in Platone e in alcuni presocratici. La ψυχή nei filosofi naturalisti presocratici (VII-V secolo a.C.): per costoro l’anima è un soffio, una forza vitale: è da un lato ciò che infonde vita, ordine e movimento all’intero cosmo (ψυχή o ἀρχή, arché), dall’altro tale forza vitale quale si particolarizza nel singolo individuo  significato cosmologico e antropologico (“psicologico”) del concetto di ψυχή. La ψυχή in Platone (V secolo a.C.)  prospettiva metafisica: in Platone il termine ψυχή indica l’anima individuale, l’unità della persona, il principio vitale e il centro delle scelte morali. Se in Omero quindi la ψυχή era vista come il supporto della vita organica, e l’uomo visto come l’unione di ψυχή e σῶμα (sòma), in Platone la ψυχή è soggetto delle emozioni, conoscenze e sentimenti, è il vero io dell’uomo, senza il quale l’essenza corporea non conterebbe nulla.  METEMPSICOSI: Platone sosteneva la dottrina della metempsicosi (reincarnazione), dalla quale emerge l’immortalità dell’anima, che si reincarna immutata in diverse forme.  DUALISMO PLATONICO: quella di Platone è una concezione dualistica tra anima e corpo, grazie anche all’influenza di orfismo e pitagorismo: si afferma dunque che l’anima ha natura divina, mentre il corpo è la tomba, la prigione di cui l’anima a fatica deve liberarsi. Dal dualismo mente-corpo deriva il dualismo metafisico tra mondo sensibile, mutevole e imperfetto, e mondo intelligibile o delle idee, immutabile, eterno e reale. Platone delinea un processo ascendente dal mondo sensibile (conoscenza delle immagini) a quello intellegibile (conoscenza delle idee), servendosi della metafora del mito della caverna, in cui rappresenta in maniera ascendente le funzioni cognitive. La parte dell’anima che consente la “visione” della realtà è il νοῦς (noùs, intelletto). Platone concepisce l’anima divisa in 3 parti, e spiega metaforicamente il concetto con il mito della biga nel Fedro (oppure anche con altre metafore, es. nella Repubblica parla di uomo-leone-idra):  anima razionale (νοῦς; l’auriga): è “l’occhio della psiche” perché “vede” le “idee” grazie all’anamnesi (l’anima vede le idee perché ne fu a contatto, ma poi, reincarnandosi, l’immagine di esse si “offusca”)  anima irascibile (τυνός, tunòs; cavallo con cui si “allea” l’auriga): vi fanno capo le emozioni più forti (amore, odio, coraggio…)  anima concupiscibile (cavallo): desideri, istinti primordiali (fame, desiderio sessuale…). Questa tripartizione si riflette corrispettivamente nell’organizzazione della società: filosofi e saggi (anima razionale), che guidano la città ideale; soldati (anima irascibile); cittadini comuni (anima concupiscibile). Platone quindi delinea le principali funzioni cognitive: - percezione: la funzione base, consente la percezione di immagini e oggetti del mondo sensibile; - pensiero razionale: permette di pensare agli enti matematici; - intuizione: permette di conoscere le idee, cioè i modelli universali degli oggetti sensibili. Nel Timeo Platone localizzò le tre parti dell’anima: - testa (anima razionale) - cuore (nima irascibile) - visceri e genitali (anima concupiscibile). Quindi in Platone per la prima volta la psiche (o anima) è articolata in parti distinte, ciascuna con funzioni diverse. Dalle parti che accomunano la specie umana alle specie animali (anima concupiscibile e irascibile) scorre un’energia che si canalizza nelle altre parti e si manifesta nella varietà dei comportamenti (bisogni, emozioni, ecc.). Nella specie umana, la ragione plasma e direziona le forze istintuali e motivazionali. La ψυχή in Aristotele (V secolo a.C.)  prospettiva biologica: nel suo trattato Περί ψυχής (Perì psychés) o De anima, il primo trattato di psicologia nella storia del pensiero occidentale, sviluppa un approccio biologico allo studio dell’anima, in quanto non ritiene l’anima come prigioniera del corpo, ma come unita al corpo  è impensabile pensare all’anima senza corpo  l’anima non è immortale. Per Aristotele l’anima è “forma del corpo”, è “entelechia (attualità, ἐντελέχεια) prima di un corpo naturale dotato di vita in potenza”. Aristotele, rifiutando il dualismo platonico, pensa quindi a una unione indissolubile tra anima e corpo  ILEMORFISMO: Aristotele ritiene l’anima forma e atto primo del corpo: → l’anima è forma del corpo: secondo Aristotele tutti gli oggetti sensibili, naturali o artificiali, sono un composto indissolubile (sinolo) di una materia e di una forma (μορφή, morfé). A differenza delle idee platoniche, le forme aristoteliche non sono trascendenti, ma nel mondo sensibile. es. sfera di bronzo: il bronzo è la materia, la sfera è la forma. Dal momento che tutti gli esseri viventi hanno una ψυχή, l’uomo è considerato sinolo tra anima e corpo, e l’anima è l’essenza dell’uomo, ciò che fa di un individuo ciò che è quell’individuo. → l’anima è atto del corpo: secondo Aristotele tutte le cose sensibili sono unione di potenza e atto. es. sfera di bronzo: il bronzo è la potenza, la sfera è l’atto. Nell’uomo l’anima è atto del corpo, gli dà la capacità di vivere: è il principio della vita, caratterizza gli esseri biologici. Per Aristotele tutte gli enti presenti nella realtà (che siano naturali o artificiali) sono un insieme di materia e forma. Negli esseri viventi, in particolare, la forma è l’anima (ψυχή) e la materia è il corpo. - materia = pura potenza. La materia può assumere molte forme diverse (potenzialmente) e viene attualizzata in una forma. - anima = ciò che attualizza il corpo dandogli una forma. L’anima è atto primo di un corpo naturale dotato di vita in potenza. L’anima dà vita al corpo, permettendogli di espletare le funzioni naturali di cui è potenzialmente dotato. Le funzioni che può mettere in atto dipendono dagli organi di cui è dotato. Per Aristotele quindi l’anima è il principio della vita, che permette l’attualizzazione delle funzioni vitali; anche Aristotele concepisce l’anima come gerarchicamente articolata in parti:  anima vegetativa: tipica dei vegetali; si preoccupa delle funzioni biologiche fondamentali come nutrizione, accrescimento, riproduzione.  anima sensitiva: tipica degli animali; oltre a ciò di cui si preoccupa l’anima vegetativa, si preoccupa delle facoltà di sensazione e percezione, appetizione e movimento locale.  anima razionale: tipica dell’uomo; consiste nella capacità di pensiero astratto. A differenza degli animali, l’uomo è dotato di νοῦς (è capace di pensiero); non ha tre anime, ma una – quella razionale – che sa svolgere anche le funzioni dell’anima vegetativa e sensitiva. Nel III libro del De anima, trattando di anima razionale, sembra che Aristotele fugacemente dica che ci sono due anime razionali: - intelletto passivo (νοῦς): opera similmente ai sensi, permettendo all’uomo di cogliere gli oggetti esterni e di crearne le idee astratte; è mortale e viene meno nel momento della morte. - intelletto attivo (detto poi agente): “impassibile, immotale, eterno” (cfr. Platone). Nonostante Aristotele avesse negato l’immortalità dell’anima, afferma che esiste una piccola parte dell’anima razionale, l’intelletto attivo, che potrebbe sopravvivere alla dissoluzione del corpo ed essere quindi eterna. Essa aiuta l’anima razionale passiva a cogliere le idee astratte “illuminandola”. A partire da queste poche righe gli studiosi medievali cercheranno di far conciliare la concezione aristotelica cui aderiscono con la credenza cristiana (es: Tommaso d’Aquino). L’architettura dei processi cognitivi: intelletto (νοῦς) formazione del concetto intellegibili universale astratto (idea) (concetti) immaginazione (φαντασία, fantasìa) immagini coglie le immagini e ci consente (φαντάσματα, di mantenere l’immagine fantàsmata) dell’oggetto anche quando non c’è o richiamare cose dalla memoria sensibili comuni informazioni quantitative senso comune (integrazione sensoriale: memoria ha sede nel cuore attributi che possono essere colti da più sensi simultaneamente) sensi ci rendono accessibile sensibili propri qualità delle cose esterne resi accessibili dai sensi (i suoni (sensibili propri) sono i sensibili propri dell’udito)  informazioni qualitative AMBIENTE ESTERNO La ψυχή nell’ambito della medicina greca: Ippocrate di Cos: anche la medicina manifestò attenzione per i fenomeni psichici (ad esempio già a partire dal culto di Esculapio era prevista l’interpretazione dei sogni) e conobbe patologie psichiche che cercò di trattare anche attraverso la musica. Grazie a Ippocrate si fondò in Grecia la scienza medica, basata sull’esperienza. TEORIA DEI QUATTRO UMORI: secondo questa teoria, nel corpo ci sarebbero quattro umori (liquidi) la cui commistione determinerebbe il temperamento dell’individuo e soprattutto il suo stato di salute o malattia. Gli umori avrebbero un’origine specifica e aumenterebbero o diminuirebbero in base alla stagione e alla fase della vita che il soggetto attraversa. UMORE ELEMENTO SEDE CARATTERISTICHE PERIODO QUANDO sangue imita l’aria è prodotto è caldo e umido aumenta in domina dal cuore primavera nell’infanzia bile gialla imita il fuoco è prodotta è calda e secca aumenta in domina dal fegato estate nell’adolescenza bile nera imita la terra è prodotto è fredda e secca aumenta in domina nella dalla milza autunno maturità flegma imita l’acqua è prodotto è freddo e umido aumenta in domina nella dal cervello inverno vecchiaia L’armonico equilibrio (gr. κράσις, kràsis; lat. temperamentum) dei quattro umori è alla base della salute, il mancato equilibrio determina la malattia, anche psichica. In ogni individuo quindi deve esserci una buona mescolanza (gr. ἐυκρασία, eukrasìa; lat. bonum temperamentum) degli umori, con però la prevalenza relativa di uno sugli altri; quando questa prevalenza va oltre un certo limite allora diventa patologia. A partire da ciò il medico greco-romano Galeno formulò la TEORIA DEI QUATTRO TEMPERAMENTI, che dipendono dall’eccedenza di uno dei quattro umori delineati da Ippocrate: → sanguigno: gioviale e superficiale → collerico: appassionato e irascibile → melancolico: triste e depresso → flemmatico: debole e quieto. Si tratta del primo tentativo di tipologizzazione psicologica degli individui; certe classificazioni rimarranno anche in seguito o influenzeranno i posteri. Il temperamento spiega la predisposizione alla malattia mentale (“malattie della testa” per i greci). Già in Ippocrate infatti ci fu la prima classificazione in cinque forme fondamentali di malattia mentale: frenite: delirio acuto, associato a un forte stato febbrile (presenta allucinazioni) mania: delirio cronico, senza febbre (presenta allucinazioni) melanconia: causata da un eccesso di secrezione della bile nera (μέλαν, mélan = nero) isteria: disturbo femminile, causato dallo spostamento dell’utero verso l’alto epilessia: “malattia sacra”, riconducibile a un influsso divino; è la patologia più grave. Le terapie per le “malattie della testa” prevedevano soprattutto la somministrazione di erbe medicinali o decotti (effettuata anche per studiare l’insorgere della patologia, dal momento che potevano avere effetti come rilassamento ecc.) da parte di medici-sacerdoti spesso in terapie di gruppo. Dove si trova la sede dell’anima? Sono state avanzate ipotesi diverse: a) encefalocentrismo: l’anima (le funzioni psicologiche) ha sede nella testa. Lo sostennero: - Alcmeone (il primo a rilevare un collegamento nervi-cervello); - Platone - Ippocrate - Erofilo di Calcedonia (alessandrino, il primo a distinguere il sistema di nervi e a identificarne la funzione sensoriale o motoria) - Erasistrato di Chio (notò la complessità delle circonvoluzioni cerebrali) Erofilo ed Erasistrato portarono la fisiologia ai suoi massimi livelli, effettuando dissezioni sistematiche di cadaveri per studiarne i nervi, di cui individuarono: nervi sensoriali: potano le informazioni dagli organi di senso al cervello nervi motori: portano le informazioni motorie dal cervello ai muscoli La fisiologia poi fu ripresa solo nel Settecento (perché precedentemente la religione ne impediva lo studio). b) cardiocentrismo: l’anima ha sede nel cuore, per esempio per controbilanciare, con la sua azione rinfrescante il calore prodotto dal cuore e dal fegato. Lo sostennero Empedocle e Aristotele. TEORIA DEL πνέυμα (pnèuma) (elaborata dai medici dell’antica Grecia): la parola πνέυμα ha un significato analogo alla parola ψυχή in quanto si riferisce al soffio vitale. Il πνέυμα è, infatti, una sostanza a metà tra il liquido e l’aeriforme costituita da particelle più sottili del sangue. Secondo questa teoria, la materia esterna all’organismo (aria e cibo) è assimilata dal corpo (rispettivamente da polmoni e fegato, il quale trasforma il cibo in sangue). Il sangue è distribuito da due sistemi, quello venoso e quello arterioso; il sangue arterioso, arricchito di ossigeno, viene in parte portato al cervello, dove si svilupperebbe il πνέυμα (in lat. spiritus), ovvero le parti più sottili e veloci del sangue che vengono poi inviate verso gli organi (per dare nutrimento) e verso il cervello. Nel cervello, il πνέυμα diventa πνέυμα psichico e scorre attraverso i nervi, portando comandi motori o informazioni sensoriali. Il πνέυμα psichico (o spiriti animali, cioè dell’anima) va (cfr. Cartesio): - dalla periferia al centro per la funzione sensoriale - dal centro alla periferia per la funzione motoria. Questa teoria si basa sulla localizzazione nel corpo delle funzioni vitali e cognitive e parte dalla concezione secondo la quale il sistema venoso e quello arterioso sono due sistemi distinti: sangue venoso: gestito dal ventricolo destro, che invia sangue prodotto dal fegato verso la periferia sangue arterioso: gestito dal ventricolo sinistro, che invia parte del sangue - purificato dall’aria passata dai polmoni – al cervello, dove le parti più sottili del sangue si trasformano in πνέυμα, poi inviato ai nervi, concepiti come dei tubi cavi dove scorreva appunto il πνέυμα animale (da anima) o psichico, cioè gestito dalla ψυχή. Questa teoria avrà fortuna per secoli e sarà ripresa anche a Cartesio. La ψυχή nei neoplatonici e Plotino (205-270 d.C, periodo tardoantico): i neoplatonici ripresero il dualismo platonico, ma fecero coincidere la ψυχή con la coscienza  inizia ad emergere l’idea della coscienza come tratto costitutivo del mentale.  Il pensiero greco antico conosceva la coscienza? - se si intende coscienza = consapevolezza dei nostri atti mentali mentre li esercitiamo, allora il pensiero greco la conosceva (Aristotele ne accenna nel De anima)  Plotino si domanda se questa consapevolezza sia disturbante - se si intende coscienza = dimensione interna della psiche profondità spirituale in cui l’anima riflette su se stessa distaccandosi in qualche modo da se stessa allora il pensiero greco non la conosceva, ma ciò emerge solo con i neoplatonici. La ψυχή in S. Agostino (354-430 d.C.): con Sant’Agostino di Ippona, neoplatonico, per la prima volta nacque l’idea di anima come una sostanza spirituale dotata di consapevolezza di sé che la rende immediatamente certa della sua esistenza. L’anima è accessibile attraverso l’introspezione (che ha in Agostino valenza conoscitiva e religiosa, fu fondamentale per la sua conversione), che implica la riflessione e discesa in se stessi. L’anima è considerata la nostra coscienza in quanto ci rende consapevoli dei nostri processi mentali e ci permette di trovare la strada verso Dio. Viene quindi definita da S. Agostino come una “sostanza spirituale dotata di consapevolezza di sé”. È creata da Dio e legata al corpo, da cui però si può distaccare per sopravvivere al momento della morte. Agostino quindi riprende la concezione di immortalità dell’anima (cfr. Platone), ma introduce delle novità: - l’anima è qualcosa di creato (per Platone invece era eterna); - la psiche umana è dotata di una sua profondità a cui è possibile accedere introspettivamente  idea della coscienza e della consapevolezza di sé. La ψυχή in Tommaso d’Aquino (1221-1274 d.C.): dal XIII secolo d.C. ci fu una riscoperta, da parte del pensiero latino medievale, delle opere di Aristotele in particolare. Ciò non avvenne in maniera diretta, ma soprattutto tramite la mediazione della cultura araba che aveva avuto a disposizione quei testi. Aristotele quindi, dal XIII secolo, divenne per i filosofi medievali l’autorità cui fare riferimento, in quanto rappresentava per loro la vetta più alta raggiunta fino a quel momento dal pensiero umano (non ancora illuminato dalla verità della rivelazione cristiana). Per questi medievali che prendono come modello Aristotele però insorgono problemi, perché molti aspetti del pensiero aristotelico non sono compatibili con quello cristiano: - idea di creazione (assente in Aristotele e nell’intero pensiero greco) riferito al problema dell’immortalità dell’anima. La concezione ilemorfica di Aristotele infatti esclude che l’anima possa esistere staccata dal corpo secondo lo schema Platonico. - idea di reincarnazione. Come conciliare le idee cristiane prendendo come modello quelle aristoteliche? Tommaso d’Aquino: riprese l’ilemorfismo aristotelico, conciliandolo con la teoria dell’immortalità dell’anima del cristianesimo, rifacendosi ai due tipi di intelletto di cui parlò Aristotele, affermando che:  intelletto passivo: è funzione degli organi di senso  ha fondamento organico, quindi perisce quando il corpo muore  intelletto attivo: sopravvive alla morte del corpo. Tommaso così dà un’interpretazione “spiritualista” o parzialmente dualista dell’ilemorfismo di Aristotele: un pezzo dell’anima sopravvive alla distruzione del corpo. Si tratta di una tesi diversa da quella agostiniana e platonica: costoro pensavano che l’anima era prigioniera del corpo e che si reincarnasse in vari corpi. Tommaso invece pensa che le anime sono state create da Dio per il loro specifico corpo (che garantisce l’individualità della materia). Lo stato di anima scorporata, cioè senza corpo, per Tommaso non è uno stato ottimale – a differenza di ciò che pensava Platone – perché l’anima non può esercitare la sua funzione essenziale, la conoscenza e il pensiero, che derivano dai sensi, cioè dall’organismo corporeo, ma è uno stato transitorio che verrà superato quando, al momento del Giudizio Universale, l’anima si riunirà al suo corpo originario, trasfigurato, il quale assurgerà a uno status superiore di quello che aveva il corpo organico sulla Terra. Per Tommaso quindi il modello aristotelico riesce, meglio di quello agostiniano, a conciliarsi con il dogma cristiano della resurrezione della carne. L’età moderna e la nascita del concetto di “mente” LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA: periodo che va dal De revolutionibus orbium caelestium di Copernico (1543) fino ai Principia mathematica di Newton (1687). La rivoluzione scientifica ha rivoluzionato che cosa significa fare scienza, e ha implicato una “biforcazione della natura” (A. N. Whitehead), cioè la suddivisione del mondo in due ambiti distinti e irriducibili l’uno all’altro: il mondo fisico esterno, sottoposto a leggi meccaniche, e il mondo interno, gestito dalla mente. In realtà la stessa rivoluzione scientifica del Seicento è l’esito del lungo percorso “di progressiva depsicologizzazione ed esteriorizzazione del cosmo e interiorizzazione dell’io, del soggetto” (questa metafora spaziale, tipica della cultura occidentale – il mondo è fuori, l’io è dentro – si deve a Cartesio). depsicologizzare il cosmo: per i Greci era animato tutto ciò che era vivente, quindi era dotato di anima anche il mondo nel suo complesso (Timeo: il demiurgo plasma il mondo infondendo nella materia informe, la χώρα, l’anima del mondo). Il mondo viene ora depsicologizzato: esso non è animato, ma è un puro sistema materiale che obbedisce a leggi meccaniche e fisiche; interiorizzazione dell’io: la persona si ritira dal mondo e diventa l’unico portatore di stati psicologici. Il concetto di mente si fa strada a partire dalla prima metà del Seicento grazie a Cartesio, ma ebbe una grande influenza sul passaggio dal concetto di anima a quello di mente la rivoluzione scientifica, che diede importanza alla misurazione e alla quantificazione dei fenomeni. Cartesio OPERE Discorso sul metodo 1637 Meditationes de prima philosophia 1692 Cartesio introdusse il dualismo tra il mondo materiale e le menti pensanti. Questo perché Cartesio ha fatto propria la nuova immagine del mondo galileiana di fine Seicento e ne ha tratto queste conseguenze. La fisica di Galileo è segnata – tra le altre cose – dalla distinzione fra due tipi di proprietà esibite dagli oggetti della nostra esperienza, cui poi Locke attribuisce dei nomi: qualità primarie/oggettive: fanno riferimento a dimensioni come la grandezza, la figura, il numero, la posizione, il movimento; sono tutte le proprietà di tipo quantitativo, quindi suscettibili di misurazione più o meno accurata, quindi sono suscettibili di trattazione matematica. Queste proprietà appartengono realmente alla realtà esterna. qualità secondarie: le qualità sensibili (colori, suoni, sapori, odori…), tutti i dati di tipo qualita- tivo che ci sono messi a disposizione dagli organi di senso, ma non hanno nessuna consistenza reale nel mondo fisico esterno (concepito al tempo come fatto di atomi), bensì sono determinati soggettivamente. Questo (rivoluzione scientifica) provocò un rovesciamento del modo tradizionale di fare scienza (scienza aristotelica-scolastica, essenzialmente qualitativa): ora sono gli aspetti quantitativi quelli effettivi e i soli suscettibili a un trattamento matematico. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si intende se prima non si impara a intendere la lingua, e conoscere i caratteri né quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente le parole; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto. (Galileo, Il Saggiatore, 1623) Contemporanei di Galileo come Keplero e Cartesio condivisero tale posizione e ben presto la scienza quantitativa sarebbe stata destinata a trionfare su quella non quantitativa, grazie anche all’opera di Newton e alla progressiva estensione, nei secoli successivi, delle teorie quantitative alla maggior parte dei fenomeni fisici, elettricità, magnetismo e calore compresi. Cartesio attua un processo di depsicologizzazione del cosmo e di interiorizzazione dell’io: la natura viene privata delle connotazioni psicologiche, che vengono attribuite unicamente all’io. Si ha quindi una scissione tra mondo naturale e mondo mentale. Dal mondo fisico, inteso in termini quantitativi, Cartesio ritira completamente il soggetto con le sue sensazioni, i suoi stati mentali e i suoi giudizi morali: la mente, per Cartesio, oltre a essere la sede di tutti gli stati coscienti, è anche la sede del libero arbitrio, mentre nel mondo fisico tutto segue dinamiche predefinite in modo meccanico. mondo fisico (res extensa): regolato da determinismo e meccanicismo assoluto  non c’è libertà, quindi non ha senso porre questioni morali ed etiche. La natura e gli animali vengono considerati privi di anima; questi ultimi in particolare sono organismi biologici che reagiscono in maniera automatica agli stimoli ambientali, ma non sono dotati di attività mentale. dimensione dell’io (res cogitans): c’è libero arbitrio e non è sottoposto al determinismo naturale, quindi ha senso porre questioni morali ed etiche. Nel tempo, l’aggettivo “morale” diventa sinonimo di “mentale” e “psicologico”  fra Seicento e Settecento si inizia a parlare di dominio delle scienze naturali (segue modelli meccanici, naturalistici, deterministici) e l’ambito delle scienze morali (scienze umane). Il soggetto perde ogni connotazione materiale, diventa pura sostanza pensante, ovvero tutto ciò che rimane del soggetto una volta che si è ritratto dal mondo fisico. Ciò porta a ridefinire su basi nuove il rapporto dell’uomo con la natura: nella tradizione precedente si credeva che ciò che distingueva l’uomo dal mondo naturale era l’anima razionale, cioè la capacità del pensiero astratto, mentre per Cartesio l’uomo non solo ha la capacità di pensiero astratto (anima razionale), ma ha anche, solo lui (a differenza di ciò che si pensava prima), le forme più elementari di vita mentale (sensazioni, percezioni…). L’uomo quindi è in parte simile alla natura, in quanto il suo lato biologico, il corpo (res extensa), segue leggi deterministiche, ma al contempo si differenzia da essa, perché dotato di processi mentali (res cogitans), dai più semplici (sensazioni e desideri) ai più complessi (pensiero astratto, emozioni…). L’uomo è quindi il punto d’incontro tra res cogitans e res extensa, tra il mondo materiale e quello mentale: - corpo: sistema fisico, che segue le leggi meccaniche - mente (dotata di libero arbitrio): l’uomo è un essere pensante a cui accadono eventi mentali, psicologici, che si sottraggono alle dinamiche fisiche. Per Cartesio quindi gli animali non hanno una mente, sono pura fisiologia, mentre solo l’uomo ne è dotato  solo gli uomini hanno stati mentali, cogitatio (intesa come ogni forma di attività mentale). Che cos’hanno in comune gli stati mentali, così diversificati (pensiero astratto, matematico, piacere, dolore), tanto da essere definiti tutti cogitationes? Perché l’uomo ne è consapevole, sono tutti stati mentali coscienti. Questo fa sì che per Cartesio il mentale si qualifica come ciò che è cosciente. Questa idea dell’identità con ciò che è mentale con ciò che è cosciente e sarà una grande eredità per il pensiero successivo. Solo nel Settecento Leibnitz metterà in dubbio questo aspetto, dicendo che ci sono aspetti della nostra vita mentale che sono inconsci (cioè non coscienti, sotto la soglia della consapevolezza). Cogito, ergo sum: il dualismo tra res cogitans e res extensa, con cui Cartesio porta alle estreme conseguenze la distinzione tra qualità soggettive e oggettive, è un dualismo ontologico, poiché si occupa delle cose che esistono (enti) in quanto tali. Cartesio cerca di giustificare questo dualismo soprattutto nelle Meditazioni metafisiche o sulla filosofia prima: è nella II Meditazione che Cartesio afferma Cogito, ergo sum. Qui Cartesio afferma che ogni nostra percezione può essere messa in dubbio: può essere che ci sia un genio maligno che falsa la mia percezione ottenuta attraverso le esperienze sensoriali. In una situazione in cui l’uomo è portato a dubitare di tutto, c’è qualcosa di certo?  Cartesio si risponde dicendo che l’atto stesso di dubitare non può essere messo in dubbio (identificazione del mentale con il cosciente): nel momento in cui dubito e ne sono consapevole, non posso mettere in dubbio di dubitare, perché l’oggetto e il soggetto della mia conoscenza sono identici e nemmeno un genio maligno potrebbe intervenire. Questo deve valere per qualsiasi stato mentale (per Cartesio, tutti) di cui l’uomo è consapevole. Si giunge quindi a una condizione di dubbio universale  cogito, ergo sum (penso, dunque sono): il fatto stesso di pensare mi garantisce che esisto come essere che pensa (la parola ergo però può indurre in errore, come se annunciasse la conclusione di un’inferenza, mentre si tratta di un dato immediato). L’argomento del Cogito mi dice anche quale sia la mia essenza? Cartesio dice che, dal momento che secondo il Cogito esisto solo in quanto penso, io sono una cosa che pensa  se immagino di non avere un corpo, potrei pensare ugualmente, mentre non posso esistere senza pensare  mente e corpo sono due realtà distinte e irriducibili l’una all’altra; l’uomo è un punto d’incontro tra res cogitans e res extensa, ma la sua natura ultima può essere ricondotta a quella della res cogitans. Per sostenere il suo dualismo Cartesio apporta anche evidenze empiriche: - elenca una serie di facoltà umane che non possono derivare dalla dimensione corporea, come il linguaggio che è il mezzo utilizzato per dar forma ai pensieri umani - esistono delle macchine che (seguendo specifiche leggi deterministiche e meccanicistiche) svolgono determinati compiti meglio dell’uomo, il quale però, essendo dotato di intelligenza, è flessibile e può risolvere qualsiasi problema anche se in maniera imperfetta  l’intelligenza non può derivare dalla res extensa. Obiezione di Hobbes: Hobbes accetta la validità dell’argomento del Cogito (“io, in quanto penso, esisto”), ma non la conseguenza (“io esisto solo in quanto penso”), perché nulla esclude che anche una cosa materiale come il nostro corpo o cervello possa pensare. Dall’anima aristotelico-scolastica alla mens cartesiana: Cartesio parte dal principio autoevidente secondo cui pensiero e spazio sono incompatibili tra loro (la materia non può pensare; il pensiero non può essere esteso). L’idea cartesiana è un’idea di forte rottura nei confronti della tradizione: - materia: se per Aristotele la materia era pura potenza (capacità di ricevere una forma), con Cartesio diventa una sostanza autonoma; - anima: Cartesio dice che la vita vegetale non ha bisogno di un principio mentale (un’anima) per esplicarsi, perché tutto si spiega secondo modelli meccanici. L’anima che l’uomo ha per Cartesio è diversa da quella di Aristotele, perché comprende tutte le forme di attività mentale. Cartesio comunque non parla di anima, ma di mente (= res cogitans): solo l’uomo ha una mente, la quale abita e dirige un corpo. Dalla difficoltà che fa sorgere la coabitazione, nell’uomo, di queste due sostanze incompatibili, nasce il problema mente-corpo (chiarire come l’uomo possa consistere di due principi complementari, ma incompatibili). La fisiologia cartesiana e il modello idraulico: anche l’uomo è per certi aspetti una macchina: il funzionamento corporeo dell’uomo può essere spiegato con lo stesso schema usato per spiegare il funzionamento di realtà inanimate del mondo fisico. L’organismo umano è caratterizzato da alcuni processi fisiologici che si svolgono in maniera del tutto autonoma e dipendono dalla sua natura di res extensa. Non tutti i processi fisiologici che si svolgono nel corpo umano sono però autonomi. Ad esempio nel Seicento Harvey (De moto cordis) dimostrò che è lo stesso sangue – venoso e arterioso – che scorre in un unico sistema in cui il cuore funziona come una pompa idraulica. Il modello che ha presente Cartesio, parlando del corpo, è quello di una macchina idraulica, come gli orologi, le fontane artificiali, i mulini, allora giunti ad un livello altissimo di perfezione; se si esclude il pensiero, la res extensa è del tutto in grado di funzionare autonomamente. Questa idea fa insorgere in Cartesio l’ipotesi che anche comportamenti motori umani si svolgono secondo uno schema automatico, riflesso (come l’intero funzionamento animale)  interpretazione meccanicistica dell’organismo umano. L’arco riflesso: il pensiero di Cartesio è profondamente legato all’aristotelismo della scolastica: il corpo è considerato popolato di “spiriti animali”, che lo percorrono attraverso una miriade di canali. Il movimento degli spiriti animali, quindi la modificazione della figura dei muscoli che fa muovere il corpo è dato, per Cartesio, da quello che oggi si chiama arco riflesso, individuato come il meccanismo principe per la regolazione del movimento della macchina corporea. Cartesio fa l’esempio di uno stimolo nocicettivo: “se il fuoco si trova vicino al piede, le particelle di questo fuoco (…) aprono l’entrata del poro” attraverso cui “gli spiriti animali della concavità entrano, e attraverso quel condotto sono trasportati parte nei muscoli che servono a ritirare il piede dal fuoco, parte nei muscoli che servono a far volgere gli occhi e la testa verso il piede, e parte ancora nei muscoli che servono a portare avanti le mani e a piegare tutto il corpo in sua difesa”. La ghiandola pineale: nonostante la separazione tra mente e corpo le due dimensioni convivono e interagiscono a livello causale: la mente può agire sul corpo (causa), ad esempio determinando il movimento (effetto), ma è possibile anche il contrario. Il dualismo cartesiano può essere quindi descritto come un dualismo interazionista di tipo causale e a due vie: - dal fisico al mentale; - dal mentale al fisico. L’interazione ha luogo nel cervello, in particolare nella ghiandola pineale o conarium (l’unica parte “unica” del cervello, il resto è tutto doppio; è l’epifisi): è una sorta di “goccia” attaccata a un peduncolo che oscilla in una caverna (si muove entro limiti ristretti) - Quando l’uomo è sottoposto a uno stimolo esterno, il πνέυμα (pnèuma) viene convogliato fino alla ghiandola pineale, facendola muovere. In questo modo res cogitans e res extensa interagiscono e la mente coglie questo movimento sotto forma di sensazione cosciente. - Quando invece la mente vuole causare una risposta corporea fa muovere la ghiandola pineale per spingere il πνέυμα nei nervi. C’è un elemento di debolezza nella teoria cartesiana che si presenterà a metà dell’Ottocento, quando si scoprì il primo principio della termodinamica (in un sistema chiuso l’energia rimane costante). Il pensiero di Cartesio non è conforme ai principi della termodinamica: l’aumento di energia nel cervello non deriva da altri fonti di energia. La concezione rappresentazionale della mente: la mente può dirigere il corpo ma può anche ricevere stimoli degli oggetti esterni  percezione: la mente non ha accesso diretto al mondo esterno, ma solo un accesso a informazioni e immagini mentali (rappresentazioni) del mondo esterno prodotto dalla vista che si riflette sulla retina e colpiscono la ghiandola pineale. La percezione delle cose esterne è sempre fallibile. Nell’emergere di una sensazione si svolge un complesso processo sensoriale di trasmissione dell’informazione che attraversa diverse fasi: a) fase fisica: il corpo riceve lo stimolo. L’azione dei sensi è passiva, perché avvertono solo un “movimento” sui “condotti” che mettono in relazione gli organi di senso e il cervello. b) fase fisiologica (livello dello spirito): il πνέυμα viaggia attraverso i nervi fino alla ghiandola pineale. La sensazione quindi raggiunge la ghiandola pineale e diventa cosciente. c) vera percezione: ci formiamo un giudizio sulle cose esterne attraverso il movimento degli organi corporei su di esse, e così ci costruiamo delle rappresentazioni mentali del mondo esterno. Cartesio è consapevole del fatto che il meccanismo di formazione dell’immagine retinica diventa il meccanismo attraverso cui l’uomo percepisce distanza e localizzazione degli oggetti, conosce le illusioni di prospettiva ed è il primo a ritenere irrilevante il fatto che l’immagine retinica sia ribaltata. Sensazione cosciente/idea: riflette il mondo esterno. Le idee possono essere di 3 tipi: 1) idee avventizie: hanno origine sensoriale, emergono indipendentemente dalla nostra volontà. Vengono percepite dalla mente in modo passivo 2) idee fattizie: vengono elaborate dalla mente a partire dalle idee avventizie 3) idee innate: non sono né avventizie, né fittizie. Sono disponibili nella nostra mente sin dalla nascita (es. idea di io, di cogito, di Dio e dei principi della matematica) PSICOLOGIA BRITANNICA: EMPIRISMO E ASSOCIAZIONISMO Queste linee di pensiero sviluppano un particolare interesse per il problema della conoscenza e delle funzioni cognitive ad essa connesse. Esse inoltre elaborarono una nuova scienza della mente, la quale si basa su:  applicazione del metodo sperimentale ai fenomeni mentali  creazione di una psicologia newtoniana, la quale prevede la scomposizione dei processi psichici complessi nel loro elementi più semplici al fine di comprendere le modalità attraverso le quali essi si associano tra di loro. L’obbiettivo dello psicologo è quindi scoprire le leggi generali di associazione tra fenomeni psichici semplici  concetto di mente come l’insieme delle funzioni psichiche  diverso dall’accezione precedente di mente come sostanza a cui vengono poi attribuite le diverse funzioni cognitive  concetto di acquisizione delle conoscenze solo attraverso l’esperienza che abbiamo del mondo  scontro con Cartesio: Cartesio sosteneva l’esistenza di idee innate, mentre per gli empiristi esse non esistono. La mente umana ha il solo compito di creare idee complesse a partire dalla combinazione delle idee semplici che coglie attraverso l’esperienza. I principali esponenti furono Locke, Berkeley, Hume, Hartley, James Mill e John Stuart Mill.  John Locke (1632-1704): come tutti gli empiristi sostiene che la conoscenza derivi dall’esperienza, in particolare sviluppa l’idea della mente come tabula rasa. Secondo questa teoria, alla nascita la mente umana sarebbe una tabula rasa, e tutta la conoscenza che vi si iscrive deriva dall’esperienza, che può essere di 2 tipi: senso esterno: esperienza sensoriale del mondo esteriore (es: caldo, freddo); senso interno: esperienza che si concentra sui processi mentali e ci rende coscienti delle nostre emozioni (es: felicità, libertà). Attraverso processi associativi la mente può combinare idee semplici a formare idee più complesse.  David Hume (1711-1776): sostiene che la mente umana sia un caos di idee che vengono ordinate attraverso le associazioni. Hume elaborò una distinzione fondamentale tra 2 classi di idee: impressioni: percezioni forti, derivano da un’attivazione degli organi di senso dovuta a una stimolazione esterna idee: percezioni deboli, sono le “copie sbiadite” delle impressioni, cioè i loro ricordi. Contrariamente a ciò che sosteneva Locke, Hume afferma che tutte le idee hanno origine sensoriale e non possono derivare dal senso interno, il quale non esiste. Hume inoltre classificò i meccanismi associativi attraverso cui si possono combinare idee semplici per formarne di più complesse; queste leggi associative sono: 1) contiguità spaziale-temporale: idee che in passato sono apparse ravvicinate nel tempo o nello spazio tendono a legarsi tra loro 2) somiglianza: da una serie di idee concrete e particolari, ma che si somigliano, colgo idee generali e astratte che le riassumono (es. da tanti triangoli concreti che si somigliano, ma che non sono uguali, colgo l’idea di triangolo) 3) causalità: due idee che si susseguono regolarmente una dopo l’altra tendono ad essere evocate insieme e legate con un rapporto causa-effetto. L’idea di Hume dell’io: il nostro io è molto labile, dato dalla presenza di stati mentali differenziati tra loro (teoria del fascio). Chiamato così di rimando alla sua esperienza di anatomista (sezione di un bue). Il mondo è fatto di particelle che entrano in contatto tra loro secondo leggi meccaniche (es. legge gravitazionale). Il mondo mentale è fatto di impressioni e idee che entrano in contatto tra loro secondo leggi associative. Metafore spaziali: in questi autori si sviluppano interessanti metafore di tipo spaziale ispirate da Cartesio per descrivere il mondo mentale (mondo mentale “dentro” e mondo fisico “fuori”, i fenomeni psichici hanno una collocazione spaziale  paradossale, perché per Cartesio la mente non è estesa). Locke descrive la mente come camera oscura (ripostiglio buio con piccoli spiragli di luce che lasciano entrare similitudine delle cose esterne). Hume introduce un’altra metafora che vede la mente come teatro (diverse rappresentazioni fanno la loro entrata, entrano e escono e fanno la loro comparsa e si sostituiscono in modo caotico tra loro). Nell’idea di Newton: la luce arriva all’occhio sulla retina  si attivano i recettori retinici che inviano l’impulso a piccoli filamenti periferici che attivano piccole porzioni della mente così che si crei una frammentazione (impressione percettiva/impressioni elementari). Dobbiamo quindi ricreare l’unità del percetto. Nasce l’ipotesi di costanza: idea che gli stessi stimoli producono sempre le stesse sensazioni, considerate sottratte all’influenza di variabili interne. Secondo il principio di costanza esiste corrispondenza puntuale tra elementi di esperienza e eventi neurali e spezzettamento immagine fisica sul fondo della nostra retina.  John Stuart Mill (1806-1873): sviluppò le sue teorie psicologiche in un contesto storico-culturale fortemente influenzato dalle grandi rivoluzioni chimiche di Lavoisier. Leggi associative interpretate alla luce della sua TEORIA DELLA CHIMICA MENTALE: le idee complesse non derivano dalla semplice somma delle idee semplici, in quanto presentano proprietà emergenti che non sono riducibili alla mera somma delle proprietà delle idee di partenza; il prodotto di un’associazione (idee complesse) non viene composto, ma viene generato da elementi di partenza, dando vita a qualcosa di superiore  concetto di fusione di idee. PSICOLOGIA FRANCESE DELL’ILLUMINISMO (XVIII secolo): si assiste a una radicalizzazione dell’empirismo attraverso la nascita del sensismo, una corrente psicologica secondo la quale tutta la vita psichica deriva dalle esperienze sensoriali.  É. B. de Condillac (1714-1780) OPERE Trattato delle sensazioni 1754 Condillac conosceva e apprezzava parte delle teorie di Locke, di cui criticava il senso interno. Infatti, secondo Condillac, tutti i processi mentali umani derivano da una complicazione delle sensazioni percepite attraverso gli organi di senso. All’interno del Trattato delle sensazioni (1754) Condillac espresse le sue teorie sui processi mentali e pone il famoso esempio della statua: Per arrivare a questo scopo, immaginammo una statua organizzata internamente come noi, e animata da uno spirito privo di ogni specie di idee. Supponemmo anche che l’esterno, tutto di marmo, non le permettesse l’uso di nessuno dei suoi sensi, e ci riservammo la libertà di aprirli, a nostro arbitrio, alle differenti impressioni delle quali sono suscettibili. Credemmo di dover cominciare con l’odorato, perché fra tutti i sensi è quello che sembra contribuire di meno alle conoscenze dello spirito umano. Gli altri furono oggetto delle nostre ricerche in seguito, e dopo averli considerati separatamente e insieme, vedemmo la statua diventare un animale, capace di vegliare sulla propria conservazione. Il principio che determina lo sviluppo delle sue facoltà è semplice, lo racchiudono le stesse sensazioni: infatti, essendo tutte necessariamente piacevoli o spiacevoli, la statua è interessata a godere delle une e a sottrarsi alle altre. Ora, ci si convincerà che questo interesse basta per dar luogo alle operazioni dell’intelligenza e della volontà. Il giudizio, la riflessione, i desideri, le passioni, ecc., sono soltanto la sensazione stessa che si trasforma differentemente. Perciò ci è sembrato inutile supporre che l’anima derivi immediatamente dalla natura tutte le facoltà delle quali è dotata. La natura ci dà organi per avvertirci col piacere di ciò che dobbiamo cercare e col dolore di ciò che dobbiamo evitare. Ma si ferma là e lascia all’esperienza la cura di farci contrarre abitudini e di terminare l’opera che ha cominciato [...]. Avverto dunque che è importantissimo mettersi esattamente al posto della statua che osserveremo. Bisogna cominciare a esistere con la statua, avere soltanto un senso quando essa ne ha uno soltanto; acquistare soltanto le idee che acquista, contrarre soltanto le abitudini che contrae: in una parola bisogna essere soltanto ciò che essa è. La statua giudicherà le cose come noi solo quando avrà tutti i nostri sensi e tutta la nostra esperienza; e noi giudicheremo come lei solo quando supporremo di essere privi di tutto ciò che le manca. Credo che i lettori che si metteranno esattamente al suo posto non faticheranno a capire quest’opera; gli altri mi opporranno difficoltà innumerevoli. Si immagini una statua il cui esterno sia fatto di marmo e il cui interno invece sia simile al corpo degli esseri umani. Se il marmo fosse impenetrabile dagli stimoli esterni, la statua sarebbe priva di attività mentale; ugualmente gli uomini. Se il marmo, invece, diventasse penetrabile, assisteremmo a una complicazione dell’attività mentale man mano che i sensi iniziano a collaborare. Immaginiamo che i sensi vengano attivati uno dopo l’altro, per comprendere esattamente quali processi mentali causino: - olfatto: la statua è odore  è cosciente solo di questo aspetto del mondo, pensa di essere lei stessa un odore al pari di quelli che gli arrivano dal mondo esterno - tatto: la statua acquisisce propriocezione che permette un primo approccio diretto con l’esterno - ecc. ecc. Con questo esperimento Condillac voleva dimostrare che la vita mentale si origina con le sensazioni, senza le quali essa non esisterebbe. Si tratta di un esperimento mentale = esperimento in cui la variazione della variabile indipendente (che influenza l’esito dell’esperimento stesso) è puramente immaginata e ipotetica, quindi viene dedotta sulla base di procedimenti logici  J. O. de Lamettrie (1709-1751): sosteneva che il concetto di anima/res cogitans debba essere abbandonato. Secondo lui bisogna affidarsi unicamente alla medicina, in quanto lo stato del nostro corpo influenza la vita mentale. Infatti, secondo Lamettrie, il comportamento degli esseri viventi dipende dalla struttura del loro sistema nervoso. TEORIA DELL’HOMME MACHINE (1748): l’uomo mostra comportamenti intelligenti e sembra possedere stati mentali; anche gli animali mostrano comportamenti intelligenti, ma sappiamo che sono pure macchine. Anche l’uomo è una macchina al pari degli animali. I fenomeni psichici non sono il prodotto dell’anima, ma sono processi psichici riflessi dei processi mentali (es. corde di violino). TEORIA DELL’IDENTITÀ MENTE-CORPO: i processi mentali coincidono con i processi fisiologici. Per questo motivo anche gli animali mostrano comportamenti intelligenti. Quello di Lamettrie è un modello fortemente riduzionista; la sua è una teoria dell’identità (attività mentali ridotte ad attività neurofisiologiche che si sviluppano nel sistema nervoso centrale).  P. Cabanis (1757-1808): sosteneva che i fenomeni mentali coincidano con i processi del sistema nervoso. Il cervello ha la funzione di dare unità alla vita mentale, che si fa presente in tutto il corpo attraverso il sistema nervoso periferico. Cabanis voleva risolvere il dualismo tra mente e corpo e la soluzione è la fisiologia, che costituisce la soluzione della dimensione morale e quindi fondamento di ogni possibile psicologia. Il sistema nervoso è il centro di unità che prima era compito dell’anima, funge da principio di coordinamento di tutte le attività anche corporee. Nella psicologia di Seicento e Settecento non è usato ancora il metodo sperimentale, ma nello studio di fenomeni psicologici ha luogo una sempre più marcata incidenza sia dell’utilizzo di dati empirici (vedi Locke), sia degli esperimenti mentali (es: la statua; il problema di Molyneux):  dati empirici: John Locke (empirista inglese): nel suo Saggio sull’intelletto umano, per sostenere la tesi secondo cui l’intelletto umano alla nascita è una tabula rasa, si concentra sull’osservazione di bambini e “idioti”, dicendo che, nei neonati, le idee universali e astratte si formano in seguito all’esperienza. Locke fece riferimento anche a resoconti di quei viaggiatori inglesi iniziavano ad esplorare gli Stati Uniti e a colonizzarli e che evidenziavano come nei popoli “primitivi” non esistesse l’idea di Dio così come è concepita nella cultura occidentale  ciò dimostra che l’idea di Dio non è innata – a differenza di ciò che diceva Cartesio – ma costruita attraverso l’esperienza (riferimento a una mente non ancora permeata dalla cultura e dal senso di società).  esperimenti mentali: un esperimento avviene quando si isola in laboratorio il fenomeno che si vuole studiare e si mostra come esso dipenda da condizioni specifiche, ovvero dalle variabili indipendenti (manipolare dallo sperimentatore) e dalle variabili dipendenti (l’effetto). Negli esperimenti mentali la variazione della variabile indipendente non viene effettuata realmente dallo sperimentatore, ma viene solo immaginata, così come il variare della variabile dipendente (l’effetto). Un esperimento mentale molto noto e discusso al tempo fu il “problema di Molyneux”. Molyneux, dopo la lettura del Saggio sull’intelletto umano di Locke, scrisse a Locke una domanda che poi fu riportata e pubblicata da Locke stesso nella seconda edizione del Saggio: Immaginiamo un uomo nato cieco, ora adulto, al quale si è insegnato per mezzo del suo tatto a distinguere fra un cubo e una sfera dello stesso metallo e pressappoco della stessa grandezza, in modo che sia in grado, sentendo l’uno e l’altro, di dire qual è il cubo e qual è la sfera. Supponiamo ora di mettere il cubo e la sfera su un tavolo, e che al cieco sia data la vista: si domanda se, mediante la vista e prima di toccarli, egli saprebbe ora distinguerli e dire qual è il cubo e qual è la sfera? (Locke, 1694, tr. it. pp. 180-181). Secondo Molyneux (e Locke), sulla base del processo di acquisizione lockiano, la risposta è no: non è possibile il trasferimento di dati dal tatto alla vista (cioè acquisire delle informazioni nei vari sensi passando per un processo graduale di acquisizione dei dati). Il problema di Molyneux fu oggetto di dibattito tra gli illuministi francesi del Settecento, fino a:  1728: il chirurgo inglese William Cheselden tenne una relazione nella quale riferì un intervento chirurgico da lui operato agli occhi di un giovane ragazzo non vedente (non è chiaro se fosse cieco dalla nascita o se la cecità sopraggiunse poco dopo la nascita). Dopo questo intervento alle cateratte del ragazzo Cheselden gli ridiede, almeno parzialmente, la vista. Cheselden disse quindi come il ragazzo all’inizio facesse fatica a svolgere le normali azioni usando solo la vista e non il tatto come aveva fatto fino a quel momento. Questa è quindi una sorta di conferma della correttezza delle tesi empiriste di Locke e Molyneux.  Leibnitz invece disse che il problema di Molyneux era mal posto, e applica una distinzione tra: - idee “immagini”: copie sbiadite della realtà (cfr. Hume) - idee esatte: cogliere le relazioni matematiche/essenza degli oggetti. A livello delle immagini la tesi di Molyneux e Locke è valida, ma a livello delle idee esatte no: dal momento che è possibile cogliere l’essenza delle forme geometriche, l’idea esatta è la stessa, sia che sia guadagnata per via tattile, sia per via visiva. PSICOLOGIA FILOSOFICA IN GERMANIA Dalla seconda metà dell’Ottocento in Germania si sviluppò la psicologia come disciplina autonoma. Nel Settecento la Germania era un paese ancora feudale, culturalmente, socialmente, politicamente ed economicamente arretrato rispetto a Francia e Gran Bretagna. La conseguenza fu una minore profondità e originalità della riflessione, ma furono filosofi e pedagogisti tedeschi a scrivere i primi trattati di psicologia e a usare il termine “psicologia”, consolidandolo.  Christian Wolff (1669-1754) OPERE Psicologia empirica 1732 Psicologia razionale 1734 Wolff fu un importantissimo illuminista tedesco, tra i primi a parlare di psicologia. Wolff propose un’articolazione complessiva delle discipline filosofiche secondo uno schema ascendente, che va dall’uomo a Dio, stabilendo una terminologia specifica: 1) ontologia o metafisica generale: studio dell’essere in quanto tale 2) metafisica speciale: studio, in ordine ascendente, di: a) mondo (cosmologia) b) anima (psicologia) c) Dio (teologia). Nel trattare queste discipline possono essere usati metodi diversi (che devono integrarsi): metodo a priori: metodo logico-deduttivo concettuale, “prima dell’esperienza”; da una legge generale si concentra poi sui casi particolari metodo a posteriori: metodo empirico e induttivo, derivato dall’esperienza esterna e interna; dall’esperienza sensibile dei singoli casi cerca di trarre delle leggi generali. Wolff scrisse Psicologia razionale (1734) e Psicologia empirica (1732) attuando una distinzione sostanziale: → psicologia razionale: “scienza dell’anima”, ovvero analisi concettuale al fine di stabilire che cos’è l’anima e che cosa sono le sue facoltà fondamentali; uso del metodo a priori → psicologia empirica: “storia dell’anima” (dal greco ἱστορία, istorìa = analisi, descrizione), ovvero analisi della condotta umana con base sull’esperienza; uno del metodo a posteriori. Si fonda su calcoli matematici, pertanto è chiamata anche psicometria, ovvero scienza che cerca di misurare l’ambito del mentale, l’anima e le sue caratteristiche. Non è ancora definita nel dettaglio Wolff introdusse così la distinzione tra psicologia filosofica/umanistica e psicologia scientifi- ca/empirica, che influenzò i posteri. I due modi di fare psicologia devono integrarsi e lavorare congiuntamente: le deduzioni a cui giunge la psicologia razionale devono poi rispecchiare i dati empirici raccolti dalla psicologia empirica e, viceversa, le osservazioni della psicologia razionale devono essere riassumibili tramite le leggi generali poste dalla psicologia razionale.  Immanuel Kant (1724-1804): la psicologia però subì una battuta d’arresto a causa di Kant (interdizione), il quale considerava la psicologia una falsa scienza: per lui non si può fare della psicologia una scienza, né razionale né empirica. Kant cercò di superare la controversia tra empirismo e razionalismo con l’idealismo trascendentale: FENOMENI/NOUMENI: per Kant quello che l’uomo può conoscere è un mondo di fenomeni, cioè come le cose appaiono all’intelletto umano; dietro i fenomeni ci sono i noumeni, che però sono inconoscibili. L’intelletto ha particolari strutture conoscitive: - spazio e tempo (conoscenza percettiva) - sostanza e accidente, causa ed effetto, azione reciproca tra agente e paziente (conoscenza intellettiva). Per Kant possiamo conoscere i fenomeni adattandoli alle nostre forme a priori di spazio e tempo e successivamente alle categorie dell’intelletto. IO PENSO: Kant riprese il cogito cartesiano, definendo l’io penso. L’io penso non è una sostanza – a differenza di ciò che affermò Cartesio con la definizione della res cogitans – ma è una funzione psichica, un’istanza mentale che accompagna ogni attività mentale come un’ombra. L’io penso è la condizione di applicabilità delle categorie dell’intelletto a contenuti empirici, cioè la condizione ultima della possibilità di conoscenza. L’io penso assicura quindi l’unità della coscienza, ma apre problemi per la psicologia razionale intesa come “scienza dell’anima”: la psicologia razionale non è possibile, perché per Kant la conoscenza di se stessi è possibile solo applicando le categorie dell’intelletto a dati empirici (= conoscenza empirica, l’unica possibile per l’uomo). Considerando l’anima come sostanza si sta applicando la categoria di sostanza all’io penso, che è però è la condizione di applicabilità delle categorie dell’intelletto a contenuti empirici  considerando l’anima come sostanza si fa un grave errore, detto paralogismo = l’anima non è una sostanza, quindi non è un contenuto empirico e pertanto non vi si possono applicare le categorie dell’intelletto; quindi l’anima non può essere conosciuta. OBIEZIONI: Kant mosse obiezioni contro la possibilità della psicologia – sia razionale che empirica – come scienza (furono importanti, perché cercando di controbattere a queste nacque la psicologia): a) la psicologia empirica (o psicometria) non può essere una scienza perché è impossibile applicare ai fenomeni mentali la misurazione matematica e l’esperimento. I fenomeni del mondo esterno sono organizzati secondo spazio (3 valori numerici: lunghezza, altezza, larghezza) e tempo (1 valore numerico), mentre i fenomeni del mondo interno, colti solo mediante il senso interno (introspezione), non sono spaziali, ma sono organizzati solo secondo il tempo. Di conseguenza i fenomeni del mondo interno, non essendo spaziali, non sono rappresentabili e non vi si può applicare la matematica, perché c’è solo la dimensione del tempo, che è unidimensionale (1 valore numerico  manca almeno un altro valore per costruire funzioni matematiche). Pertanto non essendo applicabile la matematica la psicologia empirica non è una scienza rigorosa. b) la psicologia empirica (o psicometria) ha come fonte dei suoi dati il senso interno o introspezione, che però è inaffidabile e fallibile. Quando io esercito atto introspettivo e pongo attenzione ai miei dati introspettivi, l’oggetto osservato e il soggetto coincidono, quindi che cosa mi assicura che questa azione non alteri le cose che io volevo effettivamente osservare?  l’introspezione non è uno strumento adeguato per conoscere il mondo interno, perché non è scientificamente corretto.  l’unico modo per fare psicologia è sugli altri, cioè non mediante l’introspezione ma l’analisi sistematica del comportamento umano e di fattori osservabili e misurabili. Per Kant gli stati mentali altrui non possono essere colti, ma se ne può osservare intersogget- tivamente il comportamento  si può fare quella che Kant definisce ANTROPOLOGIA PRAGMATICA (dal greco πράγμα, pràgma = azione): si possono indagare prodotti oggettivi a cui le attività umane mettono capo (es: manufatti, opere d’arte, palazzi…), cioè si può studiare la mente dell’uomo attraverso i prodotti delle sue azioni. Questi prodotti oggettivi dànno un’immagine della vita degli uomini da un punto di vista oggettivo. Kant comunque parlò di azioni, che hanno uno scopo, sono il frutto dell’intenzione, delle credenze e delle convinzioni del soggetto, permettendo così di studiare i fenomeni mentali a partire dai prodotti delle azioni umane, che oggettivizzano il mondo interiore; non parlò di comportamenti, poi osservati dai comportamentisti). Per Kant quindi la psicologia non può diventare una scienza naturale, ma è “condannata” ad essere una scienza umana. A fine Ottocento, quando la psicologia iniziò a diventare una disciplina autonoma, i neo-kantiani contrastarono questa psicologia sperimentale e introdussero la distinzione tra “scienze della natura” e “scienze dello spirito” (tra cui la psicologia). Superamento delle obiezioni di Kant:  Johann Friedrich Herbart (1776-1841) (supera la prima obiezione kantiana): OPERE Manuale di psicologia 1816 La psicologia come scienza rifondata sull’esperienza, sulla metafisica e sulla matematica La concezione di Herbart della psicologia è insieme: - regressiva: mantiene l’idea di una psicologia razionale, quindi non rinuncia al concetto metafisico di anima - innovativa: considera la psicologia metafisica per quanto riguarda l’anima, ma anche empirica e matematica  per Herbart è possibile, anzi necessario applicare la matematica al mentale. Per Herbart non si può rinunciare all’anima (metafisica), che è semplice e unitaria, ma le sue “rappresentazioni” hanno gradi diversi di forza, intensità e chiarezza. Queste rappresentazioni sono grandezze, non di tipo estensivo ma di tipo intensivo: grandezze estensive: proprie delle scienze fisiche, sono grandezze le cui parti sono della stessa natura (secondo la definizione di Aristotele ed Euclide) e misurabili ricorrendo a un’unità di misura, es: lunghezza. grandezze intensive: sono grandezze psichiche; è presente un elemento (in aggiunta al tempo) che consente di lavorare in modo comparato tra variabili (intensità) e confrontare ad esempio due stati mentali simili ma con intensità diverse; non esiste unità di misura. Le grandezze mentali possono essere messe in ordine in base alla loro intensità: sono grandezze che aumentano di intensità in modo continuativo e infinitesimale, rendendo possibile operare dei calcoli tra le varie grandezze. Con il tempo poi le grandezze psichiche cambiano, quindi per Herbart è possibile fare una “statica” e una “dinamica” dello spirito e studiarne i cambiamenti. Le grandezze psichiche sono delle forze mentali in conflitto tra loro, c’è forte interazione dinamica; tra due grandezze psichiche vince la più forte. Le idee più intense tendono a occupare la coscienza e le idee ad esse compatibili si fondono ad esse per emergere alla coscienza. Le idee incompatibili invece vengono inibite da quelle più forti, sprofondando così al di sotto della soglia di coscienza e sprofonda nell’inconscio, pronta ad essere richiamata al di sopra di tale soglia quando mutano le condizioni della coscienza ( concetti importarti poi per Freud). La mente umana è infatti caratterizzata da due dimensioni: la coscienza e l’inconscio, separate da una soglia. Le idee che sprofondano sotto la soglia diventano delle tendenze inconsce pronte a riemergere quando la coscienza risulterà occupata da un’idea a loro compatibile. La mente risulta quindi guidata da forze che cercano di stabilire un equilibrio  la mente alterna fasi di staticità a fasi di dinamismo. La nascita della psicologia scientifica – i contributi dall’indagine fisiologica La psicologia scientifica nacque a inizio Ottocento, quando ebbe luogo l’unione tra la riflessione filosofica sulla coscienza e l’indagine fisiologica sulle funzioni sensoriali. La nascita della psicologia scientifica sancì la possibilità di applicare al campo del mentale le metodologie delle scienze fisiologiche e naturali. - All’inizio dell’Ottocento due fisiologi, lo scozzese Bell (1774-1842) e il francese Magendie (1783- 1855), scoprirono che i nervi sensoriali si innestano nel midollo spinale attraverso radici poste esternamente (nervi periferici), mentre i nervi motori si innestano attraverso radici collocate nella parte anteriore  le vie sensoriali sono indipendenti da quelle motorie (LEGGE DI BELL- MAGENDIE). Fu una scoperta epocale, che dimostrò che il sistema nervoso non ha carattere unitario: i due tipi di nervi sono anatomicamente simili, ma hanno funzioni diverse  “dicotomia” nel sistema nervoso, con verso: - nervi sensorali: da periferia a centro (SNC) - nervi motori: da centro (SNC) a periferia (muscoli). Come trovano unità queste due parti? - Nel 1832 Hall (1790-1857) “scoprì” l’arco riflesso (già considerato da Cartesio  ondulatio reflexa), un movimento automatico, che avviene senza intervento del sistema nervoso centrale – e della coscienza – e della volontà (TEORIA DELL’ARCO RIFLESSO, 1832), ma che si origina a livello del midollo spinale. Questo avviene perché nel midollo spinale ci sono le cellule gangliali e dei neuroni di collegamento, gli interneuroni, che connettono l’impulso sensoriale in entrata e quello motorio in uscita. L’energia nervosa proveniente dai nervi sensitivi può diventare energia nervosa motoria attraversando gli interneuroni in caso di necessità, causando dei movimenti automatici chiamati riflessi che permettono un rapido adattamento dell’organismo all’ambiente (trasformazione energia nervosa sensitiva-energia nervosa motoria spiegata dal principio di conservazione dell’energia). Hall parlò di energia nervosa: bisogna considerare che si tratta degli anni in cui la fisica formulò matematicamente il I principio della termodinamica (l’energia in un sistema chiuso si conserva). Il sistema nervoso è quindi concepito come un sistema energetico in cui l’energia è costante, e l’energia immessa cambia stato diventando energia motoria.  l’obiettivo della scuola fisiologica di Berlino era quello di identificare in termini meccanici anche il funzionamento del sistema nervoso (fisicalizzazione della fisiologia). Quello dell’energia però è un concetto fisico, che non tiene conto del fatto che l’attivazione degli organi di senso produce sensazioni che hanno una valenza cosciente (ne siamo consapevoli) e qualitativa. - Nel 1826 Müller (1801-1854), tedesco, scoprì la LEGGE DELL’ENERGIA SENSORIALE SPECIFICA (1826), ovvero scoprì che la natura qualitativa delle sensazioni dipende non dalla natura dell’evento fisico esterno, bensì da quella del nervo che volta per volta viene stimolato. Inoltre il nervo (ad esempio il nervo ottico) agisce sempre nello stesso modo e non è possibile la transizione tra modalità sensoriali diverse (ad esempio, non posso passare da colori a suoni), ma è possibile la transizione se si rimane nella stessa modalità sensoriale (ad esempio posso passare da un colore all’alto, passando dalle varie sfumature). La legge dell’energia nervosa specifica che: il nervo reagisce sempre nello stesso modo, mostrando di avere una sua specifica qualità (stimoli diversi che colpiscono lo stesso nervo danno vita allo stesso tipo di sensazione: ad esempio lo stimolo visivo può essere causato da luce, stimolazioni elettriche del nervo, sostanze chimiche…); lo stesso stimolo fisico che agisce su nervi diversi dà sensazioni modalmente diverse; Questa legge rafforza la tesi di inizio Seicento della soggettività delle qualità secondarie (Galilei ecc.) secondo la quale il modo in cui concepiamo il mondo esterno dipende in parte dalla natura degli oggetti interni, ma soprattutto da come reagiscono i nostri nervi. Ciò portò fisiologi e filosofi a rileggere in termini fisiologici il trascendentale (l’“a priori”) di Kant  kantismo fisiologico: il mondo ci appare in un certo modo perché siamo organizzati in un certo modo piuttosto che in un altro. - Dal 1830 circa in Germania, all’Università di Lipsia, Weber (1795-1878) fece ricerche sul senso del tatto e sul ‘sentimento comune’ (Gemeingefühl), la sensazione complessiva che il nostro corpo ha di sé, nel suo rapporto con gli oggetti esterni e con i suoi organi interni. Le ricerche sul tatto portarono Weber ad affrontare il problema di come noi determiniamo stimoli molteplici, arrivando ad affermare che: i recettori tattili non sono distribuiti in maniera omogenea sul corpo esiste una soglia sensoriale (cfr. concetto di soglia di Herbart) da cui dipende il modo in cui discriminiamo gli stimoli tattili. Esperimento per il tatto: volendo misurare la finezza discernitiva attraverso il tatto, Weber prese due soggetti bendati e stimolava con un compasso a due punte diverse regione della cute dei soggetti: - quando le punte erano vicine, il soggetto sente lo stimolo in un punto solo; - aumentando le distanze tra le punte, il soggetto è incerto e non sa se si tratta di 1 o 2 punte - oltre una certa soglia, detta soglia sensoriale, il soggetto avverte con precisione due punte. Le diverse parti del nostro corpo non hanno la stessa capacità di discriminazione. Weber utilizzò questo schema per valutare la capacità dei soggetti di distinguere due pesi: Esperimento con i pesi: Weber chiese a due soggetti bendati quale tra i 2 pesi che ha posto loro in mano, pesi di più: - quando la differenza di peso è minima, per i soggetti i due pesi pesano uguale; - aumentando la differenza di peso, il soggetto è incerto su quale peso pesi di più; - superata una certa soglia, i soggetti capiscono che i due pesi sono diversi. In media i soggetti sanno distinguere 30 g da 31 g, ma non riescono a distinguere 60 g da 61 g, nonostante la differenza oggettiva sia la stessa del caso precedente  ciò che conta è il rapporto (infatti i soggetti riescono a percepire la differenza tra 60 g e 62 g): Weber scoprì che il sistema discriminatorio è sensibile ai rapporti, e che è il rapporto tra peso campione e paragone a rimanere costante; inoltre scoprì che esiste una minima differenza percettibile tra due stimoli, al di sotto della quale il soggetto non è in grado di distinguere quale dei due oggetti sia il più pesante. La capacità di discriminazione è di 1/30. Weber formulò la legge di Weber (legge quantitativa): incremento dello stimolo ΔR = K = costante di Weber stimolo R Se il soggetto deve sollevare personalmente i pesi – chiamando in campo il senso comune – la capacità di discriminazione aumenta, arrivando fino a 1/40. Questa legge spiega come il rapporto tra la differenza tra lo stimolo campione e lo stimolo di paragone (ΔR) e il valore dello stimolo campione (R) sia sempre costante (K). Quando sono i soggetti stessi a sollevare i due oggetti la capacità discernitiva è maggiore in quanto entra in gioco il senso comune, che analizza lo sforzo muscolare compiuto per sollevare gli oggetti, aiutando il nostro sistema percettivo a compiere discriminazioni più precise. La legge di Weber vale anche per gli altri sensi (vista e udito): per la vista, dopo aver conficcato nel terreno due pali di diversa altezza, Weber chiese ai soggetti qual è il palo più alto. Anche la vista obbedisce alla legge di Weber, anzi la costante di Weber K è più piccola, quindi la capacità discernitiva della vista è maggiore di quella del tatto. - All’università di Lipsia Fechner (1801-1887), nel 1860, scrisse Elementi di psicofisica. La vita di Fechner fu determinante per la pubblicazione di Elementi di psicofisica: nacque in condizioni economiche modeste, suo padre fu un pastore luterano 1817: si iscrisse a Medicina all’Università di Lipsia, ma ne fu deluso  non voleva fare il medico si laureò; non esercitò la professione di medico, ma rimase impressionato dal progresso delle scienze che avveniva in quel periodo all’Università fu affascinato anche dalla “filosofia nella natura”: in Germania a quel tempo (1800) dominavano le filosofie romantiche, e alcuni romantici svilupparono la “filosofia della natura”, che a differenza delle convinzioni newtoniane (secondo le quali esistono leggi rigorose e viene dato poco valore ai fenomeni della vita) concepivano il mondo come una sorta di organismo organizzato armonicamente si dedicò alla ricerca nel settore della fisica (soprattutto elettricità, elettromagnetismo…) si guadagnava da vivere traducendo in tedesco manuali scientifici (spesso dal francese) 1839; ottenne la cattedra di Fisica all’Università di Lipsia studiò le immagini postume retiniche (cioè ad esempio quelle che rimangono quando si guarda la luce), cosa che lo portò a rovinarsi gli occhi ebbe una crisi psicofisica (depressiva) che lo portò a lasciare la cattedra di Fisica e a vivere per qualche anno isolato da tutti nella sua stanza che fece dipingere di nero, senza mangiare (sembra che) uno strudel lo fece ricominciare a mangiare e quindi uscire dalla crisi depressiva tornò a insegnare all’Università di Lipsia con una cattedra in Filosofia (al tempo le discipline non erano nettamente distinte come lo sono oggi) sviluppò riflessioni – nell’ambito della filosofia della natura – con tratti quasi mistici, forse anche con l’influenza delle filosofie orientali (es. della teoria dell’animazione universale: tutto è animato, ed esiste una gerarchia tra le cose) ormai spiritualista, decise di dover combattere il materialismo utilizzando i suoi stessi metodi 22 ottobre 1850 (oggi Fechner Day!): ebbe un sogno/visione che gli anticipò il progetto che portò a compimento nel 1860, ovvero la stesura e pubblicazione degli Elementi di psicofisica. PSICOFISICA: per la concezione del rapporto tra mente e corpo, Fechner contesta Cartesio: contesta il dualismo cartesiano (per Cartesio mente e corpo sono separate ed esiste una relazione causale tra esse), e riprendendo ad es. Schelling e Spinoza sostiene una visione di identità: mente e corpo sono una sola cosa che ci appare ora come fisica, ora come mentale a seconda del punto di vista da cui la osserviamo; tra mente e corpo dunque non c’è un rapporto causa-effetto. Per spiegare ciò Fechner si servì della metafora della sfera: se viene osservata dall’esterno appare convessa, dall’interno concava. L’essere concava o convessa sono due aspetti che si ‘sdoppiano’ solo in funzione del punto di vista. Lo stesso vale per l’uomo: - se si osserva dall’esterno (mai intero se non con uno specchio) o osserva altri uomini, vede corpi fisici; - se si osserva dall’interno si coglie come un essere che ha stati mentali (ma coglie solo i suoi). Questi sono solo due modi di apparire di una cosa a seconda della prospettiva di 1a persona (interna) o di 3a persona (esterna  propria delle scienze naturali). Fenomeni fisici e fenomeni psichici quindi coesistono e procedono in parallelo, sono correlati: se cambia l’organizzazione fisica del soggetto, mutano anche i suoi stati mentali, e viceversa; questo perché non si tratta di fenomeni distinti, ma dello stesso ordine di fenomeni. contesta l’ipotesi cartesiana di una interazione causale tra mente e corpo. Per Fechner tra mente e corpo esiste un rapporto funzionale: al cambiare di una dimensione cambia anche l’altra, senza un rapporto causale. Metafora della moneta: se si curva una moneta, non è la convessità di una faccia la causa della concavità dell’altra, ma è presente un rapporto funzionale tra le due facce. Questa idea torna nel progetto della psicofisica (termine che introduce Fechner stesso) di Fechner: Psicofisica come “dottrina esatta delle relazioni funzionali o di dipendenza tra corpo e anima; più in generale tra il mondo corporeo e spirituale, fisico e psichico”. Da questa definizione: - idea che mente e corpo siano in rapporto funzionale tra loro; - idea che questa nuova disciplina deve essere una scienza esatta che misuri le sensazioni, con formule matematiche esatte che descrivano il rapporto che intercorre tra mondo fisico e mondo psichico. Si può fare psicofisica in due modi: a) psicofisica interna (oggi “neuroscienza”): afferma che i nostri processi mentali sono correlato agli stati neurofisiologici del sistema nervoso; studia i rapporti diretti tra il mentale (le sensazioni) e il sistema nervoso centrale (rapporto tra psichico e mondo corporeo interno) b) psicofisica esterna: studia i rapporti tra le sensazioni e gli eventi (stimoli) fisici esterni al nostro corpo che le elicitano e osserva se esiste una relazione tra le intensità degli stimoli (rapporto tra psichico e mondo corporeo esterno). Gli stimoli esterni possono essere misurati e manipolati, quindi trovando la funzione matematica che lega stimoli e sensazioni, è possibile attribuire a queste ultime un valore numerico. In questo modo però diventano “misurabili” solo i fenomeni psichici legati funzionalmente agli stimoli esterni, cioè solo le sensazioni, mentre pensiero, emozioni e in generale le funzioni cognitive di ordine superiore rimangono non misurabili. Non è possibile misurare le sensazioni in maniera diretta, ma lo si può fare in maniera indiretta, senza utilizzare unità di misura dirette, ma senza che la misurazione sia ritenuta meno seria. Anche in fisica, infatti, è possibile misurare una serie di fenomeni in maniera indiretta (ad esempio la temperatura  si usa uno strumento), partendo dalla misurazione di un aspetto della realtà che covaria in concomitanza con la variabile oggetto della mia misurazione secondo la TEORIA CORRELAZIONALE DELLA MISURA. Sapendo che la sensazione non è lineare, può esistere uno strumento che misuri la sensazione? Lo strumento è il nostro corpo e i modi con cui esso reagisce agli stimoli ambientali. Il sistema percettivo umano è lo strumento di misura che consente di pervenire ad una quantificazione dell’esperienza sensoriale. Si possono misurare gli stimoli correlati a una sensazione e determinare le soglie delle sensazioni; ritorna il concetto di soglia già visto in Herbart. Esistono due tipi di soglia:  soglia assoluta: quantità minima di stimolo fisico necessario per essere avvertito  soglia differenziale: quantità minima di stimolo aggiunta o diminuita a uno stimolo già dato per poterne avvertire la variazione. Valutando empiricamente, Fechner stabilisce che tra lo stimolo e la sensazione non ci può essere una rappresentazione lineare, ma esiste un rapporto logaritmico, e formula la legge di Fechner: E = k log e R + C Energia = costante di Weber log in base di sensazione stimolo + costante di integrazione Il grafico che rappresenta il rapporto logaritmico è: Fechner ipotizzò che la curva proseguisse anche al di sotto dell’asse delle x. Tale segmento si riferisce a condizioni in cui abbiamo un valore positivo della stimolazione, ma al di sotto della soglia. Quando il soggetto supera di volta in volta la soglia differenziale, si ha un aumento egualmente percettibile della sensazione. Tutto quindi si basa sull’assunto secondo cui tutti li elementi egualmente percettibili della sensazione, tali da superare volta per volta la soglia differenziale, sono uguali tra loro  le sensazioni sono delle grandezze estensive. Questo assunto, scontato per Fechner, fu invece contestato da altri. Un’altra assunzione sottintesa, che fa sì che la derivazione matematica della funzione logaritmica funzioni, dice che, pur il sistema percettivo lavorando a salti, stimolo e sensazione non possono sottrarsi alla legge di continuità, quindi anche gli aumenti della sensazione sono sottoposti a un continuum. Ciò consente di trasformare il delta della legge di Weber in un differenziale (aumento infinitesimo), cosa che consente a Fechner di applicare alla dimostrazione matematica il calcolo integrale arrivando alla legge di Fechner o legge di psicofisica fondamentale. Nel grafico, il punto in cui la curva incontra l’asse orizzontale è la soglia assoluta. I valori di stimolo sotto la soglia assoluta, non ancora sufficienti a produrre una sensazione, corrispondo a una sensazione che Fechner definisce negativa  sensazioni inconsce, cioè sotto soglia, che ci sono ma che non avvertiamo a livello cosciente. Nel concetto di soglia assoluta si trovano congiunti quindi i significati di “soglia” dati da Weber e Herbart: per Fechner la soglia (assoluta) è da un lato quel limite quantitativo degli stimoli a partire dal quale la sensazione è avvertita (da Weber), dall’altro lato è un livello limite che separa la parte conscia da quella inconscia della psiche (da Herbart). Dopo Fechner: l’opera di Fechner suscitò un ampio dibattito tra i suoi contemporanei. Il modello proposto da Fechner divenne quello di riferimento: un modello da criticare, correggere o confutare, negli aspetti metodologici dei procedimenti (empirici e matematici) che ne stavano alla base o, addirittura, nella sua stessa valenza psicofisica, fisiologica o psicologica in senso stretto; in certi casi, un modello da rifiutare in modo radicale, sulla base dell’assunto dell’impossibilità di una misurazione delle sensazioni e, più in generale, delle grandezze psichiche e quindi di uno studio scientifico di esse. Moltissimi studiosi, della più diversa estrazione, si confrontarono con il “caso Fechner” (fra i più noti, Hermann von Helmholtz, Ewald Hering, Ernst Mach, Wilhelm Wundt, Franz Brentano, Joseph Antoine F. Plateau, Joseph Delboeuf); il dibattito che ne scaturì generò idee e concezioni destinate ad avere fecondi sviluppi nel panorama psicologico e, più in generale, scientifico novecentesco. Accanto a quello di Fechner, furono sviluppati altri modelli di misurazione delle sensazioni. In seguito Stevens propose una lettura alternativa della legge di psicofisica fondamentale, che faceva riferimento a una funzione non logaritmica, ma regolata da una legge esponenziale (simile alla curva di Fechner)  oggi va per la maggiore questa legge potenza, sviluppata dalla fine dell’Ottocento e poi ripresa negli anni Cinquanta del Novecento circa da Stevens.  Hermann von Helmholtz (Germania, 1821-1894) fu uno dei grandi padri fondatori della cosiddetta “nuova psicologia”. Lasciò contributi fondamentali fisica, fisiologia e psicologia. Si occupò soprattutto nel campo di ottica e acustica; inoltre fu il primo a proporre una funzione matematica rigorosa del principio della conservazione dell’energia. Si occupa si ottica e acustica  elabora una precisa teoria della percezione, che mette in luce i processi psicologici implicati nei processi di percezione. Helmholtz nacque a Potsdam nel 1821; fin da ragazzo manifestò la sua grande vivacità intellettuale. Quando dopo gli studi ginnasiali dovette scegliere il percorso universitario, scelse la Medicina – non perché aspirasse alla professione di medico, ma per le condizioni modeste della famiglia. Venne reclutato come cadetto, quindi come ufficiale medico presso l’esercito prussiano, che gli finanziò gli studi di medicina all’Università di Berlino. Al termine degli studi, Helmholtz fu costretto a lavorare per 7 anni come chirurgo militare nell’esercito. Perfezionò comunque i suoi studi nel campo della fisica e della fisiologia. Nel 1847 offrì la prima dimostrazione matematica rigorosa del primo principio della termodinamica (conservazione dell’energia). In seguito Helmholtz fece una carriera rapida. Incontrò poi a Heildeberg Wundt, il futuro fondatore della psicologia sperimentale. Nel 1871 fu chiamato a Berlino per una cattedra di Fisica e nel 1876 ne divenne rettore. A 70 anni si ritirò dall’attività accademica. OPERE Manuale di ottica fisiologica 1856 La teoria della percezione acustica Fisica: si occupò del primo principio della termodinamica. Fisiologia: si occupò di misurare la velocità dell’impulso nervoso. C’erano: vitalisti, che aderivano alla filosofia romantica della natura: sostenevano che i fenomeni biologici dovessero essere spiegati facendo riferimento alla forza vitale, considerata irriducibile alle forze fisiche e meccaniche che governavano il mondo naturale. Per loro non era possibile misurare la velocità dell’impulso nervoso, perché era infinitamente veloce. materialisti o meccanicisti (gli allievi di Müller): cercarono di dimostrare che anche nel mondo biologico sono all’opera le stesse forze e gli stessi principi che governano il mondo naturale. Con altri allievi di Müller, Helmholtz fondò a Berlino una società nel tentativo, tipico del positivismo ottocentesco, di dare luogo a una scienza unificata che trova fondamento alla scienza fisica, cui tutte le altre devono essere ricondotte. Helmholtz, su sollecitazione di Raymond, realizzò le