Terapia Diabete Mellito PDF
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Brescia University
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Questi appunti riguardano la terapia farmacologica del diabete mellito, con particolare attenzione alla regolazione della secrezione di insulina. Essi descrivono il meccanismo fisiologico e i fattori di regolazione, compresi ormoni come l'insulina e il glucagone, sottolineando anche aspetti farmacologicamente rilevanti.
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Riassunto/integrazione: la professoressa invita a riguardare il pancreas endocrino in autonomia. Sono presenti integrazioni dalle slides riportate in corsivo. TERAPIA FARMACOLOGICA DEL DIABETE MELLITO REGOLAZIONE DELLA SECREZIONE DI INSULINA A livello del pancreas endocrino ci focalizziamo su...
Riassunto/integrazione: la professoressa invita a riguardare il pancreas endocrino in autonomia. Sono presenti integrazioni dalle slides riportate in corsivo. TERAPIA FARMACOLOGICA DEL DIABETE MELLITO REGOLAZIONE DELLA SECREZIONE DI INSULINA A livello del pancreas endocrino ci focalizziamo sulle cellule β, che producono proinsulina e insulina, ma anche altri ormoni. La regolazione della secrezione di insulina avviene soprattutto da parte del glucosio che entra nelle β -cellule del pancreas tramite il trasportatore GLUT1; nella cellula attiva lo zucchero la funzione mitocondriale e ha come effetto finale l’aumento della produzione di ATP, che agisce su canali chiave per la secrezione dell’insulina: questi sono quindi di interesse farmacologico in quanto target di alcuni farmaci obsoleti ma ancora utilizzati. Questi canali, ATP-dipendenti, sono canali al potassio che si chiudono con l’aumento dell’ATP: in presenza di ATP quindi il canale si chiude e impedisce al potassio di uscire con un suo conseguente accumulo intracellulare: il potassio è carico positivamente e si ha quindi una transitoria e localizzata depolarizzazione che favorisce l’apertura di canali voltaggio-dipendenti al sodio. Questo comporta l’ingresso di sodio nella cellula che favorisce a sua volta l’apertura dei canali al calcio che, quando intracellulare, favorisce l’esocitosi dell’ormone, in questo caso insulina. Questo è il meccanismo fisiologico regolato dal glucosio. Ci sono però altri sistemi che regolano questa secrezione: alcuni di questi sono sfruttati farmacologicamente, mentre altri sono fisiologici; per esempio l’acetilcolina agisce tramite recettori M3, con meccanismi anche in questo caso comprendenti il calcio intracellulare, andando a potenziare il rilascio di insulina. Inoltre si può avere una stimolazione di cAMP da parte dalle incretine1, ormoni che agiscono tramite un recettore associato alle proteine Gs, che stimolano l’adenilato-ciclasi, e l’aumento di cAMP, che stimola il rilascio di insulina. 1 Verranno spiegate meglio a fine lezione e riguarderanno anche la prossima lezione sull’obesità 192 Al contrario gli agonisti dei recettori α2 inibiscono il rilascio di insulina inibendo cAMP. Il rilascio di insulina è inibito anche dagli agonisti dei recettori per la somatostatina, prodotto da altre cellule del pancreas. Riassumendo la secrezione di insulina è indotta da un aumento dei livelli ematici di glucosio ma anche per esempio dal rilascio delle incretine, che vedremo chiamarsi GLP-1 e GIP, prodotte dopo il pasto da cellule specializzate dell’intestino. Anche gli amminoacidi, i corpi chetonici e gli acidi grassi portano ad un aumento del rilascio di insulina, così come l’aumento dell’attività del parasimpatico, come visto precedentemente con l’acetilcolina; l’attività dell’ortosimpatico invece, con l’adrenalina, tramite i recettori α2 adrenergici ne inibisce la secrezione. Ovviamente glucagone e insulina sono regolati in modo opposto: l’iperglicemia stimola la secrezione di insulina e inibisce quella di glucagone. La professoressa invita a riguardarsi in autonomia i trasportatori del glucosio. Si sofferma su GLUT1 e GLUT4. Viene comunque riportata la tabella completa dalla slide. L’insulina aumenta l’ingresso del glucosio nelle cellule andando ad aumentare l’espressione dei trasportatori in membrana, in particolare del trasportatore GLUT4. Nelle β-cellule il trasportatore più importante è GLUT1. Quando l’insulina si lega al proprio recettore, quest’ultimo dimerizza e si attiva una serie di fosforilazioni che fanno aumentare e così traslocare verso la membrana il trasportatore GLUT4: aumenta in questo modo la captazione del glucosio. Anche l’esercizio fisico favorisce la sintesi di GLUT4 e la sua traslocazione in membrana. In genere l’insulina ha una serie di effetti anabolizzanti: l’insulina aumenta la sintesi del glucosio, delle proteine e dei lipidi e inibisce invece la proteolisi e la lipolisi. Inoltre, favorisce la crescita, il differenziamento e la sopravvivenza cellulare. Con effetto anabolizzante dell’insulina si intende anche che questa può tendere a far aumentare di peso. DIABETE MELLITO Introduzione Normali valori della glicemia prevedono livelli di glucosio al di sotto dei 100mg/dL a digiuno, ma esiste tutta una scala tra la situazione normale, la condizione di intolleranza al glucosio2 e la condizione di diabete mellito franco. I criteri diagnostici su cui ci si basa sono: i livelli di glucosio a digiuno (FPG); i livelli di glucosio dopo la somministrazione di un carico di glucosio3 (PG); i livelli di emoglobina glicata, che sono la conseguenza della storia glicemica del paziente nei periodi precedenti (HbA1c). La diagnosi di diabete si fa se c’è anche solo un’alterazione della glicemia sopra i valori di 200 mg/dL in presenza di sintomatologia diabetica associata; è importante però considerare che il diabete è generalmente asintomatico finché non è già grave: quando iniziano ad esserci la poliuria, la polidipsia etc., 2 L’intolleranza al glucosio era prima definita “pre-diabete”. 3 Anche chiamata “curva glicemica”; è frequentemente effettuata in gravidanza per verificare che la madre non abbia il diabete gravidico. 193 vuol dire che siamo già in uno stadio piuttosto avanzato. Altrimenti, in assenza di sintomi, il glucosio viene misurato anche più di una volta per essere sicuri di avere un valore più alto del range di normalità. La classificazione del diabete mellito verrà trattata in altri corsi: nella lezione odierna si parla solamente del diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2. È comunque importante sapere che ci sono altre forme più rare e specifiche di diabete, che però non sono oggetto in questo corso nonostante probabilmente alcune siano trattate con gli stessi farmaci di cui si parlerà più tardi nella lezione, infine c’è il diabete mellito gestazionale. Diabete di tipo 1 e 2 sono di origine completamente diversa: il diabete di tipo 1 è una situazione autoimmune per cui ci sono degli anticorpi anti-cellule β del pancreas con conseguente deficit assoluto di insulina; nel diabete di tipo 2 si possono avere vari stadi: si parte in genere con uno stadio di insulino-resistenza, ovvero con l’incapacità della cellula di rispondere all’insulina, quindi con un deficit di insulina relativo, ovvero con un insufficiente rilascio di insulina rispetto a quello che sarebbe richiesto. La professoressa parla ora brevemente di un articolo4 di medscape pubblicato a inizio anno in cui si trattano i principali farmaci che possono aumentare la glicemia e predisporre al diabete. L’aumento della glicemia è uno degli effetti collaterali di molti farmaci che sono stati tratti, o che verranno man mano trattati nel corso di farmacologia: glucocorticoidi, alcuni farmaci diuretici, alcuni antipsicotici, le statine e i beta-bloccanti; questi sono i principali di cui si parla nell’articolo ma sono tanti altri i farmaci che possono aumentare la glicemia. Quando si prescrivono farmaci con questo effetto collaterale bisogna tenere conto del rapporto rischio-beneficio in base alla condizione del paziente, anche se nella maggior parte dei casi questo aumento è reversibile. In linea generale l’approccio al paziente con diabete prevede: tenere sotto controllo la glicemia attraverso la dieta, lo stile di vita, l’esercizio fisico e i farmaci; trattare le condizioni associate, come l’ipercolesterolemia, l’ipertensione, l’obesità o precedenti eventi cardiovascolari. Si deve guardare sempre il paziente a tuttotondo; fare screening per le complicazioni del diabete e trattarle con i diversi specialisti. Si parla per esempio di retinopatie, eventi cardiovascolari, neuropatia periferica e nefropatia diabetica. Diabete mellito di tipo 1 La terapia prevista per il diabete di tipo 1 è una terapia insulinica. Si ha una predisposizione genetica a processi autoimmuni specifici nei confronti delle isole pancreatiche: le cellule β muoiono e la loro massa e la loro funzione vengono ridotte. In linea generale può insorgere a diverse età5, sia precocissimamente sia più tardivamente, progressivamente si andrà in stadi diversi della malattia fino a quando la massa delle cellule β, quindi la produzione di insulina, scende sotto il valore critico e si parla di diabete franco. È definito diabete insulino-dipendente: il problema è la mancata produzione dell’insulina a causa della morte delle cellule β e quindi la terapia è sostitutiva. Fortunatamente abbiamo la possibilità di utilizzare 4 https://www.medscape.com/viewarticle/999739?form=fpf 5 Era inizialmente chiamato diabete giovanile. 194 insulina umana ricombinante6 dal 1982 in poi e non più l’insulina estratta dal pancreas dei maiali, che aveva importanti problemi dal punto di vista immunologico. Non è una terapia semplice perché il paziente dev’essere molto seguito da uno staff medico-infermieristico che richiede un esperto e attento supporto e monitoraggio. La terapia dovrebbe mimare i livelli di insulina prodotti fisiologicamente dall’organismo; questa è una situazione complessa da ottenere perché la concentrazione ematica di insulina fisiologicamente è correlata all’andamento della glicemia. Nel grafico sottostante a sinistra si possono vedere gli andamenti della glicemia e dell’insulina. Sono osservabili i livelli basali di glicemia e i picchi dopo la colazione, il pranzo e la cena. Immediatamente dopo l’aumento della glicemia, per i meccanismi precedentemente illustrati, si ha un aumento della concentrazione di insulina, che poi rapidamente scende ai suoi livelli basali. Un controllo del diabete richiede la combinazione di diversi tipi di insulina: insuline ad azione lenta, somministrate per mantenere i livelli basali, e una serie di boli di insulina ad azione rapida al momento del pasto, così da tentare di mimare la situazione fisiologica (grafico sottostante a destra). Proprietà delle preparazioni insuliniche I nomi farmacologici delle diverse tipologie di insulina, in base alla durata d’azione e alla velocità e altezza del picco sono: Aspart, lispro e glulisina. Hanno una brevissima durata d’azione e un picco molto rapido; i nomi derivano dagli amminoacidi che sono modificati.7 Regular, identica all’insulina umana ma ricombinante. Ha una breve durata d’azione e un rapido inizio d’azione; NPH (insulina isofano) che ha caratteristiche intermedie; Detemir e Glargine a lunga durata d’azione; Degludec, più recente. Ha una lunghissima durata d’azione che arriva anche fino a più di 24 ore. Se l’insulina è prodotta in modo ricombinante, come si fanno ad ottenere delle diverse emivite? Questi farmaci hanno diversi profili farmacocinetici, e quindi emivite, perché una volta che l’insulina è immessa in soluzione ha un’elevata tendenza ad auto-associarsi ma nel sottocute sono assorbiti soltanto monomeri o dimeri di insulina. Se la formulazione contiene eccipienti, come l’insulina isofano NPH con zinco e solfato di protamina, si formano aggregati maggiori: nel sottocute poi man mano si scioglieranno in monomeri richiedendo quindi tempi maggiori per essere assorbiti. L’insulina nativa/regular si associa in esameri in soluzione acquosa a pH neutro quindi ha già un’emivita più lunga dell’insulina prodotta dall’organismo. 6 È stato il primo farmaco prodotto con questa tecnologia di ingegneria genetica 7 Per esempio l’insulina lispro è così definita perché rispetto all’insulina prodotta dall’organismo, che presenta ad un certo punto in sequenza una prolina e una lisina, questa presenta i due amminoacidi invertiti: Lys-Pro, da cui deriva il nome. 195 In modo più innovativo si può anche intervenire con delle mutazioni puntiformi che modificano la sequenza amminoacidica in modo da favorire/sfavorire la tendenza ad autoassociarsi. Il concetto fondamentale è quindi che vengono sostanzialmente introdotte delle modificazioni che alterano il profilo farmacocinetico al fine di ottimizzare la terapia. Si riporta in basso a sinistra per completezza l’immagine che riassume le principali modificazioni amminoacidiche delle insuline trattate, in modo da comprenderne la nomenclatura. La professoressa le elenca velocemente a lezione ma sottolinea che il concetto fondamentale da ricordare non sono le mutazioni nel dettaglio ma l’alterazione del profilo farmacocinetico attraverso le due diverse strategie. La professoressa lascia da guardarsi in autonomia anche la tabella sottostante, a destra, che riassume le caratteristiche delle varie combinazioni. Sottolinea che non le interessano tutti i dettagli ma che l’ha portata nel caso qualcuno fosse interessato. I pazienti sono seguiti dai diabetologi, i quali conoscono nel dettaglio le combinazioni e i parametri. Regimi terapeutici più comunemente utilizzati Vengono impostati dei regimi terapeutici che si chiamano Basal-bolus: - si dà una quota che è circa il 50% del fabbisogno giornaliero con un’insulina basale a lunga durata d’azione, che tiene a bada la glicemia durante la notte o fra un pasto e l’altro; - in aggiunta si somministrano boli preprandiali, che tengono a bada la glicemia postprandiale, corrispondenti per ogni pasto al 10-20% del fabbisogno insulinico giornaliero. Da qualche anno ci sono dei sistemi tecnologici per dosare la glicemia, non completamente precisi ma molto comodi per il paziente che non deve pungersi il dito, in quanto è il device a misurare la glicemia dal braccio, e poi soprattutto ci sono dei microinfusori di insulina che possono essere programmati per fornire adeguati livelli basali e anche dare boli a seconda dei pasti. Il microinfusore è un grande passo avanti ma comunque non è la soluzione ad ogni problema in quanto non si adatta alla variabilità dei pasti8 e dell’esercizio. Somministrazione e assorbimento dell’insulina L’insulina, somministrata per via parenterale, è generalmente iniettata sottocute in siti specifici e non va praticata sempre nello stesso sito ma è necessaria la rotazione dei siti per evitare la formazione di gonfiori o lipodistrofie locali. I fattori che condizionano la velocità di assorbimento sono tutti concetti di farmacologia generale: Tipo di insulina; Volume e concentrazione dell’insulina iniettata; Sito di iniezione: non è uguale il picco nelle diverse sedi; 8 Per esempio non si adatta alla possibilità che un pasto possa essere assunto in un momento diverso da quello previsto. 196 Profondità dell’iniezione: dev’essere somministrata sottocute e se finisce intramuscolo è assorbita più in fretta; Entità della vasodilatazione presente: può essere indotta da diversi stimoli (massaggio, bagno caldo, esercizio fisico) e aumenta l’assorbimento; Fumo riduce l’assorbimento dell’insulina. Effetti collaterali della terapia insulinica L’effetto collaterale prevalente è l’ipoglicemia, che può essere anche grave: può andare dal giramento di testa e dalla tachicardia fino al coma ipoglicemico, con correlazione dose-dipendente. L’ipoglicemia può essere causata da: errori nel calcolo della dose; ritardo nell’assunzione del pasto; fattori che alterano la sensibilità all’insulina; fattori concomitanti che modificano la velocità di assorbimento dell’insulina; L’ipoglicemia va assolutamente evitata sia perché può sfociare in situazioni gravi sia perché frequenti episodi di ipoglicemia fanno sì che il paziente si adatti e non avverta più i sintomi. L’insulina può dare anche un aumento di peso. Ad oggi può causare reazioni allergiche solo raramente essendo insulina ricombinante umana: è comunque possibile nel caso in cui ci sono piccole quantità di insulina denaturata, contaminanti o ipersensibilità ad un eccipiente. Una volta, tra gli effetti collaterali rari delle insuline di vecchia generazione, si aveva la lipoatrofia. Ora, con le insuline ricombinanti, si possono avere lipoipertrofie localizzate se l’insulina è iniettata sempre nella stessa sede in quanto ha effetto anabolizzante; la lipoipertrofia va poi a ridurre l’assorbimento del farmaco. La professoressa invita a guardare in autonomia il trattamento dell’ipoglicemia. Si riporta la slide. È importante solo ricordare che in caso di ipoglicemia severa si interviene con il glucosio endovena, quindi con soluzioni ipertoniche, o con la somministrazione di glucagone. Teplizumab Una sorta di potenziale rivoluzione consiste nel Teplizumab: è un anticorpo monoclonale anti-CD3 e che quindi agisce sulle cellule T. È stato approvato di recente dall’FDA, ma non ancora in Europa, per bambini dagli 8 anni in su con diabete mellito di tipo 1 allo stadio 2, per prevenire la progressione allo stadio 3 di malattia conclamata. La professoressa illustra ora l’articolo9 riguardante uno studio recente e ne parla brevemente. Sono stati fatti studi su diverse tipologie di soggetti, ma la cosa interessante di questo studio è l’aver messo come outcome primario la vitalità delle celluleβ: la massa delle celluleβ non deve calare somministrando questo anticorpo. Quando questo lavoro è stato pubblicato sul New England è stato accompagnato da un editoriale da cui si ricava il significato della faccenda: finora ci si è focalizzati giustamente sul controllo della glicemia ma poco sulle cellule pancreatiche che vanno incontro a morte. In questo studio dell’anticorpo monoclonale che tiene in vita le celluleβ del pancreas si sono misurati i livelli di peptide-C, che è uno dei frammenti peptidici che vengono dalla pro-insulina; se le cellule del pancreas producono questo peptide si ha una vitalità delle stesse. Lo stesso editoriale, che parla positivamente del farmaco, dice anche però che questo e altri studi dovranno dimostrare di essere safe e quindi non dare effetti collaterali né nel breve né nel lungo termine. Si ricorda infatti che queste sono terapie che il bambino inizia ad assumere appunto a 8-10 anni e che dovrà 9 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37861217/ 197 poi mantenere. Questo vale per tutte le terapie di nuova introduzione: si possono avere effetti collaterali non emersi nello studio e sarà dunque necessario monitorare gli effetti a lungo termine. Diabete mellito di tipo 2 La terapia farmacologica per diabete di tipo 2 è una terapia che si fa per gradini e che può terminare con la necessità di utilizzare insulina nella fase finale della malattia. Dal punto di vista farmacologico non è una terapia sostitutiva, come per il diabete di tipo 1, ma si utilizzano dei farmaci di cui vanno compresi i meccanismi di azione, i pregi e i difetti: infatti il medico deve capire quale farmaco utilizzare in base al diverso quadro clinico del paziente. Integrazione sbobina 2022-2023: Terapia del diabete di tipo 2 Gli obiettivi terapeutici sono: Ridurre i livelli di HbA1c. Viene considerata una misura di efficacy, perché si sa se il paziente è in range su lungo termine. Ridurre i livelli di glicemia a digiuno e post-prandiale. Controllare i fattori di rischio CV tradizionali (pressione arteriosa, profilo lipidico, fumo) e non tradizionali (PCR, PAI-1, AER). Si pone particolare attenzione a questi fattori, perché il diabete stesso è un importante fattore di rischio cardiovascolare. Le linee guida infatti consigliano di avere una visione di insieme di tutti i fattori per poter monitorare e trattare quelli più impattanti. Evitare l'incremento ponderale. Ridurre il rischio di ipoglicemia, quindi prestando attenzione alla “safety” (sicurezza) del paziente. Preservare la ß-cellula (durability), per evitare che il diabete di tipo 2 diventi insulino-dipendente. Ritardare la progressione della malattia diabetica. Ridurre l'incidenza della microangiopatia. Migliorare la qualità di vita della persona con diabete. Migliorare l'aderenza del paziente alla terapia, cercando nella scelta terapeutica di andare incontro ai bisogni individuali e limitare quanto più possibile gli effetti collaterali (tolerability). L’approccio terapeutico consiste in uno schema a gradini: un diabete di tipo 2 di recente insorgenza viene trattato inizialmente con un esercizio fisico ed una dieta adeguata. Quest’ultima dev’essere povera di zuccheri semplici, ma non priva di carboidrati, con un pattern somigliante a quello della dieta mediterranea. Questa è una terapia di base somministrata a tutti i soggetti, poi in caso di necessità di un trattamento farmacologico si parte con un solo farmaco ad uso orale. Nel caso in cui questo perda di efficacia con il passare del tempo, si passa a una politerapia (più farmaci). Se anche questa non dovesse bastare sul lungo termine si procede affiancando la somministrazione di insulina. I pazienti anziani con un diabete di lunga data è probabile che questo siano diventati insulino-dipendenti e dunque si utilizza una terapia esclusivamente a base di insulina. Fine integrazione Cambiamenti metabolici durante lo sviluppo del diabete mellito di tipo 2 Sappiamo che la sensibilità all'insulina e la secrezione di insulina sono correlate tra loro: man mano che si riduce la sensibilità all'insulina e il soggetto diventa insulino-resistente, il glucosio riesce sempre meno ad entrare nelle cellule periferiche, aumentando il livello di glucosio ematico. Il pancreas reagisce all’insulino-resistenza producendo più insulina: quando però non riesce più a compensare l’aumento della resistenza, si arriva ad un deficit di insulina che non è un deficit assoluto, in quanto i livelli di insulina possono anche in questo caso essere maggiori del normale, ma è un deficit relativo alla necessità di insulina in rapporto alla resistenza. La mancata compensazione porta prima ad una 198 ridotta tolleranza al glucosio per arrivare poi al diabete mellito di tipo 2.10 Il diabete mellito di tipo 2 può essere trattato con terapia farmacologica ma con il progredire della malattia si può arrivare al punto nel quale la terapia non ha più effetto e viene resa necessaria una terapia sostitutiva insulinica. La professoressa a questo punto porta un esempio personale, riguardo la propria madre, persona con diabete mellito di tipo 2 di 92 anni, obesa, la quale necessita di minimi interventi farmacologici, sottolineando che non per forza si arriva alla terapia sostitutiva insulinica, ma solo in alcuni pazienti. Obesità e diabete mellito di tipo 2 Il diabete mellito di tipo 2 è una malattia poligenica multifattoriale. Una serie di fattori, genetici e non, porta il soggetto ad essere obeso; l'obesità è uno dei fattori di predisposizione al diabete mellito di tipo 2, infatti l'80% dei soggetti che hanno diabete di tipo 2 sono obesi. Il diabete di tipo 2 è generalmente una malattia dell’adulto; tuttavia, ci sono anche adolescenti e bambini obesi, che quindi hanno più probabilità di andare incontro a diabete mellito di tipo 2. La deposizione del grasso a livello viscerale è quello che crea più problemi nei soggetti obesi. Il tessuto adiposo è un organo endocrino, non è quindi solo un accumulo di lipidi ma rilascia ormoni e in particolare adiponectina e lectina. In condizioni patologiche il tessuto adiposo va incontro ad uno stato di infiammazione cronica nel quale le cellule infiammatorie, soprattutto macrofagi, rilasciano citochine (IL-6 e TNFα) che vanno a danneggiare il fegato e il muscolo; da qui può derivare l'insulino-resistenza. L’espansione del tessuto adiposo ha una capacità limitata e nei soggetti con obesità viscerale di grado avanzato si ha la fuoriuscita di acidi grassi che finiscono in tessuti come fegato e muscoli, dando steatosi epatica non alcolica: il fegato e i muscoli si infarciscono di grassi e con seguente difficoltà a rispondere allo stimolo insulinico efficacemente. La professoressa ripete più volte che l’argomento verrà ripreso e trattato in maniera più approfondita nella prossima lezione. Classificazione dei farmaci per diabete di tipo 2 Agenti che stimolano il rilascio di insulina: o Sulfoniluree o Meglitinidi Agenti che abbassano i livelli di glucosio agendo sul fegato, muscoli e tessuto adiposo: o Biguanidi, tra cui il più importante è la metformina, farmaco di prima scelta o Tiazolidinedioni, oggi poco usati Agenti che mimano gli effetti delle incretine o prolungano l’azione di queste: sono peptidi somministrati sottocute e hanno la funzione di coadiuvare i farmaci più vecchi. o Agonisti del recettore per GLP-1 o Inibitori di dipeptidil peptidasi (DDP-4) Agenti che riducono l'assorbimento intestinale del glucosio: o Inibitori di α-glucosidasi Agenti che inibiscono il riassorbimento renale di glucosio: o Inibitore di SGLT2, un trasportatore Na+-glucosio 10 Nel grafico NGT significa normale tolleranza al glucosio. 199 Sulfoniluree Non sono farmaci di prima scelta. I più importanti sono Glibenclamide, Glipzide e Glimepirizide. Questi appena citati sono farmaci di seconda generazione molto potenti che hanno un’azione su una subunità del canale al potassio ATP-dipendente, da cui dipende la secrezione di insulina. Legandosi a questo canale ne permettono la chiusura e quindi si ha una riduzione della fuoriuscita di potassio, mimando il meccanismo spiegato precedentemente per la regolazione della secrezione di insulina. L’effetto finale sarà l’aumento di secrezione di insulina da parte del pancreas. In quanto farmaci molto potenti, hanno un forte rischio di dare ipoglicemia: per questo l’AIFA ha notificato l’ordine dei medici per ordinare la limitazione dell’utilizzo di queste. Per quanto riguarda gli effetti terapeutici: Sono utilizzati per il trattamento dell’iperglicemia nel diabete di tipo 2, con un 50-80% di pazienti che rispondono alla terapia. Alcuni pazienti possono però smettere di rispondere alla terapia, perché le cellule β del pancreas perdono le capacità secretorie. Riguardo alla farmacocinetica si sa che: Sono assorbiti a livello gastrointestinale Largamente legati alle proteine plasmatiche Hanno un’emivita breve (3-5 ore), ma gli effetti ipoglicemizzanti rimangono attivi per 12-24 ore; esistono anche delle formulazioni a rilascio prolungato. Sono metabolizzati dal fegato e secreti nelle urine Vanno somministrati con attenzione ai pazienti con insufficienza epatica e renale. Hanno importanti effetti collaterali: Non sono farmaci di prima scelta in quanto possono causare potenti reazioni ipoglicemiche, fino ad arrivare al coma ipoglicemico, se non ben dosati. Gli effetti collaterali possono essere potenziati tramite interazione di altri farmaci che inducono: o ridotto metabolismo epatico o ridotta escrezione renale o distacco del legame con le proteine plasmatiche Un effetto comune è l’aumento di peso di 1-3 Kg. Questo non è un aumento importante, tuttavia, considerando che la causa del diabete di tipo 2 è spesso l’obesità, sarebbe meglio per il paziente non acquisire ulteriore peso. L’aumento di peso è correlato al rilascio di insulina, la quale ha effetto anabolizzante sui tessuti. Più raramente si possono riscontrare nausea e vomito, ittero colestatico, agranulocitosi, anemie emolitiche, reazioni di ipersensibilità. Raramente reazioni idiosincrasiche da alcol, simili a quelle causate da disulfiram (farmaco utilizzato per la disintossicazione negli alcolisti) Resta controversa l’ipotesi che questi farmaci incidano in qualche maniera sulla mortalità cardiovascolare. Le sulfoniluree sono controindicate in: Pazienti con diabete di tipo 1, in quanto il loro pancreas non è in grado di produrre insulina. Pazienti in gravidanza e in allattamento. 200 Repaglinide La Repaglinide è il principale farmaco facente parte della classe dei Meglitinidi, agenti che stimolano la secrezione di insulina. Il meccanismo di azione è analogo a quello delle Sulfoniluree, stimola il rilascio di insulina tramite chiusura del canale K-ATP dipendente nelle cellule β del pancreas. La chiusura del canale avviene grazie al legame tra la molecola e un sito di attacco diverso da quello sfruttato dalle Sulfoniluree. La Repaglinide viene assorbita velocemente dal tratto gastrointestinale e il picco a livello ematico arriva entro l’ora: l’emivita plasmatica è dunque di circa 1 ora. Sono utilizzate per somministrazioni multiple preprandiali, sono metabolizzate principalmente dal fegato e per un 10% dal rene. Il loro maggiore effetto collaterale è l’ipoglicemia e possono andare incontro ad una perdita di efficacia dopo aver inizialmente migliorato il controllo glicemico. Metformina Appartiene alla classe dei Biguanidi. È un farmaco di prima scelta, molto ben tollerato. Il suo meccanismo d’azione è ancora poco chiaro ma sicuramente ha un ruolo nel metabolismo energetico e aumenta i livelli di AMP-chinasi, un sensore di energia. La maggior parte dell’effetto farmacologico è mediato dal fegato: la sua funzione è quella di ridurre la produzione di glucosio epatico tramite riduzione della gluconeogenesi. La metformina aumenta anche la capacità di up-take di glucosio (nel muscolo e nel tessuto adiposo), favorisce quindi la sensibilizzazione all’insulina, riducendo proprio l’insulino-resistenza causa del diabete. In soggetti che sono in uno stato normoglicemico non modifica la glicemia ma la riduce nei soggetti con iperglicemia. Questo farmaco riduce la glicemia ma non dà ipoglicemie pericolose, se non molto raramente, quindi è considerato un farmaco sicuro perché non va a stimolare il rilascio di insulina. Riguardo al meccanismo d’azione si sa che la metformina entra negli epatociti tramite un trasportatore particolare (OCT1) e va ad inibire il complesso 1 della catena respiratoria mitocondriale; come risultato si ha la riduzione dei livelli di ATP e l’aumento di AMP che inibisce una serie di vie intermedie che portano alla gluconeogenesi epatica. Quindi la gluconeogenesi è ridotta a causa del: deficit di ATP. aumento dei livelli di AMP che: o inibisce l’adenilato ciclasi o riduce l’attività dell’enzima fruttosio 1,6-bisfosfatasi (FBPase) Siccome aumenta AMP, si ha un aumento dell’attivazione dell’AMP-chinasi e questo significa ridurre la sintesi dei lipidi, stimolare la beta ossidazione ed esercitare effetti insulino-sensibilizzanti. Un altro effetto del farmaco è l’inibizione di un enzima mitocondriale, glicerolo fosfato deidrogenasi, che può alterare lo stato ossidoriduttivo della cellula; è quindi un possibile effetto collaterale non benefico che però si verifica solo in situazioni particolari. Per quanto riguarda l’utilizzo terapeutico di questo farmaco: La metformina è considerato il trattamento di prima linea del diabete di tipo 2. Può essere usato in monoterapia o in combinazione con altri farmaci. Può essere somministrato già a quei pazienti che sono in situazioni di pre-diabete e ridotta tolleranza al glucosio perché ritarda la progressione della malattia. Riduce la probabilità di complicazioni microvascolari. Ha un’emivita abbastanza breve quindi per le forme a rilascio immediato si danno 2 o 3 somministrazioni quotidiane (a dosi dai 500 ai 1000 mg). 201 Esistono anche somministrazioni a rilascio prolungato che prevedono una sola somministrazione al giorno. Bisogna sempre iniziare a basso dosaggio (500 mg) e poi aumentarlo gradualmente (fino a 2000 mg). Queste sono però pastiglie di grosse dimensioni: gli anziani fanno fatica a deglutirle e frammentare un farmaco a rilascio prolungato non avrebbe senso quindi a questi pazienti non si riesce a somministrare questa forma. Per quanto riguarda gli effetti collaterali: I più comuni (10-25%) sono nausea, crampi addominali e diarrea. Gli effetti collaterali nel tempo si attenuano e si possono minimizzare con degli accorgimenti: o Partendo da basse dosi e gradualmente aumentando nel giro di parecchie settimane o Prendendo il farmaco durante i pasti o Utilizzando, se possibile, la formula a rilascio prolungato Nella terapia cronica (dopo anni) riduce i livelli di vitamina B12 nel sangue, quindi è bene monitorarli. L’effetto collaterale più raro ma grave è l’acidosi lattica, che si verifica nei pazienti in condizioni di bassa perfusione tessutale o insufficienza renale. La metformina è controindicata: Nei casi di insufficienza renale grave, gravi malattie polmonari, scompenso cardiaco, malattia epatica avanzata e abuso di alcol. Il farmaco dev’essere discontinuato nei casi in cui la funzione renale possa improvvisamente precipitare.11 Utilizzi off-label della metformina: La professoressa cita un articolo di Medscape Medical Journal, datato 27 febbraio 2024: Prove emergenti suggeriscono che il farmaco potrebbe essere efficace per una gamma molto più ampia di condizioni che vanno oltre la gestione di alti livelli di glucosio nel sangue, inclusi vari tipi di cancro, obesità, malattie del fegato, malattie cardiovascolari, neurodegenerative e renali malattie. Man mano che si accumulano prove a favore di usi diversi sono stati avviati molti studi, con i ricercatori che cercano di espandere le indicazioni della metformina e convalidare o esplorare nuove direzioni. Alcuni studi attualmente stanno esaminando il suo utilizzo in una varietà di indicazioni off-label, tra cui obesità e diabete gestazionale, aumento di peso da antipsicotici e sindrome dell’ovaio policistico. “Nella maggior parte dei casi, la metformina è considerata un farmaco sicuro, ma non è esente da rischi. Anche se sarebbe sicuramente utile per vedere se questo farmaco economico e universalmente disponibile può aiutare negli stati patologici, non si dovrebbe trascurare il potenziale rischio di effetti avversi, come quelli gastrointestinali, la potenziale carenza di vitamina B12 e il raro rischio di acidosi lattica nei soggetti con insufficienza renale” Prescrivere un farmaco off-label significa prescrivere un farmaco al di fuori delle indicazioni terapeutiche ministeriali. Questo può avvenire se il paziente in cura non risponde alle terapie usuali oppure se la patologia non presenta alcun tipo ti terapia. Pioglitazone Appartiene alla classe dei Tiazolidinedioni: sono farmaci con un’azione a livello nucleare; in particolare legano il recettore nucleare PPAR-γ12 la cui attivazione causa la formazione di un eterodimero con il recettore X del retinoide e l’interazione, a livello nucleare, con le sequenze PPAR response elements che si trovano su specifici geni correlati al metabolismo del glucosio e dei lipidi. Agisce principalmente sul tessuto adiposo dove: Favorisce la differenziazione degli adipociti: bisogna considerare il tessuto adiposo come un tessuto complesso e differente nei vari distretti anatomici. 11 Per esempio: prima di procedure radiografiche con mezzi di contrasto che potrebbero causare problemi a livello renale o nel caso di ricovero ospedaliero per una malattia grave. 12 Recettore gamma attivato dai proliferatori dei perossisomi. 202 Favorisce l’up-take degli acidi grassi circolanti nelle cellule adipose. Favorisce lo shift di eventuali store lipidici dai tessuti extra-adiposi al tessuto adiposo. I soggetti obesi hanno deposizione di grasso a diversi livelli, ad esempio nel muscolo scheletrico e nel fegato. Nei soggetti anziani oggi l’obesità è frequentemente di tipo sarcopenico (muscolo assottigliato, ma infarcito di tessuto adiposo). Quindi l’azione dello shift di lipidi è un effetto importante. Il Pioglitazone ha anche un’azione insulino-sensibilizzante, quindi aumenta l’up-take di glucosio mediato dall’insulina nel muscolo scheletrico, nel tessuto adiposo e nel fegato. Un’ulteriore azione, meno importante, è svolta a livello epatico: riduzione della gluconeogenesi. Riassumendo: se la Metformina agisce principalmente sul fegato e poi ha ulteriori azioni, il Pioglitazone ha soprattutto azione protettiva del tessuto adiposo “buono” e un’azione insulino-sensibilizzante e, in secondo luogo, azione sul fegato. Per quanto riguarda il suo utilizzo terapeutico: Migliora il controllo glicemico. Può essere utilizzato in monoterapia o in combinazione con altri farmaci (metformina, sulfaniluree o insulina). Non indicato per la terapia del diabete di tipo 1. Ha diversi effetti collaterali: I più comuni sono l’aumento di peso, la ritenzione di fluidi e edema. A lungo termine sono stati associati ad un aumentato rischio di insufficienza cardiaca, ma questo riguardava soprattutto il farmaco Rosiglitazone che non si utilizza più e quindi sembra che il Pioglitazone abbia un’azione piuttosto neutra sotto questo punto di vista. In concomitanza di insulina, aumenta l’acquisizione di peso e il rischio di edema. Aumenta il rischio di fratture ossee. Il pioglitazone è controindicato per: Pazienti con insufficienza cardiaca (da moderata a severa). Pazienti con osteoporosi o altri rischi di fratture. Agonisti di GLP-1 Quando si assume un carico orale di glucosio si ha un aumento immediato di insulina che è più evidente rispetto a quando viene somministrata insulina endovena; questo accade perché il carico orale di glucosio causa il rilascio immediato di ormoni prodotti dalle cellule intestinali: le incretine, che amplificano la secrezione di insulina indotta dal glucosio. I peptidi prodotti sono due: GLP-1 (Glucagone Like Peptide-1) e GIP (Glucose-dependent Insulinotropic Polypeptide). Noi parleremo sempre di GLP-1. GLP-1 è un peptide endogeno che viene velocemente prodotto dalle cellule dell’intestino quando arriva un pasto glicemico e induce il rilascio di insulina, quindi è un buon target terapeutico. GLP-1, così come il glucagone, deriva da un peptide: il pro-glucagone. Quest’ultimo è prodotto da diverse cellule: cellule α pancreatiche (dove viene prodotto glucagone), cellule intestinali enteroendocrine (cellule L) e neuroni del nucleo del tratto solitario. Nelle cellule L e nei neuroni avviene il clivaggio del pro-glucagone e la produzione di GLP-1 e altri peptidi. Vengono prodotti degli agonisti simil GLP-1 che attivano un recettore associato a proteine G: GLP-1R, che viene espresso da cellule β, cellule del sistema nervoso periferico e centrale, cellule del cuore, dei vasi, dei reni e della mucosa gastrointestinale. Questi recettori attivano diversi secondi messaggeri (come cAMP, 203 PI3K e PKC). Il risultato di queste azioni nel pancreas determina l’aumento rapido della secrezione di insulina e l’inibizione del rilascio di glucagone. L’attivazione di GLP-1R agisce anche a livello gastrico rallentando lo svuotamento dello stomaco e a livello cerebrale, riducendo l’appetito. Non viene somministrato direttamente GLP-1 perché questo mediatore endogeno è rapidamente degradato dell’enzima DPP4 (dipeptidil peptidasi 4) che è una proteasi circolante. Quindi dopo il pasto (principalmente glicemico) si ha un picco di GLP-1 e subito dopo un calo rapido nel sangue. Quindi l’ingegneria genetica ha prodotto analoghi di GLP-1 che per vari motivi sono resistenti alla degradazione da parte del DPP4. I primi ad essere stati prodotti sono: Exenatide e Liraglutide. Exenatide ha il 53% di sequenze omologhe con GLP-1 e viene somministrato due volte al giorno, mentre nella forma a rilascio prolungato viene somministrato una volta a settimana, con maggiori effetti. Liraglutide ha una catena laterale di acidi grassi che permette il legame con le proteine plasmatiche e gli conferisce un’emivita maggiore (rispetto a GLP-1) per cui si fa una sola somministrazione al giorno. La professoressa ha saltato completamente la slide degli effetti di GLP-1 sul corpo tuttavia viene riportata di seguito per completezza. Attualmente in Italia sono in commercio diversi agonisti di GLP-1: sono tutti peptidi e quindi devono essere somministrati sottocute con frequenze che dipendono dall’emivita delle singole molecole. Evidenze dai trials clinici: Migliorano il controllo glicemico e tendono ad indurre una leggera perdita di peso, che è utile per questi pazienti, ma per essere usati propriamente come farmaci antiobesità bisogna assumere dosi maggiori rispetto a quelle per la terapia del diabete. Tutti i GLP-1RAs hanno dimostrato la loro efficacia come monoterapia e sono raccomandati come farmaci di prima linea. 204 Sono stati svolti diversi trials comparativi tra due o più farmaci: le differenze di efficacia sono modeste. Trials cardiovascolari hanno portato alla raccomandazione dei GLP-1RAs nelle linee guida per il trattamento di pazienti ad alto rischio di malattie cardiovascolari. Questi farmaci sono dose-dipendenti: in base alla dose farmacologica aumentano la secrezione di insulina e diminuiscono la secrezione di glucagone. A dosi un po’ elevate rallentano lo svuotamento gastrico; a dosi più alte riducono l’appetito, e a dosi ancora più elevate si hanno effetti collaterali quali: vomito, diarrea, nausea e dolore addominale. Gli effetti collaterali comuni sono infatti: Nausea all’inizio della terapia. Rallentamento dello svuotamento gastrico che potrebbe alterare la farmacocinetica di farmaci che richiedono un rapido assorbimento gastrointestinale. Ipoglicemia, ma è rara. Anche se sono farmaci che inducono la secrezione di insulina, molto raramente danno ipoglicemia a meno che sia dato in combinazione con sulfaniluree, situazione da evitare in ogni modo. Devono essere prese diverse precauzioni: Exenatide non dev’essere prescritto a pazienti con insufficienza renale da moderata a severa. Vi è una possibile associazione tra il trattamento con exenatide e pancreatiti quindi questo farmaco non dev’essere usato in pazienti con predisposizione o storia pregressa di pancreatite. Pazienti trattati con Liraglutide e Semaglutide hanno maggiore rischio di malattie alla cistifellea. I GLP-1R sono espressi dalle cellule C della tiroide; anche se non ci sono delle associazioni confermate con il carcinoma midollare della tiroide, gli agonisti di GLP-1 non devono essere somministrati a questi pazienti. La Semaglutide è l’ultimo farmaco di questa categoria messo in commercio. E’ presente in due formulazioni: Ozempic con somministrazione sottocutanea settimanale. Rybelsus con somministrazione orale giornaliera. Come fa un peptide assunto per via orale a funzionare? Viene usato un accorgimento farmacocinetico aggiungendo all’interno della capsula, che contiene Semaglutide, salcaprozate sodium (SNAC) che potenzia l’assorbimento dei peptidi perché, nel momento in cui la capsula si scioglie, aumenta momentaneamente il pH dell’intestino: in questo modo evita la degradazione del peptide da parte del pH acido e anche da parte degli enzimi proteolitici, che funzionano meglio a pH acido. Liraglutide 3.0 mg (Saxenda) e Semaglutide 2.4 mg (Wegovy) sono stati approvati da FDA e EMA per il trattamento dell’obesità indipendentemente dallo stato diabetico. Sono gli stessi principi attivi di Liraglutide e Semaglutide ma a dosaggi maggiori e prendono quindi un nome differente. La Saxenda è stata approvata oltre che da FDA e EMA anche dall’AIFA, a differenza del Wegovy. In questo periodo molti farmaci sono in stato di carenza e come si può vedere dall’immagine, tratta da una mail arrivata alla professoressa, anche l’Ozempic è tra questi. In America questo farmaco è diventato quasi una moda a causa dell’influenza di personaggi famosi che sostengono che consenta un dimagrimento facile, ma in realtà ci sono delle precise limitazioni nell’utilizzo di farmaci per la terapia dell’obesità e non vanno usati per la famosa “prova costume”: questo fenomeno contribuisce alla scarsità di scorte di Semaglutide. In Italia l’Ozempic non è ancora stato approvato per la terapia dell’obesità e rimane esclusivamente indicato per il trattamento di adulti affetti da diabete di tipo 2. 205 AGENTI CHE PROLUNGANO L’AZIONE DELLE INCRETINE: INIBITORI DI DPP4 Dipeptidil peptidasi 4 è una serin proteasi circolante anche espressa come ectoenzima sulle cellule endoteliali e sui linfociti T. DDP-4 cliva i due amminoacidi N terminali dai peptidi con prolina e alanina nella seconda posizione e sembra essere particolarmente importante nella inattivazione di GLP-1 e GIP. L’inibizione di DPP4 determina un aumento della biodisponibilità di GLP-1 e GIP. Infatti dopo un pasto si avrà un picco maggiore di GLP-1 e GIP e un’azione più prolungata degli stessi, quindi un potenziamento di queste incretine endogene. I farmaci presentano tutti il suffisso -gliptin: Alogliptin, Linagliptin, Sitagliptin sono inibitori competitivi di DDP4; Saxagliptin e Vildagliptin si legano covalentemente a DDP4. Tutti i farmaci nominati possono essere somministrati a dosi in grado di abbassare l’attività misurabile di DDP-4 di più del 95% per 12 ore. Questo causa un aumento della concentrazione plasmatica di GLP-1 e GIP attivi, in associazione a aumentata secrezione di insulina, ridotti livelli di glucagone e miglioramenti sia a digiuno che in iperglicemia post-prandiale. Gli inibitori di DDP-4 non hanno alcun effetto diretto sulla sensibilità insulinica, motilità gastrica e sazietà, inoltre la terapia da DDP-4 non influisce sul peso corporeo. Anche questi farmaci presentano dosaggi e frequenze di assunzione diversi, riportati nella tabella a fianco. Utilizzo terapeutico: Monoterapia nei pazienti affetti da diabete mellito, riducendo i livelli di emoglobina glicata del 0,8%. Possono essere usati in combinazione con Metformina, Tiazolidinedioni, Sulfoniluree e Insulina. Hanno effetti additivi in combinazione. Bisogna ridurre le dosi in soggetti con insufficienza renale. ADME: Assorbiti efficacemente dall’intestino tenue Alogliptin, Saxagliptin, Sitagliptin, e Vildagliptin sono secreti nelle urine. Linagliptin si lega a proteine plasmatiche ed è eliminato principalmente dal sistema epatobiliare. Saxagliptin è metabolizzata a livello epatico e le dosi devono essere ridotte quando somministrata con inibitori di CYP3A4. Effetti collaterali: Non hanno effetti collaterali importanti. Saxagliptin ha aumentato le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. Raramente associati a severo dolore articolare. 206 AGENTI CHE RALLENTANO L’ASSORBIMENTO INTESTINALE DI GLUCOSIO: INIBITORI DELLE GLUCOSIDASI L’Acarbosio e il Miglitol sono inibitori dell’assorbimento intestinale di glucosio e aumentano il rilascio di GLP-1 nella circolazione, contribuendo all’abbassamento dei livelli di glucosio. Utilizzo terapeutico: Sono indicati come aggiunta alla dieta e all’esercizio nel diabete mellito di tipo 2. Possono essere usati in combinazione con altri agenti antidiabetici orali o insulina. Non causano aumento di peso. ADME: Acarbosio è assorbito minimamente. L’assorbimento di Miglitol è saturabile e il farmaco circolante è eliminato dai reni. Effetti collaterali: I maggiori effetti collaterali sono: malassorbimento, flatulenza, diarrea e gonfiore addominale. Da lieve a moderato aumento delle transaminasi epatiche (nel caso del Acarbosio). AGENTI CHE INIBISCONO IL RIASSORBIMENTO DI GLUCOSIO NEL RENE: INIBITORI DI SGLT-2 SGLT-2 è un cotrasportatore di Na+ e glucosio, localizzato principalmente nel tubulo renale prossimale; esso è responsabile del 80-90% della ritenzione renale di glucosio. Gli inibitori di questo canale bloccano il riassorbimento a livello tubulare di glucosio, promuovendo la secrezione dello stesso attraverso le urine. I farmaci sono: Dapagliflozin, Canagliflozin, Empagliflozin, Ertugliflozin. A livello terapeutico: In monoterapia riducono l’emoglobina glicata da 0,7% a 1%. Causano perdita di peso di 2-4 kg. Abbassamento della pressione arteriosa di 2-4 mm Hg. Possono essere utilizzati in combinazione con altri agenti con ulteriore diminuzione di emoglobina glicata del 0.5-0.7%. ADME: Somministrazione orale Emivita di circa 12 ore le rendono ottime per somministrazione una volta al giorno La loro azione dipende dal ritmo di filtrazione del glucosio, la potenza diminuisce con avanzata malattia renale. Gli effetti collaterali sono prevedibili dal loro meccanismo d’azione: Aumento di 1-2% di infezioni delle basse vie urinarie (soprattutto in soggetti predisposti come donne anziane). Aumento del 3-5% di infezioni micotiche genitali. Causano ipotensione in una piccola percentuale di pazienti anziani. Questi farmaci hanno un ruolo nello scompenso cardiaco. Sono stati recentemente utilizzati in uno studio, dimostrando una riduzione del rischio cardiovascolare e un’utilità nella terapia dello scompenso cardiaco, anche in pazienti non diabetici. SGLT2 inhibitors sono stati dimostrati efficaci nella terapia di insufficienza 207 cardiaca e insufficienza renale e rappresentano una delle maggiori scoperte farmacologiche del ventunesimo secolo. RIASSUNTI FINALI Dopo la diagnosi di diabete, si verificano i livelli di emoglobina glicata. Viene avviata una terapia medica nutrizionale, un’educazione al diabete e attività fisica. Viene utilizzata la Metformina come farmaco di prima linea e a distanza di tempo si valuta ancora l’emoglobina glicata. Eventualmente si aggiunge un secondo farmaco e si valuta se dare metformina + due agenti o metformina + insulina. Nei pazienti con malattie cardiovascolari o nefropatie è possibile utilizzare come primi farmaci: agonisti di GLP-1 e inibitori di SGLT-2. 208