Evoluzione della professione infermieristica in Italia PDF

Summary

Questo documento descrive l'evoluzione della professione infermieristica in Italia, dai primi metodi formativi alle più recenti esigenze di aggiornamento continuo. Vengono discussi i diversi livelli di formazione, dalle lauree specialistiche ai master, sottolineando l'importanza della formazione permanente nel mantenere elevate le competenze professionali in un contesto sanitario in continua evoluzione.

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## Evoluzione della professione infermieristica in Italia ### 1 La formazione infermieristica Negli ultimi decenni il sistema formativo infermieristico del nostro Paese è stato oggetto di un progressivo processo di cambiamento, parallelamente all'evoluzione della figura dell'infermiere. A seguito...

## Evoluzione della professione infermieristica in Italia ### 1 La formazione infermieristica Negli ultimi decenni il sistema formativo infermieristico del nostro Paese è stato oggetto di un progressivo processo di cambiamento, parallelamente all'evoluzione della figura dell'infermiere. A seguito di un diverso riconoscimento del ruolo dell'infermiere nella nostra società, delle trasformazioni verificatesi tanto nel SSN quanto nella domanda sociale di salute e nel mercato del lavoro professionale, la formazione infermieristica ha dovuto essere riallocata da percorso professionale a formazione accademica, con un rinnovamento radicale per garantire le competenze necessarie al nuovo posizionamento dell'infermiere. Con l'istituzione del diploma di laurea magistrale si è compiuta una svolta che gli infermieri aspettavano da tempo: affermare che le scienze infermieristiche rappresentano una disciplina scientifica autonoma e promuovere una cultura professionale capace di elevare il livello qualitativo dei servizi sanitari. Il passaggio alla formazione universitaria si è comunque snodato attraverso un percorso che ha conosciuto momenti non sempre lineari e piuttosto travagliati. ### 1.1 Evoluzione della formazione infermieristica La regolamentazione della formazione infermieristica inizia quando, col R.D.L. 1832/1925, relativo alla Facoltà della istituzione delle Scuole-convitto professionali per infermiere e di Scuole specializzate di medicina, pubblica igiene e assistenza sociale per assistenti sanitarie visitatrici, vengono appunto istituite le prime scuole per la formazione delle infermiere, per accedere alle quali viene richiesta la licenza elementare, che però, di fatto, non viene considerata obbligatoria: in mancanza di candidate che ne siano in possesso, si potrà comunque ammetterle. Nel 1934 le norme sulla formazione infermieristica vengono inserite nel Testo Unico delle leggi sanitarie. Successivamente interverrà l'Accordo di Strasburgo del 1967, col quale si stabiliscono i requisiti minimi di accesso alle scuole infermieristiche e il monte-ore minimo di insegnamento da impartire, pari a 4.600 ore: come conseguenza l'ammissione alle scuole per infermiere diviene possibile con 10 anni di scolarità precedenti, per assicurare la giusta preparazione generale agli studi e al ruolo di infermiera. I cambiamenti derivanti dall'Accordo di Strasburgo produrranno un'onda lunga nel nostro Paese, in cui una tappa certamente storica è segnata dalla L. 124/1971 per l'Estensione al personale maschile dell'esercizio della professione di infermiere professionale, organizzazione delle relative scuole e norme transitorie per la formazione del personale di assistenza diretta. Oltre a consentire l'accesso alla professione anche agli uomini, questa norma sopprime l'obbligo di internato e decreta la sostituzione della denominazione Scuola-convitto con quella di Scuola per infermieri professionali. Tuttavia, sarà solo qualche anno dopo che la L. 795/1973 per la Ratifica ed esecuzione dell'accordo europeo sull'istruzione e formazione delle infermiere adottato a Strasburgo il 25 ottobre 1967, ### 1.2 Livelli odierni di formazione infermieristica L'attuale percorso formativo in Infermieristica si sviluppa secondo le disposizioni del D.M. 509/1999, successivamente modificato dal D.M. 270/2004. Subito dopo il diploma di laurea in Infermieristica, due anni accademici successivi permettono di conseguire il diploma di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche. Esistono, quindi, più livelli di formazione, articolate come indicato nello schema che segue. | Livello di formazione | Durata | |---|---| | Laurea in Infermieristica | 3 anni | | Laurea magistrale (ex laurea specialistica in Scienze infermieristiche) | 2 anni | | Master di I livello | 1 anno | | Master di II livello | 1 anno | | Dottorato di ricerca | 3 anni | #### I livello Laurea in Infermieristica (L) - D.M. 19-2-2009. Ha l'obiettivo di assicurare allo studente un'adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali (180 CFU - 1 CFU = 30 h). Costituisce il titolo che abilita all'esercizio della professione infermieristica (sostituisce i precedenti titoli di infermiere professionale e di diploma universitario in Scienze infermieristiche e diploma universitario di Infermiere). La durata accademicamente definita è di 3 anni. #### Il livello Laurea magistrale (LM) - D.M. 270/2004 (ex laurea specialistica in Scienze infermieristiche (LS) - D.M. 8-1-2009). Ha l'obiettivo di fornire allo studente una formazione di livello avanzato per l'esercizio di attività di elevata complessità (120 CFU). La durata è di 2 anni. #### Master di I livello Corso di approfondimento scientifico e alta formazione permanente e ricorrente in ambiti specifici (area critica, geriatria, ricerca clinica, pediatria, salute mentale, sanità pubblica, management infermieristico, altri), successivo al conseguimento del diploma di laurea in Infermieristica (60 CFU). #### Master di II livello Corso di approfondimento scientifico e alta formazione permanente e ricorrente in ambiti specifici, successivo al conseguimento del diploma di laurea magistrale (60 CFU). #### III livello Dottorato di ricerca (DS) Fornisce le competenze necessarie per esercitare, presso Università, enti pubblici o soggetti privati, attività di ricerca e di alta qualificazione. #### Requisiti per l'accesso al percorso formativo post-base Possono accedere alla formazione post-base tutti gli infermieri in possesso del diploma di laurea in Infermieristica, rilasciato ai sensi della normativa vigente. Possono accedervi, inoltre, tutti gli altri infermieri e infermieri pediatrici (ovviamente in possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado) in virtù dell'art. 4 della L. 42/1999 e dell'art.1, ### 1.3 Manutenere le competenze professionali Una volta conseguito il titolo professionale - o, meglio, l'abilitazione all'esercizio professionale - dovrebbe iniziare il lungo cammino di: - attualizzazione delle competenze. Il sistema sanitario evolve in continuazione, sia per l'apporto tecnologico, negli ultimi anni davvero consistente, sia per la ricerca e la conseguente evidenza scientifica, oltre alle modificazioni dei modelli organizzativi. Può quindi accadere che alcune prestazioni debbano essere abbandonate per assumerne altre (ad esempio, gestione della cartella infermieristica cartacea vs digitale), oppure che debba essere modificata la modalità di espletamento (ad esempio, gestione del monitoraggio della glicemia a distanza con teleassistenza); - manutenzione delle competenze. Ogni professionista necessita di mantenere adeguato il proprio patrimonio professionale, che inevitabilmente può usurarsi. Per evitare tale usura occorre mantenersi adeguati in un determinato ruolo all'interno di un'organizzazione, mobilitando le risorse necessarie, non solo possedendole. Si devono quindi individuare e rifocalizzare continuamente le competenze attese che un professionista deve possedere per un determinato profilo di postazione, in modo da svolgere adeguatamente il proprio ruolo e assumere le responsabilità specifiche richieste per la posizione occupata nell'organizzazione. Occorre quindi che si operino un monitoraggio e una manutenzione continua delle competenze; - sviluppo delle competenze. In relazione ad alcuni ambiti di attività può rendersi essenziale ampliare le proprie competenze in senso verticale (ad esempio, specializzazione in area critica) o orizzontale (ad esempio, sul versante manageriale), al fine di garantire interventi di qualità per il servizio e per il team in cui si opera. È dunque essenziale attenzionare le competenze, in senso non solo quantitativo, ma anche qualitativo. In alcuni Paesi si è studiato quale sia il ritorno di un rapporto infermiere/paziente non ottimale (nurse to patient ratio) nei servizi: comporta effetti negativi sulla sicurezza (Royal College of Nursing Institute, 2003), con rischio più elevato di lesioni da pressione, cadute, infezioni correlate alle pratiche assistenziali, peggioramento dell'autonomia nelle attività di vita quotidiana o non riconoscimento del deterioramento clinico. Gli esiti negativi aumentano la durata della degenza, peggiorano la qualità della vita fino ad aumentare il rischio di mortalità (Aiken et al., 2002; Cho, 2001; Needleman et al., 2011). Si è studiata meno, invece, la ricaduta di una competenza professionale non aggiornata, di una performance professionale in cui le competenze non sono state attualizzate e manutenute: questo tema si definisce accreditamento professionale e in Italia, dopo anni di acceso dibattito, è stato oggi collocato in secondo piano. Per meglio dire, del complesso problema dell'accreditamento professionale degli infermieri e di altri sanitari è restato in primo piano solo un aspetto, ovvero la formazione periodica del professionista. In effetti non basta formarsi, ma occorre che la formazione porti ricadute concrete (impatto) nell'operatività dei professionisti. A tal proposito il D.Lgs. 229/1999 aveva introdotto un'innovazione rivoluzionaria: per le strutture del sistema sanitario era stata affermata l'obbligatorietà dell'accreditamento dei professionisti. Si riconosceva così che servizi di qualità non potevano prescindere da risorse umane di altrettanta qualità. Da questa innovazione affermata dalla normativa del tempo sono trascorsi ormai decenni e il sistema di abilitazione all'esercizio professionale è restato di fatto immutato, al contrario di altri Paesi, in cui il sistema di abilitazione all'esercizio professionale sanitario prevede la ricertificazione periodica delle competenze. In Italia, invece, l'abilitazione all'esercizio professionale (esame di Stato) è ancora oggi l'unico momento di verifica su cui si regge un esercizio ### 1.4 La formazione permanente La formazione permanente, che nella letteratura internazionale viene efficacemente denominata Lifelong learning, prende avvio dal momento stesso in cui si conclude la formazione di base o di accesso alla professione. Si distingue dalla formazione post-base, che a sua volta, tesa a perfezionare/specializzare le competenze di un professionista in uno specifico ambito, si svolge generalmente attraverso ulteriori percorsi accademici e/o con percorsi di alta formazione che possono essere proposti dalle Regioni per le specifiche esigenze del proprio SSR, oppure da soggetti pubblici e privati. La formazione permanente è costituita dall'insieme dei processi di apprendimento che si verificano dopo la formazione di base. Essa è sicuramente parte del sistema di accreditamento professionale, in quanto finalizzata al mantenimento delle conoscenze e delle abilità necessarie all'esercizio professionale, ma si basa solo sull'apprendimento, senza verifica dell'impatto di questo sull'esercizio stesso del singolo professionista. A tal fine, dal 2002 è stata creata l'educazione continua in medicina (ECM), che intende fornire a tutti i sanitari quanto necessario per mantenersi professionalmente aggiornati e competenti. La velocità con cui si sviluppano le conoscenze e le tecniche in campo sanitario rende indispensabile per ogni professionista un continuo aggiornamento, che rappresenta pure una precisa responsabilità nei confronti dei cittadini ai quali si rivolge. Il programma ECM avviato in Italia si propone appunto di rispondere a questa esigenza, offrendo occasioni di formazione nei tre ambiti di competenza che concorrono a formare la professionalità di ciascun professionista sanitario: - il sapere, ovvero il possesso di conoscenze teoriche aggiornate; - il saper fare, ossia il possesso di abilità tecniche o manuali; - il saper essere, cioè il possesso di capacità comunicative, relazionali, nonché decisionali. Pertanto, a partire dal 2002 l'aggiornamento non è più solo un'esigenza del singolo, bensì un preciso obbligo professionale che può essere assolto frequentando eventi ECM accreditati (residenziali, FAD o progetti formativi aziendali), ovvero certificati dall'apposita Commissione ### 1.4.1 ECM, il programma di formazione continua Il programma di formazione continua è stato introdotto con il D.Lgs. 229/1999, che prevedeva la possibilità per ogni professionista sanitario di ottenere un determinato numero di crediti ECM, fino a raggiungere la quantità prevista per il triennio. Il programma ECM si applica a tutte le categorie professionali sanitarie, sia che i soggetti siano dipendenti o convenzionati con il SSN o con strutture private, sia che si tratti di liberi professionisti. La gestione amministrativa del programma di ECM e il supporto alla Commissione nazionale per la formazione continua sono stati trasferiti dal Ministero della salute all'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS). Il D.Lgs. 229/1999, recante Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419, fissa le regole della formazione continua, indicando anche forme di penalizzazione in caso di inadempienza dell'obbligo formativo, che tuttavia fino al 2021 non sono mai state applicate. L'art. 16quater del D.Lgs. 502/1992, oltre a disporre che la formazione continua costituisca requisito indispensabile per svolgere attività professionale in qualità di dipendente o libero professionista, prevede che nei contratti nazionali del personale del SSN si individuino «specifici elementi di penalizzazione, anche di natura economica, per il personale che nel triennio non ha conseguito il minimo di crediti formativi stabilito dalla Commissione nazionale». Lo stesso art. 16quater stabilisce che le strutture sanitarie private, «per poter ottenere l'accreditamento da parte del SSN», hanno l'obbligo di dimostrare che «tutto il proprio personale ha assolto regolarmente l'obbligo formativo». Per molti anni le sanzioni relative al mancato assolvimento dell'obbligo ECM sono state minacciate ma non praticate: a prevedere sanzioni per chi non si aggiorna sono state inizialmente la L. 3/2017 (cosiddetta legge Lorenzin) e prima ancora il D.Lgs. 138/2011. Tuttavia, solo il D.L. 152/2021 sull'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) ha chiaramente previsto esiti per il mancato aggiornamento, vincolando l'efficacia delle polizze sulla responsabilità civile professionale all'assolvimento dell'obbligo ECM: in pratica, per i sanitari che non hanno svolto aggiornamento almeno per il 70% di crediti ECM previsti per triennio formativo, la polizza sarà nulla. La norma entrerà in vigore dal triennio 2023-2025. La Commissione nazionale per la formazione continua definisce i crediti formativi ECM che devono essere maturati complessivamente dai professionisti in un determinato arco di tempo (attualmente, 150 in un triennio), gli indirizzi per l'organizzazione dei programmi di formazione regionali, i criteri e gli strumenti per la valutazione delle esperienze formative, i requisiti per l'accreditamento delle società scientifiche che svolgono attività formative, verificandone la sussistenza. È possibile che più aziende si associno per la realizzazione di un progetto formativo, come pure che le Aziende sanitarie organizzino percorsi formativi al loro interno per i propri professionisti, certamente interessate ad avere soggetti debitamente formati e adempienti al sistema ECM. L'organizzazione ed erogazione di un Piano aziendale formativo (PAF) presenta infatti diversi vantaggi: - corrispondenza tra momento formativo e attività lavorativa; - coincidenza di docenti e discenti, che operano già insieme e di volta in volta scambiano i propri ruoli; - finalità del percorso definibili in base alle esigenze della struttura, con possibilità di verificare l'impatto della formazione nel tempo tramite follow-up mirati; - facilità di fruizione da parte dei professionisti, poiché non sono necessari spostamenti né attrezzature particolari, risultando quindi vantaggiosi anche in termini di rapporto costi/benefici. I crediti formativi ECM costituiscono l'unità di misura utilizzata per valutare l'impegno e il tempo che ogni professionista dedica all'aggiornamento e alla crescita qualitativa della propria professionalità. I crediti si acquisiscono solo a condizione della frequenza di almeno il 90% del percorso formativo e del superamento della prova di apprendimento finale. L'attribuzione dei crediti da parte della Commissione nazionale ECM tiene conto di vari criteri: obiettivi del percorso, numero di partecipanti, durata, metodologie didattiche utilizzate (premiando quelle attive). Al termine dell'evento, al professionista viene rilasciato un attestato ECM certificante i crediti acquisiti, che parallelamente verranno attribuiti allo stesso nella sua anagrafica individuale digitale gestita dal Co.Ge.A.P.S., ovvero dal Consorzio gestione anagrafica professioni sanitarie. Si tratta di un organismo che riunisce le Federazioni nazionali degli ordini dei professionisti della salute che partecipano al programma di educazione continua in medicina. Secondo quanto stabilito dall'Accordo Stato-Regioni del 5-11-2009, il Co.Ge.A.P.S. è l'organismo nazionale deputato alla gestione delle anagrafiche nazionali e territoriali, dei crediti ECM attribuiti ai professionisti che fanno capo agli Ordini, Collegi nonché le rispettive Federazioni nazionali e Associazioni professionali, consentendo a questi le relative funzioni di certificazione delle attività formative svolte». Gli eventi ECM possono essere organizzati ed erogati soltanto da un provider di ECM: si tratta del riconoscimento, da parte di un'istituzione pubblica, che un soggetto è attivo e qualificato nel campo della formazione continua in sanità e che pertanto è abilitato a realizzare attività formative riconosciute idonee per l'ECM, individuando e attribuendo ai partecipanti i relativi crediti formativi. I requisiti richiesti per l'accreditamento riguardano le caratteristiche del soggetto da accreditare, la sua organizzazione, il rigore qualitativo nell'offerta formativa proposta e l'indipendenza da interessi commerciali. Sulla scia degli accordi del 2007 e del 2009 si colloca l'Accordo del 19-4-2012, che contiene le linee guida per l'accreditamento dei provider, effettuato in base ai requisiti minimi definiti nelle suddette linee guida. Fra le regole introdotte, viene stabilito che l'accreditamento dei provider può avvenire a livello sia regionale che nazionale, fermo restando che i requisiti minimi sono uguali per tutto il territorio nazionale. La Commissione nazionale si avvale di due organismi operativi per svolgere i controlli di propria competenza: il Comitato di garanzia e l'Osservatorio nazionale per la qualità della formazione continua in sanità, già previsti dagli accordi previgenti. Le Regioni e le Province possono istituire dei Comitati di garanzia locali. La procedura di verifica da parte della Commissione prevede tre fasi: - verifica preventiva di tipo amministrativo; - verifica in loco con l'invio di esperti, al fine di appurare la sussistenza dei requisiti per l'accreditamento; - verifica successiva sul mantenimento dei requisiti, effettuata con audit e controlli periodici. ## 2 Evoluzione della professione infermieristica ### 2.1 Il D.M. 14-9-1994, n. 739 - Regolamento concernente l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'infermiere Il D.M. 739/1994 contiene il Regolamento concernente l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'infermiere e consta complessivamente di tre articoli. Dal punto di vista giuridico il profilo professionale è un atto normativo di natura regolamentare che definisce il contenuto peculiare del tipo di prestazione, i titoli professionali richiesti e le specifiche abilitazioni previste dalla legge per l'esercizio della professione, nonché l'attribuzione di autonomie e responsabilità, diversamente dal preesistente mansionario. Quattro i punti fondamentali del Regolamento: 1. nell'ambito dell'assistenza sanitaria genericamente intesa esiste un campo specifico di intervento costituito dall'assistenza infermieristica; 2. all'infermiere vengono riconosciute come funzioni proprie la prevenzione, l'assistenza e l'educazione sanitaria; 3. l'infermiere è un professionista a cui viene riconosciuta una metodologia specifica e peculiare d'intervento, nonché autonomia e responsabilità professionale; 4. si riconosce all'infermiere, responsabile dell'assistenza generale, la necessità di possedere ulteriori conoscenze teorico-pratiche da acquisire mediante la formazione complementare. In tal modo viene sancito il passaggio dalle tecniche infermieristiche tipiche del precedente mansionario (infermiere professionale) alla disciplina infermieristica (infermiere professionista). Dal momento in cui una professione ha cominciato a ottenere un consistente riconoscimento sociale, è sorta la necessità di acquisire o mantenere determinate caratteristiche o attributi (Tousijn, 1979). Alla definizione di queste caratteristiche o attributi ha contribuito Greenwood (1957): «dobbiamo pensare che le occupazioni in una società sono distribuite lungo un continuum. A un estremo di questo continuum sono raggruppate le professioni indiscutibilmente riconosciute e non contestate (medico, professore, procuratore, legale, scienziato ecc.); all'estremo opposto sono raggruppate le occupazioni meno qualificate e meno ambite (guardiano, trasportatore, bracciante, donna di fatica, fattorino). Le rimanenti occupazioni, meno qualificate e di prestigio minore rispetto alle prime, sono distribuite tra i due estremi» (Tousijn, 1979). I due estremi del continuum, secondo l'autore, differiscono tra loro in senso sia quantitativo che qualitativo: tanto più numerosi ed esaurienti sono gli attributi acquisiti da un'occupazione, tanto più questa si avvicina al lato delle professioni. Gli attributi individuati da Greenwood (1957) sono costituiti da: - un corpo di conoscenze teoriche sistematico, che definisca il campo d'azione della professione, le sue finalità, le sue funzioni specifiche e le capacità necessarie per esercitarle; - un'autorità professionale intesa come un insieme esclusivo di competenza tecnica, autonomia, responsabilità e leadership; - un'utilità sociale espressa dal riconoscimento che proviene dall'utenza, dagli altri professionisti e dalla società in generale; - una cultura professionale, consistente nell'insieme dei valori, delle norme e delle regole interne di un gruppo di professionisti, unito al loro sapere teorico/tecnico-scientifico; - un codice deontologico, un documento che esprime il corpus di regole autodeterminate dalla professione a tutela dei rapporti tra professionisti e utenza. Il profilo riconosce un corpo sistematico di conoscenze, con una disciplina accademica (MED/45 - Scienze infermieristiche generali, cliniche e pediatriche) e un ambito di ricerca definito, attribuendo facoltà decisionale agli infermieri e gettando così le basi per una cultura professionale e per il riconoscimento da parte della società. Per quanto riguarda il codice etico, la professione infermieristica italiana ne ha uno specifico fin dal 1960, mentre l'ultima revision è del 2019. Il Codice deontologico del 2009 aveva recepito la svolta rappresentata dal passaggio da operatore sanitario a professionista sanitario responsabile dell'assistenza infermieristica. Dieci anni dopo, col Codice deontologico del 2019, l'infermiere si rappresenta con le caratteristiche di un professionista che fa riferimento all'evidenza scientifica e alla riflessione etica. Passiamo ora ad esaminare, per la loro rilevanza, i punti salienti del profilo. #### 2.1.1 Art. 1 del D.M. 739/1994 Il comma 1 individua la figura professionale dell'infermiere con il seguente profilo: «l'infermiere è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'Albo professionale, è responsabile dell'assistenza generale infermieristica». Analizziamo quindi le scelte operate da questa definizione: - operatore sanitario. Tale locuzione evidenzia il superamento della definizione di infermiere quale operatore che esercita una professione ausiliaria di altre (ad esempio, quella del medico), come definito nel R.D. 1265/1934. Il carattere ausiliario della professione infermieristica era stato in effetti abolito in via definitiva con la L. 42/1999; - diploma universitario abilitante. Viene confermato non solo che l'infermiere deve formarsi in ambito universitario, ma anche che il titolo conseguito rende immediatamente abilitati all'esercizio della professione; - iscrizione all'Albo professionale. Attraverso l'obbligatorietà dell'iscrizione all'Albo il legislatore intende garantire al cittadino e allo Stato la competenza di colui che esercita la professione responsabile dell'assistenza generale infermieristica. Con ciò viene sancito che l'infermieristica costituisce uno specifico campo d'intervento nell'ambito dell'assistenza sanitaria più ampiamente intesa. L'infermiere, a sua volta, risponde direttamente delle prestazioni professionali che pone in essere in relazione alle funzioni che la legge stessa gli assegna. Il comma 2 stabilisce che «L'assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l'assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l'educazione sanitaria». In tal modo si delineano con chiarezza i campi d'intervento specifici dell'infermiere. Particolarmente innovativo è il riconoscimento dell'intervento infermieristico nell'ambito delle cure palliative, che si traduce nell'assistenza alla persona la cui situazione clinica è ad un punto di non ritorno, sicché l'obiettivo infermieristico è appunto quello della palliazione, ovvero garantire una qualità di vita nella sua fase finale. Con le specifiche contenute nel comma 2 si gettano le basi per il riconoscimento di un approccio assistenziale globale che permetta all'infermiere di rispondere a tutti i bisogni della persona: dallo stato di salute (prevenzione) allo stadio di abbandono della vita (assistenza al morente). Innovativo, altresì, il riconoscimento della natura relazionale ed educativa della professione, il che significa riconoscere che l'infermiere opera un approccio assistenziale caratterizzato anche da prestazioni informative, colloqui strutturati, educazione alla salute: insomma, una serie di interventi finalizzati a creare le basi per prendersi cura della persona e della collettività. Il comma 3 precisa che «L'infermiere: a) partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività; b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi; c) pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico; d) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche; e) agisce sia individualmente, sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali; f) per l'espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell'opera del personale di supporto; g) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell'assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero professionale». Da quanto detto deriva che: - l'interazione di diversi professionisti sanitari è indispensabile per una corretta identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività. Viene riconosciuta all'infermiere una competenza specifica che ne fa un componente a pieno titolo dell'équipe multidisciplinare, in grado di concorrere all'identificazione di tali bisogni; - la competenza specifica che rende l'infermiere membro a pieno titolo dell'équipe multidisciplinare è la stessa che lo rende protagonista dell'identificazione dei bisogni di natura infermieristica. Indipendentemente dal modello concettuale a cui l'infermiere si riferisce per identificare il bisogno, ne conseguono la capacità e la responsabilità diretta di definire gli obiettivi, intesi come risultato da raggiungere per ottenere la soddisfazione e/o la compensazione del bisogno autonomamente identificato; - definiti gli obiettivi, intesi come esito da raggiungere, all'infermiere sono parimenti riconosciute la capacità e la competenza per definire gli interventi e le priorità tra questi; scegliere tra diverse ipotesi risolutive; individuare strumenti e risorse indispensabili per l'intervento; attuare le prestazioni necessarie; verificare quanto attuato e gli esiti raggiunti. Pertanto l'infermiere è direttamente responsabile del risultato conseguito; - nel garantire l'applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche, l'infermiere si assume la responsabilità del suo intervento, con prestazioni adeguate fornite direttamente o da altri da lui individuati, in collaborazione col prescrittore (problemi collaborativi); - viene rafforzato il concetto di lavoro di équipe, inteso come partecipazione attiva al soddisfacimento dei bisogni di salute nell'ambito delle proprie competenze; - nell'espletamento delle sue funzioni l'infermiere può avvalersi dell'opera del personale di supporto (operatori socio-sanitari) e risponde del risultato conseguito in quanto trattasi di personale esecutivo. Va sottolineato che l'operatore socio-sanitario risponde della correttezza delle azioni svolte, prescritte dall'infermiere, che ne ha indicato anche lo standard di realizzazione con apposita documentazione (istruzioni di lavoro); - si ribadisce che l'infermiere opera in ambito intra ed extra ospedaliero, in strutture pubbliche e private. Il profilo conferma la possibilità di svolgere le proprie funzioni, oltre che in regime di dipendenza, anche in regime libero-professionale. In base al comma 4, «L'infermiere contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca». In pratica si riconoscono all'infermiere una funzione didattico-formativa e il suo concorso alla ricerca, la quale, a sua volta, può essere orientata allo sviluppo delle conoscenze professionali e dei servizi e viene svolta in collaborazione con altre figure. Il successivo comma 5 afferma che «La formazione infermieristica post-base per la pratica specialistica è intesa a fornire agli infermieri di assistenza generale delle conoscenze cliniche avanzate e delle capacità che permettano loro di fornire specifiche prestazioni infermieristiche nelle seguenti aree: a) sanità pubblica: infermiere di sanità pubblica; b) pediatria: infermiere pediatrico; c) salute mentale-psichiatria: infermiere psichiatrico; d) geriatria: infermiere geriatrico; e) area critica: infermiere di area critica». Ciò vuol dire che l'infermiere «opera in molteplici e diversificati setting assistenziali». Per erogare prestazioni infermieristiche di elevata qualità e sicurezza in tali situazioni è opportuno, se non addirittura necessario, che l'infermiere responsabile dell'assistenza generale possieda ulteriori competenze, da acquisire con un «successivo percorso formativo di tipo specialistico o mediante una formazione complementare». (Il comma 6 recita: «In relazione a motivate esigenze emergenti dal Servizio sanitario nazionale, potranno essere individuate, con decreto del Ministero della sanità, ulteriori aree richiedenti una formazione complementare specifica», a conferma del fatto che il profilo prevede la possibilità di definire ulteriori aree richiedenti una formazione complementare specifica, qualora se ne ravveda la necessità. Il comma 7, infine, afferma che «Il percorso formativo viene definito con decreto del Ministero della sanità e si conclude con il rilascio di un attestato di formazione specialistica che costituisce titolo preferenziale per l'esercizio delle funzioni specifiche nelle diverse aree, dopo il superamento di apposite prove valutative. La natura preferenziale del titolo è strettamente legata alla sussistenza di obiettive necessità del servizio e recede in presenza di mutate condizioni di fatto». La titolarità del Ministero della salute nel definire il percorso dei corsi di formazione specialistica evidenzia, di fatto, che si vuole garantire una formazione omogenea su tutto il territorio nazionale ed evitare la proliferazione di programmi che potrebbero rispondere ad esigenze strettamente locali. ### 2.1.2 Art. 2 del D.M. 739/1994 «Il diploma universitario di infermiere, conseguito ai sensi dell'art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all'esercizio della professione, previa iscrizione al relativo Albo professionale». Viene così ulteriormente esplicitato che il diploma universitario (oggi laurea) in Infermieristica e l'iscrizione al corrispettivo Albo abilitano all'esercizio professionale. Al tempo si è trattato di una novità importante, in quanto ha collocato l'infermiere alla stregua di altri professionisti, il cui esercizio professionale deve essere garantito da appositi enti, ovvero gli allora Collegi IPASVI e oggi Ordini delle professioni infermieristiche. #### 2.1.3 Art. 3 del D.M. 739/1994 «Con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al precedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario di cui all'art. 2 ai fini dell'esercizio della relativa attività professionale e dell'accesso ai pubblici uffici». In pratica viene stabilito che diplomi conseguiti negli ultimi anni di esercizio delle scuole regionali per infermieri professionali hanno lo stesso valore giuridico ed economico del diploma conseguito in ambito universitario Sarà poi la L. 1/2002 a ribadire la validità di tali diplomi anche per l'accesso a corsi di studi universitari, quali master o laurea specialistica. ### 2.2 La L. 26-2-1999, n. 42 Uno dei più importanti provvedimenti giuridici riguardanti la professione infermieristica è senza dubbio la L. 42/1999, recante Disposizioni in materia di professioni sanitarie. Negli anni precedenti a questa norma il sistema tradizionale di abilitazione all'esercizio professionale era stabilito dal D.P.R. 225/1974, contenente Modifiche al regio decreto 2-5-1940, n. 1310, sulle mansioni degli infermieri professionali e infermieri generici; questo cosiddetto mansionario raggruppava un insieme di funzioni di carattere rigido ed esaustivo, al punto che tutto ciò che non era in esso specificatamente compreso era da considerarsi di competenza medica. In realtà vi erano pure altri riferimenti normativi che regolavano le mansioni degli infermieri professionali (ovvero le cosiddette fonti extramansionariali, oggi quasi del tutto scomparse), ma è certo che il mansionario ne costituiva il corpus principale. Esso si componeva di 6 articoli, di cui solo i primi due erano prettamente dedicati all'infermiere professionale, mentre il terzo definiva le mansioni delle vigilatrici d'infanzia, il quarto le funzioni dell'infermiere professionale specializzato in anestesia e rianimazione, il quinto riguardava gli assistenti sanitari, il sesto (unico articolo sopravvissuto all'abrogazione) le mansioni degli infermieri generici. Le innovazioni apportate dalla L. 42/1999 si sono dimostrate addirittura epocali, anche perché per la prima volta hanno delineato un esercizio professionale autonomo e collaborativo, abbandonando la logica esec

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