Teoria e Pratiche dei Nuovi Media PDF
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Questo documento introduce la teoria dei nuovi media, analizzando il concetto di nuovi media come strumento di comunicazione in evoluzione, non come entità separate, ma come un processo dinamico che integra elementi del passato. L'incontro con i media e la tecnologia è affrontato con un approccio interdisciplinare che comprende l'assieme tra mediazione ed immunizzazione. Sono analizzati i modi in cui i media modulano lo spazio e il tempo, ricostruiscono gli ambienti, sono ibridi e anacronistici.
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TEORIA E PRATICHE DEI NUOVI MEDIA LEZIONE 1: INTRODUZIONE Il termine “media” (al singolare “medium”) deriva dal latino e ha il significato di “canale di comunicazione”: i media rendono infatti possibile la COMUNICAZIONE tra più soggetti. I nuovi media sono, principalmente, i device digitali che util...
TEORIA E PRATICHE DEI NUOVI MEDIA LEZIONE 1: INTRODUZIONE Il termine “media” (al singolare “medium”) deriva dal latino e ha il significato di “canale di comunicazione”: i media rendono infatti possibile la COMUNICAZIONE tra più soggetti. I nuovi media sono, principalmente, i device digitali che utilizziamo: sono in continua evoluzione e aggiornamento e per questo la loro obsolescenza è oltremodo rapida. Sostanzialmente i nuovi media sono i social, che ci mettono in contatto e ci permettono di condividere, conoscere, vedere e creare contenuti. Stabiliscono un certo tipo di legame, un “modello di parentela” (follower su insta, amici su facebook etc). Parlare di nuovi media presuppone il fatto che esistano dei VECCHI MEDIA ➔ dobbiamo capire che non esistono “nuovi” media ma esiste un processo dinamico attraverso il quale i media moderni si rigenerano delle componenti dei media del passato tramite processi di recupero e di rielaborazione è per questo che il concetto di linea del tempo orizzontale, in questi termini, è banale e scorretto: si parla piuttosto di linea del tempo verticale. La storia dei media è infatti una storia anacronistica: le connessioni verticali che dimostrano come qualcosa di vecchio sopravviva in qualcosa di nuovo scombinando la linea cronologica. Non esistono quindi dei “vecchi” media, ma dei “vecchi nuovi media” perché a loro tempo anche gli oggetti che a noi sembrano vecchi, erano nuovi. Noi ci troviamo in un mondo pieno di scarti provenienti anche dal continuo ricambio dei media (discariche piene di pc e telefoni). I media non hanno solo a che fare con le tecnologie ma anche con i nostri corpi e le nostre vite. L’esperienza del Covid-19 ci ha dimostrato quanto i media siano radicati nella nostra quotidianità: il fenomeno assume i tratti di un assemblage tra “mediazione” e “immunizzazione”. Possiamo individuare 4 caratteristiche principali relazionate ai media: 1. I media modulano lo spazio e il tempo: a seconda dei media che si possono usare, il tempo e lo spazio assumono forme diverse. Le distanze non sono state annullate ma rimodulate: i media fanno questo. È la tecnologia a configurare l’unico spazio dell’esperienza in una situazione in cui non si può fisicamente traslare il proprio corpo. Si parla per questo di “modulazione” e non di cancellazione. 2. I media (ri)costruiscono ambienti: danno forma agli ambienti nei quali ci troviamo. La pandemia ha portato con sé la desertificazione degli spazi pubblici: si parla di rilocazione obbligata, ovvero di quel processo grazie a cui un’esperienza mediale si riattiva e si ripropone altrove rispetto a dove si è formata, con altri dispositivi e in altri ambienti. (es in dad tutti sistemavamo le nostre stanze per renderle presentabili/più adatte e funzionali anche negli spazi) RILOCAZIONE OBBLIGATA ➔ tutte le esperienze che siamo soliti richiamare dal vivo si sono rilocate nei nostri ambienti per renderli “aperti” a nuovi utilizzi. Uso dei media finalizzato ad attivare la memoria dell’esperienza di partenza ➔ tattiche di adattamento ➔ rilocare l’esperienza della classe nel proprio salotto o studio. 3. I media sono “ibridi” (tecnologici, geografici e biologici): ogni dispositivo ha sempre a che fare con un corpo biologico e con un ambiente, e a partire da esso prende una forma. Il “medium” è infatti un concetto non specifico: non definisce uno stock di oggetti poiché si tratta di uno spazio di interazione tra la tecnologia, i corpi, le facoltà del soggetto e gli ambienti. Ragionare sui media significa andare oltre la singola app e la componente oggettuale e interrogare quello spazio di azione del dispositivo nell’ambiente e la riflessione dell’ambiente sul dispositivo stesso. Un media è qualcosa di tanto tecnologico quanto naturale ➔ “i media sono delle protesi che prolungano il corpo” ➔ IL CORPO È UN MEDIUM ➔ durante il covid il medium del virus siamo noi 4. I media sono “anacronistici”: fuori da una determinata concezione del tempo. C’è una vita sotterranea delle cose, oltre la loro apparente morte. Arriverà quindi sempre un momento in cui questo oggetto ritornerà in vita, magari sotto forme diverse e con diverse funzionalità, ma sarà sempre un ritorno continuo. Durante il covid si è anacronisticamente riscoperta la funzione dello “schermo”: se oggi esso ha significato comune di “mezzo per visualizzare” un tempo era una protezione, concetto da cui comunque non si allontana in epoca pandemica dove nascondersi dietro al display era visto come mezzo per proteggersi dal contagio. Non si può affermare di “comprare” un medium, esso infatti si reinventa, si evolve o si rompe: un device diventa medium nel momento in cui avviene un passaggio di contenuti modulando una spazialità. L'epidemia di COVID-19 e le misure adottate dai governi hanno profondamente influenzato i sistemi mediatici, trasformando la produzione e la fruizione di eventi dal vivo e registrati. Il fenomeno COVID-19 può essere visto come un "assemblage" di mediazione e immunizzazione, con dispositivi di comunicazione e protezione che interagiscono con i corpi umani, protagonisti della diffusione del virus. ↳ La pandemia ha portato a una combinazione di strumenti, pratiche e dispositivi (come mascherine, distanziamento sociale, tecnologie digitali per il lavoro da remoto, ecc.) che agiscono insieme per mediare le nostre vite quotidiane e allo stesso tempo creare protezioni o forme di difesa contro il virus. È emerso il fatto che non si tratta di naturalizzare la mediazione, ma di riconoscere che essa stessa è naturale, nel senso che la si ritrova sempre e comunque, nell’incontro con gli altri, nell’incontro col mondo e con noi stessi. Lo ha scritto in modo chiaro Richard Grusin parlando di “mediazione radicale” sottolineando come tutti i corpi possano essere concepiti come media e forme di mediazione. Angela Maiello, ad esempio, afferma che siamo noi stessi il medium del virus. In un mondo globalizzato, caratterizzato da iperstimolazione delle sensibilità individuali e delle relazioni sociali, il medium non è più tanto un elettrodomestico, ma siamo noi stessi. Partendo da questa affermazione possiamo identificare nel distanziamento sociale un meccanismo di “ispessimento delle cornici”: le varie forme di mediazione adottate fanno tanto da rallentatore del contagio quanto da setaccio rendendo difficile la netta distinzione tra le barriere biotecnologiche e quelle di controllo sociale (si passa da mediazione radicale a immunizzazione radicale). È importante avere la consapevolezza che non è la tecnologia a limitare la libertà e i contatti poiché i media analogici e quelli digitali non sono in contrapposizione ma bensì ibridi. Interessante e contraddittorio è ciò che afferma Giorgio Agamben: egli infatti fece un delle più importanti riflessioni sulla nozione di “dispositivo” e sulla messa a fuoco dell’idea di “medialità”; tuttavia è lo stesso ad affermare che i professori che accetteranno la digitalizzazione delle lezioni saranno storicamente comparabili a coloro che firmarono per il partito fascista nel 1931. Egli costruisce il suo ragionamento tra l’idea di “realtà” della classe e “virtualità” della didattica a distanza definendole l’una più libera in quanto non contaminata dall’invasività dei dispositivi digitali. Lo scenario tecnologico contemporaneo, a cui ci riferiremo con il nome di "infosfera" o “internet delle cose”, tende verso l’informatizzazione della materia organica e inorganica, relativizzando il rapporto tra online e offline: Luciano Floridi parla, in questo caso, di scenario “onlife”. LEZIONE 2: RIPRODUCIBILITÀ È importante sottolineare che non sia stata la pandemia a mettere in atto la rivoluzione digitale: ne ha semplicemente accelerato le dinamiche. Basti pensare a David Bolter che nella seconda metà del Novecento già parlava di come l’avvento della tecnologia stesse andando ad eliminare le distanze tra una cultura alta ed una cultura bassa, massificando la società. Sono 2 i principali punti di analisi del suo discorso: L’ascesa dei media digitali La fine della fede collettiva nella cultura ➔ il suo declino però è iniziato prima dell’era digitale. Tuttavia, anche nel contesto contemporaneo, i media digitali ci permettono una cultura appiattita in cui esistono tanti punti focali, ma nessun centro. Dentro all’utilizzo di un’interfaccia digitale come YouTube si trova esplicitamente tale concetto: si trovano tante tipologie di contenuti senza che nessuno abbia un primato sugli altri (Es. i video di calcio hanno lo stesso livello gerarchico di analisi poetiche, spiegazioni filosofiche, video di meccanica ecc.) Farsi una cultura, studiare non può più significare studiare unicamente i grandi poeti, filosofi, letterati del passato, ma stanno emergendo nuovi oggetti di interesse scientifico-culturale A parlare della cultura di massa e delle comunicazioni della seconda metà del Novecento fu anche Umberto Eco (1964): parte dall’analisi della massificazione della cultura pop di quegli anni, considerata “cultura bassa” in quanto accessibile e comprensibile a tutti, per poi basare il suo discorso sulla nascita, in un simile contesto, di due fazioni: quella degli apocalittici e di quella degli integrati: apocalittici: i media fanno una gran confusione, mescolano tutto, non si capisce più cos'è reale e cosa no integrali: pensano di far coincidere la propria vita con un medium senza vedere aspetti critici e negativi Gli apocalittici vedono davanti a loro un panorama devastante e scandaloso a causa della perdita della cultura alta, mentre gli integrati si integrano a questa nuova forma di esperienza (motivo per il quale fu ritenuto scandaloso e produsse molte polemiche). Per fare un ulteriore passo indietro nel tempo osserviamo una sequenza di un film che mostra in modo esplicito la vita di una città trasformata dalla tecnologia nel corso dei primi anni del Novecento Il video “l’uomo con la macchina da presa” manifesta come la tecnologia tenda a simulare le usanze delle persone (macchina fotografica che chiude l’obiettivo come se fosse pupilla e occhio, stesso le persiane; oppure i mezzi di trasporto che simulano delle persone che camminano in fila lungo la strada. E certe volte è l’uomo che controlla la macchina, ma in altre come l’uomo che mette il carbone, è la macchina a controllarci) Il film racconta la vita in città attraverso lo sguardo di un uomo con un apparecchio cinematografico Gioco tra l’occhio meccanico e la meccanizzazione ➔ l’occhio meccanico ha la capacità di manifestare e visualizzare gli aspetti innovativi della meccanizzazione e industrializzazione Teorico della cultura e della rivoluzione del visuale fu Walter Benjamin, studioso e teorico della filosofia estetica. Il saggio più importante che prendiamo in considerazione è “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” in cui, partendo dall’analisi della conformazione della città come dispositivo in grado di produrre delle forme esclusive, descrive come cambi l’esperienza dell’opera d’arte nel suo rapporto con queste nuove forme di riproducibilità. Teorizza anche la figura del filosofo urbano, che prende il nome di “flaneur” come colui che fa esperienza della città camminandovi senza una meta definita, sperimentando e provando emozioni mentre osserva il paesaggio: è l’esperienza stessa il primo media che funge da dispositivo di “montaggio” di ciò che osserviamo. Benjamin parla anche di “passages” focalizzandosi su quelli di Parigi (spazi pubblici nella quale viene esposta la merce attraverso le vetrine) ovvero di quei cortocircuiti tra spazio privato e pubblico che non fungono da aggreganti ma che portano l’individuo a considerare soltanto l’oggetto del suo desiderio anziché l’esperienza nel suo insieme. ➔ parla delle metropoli Il flâneur e i passages sono due facce della stessa medaglia: l'uno è l'osservatore riflessivo, l'altro è lo spazio che incarna le dinamiche della modernità. Benjamin li usa per esplorare temi come la trasformazione sociale, l'alienazione e l'emergere della cultura del consumo. Sono 3 i punti fondamentali del discorso di Benjamin, legati alla riproducibilità tecnica, che devono essere presi in considerazione: 1. la riproduzione e la riproducibilità dell’opera: grazie alla fotografia l’opera viene analizzata in un modo del tutto nuovo che ci permette di fare esperienza della stessa anche se ci troviamo altrove rispetto a dove è ubicata. Attraverso le tecniche di riproducibilità tecnica (fotografia) qualcosa accade al concetto di originalità dell’opera d’arte: il concetto stesso di autenticità viene messo in discussione. Se il concetto di autenticità mantiene la propria autorità di fronte alla creazione manuale di un’opera d’arte, ciò non accade quando lo si fa con uno strumento di riproducibilità tecnica: non ho più il problema dell’autenticità in sé, ma la possibilità di vedere di più o di meno. Abbiamo l’idea di un’opera d’arte come un qualcosa di autentico. Nel mondo della riproducibilità invece, il concetto di autenticità passa in secondo piano perché tutte le copie sono identiche a sé stesse, ma nessuna è uguale all’originale. “Al valore dell’autenticità si è sostituito il valore dell’esposizione” qualcosa che viene esposto è in qualche modo autentico. Ora, ogni copia è “vera” perché rappresenta l’originale, ma non è autentica. La vera autenticità si sposta quindi dall’oggetto in sé all’emozione di trovarsi di fronte all’originale, perché solo questa esperienza diretta conserva il senso dell’unicità e l’aura dell’opera d’arte. 2. la riproduzione tecnica e la tradizione: tramite la riproduzione di un’opera quello che viene meno è la guaina legata alla tradizione che avvolge la stessa: è importante per dare valore ad un’opera contestualizzarla e riconoscerla nella dimensione religiosa/culturale in cui era stata pensata, ma al giorno d’oggi a causa dell’attualizzazione della stessa, ne perdiamo la sua dimensione catartica (effetto sconvolgente/purificante, si pensi ad esempio alle statue greche pensate per i templi e oggi da noi osservate in un museo). Sebbene la riproduzione di un’opera sia perfetta, ad essa mancherà sempre il suo hic et nunc originario, ovvero la sua esistenza unica ed irripetibile nel luogo in cui si trova. L’hic et nunc rappresenta infatti l’idea dell’autenticità dell’opera: sebbene l’opera sia riproducibile è proprio questo elemento che viene svalutato. Tramite la riproduzione, infatti, un’opera passa dall’esserci unico all’esserci in massa e dunque avviene una liquidazione del valore tradizionale dell’eredità culturale. 3. la riproduzione tecnica in rapporto con la percezione e con le forme di vita: l’essenza delle opere digitali sta nella loro riproducibilità: l’immagine riprodotta infatti non ha solamente un senso estetico ma anche politico poiché la percezione umana si evolve e cambia non solo naturalmente ma anche sulla base del determinato momento storico in cui avviene (ad esempio, al cinema). Non cambia soltanto il rapporto con l’opera d’arte, con la tradizione storico-artistica, ma anche quello con gli esseri umani e la società: ad essere soggetti alla riproducibilità tecnica non sono soltanto le immagini, ma anche gli esseri umani, la nostra capacità percettiva e cognitiva non è data solo dai 5 sensi, ecc, ma il modo in cui vediamo e sentiamo è strettamente legato al settore mediatico e tecnologico nel quale ci troviamo. Non sono soltanto i modi complessivi di esistenza delle collettività umane a cambiare, ma lo è anche la loro percezione sensoriale rapportata all’epoca in cui avviene. Le masse hanno infatti da sempre avuto l’esigenza di rendere le cose spazialmente e umanamente più vicine a loro ed è per questo che la riproduzione dell’opera si è venuta a differenziare da quella che è l’immagine diretta, il quadro. Il nostro rapporto con i media cambia il modo con cui noi siamo in grado di gestire e comprendere la realtà. Ciò non vuol dire che si tratti di qualcosa di esclusivamente negativo, ma se si perde la propria autenticità (es. alienazione dei lavoratori) diventiamo noi stessi macchina della macchina ➔ rischio di standardizzazione dei comportamenti, di come vengono viste le cose, perdendo la propria visione, il proprio modo interpretare una cosa. FILM: 1927, Metropolis ➔ omologazione e alienazione dei lavoratori ognuno non è più diverso, le capacità di ciascuno rendono più diversi dagli altri perché non ce n'è più bisogno dato che fa tutto la macchina. Denuncia la stratificazione della società in cui chi sta sopra ed è agiato non ha rapporti con la massificazione di chi sta sotto, ovvero un’umanità in cui sono le macchine a governare gli uomini. Lezione 3: COMUNICAZIONE Sebbene i media non servano soltanto per immettere una comunicazione ma anche per scambiare informazioni e ricostruire ambienti ed atmosfere, la funzione della comunicazione rimane primaria e strutturante. Pensando alla potenza comunicativa che i media possiedono sicuramente ci viene in mente la figura dell’influencer: Già il termine di per sé ci rimanda alla parola “influenzare”, “contagiare”, portare a condivisione un messaggio o qualcosa di importante per la società. Ma dal punto di vista teorico esistono degli strumenti, esistono degli schemi che permettono di non solo descrivere ma anche riprodurre una comunicazione considerata efficace? Una comunicazione è sicuramente efficace nel momento in cui è chiara e viene compresa dagli spettatori agendo su di loro in maniera incisiva, ma anche quando il contenuto è funzionale alla sfera economica (non soltanto in materia di soldi, ma anche di tempo impiegato per lanciare il messaggio). Negli anni ‘40 del Novecento furono Shannon e Weaver (due matematici) ad elaborare un modello matematico sulla comunicazione: considerando l’informazione da un punto di vista fisico, indicarono come trovare la codificazione più efficiente di un messaggio telegrafico. PRIMO MODELLO DELLA TEORIA DELLA COMUNICAZIONE, 1949 ➔ modello della comunicazione che identifica delle posizioni di ciò che è l’infrastruttura della comunicazione: fonte dell’informazione ➔ soggetto dotato di una tecnologia che immette dentro un canale un messaggio trasmittente (encoder) ➔ tecnologia che codifica il messaggio e lo fa transitare trasformandolo in un segnale canale ➔ mezzo di trasmissione del segnale (può danneggiare la purezza dell’informazione) ricevente (decoder) ➔ macchina tecnologica che decodifica il segnale facendo arrivare il mess al ricevente destinazione delle informazioni ➔ persona o la macchina che può comprendere il significato del messaggio Il messaggio, in sostanza, deve essere codificato da chi lo emette e decodificato da chi lo riceve. Il difetto di questo modello è che riduce di tanto la complessità della comunicazione umana. Si danno per scontato quelli che sono i processi di interpretazione, l’ambiente, la cultura, il contesto comunicativo e gli eventuali problemi psicologici, di chi comunica. C’è una stretta analisi della modalità con cui viaggia il segnale, tralasciando le considerazioni sul destinatario. Roman Jakobson, semiologo del Novecento, riconcepì in modo originale lo schema di Shannon e Weaver, analizzandolo e riproponendolo anziché da un punto di vista ingegneristico, che indicava nel messaggio una semplice componente, dal punto di vista della semiologia: introduce sei funzioni del linguaggio (emotiva, conativa, referenziale, metalinguistica, fatica e poetica) per descrivere come il linguaggio viene usato non solo per trasmettere informazioni, ma anche per esprimere emozioni, influenzare il destinatario, verificare il canale di comunicazione e molto altro. ➔ Jakobson riprende gli elementi dello schema di comunicazione di Shannon e Weaver e li espande per includere funzioni linguistiche che spiegano i diversi scopi della comunicazione. Si tratta di comprendere che dentro a qualsiasi messaggio verbale o visivo sono presenti delle tracce delle diverse posizioni dei diversi componenti che strutturano il modello della comunicazione. Difatti, dentro ogni contenuto di messaggio e della comunicazione, si possono trovare tracce di mittente e destinatario, e ci sarà inevitabilmente un canale di comunicazione e un codice linguistico (stessa lingua, se persone diverse parlano lingue diverse c’è una rottura del codice). Il singolo messaggio comunicativo quindi contiene in se stesso riferimenti non solo a queste tre componenti, ma vi aggiunge anche un contesto. È così che la sua struttura si complica legando ognuna delle parti dello schema della comunicazione a una funzione del linguaggio. Egli ha individuato: un mittente (o locutore, o parlante) che è colui che invia un messaggio che è l'oggetto dell'invio un destinatario (o interlocutore), che riceve il messaggio, il quale si riferisce a un contesto che è l'insieme della situazione generale e delle circostanze particolari in cui ogni evento comunicativo è inserito. Per poter compiere tale operazione sono necessari: un codice che risulti comune a mittente e destinatario un canale che è una connessione fisica e psicologica fra mittente e destinatario, che consenta loro di stabilire la comunicazione e mantenerla. In particolare i messaggi che enfatizzano la posizione del mittente hanno forte funzione emotiva, poiché il mittente si manifesta proprio esperimento un’emotività, mentre quelli che enfatizzano la posizione del destinatario hanno una forte funzione persuasiva, ad esempio quando il destinatario viene scosso dal messaggio o messo sotto pressione. Il mittente invia un messaggio al destinatario: tale messaggio, al fine di essere operante e comprensibile necessita il riferimento ad un contesto che possa essere afferrato da entrambe le parti. Esiste poi il codice, anch’esso comune sia al mittente che al destinatario, trasmesso mediante un canale che non solo stabilisca la comunicazione ma che sia al contempo in grado di mantenerla. MITTENTE ➔ CONTESTO ➔ DESTINATARIO EMOTIVA REFERENZIALE PERSUASIVA/CONATIVA VIDEO CHIARA FERRAGNI: Chiara Ferragni nel 2010 fa un video dove, senza rendersene conto, rispetta perfettamenti questi criteri: il video blog del 2010 di Chiara Ferragni, Just arrived in Madrid e chiediamoci quale sia il funzionamento della comunicazione che favorisce l’influencer. In questo caso l’enfasi è sicuramente posta sul mittente poiché Chiara parla di sé stessa, quasi facendo un video diario. Il mittente si presenta all’interno del messaggio con un carattere esuberante e parla in maniera informale direttamente alla telecamera, quasi stesse conversando con il pubblico dietro lo schermo: l’enfasi è dunque posta sulla componente emotiva che diventa in questo caso quasi strutturante, tant’è che l’unico contenuto del video è la volontà di trasmettere un mood, uno stato emotivo, condividendo le sue emozioni e le sue passioni. Il destinatario è in questo caso presente in maniera indiretta: viene interpellato, vi è un contatto quasi visivo tra il mittente ed il destinatario stesso e Chiara utilizza lingue diverse per coinvolgere un maggiore numero di persone. Come sottolinea Jakobson il messaggio ha sempre bisogno di alludere ad un contesto comune al mittente e al destinatario: importante è dunque notare il luogo in cui Chiara si trova, ovvero una stanza d’albergo disordinata, ovvero un contesto intimo. Si può parlare in questo caso di establishing shot, ovvero di “totale d’ambiente”, quello schema di montaggio in cui una o più inquadrature larghe informano lo spettatore del luogo in cui si svolgerà l’azione. Nonostante i mezzi che lei usa per registrare non siano ottimali in termini di funzionamento del canale di contatto, le leggere interferenze sono in questo caso funzionali all’estetica povera che vuole far passare. FILM: Pensiamo ora all’incipit del film Arancia Meccanica, 1971 - Stanley Kubrick e in particolare al modo in cui il protagonista, Alex DeLarge, si pone nei confronti del pubblico: il suo sguardo è in primo piano e mediante un carrello indietro vediamo che anche quando l’inquadratura si allarga rimane l’unico a guardare in camera mentre racconta se stesso e descrive la situazione. L’occhio non solo guarda il pubblico ma è anche enfatizzato dal trucco, che lo rende ancora più attrattivo, come cercasse di “catturarci”. Notiamo ora il gesto delle mani: Alex accenna ad un gesto d’intesa con il bicchiere, quasi come se cercasse di brindare con il pubblico. Kubrick si trova di fronte ad un problema: deve raccontare la storia di un delinquente ma non vuole farlo con moralismo, al fine di porre lo spettatore in una posizione ambigua e scomoda, per far sì che egli sia al contempo incuriosito e disgustato. Si viene quindi a stipulare quasi una specie di “patto” tra protagonista e spettatore. Jakobson individua sei funzioni del linguaggio, tutte presenti nel modello di comunicazione da lui ideato: la funzione emotiva, referenziale, poetica, fatica, metalinguistica e conativa/persuasiva. Analizziamole più attentamente: 1) funzione emotiva quando il messaggio è incentrato sugli atteggiamenti del mittente ed è segnalata attraverso l’uso della prima persona nei verbi e nei pronomi: il protagonista del messaggio diventa in questo caso l’io narrante. Si può dire che la funzione emotiva miri ad un’espressione diretta del soggetto rispetto a ciò di cui sta parlando, suscitando l’espressione di una specifica emozione, sia che questa sia vera sia che su tratti di un’emozione falsa. Lo stato emotivo della lingua è in questo caso rappresentato dalle interiezioni, ovvero la parte del discorso insita nell’origine onomatopeica delle parole, che colorano le nostre espressioni a livello fonico trasmettendo una chiara informazione. I mutamenti nella forma fonica di una parola possono infatti far sì che ad essa venga attribuito un significato diverso. ENFATIZZA IL MITTENTE 2) funzione referenziale consiste nei riferimenti spazio-temporali in cui l’azione si svolge. ENFATIZZA IL CONTESTO 3) funzione poetica si concentra sul messaggio in sé, rendendolo complesso e stimolante per il destinatario. Questo aumenta il suo valore poetico, poiché il messaggio viene presentato in modo enigmatico, attraverso metafore e strutture non ordinarie. La funzione poetica non riguarda solo la poesia, ma si manifesta in qualsiasi linguaggio complesso e creativo. Essa si riconosce nei processi di selezione e combinazione dei termini: si scelgono parole per il loro significato e per come suonano insieme, dimostrando che linguistica e poetica sono strettamente legate. In definitiva, la linguistica diventa poetica quando il linguaggio stesso veicola un significato più profondo e orientato a uno scopo. ENFATIZZA IL MESSAGGIO 4) funzione fatica è costruita attorno a quello che è il canale della comunicazione e nella fattispecie al suo funzionamento: ha lo scopo non solo di stabilire e mantenere una comunicazione ma anche di interromperla. Ne è un esempio l’espressione “pronto?” pronunciata quando si è al telefono con qualcuno. Si oppone alla funzione fatica il malfunzionamento del canale di contatto: si parla in questo caso di interferenza visiva o acustica. Questa accentuazione del contatto mediante formule stereotipate prive di scopo, porta avanti la comunicazione tra mittente e destinatario senza la necessità che tra i due venga trasmesso un messaggio. ENFATIZZA IL CONTATTO 5) funzione metalinguistica prevede un codice comune tra mittente e destinatario durante la comunicazione. Jakobson sottolinea in questo caso la fondamentale importanza che ha la reciproca comprensione tra mittente e destinatario, che devono capirsi mediante non solo codici drammatizzati ma anche tramite linguaggi audiovisivi o gestuali. Il discorso si incentra dunque sul codice, al fine di verificare che esso sia lo stesso tra mittente e destinatario. ENFATIZZA IL CODICE 6) funzione conativa è attiva quando il mittente si rivolge con tono imperativo al destinatario, utilizzando verbi in seconda persona: in questo caso l’obbiettivo è quello di ottenere una risposta d’azione, come ad esempio nei messaggi a titolo pubblicitario. La funzione conativa trova la sua massima espressione grammaticale nel vocativo e nell’imperativo: le frasi imperative non possono essere poste infatti all’interrogativo e non possono tantomeno essere messe in dubbio. ENFATIZZA IL DESTINATARIO Lezione 4: SFERA PUBBLICA Le prime app che si utilizzano sono WHATSAPP e INSTAGRAM. L’avvento dei social oltre aver legato le persone ha portato anche all’interno dei singoli social tutto quello che una volta era sparso nell’internet. Non c’è più un fuori dal web, per molti di noi l’esperienza del WEB corrisponde con un’unica piattaforma social con la quale faccio il mio percorso in internet. La linea che intercorre tra lo scambio di messaggi e la ricostruzione degli ambienti dell’esperienza, ovvero le due principali funzioni dei media, viene detta “sfera pubblica”. Per “sfera pubblica” intendiamo quello spazio pubblico nel quale si scambiano pubbliche opinioni: questo luogo viene metaforicamente chiamato sfera poiché ricorda qualcosa con una rotondità che accoglie e raccoglie tutto ciò che non è privato. A dar forma e a studiare questo concetto fu Jurgen Habermas un sociologo, filosofo, uno dei più importanti pensatori del nostro tempo. Fa parte della cosiddetta scuola di Francoforte, una scuola di pensiero scientifico accademico nell’ambito delle scienze umane. Nei suoi saggi studiò la società e la politica da un punto di vista critico. Egli si domandò quali fossero le caratteristiche di quella che oggi viene chiamata “opinione pubblica” e che significato avesse questo concetto nei secoli precedenti, quale fosse la sua forma e se da sempre fosse esistita una forma di discussione pubblica riguardo argomenti di interesse della società. ➔ Quando si parla di scuola di Francoforte ci si riferisce ad un approccio critico e analitico nei confronti dei rapporti sociali comunicativi e artistici. Per loro qualsiasi forma di espressione artistica e comunicazione mediatica costituiscono degli oggetti significativi per comprendere una società, una cultura: non si occupa dell’arte per l’arte, ma si occupa dell’arte per la società. Habermas dice che come “sfera pubblica” si intende l’ambito della nostra vita sociale in cui si può formare quella che viene chiamata opinione pubblica. L’accesso ad essa è fondamentalmente aperto a tutti i cittadini. Un po 'di sfera pubblica si costituisce in ogni conversazione in cui dei privati si riuniscono per formare un pubblico. I cittadini agiscono come un pubblico quando, senza essere sottoposti ad alcuna costrizione e cioè liberamente, esprimono e pubblicano liberamente le loro opinioni, discutono problemi di comune interesse. nessuno impedisce ai cittadini di parlare, e nessuno glielo impone c’è opinione pubblica se c’è libertà di espressione Habermas sottolinea come essi in tali occasioni non si comportino né come lavoratori che trattano dei loro interessi privati, né come cittadini sottoposti all’obbligo dell'obbedienza verso le istituzioni statali. L’unico caso in cui la sfera pubblica acquista un’influenza istituzionalizzata sul governo è quando il dominio politico viene sottoposto all’obbligo democratico: ciò avviene attraverso il corpo legislativo. Locandina CITY HALL ➔ locandina che descrive molto bene il nostro rapporto con le istituzioni. L’istituzione (come il comune, la regione o il ministero) hanno sempre un'apparenza POTENTE. Il potere è a nostro servizio ma allo stesso tempo è qualcosa che ci fa paura e condiziona le nostre vite. Ad esempio il municipio è un palazzo del potere, dalla forma acuminata e dall'imponenza quasi minacciosa, ma al contempo ha un porticato dove da secoli non solo i cittadini trovano riparo ma si riuniscono per scambiare opinioni. ! L’espressione OPINIONE PUBBLICA si riferisce al fatto che soggetti individuali e in maniera informale si incontrino, e dibattono su questioni di interesse pubblico e come queste vengono gestite dalle istituzioni ! La sfera pubblica è lo spazio in cui avviene la discussione. L'opinione pubblica è l'insieme delle idee e dei pensieri che emergono da quelle discussioni. ➔ Jurgen Habermas afferma che l’opinione pubblica si riferisce ai compiti della critica e del controllo che il pubblico dei cittadini esercita in modo informale sul dominio organizzato dallo stato ed è quindi intesa come una mediatrice tra la società e lo stato in cui il pubblico si fa portatore dell’opinione comune. ➔ Si crea un’assemblea informale senza alcun protocollo da seguire sottoponendo a critica il dominio dello Stato. FILM: TRAILER DIAZ, G8 di Genova 2001 ➔ i manifestanti documentano con le telecamere le violenze subite dai poliziotti, e i cittadini diffondono tutto ciò coi media. Possiamo dunque affermare che l’opinione pubblica nasce soltanto laddove esiste un pubblico raziocinante. Quando si tratta di un pubblico ampio c'è bisogno di mezzi di trasmissione e influenza, in quanto non si può fare comunicazione a voce, ma c’è bisogno di media per diffondere un messaggio e far si che si crei una larga sfera pubblica. Habermas vuole vedere se la definizione di sfera pubblica moderna era presente anche in altre epoche storiche del passato: I. Nell’europa medievale era difficile trovare qualcosa di simile al concetto che abbiamo oggi di sfera pubblica. Il corpo del re rappresentava il massimo potere a cui si era sottoposti, senza molte forme di negoziazione. Le uniche voci che potevano girare erano quelle sigillate dall’autorità feudale, dispaccio autenticato da sigillo che circolava per le città e diceva ciò che si poteva o non si poteva fare. I sudditi infatti si saranno sicuramente lamentati di qualcosa, ma in quel contesto sociale non era previsto che i singoli argomentassero in modo spontaneo attraverso i media del tempo per opporli al potere. Sebbene quindi ci fossero dei dissensi, questo dissenso non aveva modo di organizzarsi con l’opinione pubblica e di porsi in maniera negoziale e in contrapposizione con l’istituzione pubblica. II. La sfera pubblica si formerà più avanti, con il formarsi degli ordinamenti democratici liberali (nei secoli XVIII-XIX) quando il duplice aspetto di “statalizzazione della società” e “socializzazione dello stato” ridefinì il rapporto tra pubblico e privato. III. Cambiamenti importanti avvennero con le rivoluzioni e le costituzioni del ‘700: per la prima volta in termini di teoria politica avviene una separazione tra il potere politico e i singoli cittadini, che hanno ognuno i propri diritti, doveri e prerogative e che non sono più un unico corpo. La rivoluzione in questi termini è da intendersi come pubblica opinione che irrompe in forma violenta all’interno della società poiché non ha altro modo di articolarsi. Fu proprio nel XVIII secolo che i poteri feudali a cui era collegata la sfera pubblica rappresentativa si disgregano in un lungo processo di polarizzazione al termine del quale da un lato si trovarono gli elementi privati e dall’altro quelli pubblici. IV. La libertà di religione assicura il primo ambito di autonomia privata, la burocrazia e l’esercito diventano autonome rispetto alla sfera privatizzata della corte e dai ceti si sviluppano gli organi del potere pubblico come ad esempio il parlamento, pur sempre a servizio dello stato, e le corporazioni cittadine, contrapposte allo stesso. Possiamo dire dunque che con la nascita degli stati nazionali e territoriale nasca anche la sfera del “potere pubblico”. V. I bar, i caffè del Settecento e dell’Ottocento incarnarono per la prima volta il concetto di luogo dove esiste una sfera pubblica consistente: borghesi, grandi commercianti e artigiani arricchiti, infatti, qui si riunivano e commentavano notizie di comune interesse. Tuttavia è importante ricordare che, allora come adesso, esistevano grandi asimmetrie politiche ed economiche in merito al concetto di opinione pubblica. Importante è anche il ruolo che assumono in un simile contesto i giornali, che divengono non solo la sede e la guida dell’opinione pubblica ma anche strumenti di lotta nella politica dei partiti: il giornale rappresenta la conquista di uno spazio dove esercitare liberamente e ufficialmente l’opinione pubblica. La diffusione della stampa e della propaganda ha ampliato il pubblico oltre la borghesia, rompendo la coesione sociale precedente e portando i conflitti privati nella sfera pubblica. Nella seconda metà del 900 non c’è niente di ciò che conosciamo noi oggi come nuovi media. WWW ➔ WORLD WIDE WEB sfera globale che connette tutti quanti il numero di persone che le nostre opinioni virtuali possono raggiungere può diventare più diversificato, ma può anche diventare più piccolo man mano che internet si frammenta. Ad analizzare il campo della sfera pubblica digitale fu, agli inizi degli anni 2000, la sociologa Zizi Papacharissi. Se Habermas aveva infatti studiato la questione della sfera pubblica in riferimento a degli assetti della società e a forme mediatiche novecentesche, con l’avvento del processo di digitalizzazione sono molte le cose che cambiano e diventa dunque necessario analizzare nuovamente la società. Sono 3 i punti fondamentali presi in considerazione dalla Papacharissi: I. L'accesso alle informazioni online è spesso considerato aperto e democratico, ma in realtà è asimmetrico e limitato da infrastrutture selettive. Questa disuguaglianza compromette la rappresentatività della sfera pubblica virtuale, rendendola esclusiva ed elitaria, lontana dall'ideale di apertura e uguaglianza. II. Le opinioni online raggiungono pubblici frammentati a causa della divisione in piccoli gruppi di discussione influenzati dagli algoritmi. Questa frammentazione riduce la possibilità di creare una sfera pubblica unitaria, limitando il dialogo politico comune. Le piattaforme specializzate e l'accesso selettivo al discorso pubblico ripropongono dinamiche simili alla società borghese pre-rivoluzionaria di Habermas. III. Il capitalismo ha trasformato le nuove tecnologie in media commerciali, riducendo il loro ruolo nella promozione del benessere sociale. Habermas sosteneva che la sfera pubblica fosse indipendente e spontanea, ma online è controllata da entità private che condizionano la diffusione delle informazioni. Di conseguenza, la sfera pubblica è stata sostituita da una cultura commerciale dominata dalle forze capitaliste. La Papacharissi dice quindi che le tecnologie possono ampliare il coinvolgimento del pubblico nella sfera sociale e politica, migliorando il dibattito e creando una sfera virtuale che sostiene la democrazia. Tuttavia, l'accesso a internet non garantisce una maggiore partecipazione politica consapevole, poiché esclude chi non può connettersi. Internet offre uno spazio pubblico, ma le disuguaglianze del sistema politico limitano la sua capacità di diventare una vera sfera pubblica. Sebbene la discussione online superi confini geografici e identitari grazie all’anonimato, questo non assicura un dialogo democratico e razionale. Lo spazio online facilita, ma non garantisce, un rinnovamento culturale significativo della sfera pubblica. Più problematica è forse l’idea che le tecnologie possano trasformare unilateralmente la natura della sfera pubblica. Il nostro sistema politico è subordinato a interessi particolari e condizionato da una crescente dipendenza da una mentalità capitalista. I modelli di produzione capitalistici possono modificare queste nuove tecnologie trasformandole in media a orientamento commerciale che hanno poco a che fare con la promozione del benessere sociale. ISTITUZIONI ⟺ SFERA PUBBLICA stato cittadini, associazioni L’allargamento della sfera pubblica comporta dei problemi. Sebbene possa sembrare positivo perché coinvolge più persone in discussioni su temi sociali, Jacobson osserva che la società borghese che si incontrava nei caffè offriva uno spazio dove il dialogo avveniva principalmente tra individui di pari status. Ma cosa succede quando le grandi masse (e quindi no la borghesia) entra sulla scena pubblica? Due cose: ➔ che si incontri il rischio di una battaglia/scontro anche fisico tra interessi di parità ➔ l’irruzione della massa nella sfera pubblica fa sì che siano necessari degli organismi di rappresentanza. Di per sé questo non è un problema (es. sindacati) ma questi fanno sì che anche nella sfera pubblica ci sia una gerarchia. TWEET DI ELON MUSK “You are the media now” ➔ spazio pubblico che diventa di proprietà di singoli individui e corporazioni. Abbiamo l’uomo più ricco del mondo che decide di sostenere in modo esplicito un candidato politico ma non si è limitato a finanziare con denaro ma ha piegato la piattaforma social di cui è proprietario nella direzione del candidato politico da lui supportato. SPOT BE THE MEDIA ➔ esprime come tutti possano essere un medium di una nuova cultura dell’informazione. Copertina del Time con un PC come sfondo la scritta YOU ➔ nel 2006 nascono i social network. attraverso il pc ogni persona è la persona dell’anno, tutti hanno la possibilità di essere protagonisti In queste 3 cose si raffigurano l’evoluzione dei media e l’importanza e il potere che si da ad essi FILM: ad analizzare ulteriormente il concetto di sfera pubblica online è il film “The social Network”, riguardante la fondazione di Facebook. Si analizzano i motivi e le modalità con cui Mark Zukemberg creò la piattaforma che rivoluzionò la nostra società. Inizialmente i motivi che lo spingono a lavorare all’applicazione, dal nome “the Facebook” sono per lo più futili: sfruttando l’idea di due ragazzi del college e facendola sua infatti lancia un sito su cui conoscere e valutare le ragazze di altre università, per poi aggiungervi funzioni tramite le quali sapere anche lo status relazionale delle stesse, potendole eventualmente contattare. Successivamente vediamo come sul piano economico i guadagni iniziano a diventare tali da annebbiare la mente del creatore, che si distanzierà dai pochi che gli erano accanto. Sono le persone ad essere commercializzate dall’app che vende i loro dati alle aziende pubblicitarie che realizzano così annunci mirati. Interessante è vedere come il protagonista non sia in grado di avere rapporti solidi nella vita reale e si rifugi pertanto dietro ad uno schermo: il film anziché elogiarne il genio lo critica. Anche l’inventore di Napster, antenato di Torrentz per quanto riguarda il download di file musicali, che sembra aiutare Mark a rimodellare le sorti di internet mediante consigli amichevoli ma molto utili (es cambiare il nome da “the Facebook” a “Facebook”) nel finale lo abbandonerà. Lezione 5: DISPOSITIVO Quando usiamo la parola dispositivo comunemente ci riferiamo al telefono. La filosofia contemporanea ci dice però che la questione è un po 'più complessa: sono centinaia di migliaia gli articoli con il titolo “che cos’è un dispositivo?”. Questo termine ha un retroterra teorico e filosofico. Giorgio Agamben nel 2007 pubblicò “Che cos’è un dispositivo?”, saggio in cui sviluppa il concetto di dispositivo in senso filosofico, rifacendosi al pensiero di altri, mettendo cioè a fuoco in modo sintetico un concetto centrale nel contemporaneo al quale filosofi precedenti a lui avevano occasionalmente prestato attenzione. Esordisce proponendo una differenziazione dell’esistente in due gruppi: il primo è quello degli esseri viventi e delle sostanze, del mondo biologico; il secondo invece è quello dei dispositivi che incessantemente catturano gli esseri viventi imponendo loro una forma, cioè modellandoli, governandoli e guidandoli verso il bene. Il dispositivo sarebbe dunque quel qualcosa in grado di catturare e dare una forma agli organismi viventi e a tutte le sostanze ES. Noi da bambini abbiamo a che fare con i dispositivi fin da subito: quando da piccoli usiamo la formina sulla sabbia, catturiamo la sabbia in una forma. Tra gli esempi di dispositivo che Agamben porta, data questa precedente definizione, non ci stupiamo che vi siano anche la prigione, il manicomio, le istituzioni scolastiche, il culto, le fabbriche, il Panopticon, le discipline (specializzarsi in qualcosa impone di prendere una certa “forma”), le misure politiche (nessuno è realmente libero di fare ciò che vuole), la filosofia (che attua come grande ripartizione della società in una determinata epoca), l’agricoltura, ma anche la sigaretta (ci assegna una postura) o i computer e certamente i telefoni: egli ci dice dunque che il concetto di dispositivo è qualcosa di intrinseco alla società che è sempre esistito. Sono tutte regole, tecniche e forme attraverso cui CI COSTRUIAMO. C’è uno slancio da parte del soggetto Lui dice qualsiasi oggetto, forma etc sotto un certo profilo PUÒ assumere la funzione di dispositivo, ma non tutto è dispositivo. La penna in quanto dispositivo inventa il sistema della sua presa. La scrittura è un insieme di regole e segni, codificati, che ci impongono di adeguarci a questo sistema. La scrittura può essere definita dispositivo perché dà forma a tutto ciò (il fatto che siamo influenzati e formati che il giusto modo per leggere è da sinistra verso destra). Tutte queste cose sono determinate dalla configurazione del dispositivo Il concetto principale di Michel Foucault è il dispositivo. La filosofia è per lui uno studio dei dispositivi, siano essi giuridici, ecologici, scientifici, sociali, attraverso i quali i soggetti e le società prendono forma. Nel 1975 scrive un libro intitolato “sorvegliare e punire, nascita della prigione” in cui definisce il termine del dispositivo, analizzando il concetto di prigione. Perché la prigione sarebbe un dispositivo? introduce il concetto di Panopticon, una particolare prigione progettata da Jeremy Bentham (1791). Il Panopticon costituisce un tipo di inserimento dei corpi nello spazio, di distribuzione degli individui gli uni in rapporto con gli altri, di organizzazione gerarchica. All’interno della quale i prigionieri sono disposti in circonferenza mentre al centro è situata la torretta di controllo delle guardie (funzione vigilante): mentre chi è al centro può vedere cosa accade nelle celle il contrario non è possibile, regna pertanto l’asimmetria. Quello che la caratterizza in quanto emblema di dispositivo è la struttura architettonica stessa in cui è costruita a esercitare il controllo su ogni singolo carcerato. Il controllo e la disciplina sui singoli carcerati non è esercitata da un poliziotto o una guardia fisicamente presenti, ma dalla struttura della prigione. la presenza della torretta come postazione di guardia trasmette controllo, nonostante il carcerato non sa se ci sia fisicamente la guardia all’interno o meno. Nel 1969 Foucault scrive “l’archeologia del sapere” vede un’analisi del sapere come se questo fosse un dispositivo: proprio dalle sue intuizioni Agamben arriverà in seguito ad affermare che la filosofia stessa è un dispositivo poiché si tratta di una grande forma di cattura della realtà. Le persone colte verranno modellate dai loro saperi che le indurranno a comportarsi in una determinata maniera. Si può associare la questione dei dispositivi di Foucault a due categorie: dispositivi tecnici: televisore, sala cinematografica, telefono, libro. strutture architettoniche: scuola, prigione, consistenza materiale, oggetto materiale con cui io intraprendo un rapporto dispositivi formali: non sono materiali, ad esempio la letteratura STORIA DELLA SESSUALITÀ ➔ la sessualità a sua volta è un dispositivo poiché nel corso dei secoli è stata utilizzata per disporre e distribuire in modi più o meno rigidi la differenza di genere. Oggi la sessualità è da vedersi come dispositivo visivo, sociale, medico che non viene imposto in termini di legge ma che attribuisce determinati usi e costumi ad un determinato genere secondo quelle caratteristiche che nei secoli hanno definito le differenze tra uomo e donna e che ancora oggi sono in continua evoluzione. ➔ Sessualità e l’intimità sono strettamente legate e associate in un orizzonte sociale. La sessualità si modella a seconda di dispositivi (es i cartelli uomini donne nei bagni pubblici) Nel 1961 Erwin Panosky scrive un libro “la prospettiva come forma simbolica” in cui tratta di prospettiva geometrica. Questa ha origine nel Rinascimento, applicata specialmente nell’arte. Afferma come la stessa invenzione della prospettiva sia un dispositivo: si tratta infatti di un modo per controllare il mondo attraverso una concezione geometrico - matematica dello spazio. L’impressione di realtà che certi dipinti restituiscono è il risultato non solo di studi matematici ma anche dell’idea di disporre i corpi nello spazio pittorico in riferimento ad uno schema geometrico. Qualche anno dopo Hubert Damisch riprenderà la sua riflessione sulla prospettiva geometrica scrivendo un libro intitolato “L’origine della prospettiva” in cui fa da questione della prospettiva come distribuzione di corpi nello spazio e di dispositivo come distribuzione di corpi nello spazio. Per la prima volta verrà stabilita una connessione tra la prospettiva e il concetto di dispositivo, a partire dallo studio della prospettiva in quanto tecnica della rappresentazione, in quanto dispositivo formale caratteristico della pittura formale. Uno dei nodi attorno ai quali si è utilizzato il concetto di dispositivo è la questione della cornice. Secondo molti studiosi di arte e dei media, la cornice è effettivamente un dispositivo. La cornice stessa dei dipinti diventa un dispositivo poiché è ciò che mi dice dove devo volgere il mio sguardo e da cosa invece non farmi distrarre: mi orienta verso ciò che sta dentro automaticamente escludendo tutto ciò che invece sta al di fuori (vedi giochi di cornici di Frank Stella che si focalizzano proprio sulla cornice ➔ il contenuto del quadro coincide con la soglia d’attenzione dello spettatore). Ogni dispositivo implica un processo di soggettivazione senza il quale il dispositivo non può funzionare come dispositivo di governo, ma si riduce a un mero esercizio di violenza. La sala del cinema è un dispositivo perché mi impone un posto, di stare zitto per due ore, ma sono io che lo scelgo. L’uomo sceglie di sottoporsi a un certo tipo di controllo. non è un tipo di controllo violento, ma forme di controllo subdole, che ci fanno rinunciare a qualcosa in cambio di qualcos’altro (visione del film). Noi accettiamo il loro assoggettamento. Il dispositivo non si limita ad assoggettare: io sono assoggettato al dispositivo e dal dispositivo ma se si trattasse solo di questo potrebbe essere compatibile ad una forma di violenza; la potenza dei dispositivi è che essi funzionano poiché sollecitano un processo di soggettivazione volontaria del soggetto, che vuole trovare il suo posto nel mondo e che vuole che gli vengano attribuite determinate caratteristiche. I soggetti sono il risultato della relazione tra i due, ovvero il prodotto della soggettivazione fatta dai dispositivi sugli esseri viventi, da cui ne deriva l’identità personale di ciascuno. Alla radice di ogni dispositivo, sottolinea Agamben, sta l’umano desiderio di felicità e la possibilità per l’uomo di allontanarsi dalla noia (mondo capitalista governato dai dispositivi moderni). È quindi possibile sottrarsi alla presa dei dispositivi? non è possibile sottrarsi alla presa dei dispositivi. I corpi assumono la loro “libertà” di soggetti nel processo stesso del loro assoggettamento. Il dispositivo è una macchina che produce soggettivazioni ed è per questo una macchina di governo. Tuttavia nella fase attuale del capitalismo i dispositivi più che produrre un soggetto sembrano attuare dei processi di desoggettivazione, imponendosi come forme di controllo: i soggetti non fanno altro che seguire/eseguire tutto ciò che gli viene detto. LEZIONE 1 Il termine "media", dal latino medium, significa "canale di comunicazione" ed è usato per descrivere qualsiasi strumento che permette la comunicazione tra persone. I nuovi media comprendono dispositivi digitali e piattaforme come i social media, che ci permettono di condividere, comunicare e creare contenuti. Questi nuovi media evolvono continuamente, rendendo la loro obsolescenza molto veloce. Il concetto di "nuovi media" implica l’esistenza di "vecchi media", ma in realtà non esistono media completamente nuovi o vecchi: esiste un processo continuo in cui i media moderni incorporano e rielaborano elementi del passato. Questo rende la linea temporale dei media non lineare e orizzontale, ma verticale, con collegamenti che mostrano come componenti passate continuino a esistere nei media moderni. I media hanno un impatto su spazio e tempo, rimodulando queste dimensioni invece di eliminarle. Ad esempio, durante la pandemia da Covid-19, la tecnologia ha permesso di mantenere relazioni e attività senza spostarsi fisicamente, creando così nuove esperienze in spazi virtuali. La pandemia ha portato anche alla "rilocazione obbligata", dove le esperienze che prima erano fisiche si sono trasferite in ambienti digitali, come le lezioni online, che ci hanno costretto a ripensare i nostri spazi domestici per nuovi utilizzi. I media (ri)costruiscono gli ambienti. I media sono ibridi, mescolando tecnologia, corpi umani e ambiente. Il concetto di medium non si riferisce solo agli oggetti, ma al rapporto tra questi, i corpi e l'ambiente circostante. Questo fa sì che i media non siano solo strumenti tecnologici, ma estensioni del corpo stesso. Durante il Covid-19, si è riscoperta l’anacronicità dei media, con vecchie funzioni riadattate al nuovo contesto. Lo schermo, ad esempio, non è stato solo un mezzo di visualizzazione, ma una protezione simbolica. I media, quindi, non muoiono mai completamente, ma si rigenerano e si trasformano. Secondo studiosi come Richard Grusin, ogni corpo può essere considerato un medium, e durante la pandemia siamo diventati "mediatori" del virus. Secondo Angela Maiello questa prospettiva ha portato a vedere il distanziamento sociale come un “ispessimento delle cornici”, dove le barriere tra mediazione e protezione sociale si sono confuse. La tecnologia non limita la libertà, ma crea un’ibridazione tra media analogici e digitali. Giorgio Agamben ha criticato la didattica a distanza, vedendo nella digitalizzazione una perdita di autenticità e una limitazione della libertà, paragonando il fenomeno alla firma per il partito fascista nel 1931. Infine, il nostro attuale scenario tecnologico, definito "infosfera" o “internet delle cose”, si muove verso una fusione tra il mondo online e offline, che Luciano Floridi chiama "onlife", in cui la distinzione tra fisico e digitale diventa sfumata. LEZIONE 2 La pandemia non ha causato la rivoluzione digitale, ma ne ha accelerato i processi. David Bolter, già nella seconda metà del Novecento, evidenziava come la tecnologia stesse eliminando le distanze tra "cultura alta" e "cultura bassa", favorendo la massificazione della società. Due punti fondamentali del suo discorso sono l’ascesa dei media digitali e la perdita della fede collettiva nella cultura, che però è iniziata prima dell'era digitale. Oggi i media digitali creano una cultura "appiattita" con molti punti di interesse ma senza un centro predominante, come dimostrato da piattaforme come YouTube, dove ogni tipo di contenuto è sullo stesso livello. Umberto Eco, nel 1964, parlava di “cultura di massa” e delle due fazioni opposte: gli "apocalittici", che temevano la confusione generata dai media e la perdita della cultura alta, e gli "integrati", che abbracciavano questa nuova realtà senza critiche. Walter Benjamin, nel suo saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, esplora come la riproduzione tecnica cambi la percezione e il valore delle opere d'arte. Le opere riprodotte perdono la loro “aura” di unicità e autenticità, poiché ogni copia è identica ma non uguale all’originale. Questo modifica l’esperienza artistica, spostando il valore dell’autenticità verso l’esperienza personale di fronte all’originale. Benjamin sottolinea che la riproduzione tecnica riduce il valore tradizionale dell'opera, rendendo l'arte accessibile e diffusa, ma privandola del suo contesto originale (hic et nunc). Inoltre, la riproduzione cambia la percezione umana, influenzata dal contesto storico e tecnologico. La nostra capacità di percepire e comprendere la realtà è modificata dai media, rischiando di standardizzare i comportamenti e portando all’alienazione. Tuttavia, questo processo non è solo negativo, ma comporta il pericolo di perdere la propria autenticità e individualità. LEZIONE 3 I media, oltre a trasmettere informazioni, ricostruiscono atmosfere e ambienti, ma la funzione principale resta la comunicazione. La figura dell'influencer esemplifica il potere comunicativo dei media, influenzando e diffondendo messaggi socialmente rilevanti. Esistono modelli teorici per definire una comunicazione efficace. Un esempio è il modello di Shannon e Weaver, che descrive la comunicazione come un processo tecnico con: - Fonte d’informazione (mittente), - Codificatore (trasmittente), - Canale di trasmissione (potenzialmente soggetto a rumori), - Decodificatore (ricevente), - Destinatario del messaggio. Roman Jakobson ha ampliato questo modello, ponendo il messaggio al centro e includendo tutte le componenti all’interno della struttura linguistica. Ogni messaggio presenta tracce di mittente, destinatario, codice, canale e contesto, che possono essere più o meno enfatizzate a seconda della funzione linguistica: 1. Funzione emotiva: Enfatizza il mittente, esprimendo emozioni attraverso la prima persona e interiezioni. 2. Funzione referenziale: Si concentra sul contesto spazio-temporale. 3. Funzione poetica: Valorizza il messaggio attraverso forme complesse e creative. 4. Funzione fatica: Mantiene o interrompe la comunicazione (es. "pronto?"). 5. Funzione metalinguistica: Verifica che mittente e destinatario condividano lo stesso codice. 6. Funzione conativa: Si rivolge al destinatario in modo imperativo, stimolandone una risposta (es. pubblicità). Un esempio pratico è il video di Chiara Ferragni del 2010, in cui il focus è sul mittente (funzione emotiva). Parla direttamente agli spettatori, creando un contatto personale e informale. Anche l’incipit del film Arancia Meccanica di Stanley Kubrick mostra il protagonista che stabilisce un contatto visivo e comunicativo con il pubblico, enfatizzando la funzione emotiva e persuasiva. Jakobson ha quindi definito come ogni messaggio comunichi non solo attraverso il contenuto, ma attraverso il modo in cui le sue parti enfatizzano vari aspetti della comunicazione, rendendo ciascun messaggio unico nella sua efficacia e percezione. LEZIONE 4 Il concetto di "sfera pubblica" riguarda lo spazio dove si scambiano opinioni e si discutono questioni di interesse comune. Si tratta di un luogo metaforico dove le opinioni pubbliche vengono espresse e raccolte. Questo concetto è stato sviluppato dal sociologo e filosofo tedesco Jurgen Habermas, che lo ha studiato in relazione alla società e alla politica. La "sfera pubblica" è un ambito aperto a tutti, dove i cittadini possono esprimere liberamente le proprie opinioni, senza essere costretti o costretti a farlo. L'opinione pubblica ha invece il compito aprire uno spazio di negoziazione con le istituzioni. Habermas ha studiato come in passato, ad esempio nel Medioevo, non esistesse una vera e propria forma di opinione pubblica. Le voci critiche erano controllate dalle autorità, e la possibilità di esprimere dissenso era molto limitata. Con l’arrivo delle democrazie liberali nei secoli XVIII e XIX, si è sviluppata una separazione tra i cittadini e lo stato, dando origine a una nuova forma di interazione tra pubblico e potere. Un esempio di come la sfera pubblica si sia evoluta è rappresentato dai caffè e bar del 1700 e 1800, dove la borghesia si incontrava per discutere eventi di interesse comune. Negli anni '90, con l’introduzione di internet, la sfera pubblica ha assunto una dimensione globale grazie al World Wide Web (WWW). Le opinioni possono essere diffuse a livello mondiale, ma spesso si frammentano in gruppi più piccoli a causa degli algoritmi e delle piattaforme specializzate. La sociologa Zizi Papacharissi ha analizzato la sfera pubblica nell’era digitale, osservando che, sebbene l'accesso alle informazioni online sembri democratico, in realtà è spesso limitato e disuguale, creando una sfera pubblica più esclusiva e frammentata. Inoltre, i media digitali, gestiti da aziende private, non sono più indipendenti come un tempo e sono influenzati dagli interessi commerciali. La sfera pubblica dovrebbe essere uno spazio libero e indipendente, ma con l'era digitale e l'influenza del capitalismo, le tecnologie si sono trasformate in strumenti commerciali che limitano il potere della sfera pubblica. LEZIONE 5 Giorgio Agamben, nel suo saggio del 2007 *Che cos’è un dispositivo?*, sviluppa un'interpretazione filosofica del termine, collegandolo a concetti di pensatori precedenti. Agamben distingue l'esistente in due gruppi: uno comprende esseri viventi e sostanze naturali, mentre l'altro riguarda i dispositivi, che modellano e governano gli esseri viventi, indirizzandoli verso il bene. I dispositivi sono quindi elementi che catturano e plasmano gli individui, come la formina sulla sabbia o strutture sociali come la prigione, il manicomio, la scuola, le fabbriche, e anche strumenti come i telefoni e i computer. Secondo Agamben, un "dispositivo" non è solo un oggetto, ma qualcosa che impone regole e forme a chi vi interagisce, come nel caso della scrittura, che impone un sistema di segni e regole da seguire. Michel Foucault, a sua volta, considera la filosofia stessa come un dispositivo, poiché è una grande forma di cattura della realtà. Foucault ha teorizzato il dispositivo in relazione a strutture di potere come il Panopticon, un tipo di prigione progettato per esercitare controllo psicologico sui prigionieri tramite la disposizione architettonica stessa. Per Foucault, la sessualità è un altro esempio di dispositivo, poiché nel corso della storia è stata utilizzata per regolare la differenza di genere e per modellare i comportamenti sociali in relazione ai ruoli di uomo e donna. Altri esempi di dispositivi sono quelli tecnici, come televisori, telefoni e libri, e quelli formali, come la letteratura o la filosofia. La prospettiva geometrica, sviluppata nel Rinascimento, è un altro esempio di dispositivo, poiché consente di controllare la rappresentazione dello spazio, come evidenziato da Erwin Panofsky e Hubert Damisch. La cornice, che delimita un'opera d'arte, può anch’essa essere vista come un dispositivo, poiché indirizza l'attenzione dello spettatore e lo obbliga a focalizzarsi su ciò che è all'interno, escludendo ciò che sta fuori. Ogni dispositivo implica un processo di soggettivazione: non si tratta solo di controllo, ma di un processo in cui l'individuo si sottopone volontariamente al dispositivo, come accade al cinema, dove il pubblico accetta di seguire determinate regole in cambio di un'esperienza (la visione del film). Il potere di un dispositivo risiede nella sua capacità di influenzare i soggetti non attraverso violenza diretta, ma sollecitando la loro adesione volontaria al sistema. In questo senso, i soggetti diventano il risultato di questa relazione tra dispositivi e esseri viventi, che li forma e li definisce. Agamben sottolinea che alla base di ogni dispositivo c'è il desiderio umano di felicità e di evasione dalla noia, ma, nel capitalismo contemporaneo, i dispositivi sembrano più orientati a produrre desoggettivazione, imponendo forme di controllo che riducono gli individui a mere esecutori di ciò che viene loro imposto. In definitiva, non è possibile sottrarsi completamente al potere dei dispositivi, poiché il processo di soggettivazione è intrinseco alla nostra condizione sociale.