Struttura e funzione delle piante PDF

Summary

This document explores the distribution of sugars in plant tissues, highlighting the source-sink relationship and the role of enzymes in this process. It further delves into plant nutrition, covering nutrient uptake, mobilization, and assimilation from inorganic sources. The document also touches upon fertilizer production, its environmental impact, and the global distribution of mineral nutrients.

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Ripartizione Più grande è la capacità di un pozzo di metabolizzare gli zuccheri importati, maggiore sarà la sua capacità di competere per i fotosintati esportati dalle sorgenti. Questo è il fattore determinante per la distribuzione degli zuccheri fra i vari tessuti sink della pianta (infatti la rim...

Ripartizione Più grande è la capacità di un pozzo di metabolizzare gli zuccheri importati, maggiore sarà la sua capacità di competere per i fotosintati esportati dalle sorgenti. Questo è il fattore determinante per la distribuzione degli zuccheri fra i vari tessuti sink della pianta (infatti la rimozione di alcuni tessuti sink risulta nell’aumento della traslocazione a sink alternativi). La traslocazione ai tessuti sink dipende anche da altri fattori, come la posizione relativa source-sink (vicinanza) e dalle comunicazioni vascolari tra essi. Alcuni enzimi possono avere un ruolo nel meccanismo di ripartizione: nei sink a scaricamento apoplastico, le invertasi presenti nella parete cellulare contribuiscono ad aumentare il trasporto mantenendo un gradiente di concentrazione di saccarosio tra la cellula che lo rilascia e l’apoplasto; nei sink a scaricamento simplastico, oltre alle invertasi anche le saccarosio-sintasi del vacuolo contribuiscono a mantenere bassa la concentrazione di saccarosio, per mantenere un gradiente che favorisca la diffusione verso le cellule del pozzo. 11 maggio 2023 Nutrizione delle piante Introduzione Le piante sono organismi autotrofi che ottengono la maggior parte dei propri nutrienti da molecole inorganiche (nutrienti minerali) che acquistano dall’ambiente circostante e che assemblano in composti organici e macromolecole. Le piante sono costituite tra 70% a oltre il 90% di acqua. Il peso secco di una pianta è costituito da: 42% di carbonio, questo è recuperato sotto forma di CO2 e assimilato in composti organici attraverso la fotosintesi; 44% di ossigeno, questo elemento deriva dalla reazione di fotolisi dell’acqua della fase luminosa della fotosintesi e, in parte dall’assimilazione di acqua; 7% di idrogeno, come per l’ossigeno ha origine dall’assimilazione dell’acqua; 7% di nutrienti minerali ottenuti dal suolo, di questo un terzo è potassio, un terzo azoto e il rimanente terzo è rappresentato da minerali diversi come fosforo, calcio, magnesio, zolfo, silicio e cloro. Un ruolo molto importante nella mobilizzazione dei nutrienti è ricoperto dalle briofite, questa infatti hanno reso disponibili alle altre piante molti nutrienti che prima del loro avvento erano immobilizzati nelle rocce e nel suolo. Le alghe (micro e macro) sono organismi molto diversi dalle piante vascolari sia per quanto riguarda la struttura che l’ambiente in cui vivono19; quindi, adottano strategie specifiche per l’assimilazione dei nutrienti. Nutrizione minerale Il concetto di nutrizione minerale si riferisce all’insieme dei processi di assorbimento e di assimilazione dei nutrienti dall’ambiente circostante, quindi il trasporto dei nutrienti all’interno dell'organismo e l’inserimento dei nutrienti minerali (materiale inorganico) all’interno delle molecole organiche. 19 [minerali] nelle acque è minore rispetto alla terraferma, la maggiore disponibilità di nutrienti è stata una delle forze motrici che hanno spinto verso l’evoluzione degli organismi fotosintetici terrestri (anche ↑luce, ↑gas). 116 Si tratta di un processo attivo, che richiede molta energia perchè spesso si devono muovere contro gradiente di concentrazione o di carica. Per favorire l’assorbimento dei nutrienti le piante adottano diverse strategie: Produzione di essudati radicali che aumentano la capacità di assorbimento di alcuni nutrienti non direttamente biodisponibili per le piante; Interazione con il microbiota (microorganismi del suolo), che in alcuni casi può portare a simbiosi radicali; spesso il microrganismo che partecipa a questa interazione guadagna composti prodotti dall’organismo vegetale (eg. fotosintetati), mentre la pianta, mediante il microrganismo, può acquisire nutrienti dal terreno a cui non è in grado di accedere autonomamente; Attività di trasportatori e pompe che permette il recupero specifico di nutrienti dall’ambiente; Organizzazione strutturale dell’apparato radicale, la cui direzionalità e complessità, da intendersi come quantità di peli radicali presenti a livello della zona pilifera o estensione in lunghezza dell’apparato radicale, è regolata dalle piante in funzione della disponibilità di nutrienti. Per quanto riguarda l’assimilazione di nutrienti, invece, la pianta cerca di ottimizzare il più possibile: Efficienza di trasporto intercellulare; Assimilazione di nutrienti in composti e rimobilitazione dai composti dei nutrienti; Reti di regolazione e omeostasi. Fertilizzanti Lo studio dei meccanismi di nutrizione delle piante è importante perché è alla base dello sviluppo di fertilizzanti fondamentali per l’agricoltura. Attualmente, la produzione di fertilizzanti ha raggiunto un plateau, per cui non si può più migliore la capacità produttiva dell’agricoltura aumentando il loro impiego, ma migliorandone la qualità e la capacità delle piante di assimilarli. Questi avanzamenti sono necessari anche perché i fertilizzanti hanno un costo ambientale significativo. La maggior parte dei fertilizzanti contengono azoto (N), fosforo (P) e potassio (K), in alcuni casi sono presenti anche altri elementi. Questi elementi possono essere fissati in matrici organiche complesse o sali raffinati. Le diverse specie coltivate hanno una diversa esigenza di nutrienti, che corrisponde a un diverso utilizzo di fertilizzanti. Piante come il mais e la soia sono alcuni esempi di piante con elevate esigenze di nutrienti; la soia, tuttavia, diversamente dal mais non necessita di elevate quantità di fertilizzanti azotati poiché è una pianta leguminosa e quindi instaura relazioni simbiotiche con microrganismi azoto fissatori. Schematizzando, la quantità di fertilizzante da somministrare a una determinata coltura vegetale dipende da: Caratteristiche intrinseche della pianta: o specie/varietà della pianta; o stadio di sviluppo dipendente dal genotipo della pianta. Caratteristiche del suolo: nutrienti residui, pH, misura delle particelle del suolo, presenza di microorganismi (à distribuzione globale delle risorse di nutrienti minerali); fattori abiotici atmosferici: temperatura, pioggia fattori biotici: patogeni pratiche di coltivazione: materiale vegetale raccolto o lasciato sul terreno dopo la raccolta interazioni positive e negative tra i vari nutrienti; 117 Distribuzione globale delle risorse di nutrienti minerali Le risorse globali di nutrienti minerali sono distribuite in modo disomogeneo sul pianeta, per cui uno dei fattori di inquinamento provocati dai fertilizzanti deriva dal trasporto delle materie prime. Il livello di autonomia dell’Europa rispetto ai 3 nutrienti minerali NPK risulta variabile: Il potassio non è disponibile in elevate quantità sul suolo europeo, il principale fornitore globale è il Canada; Il fosfato è assente a livello europeo, è presente principalmente in Asia (Cina) e Africa; L’azoto è disponibile in quantità molto basse, il continente in cui l’elemento è l’Africa. Gli elementi NPK possono avere un notevole impatto nell’ambientale in cui sono dispersi: l’N, se introdotto in eccessive quantità nel terreno, altera il ciclo biogeochimico dell’azoto, K e N, inoltre, possono percolare nelle falde acquifere, quindi inquinare fiumi e laghi vicino alle aree ad alta produzione agricola e infine favorire l’eutrofizzazione delle acque. L’eutrofizzazione (eu=buono, trophé=nutrimento) è un processo degenerativo delle acque che comporta una proliferazione eccessiva delle alghe, indotto da eccessivo apporto di sostanze ad effetto fitostimolante (fertilizzanti). L’aumento della popolazione di piante acquatiche crea un ambiente anossico, inospitale per molti organismi acquatici, compromettendo il normale ecosistema. Per quanto riguarda il recupero di questi elementi P e K vengono estratti da risorse minerarie (la capacità di ottenere potassio è attualmente in calo), mentre l’N è recuperato per fissazione di azoto molecolare presente in atmosfera tramite la reazione di Haber-Bosh. La reazione di Haber-Bosch permette la fissazione azoto molecolare e idrogeno in ammonio, necessaria per la realizzazione di fertilizzanti (N2(g)+3H2(g)↔2NH3(g)). Si tratta di una reazione con elevato costo energetico e di conseguenza economico, dovute alle dispendiose condizioni di reazione ottimali di alta temperatura e alta pressione. Comprendere e sfruttare i sistemi alternativi di fissazione dell’azoto di una pianta e ottimizzare la sua nitrogen use efficiency (NUE) sono alcune strategie che potrebbero permettere di minimizzarne l’impiego. Assorbimento e trasporto dei nutrienti Il trasporto dei nutrienti può seguire una via apoplastica (apoplasto) o simplastica (trasporto transcellulare attraverso i plasmodesmi). Indipendentemente dal tipo di trasporto utilizzato, l’ingresso dei nutrienti all’interno delle piante è ostacolato da tre fattori principali: trasportatori di membrana: in entrambi i tipi di trasporto i nutrienti devono superare la parete cellulare e la membrana plasmatica almeno una volta (banda di Caspary); banda del Caspari: barriera selettiva localizzata a livello dell’endodermide, nella via apoplastica i nutrienti devono accedere prima in ambiente intracellulare per proseguire attraverso la banda del Caspari e quindi proseguire a livello dello xilema; 118 gradiente di concentrazione sfavorevole: rispetto all’ambiente intracellulare, i nutrienti si trovano diluiti di 100-1000 volte nell’apoplasto (Il trasporto di membrana può usare 1/3 dell’energia cellulare). Tipi di nutrienti I nutrienti sono classificati in base all’abbondanza nei tessuti vegetali in: macronutrienti: potassio, azoto, fosforo, zolfo, magnesio e calcio, generalmente vengono trasportati e assimilati in forma ionica, rispettivamente K+, NO3-/NH4+, HPO42-/H2PO4-, SO42-; Mg2+ e Ca2+. micronutrienti: ferro, nichel, rame, molibdeno, boro, cloro e zinco, generalmente sono utilizzati dalla come ioni o complessati a proteine/enzimi/macromolecole. nutrienti non-essenziali (anche detti quasi-essenziali o benefici): Co, Na, Se e Si. Il ruolo di questi elementi può essere studiato crescendo la pianta in soluzioni idroponiche o aeroponiche. Una soluzione molto usata è la soluzione di Hoagland, che permette di verificare la relazione tra l’apporto di nutrienti e la crescita della pianta. Variando la concentrazione di nutrienti essenziali è possibile vedere come una carenza di nutriente compromette la crescita della pianta, analogamente la zona di tossicità la crescita è compromessa per eccesso di nutriente. A concentrazioni intermedie, nella cosiddetta zona ottimale, la pianta ha una crescita ottimale. Per quanto riguarda invece gli elementi non essenziali, la pianta non risente di una carenza di essi, per cui all’aumentare della loro concentrazione si ha un’iniziale zona di tolleranza seguita da una zona di tossicità, in cui la crescita è compromessa. Le piante hanno evoluto una serie di meccanismi per gestire le zone di carenza e di tossicità. In zone di carenza: ampliano i meccanismi di trasporto che permettono di recuperare una maggiore quantità di nutrienti; Attivano vie metaboliche alternative per il riciclo e il recupero dei nutrienti da altri tessuti; In zone di eccesso di nutrienti, per evitare la zona di tossicità, invece: stoccaggio dei nutrienti negli organelli di riserva: principalmente nel vacuolo, in alcuni casi anche nei mitocondri e nei cloroplasti; attivazione di sistemi chimici basati su chelanti, molecole che complessandosi a nutrienti in eccesso li rendono meno dannosi. Eg. siderofori, molecole ad elevata affinità per il ferro; attivazione trasportatori che estrudono il nutriente in regioni della pianta in cui il suo eccesso è maggiormente tollerato: generalmente la tossicità si verifica a livello fogliare più che radicale. La carenza di alcuni nutrienti può portare all’origine di un determinato fenotipo che può essere diagnostico dello stato di sofferenza della pianta: Fe e Mn sono necessari per la sintesi di clorofille, una carenza di questi nutrienti, che sono poco abbondanti e poco mobili, causa clorosi intervena (ingiallimento delle foglie); Zn è importante per la crescita e una sua carenza comporta piante di piccole dimensioni; Cu è importante per gli aspetti energetici del metabolismo (fotosintesi e respirazione), in caso di carenza dell’elemento, clorosi e senescenza di giovani tessuti e delle punte delle foglie sono i fenotipi più comuni. 119 Elementi essenziali e alcune funzioni biochimiche e fisiologiche Gli elementi essenziali per la pianta sono implicati in specifiche funzioni biochimiche, alcuni esempi sono: Potassio: è il catione più abbondante della cellula, rappresenta uno dei pochi cationi che non è componente di strutture organiche. Svolge la funzione di osmoregolatore che opera nei movimenti fogliari e nell’apertura e chiusura degli stomi, regolando indirettamente l’evapotraspirazione e la fotosintesi; Calcio: è presente nelle pareti e nei vacuoli; nel citosol è presente in bassa concentrazione. Agisce come secondo messaggero nella trasduzione di segnali. È coinvolto nella regolazione di numerosi enzimi ed è fondamentale nei processi di divisione cellulare; Magnesio: è costituente dell’anello porfirinico della clorofilla ed è un attivatore di molti enzimi e della molecola di ATP (gli enzimi e i trasportatori utilizzano Mg2+-ATP); Trasporto dei nutrienti Un fattore che incide sulla disponibilità dei nutrienti nell’ambiente è il pH del suolo. La produzione di essudati radicali può alterare il pH della rizosfera e quindi permettere l’assorbimento di nutrienti che altrimenti non sarebbero disponibili. Una delle prime tappe di mobilizzazione del ferro passa da una variazione del pH della rizosfera tramite secrezione di molecole acide. I nutrienti sono generalmente più concentrati nelle cellule vegetali che nell’ambiente circostante. Il trasporto contro gradiente è realizzato tramite simporto, che lo accoppiano al trasporto secondo gradiente di una seconda molecola, da trasportatori primari che sfruttano direttamente l’idrolisi di ATP, o trasportatori secondari che lo sfruttano indirettamente. Trasportatori primari Le pompe muovono soluti contro gradiente accoppiando il trasporto con l’idrolisi di ATP o pirofosfato (PPi). In particolare, le pompe protoniche producono un gradiente di carica (elettrogeniche = DPE o Δψ) e un gradiente protonico (ΔpH) attraverso la membrana (DPE + ΔpH = gradiente elettrochimico). Questo gradiente è sfruttato dai trasportatori secondari tramite il simporto per muovere contro gradiente altri substrati à le pompe protoniche sono trasduttori che convertono l’energia chimica in energia chemiosmotica. Le pompe protoniche della membrana plasmatica sono dette P- ATPasi, mentre quelle che si trovano sulla membrana del vacuolo V- ATPasi. La variazione del gradiente elettrico si può misurare in alcune piante in cui le cellule sono sufficientemente grandi mediante l’utilizzo di microelettrodi. In genere nelle piante il gradiente elettro potenziale cellulare è compreso tra -100 e -200mV. 120 P-ATPasi (o PM-ATPasi) Le P-ATPasi sono state scoperte a partire dall’osservazione di una omologia di sequenza con geni codificanti per pompe ATPasiche di funghi (Neurospora crassa), già precedentemente caratterizzate. Le pompe P-ATPasi formano una superfamiglia di trasportatori perché sono codificate in diversi geni che possono avere funzioni diverse nei vari distretti della pianta. La perdita di P-ATPasi porta a letalità, queste infatti sono necessarie per: Assimilazione e trasporto di nutrienti; Crescita cellulare e il turgore della cellula; Dinamiche nelle cellule di guardia. Struttura Le P-ATPasi sono generalmente dei monomeri, il singolo polipeptide è formato da 10 segmenti transmembrana che creano un poro attraverso il quale passano i protoni. Presentano un dominio citoplasmatico che idrolizza una molecola di ATP in ADP+Pi per ricavare energia chimica. Per poter funzionare, le P-ATPasi devono dimerizzare mediante il loro dominio C-terminale. In seguito alla dimerizzazione, nel caso in cui serva iperpolarizzare la membrana, la fosforilazione da parte di chinasi specifiche della Thr947 del dominio citoplasmatico (regolazione post-traduzionale) favorisce l’interazione del dimero con la proteina 14-3-320. Queta interazione favorisce l’associazione dei dimeri in esameri, attivando le pompe ATPasi. Pompe vacuolari Esistono due tipologie di pompe localizzate a livello della membrana vacuolare: VH+-ATPasi: H+-ATPasi vacuolare che idrolizza ATP; H+-PPasi: pirofosfatasi vacuolare che idrolizza il gruppo pirofosfato PPi. VH+-ATPasi La V-ATPasi è un enzima molto grande, dato da da più subunità. Anche se il loro trasporto è inverso, la V-ATPasi è analoga alla F-ATPasi presente sulle membrane del cloroplasto, che producono ATP tramite dissipazione del gradiente protonico. Fenotipi associati alla diminuzione di attività di VH+-ATPase sono: Diminuzione della crescita; Sterilità maschile; Alterata capacità di stoccare nutrienti. Ad esempio, mutanti della varietà Col-021 di A. thaliana per la VH+-ATPasi sono sensibile alla tossicità da Zn2+ in quanto questo non può essere sequestrato nel vacuolo. 20 Le proteine 14-3-3 sono una superfamiglia di proteine che possono interagire con proteine fosforilate per variarne la multimerizzazione e lo stato di attivazione. Queste proteine intervengono anche nel metabolismo dell’azoto tramite l’interazione con l’enzima nitrato reduttasi. 21 da Columbia. 121 H+-PPase La pirofosfatasi vacuolare utilizza l’idrolisi di PPi come fonte di energia per pompare protoni nel vacuolo. Il PPi viene generato come prodotto di scarto da alcune reazioni cellulari come l’incorporazione di dNTP nel DNA. Le H+-PPasi sono omodimeri in cui ogni subunità possiede 16 domini transmembrana. Ciascun monomero è in grado di idrolizzare il pirofosfato e utilizzare l’energia da questo ricavata per traportare protoni. Le H+-PPasi svolgono diversi ruoli fisiologici: Tolleranza al secco e salinità (trasporto di Na+); Assorbimento di nutrienti; Trasporto di ormoni e altre molecole; Assorbimento di fosfato; Maturazione dei frutti. In piante che sovraesprimono le pompe H+-PPasi si sono osservate proprietà con elevate applicazioni in campo agricolo come maggiore tolleranza al secco e maturazione anticipata dei frutti. Canali cationici e anionici I canali cationici rappresentano un sistema di trasporto secondo gradiente elettrochimico, dunque non consumano energia. Ne esistono per il Ca2+, K+, NH4+, etc. Formano dei pori selettivi trasportano un soluto alla volta e oscillano tra uno stato aperto o chiuso. La selettività di trasporto è data da una porzione specifica del canale che funziona da filtro ionico sulla base degli amminoacidi in esso presenti. Nel caso del canale del potassio il filtro ionico è dato da uno stretch di amminoacidi GYG (glicina-tirosina-glicina), che si sostituiscono ai legami che lo ione instaura con le molecole d’acqua e ne permettono il passaggio. Il potenziale di equilibrio del K+ è circa -76mV; quindi, affinché lo ione possa essere mobilitato, il potenziale di membrana deve essere più negativo, ossia di circa -90mV. Trasportatori I trasportatori sono proteine di membrana che presentano uno stato attivo o inattivo e che possono trasportare molecole complesse come zuccheri, amminoacidi, ormoni, etc. A differenza dei canali, possono trasportare più di un soluto, infatti, generalmente il trasporto mediato da trasportatori prevede l’accoppiamento del trasporto di uno ione secondo gradiente elettrochimico, spesso H+ nelle piante, e un trasporto contro gradiente di un secondo ione/molecola. 122 Concentrazione di K+ e Na+ Il sodio ha un effetto tossico sulle cellule vegetali, per cui queste devono costantemente estruderlo, mentre devono mantenere un’elevata concentrazione intracellulare di potassio. Per questi motivi le piante hanno dovuto evolvere degli efficienti meccanismi di trasporto dei due cationi. Nelle cellule vegetali, il trasporto di Na+ e K+ è indirettamente accoppiato all'idrolisi dell'ATP: la pompa protonica della membrana plasmatica è la principale ATPasi; essa genera la forza protonica che guida il trasporto delle membrane vegetali. Pompe, canali e trasportari appartengono a famiglie multigeniche in quanto sono molto specifici nelle diverse parti della pianta: esistono trasportatori e canali localizzati a livello delle radici che sono specializzati nel il recupero di nutrienti, altri per il carico nel dei nutrienti nello xilema, per il trasporto nella foglia e altri ancora per il trasporto dei fotosintati dalla foglia agli altri distretti. I sistemi di trasporto hanno un ruolo anche in svariati meccanismi di neutralizzazione di sostanze tossiche nel terreno e di biodisponibilità dei nutrienti. Ad esempio: La pianta può produrre ed estrudere malato, un anione organico (2-), nel terreno per chelare Al3+ e Cd2+ in eccesso nel suolo e diminuirne la tossicità; La pianta, inoltre, può abbassare il pH del terreno per rendere il fosfato inorganico (Pi) e il potassio più biodisponibili; Ferro L’assorbimento del ferro (Fe3+) può essere effettuato attraverso due strategie: 1. Adottata da piante monocotiledoni e dicotiledoni, prevede l’intervento di una P-ATPasi per acidificare il suolo e rendere più disponibile il Fe3+. Il pH più basso permette l’associazione tra un chelante estruso dalla pianta e il Fe3+. Una Fe3+-chelato-reduttasi riconosce come substrato il complesso Fe3+-chelante e riduce il Fe3+ a Fe2+, che può essere importato nel citosol da un trasportatore specifico. 2. Strategia adottata principalmente dalle graminacee: la pianta produce dei fitosiderofori (chelanti) che vengono trasportati nel suolo attraverso trasportatori specifici. Nel suolo si formano dei complessi Fe3+- fitosideroforo che viene riacquisito dalla pianta attraverso altri trasportatori specifici. Il Fe3+ in ambiente citosolico è ridotto a Fe2+ e utilizzato nel metabolismo. 123 12 maggio 2023 Potassio Il potassio è un macronutriente essenziale, che ha diversi effetti sulla pianta: Stimola la fertilità; Promuove la tolleranza allo stress; Regola l’attività enzimatica; Rinforza la parete cellulare; Stimola il trasporto di fotosintetati; Mantiene il turgore e riduce l’appassimento; Regola la conduttanza stomatica, quindi fotosintesi e traspirazione; Mantiene l’omeostasi degli ioni. Il suo trasporto avviene contro gradiente: la [K+] nel suolo è compresa tra 0.1 – 1 mM, mentre nel citoplasma delle cellule vegetali è circa 100 mM. Una sua carenza provoca clorosi delle foglie. Il Canada fornisce da solo circa il 50% del potassio impiegato in agricoltura, mentre la produzione europea non è sufficiente per l’autosostentamento. I fertilizzanti potassici sono recuperati da miniere di “potassa”, in cui il potassio è complessato in Sali di diversa natura. La potassa comprende: KCl (cloruro di potassio, aka sylvite); K2SO4 (potassio solfato); K2CO3 (potassio carbonato); K2Ca2Mg(SO4)4 ·2H2O (polyhalite). Per poter recuperare il potassio viene pompata acqua nel sottosuolo, questa è recuperata arricchita in K+ e fatta evaporare per produrre i sali. Una piccola parte del potassio è recuperato dagli scarti animali e dell’agricoltura. A livello cellulare il potassio è stoccato nel vacuolo da trasportatori specifici. A livello molecolare è un partner di molti enzimi e contro-ione che permette di legare le cariche negative del DNA. Il fatto che funzioni come cofattore 124 di molti enzimi spiega la sua essenzialità nel metabolismo della pianta: ad esempio, numerosi enzimi del metabolismo primario del carbonio (zuccheri, ciclo di Krebs), dell’aspartato e degli amminoacidi richiedono che questo sia presente. Potassio e cellule di guardia Le cellule di guardia rappresentano un modello del sistema di trasporto dello ione potassio. In queste cellule il potassio è alla base del richiamo dell’acqua per variare il proprio stato di turgore, che a sua volta determina l’apertura o la chiusura della rima stomatica. Chiusura: il potassio è fatto uscire dal vacuolo da due tipi di trasportatori, TPC e TPK, mentre dal citoplasma attraverso il trasportatore GORK, che lo rilascia tra le cellule dell’epidermide adiacenti. L’acqua segue il potassio, diminuisce la pressione di turgore e la rima stomatica si chiude; Apertura: per far aumentare la concentrazione di potassio intracellulare i trasportatori del potassio sfruttano il gradiente elettrochimico generato dalle pompe PM-ATPasi, V-ATPasi e V-PPasi. Questi eventi sono regolati a monte da vie di segnalazione in risposta a segnali ambientali come disponibilità di luce, CO2, etc. Omeostasi del potassio Una bassa disponibilità di potassio scatena, nella cellula, delle risposte dirette ed indirette: Risposte dirette: un’iperpolarizzazione di membrana che attiva le pompe ATPasiche per permettere un maggiore uptake di potassio attraverso i suoi trasportatori specifici; Risposte indirette: cambiamenti ormonali, in particolare nei livelli di auxine ed etilene, modulano le concentrazioni di calcio intracellulare, che a sua volta agisce sull’attività delle pompe ATPasiche. Gli ormoni influenzano anche i livelli trascrizionali di alcuni trasportatori del potassio e, alterando l’architettura della radice, permettono alla pianta di colonizzare regioni del suolo con una maggiore disponibilità in potassio. La mobilizzazione del potassio è critica per l’omeostasi: quando è maggiormente disponibile questo è stoccato nel vacuolo, mentre quando diventa limitante viene allocato al citosol. Il potassio può anche essere spostato da tessuti meno essenziali ad altri più importanti come i tessuti fotosintetici e in fase di crescita. Sono state osservate due cinetiche di trasporto del potassio, per cui è detto bifasico (questo è vero anche per altri nutrienti). Le due cinetiche funzionano a concentrazioni di potassio differenti: a concentrazioni più basse di potassio è attivo il trasporto ad alta affinità, mentre oltre una certa soglia è attivo il trasporto a bassa affinità. L’esistenza di queste due cinetiche di trasporto è stata prima evidenziata tramite tecniche di biochimica ed elettrofisiologia variando le concentrazioni di potassio. In particolare, si è osservato come dopo una certa concentrazione in cui la capacità di trasportare potassio incontra un primo plateau, si attivi un secondo tipo di trasporto che aumenta ulteriormente la capacità di trasporto e che gradualmente raggiunge un secondo plateau. 125 Solo in seguito sono stati identificati i trasportatori responsabili per i due tipi di trasporto tramite manipolazioni genetiche in Arabidopsis thaliana. L’identificazione è stata fatta tramite mutagenesi spontanea andando alla ricerca dei geni che, se mutati, fanno scomparire l’una o l’altra cinetica: HAK5 è il gene codificante per il trasportatore ad alta affinità del potassio; AKT1 è il gene codificante per il trasportatore a bassa affinità del potassio. I ricercatori hanno osservato come, se è espresso solo il trasportatore HAK5, dopo il raggiungimento del primo plateau la pianta non più aumentare il trasporto del potassio, mentre se è espresso solo il trasportatore AKT5 il trasporto del potassio aumenta in modo lineare fino a raggiungere la concentrazione necessaria a far funzionare il trasporto a bassa affinità, dopo la quale la capacità aumenta di molto. Per verificare la correttezza dell’identificazione dei geni hanno effettuato un esperimento di complementazione tra i due mutanti e hanno visto come la forma della cinetica torni molto simile a quella della pianta wild type, anche se con un’efficienza minore. L’assorbimento di K+ quando [K+]ext è basso consuma più energia di quando [K+]ext è alto, questo perché l’assorbimento di K+ ad opera di trasportatori ad alta affinità richiede un maggior consumo di ATP. A [K+]ext molto alte, possono partecipare al trasporto anche i canali cationici non-selettivi (NSCC). Canali del potassio Kv La direzione del flusso di ioni attraverso i canali cationici Kv, dipende dal voltaggio: Quando n3 < nH , ovvero il potenziale di membrana della cellula (o del vacuolo) è minore di quello di equilibrio del potassio (≈-76 mV) si verifica un influsso del catione, Quando n3 > nH si verifica invece un efflusso del catione. I canali del potassio Kv, inoltre, sono voltaggio dipendenti, ovvero la loro apertura dipende dal raggiungimento di un certo potenziale di membrana. Per poter predire la corrente di cationi, dunque, si devono tenere in considerazione sia il voltaggio di apertura che la direzione del flusso a quel voltaggio. Sodio Nonostante sodio e potassio siano ioni molto simili, devono essere gestiti in modo opposto dalla pianta: se il potassio ha un ruolo importante nel metabolismo e nella fisiologia della pianta, il sodio ha un effetto tossico sulla stessa. Uno dei problemi che dovrà affrontare l’agricoltura riguarda i suoli salini, che stanno diventando sempre più abbondanti a livello globale. Questo fenomeno si può ricondurre a diverse cause: 1. Spray marini lungo le coste, a causa dell’aumento della temperatura; 126 2. Aumento del livello dei mari mette in contatto l’acqua marina e le falde acquifere; 3. Agricoltura e irrigazione eccessiva: la continua fertilizzazione lascia dei residui salini. È un problema che riguarda in particolare le piante coltivate perché sono più sensibili ad un aumento di sale nel suolo rispetto ad altre piante presenti in natura. Il riso, ad esempio, che è ampiamente coltivato nel nord-est dell’Italia e che sostiene la nutrizione di una grande parte della popolazione mondiale, ha una tolleranza al sale molto ridotta. Altre piante, maggiormente resistenti al sale, sono oggetto di studio per capire quali siano i meccanismi alla base e se sia possibile trasferire questi caratteri nelle piante coltivate. Anche per Arabisopsis il sale è altamente tossico, perciò viene utilizzata come organismo modello per la messa appunto di protocolli di miglioramento della tolleranza applicabili su altre piante particolarmente sensibili. Tossicità del sodio 1. Il sodio altera l’omeostasi di altri ioni che sono invece nutrienti importanti: l’influsso di Na+ è associato ad una carenza di K+ à inibizione attività enzimatiche, sintesi di proteine, fotosintesi à senescenza foliare; 2. Causa stress ossidativo: aumenta la produzione di ROS, per farvi fronte la pianta adotta dei meccanismi di detossificazione; 3. Causa stress osmotico: l’aumento di [Na+] altera la capacità della pianta di richiamare acqua à disidratazione à stomi chiusi à in presenza di luce la pianta va in fame da carbonio (no CO2). Strategie di tolleranza al sale Cercano di evitare che il sodio entri nella pianta e raggiunga le sue parti più sensibili, le foglie, attraverso il trasporto sistemico. Le strategie che la pianta in generale adotta sono: 1. Evitare che Na+ entri in pianta/cellula; 2. Pompare fuori Na+; 3. Compartimentazione di Na+ nel vacuolo 4. Estrudere Na+ tramite le ghiandole saline; 5. Accumulare K+ per un alto rapporto K+/Na+; 6. Sintesi di soluti compatibili per raggiungere un equilibrio osmotico; 7. Evitare che Na+ arrivi al fusto dalle radici; Anche il trasporto del sodio si basa su trasportatori specifici che sfruttano l’energizzazione delle membrane da parte delle pompe ATPasiche, anche se in senso contrario rispetto al K+. Uno dei trasportatori del sodio più importanti e con un ruolo biotecnologico in fase di sviluppo è un trasportatore del potassio (HKT = high affinity K+ transport) ma che, in condizioni di eccesso di sale, si attiva per spostare il sodio dallo xilema alle cellule della radice. Mutanti di Arabidopsis in cui il gene il trasportatore HKT1 è alterato sono meno tolleranti al sale della pianta wild type. Al contrario, se il trasportatore è fatto sovra esprimere tramite l’utilizzo di un promotore forte costitutivo la tolleranza allo stress salino migliora. 127 La quinoa è una pianta alofita (tollerante al sale), utilizzata come modello per studi sulla tolleranza della salinità. Evita la tossicità attraverso un’elevata capacità di trasporto del sodio all’esterno dell’organismo, anche a livello fogliare. Azoto L’azoto (N) è l’elemento più abbondante dell’atmosfera e il quarto più comune nella pianta (dopo C, H e O). Per questo uno dei più importanti nutrienti e rappresenta spesso l’elemento limitante per la crescita (la pianta non può assimilare e sfruttare l’azoto atmosferico). L’azoto è contenuto negli amminoacidi, nei nucleotidi, nelle clorofille e in innumerevoli altre molecole biologiche. L'azoto si trova in molte forme inorganiche Specie Nome Stato di ossidazione e in diversi stati di ossidazione. Le piante R-NH2 Azoto organico, urea -3 hanno evoluto meccanismi per assimilarlo NH3, NH4+ Ione ammonio -3 sia nelle sue forme più ridotte che più N2 Azoto molecolare 0 ossidate, a testimonianza dell’importanza N2O Ossido di azoto +1 che ha. NO Ossido nitrico +2 HNO2, NO2- Acido nitroso, ione nitrito +3 Sono in grado di utilizzare l’azoto organico, NO2 Diossido di azoto +4 anche se questo non è naturalmente HNO3, NO3- Acido nitrico, ione nitrato +5 abbondante22. Possono usare ammonio, considerato in genere il composto preferito dalle piante come fonte di alimentazione del metabolismo azotato, è tipico dei terreni asfittici e acidi (eg. riso, i cui cicli di coltura prevedono dei periodi di inondazione del suolo). L’ammonio, inoltre, inibisce l’assorbimento dell’acido nitrico. Più frequentemente, le piante utilizzano lo ione nitrato perché più abbondante nei suoli areati (in cui l’ammonio viene ossidato prima a nitrito e poi a nitrato dai microorganismi). Le piante, per poter utilizzare il nitrato nella produzione di molecole organiche, devono prima ridurlo ad ammonio, per questo la via di assimilazione dell’azoto è detta generalmente assimilazione riduttiva. Circa metà dell’azoto utilizzato in agricoltura è recuperato dalla fissazione industriale (reazione di Haber-Bosch), mentre l’altra metà è recuperato dall’azoto atmosferico per via biologica (non dalle piante). L’esistenza di vie biologiche di fissazione dell’azoto è materia di ricerca per lo sviluppo di metodi più economici e a minor impatto ambientale per produrre ammonio. Le piante ottimizzano l’uso dell’azoto, come per gli altri nutrienti, variando la struttura dell’apparato radicale, impiegando sistemi di trasporto con diverse affinità per le diverse forme di azoto disponibili. Allo stesso tempo il metabolismo sistemico della pianta è regolato sulla base della disponibilità di azoto. I trasportatori del nitrato lavorano contro gradiente sfruttando il gradiente protonico generato dalle pompe ATPasiche. Una volta entrato nella pianta l’azoto può essere metabolizzato già nella radice e poi trasportato fino alle foglie, oppure trasportato direttamente come nitrato attraverso lo xilema e metabolizzato nella foglia, da cui i prodotti sono trasportati nel resto della pianta. 22 In agricoltura, l’urea è utilizzata per nutrire le piante. 128 Trasportatori dell’azoto I trasportatori specifici per l’ammonio (AMT) sono generalmente ad alta affinità, per il nitrato esistono sia trasportatori ad alta che a bassa affinità (analogamente al potassio). L’azoto organico è recuperato sia come urea che come amminoacidi. Trasportatore del nitrato Il trasportatore del nitrato NRT1 è particolare perché può funzionare sia ad alta che a bassa affinità. Normalmente, quando le concentrazioni di nitrato nell’ambiente sono superiori all’1 mM, funziona a bassa affinità. Quando le concentrazioni ambientali di nitrato calano, tuttavia, si attiva una chinasi che fosforila il trasportatore provocandone un cambiamento conformazionale che lo rende ad alta affinità, quindi capace di continuare il suo trasporto in modo efficiente. La cinetica bifasica di questo trasportatore è stata osservata sia in pianta che negli oociti di Xenopus. Negli ultimi anni NRT1 è stato definito un transceptor, ovvero un trasportatore che ha la capacità di essere anche un recettore del nitrato ed è alla base una via di trasduzione del segnale che influenza il metabolismo dello stesso. Metabolismo dell’azoto Prevede un assorbimento da parte di trasportatori specifici seguito da una riduzione assimilativa. Nel caso del nitrato, questo è importato nella cellula tramite un simporto con protoni, quando è in eccesso questo può essere stoccato reversibilmente nel vacuolo. Nel citoplasma il nitrato è substrato dell’enzima nitrato riduttasi (NR), che genera nitrito sfruttando il potere riducente di 1 NADPH (che è ossidato a NADP+). Il nitrito è un composto che, se si accumula, è tossico per le cellule vegetali, per cui è subito trasportato nel cloroplasto. Nel cloroplasto agisce l’enzima nitrito riduttasi (NiR) che recupera potere riducente dalla ferrodossina per ridurre il nitrito ad ammonio23. La glutammina sintetasi (GS), quindi, incorpora l’ammonio in una molecola di glutammato a formare glutammina idrolizzando 1 ATP, questa reazione rappresenta per l’azoto il passaggio da una molecola inorganica a una molecola organica. La glutammina può essere utilizzata per sintetizzare altri amminoacidi oppure essere presa in carico dalla glutammato sintasi (GOGAT = glutammina ossoglutarato ammino-transferasi). La glutammato sintasi trasferisce un gruppo amminico dalla glutammina all’α-chetoglutarato per formare due molecole di glutammato ed utilizza come fonte di potere riducente la ferrodossina nella foglia, mentre nella radice il NADH, in quanto non effettua la fotosintesi. Il glutammato può essere utilizzato per la sintesi di altri amminoacidi per transaminazione o riprendere parte alla reazione catalizzata dalla glutammina sintetasi. L’ammonio assunto direttamente dall’ambiente può saltare le prime fasi di riduzione ed essere subito incorporato in glutammina. 23 Essendo la ferrodossina ridotta dal PS I, questo rappresenta un punto di collegamento tra la fotosintesi e il metabolismo dell’azoto. 129 Il metabolismo dell’azoto è strettamente collegato ad altre vie metaboliche della pianta: metabolismo degli amminoacidi, durante la degradazione di amminoacidi e proteine l’azoto è recuperato, proprio perché per la pianta la sua assimilazione in molecole organiche è molto costosa; metabolismo primario della fotorespirazione, nei mitocondri e perossisomi, durante la detossificazione del 2-fosfoglicolato prodotto dall’attività ossigenasica della RuBisCo, avviene il rilascio di CO2 e ammonio. Scoperta dei trasportatori del nitrato In alcuni casi gli enzimi coinvolti nell’assimilazione dell’azoto sono stati scoperti usando dei composti tossici, in particolare il clorato, un analogo tossico del nitrato. Il clorato può essere trasportato dai trasportatori del nitrato e ridotto a clorito dalla nitrato reduttasi. Il clorito non è invece ridotto dalla nitrito reduttasi e il suo accumulo provoca la morte della cellula vegetale. Si parte dall’osservazione che la pianta wild-type, se cresciuta in terreno contenente clorato, muore. Effettuando uno screening su clorato di piante ottenute per mutagenesi spontanea si selezionano quelle resistenti. La resistenza può derivare da una mancata attività della nitrato reduttasi oppure di un trasportatore NRT124, importante del nitrato. 15 maggio 2023 Nitrato reduttasi La nitrato reduttasi è una flavoproteina di grandi dimensioni e un omodimero che prevede un trasporto di elettroni al suo interno e accetta elettroni dal NADH per ridurre il nitrato a nitrito. Per fare ciò però sono coinvolti molti domini diversi della proteina. Il dominio che lega NADH trasferisce gli elettroni da questo ad un dominio che lega FAD, che successivamente vengono trasferiti al gruppo eme e infine al gruppo moco che lega il molibdeno complessato a una pterina. Questo trasferimento di elettroni è guidato da un potenziale redox crescente che li conduce dal NADH fino al nitrato. È presente anche un dominio di dimerizzazione per permettere l’interazione tra i due monomeri. La NR è attiva allo stato dimerico e viene regolata a livello post- traduzionale per rispondere alla glutammina/nitrato. La NR chinasi è in grado di fosforilare una serina localizzata sullo stretch di aminoacidi che collega i domini della proteina, in questo modo la proteina è ancora attiva ma diventa substrato della proteina 14-3-3, che la lega portandola ad una forma inattiva. Per ritornare alla forma attiva è necessario l’intervento della NR fosfatasi: la reversibilità dello stato attivo/inattivo permette un minor consumo energetico. La disponibilità di luce, concentrazione CO2, e pH nella cellula possono modificare il bilancio di proteine attive e inattive. La fusicoccina è una molecola che compete con il sito di legame per le proteine 14-3-3, perciò inibisce il passaggio dell’enzima dalla forma attiva alla forma inattiva. La nitrato reduttasi è una fonte di NO nel citosol, che funge da importante molecola segnale. 24 In passato era chiamato CHL1 perché gli esperimenti che hanno portato alla sua scoperta erano basati su screening su clorato. 130 Assorbimento, riduzione assimilativa e rimobilitazione dell’azoto La nitrito reduttasi è un enzima globulare che presenta un centro Fe-S tramite il quale NO3- viene ridotto ad ammonio NH4+ tramite l’ossidazione di Fd. La glutammina sintetasi utilizza l’ammonio per sintetizzare glutammina partendo dal glutammato utilizzando una molecola di ATP. In seguito, la GOGAT trasferisce il gruppo ammidico dalla glutammina a una molecola di a-chetoglutarato per sintetizzare una nuova molecola di glutammato che può venire incorporato in amminoacidi. Un ruolo importante nella sintesi degli aminoacidi è svolto dall’aspartato amminotransferasi che sposta il gruppo amminico dal glutammato all’ossalacetato per formare aspartato. In seguito, viene trasferito un gruppo ammidico dalla glutammina all’aspartato ad opera della asparagina sintetasi, che forma così asparagina. Tutti gli amminoacidi vengono sintetizzati utilizzando pochi tipi diversi di scheletri carboniosi. Ruoli della GS L’espressione della GS è regolata da molti fattori e nel mais esistono più tipi di GS espressi da geni diversi: GS1 (gene GLN1) è una proteina citosolica e GS2 (gene GLN2) è una proteina proteina plastidiale. L’attività GS è regolata a livello trascrizionale e post-transcrizionale dal tipo cellulare, dalla luce, [NH4+], ritmo circadiano, disponibilità di carbonio etc. La GS ha un ruolo importante nel ciclo dell’azoto durante i processi di senescenza o durante i processi di autofagia e di rimobilitazione dell’azoto. L’esempio del mais è esplicativo perché permette di evidenziare come l’azoto necessario alla crescita della pianta oltre a provenire dal suolo, proviene dai meccanismi di riciclo dell’azoto dalle risorse già organicate in precedenza. Studi sperimentali evidenziano come durante la fase riproduttiva della pianta, l’N necessario alla crescita dei chicchi di mais venga in parte assorbito dal suolo e in parte rimobilizzato da composti azotati presenti nelle foglie mature (che a causa del sequestro ingialliscono) dall’isoforma GS1, mentre l’enzima GS2 viene silenziato (funzione diversa). Fissazione dell’azoto L’azoto costituisce l’80% dell’atmosfera e circa il 50% di quello che viene fissato è ottenuto dalla fissazione biologica. Da un punto di vista biotecnologico, incrementare l’efficienza di attività della GS porterebbe ad aumentare l’efficienza della fissazione biologica dell’azoto molecolare riducendo la necessità di fissazione industriale molto costosa ed inquinante, infatti, rompere i tre legami covalenti tra i due atomi di N dell’azoto molecolare richiede molta energia. Diversi procarioti (azoto-fissarori o diazotrofi), archeobatteri e batteri con o senza attività fotosintetica e che possono o meno stabilire relazioni di simbiosi con le piante, forniscono degli efficienti sistemi di fissazione biologica dell’N molecolare dato che la reazione si verifica a pressione atmosferica e temperatura ambiente a 131 differenza della reazione di Haber Bosh, molto costosa e inquinante. L’enzima che catalizza la reazione di azotofissazione nei procarioti è la nitrogenasi. Nitrogenasi La nitrogenasi è un metallo-enzima (come Fd) appartenente alla classe delle ossidoreduttasi sensibile all’ossigeno e formato da un complesso di subunità codificate ognuna da un gene nif (nitrogen fixation) che complessivamente si organizzano in cluster contigui nel genoma. Presenta due porzioni proteiche a funzioni catalitiche distinte: dinitrogenasi reduttasi: proteina che contiene centri ferro-zolfo coinvolti nel trasferimento di elettroni, 4Fe-4S con cinetica di inattivazione all’ossigeno elevata, richiede pochi secondi. dinitrogenasi: composta da un gruppo P formato da 8 atomi di ferro e 7 di zolfo. Presenta una proteina ferro molibdeno (proteina Fe-Mo). La biodiversità delle ditrogenasi è elevata, infatti il cofattore Mo può essere sostituito da Vanadio o Ferro in alcune nitrogenasi. A livello della nitrogenasi si verifica un trasferimento di elettroni che coinvolge più centri redox. La dinitrogenasi reduttasi riceve 8 elettroni dalla ferrodossina ridotta, gli atomi di ferro del centro Fe-S passano dallo stato ossidato (+3) allo stato ridotto (+2). La porzione dinitrogenasi reduttasi presenta inoltre domini di legame ATP-Mg (magnesio ATP) che portano l’enzima ad assumere una conformazione tale da abbassare il potenziale redox dei centri Fe-S. L’drolisi di 2Mg- ATP permette il trasferimento elettronico al cofattore Mo-Fe presente nella dinitrogenasi. A livello della dinitrogenasi, quindi, si verifica la riduzione di una molecola di N2 a 2NH3 per incorporazione di 6 atomi di idrogeno e liberazione di una molecola di idrogeno molecolare. L’idrogeno molecolare può essere utilizzato da idrogenasi per altre reazioni di ossidoriduzione. La reazione ha un alto costo energetico, quindi è necessaria una fine regolazione, operata da: nitrato e nitrito: effettori allosterici negativi dato che rappresentano fonti di azoto. L’attività catalitica della nitrogenasi non è necessaria. ammonio e H2 che generano un meccanismo di regolazione a feedback da prodotto. Tipi di inibizione della nitrogenasi mediati da O2 L’ossigeno ha azione inibitoria sulla nitrogenasi di due tipi: diretta: compete con l’azoto come substrato (accettore di elettroni) e inibisce l’attività di riduzione dell’N2 in NH3 catalizzata dall’enzima. La dinitrogenasi reduttasi ha una cinetica di inattivazione all’ossigeno elevata (si verifica in pochi secondi) mentre a livello della dinitrogenasi l’azione inibitoria dell’ossigeno è più lenta. indiretta: l’ossigeno agisce sul gene nifA, un gene regolatore del cluster della nitrogenasi che codifica per il fattore di trascrizione Nif A dei geni nif codificanti le subunità dell’enzima. 132 Diazotrofi liberi Gli azotofissatori liberi possono localizzarsi in ambiente acquatico o terrestre e presentano diverse caratteristiche per cui possiamo suddividerli nelle seguenti classi: anaerobi obbligati eterotrofi (Desulfovibio nei fondali marini); anaerobi obbligati fotoautotrofi aerobi obbligati eterotrofi (Azotobacter); aerobi obbligati fotoautotrofi (Anabaena e Nostoc). Gli azoto fissatori fotoautotrofi come Anabaena e Nostoc possono essere impiegati nella formulazione di biofertilizzanti per la crescita delle piante. Gli azoto fissatori fotoautotrofi compiono fotosintesi che, oltre a produrre l’ATP necessaria all’azoto fissazione, produce anche ossigeno, che ha azione inibitoria sulla nitrogenasi. Cianobatteri I cianobatteri sono gli unici procarioti ad effettuare fotosintesi ossigenica e presentano diverse analogie di struttura con le cellule vegetali. Possiedono una parete cellulare, un sistema di membrane tilacoidali dove localizzano i fotosistemi e le proteine antenna detti ficobilisomi che sono dei complessi pigmento-proteina implicati nella cattura della luce. Come anticipato la produzione di ossigeno da parte dalla fotosintesi costituisce un ostacolo alla fissazione dell’azoto, perciò, vengono adottate due soluzioni principali. Separazione temporale In maniera analoga al metabolismo delle piante CAM, i cianobatteri hanno evoluto un sistema in cui durante il giorno si verifica la fotosintesi mentre durante la notte la reazione di fissazione dell’azoto. Di giorno è infatti presente la luce necessaria alla fase luminosa del processo fotodipendente, mentre dal tramonto in poi, l’ossigeno prodotto viene consumato dal metabolismo respiratorio e non funge più da inibitore. Separazione spaziale Microorganismi unicellulari come Anaebaena in carenza di azoto sviluppano tipi cellulari non fotosintetici e specializzati nella fissazione dell’azoto dette eterocisti, organizzate in consorzi a catenella assieme alle cellule vegetative in cui si verifica la fotosintesi ossigenica. Lo stato di eterocisti è reversibile: in caso di ripristino delle opportune concentrazioni di azoto le eterocisti revertono allo stato di cellula vegetativa. Le eterocisti presentano una parete ispessita che limita la diffusione dei gas dall’ambiente esterno al citosl, questo limita l’ingresso di ossigeno, conservando l’attività della nitrogenasi. Le poche molecole di ossigeno che riescono a superare la parete trovano una seconda barriera intracellulare rappresentata da emo-proteine che le sequestrano prontamente. Tra cellula vegetativa e cellula incistata in particolare si verificano comunque scambi metabolici attraverso strutture di comunicazione citoplasmatiche dette microplasmodesmi. 133 A livello dell’eterocisti si svolge parte della fissazione dell’azoto, infatti l’ammonio prodotto dalla nitrogenasi viene incorporato da parte della GS in glutammato permettendo la sintesi della glutammina che quindi abbandona l’eterocisti e viene trasferita alle cellule vegetative, dove è localizza la GOGAT. Una volta sintetizzate, una delle due molecole di glutammato viene ritrasferita alla eterocisti e utilizzata come substrato dalla GS per un nuovo ciclo assimilativo dell’ammonio. La fotosintesi è attiva in minima parte solo per produrre l’ATP necessaria al funzionamento della nitrogenasi. Inoltre, presentano un apparato fotosintetico privo del PSII, normalmente accoppiato con il OEC e quindi responsabile della liberazione di molecole di ossigeno. Il trasporto ciclico intorno al PSI, che nelle cellule fotosintetiche normali rappresenta un sistema di controllo per bilanciare il rapporto ATP/NADPH, consente la sintesi di ATP dato che permette comunque la formazione di un gradiente protonico che permette il funzionamento dell’ATP sintasi. Il percorso ciclico degli elettroni parte dalla ferrodossina e prosegue verso il pool dei plastochinoni, il citocromo b6f, la plastocianina; quindi, il PSI per infine ricondursi alla ferrodossina; dunque, non porta alla riduzione di NADP a NADPH. Il ciclo di Calvin Benson invece è molto più attivo a livello delle cellule vegetative, dove è presente l’intero apparato fotosintetico; quindi, gli zuccheri si trasferiscono dalle cellule vegetative alle eterocisti tramite i microplasmodesmi. Eucarioti e azoto fissatori Negli eucarioti non viene espressa la nitrogenasi, quindi non sono in grado di fissare l’ossigeno molecolare come i procarioti. Tuttavia, si sono evoluti dei sistemi di simbiosi che premettono di ottimizzare l’assorbimento di N dal suolo. Gli eventi di simbiosi tra organismi eucarioti e procarioti sono frequenti nella storia evolutiva, per esempio ha permesso l’originarsi di mitocondri e cloroplasti. Casi di simbiosi più eccezionali sono rappresentati per esempio dal mollusco Elysia chlorotica che sequestra dalle alghe i cloroplasti conservandone l’attività e acquistando la capacità di compiere fotosintesi. Le piante sono in grado di instaurare rapporti simbiotici con diversi procarioti azotofissatori come: attinomiceti, proteobatteri e cianobatteri. Alcune piante inoltre sono in grado di associarsi a procarioti senza instaurare simbiosi nella rizosfera, un microorganismo coinvolto in questo tipo di relazione è Azotobacter. Esistono endofiti opportunisti che riforniscono la pianta di azoto tramite la via xilematica, è il caso di Acetobacter e Azospirillum. Simbiosi rizobi-leguminose Le piante leguminose, come Trifolium hybridum, Lupinus perennis e Arachis hypogaea, sono le principali specie vegetali in grado di instaurare rapporti di simbiosi con procarioti azotofissatori. La simbiosi rizobi-leguminose è una associazione che vede coinvolti una pianta leguminosa e un batterio azotofissatore sempre appartenente al genere Rhizobium, definita mutualistica, cioè da cui entrambi gli organismi traggono vantaggio. 134 Le simbiosi sono indotte da carenza di azoto nel terreno e l’associazione dei microorganismi azotofissatori con la pianta porta alla formazione di noduli a livello dell’apparato radicale, ossia siti in cui si ha un arricchimento di microorganismi. Processo di formazione delle simbiosi L’origine dei noduli è determinata da un riconoscimento specifico e attivo tra pianta e microorganismo. Inizialmente la pianta rilascia dei composti come flavonoidi e betaine a livello dei peli radicali che sono in grado di attirare i batteri. Quindi attraverso le proteine lectine legano i polisaccaridi presenti sulla parete dei batteri. Si forma una struttura ad uncino in cima al pelo radicale, detto anche sito di infezione. Dal punto di infezione si sviluppa per invaginazione un filamento di infezione che costituisce un canale di migrazione per i batteri necessario al raggiungimento di un sito in profondità nella radice definito punto di nodulazione. In tale sito si formano delle vescicole contenti dei batteroidi. I batteri producono i fattori nod che stimolano la proliferazione di peli radicali della pianta dando origine a un nodulo, che aumentando di dimensioni viene indicato come simbiosoma. Durante il processo di formazione della simbiosi si genera un signaling mediato da NO, sintetizzato sia dalla pianta che dalla nitrato reduttasi del rizobio, che favorisce la formazione del nodulo. Nel processo di nodulazione, si formano delle strutture formate da cellule sclerenchimatiche che creano attorno al batterio delle condizioni di microanaerobiosi, ossia ostacolano la diffusione dell’ossigeno verso l’interno del nodulo, conservando l’attività della nitrogenasi e dunque la reazione di riduzione dell’N2 a NH4+. Gli azotofissatori, tuttavia, mancano del sistema di enzimi necessari alla organicazione dell’ammonio, presenti invece nella cellula infettata. Quindi l’ammonio viene esportato dal batteroide e introdotto nel citosol della cellula vegetale, dove verrà convertito in glutammina ad opera della GS che infine potrà essere utilizzata per la sintesi di glutammato o altri aminoacidi che verranno quindi trasferiti all’interno del batteroide. Oltre ai composti azotati, la pianta compiendo fotosintesi rifornisce il batterio di composti polisaccaridici che verranno utilizzati per sostenere il metabolismo ossidativo del batterio. I noduli in sezione trasversale appaiono di colorazione rossastra, dovuta alla produzione di leghemoglobina, emoglobina prodotta dalle leguminose per sequestrare ossigeno e creare la situazione di anaerobiosi. Curiosità: il gene per la leghemoglobina di pianta di soia è stato clonato in S. cerevisiae e ha trovato impiego nel settore alimentare vegano, per la produzione di alimenti vegani come gli Impossible burgers, con apparenza e sapore più simile alla carne animale. 135 Frankia e dicotiledoni Le simbiosi si possono formare anche a livello di alberi appartenenti alle famiglie delle dicotiledoni (es. Alnus, Myrrica), il genere di batteri coinvolti è Frankia, il processo di formazione dell’associazione è analogo a quello che si verifica a livello delle piante leguminose. 18 maggio 2023 Zolfo Anche lo zolfo viene recuperato dalle piante tramite le radici sotto forma di solfato (S6+). In passato è stato osservato come la riduzione di emissioni di zolfo in zone altamente industrializzate provocasse nelle piante che vivevano in aree vicine dei sintomi da carenza di zolfo, suggerendo l’importanza di questo elemento per la vita vegetale. Lo zolfo costituisce un macronutriente essenziale per la pianta e Interviene nella sintesi di metaboliti primari, quali i due amminoacidi essenziali Cisteina e Metionina. Forma inoltre composti interessanti dal punto di vista alimentare poiché conferisce proprietà aromatiche e organolettiche, è presente infatti nel ribes nero, aglio, kren e wasabi. A livello vegetale svolgono funzione vessillare per gli insetti impollinatori o repellente per gli erbivori o patogeni. Infine, lo zolfo è un importante costituente di composti metallici di ossidazione/riduzione implicati nel trasporto di elettroni e ad attività detossificante, quale il glutatione. In aree molto inquinate, la presenza di piogge acide (SO42- ottenuto dall’idratazione del diossido di zolfo: SO2 + H2O(g) → SO42-) o di emissioni di diossido di zolfo (SO2) possono causare danni alle foglie, che si manifestano come necrosi. Trasporto dello zolfo Esistono trasportatori di membrana specifici per lo zolfo che sfruttano il gradiente protonico attivato dalle pompe ATPasiche per effettuare il simporto di SO42- all’interno della cellula. In caso di eccesso questo può essere stoccato anche all’interno del vacuolo in modo reversibile. Anche il solfato, analogamente al nitrato, ha associata una via di assimilazione riduttiva. La riduzione si può verificare a livello dell’apparato radicale, dove il solfato passa al primo stato ridotto di solfito (SO32-) e successivamente viene ridotto a ione solfuro (S2-), che viene convertito alla forma organica di cisteina. Lo ione solfato può essere anche essere direttamente introdotto nella via xilematica ed essere assimilato a livello dell’apparato fogliare previa riduzione a ione solfuro, secondo la reazione riduttiva prima descritta, ed essere utilizzato per la sintesi di cisteina che permette la formazione di glutatione ridotto. Il GSH può essere quindi introdotto nella via floematica ed essere trasportato a livello sistemico, ossia verso i tessuti sink. I trasportatori dello ione solfato sono chiamati SULTR (sulfate trasporters). La maggior parte dei trasportatori SULTR presentano 12 eliche transmembrana e costituiscono una famiglia multigenica con isoforme di trasportatore specifiche per la localizzazione tissutale e subcellulare e per la specie di pianta. Nelle piante vascolari, per esempio, i trasportatori SULTRs si localizzano a livello della membrana plasmatica, vacuolare e plastidiale nello specifico del cloroplasto. Tappa 1 Nel caso dello zolfo, il solfato non viene direttamente ridotto a solfito ma questo viene attivato dopo essere stato complessato con una molecola di ATP da parte della ATP solforilasi che sintetizza una molecola di PPi e adenosina 136 5’-fosfosolfato (APS). Questa reazione si verifica sia a livello del citosol che a livello del cloroplasto; quindi, la cellula vegetale esprime due forme dell’enzima specifiche per ciascun distretto cellulare. Tappa 2 A differenza della reazione di attivazione, la via di riduzione dell’APS a ione solfuro ha luogo esclusivamente nel cloroplasto dove l’APS reduttasi riconosce come substrato l’APS e lo riduce a solfito SO32-, recuperando il potere riducente da 2 molecole di GSH. Successivamente la sulfito reduttasi riconosce come substrato il solfito e lo converte a ione zolfo, recuperando il potere riducente dalla ferrodossina ridotta, proveniente dal PSII. 2.a) Seconda fosforilazione dell’APS a PAPS Alternativamente l’APS può venire fosforilato sia a livello del plasmide che a livello citoplasmatico ad opera della APS chinasi che porta alla sintesi di 5'-fosfoadenosina 3’-fosfosolfato (PAPS). Il PAPS è un composto precursore che permette la sintesi di composti contenenti zolfo (composti solfati). 2.b) Conversione dello ione solfuro a cisteina Si tratta di una reazione che può verificarsi a livello di 3 compartimenti cellulari: citoplasma, mitocondrio e cloroplasto, in cui sono espresse tre forme dell’enzima cisteina sintasi. La cisteina sintasi è un complesso multienzimatico, formato da due componenti proteiche a diversa attività catalitica: Serina acetiltransferasi (SAT): catalizza la reazione tra serina e acetil-CoA sintetizzando O-acetilserina; O-Acetil serina (tio)liasi: catalizza la reazione dello ione solfuro con O-acetilserina, portando alla sintesi di cisteina. L’O-acetil serina indica la disponibilità di S cellulare: quando S è basso, l’intermedio metabolico si accumula. La cisteina rappresenta il precursore per la sintesi di glutatione ridotto, GSH che come citato in precedenza rappresenta un composto che fornisce equivalenti necessari a reazioni di ossidoriduzione e permette il trasporto sistemico di zolfo tra i vari organi. Nell’immagine sono indicati gli enzimi implicati nella via riduttiva con dei numeri: 1 =ATP solforilasi, 2 = APS reduttasi, 3 solfito reduttasi, 4 = serina acetiltrasferasi, 5 = O-acetilserina (tio)liasi e 11 = APS chinasi. 137 Fosforo Il fosforo è un elemento molto abbondante sul pianeta ed è il quinto elemento maggiormente presente nella pianta. È tuttavia uno degli elementi più limitanti per le piante dato che spesso è sequestrato dalle particelle di suolo e perciò non è biodisponibile. Data la sua importanza, rientra nella formulazione di molti fertilizzanti e circa il 90% del fosforo utilizzato in agricoltura deriva da 5 paesi: Marocco, Cina, Giordania, Stati Uniti e Sud Africa. Purtroppo, si pensa che negli ultimi anni i giacimenti minerali di fosforo stiano esaurendo e che quindi sia stato raggiunto il picco massimo di recupero del fosforo dal suolo. Questo rappresenta una minaccia per la produzione agricola; una strategia intuitiva per limitare l’impatto negativo della diminuzione di fosforo sul settore agricolo è data dall’incremento della capacità delle piante di recupero del fosforo. Le piante sono in grado di assorbire il fosforo solo nella forma inorganica di ione fosfato (PO43-), mentre non sono capaci di recuperarlo da composti organici, inoltre sono capaci di mobilizzare il fosforo solo da regioni vicine alla radice. Questo comporta la formazione di un microambiente privo di fosforo in prossimità della radice, indicato come zona di deprivazione. Alcune strategie adottate dalle piante per rendere più efficiente l'assorbimento del fosforo dal suolo sono ad esempio la sintesi di acidi organici a basso peso molecolare, come il malato, che agiscono da chelanti e sequestrano i metalli con cui il fosforo è complessato, rendendo lo ione disponibile alla pianta. Nel caso di carenze da fosforo, le piante esprimono la classe di enzimi fosfatasi che agiscono sulle molecole organiche composte da fosfato presenti nella rizosfera permettendo la liberazione dello ione che può quindi essere recuperato dalla pianta. Tramite pompe ATPasiche le piante acidificano il terreno per facilitare la mobilitazione del fosfato oppure ricorrono a modifiche specifiche dell’apparato radicale come, ad esempio, un gravitropismo ridotto per formare un apparato radicale più sviluppato in superficie. La formazione di aerenchima, ossia di parenchima con ampi spazi aerei, consente un aumento di dimensioni dell’apparato radicale metabolicamente meno costosa (dato che il tessuto è composto da aria e non da cellule metabolicamente attive) che tuttavia permette di incrementare il recupero di fosforo dal suolo. In passato nelle specie agricole l’architettura dell’apparato radicale non è stato un carattere selezionato, dato che il problema della carenza di fosforo si è presentato negli ultimi tempi. Una strategia biotecnologica che potrà ovviare il problema della carenza di P disponibile nel suolo è rappresentata dal trasferimento in queste di caratteri eterologhi che incrementano lo sviluppo della struttura dell’apparato radicale e quindi la capacità di assorbimento del fosforo. Trasporto del fosfato I trasportatori del fosforo vengono indicati come PHT1 e sono una famiglia di trasportatori che viene espressa in distretti diversi della pianta, a livello delle radici e a livello della parte aerea. I PHT sono co-trasportatori H+/ PO43- con 12 domini transmembrana. L’interazione tra funghi micorrizici e radici delle piante aumenta la capacità di assorbimento di nutrienti e si verificano con elevata frequenza e coinvolgono più specie vegetali, diversamente dalle simbiosi con azotofissatori ristrette alle sole piante leguminose. Si pensa che le interazioni con micorrize abbiano permesso la colonizzazione delle terre emerse da parte delle piante. Osservazioni a supporto di ciò sono rappresentate da studi di microscopia elettronica condotti su radici fossili che hanno evidenziato la presenza di strutture arbuscolari definite endomicorrize. Inoltre, le interazioni con micorrize si verificano in piante evolutivamente molto distanti: sia in piante avascolari come le briofite che in piante vascolari, come angiosperme (80%) e gimnosperme. 138 Tipi di funghi micorrizici Endomicorrize Si tratta delle micorrize più comuni. A differenza delle ectomicorrize, proliferano e invadono lo spazio intracellulare acquisendo una struttura ramificata per cui sono anche dette micorrize arbuscolari o arbuscoli. Nonostante la penetrazione interna, le micorrize non prendono diretto contatto con lo spazio citosolico poiché sono avvolte da una membrana periarbuscolare, un sistema di membrane che avvolge le ife del fungo. Ectomicorrize Si tratta di funghi che si associano alla radice delle piante, proliferando negli spazi perimetrali tra cellula e cellula, senza penetrare al loro interno, generando un manicotto fungino intorno alla radice, detto micoclena. Processo di formazione delle endomicorrize Le micorrize hanno origine dalla germinazione di una spora che poi sviluppando delle ife si pone in prossimità dell'apparato radicale della pianta. La simbiosi fungo- pianta ha origine da un’interazione attiva basata sulla produzione di molecole da parte della pianta e del fungo. Questi composti stimolano la proliferazione del fungo e permettono la formazione dell'ifo podio, struttura che aumenta la superficie di adesione tra la radice della pianta e fungo. Formato l’ifopodio, si forma un canale (PPA, Pre- penetration apparatus), entro cui le cellule fungine proliferano e raggiungono il citoplasma della cellula vegetale, dove quindi si verifica la maturazione delle ife ad arbuscoli. Durante questo processo la membrana plasmatica vegetale si invagina e quindi l’ifa fungina rimane separata dall’ambiente cellulare. Tra gli essudati rilasciati della pianta svolgono un ruolo rilevante nel processo di formazione della simbiosi gli strigolattoni, composti ormonali, mentre i fattori Myc sono i composti fungini che partecipano al processo. I fattori Myc vengono captati da recettori di membrana plasmatica delle cellule vegetali e inducono una cascata di trasduzione di segnale che portano alla genesi di oscillazioni nelle concentrazioni di ioni calcio nel citosol. Recenti studi hanno inoltre dimostrato come l’interazione tra fungo e pianta induca una risposta intracellulare che porta l’avvicinamento del nucleo verso l’ifopodio. Si pensa che questo evento di delocalizzazione abbia un 139 ruolo attivo nel processo di colonizzazione delle cellule vegetali da parte delle ife; tuttavia, i dettagli molecolari non sono ancora noti. Sia ectomicorrize che endomicorrize, proliferando all’esterno della pianta perlustrano superfici più ampie della rizosfera rispetto a quanto farebbe in autonomia l’apparato radicale della pianta. Queste interazioni, soprattutto in condizioni di carenza, permettono alla pianta un migliore approvvigionamento di nutrienti come: composti azotati, fosfato e acqua. In questo, le micorrize arbuscolari risultano più efficienti rispetto alle ectomicorrize poiché formano ramificazioni espanse e quindi presentano una maggiore superficie di scambio con la cellula. Si tratta tuttavia di una simbiosi, quindi anche il fungo otterrà dalla pianta, organismo fotosintetico, composti saccaridici. Ormoni vegetali (o fitoormoni) Sia gli ormoni vegetali che quelli animali sono indotti da stimoli ambientali e sono efficaci a bassa concentrazione, mentre, differentemente dagli ormoni animali, uno stesso ormone vegetale può stimolare risposte diverse in distretti differenti della pianta e gli ormoni vegetali possono essere prodotti da ogni tipo di tessuto. Tipi di ormoni vegetali Sono molecole organiche di piccole dimensioni che funzionano come segnali chimici altamente specifici. Alcuni esempi di ormoni vegetali sono: Acido abscissico (ABA), Gibberelline (GA), auxina (IAA), etilene, citochine (K), brassinosteroidi e strigolattoni (ormoni scoperti negli ultimi 10-15 anni che hanno una funzione dell'interazione pianta-patogeno o simbionte). Le piante sono organismi sessili, incapaci di movimento e quindi necessitano di un efficiente sistema di risposta agli stimoli ambientali. Anche alcuni metaboliti e nutrienti possono funzionare da molecole ormonali che cambiano la struttura e inducono una risposta biologica nel comportamento della pianta. Un esempio è transceptor NRT1 dell’azoto che funzione da trasportatore del nitrato ma è anche un recettore della concentrazione di azoto e in base a questo può alterare la morfologia della pianta. Zuccheri come molecole segnale Il trealosio 6-fosfato (T6P) deriva dal metabolismo primario del glucosio- 6-fosfato e si accumula in bassissime concentrazioni nell’organismo e ha il ruolo di segnalare il livello energetico della cellula e regolare la proliferazione cellulare. Il T6P regola due proteine chinasi antagoniste, TOR (Target of Rapamycin) e la SnRK1 (Sucrose non-ferment.1-related protein kinase 1) che regolano rispettivamente l'anabolismo/crescita cellulare e catabolismo. Il T6P ha azione stimolatoria su TOR, mentre inibitoria su SnRK1 quindi in caso di elevata disponibilità di carboidrati, verrà stimolata la via anabolica o proliferazione cellulare e inibita la via catabolica. La proteina TOR è espressa sia in cellule animali che in cellule vegetali e la denominazione Target of Rapamycin ha origine dall’azione inibitoria dell’antibiotico rapamicina su di essa e quindi sulla crescita cellulare. 140 Modalità di trasporto degli ormoni Gli ormoni possono essere trasportati dal sito di produzione secondo un trasporto polare o non polare fino a raggiungere una cellula bersaglio che presenta dei recettori che provocano, tramite una cascata di segnali, una risposta fisiologica. Trasporto polare Si verifica attraverso cellule successive con un percorso simplasto-apoplasto-simplasto. Richiede energia e genera un gradiente di concentrazione lungo la via di trasporto. È un tipo di trasporto specifico che si realizza mediante un sistema di traslocatori e avviene prevalentemente nelle cellule parenchimatiche del floema nelle auxine. Trasporto apolare Si verifica attraverso i tubi cribrosi floematici o il sistema di trasporto xilematico. Non è specifico e non determina un gradiente di concentrazione lungo la via di trasporto. Ormoni come molecole segnale Acido abscissico (ABA) L’acido abscissico è un sesquiterpene, formato da 3 isopreni ossia 15 atomi di carbonio. Viene definito come “ormone universale”, cioè presente in diverse piante e nel prodotto in differenti distretti della pianta. L’ABA è definito anche “ormone da stress” perché viene indotto in risposta a stress ambientali e in particolare lo stress da disidratazione. È anche detto “ormone della dormienza” perché alti livelli stimolano la dormienza di alcuni organi della pianta, come ad esempio i semi e le gemme ed inoltre, promuove la chiusura degli stomi. Biosintesi La biosintesi si verifica a livello del cloroplasto e a livello del citoplasma. Il primo stadio si verifica a livello del cloroplasto, dove il geramilgeramil pirofosfato viene convertito nei carotenoidi ossigenati o xantofille a 40 atomi di C come violaxantina e noxantina (la seconda è sintetizzata a partire dalla prima), che oltre a costituire i complessi fotosintetici rappresentano le molecole precursori della sintesi di ABA. La sintesi di acido prosegue in parte nel cloroplasto e in parte nel citosol: nel primo compartimento la violaxantina viene convertita in neoxantina e clivata a xantossina per intervento di una diossigenasi detta NCED (neoxanthin clivage enzyme dioxygenase). La xantotossina viene quindi esportata nel citosol e subisce una prima reazione di riduzione ad aldeide abscissione che successivamente viene riconosciuta come substrato da una ossidasi che la converte infine in ABA. I siti di sintesi per l’ABA sono i cotiledoni, i semi, i fusti, i frutti, le foglie e le radici e gli stimoli alla sintesi più comuni sono stress idrico, giorni corti, carenze nutrizionali, (azoto) stress osmotico e anossia radicale. Omeostasi dell’ABA L’ormone ABA attivo può essere inattivato reversibilmente per coniugazione ad altri composti organici oppure irreversibilmente mediante reazione di ossidazione ad acido faseico che viene introdotto nella via del catabolismo. 141 19 maggio 2023 Ruolo dell’ABA nell’induzione della dormienza dei semi Il fenomeno della dormienza è uno stadio fisiologico per il quale la germinazione non giunge a completamento. Con germinazione si intende l’inizio di una nuova generazione della pianta, essa avviene quando il seme maturo disperso nell’ambiente dalla pianta madre è imbibito (reidratazione) e risulta nella protrusione della radichetta dai tegumenti. La dormienza si verifica quando il seme maturo si trova nelle condizioni ottimali di crescita (umidità, temperatura e disponibilità di nutrienti), subisce imbibizione, quindi è metabolicamente attivo e maturo, ma non procede alla protrusione della radichetta. Il potenziale di accrescimento della radichetta è attivato dalle gibberelline mentre inibito dall’ABA. Alcune piante producono semi dormienti, la dormienza ha diversi significati fisiologici, ecologici ed evolutivi dato che permette: Stagionalità della germinazione Produrre dei semi dormienti garantisce che la germinazione si verifichi solo nella stagione primaverile e non in quella autunnale. Nonostante autunno e primavera siano periodi caratterizzati da temperature e fotoperiodo simile, sono seguiti da due stagioni completamente diverse, rispettivamente l'inverno, che per le basse temperature potrebbe compromettere la crescita della pianta, e l’estate, in cui le condizioni di temperatura sono ottimali per lo sviluppo della pianta. In questo caso la dormienza è rimossa proprio dalla stagione invernale, in modo che al ritorno delle condizioni ottimali primaverili la pianta possa germinare. Colonizzazione di nuovi ambienti e inibizione della competizione tra progenie e pianta madre La produzione di semi con diversi gradi di dormienza fa sì che questi non germinino tutti contemporaneamente e in prossimità della pianta madre. Questo evita la competizione tra individui della stessa progenie e la pianta madre stessa. [ABA] durante la maturazione del seme Durante il processo di maturazione del seme ABA si accumula a discapito di GA, in questo modo blocca la germinazione dell’embrione maturo quando ancora è legato alla pianta madre. Dato che parte del processo di maturazione è dato dalla disidratazione e ABA risponde allo stress idrico, i due aspetti sono collegati. Alcuni mutanti della sintesi o del sensing dell’acido abscissico sono stati individuati dall’osservazione di semi germinati direttamente sulla pianta, ad esempio di mais. Queste mutazioni possono riguardare l’enzima NCED (storicamente noto come ABA1) portando a una mancata sintesi di ABA, o proteine implicate nella via di trasduzione del segnale dell’ABA. I recettori dell’ABA sono localizzati nel nucleo e quando legano l’ABA sequestrano delle fosfatasi, tra le quali la PP2C. La chinasi SnRK2s, non venendo defosforilata da PP2C, fosforila dei fattori di trascrizione che regolano i geni di risposta all’acido abscissico. 142 Gibberelline (GA) Famiglia di ormoni con struttura a diterpene tetraciclico. La prima gibberellina studiata per avere degli effetti molto forti sulla morfologia della pianta è la GA3, questa è stata purificata dal mezzo di coltura del fungo patogeno giapponese Gibberella fujikuroi (da cui il nome Giberelline). Attualmente sono state scoperte in funghi e piante più di 80 gibberelline (non tutte biologicamente attive) indicate con GA1, GA2, GA3 … a seconda della cronologia della scoperta. GA3 favorisce un aumento delle dimensioni della pianta in modo da fornire al fungo una maggiore quantità di strutture vegetali da infestare. La malattia viene indicata come Bakanae e tra gli effetti negativi dell’infestazione si hanno la generazione di foglie clorotiche e cariosside (semi) vuote. Siti di sintesi Apici del fusto; Giovani foglie; Radici (siti di conversione più che di sintesi); Semi (embrione, cotilendoni); Frutti. Via di sintesi Come per l’ABA, la sintesi ha inizio nel cloroplasto a partire dal GGPP, prosegue tuttavia nel reticolo endoplasmatico e termina nel citosol. Molti degli intermedi della biosintesi sono essi stessi gibberelline biologicamente attive, che hanno un effetto sulla fisiologia della pianta. Le GA possono essere inattivate in modo reversibile mediante coniugazione con glucosio e inattivate irreversibile (catabolismo) per 2β-idrossilazione o per epossidazione del doppio legame tra C16 e C17. Effetti Inducono rottura della dormienza; Inducono crescita del fusto in piante nane o a rosetta: mutanti di sintesi o di sensing25 rimangono molto piccoli e sono stati identificati, ad esempio, in A. thaliana26; Regolano la transizione tra fase giovanile e fase adulta (fase riproduttiva nelle conifere); Influiscono sulla formazione del fiore e la determinazione del sesso (effetto femminilizzante sul mais, mascolinizzante sulla canapa); Promuovono la fruttificazione (nei casi in cui le auxine non hanno effetto). Via di trasduzione del segnale Solo parte della via di trasduzione è nota, è stato tuttavia identificato il recettore nucleare GID1, da GA Insensitive Dwarft 1, implicato nella trasduzione del segnale ormonale delle GA. 25 Si possono distinguere fenotipicamente i mutanti di sintesi e di sensing perché i secondi non reagiscono ad uno spray degli ormoni. 26 Durante la fase vegetativa sviluppa foglie aderenti al suolo e solo quando passa alla fase riproduttiva sintetizza GA, per cui produce uno stelo principale. 143 In presenza di GA, GID1 viene attivato, lega un complesso enzimatico ad attività di ubiquitinazione SCF (E3 ubiquitina ligasi) che ha come bersaglio gli inibitori della trascrizione DELLA27 indirizzandole al proteasoma per la degradazione. In questo modo i fattori di trascrizione PIF (Phytochrom Interacting factor) si possono associare alla sequenza regolatoria dei geni di risposta alle gibberelline per attivarli. In assenza di GAs, GID1 è inattivo e i regolatori della trascrizione DELLA agiscono da repressori dei geni di risposta delle GA sequestrando i fattori PIF (questo succede anche quando GID1 è mutato à fenotipo nano). Esistono indicazioni dell’esistenza anche di un recettore delle gibberelline sulla membrana citoplasmatica. Monocotiledone in germinazione Nelle prime settimane la germinazione delle piante giovani di Monocotiledoni avviene per crescita eterotrofica, ossia senza fotosintesi ma con mobilizzazione di depositi di amido già contenuti nella cariosside o seme da parte delle amilasi28. Le GAs attivano la germinazione attraverso due vie di trasduzione del segnale che determinano un accumulo di α-amilasi nell’endosperma: Via di trasduzione nucleare Il legame delle GA con il recettore nucleare GID1 attiva la sintesi del gene che codifica per l’α-amilasi. Via di trasduzione citosolica Il legame delle GA con un recettore di membrana culmina nella fusione in membrana di vescicole prodotte a livello del RE contenenti amilasi, che quindi sono rilasciate all’esterno della cellula. 27 Il nome deriva dal motivo ripetuto di 5 amminoacidi che le costituisce: Asp-Glu-Leu-Leu-Ala. 28 Mutanti di orzo per i fotosistemi sono in grado di crescere per le prime 2 settimane raggiungendo 20-30cm. 144 Citochinine (CK) Le citochinine sono state scoperte sottoponendo delle colture cellulari vegetali a dei trattamenti con DNA di aringa, che aveva un effetto positivo sulla proliferazione. È stato poi scoperto che il DNA, in particolare l’ATP, fornisce il substrato per la sintesi di uno di questi ormoni, la zeatina, una delle citochinine più abbondanti e studiate. La prima citochinina naturale fu isolata da endosperma maturo di mais nel 1974. Le citochinine possono avere origine sia naturale che sintetica. Poiché regolano la crescita cellulare, le citochinine trovano vasto impiego in laboratorio o nel settore industriale di produzione di metabioliti secondari. Via di sintesi Uno degli enzimi chiave della sintesi delle citochinine è l’enzima isopentil-transferasi (IPT), che catalizza la condensazione di ATP e dimetilallil pirofosfato (DMAPP) per formare isopentaaldenina ribotide, precursore di tre citochinine distinte: isopententeniladenina (iP), trans-Zeatina e Diidrozeatina (DZ). Applicazioni biotecnologiche L’agrobatterio è un batterio infestante le piante che causa il tumore del colletto (regione di transizione tra la radice e l’apparato aereo). Il batterio presenta un Ti plasmid che, durante l’infestazione, trasferisce la regione left-right border all’interno del genoma vegetale. Questa regione contiene dei geni che stimolano la sintesi di citochina, opina e auxina provocando la proliferazione cellulare tumorale. Questa rappresenta un’importante scoperta per le biotecnologie verdi perché consente di utilizzare un Ti plasmid ricombinante, avirulento, in cui la regione left-ight border contiene una sequenza di interesse, che codifica per esempio una resistenza a un patogeno o per un particolare stress. Funzioni Divisione e distensione cellulare (interagiscono direttamente con le cicline, che regolano il ciclo cell.); Espansione di cotiledoni e foglie; Allargamento di fusti e radici; Antagonista dell’IAA nella dominanza apicale; Mobilitazione dei nutrienti; Crescita dei frutti; Sviluppo dei cloroplasti; Rallentamento della senescenza; Antagonista dell’ABA nell’apertura degli stomi; Differenziazione di gemme e germogli in coltura. Siti di sintesi Semi (endosperma ed embrione); Giovani frutti; Giovani foglie; Radici (apici); Cambio e probabilmente tutti i tessuti in attiva divisione. Inoltre, la regione apicale delle radici sembra essere l’organo essenziale di sintesi delle citochinine che migrano poi nella parte aerea della pianta via xilema. Le citochinine prodotte invece a livello di semi, giovani frutti e foglie sembrano agire sull’organo che le produce senza migrare verso altri distretti cellulari. 145 Auxine (IAA) Si tratta di ormoni importanti per la determinazione della direzione dello sviluppo della pianta in risposta a diversi stimoli ambientali. La sigla IAA si riferisce all’acido 3-indolacetico, l’auxina più abbondante e studiata. Oltre alle auxine naturali, sono state create delle auxine sintetiche che vengono impiegate per controllare la crescita delle piante. Siti di sintesi Meristemi: o Degli apici del fusto; o Cambiali; o Fiorali; o Del frutto in stadi giovanili; o Del seme in maturazione. Tessuti adulti: o Lamine fogliari. I semi sono una sorgente di auxine: il frutto della fragola è formato dal ricettacolo ricoperto dagli acheni (semi), mutanti privati degli acheni sviluppano dei ricettacoli molto piccoli, se tuttavia si effettua uno spray di auxine il suo sviluppo è ripristinato. Via di sintesi Sono state identificate due tipi di vie di sintesi delle auxine: Sintesi triptofano indipendente, che parte da un precursore del triptofano; Sintesi triptofano dipendenti, che utilizzano come precursore il triptofano. La via di sintesi prevalente è triptofano dipendente ed è indicata dalla sigla IAOx e attraversa due step enzimatici. La sintesi di questi enzimi è regolata da fattori ambientali come luce, temperatura e disponibilità di nutrienti, portando a una diversa produzione di auxine. Omeostasi delle auxine Come altri ormoni, come l’ABA, anche le auxine possono essere complessate ad altri composti organici nella cellula (glucosio, inositolo) subendo un’inibizione reversibile. Questa inibizione può essere rimossa al bisogno rompendo i legami tra le due molecole o essere resa definitiva tramite degradazione delle auxine. 146 Vie di trasporto Le auxine possono essere trasportate attraverso due vie: non polare, attraverso la via di conduzione sistemica floematica; polare e direzionato, ovvero da una cellula all’altra attraverso il trasporto simplasto – apoplasto – simplasto, prevede: o utilizzo di trasportatori specifici; o generazione di un gradiente di concentrazione lungo il tessuto; o trasporto basipeto (verso il basso) nel fusto ed acropeto (verso l’alto) nella radice. In funzione del gradiente/variazione di concentrazione di auxine varia l’effetto biologico che gli ormoni hanno sui diversi distretti della pianta. Effetti dell’auxina divisione cellulare: stimola la divisione delle cellule cambiali; distensione cellulare: regola la crescita per distensione dei tessuti aerei e delle radici a seconda della sua concentrazione; differenziazione cellulare: stimola la differenziazione di xilema e floema e regola la morfogenesi dei tessuti del callo, cioè promuovono il differenziamento delle cellule totipotenti dei meristemi. Fototropismo Il fototropismo delle piante, ovvero il movimento alla ricerca della luce è stato studiato da Darwin negli anni del 1890s. Parte della sintesi delle auxine è legata alla disponibilità di luce, per cui queste partecipano al direzionamento dello sviluppo della pianta. Si è osservato come i coleottili29 di mais curvino verso la sorgente di luce blu a cui sono esposti, si è poi visto che se l’apice della pianta è coperto con un cappuccio scuro o tagliato questa non risponde più allo stimolo luminoso: questo ha permesso di capire che sono gli apici della pianta a essere responsabili della reazione a questo tipo di stimolo. Il ruolo del gradiente di auxine nel mediare questa risposta è stato poi dimostrato disponendo in modo asimmetrico sull’apice capitozzato dei blocchetti di agar arricchiti in auxine (in assenza di luce): la pianta risponde piegandosi sul lato opposto rispetto al posizionamento dell’agar e l’angolo di curvatura che forma è proporzionale alla quantità di auxine in esso disciolte. Le auxine hanno un effetto di stimolazione anche sulla proliferazione delle radici e un gene che stimola la loro produzione è presente nel Ti plasmid dell’agrobatterio. 29 Giovani bianche che emergono dalla germinazione prima che le vere e proprie foglie vengano aperte. 147 Dominanza apicale Le auxine hanno un ruolo importante sulla dominanza apicale, una risposta fisiologica di sviluppo nelle piante per la quale, a partire dall’apice, si genera per trasporto polare un gradiente di auxine che mantiene in stato quiescente le gemme laterali che si trovano a livello ascellare delle foglie laterali, per favorire la crescita del fusto principale. La perdita dell’apice fa sì che le gemme laterali si risveglino perché non entrano più in competizione col fusto principale e serviranno a dare nuovo sviluppo alla pianta. Tuttavia, se si posiziona un blocchetto di agar contenente auxine sull’apice di una pianta decapitata, le gemme sottostanti rimarranno dormienti (dormienza apicale). Direzionalità del trasporto polare La direzionalità del trasporto polare è stata dimostrata tagliando il fusto in due punti e posizionando alle estremità due blocchetti di agar, uno contenente auxine mentre l’altro privo di esse. Se il blocco contenete auxine è posizionato sull’apice, dopo un certo tempo la loro concentrazione diminuirà in esso ma aumenterà nel blocco all’altra estremità. Se invece il fusto è invertito, con l’apice a contatto con il blocco non contenente auxine, queste rimarranno bloccate nel blocco a contatto con la base. Questo esperimento ha dimostrato come il movimento attivo delle auxine sia guidato da trasportatori localizzati in modo specifico sulla membrana citoplasmatica in modo che avvenga un efflusso delle auxine verso il basso e un loro afflusso dall’alto. Via di trasduzione del segnale Le cellule vegetali sono dotate di un sistema di ricezione le segnale delle auxine che modifica l’espressione di alcuni geni e un altro sistema che invece altera in modo diretto il funzionamento di alcune proteine che hanno un ruolo nella distensione della parete cellulare o nel trasporto delle auxine stesse. Via di trasduzione nucleare: il legame dell’auxina al recettore nucleare causa la degradazione dei regolatori negativi di risposta alle auxine; Via di trasduzione citosolica: il legame dell’auxina all’Auxin Binding Protein (ABP1) presente a livello della membrana citoplasmatica attiva una chinasi che fosforila, ad esempio, una pompa protonica favorendo l’acidificazione della parete, alla base della sua distensione, da un lato specifico. 148 I geni di risposta alle auxine presentano degli Auxin Responsive Elements, ovvero delle sequenze di DNA che legano i fattori di trascrizione regolati dalle auxine. È possibile monitorare la concentrazione delle auxine utilizzando il promotore DR5, dato da 7 Auxin Responsive Element ripetuti in tandem, seguito da geni reporter come BUS (visualizzabile con saggi istochimichi) o GFP (visualizzabile per fluorescenza): tanto più sono abbondanti le auxine nella cellula, tanto più i geni reporter sono espressi. Piante di Arabidopsis transgeniche per il sistema DR5 mostrano come le auxine siano più abbondanti all’apice. Se le piante sono immerse in un bagno di auxine esogene (NAA, auxina di sintesi utilizzata solitamente per questo genere di esprimenti) il gene reporter è espresso in tutta la pianta, che risulta equamente colorata. Sempre utilizzando il sistema DR5 in una pianta sottoposta a stimolo luminoso si può vedere come le auxine siano maggiormente presenti sul lato opposto rispetto alla sorgente luminosa (lato ombreggiato), in cui causano l’elongazione cellulare favorendo il ripiegamento del fusto verso la sorgente luminosa. 22 maggio 2023 Gravitropismo Parti diverse della pianta rispondono a un cambio di orientamento rispetto alla direzione della gravità in modo diverso: le radici rispondono positivamente, mentre gli apici negativamente (crescono in direzione opposta rispetto alla forza di gravità). Il gradiente di auxine, oltre ad essere responsabile della risposta allo stimolo luminoso, può integrare anche lo stimolo gravitazionale. Trasportatori impegnati nel trasporto polare delle auxine Il trasporto polare è realizzato da trasportatori specifici, la cui localizzazione asimmetrica sulla membrana citoplasmatica determina la direzionalità del trasporto e l’instaurazione del gradiente in siti di forte produzione delle auxine (meristemi): I trasportatori della famiglia PIN si occupano dell’effluss

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