Storia d'Israele dalle origini al periodo romano PDF

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2013

Luca Mazzinghi

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Bibbia storia di Israele storia antica religione

Summary

This book, "Storia d'Israele dalle origini al periodo romano", by Luca Mazzinghi, is an introduction to the history of Israel for readers new to the subject. It provides a basic overview, aiming to support a deeper understanding of the Bible. The book features a historical study in relation to biblical texts and includes an array of references and insights into Israel's history and influences.

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Luca Mazzinghi -------------- ### Storia d'Israele dalle origini al periodo romano 10. J. Dupont, Teologia della chiesa negli Atti degli apostoli 11. P. Lapide, Leggere la Bibbia con un ebreo 12. F.-E. Wilms, I miracoli nell'antico testamento 13. Il Midrash Temurah, a cura di M. Perani 14. 15....

Luca Mazzinghi -------------- ### Storia d'Israele dalle origini al periodo romano 10. J. Dupont, Teologia della chiesa negli Atti degli apostoli 11. P. Lapide, Leggere la Bibbia con un ebreo 12. F.-E. Wilms, I miracoli nell'antico testamento 13. Il Midrash Temurah, a cura di M. Perani 14. 15. I. de la Potterie, Il mistero del cuore trafitto 16. W. Egger, Metodologia del Nuovo Testamento 17. 18. S. Zedda, Teologia della salvezza nel Vangelo di Luca 19. L. Gianantoni, La paternità apostolica di Paolo 20. S. Zedda, Teologia della salvezza negli Atti degli Apostoli 21. A. Giglioli, L'uomo o il creato? 22. M. Pesce, Le due fasi della predicazione di Paolo 23. E. Boccara, Il peso della memoria 24. 25. Metodologia dell'Antico Testamento, a cura di H. Simian-Yofre 26. F. Manns, Il giudaismo 27. 28. F. Manns, La preghiera d'Israele al tempo di Gesù 29. H. Simian-Yofre, Testi isaiani dell'Avvento 30. M. Nobile, Ecclesiologia biblica 31. L. Ballarini, Paolo e il dialogo Chiesa-Israele 32. F. Manns, L'Israele di Dio 33. A. Spreafico, La voce di Dio 34. 35. A. Rofé, La composizione del Pentateuco 36. P. Lapide, Bibbia tradotta Bibbia tradita 37. 38. P. Grelot, Il mistero del Cristo nei Salmi 39. B. Costacurta, Il laccio spezzato 40. G. Ibba, La teologia di Qumran 41. A. Wénin, Entrare nei Salmi 42. B. Costacurta, Con la cetra e con la fionda 43. J.P. Fokkelman, Come leggere un racconto biblico 44. 45. Bibbia e storia, a cura di M. Hermans -- P. Sauvage 46. W. Binni -- B.G. Boschi, Cristologia primitiva 47. 48. B.G. Boschi, Le origini della Chiesa 49. A. Miranda, I sentimenti di Gesù 50. W. Binni, La Chiesa nel Quarto Vangelo 51. X. Léon-Dufour, Il Pane della vita 52. A. Wénin, Il Sabato nella Bibbia 53. B. Costacurta, Lo scettro e la spada 54. 55. F. Urso, La sofferenza educatrice nella Lettera agli Ebrei 56. L. Mazzinghi, Storia d'Israele dalle origini al periodo romano 57. 58. M. Grilli, L'impotenza che salva 59. L. Schiavo, Il Vangelo perduto e ritrovato 60. R. Reggi, I «fratelli» di Gesù 61. S. Paganini, Qumran le rovine della luna 62. P. Lombardini, Cuore di Dio, cuore dell'uomo 63. M.-L. Rigato, Discepole di Gesù STORIA D'ISRAELE DALLE ORIGINI AL PERIODO ROMANO ![](media/image2.jpeg) Edizione digitale della quinta edizione cartacea pubblicata nel 2013 Questo e-book contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificatamente autorizzato dall'editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l'alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell'editore e dell'autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche. Questo libro elettronico/e-book non potrà in alcun modo esser oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell'editore. In caso di consenso, tale libro elettronico non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l'opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo. Edizione cartacea nel catalogo EDB®: © 2007 Centro editoriale dehoniano Edizione digitale: © 2013 Centro editoriale dehoniano via Scipione Dal Ferro, 4 -- 40138 Bologna [www.dehoniane.it](http://www.dehoniane.it/) EDB® ISBN e-book: 978-88-10-96502-3 #### [Il problema del metodo](#_bookmark83) I. [L'USO DELLE FONTI EXTRABIBLICHE](#luso-delle-fonti-extrabibliche) II. III. IV. #### [Le origini di Israele](#_bookmark110) I. [I PATRIARCHI](#i-patriarchi) II. III. IV. V. #### [Gli inizi della monarchia](#_bookmark150) [II. DAVID (1010-970 a.C.)](%5Cl) III. [SALOMONE O L'IDEALE MONARCHICO (970-931 a.C. ca.)](#salomone-o-lideale-monarchico-970-931-a.c.-ca.) IV. #### [I due regni fino alla caduta di Samaria](#_bookmark175) I. [LA DIVISIONE DEL REGNO (931 a.C.)](#_bookmark176) II. III. IV. #### [Il regno di Giuda dal 722 a.C. all'esilio babilonese](#_bookmark192) I. [EZECHIA (716-687 a.C.)](#ezechia-716-687-a.c.) II. III. IV. V. #### [Sotto l'impero persiano](#_bookmark214) I. [LA GIUDEA DURANTE L'ESILIO](#_bookmark215) II. III. IV. V. VI. VII. #### [L'epoca ellenistica](#_bookmark252) I. [DA ALESSANDRO MAGNO AI TOLOMEI](#da-alessandro-magno-ai-tolomei) II. III. IV. V. VI. #### [Sotto il dominio di Roma](#_bookmark297) I. [DALLA CONQUISTA ROMANA AL REGNO DI ERODE IL GRANDE (37-4](#dalla-conquista-romana-al-regno-di-erode-il-grande-37-4-a.c.) [a.C.)](#dalla-conquista-romana-al-regno-di-erode-il-grande-37-4-a.c.) II. III. IV. [I SUCCESSORI DI ERODE E L'AMMINISTRAZIONE ROMANA (4 a.C. - 66](#i-successori-di-erode-e-lamministrazione-romana-4-a.c.) [d.C.)](#i-successori-di-erode-e-lamministrazione-romana-4-a.c.) V. VI. #### [Tavola cronologica](%5Cl) [Glossario](#_bookmark354) [Informazioni sul libro](%5Cl) [Circa l'autore](#_bookmark359) Nel leggere la Bibbia ci troviamo continuamente di fronte a nomi di località o di personaggi spesso ignoti, a narrazioni di eventi la cui portata storica ci sfugge, cosa che rende il testo biblico oscuro e non di rado incomprensibile. D'altra parte, si è spesso portati a identificare in modo molto semplicistico il racconto biblico con i dati della storia reale; più chiaramente, a leggere la Bibbia con superficialità, dando per scontato che ogni racconto che essa narra deve essere senz'altro vero: quando però si scopre che questa corrispondenza non sempre è possibile, anzi, che esiste spesso uno scarto tra ciò che la Bibbia racconta e ciò che è realmente avvenuto, il lettore prova un'impressione di grande sconcerto. Il concilio Vaticano II ci ha insegnato che la verità della Bibbia è prima di tutto di ordine salvifico, ciò che Dio ha voluto fosse scritto «per la nostra salvezza» (Dei Verbum, n. 11). Ci troviamo perciò di fronte a una «storia sacra» che rilegge, interpreta, attualizza i dati storici reali in vista del messaggio che i diversi autori biblici intendono dare, quel messaggio che, per il credente, è parola di Dio. Una «storia» perciò che non è sempre identica a quella che studiamo sui libri e che, anzi, spesso è molto diversa. Affrontare lo studio della storia di Israele è quindi necessario come strumento indispensabile, non tanto per dimostrare che «la Bibbia aveva ragione» (per parafrasare il titolo di un noto libro) e neppure che essa aveva torto, quanto per comprendere meglio ciò che vuole realmente comunicarci. Fin dall'inizio del nostro studio deve essere chiaro che i racconti biblici non sono stati scritti prima di tutto per «informare» il lettore (o, meglio, l'ascoltatore -- visto che la Bibbia si ascoltava prima che leggerla), ma per «formarlo», per educarlo all'accoglienza della parola di Dio. La breve bibliografia -- breve almeno in relazione alla mole dei lavori esistenti -- che si trova al termine di questo lavoro mostra come attualmente siano disponibili storie di Israele di ogni tipo, anche solo limitandosi ai testi scritti o tradotti in italiano. Si va da opere classiche come la storia di Israele di Noth fino alla dettagliata opera di Soggin, testi, nella maggior parte dei casi, pensati per un pubblico specializzato. Come «introduzione alla storia di Israele» questo piccolo libro si indirizza invece a un lettore che affronti per la prima volta e senza preparazione specifica l'argomento, un «manuale di base» pensato per un primo impatto con la storia di Israele. Per questo il testo vuole essere il più possibile semplice e chiaro, rinunciando a quei necessari approfondimenti per i quali si rimanderà, volta per volta, alla bibliografia contenuta nelle note. Semplicità e chiarezza non vogliono però significare banalità e ripetizione di luoghi comuni, né rinunzia totale ad affrontare problemi più complessi e attualmente molto dibattuti, come ad esempio la spinosa questione delle origini di Israele. In questo lavoro ho cercato di affrontare lo studio degli eventi e dei principali temi legati alla storia di Israele con la maggior serietà e completezza possibile, in modo da fornire al lettore un primo semplicissimo orientamento al riguardo. Qualcuno potrà forse restare deluso di fronte a posizioni più sfumate, prudenti e talora, invece, aperte al dubbio, ma occorre ricordare come la storia di Israele sia un campo tuttora apertissimo. Un'«introduzione», dunque, che vuole essere soprattutto un modesto strumento per comprendere meglio la Bibbia. Penso perciò a un lettore che, dopo aver iniziato a leggere la Bibbia, sente la necessità di un tipo di studio più approfondito ma pur sempre alla sua portata. Per questo non ho risparmiato continue citazioni, anche estese, del testo biblico.(#_bookmark74) Per lo stesso motivo, visto che ho in mente un pubblico formato prima di tutto da lettori cristiani, mi sono fermato più a lungo sull'epoca romana, dato che essa costituisce l'ambiente storico nel quale si sviluppano i testi evangelici; così ho anche inserito brevi riferimenti al contesto storico di diversi libri dell'Antico Testamento, benché per ciascuno di essi sia sempre possibile far riferimento a opere di introduzione più specifiche. [PREFAZIONE ALLA NUOVA EDIZIONE](%5Cl) ====================================== Questa nuova edizione della mia Storia di Israele esce a sedici anni di distanza dalla prima edizione, pubblicata nel 1991. Durante tutti questi anni il libro è stato più volte ristampato -- fino al 2005 -- e largamente utilizzato sia nelle Facoltà teologiche sia, in particolare, negli Istituti di scienze religiose, con un'accoglienza in genere molto favorevole. D'altra parte, il testo è ormai invecchiato, sia per le nuove scoperte (si pensi ad esempio alla stele di Tell Dan), sia per l'uscita di nuovi studi, come le importanti opere di M. Liverani e di I. Finkelstein -- N.A. Silberman; ma si veda anche la seconda edizione (2002) della Storia di Israele di J.A. Soggin, oltre al notevole sviluppo degli studi sulla possibilità stessa di scrivere una «storia di Israele».(#_bookmark78) Non erano poi assenti dalla mia prima edizione del 1991 sia qualche errore di stampa di troppo sia qualche «peccato di gioventù» che mi aveva portato a più di una imprecisione. Confesso che sono indirettamente debitore di questa revisione al prof. Paolo Sacchi, la cui frequentazione e l'ormai lunga amicizia mi hanno spinto a un ulteriore approfondimento, oltre a offrire una presentazione anche del pensiero di Israele alla luce del suo sviluppo storico; una storia delle idee e non solo dei fatti. L'impostazione generale del libro non è tuttavia mutata; mi rendo ben conto di rimanere nel solco piuttosto tradizionale di tante «storie di Israele» che scorrono in parallelo al testo biblico e che pure hanno la pretesa di essere scientifiche. Per questo motivo, la dimensione critica non verrà mai trascurata, anche a costo di creare più di uno sconcerto in lettori cristiani, non di rado realmente ignari di problematiche storiche. D'altra parte, ho in mente un pubblico che per lo più si accosta alla storia di Israele come strumento per una più profonda conoscenza del testo biblico di entrambi i Testamenti. Spero così che il comprendere l'assoluta necessità di una solida conoscenza storica divenga un antidoto alla tentazione, ormai sin troppo diffusa, di concepire il cristianesimo, e magari la stessa figura di Cristo, come una dottrina teologica e morale che sussisterebbe indipendentemente dai suoi connaturali legami -- e quindi anche dai suoi necessari condizionamenti! -- con la storia. Questa nuova edizione esce adesso anche in italiano, sulla scia dell'edizione francese pubblicata da Lumen Vitae.(#_bookmark79) Devo infatti alla grande cortesia e alla notevole competenza di Guy Vanhoomissen l'impulso che mi ha portato a rielaborare a fondo l'edizione italiana del 1991 e a pubblicarne una nuova edizione, interamente riveduta (ringrazio tra gli altri anche i professori Alexander Rofé e Gherardo Gambelli). Al prof. Vanhoomissen si deve tra l'altro il glossario che chiude il libro, nonché molti utili suggerimenti sparsi qua e là nel testo. La bibliografia è stata completamente aggiornata, ma resta per lo più in italiano e limitata ai testi più significativi o comunque maggiormente accessibili a un pubblico più vasto. Le Edizioni Dehoniane di Bologna hanno accolto la versione italiana di questo testo, già edito in precedenza da Piemme. Nonostante la profonda revisione, questa Storia di Israele resta quel che era sin dall'inizio, ovvero un «manuale di base» pensato per un pubblico non specialistico che cerca un primo approccio a un argomento che non manca ancora di appassionare. ### L.M. Bivigliano (FI), dicembre 2006. 1. []{#_bookmark78.anchor}Cf. l'importante raccolta di studi a cura di L.L. GRABBE, Can a «History of Israel» be written?, London-New York ^2^2004. 2. []{#_bookmark79.anchor}L. MAZZINGHI, Histoire d'Israël. De origines à la période romaine, Lumen Vitae- Novalis, Bruxelles-Montréal 2007. ### \...paese fertile, paese di torrenti, di fonti e di acque sotterranee che scaturiscono nella pianura e sulla montagna; paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele; paese dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti mancherà nulla; paese dove le pietre sono ferro e dai cui monti scaverai il rame\... (Dt 8,7-9) La storia di un popolo si svolge sempre in un determinato ambiente: conoscere la geografia nella quale si collocano gli eventi che si vogliono studiare non è imparare alcune nozioni più o meno erudite, ma è un mezzo vitale per comprendere più a fondo il popolo che in quei luoghi ha vissuto. La regione del Vicino Oriente antico che ci interessa fa parte di quella vasta zona chiamata comunemente «mezzaluna fertile», cioè quella fascia di terre coltivabili che si estende dalla Mesopotamia ad est, ai monti dell'Anatolia a nord, fino al mar Mediterraneo a ovest. A sud si estende una regione interamente desertica, il grande deserto arabico. Attualmente la mezzaluna fertile comprende gli stati dell'Iraq, della Siria, del Libano, della Giordania, di Israele e della Palestina. L'Israele biblico si trova al margine meridionale di tale vasta area geografica, ma in posizione chiave, un ponte con l'altra grande regione, l'Egitto. La terra che fu teatro degli avvenimenti biblici ha ricevuto vari nomi nel corso della storia: essa fu detta in origine «terra di Canaan», nome che ritroviamo in testi cuneiformi già verso la fine del III millennio a.C.; nel testo di Is 19,18 l'ebraico viene chiamato «lingua di Canaan». Il nome sembra essere in relazione con la lavorazione della porpora, uno dei prodotti tipici di questa terra. La stessa regione, definita dalla Bibbia semplicemente «la terra» o la terra d'Israele,(#_bookmark82) fu poi chiamata dai romani Palestina, in seguito alla rivolta giudaica del 135 d.C. Il nome Palestina ricorda uno dei popoli che anticamente abitavano la regione, i filistei. La terra della Bibbia si estende dai monti dell'Antilibano, a nord, sino al deserto del Neghev, a sud; dal mar Mediterraneo, a ovest, sino al deserto arabico a est. La caratteristica forse più sorprendente, per chi non ha mai visitato Israele e lo conosce solo per quanto ha letto nei testi biblici, è che si tratta di una regione relativamente piccola, dove le distanze non sono mai eccessive: appena 120 chilometri da Gerusalemme a Nazaret, mentre la larghezza -- dal mare al Giordano -- non supera mai gli 85 chilometri. La superficie totale dell'attuale Stato di Israele e dei territori palestinesi non è superiore a quella del Belgio. Uno sguardo alla carta geografica permette di distinguere quattro fasce ben delimitabili, da ovest verso est: la costa, la zona montuosa centrale, la fossa giordanica e l'altopiano della Transgiordania. La costa è completamente pianeggiante, a eccezione dello sperone del monte Carmelo, che forma l'unico porto naturale del paese: ciò può spiegare il fatto che gli israeliti non sono mai stati un popolo di marinai e che il mare, nella Bibbia, acquista spesso un valore simbolico negativo. Sulla costa passava la «via del mare» (cf. Mt 4,15), la grande arteria commerciale che collegava l'Egitto con Damasco che ancora nel medioevo sarà nota con il nome di via maris. La regione centrale comprende, da nord a sud, la zona montuosa della Galilea, che termina nella fertile pianura di Yizreel (o Esdrelon), poi le colline della Samaria, con al centro la città di Sichem (l'odierna Nablus) e infine la Giudea, che giunge oltre i 1000 metri di altitudine nella zona di Hebron. Al centro, tra Samaria e Giudea, si trova la città di Gerusalemme. Le montagne della Giudea terminano nel vasto deserto del Neghev, che costituisce la parte meridionale del paese. La terza zona è costituita dalla fossa giordanica, una faglia naturale percorsa dall'unico vero fiume del paese, il Giordano, che nasce alle pendici dell'Hermon (2814 metri) e scorre attraverso il lago di Tiberiade (il mare di Galilea di cui ci parlano i Vangeli) già a 210 metri sotto il livello del mare. Il fiume sfocia, dopo un percorso estremamente tortuoso, nel Mar Morto, che, com'è noto, è la massima depressione nella crosta terrestre (circa 400 metri sotto il livello del mare). Il Mar Morto è un grande lago dove la salinità, che è sei volte superiore a quella del Mediterraneo, non permette alcuna forma di vita. La quarta zona è costituita dall'altopiano transgiordanico, regione molto fertile nella parte settentrionale (le bibliche Galaad e Basan), sempre più brulla e desertica via via che si procede verso sud. La parte centrale, a sud del fiume Yabbok (il fiume della lotta di Giacobbe con Dio, cf. Gen 32), è la regione degli ammoniti, la cui antica capitale, Rabat Ammon, è la attuale città di Amman. Più a sud si trova la terra di Moab e, quasi ormai nel deserto, il territorio di Edom, ove si trova la celebre città nabatea di Petra. ![](media/image3.png) Da un punto di vista climatico, la regione palestinese presenta due sole stagioni: un'estate calda e asciutta, praticamente senza pioggia, e un inverno freddo e piovoso, che va da fine ottobre a fine aprile: sono questi i periodi delle «prime» piogge e delle piogge «tardive» di cui parla la Bibbia, in assenza delle quali si rischia la perdita del raccolto. Sono anche questi i periodi in cui si fa sentire il vento caldo del deserto, il khamsin. Le zone ove la pioggia è più abbondante, e quindi più fertili, sono le montagne della Galilea e del nord della Transgiordania; l'abbondanza delle precipitazioni diminuisce andando verso sud e verso est. A titolo di esempio, Gerusalemme riceve annualmente la stessa media di precipitazioni di Roma, circa 600 millimetri di pioggia, mentre Gerico, a soli 35 chilometri a est, appena 120 millimetri. Là dove non esistevano sorgenti l'acqua veniva conservata in cisterne che per lo più non erano sufficienti a garantire, nelle zone più aride, un'agricoltura molto fiorente. Solo alla fine del II millennio a.C. la tecnica costruttiva permise di realizzare cisterne impermeabili e di poter così abitare quelle zone in cui le precipitazioni estive sono pressoché assenti. Si comprende bene l'estremo contrasto di questa terra: dal clima subtropicale della pianura costiera si passa a quello tipicamente mediterraneo della regione montuosa centrale, per poi scendere alle regioni semidesertiche della fossa giordanica e risalire, dopo poche decine di chilometri, al fertile altopiano della Giordania. Il problema dell'acqua era senz'altro quello più urgente per gli abitanti di Israele: la dipendenza quasi esclusiva dall'acqua piovana trasformava i non infrequenti periodi di siccità in veri disastri per l'agricoltura; gli studiosi ritengono tuttavia che il clima palestinese, durante il II millennio a.C., fosse meno torrido e più piovoso di quello attuale. La grande varietà delle zone geografiche, dal deserto alla montagna alla pianura fertile, unita alla grande varietà dei climi, costituisce un elemento importante per capire molte vicende politiche e sociali di Israele: ancora oggi la geografia della regione ha la sua parte nel determinare i problemi che affliggono questa parte di mondo, per esempio il problema vitale dell'acqua. [**1**](%5Cl) ### Ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teofilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. (Lc 1,3-4) Nell'affrontare l'argomento «storia di Israele» il lettore della Bibbia rischia di sentirsi subito a disagio: egli ha spesso in mente infatti non la «storia» ma le «storie» che la Bibbia racconta, dalla creazione ai patriarchi, dal re David ai profeti, fino alle «storie» su Gesù; si tratta di episodi che spesso si collocano su uno sfondo molto nebuloso, tanto che a volte si è tentati di pensare che si tratti quasi di favole. D'altra parte, lo stesso lettore è spesso digiuno di storia e, pensando alla storicità della Bibbia, lo fa in termini banali: questo episodio, che essa ci narra, è avvenuto realmente, sì o no? E se la risposta è «no», oppure «forse», tutta la Bibbia rischia per lui di essere messa in questione. In questo brevissimo capitolo non sarà affrontato il problema della verità della Bibbia -- verità che, sia detto per inciso, non è principalmente di ordine storico (cioè la Bibbia è vera perché narra fatti realmente accaduti), ma di ordine salvifico (la Bibbia è vera perché tutto ciò che è in essa è vero relativamente alla nostra salvezza, vedi quanto si legge al già ricordato n. 11 della Dei Verbum). Ci limiteremo qui ad indicare un metodo che ci permetta poi di presentare, in modo speriamo adeguato, i tratti fondamentali della storia di Israele. Nel 1932 apparve in Italia la Storia di Israele dell'abate Ricciotti,(#_bookmark99) nota ben presto anche fuori dai confini nazionali: in quest'opera l'autore si limitava a parafrasare con sapienza il testo biblico, arricchendolo, là dove possibile, di materiali, testi e documenti provenienti dal Vicino Oriente antico, dando così la rassicurante impressione che la storia di Israele si identificasse di fatto con quella narrata nella Bibbia. Questa tendenza a considerare i testi biblici come fondamentalmente storici e a confermarli con l'uso massiccio di prove archeologiche è tipica della cosiddetta «scuola americana», sviluppatasi nell'immediato dopoguerra sulla scia degli studi dell'archeologo W.F. Albright; la Storia di Israele di J. Bright, pubblicata per la prima volta nel 1959,(#_bookmark100) ne è forse l'esempio migliore. Posizioni simili sono ben note al grande pubblico attraverso testi come il libro di W. Keller, apparso in prima edizione nel 1955 con il titolo tedesco Und die Bibel hat doch Recht, noto in italiano come La Bibbia aveva ragione, ancora oggi molto diffuso. Negli ultimi anni sono venute sviluppandosi posizioni molto meno ottimistiche, come quelle diffuse in alcuni libri recenti (G. Garbini, M. Liverani, I. Finkelstein -- N.A. Silberman), che minano le fondamenta, ritenute così sicure, delle scuole precedenti. Così scrive ad esempio G. Garbini: «I racconti che si trovano nella Bibbia ebraica tutto sono meno che storici, ed è pertanto ozioso cercare in essa una "idea storica"\...».(#_bookmark101) L'orientalista italiano M. Liverani e l'archeologo israeliano I. Finkelstein parlano apertamente, a proposito della storicità di molti testi biblici, di «invenzione» e di «prodotto geniale dell'immaginazione umana».(#_bookmark102) Anche il più moderato J.A. Soggin, autore dell'importante Storia di Israele pubblicata in prima edizione nel 1984, pur non condividendo in pieno le posizioni estreme di Garbini, afferma, a proposito dei patriarchi, che, pur non intendendo «negare aprioristicamente la possibilità che singole tradizioni siano antiche e possano essere ricondotte a epoche prossime agli avvenimenti e alle persone narrate»,(#_bookmark103) quello che manca allo stato attuale delle ricerche è la possibilità di una qualunque verifica. Più drasticamente, lo stesso Soggin può affermare che «quello che sappiamo sulle origini del popolo: patriarchi, esodo, conquista, appare del tutto leggendario e il poco che riusciamo a stabilire contraddice piuttosto che confermare i testi biblici».(#_bookmark104) È invece possibile, nota Soggin, accertare quello che Israele confessava della propria fede molti secoli dopo i fatti narrati. Da un estremo all'altro, dunque; oggi non è più possibile scrivere una storia di Israele rileggendo semplicemente la Bibbia: per tentare di uscire da questo vicolo cieco sottolineiamo adesso tre punti importanti da tenere sempre ben presenti. #### [L'uso delle fonti extrabibliche](%5Cl) Per «fonti extrabibliche» si intendono tutti i documenti scritti (papiri, tavolette, iscrizioni\...) provenienti da fonti estranee alla Bibbia e relativi in qualche modo alla storia di Israele. A partire dal IX-VIII secolo a.C. cominciamo ad avere fonti di questo genere che ci informano su alcuni aspetti della storia di Israele. Il grande problema per lo storico biblico è che, prima di tali date, si parla di Israele solo in due testi: la stele del faraone Merneptah, che risale al XIII secolo a.C., e la stele di Mesha, re di Moab, del IX secolo a.C.(%5Cl) È facile concludere che, se non avessimo il testo della Bibbia, conosceremmo ben poco di Israele, almeno fino all'epoca monarchica. D'altra parte, quel che conosciamo dai testi biblici non è verificabile tramite altre fonti. La domanda che può venire spontanea, a questo punto, è: perché allora non fidarsi semplicemente di ciò che la Bibbia dice? Il secondo aspetto che adesso consideriamo -- i dati dell'archeologia -- ci offre una prima risposta. #### [I dati dell'archeologia](%5Cl) A lato delle fonti scritte, l'archeologia è anch'essa di grande importanza per la storia di Israele: essa ci permette di ricostruire, e quindi di comprendere meglio l'ambiente nel quale la Bibbia nasce e di cui essa parla. Non sempre i dati archeologici sono di facile interpretazione e spesso non è agevole distinguere l'opinione dell'archeologo dai dati da lui riportati. Talvolta poi l'archeologia non dà i risultati sperati: il caso più noto e più clamoroso è senz'altro quello di Gerico, le cui mura, allo stato attuale delle ricerche, non possono essere affatto quelle crollate al suono delle trombe di Giosuè. Un tale risultato può apparire quasi scandaloso a chi è abituato a una lettura superficiale della Bibbia, ma in realtà è un aiuto per comprenderla meglio. Molte altre volte i risultati dell'archeologia contraddicono o non appoggiano il testo biblico: questo ci fa comprendere che le cose sono più complesse di quanto si pensi. #### [Storia e reinterpretazione della storia nella Bibbia](%5Cl) La Bibbia non è un libro piovuto dal cielo, scritto da un solo autore in un'epoca ben precisa: ogni libro della Bibbia ha una sua -- spesso complessa! -- storia di composizione, che può essere durata anche secoli. Ciò può sembrare ovvio, ma non va mai dimenticato: se è vero infatti che le parti più antiche del Pentateuco possono risalire, nella loro forma scritta, non più in là dell'VIII secolo a.C., ebbene, vi è una distanza di parecchi secoli con i fatti narrati.(#_bookmark106) Secondo la cronologia più tradizionale, ad esempio, i patriarchi si collocavano nel XVIII-XVII secolo a.C., appunto almeno nove/dieci secoli prima della stesura dei primi testi scritti che ne parlano. L'esempio classico è il testo di Gen 12,6, dove si ricorda che i cananei abitavano «allora» il paese, ma che evidentemente non ci abitavano più quando, molti secoli dopo i fatti narrati, il testo fu scritto. Questa distanza tra i fatti narrati e i fatti avvenuti rende spesso del tutto impossibile una vera ricostruzione storica degli avvenimenti. A ciò si aggiunga che l'autore biblico rilegge tali avvenimenti alla luce delle condizioni sociali, politiche, religiose del suo tempo; inoltre, egli è interessato al messaggio teologico in essi contenuto, appunto alla «parola di Dio» che quel fatto rappresenta. Siamo dunque di fronte a testi che si occupano di storia, ma si tratta di storia interpretata, e non ci deve dunque meravigliare il fatto che l'interpretazione spesso non corrisponda alla realtà dei fatti. #### [Quando far iniziare una storia di Israele?](%5Cl) Un'ultima questione: quando fare iniziare una storia di Israele? Anche un lettore alle prime armi dovrebbe ormai sapere che l'inizio della storia biblica, il racconto della creazione contenuto in Gen 1-- 11, non è «storia» in senso proprio. Sembrerebbe dunque opportuno iniziare con la tappa successiva, quella dei patriarchi, come alcuni degli storici di Israele hanno fatto nel passato. In realtà, già su questo punto c'è una grande diversità di opinioni: alcuni iniziano la storia di Israele piuttosto con l'esodo, altri invece con l'unione delle dodici tribù e l'ingresso in Canaan, altri ancora con il periodo dei giudici, altri con la monarchia davidica. Quest'ultima posizione, che risale agli studi di B. Stade, alla fine dell'Ottocento, è difesa nella prima edizione della Storia di Israele di Soggin: «è infatti da allora che Israele comincia ad esistere come entità non soltanto etnica \[\...\] ma anche politica, in quanto si costituisce come Stato».(#_bookmark107) Alcune recenti storie di Israele rifiutano esplicitamente ogni tentativo di ricostruire la fase precedente la monarchia: così l'importante storia di Miller e Hayes conclude il capitolo dedicato alle origini di Israele affermando che «si declina ogni tentativo di ricostruire la storia più antica di Israele»; la trattazione inizia con il periodo immediatamente precedente la monarchia.(#_bookmark108) Nell'ultima edizione della sua Storia di Israele, Soggin situa invece i regni di David e di Salomone nella parte intitolata «Tradizioni sulla preistoria del popolo». Per Soggin, in effetti, l'impero di David e Salomone «presenta più problemi di quanti ne potremo mai risolvere. Le fonti che riferiscono su di esso sono tutte di origine tarda e riflettono quindi problematiche di epoche posteriori di molti secoli, quando il popolo, ormai ridotto al solo Giuda, stava passando per esperienze molto spiacevoli».(#_bookmark109) ![](media/image3.png) Tutto ciò basta a far capire come le origini di Israele siano realmente il punto più difficile e il più discusso della storia di Israele. Come già si è accennato, il grande problema che lo storico deve affrontare è la pressoché totale mancanza di fonti extrabibliche e di dati per il periodo precedente la monarchia: l'unica fonte a nostra disposizione è spesso poco più che la Bibbia stessa, e talvolta neppure quella! Il nostro punto di partenza sarà dunque una breve panoramica su questo spinoso problema delle origini di Israele, tenendo sempre presente che dobbiamo confrontarci con testi biblici ai quali non possiamo chiedere una risposta di ordine puramente storico. Gli autori biblici sono senz'altro mossi anche da un interesse storico e talora persino ideologico, ma il loro obiettivo primario è anzitutto teologico: ci troviamo di fronte a una «storia sacra», per cui la storia di Israele non può coincidere con una semplice parafrasi dei testi biblici arricchita con dati storico-archeologici. Gli autori antichi, del resto, non riescono a concepire una «storia» in senso moderno, ove la presentazione dei fatti sia il più possibile sganciata dall'elemento religioso. Per la Bibbia, inoltre, a partire dall'opera dei profeti (più o meno intorno all'VIII secolo a.C.) un ulteriore problema è cercare di comprendere il senso dell'agire del Dio di Israele all'interno della storia. Ciascuno di questi elementi dovrà essere tenuto sempre presente se si vuole in qualche modo arrivare a ricostruire un quadro soddisfacente della storia di Israele: in tal modo il lettore della Bibbia potrà collocare ciò che legge su uno sfondo non astratto ma concreto: la storia di un popolo, Israele. 1. []{#_bookmark99.anchor}Cf. la Bibliografia conclusiva, in fondo al presente volume. 2. []{#_bookmark100.anchor}J. BRIGHT, A History of Israel, Philadelphia-London 1981. 3. []{#_bookmark101.anchor}G. GARBINI, Storia e ideologia nell'Israele antico, Paideia, Brescia 1986, 248. 4. 5. []{#_bookmark103.anchor}Si veda J.A. SOGGIN, Storia di Israele, Paideia, Brescia ^2^2002, 86. 6. 7. Per questi testi si veda più avanti (pp. 30 e 62-63). 8. 9. []{#_bookmark107.anchor}J.A. SOGGIN, Storia di Israele, prima edizione Brescia 1984, 54. 10. 11. [**2**](%5Cl) ### Mio padre era un arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce\... (Dt 26,5-7) #### [I patriarchi](%5Cl) Il libro della Genesi presenta Abramo come un migrante, proveniente dalla città di Ur, nel sud della Mesopotamia: la cronologia è molto discussa, tanto che Abramo è stato collocato dagli studiosi in un arco di tempo che spazia dal II millennio a.C. addirittura fino all'epoca esilica (VI secolo a.C.). L'opinione più diffusa lo ha collocato attorno al XVIII secolo a.C., in quel periodo archeologico che viene definito «Medio Bronzo II» (tra il 1900 e il 1550 a.C. circa). Si tratta di un'epoca di discreta prosperità per la terra di Canaan:(#_bookmark133) gli insediamenti si moltiplicano, in particolare nella regione costiera, nelle colline della Shefela, tra i monti della Giudea e il mare, e nelle valli del nord, cioè nelle zone più accessibili e fertili. La popolazione, di stirpe semitica, vive concentrata in piccole città-stato, a loro volta sotto il controllo politico dell'Egitto che, insieme all'impero babilonese e agli hittiti, costituisce una delle grandi potenze dell'epoca. I primi documenti che parlano della terra di Canaan risalgono all'inizio del secondo millennio e sono i cosiddetti «testi di esecrazione» egiziani, figurine d'argilla rappresentanti i nemici fatti prigionieri sulle quali venivano scritti i nomi dei nemici stessi, accompagnati da maledizioni, insieme ai nomi delle città e dei re controllati dall'Egitto. I cananei costituivano un popolo per lo più sedentario, la cui principale occupazione era l'agricoltura; i patriarchi, invece, ci vengono presentati come seminomadi, pastori di bestiame minuto e, occasionalmente, come piccoli agricoltori, senza dimora stabile: va comunque sfatata l'immagine tradizionale che accosta i patriarchi ai grandi nomadi del deserto, come i beduini, che del resto appariranno sulla scena del Vicino Oriente antico solo molto più tardi. Al di fuori dei testi biblici non possediamo alcun'altra testimonianza sull'esistenza dei patriarchi, e questo non deve sorprenderci vista la scarsa rilevanza storica che essi potevano avere. Proprio a causa di tale assoluta mancanza di dati, i patriarchi sono stati considerati da alcuni storici come figure mitiche, invenzioni di un'epoca molto tardiva, come quella dell'esilio. La situazione in cui ci troviamo non ci permette neppure di stabilire l'origine dei patriarchi: si è pensato che facessero parte di gruppi semitici emigrati verso ovest all'inizio del secondo millennio (si è parlato di migrazioni aramee o amorree), ma la questione è ben lontana dall'essere risolta. Un'ipotesi molto suggestiva, ripresa oggi da molti studiosi, è quella di collegare le migrazioni patriarcali con i cosiddetti hapirû, gruppi nomadi e banditeschi conosciuti da testi egizi, cioè bande che scorrazzavano per il Medio Oriente verso la metà del secondo millennio a.C. Ma ogni tentativo di identificare con gli ebrei ('ibrim) questi hapirû non è stato finora convincente. Allo stesso modo, si è tentato di identificare gli ebrei con un gruppo di seminomadi di origine semitica, gli shashu, attestati in Egitto tra il XV e il XIII secolo a.C., ma siamo ancora nel campo delle ipotesi. trovare qualche corrispondenza tra le narrazioni patriarcali e il periodo storico a cui esse si riferirebbero (il già ricordato XVIII secolo a.C.). Alcune delle usanze che la Genesi attribuisce ai patriarchi potrebbero effettivamente essere poste in relazione con usanze analoghe note, all'inizio del secondo millennio, dai testi trovati negli archivi delle città-stato mediorientali di Mari, Nuzi ed Ebla, archivi recentemente scoperti e ricchissimi di testi. Si citano a questo proposito l'uso di adottare il figlio avuto da una schiava (come fa Abramo con Ismaele), l'uso di avere una schiava come concubina (Abramo e Agar), oppure la cosiddetta «legge del levirato», per cui si era tenuti a sposare la moglie del fratello morto senza figli. Queste e altre usanze relative allo stile di vita dei patriarchi, così come ci appaiono dai testi biblici, possono trovare qualche corrispondenza con i costumi delle tribù seminomadi che vivevano, all'inizio del secondo millennio a.C., nell'ambito delle città- stato sopra ricordate, anche se questo tipo di parallelismo è tutt'altro che sicuro.(#_bookmark134) Secondo i racconti genesiaci la religione dei patriarchi è la stessa che avrà poi Israele: la fede in YHWH.(#_bookmark135) Ma altri testi del Pentateuco suggeriscono un quadro differente: il noto testo di Es 3,13-15 considera Mosè come il primo cui fu rivelato il nome sacro, mentre Es 6,3 afferma esplicitamente che i patriarchi non conoscevano YHWH, ma invocavano Dio sotto il nome piuttosto misterioso di El Shadday. «Potente di Giacobbe» (Gen 49,24); ci troviamo di fronte a un Dio di famiglia, che privilegia l'etica prima che il culto. Non è possibile discutere nei dettagli la tesi di Alt, anche se l'ipotesi del «Dio dei padri» appare suggestiva. In realtà, la religione dei patriarchi non sembra essere tanto quella di un particolare gruppo storico pre-mosaico, quanto piuttosto un modo di concepire Dio da sempre diffuso all'interno del popolo d'Israele. Proiettando all'indietro nel tempo le promesse divine, i testi genesiaci uniscono la religione fondata sulle promesse a quella fondata sulla Legge.(#_bookmark136) I patriarchi adorano un Dio che porta lo stesso nome del capo degli dèi cananaici, El; lo venerano in santuari come Betel, Dan, Mambre, Sichem, probabilmente legati a culti cananaici. Quando molto tempo più tardi gli israeliti inizieranno ad adorare YHWH come unico Dio, lo identificheranno con lo stesso Dio El, conosciuto dai patriarchi. ![](media/image3.png) Lo storico, vista la povertà di dati a sua disposizione, non può dire molto più di questo: la storia patriarcale contenuta in Gen 12--50 è essenzialmente una storia di famiglie; appena tre generazioni (Abramo-Isacco-Giacobbe) nello spazio di ben tre secoli! È chiaro che ci troviamo in ogni caso davanti alla semplificazione di una storia molto più complessa. Un elemento importante che non va mai dimenticato è il fatto che il testo biblico rilegge e attualizza la storia patriarcale: nel libro della Genesi, il celebre testo di 12,1-4a è in realtà, molto probabilmente, un testo tardivo che intende rileggere l'intera vicenda di Abramo come incoraggiamento per gli esuli ebrei a Babilonia. Così non deve stupirci il fatto che l'itinerario, che porta Abramo da Ur dei caldei (popolo che nel XVIII secolo non esisteva ma che, significativamente, è presente quando il narratore scriveva, nel VI secolo a.C.) sino alla terra di Canaan, è lo stesso percorso dagli esuli di Babilonia durante il loro ritorno in patria: in tal modo la storia patriarcale acquista, nel testo biblico, un valore simbolico ed educativo che va molto al di là della sua storicità. #### [Israele in Egitto](%5Cl) Nel libro dell'Esodo si narra, come tutti ben sanno, l'uscita degli israeliti dall'Egitto; il libro della Genesi termina a sua volta con i capitoli 37--50 (la cosiddetta «storia di Giuseppe») che hanno evidentemente la funzione di introdurre la narrazione dell'esodo, riferendo la discesa degli ebrei in Egitto. La «storia di Giuseppe» sembra presentarsi, a prima vista, come ben informata relativamente all'ambiente egiziano: in Gen 41,43.45 si usano parole e nomi egiziani abbastanza comuni (ad eccezione della misteriosa parola abrek del v. 43). La posizione assunta da Giuseppe -- «maestro di palazzo» o «gran vizir» del faraone -- non è insolita, visto che nell'Egitto del secondo millennio poteva accadere che uno straniero si trovasse in posizione di grande potere. Ma il riferimento storico forse più attendibile si ritrova in Es 1,11, dove si legge che gli israeliti furono addetti alla costruzione delle città di Pitom e Ramses: Ramses è una città del delta del Nilo ricostruita con tal nome probabilmente sotto il faraone Seti I o sotto il suo successore, Ramsete II, verso il XIII secolo a.C. Della stessa epoca possediamo alcune testimonianze -- contenute nelle relazioni di guardie di frontiera egiziane -- relative all'ingresso in Egitto di gruppi di pastori provenienti dal Medio Oriente, gruppi ai quali venivano concesse in uso terre egiziane come pascoli per i loro greggi. L'ingresso degli israeliti potrebbe rientrare in questo tipo di migrazioni. Tutto ciò, però, non ci dice nulla sulla reale storicità di Gen 37--50: le fonti egiziane non dicono niente circa una venuta di «Israele» in Egitto e gli elementi sopra accennati possono far concludere al massimo che la presenza di gruppi semitici in Egitto, nel corso del XIII secolo, è un fatto verosimile; tra questi gruppi potrebbe trovarsi allora la «casa di Giacobbe» cui Genesi ed Esodo fanno riferimento. La «storia di Giuseppe» sarebbe dunque da collocarsi non nel XVIII o XVII secolo, secondo la cronologia tradizionale sui patriarchi, ma almeno quattro secoli più tardi. Il testo di Gen 37--50 è in ogni caso non tanto una narrazione a sfondo storico, ma piuttosto un'opera scritta con intenti ben precisi, per mettere cioè in luce i temi della fraternità, della paternità, del buon governo e, soprattutto, l'immagine di un Dio che guida la storia rovesciando le prospettive umane (si veda ad esempio Gen 45,5-8 e 50,24). Ciò che Gen 37--50 ci dice sull'Egitto è in realtà quel che poteva sapere uno scriba ebreo bene informato durante l'epoca monarchica. Secondo il racconto di Es 1,8 l'oppressione nasce da un cambio di dinastia: «un nuovo re che non aveva conosciuto Giuseppe», dove il riferimento potrebbe essere relativo all'avvento al trono del grande faraone Ramsete II (1290-1224 a.C., secondo una delle possibili cronologie) o forse al passaggio tra la XVIII e la XIX dinastia, avvenuto con Seti I, predecessore di Ramsete II. Anche in questo caso, tuttavia, le fonti egiziane tacciono e la stessa tradizione biblica è divisa tra il ricordo dei lavori forzati (Es 1,8-14), storicamente più verosimile, e il decreto del faraone che prevede la morte per tutti i figli maschi (Es 1,15-22); è evidente, in Es 1, la coesistenza di tradizioni letterarie diverse. Sia i motivi sia la vera natura dell'oppressione ci sfuggono: sappiamo però che i lavori forzati, cui stranieri, prigionieri di guerra e schiavi erano obbligati in Egitto, sono realtà ben note allo storico. Possediamo documenti su papiro risalenti alla XIX dinastia relativi all'impiego di schiavi e di prigionieri di guerra, dei quali si fissa, per esempio, la razione giornaliera di cibo. Nel racconto dell'Esodo l'uscita dall'Egitto è strettamente legata al nome di Mosè. Il significato stesso di questo nome rimanda ancora una volta a un contesto egiziano, in questo caso molto verosimile: mosis è un suffisso egiziano che significa «figlio di», legato frequentemente al nome di qualche divinità egiziana, come ad esempio Tut-mosis = «figlio del dio Tut». Il testo di Es 2,10 dà del nome ebraico Mosheh una etimologia popolare, facendolo derivare dall'ebraico mashah, cioè «trarre fuori», in relazione ovviamente all'evento miracoloso del suo salvataggio dalle acque del Nilo. La nascita di Mosè è narrata secondo uno schema ben noto nell'antichità, schema che ritroviamo nella leggenda di Sargon I re di Akkad (vissuto nel 2334-2280 a.C. circa, ma i testi scritti della sua leggenda che sono a nostra disposizione sono molto più recenti): già nel caso di Sargon abbiamo un bambino (il re Sargon, appunto) nato in segreto e salvato dalla madre in un cestello di giunchi abbandonato sul fiume e ritrovato da un personaggio (un portatore d'acqua, nella storia di Sargon) che alleva poi il bambino, destinato a grandi imprese. Questo probabile parallelo fa pensare che al nucleo storico relativo al personaggio-Mosè si siano poi aggiunte tradizioni e riletture successive che rendono difficile metterne a fuoco il preciso valore storico. Mosè appare, in ogni caso, come una figura chiave del Pentateuco, anche se nel resto della Bibbia ebraica è relativamente poco ricordato, almeno in proporzione all'importanza che egli ha nei primi cinque libri della Bibbia: in essi invece, oltre alla parte avuta nell'uscita dall'Egitto, Mosè appare anche come il fondatore dello yahwismo, il mediatore tra Dio e il popolo, colui al quale -- secondo il racconto di Es 3,13-15 -- Dio ha rivelato il suo nome, YHWH, e ha donato la sua Legge, la Tôrah (cf. Es 19--24). #### [Esodo e Sinai](%5Cl) Nel libro dell'Esodo, il racconto dell'uscita dall'Egitto inizia con la celebre descrizione delle piaghe, che comprende quasi ben cinque capitoli, da Es 7,14 fino a 11,10. In un passato non troppo lontano molti esegeti si sono sforzati di darne una spiegazione scientifica, cercando di collegare le piaghe con fenomeni naturali più o meno comuni in Egitto.(#_bookmark137) Questo tipo di concordismo è ormai superato e il motivo sta nello stesso testo biblico. Nel lungo racconto sulle piaghe emergono infatti almeno tre tradizioni diverse, con numerose contraddizioni interne. Le piaghe sono poi menzionate in due altri testi della Bibbia ebraica, con numeri diversi: sono infatti nove in Sal 78,43-51 e otto in Sal 105,27-36. Inoltre, si può facilmente notare come ogni piaga viene narrata secondo uno schema letterario ben preciso che, andando al di là del semplice fatto storico, ne mette in risalto piuttosto il valore teologico di «segno».(#_bookmark138) Nel preludio al racconto delle piaghe (Es 7,1-5) esse sono chiamate proprio «segni e prodigi» (v. 3) mediante i quali gli egiziani «sapranno che io sono il Signore» (v. 5). Così, dietro il ricordo di fatti che, ancora una volta, non ci è più possibile precisare, si colloca il chiaro intento teologico dei narratori, che scoprono in quei lontani eventi la presenza di Dio nella storia del popolo e a questa luce li trasmettono agli uomini del loro tempo. La stessa cosa avviene anche per il passaggio del Mar Rosso (il celebre e bellissimo testo di Es 14): bisogna intanto ricordare che il testo dell'Esodo non parla in realtà di «Mar Rosso», ma piuttosto di «Mare delle Canne» o «dei Giunchi», che non corrisponde al mar Rosso che noi conosciamo oggi. I tentativi di identificare il punto esatto del passaggio degli israeliti si sono moltiplicati: si è pensato ai Laghi Amari, nella zona a est del delta, dove oggi passa il canale di Suez; si è pensato anche alla zona costiera presso il Mediterraneo, zona paludosa che ben spiegherebbe l'espressione «Mare delle Canne». Ma ancora una volta siamo nel campo delle ipotesi, più o meno discutibili. La redazione sacerdotale dell'Esodo fa del passaggio del mare un corteo trionfale tra due muraglie d'acqua (cf. Es 14,22), mentre in una tradizione parallela, forse più antica, il «miracolo» è, più semplicemente, il vento d'oriente che prosciuga l'acqua del mare permettendone il guado (cf. Es 14,21). Esiste almeno un'altra versione dell'accaduto, in Es 14,24-25, che parla più semplicemente della fuga degli egiziani, bloccati dal Signore nel loro campo e impossibilitati a inseguire gli israeliti. Per spiegare questo tipo di contraddizioni, dovute all'esistenza di versioni divergenti e spesso contraddittorie, è nata la nota teoria di R. De Vaux,(#_bookmark139) secondo il quale siamo di fronte non a uno ma a due differenti esodi dall'Egitto: un «esodo-fuga» e un «esodo-espulsione». Così, l'uscita dall'Egitto sarebbe avvenuta in tempi e modi diversi da parte di almeno due gruppi di israeliti, uno fuggito, l'altro espulso: ciò risolverebbe il problema della diversità di tradizioni. Cronologicamente tutto ciò si collocherebbe intorno al 1250 a.C., cioè all'epoca di Ramsete II.(%5Cl) Accettando o meno questa teoria, del resto molto discussa, ci possiamo rendere conto di come le motivazioni teologiche che sottostanno al testo biblico abbiano anche in questo caso la preminenza sull'esattezza storica che in casi come questo sarà impossibile ottenere. Le fonti egiziane ignorano questo avvenimento (pur se nel papiro Anastasi V abbiamo la relazione di un ufficiale di frontiera che insegue un gruppo di schiavi fuggitivi), il cui ricordo resta più nella memoria teologica di Israele che in quella tramandata dai documenti storici. ![](media/image3.png) Il racconto dell'uscita dall'Egitto prosegue con un altro evento chiave nel racconto del Pentateuco, l'arrivo al monte Sinai (chiamato anche Horeb), l'alleanza con Dio e il dono della Legge, una lunghissima sezione che va da Es 19, attraverso il libro del Levitico, fino a Nm 10,33, quando gli israeliti ripartono dal Sinai. Tradizionalmente si identifica il monte Sinai con l'attuale Jebel Mussa (2244 metri di altezza, nella parte meridionale della penisola sinaitica) ove oggi si trova il celebre monastero greco-ortodosso di Santa Caterina. L'identificazione è stata più volte messa in dubbio, esattamente come nel caso del passaggio del mare e si è pensato addirittura ai monti dell'Arabia:(#_bookmark141) anche in questo caso il lettore moderno non vedrà soddisfatta la sua curiosità. Sul monte Sinai/Horeb il testo di Es 20,1-17 colloca la celebre tradizione sul «decalogo» che il Signore avrebbe donato a Mosè; gli studi attuali hanno ormai messo in luce come il testo del decalogo vada considerato parte di una tradizione di epoca monarchica, la cui origine è senz'altro indipendente da quella sinaitica (si veda la chiara frattura tra la fine del c. 19 ed Es 20,1). Il periodo passato dagli israeliti nel deserto è calcolato secondo la cifra convenzionale di 40 anni (cf. Nm 14,34): si tratta in realtà di un periodo di tempo molto indefinito in cui quel gruppo (o quei gruppi, se volessimo accettare la teoria di De Vaux) di israeliti usciti dall'Egitto assume una fisionomia più precisa e comincia a esistere come popolo. Ma tutto ciò ci rimanda a un problema ben più complesso, quello cioè delle origini di Israele come popolo e della sua presenza nella terra di Canaan. #### [L'installazione in Canaan: il problema delle origini](%5Cl) Al Museo Egizio del Cairo è ben visibile la stele del faraone Merneptah, scoperta dall'archeologo inglese Flinders Petrie nel 1895 e databile, seppur con una certa approssimazione, intorno al 1220 a.C. La stele riporta un'iscrizione di 28 righe con l'elenco delle vittorie ottenute dal faraone. Alle righe 26 e 27 il testo parla della sottomissione delle popolazioni dell'Asia: si nominano gli hittiti, i cananei, le città di Ascalon, Ghezer e Yanoam e si aggiunge -- almeno secondo l'interpretazione corrente -- «Israele è annientato, non ha più seme».(#_bookmark142) Va sottolineato come studi recenti abbiano contribuito a minimizzare le conquiste del faraone vantate nella stele; oggi dovremmo parlare al riguardo di letteratura di propaganda. Si tratta comunque di un testo molto importante, perché, per la prima volta, viene attestata l'esistenza di una entità «Israele», preceduta, secondo l'uso egizio, dal determinativo che non indica una città ma un «gruppo», il che potrebbe indicare una popolazione non ancora sedentarizzata. Geograficamente Israele viene collocato, nella stele, a lato delle città-stato della terra di Canaan, senza che tuttavia possiamo conoscerne con più precisione l'esatta localizzazione. La versione che potremmo definire «canonica» dell'ingresso di Israele in Canaan è ben nota: secondo il libro di Giosuè si è trattato di una vera e propria conquista militare, una città dopo l'altra. Secondo il racconto biblico, il popolo di Israele, dopo la morte di Mosè, sotto la guida del suo successore Giosuè, passa il Giordano che miracolosamente arresta il suo corso (Gs 3,14-17), entrando in Canaan e conquistando tutto il paese a partire dalla città di Gerico, dove avviene il celebre prodigio del crollo delle mura al suono delle trombe (Gs 6). In questa azione, tutte e dodici le tribù agiscono concordi, come un vero e proprio esercito, con l'accompagnamento di altri prodigi e miracoli: si ricordi ancora un altro episodio, quello del sole che si arresta su Gabaon (Gs 10,10-15), testo che per molto tempo verrà preso alla lettera, quasi come un'affermazione scientifica circa il sole che gira attorno alla terra.(#_bookmark143) L'inizio del libro dei Giudici ci presenta invece una versione della conquista piuttosto diversa: il testo di Gdc 1,1--2,5 mostra le singole tribù in azione l'una indipendentemente dall'altra, non tutte unite come nel racconto del libro di Giosuè. Inoltre Gdc 3,1-6 è un lungo elenco di popolazioni locali che Israele non avrebbe scacciato: a ben guardare, la «conquista» si sarebbe limitata a zone scarsamente popolate, mentre le potenti città-stato della pianura sarebbero rimaste intatte: ### «Il Signore fu con Giuda, che scacciò gli abitanti delle montagne, ma non poté espellere gli abitanti della pianura, perché muniti di carri di ferro» (Gdc 1,19). L'inizio del capitolo 2 del libro dei Giudici legge questa mancata conquista in chiave teologica: Israele non ha ascoltato la voce di Dio, perciò Dio non ha scacciato del tutto i popoli di Canaan dalla loro terra (Gdc 2,1-5). È interessante vedere, infine, come in almeno un caso lo stesso libro di Giosuè sia testimone del fatto che la conquista avvenne in realtà in modo pacifico (cf. Gs 8,30-35, a proposito della presa di Sichem). Per quanto riguarda le tribù, il libro dei Giudici fa comprendere come fossero ben lontane dall'essere unite: le tribù del nord agiscono sempre in modo indipendente (l'antico «canto di Debora» in Gdc 5 ne nomina soltanto sei); Beniamino appare escluso e addirittura nemico delle altre tribù (Gdc 19--21), mentre le tribù transgiordaniche (Gad e Manasse) e quelle del sud (Giuda) appaiono del tutto autonome dalle altre. Il testo biblico ci presenta dunque un evidente contrasto tra la descrizione di una conquista unitaria e militare del paese (Gs) e una conquista più lenta e frammentaria (Gdc): è uno degli scogli che lo storico deve affrontare, se vuole dare una risposta plausibile al problema delle origini di Israele. Si tratta di una questione che è stata molto studiata in questi ultimi anni, dando vita a diverse teorie in proposito. Dobbiamo subito confessare che una soluzione accolta da tutti è ancora lontana e la discussione resta aperta. 1. La soluzione apparentemente più ovvia è seguire il racconto del libro di Giosuè: Israele cioè entra in Canaan, come insieme di tribù unite, provenienti dall'Egitto, e conquista militarmente il paese.(#_bookmark144) L'obiezione principale a questa posizione viene dai risultati dell'archeologia: è senz'altro vero che diverse città che Giosuè avrebbe distrutto intorno al 1250-1200 a.C. risultano in rovina, ma è altrettanto vero che i motivi di tali distruzioni possono essere fatti risalire a incursioni filistee, a campagne militari egiziane, tutt'altro che infrequenti, o perfino a cause naturali come incendi o terremoti. Inoltre, alcune delle città che Giosuè avrebbe conquistato e distrutto risultano semplicemente disabitate durante quel periodo: è il caso di Arad, di Ai e, caso più noto, di Gerico. Quest'ultima è per noi un esempio molto istruttivo: una campagna di scavi, condotta sul posto nel 1930-1936, fece pensare -- con grande entusiasmo degli archeologi -- di aver ritrovato le rovine di quelle mura che sarebbero crollate al suono delle trombe israelite. Gli scavi successivi, a vent'anni di distanza, dimostrarono che tali mura, ancora oggi ben visibili, risalgono in realtà al periodo del Bronzo Antico, ovvero a più di un millennio prima dell'usuale datazione della conquista. Intorno al 1250-1200 a.C. la città appare, almeno allo stato attuale delle ricerche, semplicemente abbandonata; non vi sono tracce di mura né di una loro eventuale distruzione.(#_bookmark145) È evidente come basti questo dato archeologico a mettere in crisi tutta la teoria relativa a una conquista militare, i cui sostenitori si rifugiano a volte nell'affermazione che i resti della Gerico di Giosuè sarebbero stati asportati dall'erosione, cosa che naturalmente non può essere provata. Alla base del racconto della conquista di Gerico, come ci è tramandato in Gs 6, bisogna allora leggere un racconto cultuale, che trasforma un episodio di conquista in un atto liturgico, un gesto sacro celebrato dai sacerdoti. Del resto l'intento del libro di Giosuè, prima di essere storiografico, è teologico, mira cioè a esortare gli israeliti ad aver fiducia in YHWH e ad osservare la sua Legge (cf. ciò che Dio chiede a Giosuè in Gs 1,1-9). 2. Fallito il tentativo di giustificare storicamente la visione della conquista così come il libro di Giosuè ce la presenta, si è pensato di elaborare un modello diverso che parte dall'idea di una infiltrazione graduale e pacifica almeno nella fase iniziale, da parte di singoli gruppi di israeliti.(#_bookmark146) «Israele» sarebbe dunque costituito da una serie di tribù seminomadi che, all'inizio dell'età del Ferro (1200-1150 a.C.), si sarebbero insediate, prima pacificamente e, solo in seguito, anche con la forza, sulle montagne della regione centrale, cioè nelle regioni meno popolate. Un tentativo di accordare questa teoria con la precedente, operato ancora una volta da R. De Vaux, parla piuttosto di «insediamento», cercando di mostrare come l'installazione degli israeliti in Canaan sarebbe avvenuta in parte in modo graduale (delle enclaves cananaiche sarebbero esistite sino al tempo di David) e pacifica, almeno in un primo tempo, per conoscere poi lotte durante il periodo dei giudici. 3. Negli anni '60 e '70 si è provata un'altra via, un tentativo di spiegazione da un punto di vista sociologico: due autori (G.E. Mendenhall e N.K. Gottwald) hanno proposto una visione del tutto nuova, circa la nascita di Israele. Non ci sarebbe stata alcuna conquista, né alcuna infiltrazione o insediamento: Israele sarebbe sempre stato in Canaan e si sarebbe formato come popolo soltanto in seguito alla rivolta delle classi contadine contro la potenza delle città-stato cananee. Sotto l'influsso di gruppi di leviti provenienti dall'Egitto si sarebbe anche sviluppato il culto di YHWH, culto sperimentato da quei gruppi nel deserto. L'idea di una rivolta contadina chiarisce come mai questa teoria abbia avuto fortuna nell'epoca in cui è apparsa: si tratta purtroppo di un presupposto finora non suffragato da prove sufficienti, che tuttavia ha il pregio di sottolineare l'aspetto sociale, fino ad allora poco considerato, delle origini di Israele. Inoltre, secondo questa teoria, non ci sarebbe stato alcun arrivo di Israele «da fuori»; gli israeliti nascono dall'interno stesso della terra di Canaan. Su questo punto dobbiamo ancora riflettere alla luce di una teoria ancora più recente. 4. Quale soluzione dunque? Onestamente si deve ammettere che una risposta certa non è stata ancora data. Sulla base delle conoscenze attuali si possono raggiungere, come già si è accennato, conclusioni solo probabili, che adesso cercheremo di esporre alla luce di una teoria oggi accolta da molti studiosi. Alla fine dell'età del Bronzo, tra il 1400 e il 1200 a.C. circa, la terra di Canaan si presenta abitata da popolazioni di origine semitica (i cananei, appunto), raggruppate, come si è visto, in città-stato sotto il controllo egiziano. Proprio queste città attraversano, in tale periodo, un momento di crisi. Con una certa approssimazione, gli archeologi calcolano che la popolazione di Canaan sia scesa, nel Tardo Bronzo, a soli 60-70 mila abitanti, dai circa 140 mila del Bronzo Medio; cifre così basse non ci devono stupire: solo le successive innovazioni tecniche e l'introduzione del ferro, infatti, consentiranno un miglioramento dell'agricoltura e la crescita della popolazione anche in zone sino ad allora disabitate. Siamo così di fronte a una sorta di «collasso» del quale ancora non conosciamo le cause. Molte località risultano abbandonate, altre distrutte e, tra queste, le città di Betel, Debir, Lachish, Meghiddo, Hazor, località tutte ricordate nel libro di Giosuè. Inoltre, all'inizio dell'età del Ferro, si nota un rapido incremento della popolazione, con un aumento del numero degli insediamenti, in particolare nelle già ricordate zone montuose centrali, sino ad allora le più spopolate. Ciò si può in parte spiegare con l'introduzione dell'uso del ferro, che permette il disboscamento delle zone collinari e l'uso dei terrazzamenti. Abbiamo perciò indizi che, a cavallo tra l'età del Bronzo e quella del Ferro I, cioè più o meno attorno al 1200 a.C., il periodo tradizionale della «conquista», nella terra di Canaan si passa da un periodo di crisi a uno di maggior prosperità e di nuovi insediamenti: circa 250 nuove piccole comunità rurali, non fortificate, nelle regioni montuose di Canaan, attestanti l'esistenza di una popolazione a carattere agro-pastorale, organizzata non come le città-stato ma su basi etnico-tribali. Tra questi nuovi insediamenti potremmo collocare quelli degli israeliti.(#_bookmark147) Se la presenza degli israeliti in questo periodo appare quanto meno verosimile, resta il dilemma della loro provenienza. Un notevole problema è costituito dal fatto che questi nuovi insediamenti non rivelano affatto la presenza di una nuova popolazione: gli abitanti di queste località non sembrano differenziarsi dalle locali popolazioni cananaiche né per le tecniche edilizie o agricole usate né per la ceramica né, più in generale, per la cultura. Ciò si spiega solo affermando che tra israeliti e popolazioni cananaiche non vi sarebbero vere e proprie differenze etniche: Israele non avrebbe soppiantato d'un colpo le altre popolazioni cananaiche, anch'esse di origine semitica, ma si sarebbe gradualmente affiancato a esse, differenziandosi da loro soprattutto sul piano religioso. Se ciò fosse vero, gli israeliti sarebbero il prodotto -- e non la causa -- del collasso delle città-stato cananaiche. Già su questo piano, tuttavia, si possono osservare notevoli parentele tra gli israeliti e le altre popolazioni cananaiche: per esempio, il dio El, adorato dai patriarchi (cf. Gen 33,20), porta lo stesso nome del capo degli dèi cananaici. Portando all'estremo le conseguenze di simili affermazioni si è oggi arrivati a sostenere la tesi di un «Israele cananeo».(#_bookmark148) Solo dopo molto tempo YHWH si imporrà su Baal, uno dei più importanti dèi del paese di Canaan (si ricordi la sfida di Elia con i sacerdoti di Baal narrata in 1Re 18), un processo che si completerà finalmente in epoca esilica (VI secolo a.C.). Quella che noi chiamiamo «conquista» va dunque riconsiderata come un processo molto più complesso che i testi biblici, sia il libro di Giosuè che quello dei Giudici, hanno successivamente riletto alla luce della loro peculiare visione religiosa: si ritiene oggi, ad esempio, che la concezione relativa all'esistenza delle dodici tribù unite nasca solo dopo l'istituzione della monarchia. Il libro di Giosuè ha conservato e amplificato una tradizione militare che deve essere stata minima, mentre la versione del libro dei Giudici appare storicamente più verosimile; i singoli gruppi tribali vivono separati tra loro e si uniscono per ragioni di difesa o in base a una fede religiosa comune. Nella varietà delle teorie proposte, e a proposito di quest'ultima in modo particolare, resta da risolvere la contraddizione esistente tra questi elementi: la coscienza biblica di un Israele «straniero» (il soggiorno in Egitto e il cammino nel deserto), che appare difficilmente conciliabile con la teoria della rivolta contadina; la presenza dell'influsso cananaico (si potrebbe più esattamente parlare di identità etnica con i cananei); il sorgere di una forma di monoteismo del tutto diversa dalla religione cananaica; i dati archeologici, infine, spesso essi stessi contraddittori. Il problema resta più che mai aperto: l'unico elemento oggi acquisito sembra essere soltanto il rifiuto della visione tradizionale della «conquista», almeno quella narrata da Giosuè in una chiave che, in ogni caso, indulge senza alcun dubbio più al genere epico che alla storia. Tutto ciò ci conduce a rivalutare almeno in parte il racconto dei Giudici e a vedere le origini di Israele come un fenomeno lento e complesso nel quale, non possiamo escludere azioni militari su scala ridotta, infiltrazioni graduali, parentele strette tra «israeliti» e «cananei». Queste considerazioni hanno infine una grande importanza sul nostro modo di leggere i racconti biblici, più che come cronaca di fatti, come ciò che Israele pensava, teologicamente e persino politicamente, riguardo a questi eventi. V. ### «In quel tempo non c'era un re in Israele: ognuno faceva quello che gli pareva meglio» (Gdc 17,6). Così il libro dei Giudici presenta il periodo che segue l'ingresso in Canaan, periodo noto appunto come «dei giudici». Tradizionalmente lo si è fatto estendere dal 1200 sino al 1050 a.C. circa. La parola «giudice» non deve far pensare al giudice di un tribunale, quanto piuttosto a un leader carismatico, un capo militare con poteri precisi nel momento del bisogno. Il «giudice» israelita ha qualche analogia con i magistrati fenici che a Cartagine venivano chiamati suffeti: in ebraico «giudice» si dice appunto shophet, dal verbo shaphat che indica sia «esercitare un potere» che «giudicare» in senso giudiziario. Di questi giudici il testo biblico ne ricorda dodici, numero chiaramente simbolico: ben noti sono i nomi di Gedeone e Sansone, le cui gesta occupano larga parte del libro dei Giudici (Gedeone: Gdc 6,1--8,35; Sansone: 13,1--16,31). Le tribù di Israele appaiono, in questo periodo, ancora slegate tra loro(#_bookmark149) e circondate da popolazioni ostili: il libro dei Giudici interpreta in chiave teologica ogni guerra o semplice scaramuccia sostenuta dalle varie tribù. La storia di Gedeone inizia con un'affermazione che, nel libro dei Giudici, è come un ritornello: ### «gli israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore e il Signore li mise nelle mani di Madian per sette anni» (Gdc 6,1). La chiamata di Gedeone e la sua vittoriosa campagna militare sono il segno della salvezza che Dio, nonostante tutto, continua ad accordare al popolo, servendosi di un uomo appositamente scelto e chiamato il giudice, appunto: ### «Quando il Signore suscitava loro dei giudici, il Signore era con il giudice e li liberava dalla mano dei loro nemici durante tutta la vita del giudice; perché il Signore si lasciava commuovere dai loro gemiti sotto il giogo dei loro oppressori» (Gdc 2,18). Ogni giudice, dunque, è una figura animata dallo Spirito del Signore, mandata da Dio a liberare il suo popolo, secondo un ben preciso schema ancora una volta chiaramente teologico piuttosto che storico, che mette in luce la precisa finalità dell'autore. Oltre ai nemici materiali i giudici sono presentati anche nell'atto di combattere i culti cananaici, culti agricoli legati alla fertilità: chi ha letto il libro dei Giudici si ricorderà come si nominano spesso gli dèi di Canaan, Baal e Ashera, e i luoghi di culto legati ai «pali sacri» e alle colline sacre, gli «alti luoghi». C'è da chiedersi quanto questa polemica antiidolatrica sia realmente un'eco del tempo dei giudici o piuttosto una proiezione nel passato di problemi molto più vivi al tempo in cui il libro dei Giudici è stato scritto. Da un punto di vista sociale, la base della società del tempo sembra essere la famiglia, la bet-'ab, in ebraico la «casa del padre», intesa come famiglia patriarcale, composta dal nonno, dai figli, dai nipoti, tutti a loro volta con le rispettive famiglie, cui si devono ancora aggiungere gli altri parenti stretti e i servi. Questa famiglia allargata, unita ad altre famiglie spesso imparentate fra loro, forma un clan, cui si può far corrispondere, con qualche approssimazione, un intero villaggio. I clan viventi in un dato territorio, legati tra loro da tradizioni comuni, si considerano una «tribù», cioè un'entità indipendente, legata solo occasionalmente, come già si è accennato, ad altre tribù, spesso per motivi religiosi (pellegrinaggi a un unico santuario) o militari (difesa contro un nemico comune). Le tribù che si troveranno riunite, oltre che da legami etnici, economici e politici, dalla fede in uno stesso Dio, YHWH, formeranno quello che poi diventerà il popolo di Israele. Del periodo dei giudici, al di là delle tradizioni popolari su personaggi come Gedeone e Sansone, resta l'immagine di un Israele in corso di sedentarizzazione, ancora non unito come un solo popolo e insediato soltanto in alcune zone del paese di Canaan. Le battaglie, di cui anche il libro dei Giudici, come già quello di Giosuè, è costellato, conservano il ricordo delle tensioni con le popolazioni locali e confinanti, degenerate verosimilmente in scontri di varia entità che, come vedremo, porteranno le tribù a unirsi e saranno una delle cause principali della nascita della monarchia. 1. []{#_bookmark133.anchor}Per una panoramica della storia del Medio Oriente antico si veda l'interessante e ricchissima opera di M. LIVERANI, Antico Oriente. Storia, Società, Economia, Bari 1988, in particolare le pp. 661-692 su Israele. 2. []{#_bookmark134.anchor}Per quanto riguarda il nomadismo e lo stile di vita dei patriarchi quale ci è narrato dai testi biblici, ha ancora valore l'opera classica di R. DE VAUX, Istituzioni dell'Antico Testamento, Casale Monferrato ^3^1977, 13-26. Sullo stato della questione relativa alla storicità dei racconti patriarcali cf. G. COUTURIER (ed.), Les Patriarches et l'histoire. Autour d'une article inédit du pére J.M. Lagrange o.p., Cerf-Fides, Paris-Montréal 1998. 3. []{#_bookmark135.anchor}Indichiamo con YHWH (il «tetragramma») il nome di Dio connesso molto probabilmente con una forma del verbo ebraico hyh = «esserci» e anche 4. []{#_bookmark136.anchor}La storia della religione di Israele è un problema estremamente complesso, in particolare la questione relativa alla nascita e allo sviluppo dello yahwismo. Ricordo le recenti traduzioni italiane delle opere di A. LEMAIRE, La nascita del monoteismo, Brescia 2005 (originale francese del 2003) e R. ALBERTZ, Storia della religione dell'Israele antico, 2 voll., Brescia 2005 (originale tedesco del 1992). 5. []{#_bookmark137.anchor}In questo modo, ad esempio, la prima piaga, le acque del Nilo cambiate in sangue, farebbe riferimento al fenomeno naturale che durante la grande piena di luglio-agosto colorerebbe di rosso l'acqua del fiume a causa della presenza di un microrganismo chiamato Euglana sanguinea. Il più completo tentativo di ricostruzione scientifica in tal senso resta quello di G. HORT, «The Plagues of Egypt», in ZAW 69(1957), 84-103; 70(1958), 48-59, studio ripreso in molti commenti successivi. 6. []{#_bookmark138.anchor}Cf. le chiavi di lettura presentate da G. VANHOOMISSEN, Cominciando da Mosè. Dall'Egitto alla Terra Promessa, EDB, Bologna 2004, 131-140. 7. []{#_bookmark139.anchor}R. DE VAUX, celebre domenicano, biblista e archeologo francese morto nel 1971, membro dell'école Biblique di Gerusalemme, è stato il direttore della traduzione biblica a tutti nota come la Bibbia di Gerusalemme, uscita nella sua prima edizione francese nel 1955 (l'ultima edizione è del 1998). Per la teoria del doppio esodo si vedano ancora le note a Es 11,1 e 13,17 nell'ultima edizione francese della Bible de Jérusalem. 8. Con ciò la teoria di De Vaux servirebbe molto bene a spiegare anche la diversità di itinerari che il testo biblico attribuisce agli israeliti in fuga: mentre in Es 14,2-9 sembrano passare dal nord, per la strada «dei filistei», sulla costa mediterranea, il testo di Es 13,17 afferma esplicitamente che tale strada fu evitata. 9. []{#_bookmark141.anchor}L'archeologo E. Anati ha proposto di identificare il Sinai con lo Har Kharkom, un monte nel deserto del Neghev, presso l'oasi di Qadesh, una delle tappe del cammino nel deserto: oltre alla fragilità delle prove archeologiche riportate da Anati, resta del tutto discutibile la sua pretesa di voler datare l'esodo addirittura nel III millennio a.C. Cf. E. ANATI, Har Kharkom. Montagna sacra nel deserto dell'Esodo, Milano 1984. 10. []{#_bookmark142.anchor}Una parte del testo della stele è disponibile in traduzione italiana in L'Antico Testamento e le culture del tempo, Borla, Roma 1990, 151. 11. []{#_bookmark143.anchor}Si ricordi l'opposizione che la Chiesa fece all'ipotesi eliocentrica di Galileo Galilei (1564-1642), che sembrava negare tali supposte verità bibliche! 12. []{#_bookmark144.anchor}La teoria della singola invasione militare è sostenuta in particolare da quella che possiamo chiamare la «scuola americana», a partire dagli scavi di W.F. Albright (1920-1930) in poi (cf. quanto detto sopra, a p. 16). 13. 14. []{#_bookmark146.anchor}La teoria nasce in ambito tedesco con gli studi di A. Alt alla fine degli anni '30, studi ripresi poi da M. Noth († 1968): quest'ultimo elaborò l'idea della «lega delle dodici tribù» (da lui chiamata con termine greco di anfizonia). Israele sarebbe nato, secondo Noth, come unione delle dodici tribù attorno a un unico luogo di culto, scelto per la presenza dell'arca della alleanza. Benché la teoria, senz'altro suggestiva, abbia trovato in partenza molti sostenitori, è stata successivamente messa in discussione: in particolare non esistono prove certe relative all'esistenza di dodici tribù unite in una simile lega sacra. 15. []{#_bookmark147.anchor}O dei «proto-israeliti», cf. M. LIVERANI, Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, Laterza, Bari 2003, 58-87, specialmente per la descrizione degli insediamenti in questione. 16. []{#_bookmark148.anchor}Si vedano a questo proposito gli studi di P. ARATA MANTOVANI, «La conquista di Israele», in Rivista Biblica Italiana 36(1988), 47-60: «Israele, come entità religiosa distinta dal circondario non emerge fino all'età persiana ed è addirittura molto difficile da scorgere fino a quella ellenistica» (ivi, 58). L'affermazione, se potrebbe trovare qualche appoggio su un piano rigidamente archeologico, appare una proclamazione di principio che non tiene conto, tra l'altro, della tradizione biblica che risale certamente al di là dell'epoca persiana. 17. [**3**](%5Cl) ### Ho trovato Davide, mio servo, ### il mio braccio, la sua forza\... #### [I. Saul: il popolo si dà un re](%5Cl) La causa principale che ha portato Israele a crearsi una monarchia, in analogia con gli altri popoli del Medio Oriente antico, è senz'altro rappresentata da uno stimolo esterno, ben identificabile nella pressione esercitata dai filistei. Solo da poco tempo si è cominciato a conoscere più a fondo questo popolo, forse di origine indoeuropea, arrivato all'inizio dell'età del Ferro nell'area del Mediterraneo orientale, proveniente dall'Egeo, parte di quella ondata conosciuta come i «popoli del mare», che tentò anche, pare senza successo, di invadere l'Egitto, sotto il regno di Ramsete III (1190 a.C. circa). I filistei si stabilirono in quella striscia costiera che si trova a sud dell'attuale Tel Aviv, la cosiddetta Pentapoli filistea, cioè le cinque città di Asqelon, Gat, Ekron, Ashdod e Gaza (Gs 13,3). L'influenza filistea era tuttavia molto più rilevante di quanto le ridotte dimensioni del territorio occupato possano far pensare. La presenza dei filistei è documentata infatti fin sulle colline della Giudea e persino nella Galilea; insediamenti filistei sono stati trovati addirittura al di là del Giordano. La superiorità militare dei filistei è ricordata dalla Bibbia stessa: il testo di 1Sam 13,19-22 annota come essi possedevano il monopolio del ferro, il che garantiva loro una ovvia posizione di vantaggio non solo sul piano militare (di fronte a soldati forniti ancora di armi in bronzo), ma anche sul piano economico.(#_bookmark165) La pressione militare filistea è del resto ben comprensibile: si tratta infatti di una popolazione appena arrivata e dunque in fase di espansione, in conflitto con le popolazioni locali e, tra queste, gli israeliti. Ben noti alla Bibbia, i filistei diventeranno il nemico di Israele per eccellenza, almeno per tutta la prima parte dell'epoca monarchica. ![](media/image3.png) Il testo biblico di 1Sam 4 introduce la serie di avvenimenti che portarono alla nascita della monarchia con una sconfitta interpretata dal testo stesso come catastrofe nazionale: la disfatta subita dagli israeliti da parte dei filistei, presso la località di Afek, non lontano dall'attuale Tel Aviv. Il segno più tragico di questa sconfitta è la cattura dell'arca dell'alleanza, simbolo della presenza del Dio di Israele. Al di là del possibile valore storico di un tale episodio -- in particolare il fatto stesso dell'esistenza dell'arca -- il racconto della battaglia di Afek va visto come uno degli indizi che mostrano come la monarchia israelita può essere nata in seguito a una situazione politica di estrema difficoltà. Subito dopo la battaglia di Afek, infatti, il testo biblico introduce il personaggio di Saul, della tribù di Beniamino. Egli è visto da un lato come la continuazione di quei capi carismatici di cui si è parlato a proposito dell'epoca dei giudici; Saul viene scelto da un profeta, Samuele, e considerato come il consacrato di Dio (si veda 1Sam 10,1). È significativa al riguardo proprio la presenza di Samuele; il re ha bisogno di essere legittimato dal profeta, che a sua volta è presentato nel testo biblico un po' come l'ultimo dei giudici. Ma, allo stesso tempo, Saul appare come il primo re di Israele, la cui autorità esce rafforzata da un paio di vittorie che riesce a ottenere sui filistei e gli ammoniti (si vedano gli episodi narrati in 1Sam 11 e 13--14). Ben poco conosciamo di Saul: nulla più, in realtà, di ciò che il testo biblico ci riferisce, in assoluta mancanza di altre fonti a nostra disposizione. Il problematico testo di 1Sam 13,1 ci fa capire come si trattò di un regno brevissimo, forse neppure due anni. Paragonato ai regni successivi, quello di Saul non può neppure essere considerato veramente tale: manca una capitale, manca un governo, manca un vero e proprio esercito di professione e, soprattutto, è assente una anche minima organizzazione statale. Il territorio, inoltre, è limitato alla piccolissima zona centrale montuosa a cavallo tra Giudea e Samaria. La prima vera battaglia contro i filistei, uno scontro sui monti di Gelboe, tra la Samaria e la Galilea, databile verso il 1010 a.C. circa, vede la fine di Saul. Il testo biblico la anticipa in chiave teologica: nel racconto di 1Sam 28 lo spirito del profeta Samuele appare a Saul che lo aveva evocato tramite una negromante, predicendone la rovina: ### «Il Signore abbandonerà Israele insieme con te nelle mani dei filistei. Domani tu e i tuoi figli sarete con me» (1Sam 28,19). Il centro dell'attenzione non è dunque tanto sul dato storico, quanto piuttosto su quello teologico. Il motivo del rigetto di Saul è visto infatti, già in 1Sam 15, nel suo peccato: il rifiuto di riconoscere l'autorità del Signore e quella del suo profeta Samuele. Va ricordato, a questo punto, come nella storia di Saul appaiono alcuni testi esplicitamente antimonarchici, che ci fanno pensare all'esistenza, all'interno della Bibbia stessa, di correnti ostili alla monarchia. Ci occuperemo di questo aspetto al termine del presente capitolo. La storia di Saul, così come la leggiamo adesso nel testo biblico, appare tutta orientata in funzione di quella di David ed è frutto di riflessioni posteriori; Saul è il re malvagio, presentato quasi come un uomo afflitto da turbe mentali, che insidia la vita del suo giovane e valoroso scudiero David, del quale è follemente geloso: L'opposizione tra Saul e David, anch'essa fortemente teologizzata dal redattore del primo libro di Samuele, esprime il contrasto tra il prescelto di Dio, David, e il suo antagonista. Storicamente questo contrasto si inserisce in ovvie tensioni e scontri scatenatisi intorno a Saul, prima e subito dopo la sua morte, per garantirsi la successione. #### [II. David (1010-970 a.C.)](%5Cl) David è una delle figure centrali dell'Antico Testamento, presentato come il personaggio intorno al quale nasce Israele come nazione. Il nome «David», che significa -- sembra -- il «prediletto», ricorre nella sola Bibbia ebraica(#_bookmark167) ben 1085 volte, secondo solo ad altri due nomi propri: significativamente YHWH e Israele. Nel 1993 è stata scoperta a Tel Dan, nel nord d'Israele, una stele in aramaico che riporta un'iscrizione attribuita a Cazaèl, re di Damasco (cf. 1Re 19,15) e databile circa nell'anno 853 a.C., dove Cazaèl si vanta di aver ucciso dei re della «casa di David»: questo discusso testo potrebbe essere forse la prima conferma storica, fuori dai testi biblici, dell'esistenza di David, qui ricordato a poco più di un secolo dalla morte. Di fronte al grande spazio che David ha nel testo biblico, nell'Antico ma anche nel Nuovo Testamento, le fonti extrabibliche e l'archeologia sorprendentemente tacciono. Ancora una volta, se non avessimo il testo biblico a disposizione, di David sapremmo ben poco. Su di lui possiamo leggere nella Bibbia due cicli importanti di narrazioni: la cosiddetta «storia dell'ascesa di David al trono» (1Sam 16 -- 2Sam 4) e la «storia della successione al trono di David» (2Sam 9 -- 1Re 2).(#_bookmark168) La prima raccolta narra come David sia riuscito a diventare re, attraverso il conflitto con Saul, fino alla morte di lui in battaglia contro i filistei. Il secondo testo è centrato sulla rivolta del figlio Assalonne e, nella parte finale, sugli intrighi che portano al potere l'altro figlio, Salomone. Nel mezzo alle due serie di racconti, una sezione più piccola con storie legate all'arca della alleanza (in particolare 2Sam 6) e, in 2Sam 7, la ben nota profezia fatta a David da Natan concernente il futuro della dinastia davidica. Questi capitoli sono come piccoli «romanzi storici» che incorporano tuttavia elementi provenienti probabilmente da annali e archivi regali e, da questo punto di vista, costituiscono un vero e proprio testo di propaganda politica. A più riprese si nota l'interesse teologico del redattore, interesse ancora più evidente nella storia di David contenuta in 1Cr 10--29, testo composto tardivamente, in epoca postesilica. È interessante vedere come la figura di David nei racconti di 1 e 2 Sam non venga affatto idealizzata; i suoi difetti e le sue colpe vengono narrate con grande chiarezza (ad es. la storia di Betsabea in 2Sam 11--12 e il racconto del censimento in 2Sam 24), senza che vi sia alcuna esaltazione del personaggio. La situazione storica presente all'epoca dell'ascesa di David al trono vede un momentaneo indebolimento dell'Egitto, a partire dalla fine del regno di Ramsete III (1206-1175 a.C. circa), mentre l'impero assiro è ancora lontano dall'aver raggiunto la sua massima potenza. Il contesto appare dunque favorevole alla nascita di un regno come quello di David, quasi uno Stato cuscinetto tra la superpotenza egiziana e quella assira. L'origine di David appare legata alla città di Betlemme, un piccolo villaggio 13 chilometri a sud di Gerusalemme, sui monti della Giudea: il primo libro di Samuele ce lo presenta come un giovane pastore, scelto dal profeta Samuele, che entra al servizio del re Saul, come suo scudiero. Il ben noto racconto popolare sull'uccisione di Golia, il gigante filisteo, dipinge un David eroico che, da amico di Saul, diventa suo nemico, costretto a fuggire a causa della gelosia suscitata nel re, nevrotico e sospettoso. Non siamo assolutamente in grado di valutare la portata storica di questi episodi, che risentono di amplificazioni popolari e successive riletture di carattere sia ideologico che teologico: appare invece più verosimile la presentazione di un David capobanda, cioè di un capo militare che cerca di soppiantare Saul (cf. 1Sam 27). David, con l'appoggio dei filistei, dei quali è vassallo, riesce ben presto a crearsi una posizione di potere al sud, fino a diventare re di Giuda a Hebron (2Sam 2,4). Alla morte di Saul si creano le condizioni politiche favorevoli perché David, ancora appoggiato dai filistei, possa prendere il potere anche sul resto di Israele, le tribù del nord. Per la prima volta Giuda (il sud) e Israele (le tribù del nord) si trovano uniti, unione che, come vedremo, durerà ben poco. ![](media/image3.png) Una delle prime imprese di David, verso l'anno 1000 a.C., è la conquista di Gerusalemme, una delle tante città-stato cananee, che egli crea subito capitale del suo nuovo regno (2Sam 5). L'arrivo dell'arca dell'alleanza, segno della presenza del Dio di Israele (2Sam 6), è il segno più chiaro della consacrazione di Gerusalemme a capitale del regno. Il motivo è evidente: Gerusalemme è una città in posizione neutrale, a metà strada tra il nord e il sud, una chiara scelta di compromesso, cui si aggiunge la favorevole posizione strategica di cui essa gode. L'archeologia non rivela nessun particolare ampliamento della città in questo periodo: Gerusalemme aveva dimensioni estremamente ridotte, limitate alla parte meridionale della collina dell'Ofel. L'ascesa di David crea, com'è naturale, un forte contrasto con i vecchi sostenitori, i filistei, che tuttavia vengono battuti nelle due campagne narrate in 2Sam 5,17-21.23-25. Altre campagne militari condotte da David dentro e fuori il suo piccolo regno ne consolidano la posizione e gli permettono di assumere posizioni di forza anche nei confronti degli Stati vicini (moabiti, ammoniti, edomiti, aramei\...). È molto dubbio che il regno davidico si sia realmente esteso a spese di tali regni confinanti: in ogni caso non ne abbiamo tracce archeologiche sicure. È molto più probabile invece pensare a campagne mirate alla sicurezza delle frontiere, che non si estendevano al di là della Galilea a nord, dell'altopiano transgiordanico a est e del deserto del Neghev a sud. L'estensione reale del regno di David, poteva comprendere, oltre alla Giudea, parte della Samaria e forse anche della Galilea (cf. ad esempio 2Sam 20, dove si ricordano località del Nord). Con l'espandersi del regno nasce anche una struttura amministrativa centralizzata: si vedano a questo proposito le liste di funzionari contenute in 2Sam 8,15-18 e 20,23-26. Questa è senz'altro un'importante novità per un popolo abituato a una struttura tribale ben diversa: un insieme di tribù si trova per la prima volta a formare un regno. La cosiddetta «storia della successione», l'altra grande raccolta di narrazioni relativa a David, testimonia un aspetto meno pacifico del suo regno, rivelando l'esistenza di tensioni e di conflitti interni (in particolare il testo biblico si ferma a lungo sulla ribellione del figlio Assalonne, cf. 2Sam 13--20). Tali tensioni, talora riducibili a semplici ribellioni locali, possono tuttavia far pensare all'esistenza di vere e proprie correnti antimonarchiche (cf. 1Sam 8). Un altro motivo alla base di questo tipo di conflitti è l'esistenza di un forte contrasto tra le tribù del nord e quelle del sud, contrasto che, dopo Salomone, si trasformerà in aperta rottura. ![](media/image3.png) Il testo biblico insiste molto, parlando di David, sull'aspetto religioso: David sarebbe l'iniziatore di quell'opera di centralizzazione del culto che avrà il suo punto culminante nella costruzione del tempio di Gerusalemme, portata a termine dal figlio Salomone. In proposito occorre guardarsi da due opposti estremismi: da un lato l'idea fondamentalista che la religione di Israele fosse una realtà ben definita fin dai tempi dell'esodo; dall'altro l'affermazione che solo con l'esilio nascerà uno yahwismo puro. A questo proposito occorre prima di tutto rinunciare alla visione di un David fedelissimo difensore dell'unicità di YHWH: un semplice sguardo all'elenco dei figli di David in 2Sam 3,2-5 e 5,14-16 ci rivela come buona parte dei diciassette nomi siano di origine cananaica e come molti di essi contengano il prefisso El, il dio principale dei cananei. Una situazione analoga la ritroveremo poi con Salomone. Solo due figli, Adonia («Il mio Signore è YAH») e Shefatia («YAH giudica»), portano nomi esplicitamente yahwistici. Più che di un «sincretismo di Stato»(#_bookmark169) dovremmo parlare di un David che, senza porsi alcun problema di carattere teologico, affianca al Dio nazionale YHWH anche altri dèi. L'archeologia dimostra infatti come il culto di YHWH ha convissuto a lungo in Israele con quello degli dèi di Canaan. La visione di un David rigorosamente monoteista è frutto della teologia deuteronomista nata durante il VII secolo a.C.(#_bookmark170) L'importanza della figura di David va in ogni caso molto al di là della sua portata storica: a lui saranno attribuiti molti salmi, così da farne un modello di fede; egli diventa poi il fondatore di una dinastia cui la Bibbia vede legata la promessa divina di fedeltà contenuta in 2Sam 7,16: ### «la tua casa e il tuo regno dureranno per sempre alla mia presenza. Il tuo trono sarà saldo in eterno». David diventa così una figura messianica (cf. Sal 2; 110), tanto che Gesù stesso potrà essere definito «Figlio di David» (Mt 9,27; Rm 1,3). #### [Salomone o l'ideale monarchico (970-931 a.C. ca.)](%5Cl) «età dell'oro» del regno di Israele. Salomone viene presentato come l'uomo più saggio mai esistito sulla terra, come il più ricco e il più grande di ogni altro re prima e dopo di lui. Così dice il Signore al giovane re: ### «Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente come te non ci fu alcuno prima di te né sorgerà dopo di te. Ti concedo anche quanto non hai domandato, ricchezza e gloria come nessun re ebbe mai» (1Re 3,13).(#_bookmark171) Il regno di Salomone si sarebbe esteso addirittura dal fiume Eufrate sino alla frontiera egiziana, almeno secondo il testo di 1Re 5,1-4, che tuttavia riferisce confini ideali, che Israele non ha mai avuto in alcun momento della sua storia. Per quanto riguarda la fama relativa alla sua sapienza, infine, al re Salomone sono stati attribuiti dall'antica tradizione ebraica i libri biblici del Cantico dei cantici, del Qoelet, dei Proverbi e persino della Sapienza, benché in ogni caso si tratti di opere scritte da autori diversi e in epoche molto posteriori (il libro della Sapienza addirittura alla fine del I secolo a.C.). Tutti questi dati assumono, nel testo del primo libro dei Re, una veste autorevole, dato che in 1Re 11,41 viene menzionato un «libro delle gesta di Salomone» che, se è davvero esistito, doveva essere una sorta di cronaca ufficiale del suo regno, probabilmente una delle fonti primarie del testo biblico attuale. In realtà, tale presentazione di Salomone non sembra corrispondere molto alla realtà storica: i dati reali sono stati notevolmente amplificati e teologizzati dal narratore e molti indizi ci portano a ridimensionare parecchio l'immagine di un Salomone «ideale». Salomone non era il vero erede al trono, figlio per di più della relazione illegittima di David con Betsabea, decimo figlio del re: l'inizio della sua storia, in 1Re 1--2, ce lo mostra intento all'eliminazione progressiva e sanguinosa di tutti i possibili pretendenti al trono del padre. Il testo biblico cerca di giustificare moralmente una serie di assassinii politici (Adonia, Ioab, Simei) al termine dei quali, in 1Re 3, Salomone riceve addirittura l'approvazione divina durante la notte passata nel santuario di Gabaon. Si tratta dunque di una legittimazione teologica dell'ascesa al trono di Salomone, arrivata, com'è facile pensare, solo a cose fatte. Gran parte del racconto biblico relativo a Salomone (1Re 5,15- 9,25) è dedicato alla costruzione del tempio di Gerusalemme che resterà il massimo monumento di Israele sino alla sua distruzione, operata dai babilonesi al tempo dell'esilio. Non ci è possibile conoscere nei dettagli la struttura dell'edificio salomonico: doveva avere un carattere essenzialmente tripartito, con un recinto esterno che delimitava un grande cortile scoperto, luogo ove si offrivano i sacrifici, e un edificio centrale, il santuario, che al suo interno racchiudeva probabilmente il «Santo dei santi», la cella contenente l'arca della alleanza. Il modello non è dunque molto diverso da quello di templi analoghi ben conosciuti in ambiente cananaico e siro-fenicio. Lo stesso libro dei Re, del resto, ricorda, come la costruzione del tempio di Gerusalemme non fu portata a termine da architetti e operai israeliti, ma da personale fenicio, assoldato direttamente dal re di Tiro (cf. 1Re 5,15-31; 7,13-14). Nel tempio, Salomone appare come vero e proprio sacerdote, che offre sacrifici (1Re 9,25) e che prega per tutto il popolo (1Re 8). Il tempio diventerà, poco per volta, il centro del culto per tutto Israele, soppiantando i santuari locali. Testi come quello di Dt 12,2-12 dimostrano però che, anche in avanzata epoca monarchica, il culto in altri santuari non era ancora del tutto cessato. Come nel caso di David, anche per Salomone non bisogna perciò pensare ad un campione del monoteismo yahwista: ### «Salomone seguì Astarte, dea di quelli di Sidone, e Milcom, obbrobrio degli Ammoniti. Salomone commise quanto è male agli occhi del Signore e non fu fedele al Signore come lo era stato David suo padre. Salomone costruì un'altura in onore di Camos, obbrobrio dei Moabiti, sul monte che è di fronte a Gerusalemme e anche in onore di Milcom, obbrobrio degli Ammoniti. Allo stesso modo fece per tutte le sue donne straniere, che offrivano incenso e sacrifici ai loro dèi» (1Re 11,5-8). Il testo biblico è già abbastanza chiaro: anche in questo caso non si deve tanto pensare, storicamente parlando, a una deviazione morale del vecchio re, trascinato all'idolatria dalle sue molte mogli, quasi tutte pagane: Salomone rispecchia in realtà la situazione religiosa tutt'altro che stabile del suo tempo. Accanto al tempio, Salomone costruisce il palazzo regale, intorno al quale si sviluppa un'amministrazione ben più complessa di quella di David (si vedano, anche in questo caso, le liste di funzionari riportate in 1Re 4,1-19). È interessante notare che il tempo impiegato da Salomone per la costruzione del palazzo sarebbe stato di ben tredici anni (1Re 6,38--7,1), dunque ben superiore a quello impiegato per la costruzione del tempio (cf. 1Re 9,10). La creazione di una vera e propria classe di funzionari addetti alla corte e al governo del paese portò come ulteriore conseguenza alla creazione di una scuola per la formazione delle nuove leve della pubblica amministrazione e del governo: forse, proprio da scuole come questa, la cui esistenza non è comunque del tutto certa, nasceranno più avanti le prime opere sapienziali di Israele, come ad esempio le parti più antiche del libro dei Proverbi.(%5Cl) Due caratteristiche dell'amministrazione salomonica costituiscono una novità per Israele: l'istituzione di un sistema di tassazione (1Re 4,7), base di ogni governo forte, sulla base di una suddivisione del regno in dodici distretti, e la creazione di un servizio di lavori pubblici forzati. Quest'ultima istituzione è particolarmente interessante: si tratta di lavori destinati a opere pubbliche (le cosiddette corvées) cui anche i liberi cittadini, e non solo gli schiavi e i prigionieri, erano obbligati gratuitamente per conto del re (cf. 1Re 5,27-30). In tutto questo, Salomone apparve forse agli occhi del popolo troppo simile agli altri monarchi del tempo, a cominciare dai faraoni; il malcontento creato dall'introduzione di una simile usanza ha potuto così costituire una delle cause scatenanti la rivolta e la divisione del regno alla sua morte (1Re 12,1-19). ![](media/image3.png) Altra caratteristica della monarchia salomonica, ampiamente ricordata dai testi biblici, è l'opera di Salomone come costruttore di edifici e di città. Qui gli studiosi moderni si sono rivolti all'archeologia, il cui apporto inizia a essere di qualche interesse. Resti di mura trovati a Gerusalemme potrebbero forse risalire all'epoca salomonica. Edifici della stessa epoca sarebbero stati scoperti nelle città di Ghezer, Hazor e Meghiddo, anche se una datazione salomonica resta molto discussa. Il testo di 1Re 9,15 afferma che Salomone «costruì» queste città, ma va inteso nel senso che le ricostruì o le rafforzò. Una caratteristica architettonica particolare dell'epoca salomonica sarebbe, secondo alcuni archeologi, la cosiddetta «porta a tenaglia», un tipo di porta costruita all'ingresso principale delle mura cittadine comprendente all'interno lo spazio per il corpo di guardia. Le prove archeologiche non sono tuttavia decisive e ci orientano comunque a pensare a un regno che non superava di molto in ampiezza i confini di quello davidico, dunque relativamente piccolo. Ma per la prima volta, abbiamo a disposizione dei dati, il che costituisce una differenza notevole con il precedente periodo, così oscuro, della storia di Israele. Salomone viene presentato ancora dal testo biblico come un re dedito ai commerci, persino a quelli marittimi, cosa molto singolare per un israelita. Non siamo certo in grado di precisare dove esattamente Salomone avrebbe mandato la sua flotta commerciale, nata in società con il re di Tiro, secondo il testo di 1Re 9,26-27. Si parla ancora di carovane (1Re 10,1-2), di scambi commerciali con la Fenicia, consistenti in prodotti agricoli (grano, vino, olio), legname pregiato, prodotti dell'artigianato (1Re 5,24-25), commercio di carri da guerra e di cavalli (1Re 10,26-28). Ciò testimonierebbe l'ampiezza di orizzonti del piccolo regno e il contatto stabilito con altri popoli ed altre culture. I saggi

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