Storia dell'arte PDF
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Questo documento fornisce informazioni su artisti italiani e le loro opere. Parla di Lorenzo Ghiberti, Filippo Brunelleschi e Masaccio e le loro opere principali. Il testo include dettagli sulle loro vite, formazione, e le loro contribuzioni all'arte.
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LORENZO GHIBERTI (1378-1455). → Nasce e vive a Firenze la maggior parte della sua vita. La sua formazione avviene presso l’officina orafa del padre. → Concorso del 1401 (sacrificio di Isacco) Brunelleschi: - Roccia che divide a metà la scena - su 2 piani...
LORENZO GHIBERTI (1378-1455). → Nasce e vive a Firenze la maggior parte della sua vita. La sua formazione avviene presso l’officina orafa del padre. → Concorso del 1401 (sacrificio di Isacco) Brunelleschi: - Roccia che divide a metà la scena - su 2 piani orizzontali - inscrivibile in un rettangolo - personaggi inseriti in triangolo - personaggi bilanciati tra i due lati - personaggi distaccati in basso - ispirazione classica - personaggi più sofferenti Vittoria attribuita a Ghiberti. → Porta Nord del Battistero di Firenze (1403-1424). Le formelle, 28 con cornice quadrilobata mistilinea, si leggono dal basso verso l’alto e raffigurano quattro dotti della Chiesa, i quattro Evangelisti e storie della vita di Cristo. → Porta del Paradiso (1425-1452). Le dieci formelle raffigurano vicende dell’Antico Testamento; Ghiberti abbandona il vecchio schema compositivo e lo semplifica, rappresentando 47 episodi biblici in 10 formelle. Altre opere: Assunta (statua), Assunzione della Vergine (Parete Vetrata), San Giovanni Battista (statua), San Matteo e Santo Stefano (statua). FILIPPO BRUNELLESCHI (1377-1466). Sin da giovane si forma alle lettere, per le quali è molto portato però poi scopre la passione artistica e inizia l’apprendistato da orafo. La formazione è veloce perché nel giro di poco tempo Brunelleschi supera il maestro, tanto da realizzare, a soli 20 anni, un altare. Egli scopre la prospettiva, costruendo, nel 1413, una tavoletta prospettiva. → Cupola del Duomo di Firenze. Il Duomo di Firenze è una delle chiese più grandi del mondo: la sua pianta è composta da un corpo basilicale a tre navate, che si innesta in un’area presbiteriale dominata dal grande tamburo ottagonale della cupola, nella quale si aprono tre absidi, ciascuna composta da cinque cappelle a raggiera. La chiesa di Santa Reparata è l'antica cattedrale di Firenze, sul cui sito è stata eretta Santa Maria del Fiore a partire dal 1296. Nel 1418 si svolse il concorso per la cupola di Santa Maria del fiore e Brunelleschi vinse su Lorenzo Ghiberti. i lavori iniziarono nel 1420 e la cupola fu ultimata nel 1434. fu realizzata in modo che si potesse auto sostenere in ogni fase della costruzione in tal modo si evitò di realizzare le impalcature in legno sulle quali modellare la cupola ,da eliminare subito dopo la sua costruzione. La cupola è composta da 8 spicchi, ognuno dei quali è realizzato da due costoloni verticali interni e da nove archi trasversali. la cupola è a doppia calotta autoportante e quella interna sostiene quella esterna, che è in mattoni disposti a spina di pesce e i cui costoloni contribuiscono a scaricare peso sul tamburo. La base è ottagonale e in cima è collocata la lanterna. La sezione di una delle vele mostra le aperture dei costoloni verticali per realizzare quattro livelli di camminamento collegati da scale attraverso le quali si sale dal tamburo fino alla base della lanterna. Gli otto costoloni di marmo osservabili all’esterno non hanno funzione di sostegno strutturale, ma solo di rivestimento e di decorazione. I lavori proseguirono per oltre vent’anni, terminando nel 1436. → Spedale degli Innocenti. E’ l’Accademia della Seta a commissionare a Brunelleschi la progettazione di un orfanotrofio. La costruzione, iniziata nel 1419, praticamente in contemporanea con la cupola del Duomo, prevede un porticato rettilineo che si affaccia sulla piazza della Santissima Annunziata e che da accesso ad un cortile quadrato intorno a cui si dispongono gli edifici che ospitano i dormitori, la sala comune, la chiesa, la scuola e i laboratori. Questo edificio è opera di un minuzioso progetto ideato inizialmente da Filippo Brunelleschi, a cui si deve il loggiato esterno, e terminato da alcuni collaboratori. La facciata è scandita da nove volte a vela, retta da nove archi a tutto sesto su colonne corinzie in pietra serena. Il loggiato, rispetto alla piazza è rialzato da una gradinata, e alle estremità è affiancato da due corpi pieni, delimitati da paraste scanalate, con un postale ciascuno. La parte superiore è composta da una serie di finestre, sottolineate da una cornice marcapiano, con copertura a falda inclinata del tetto con grondaia sporgente. Al di sopra del portico si trova il Museo degli Innocenti. All’interno, invece, si trovano due chiostri: uno per gli uomini e uno per le donne. → Santo Spirito. La chiesa di Santo Spirito a Firenze è stata progettata nel 1435 da Filippo Brunelleschi, forse è stata iniziata nel 1436 e finita dopo la sua morte. Probabilmente in seguito ad un nuovo soggiorno a Roma, è visibile un'importante evoluzione nell'arte di Brunelleschi. Anche in questo caso si tratta di una chiesa di tipo basilicale, la pianta è a croce latina. I bracci del transetto hanno le stesse misure dell'abside rettangolare, inoltre le cappelle a nicchia semicircolare girano tutt'intorno al perimetro della chiesa, compresi transetto e abside, senza interruzioni. In Santo Spirito sui capitelli sono presenti il pulvino e il dado, elementi che svolgono più funzioni: - quella di ammortizzatori delle spinte provenienti dagli archi, - quella di aumentare lo slancio degli archi di navata, spostando l'imposta più in alto - e quello di ottenere la stessa altezza delle colonne e delle lesene ai due lati delle navate minori dove il pavimento, all'ingresso delle cappelle è rialzato su due scalini. Brunelleschi con l'uso del pulvino riprende un elemento derivato dall'architettura romanica e bizantina. Le navate laterali sono coperte da cupole a vela sostenute dalle colonne centrali e verso la parete esterna da lesene e semicolonne. La copertura con soffitto piano contribuisce ad unificare lo spazio che si interrompe solo in corrispondenza della cupola emisferica. → Sagrestia Vecchia di San Lorenzo. Nel 1419 Giovanni di Bicci de’ Medici commissionò all’architetto fiorentino la costruzione della Sagrestia Vecchia presso la basilica di San Lorenzo: l’architettura avrebbe dovuto ospitare il luogo di sepoltura della famiglia Medici. La cappella riprende la forma di un cubo su cui appoggia una cupola ad ombrello. All’interno le parti strutturali della costruzione come colonne, volte e portali sono decorate e ricoperte da pietra serena. Brunelleschi non si occupò solo della progettazione della Sagrestia, ma continuò la progettazione anche della chiesa, costituita da tre navate, di cui una centrale e due laterali che si affacciano su un giro di cappelle a pianta rettangolare. L’interno è estremamente luminoso ed è sorretto da colonne composite caratterizzate dall’uso del pulvino cubico. L’architetto vi lavorò per sette anni, dal 1421 al 1428, portandola a compimento giusto in tempo per accogliere le spoglie del committente, il cui sarcofago venne collocato al centro, sotto un grande tavolo di marmo. Quando Brunelleschi, negli anni a seguire, ricostruì anche l’intera basilica, su commissione di Cosimo il Vecchio, la cappella venne mantenuta come parte integrante del nuovo edificio. Essa si presenta come un semplice vano cubico. Su questo ambiente principale si affaccia una scarsella, ossia un secondo vano quadrato più piccolo. Tale scarsella presenta tre piccole nicchie curvilinee ed è affiancata da due ridotti ambienti di servizio voltati a botte. La parete dell’altare, quella più importante, è divisa in tre parti, costituite dal grande arco centrale a tutto sesto, che immette nella scarsella, e dalle due porzioni di muro che lo affiancano. Le altre pareti della cappella sono molto più semplici, perché attraversate dal motivo orizzontale della trabeazione corinzia, decorata da un fregio con cherubini e serafini rossi e blu. MASACCIO (1401-1428). La sua formazione artistica e culturale avviene a Firenze dove, si era trasferito con la madre e i fratelli nel 1417 dopo aver perso il padre. Masaccio si riallaccia alle grandi intuizioni di Giotto e dei suoi seguaci e concepisce una pittura radicalmente nuova arrivando a porsi insieme a Brunelleschi e Donatello, come il terzo, fondamentale punto di riferimento della rivoluzione artistica del primo quattrocento. Fu attivo soprattutto a Firenze ma lavorò anche a Pisa nel 1426 e a Roma. → Sant’Anna Metterza. La prima opera che Masaccio inizia nel 1424 e conclude nel 1425 in collaborazione con Masolino è la Sant’Anna Metterza. Si tratta di una pala d’altare realizzata in tempera e oro su tavola (175x103 cm) e commissionata per la chiesa fiorentina di Sant’Ambrogio dai Bonamici, una ricca famiglia di tessitori. Infatti il prezioso tessuto damascato che i tre angeli reggono sulla spalliera del trono è la riproduzione di un particolare tipo di stoffa prodotta proprio dai Bonamici; dunque è una sorta di promozione pubblicitaria. Il dipinto rappresenta la Madonna in trono con il bambino e Sant’Anna, madre di Maria, messa come terzo personaggio (per questo viene chiamata Metterza). Inoltre le due donne sono circondate da cinque angeli. Le figure angeliche seguono ancora proporzioni di tipo gerarchico, essendo molto più piccole delle figure sacre. L'iconografia prevedeva che fosse risaltata maggiormente la figura di sant'Anna, la quale deve tenere tra le gambe la Madonna col Bambino, in un gesto protettivo e confidenziale. Sant'Anna ha qui un'aureola più grande e con una mano stende la sua protezione sul piccolo. Tuttavia l'uso della luce nella Vergine e nel Bambino dipinti da Masaccio ha spostato il centro focale verso le due figure in primo piano, contraddicendo l'iconografia tradizionale. Il gruppo sacro si trova su un trono, che si può immaginare composto da due gradoni, con in basso una pedana dove si trova un'iscrizione dedicatoria alla Vergine. Tutti i personaggi appaiono dotati di un volume proprio attraverso un sapiente uso del chiaroscuro. Il panneggio della veste con poche pieghe e facili allude all’effetto di immediatezza della copia dal vero. Nella Sant’Anna dipinta da Masolino il senso del volume è meno accentuato e la convenzionalità dei panneggi nasconde le difficoltà di una prospettiva ancora incerta perché la mano sinistra tesa in avanti risulta quasi priva di un braccio e inoltre manca la rappresentazione della gamba sinistra. → Cacciata dal Paradiso Terrestre. La cacciata dal paradiso terrestre fa parte del grande ciclo di affreschi della cappella Brancacci, nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze. Questo ciclo di affreschi è stato voluto da Felice di Michele Brancacci, ricco mercante e potente uomo politico fiorentino. Gli affreschi sono stati eseguiti a partire dal 1424 in collaborazione con Masolino e modificati da Filippino Lippi tra il 1481 e il 1483. Sono raffigurate 12 scene disposte su due registri sovrapposti; il tema narrativo è quello della vita di San Pietro, al quale si aggiungono due scene tratte dalla genesi che simboleggiavano la dannazione dell'umanità tramite l'errore dei progenitori. La scena della cacciata dal paradiso terrestre è stata dipinta da Masaccio tra il 1424 e il 1428 (214x90 cm). L’affresco si trova nel secondo registro del pilastro di sinistra dell’arco di accesso alla cappella. Viene ritratta una scena dell’antico testamento ovvero sono rappresentati Adamo ed Eva nel momento in cui l’angelo di Dio li caccia dall’Eden. Le due figure sono nude e il restauro condotto tra il 1984 e il 1990 ha eliminato le foglie che nella seconda metà del XVII secolo erano state aggiunte a tempera per mascherare il sesso dei personaggi. Le due figure sono raffigurate con estremo realismo e,In questo caso, si intuisce come anche i difetti, per altro minori (come la caviglia di Adamo un po' tozza), non siano dovuti a una mancanza di esperienza, ma a una ricerca di maggiore espressività. I due protagonisti sono rappresentati in espressioni di toccante dolore e condividono la loro colpa senza accusarsi a vicenda. Mentre escono dalla porta dell’Eden, da cui provengono alcuni raggi divini, Adamo singhiozza disperato coprendosi il volto per la vergogna e Eva si vergogna per la prima volta della propria nudità e cerca di coprirsi. In alto l'angelo della giustizia, con la spada, indica loro con durezza la via; esso è dipinto in scorcio come se stesse piombando dall'alto. Le loro figure manifestano una conoscenza dell'anatomia approfondita (come nel dettaglio del ventre contratto di Adamo), tradotta però sintetizzando i dettagli. Adamo è curvo, con la testa angosciosamente piegata in avanti, incamminandosi nell'arido deserto del mondo. Il paesaggio del mondo al di fuori dell’Eden si riduce infatti a una roccia e a un cielo profondo senza nuvole, mentre la terra è brulla. → Il tributo. Nell’affresco del tributo (297x547 cm), dipinto tra il 1424 e il 1428 e posizionato come secondo in alto nella parete di sinistra, Masaccio illustra un episodio del Vangelo di Matteo nel quale è descritto l’ingresso di Cristo e dei suoi apostoli nella città di Cafarnao. Il gabelliere (nonché padre di Pietro) pretende un tributo per il tempio di Gerusalemme e Gesù non vuole trasgredire le leggi e incarica Pietro di pescare un pesce nella cui bocca troverà una moneta d’argento per pagare la tassa dovuta. L’artista concentra nello stesso dipinto quattro momenti temporalmente diversi: il primo, al centro, corrisponde a quando il gabelliere rappresentato di spalle esige il tributo; è una rappresentazione di grande intensità in quanto in essa Masaccio mette bene in evidenza lo stupore nei volti degli apostoli che si guardano increduli tra loro. La scena successiva invece ritrae Cristo che comanda Pietro di recarsi a pescare e questo indica a sua volta il lago di Tiberiade quasi a chiedere conferma di un ordine che gli sembra un po’ singolare. Sulla riva sinistra è poi raffigurato Pietro da solo intento alla pesca prodigiosa e a destra infine Pietro ricompare nel momento in cui consegna il denaro all’esattore. Nonostante la rappresentazione contemporanea di quattro azioni la prospettiva adottata è sempre la stessa e fonde lo spazio e il tempo in una visione unitaria della realtà. Il punto di fuga a cui convergono le linee si trova esattamente dietro la testa di Cristo, che diventa così il fulcro di tutta la rappresentazione. egli è quindi il centro sia geometrico che spirituale della scena. Il paesaggio appare descritto in modo essenziale ma realistico : è brullo e desolato con le montagne che sono disposte in successione cromatica: A destra si trovano le articolate mura della città, con una loggia esterna, composte con giochi di contrasto tra vuoto e pieno che creano un insieme di volumi geometricamente riconoscibili. Visto che le ombre dei vari personaggi hanno tutte una stessa direzione la fonte di illuminazione è evidentemente unica ed è il sole; viene immaginata proveniente dal lato destro come se entrasse dalla finestra che illumina l’intera cappella: in tal modo la luce reale interagisce con quella dipinta. → Crocifissione. La crocifissione di Masaccio è parte del polittico di Pisa realizzato nel 1426 e dedicato ai santi Giuliano e Nicola di Bari. La pala, progettata in funzione di una complessa struttura lignea in forme tardo gotiche e originariamente destinata alla chiesa del Carmine, è stata smembrata nel corso del seicento e solo alcuni suoi pannelli si sono conservati. La crocifissione (82x64,5 cm) è posta nella parte superiore della pala ed è realizzata con tempera e oro su tavola. I quattro personaggi si stagliano contro un irreale fondo oro che ne esalta le volumetrie. Essi sono composti in modo geometricamente rigoroso. Maria a sinistra piange di dolore è immobile e severa e avvolta nel mantello azzurro. A destra abbiamo invece San Giovanni, visto frontale, che ha un’espressione sconfortata e attonita mentre poggia la testa sulle proprie mani giunte e intrecciate. Al centro, sulla croce del martirio, Cristo è rappresentato nella dolorosa immobilità della morte. La vista dal basso in alto gli scorcia il collo e il capo sembra quasi incassato tra le spalle e il corpo pesante e le gambe tozze ricordano la natura umana del Cristo. In alto sulla croce è posto l'albero della vita, simbolo della rinascita. In basso di spalle e di tre quarti, avvolta in un mantello rosso aranciato c’è la Maddalena di cui si vedono solo i lunghi capelli biondi e due mani disperatamente protese verso quelle del Cristo quasi a formare un ideale triangolo rovesciato. Di lei Masaccio riesce a fare intuire lo straziante dolore anche senza mostrarne il volto, infatti, è Giovanni l’unico a guardarla in viso così che l’espressione dell’apostolo diventa anche lo specchio psicologico dello sgomento della donna. In precedenza solo Giotto aveva scelto delle posture simili raffigurando i personaggi di schiena come nel compianto sul Cristo morto della cappella degli Scrovegni a Padova. → La Trinità. L’ultima opera realizzata da Masaccio tra il 1425 e il 1428, prima di morire, è la trinità che è universalmente ritenuta una delle opere fondamentali per la nascita del Rinascimento italiano nella storia dell'arte. Viene impiegata la prospettiva al fine di misurare e di rendere comprensibile lo spazio dando l’effetto ottico di sfondare la parete. Si tratta anche questo di un affresco (667x317 cm) che si trova a Firenze nella basilica di Santa Maria Novella. In primo piano in basso Masaccio raffigura un sarcofago con sopra uno scheletro. La scritta “io fui già quel che voi siete e quel c’i son voi anco sarete” allude alla transitorietà delle cose terrene, indicando la via della preghiera e della fede che secondo la dottrina cristiana è l’unica in grado di condurre alla vita eterna. Sopra lo scheletro su una predella aggettante rispetto alla parete e sorretta da quattro colonnine binate con capitelli Corinzi, ci sono le due figure inginocchiate in preghiera dei committenti che sarebbero Roberto di Bartolomeo del Banderaio e sua moglie Sandra. All’interno della cappella, in secondo piano, vengono rappresentati accanto alla croce la vergine che indica il figlio con la mano destra e San Giovanni con le mani giunte. Cristo è simbolicamente sorretto alle spalle da Dio padre che si colloca in terzo piano al vertice più alto della piramide compositiva e indossa una tunica rossa e un mantello blu e la sua aureola raffigurata in scorcio prospettico tocca la volta della cappella facendo apparire gigantesca la sua figura. Tra il volto di Dio e Gesù Masaccio colloca la colomba dello spirito Santo cogliendola in atto di calare in volo verso il basso. I mantelli pesantemente panneggiati dei personaggi individuano dei volumi forti e precisi che contribuiscono a chiarire i rapporti spaziali; viene stabilita anche una gerarchia crescente di valori. Dalla morte del corpo (ovvero lo scheletro) ci si eleva grazie all’intercessione (cioè Maria e Giovanni) e per mezzo della preghiera (ovvero i committenti) fino alla salvezza dell’anima e alla definitiva sconfitta della morte stessa (che sarebbe la trinità). La cappella è introdotta da una coppia di paraste corinzie che sostengono una Trabeazione dall’architrave tripartito. In parte alle paraste ci sono due colonne ioniche libere sormontate da un arco che è tangente all’architrave soprastante. Dei tondi occupano lo spazio dei timpani e l’interno della cappella è costituito da una volta a botte cassettonata, un tempo ornata di rosoni dipinti a tempera sull’intonaco, poggia su due architravi sostenuti da quattro o sei colonne con capitelli ionici. La cappella si conclude con una piccola abside. DONATELLO (1386-1466). La sua formazione iniziò in una bottega di oro e argento, dove apprese le tecniche del lavoro dei metalli. Successivamente, studiò scultura e modellazione presso il laboratorio di Lorenzo Ghiberti. → San Giovanni Evangelista. San Giovanni Evangelista è una scultura rinascimentale di Donatello in marmo bianco, realizzata nel 1408-1415 con la tecnica del tutto tondo ma in realtà lavorata solo nelle parti visibili, di grandezza 210x88x54 cm. La statua è stata commissionata da L’ Opera del Duomo e proviene dalla prima nicchia a destra del portale centrale della Cattedrale, dove faceva parte della serie di quattro evangelisti realizzati nel Quattrocento ed oggi custodita nel Museo dell'Opera del Duomo. Il Santo è raffigurato come un anziano seduto su un seggio, con una mano a riposo su una gamba e l’altra poggiata su un libro aperto verso di sé e tenuto sulla coscia della gamba sinistra. Ha le spalle curve e assume un atteggiamento stanco, le braccia sono quasi abbandonate lungo il corpo e sembrano prive di forza mentre le mani sono scolpite basandosi su un accurato studio dal vero. Compie una lieve torsione, come a rivolgersi verso l'ingresso dei fedeli. L’espressione del suo volto è allarmata e apparentemente è rivolto verso l’osservatore ma con le pupille concentrate verso l’orizzonte. Ha una capigliatura riccioluta, porta una barba particolarmente lunga,le sopracciglia sono aggrottate e la bocca è serrata. Indossa un ampio vestito con un panneggio che crea effetti di chiaroscuro, con ampie pieghe, soprattutto nella parte inferiore, che accrescono il senso del volume. → San Giorgio che uccide il drago. Il rilievo di San Giorgio che libera la principessa o indicato anche come San Giorgio e il Drago o San Giorgio e la Principessa; è un’opera di Donatello scolpita tra il 1416 e il 1417 su marmo apuano di grandezza 129×39 cm. Il rilievo è tratto dal basamento su cui poggia la scultura dedicata a San Giorgio. L’opera fu commissionata da L’Arte dei Corazzai e Spadai, una delle Arti Minori delle corporazioni di arti e mestieri di Firenze, per decorare una delle 14 nicchie della parte esterna della chiesa di Orsanmichele a Firenze. Successivamente a causa di un atto vandalico fu spostata presso il Museo del Bargello a Firenze. Il santo ha le gambe leggermente divaricate con il busto leggermente girato verso sinistra e lo sguardo fiero e concentrato su un punto. Il corpo richiama i modelli antichi, il viso invece, rivela dei sentimenti. L’armatura e il drappeggio del mantello danno solennità ed energia al guerriero ma richiamano anche uno stile tardo gotico. Alla destra del rilievo si trova la figura di una principessa prigioniera in posizione stante che sta pregando per la vittoria del santo. La scena rappresenta la battaglia del bene contro il male e segue il punto di fuga centrale e attira l’attenzione dell’osservatore su San Giorgio che è in sella ad un cavallo e sta affondando la lancia nel petto del drago. A sinistra oltre alla figura del drago è raffigurata una grotta su cui si era rifugiato il drago. A destra troviamo un porticato dove si può individuare uno scorcio prospettico di un colonnato con archi a tutto sesto. Lo sfondo è occupato da un paesaggio, dove si possono scorgere i profili delle colline ed alberi appena accennati. Si tratta sia di uno dei più antichi esempi di un bassorilievo di stile stiacciato (un rilievo bassissimo che vuole dare una riduzione in prospettiva del volume dei corpi reali), sia del più antico uso della prospettiva lineare centrica in un’opera d’arte. → Zuccone. Il profeta Abacuc o chiamato popolarmente Lo Zuccone (dalla sua testa calva) è una delle opere di Donatello, scolpita a tutto tondo in marmo bianco di Carrara, datata intorno al 1423 e il 1435. La statua è scolpita a grandezza naturale (195x54x38 cm), originariamente era collocata nella seconda nicchia da sinistra del lato ovest del Campanile di Giotto per poi essere spostata presso il Museo dell'Opera del Duomo di Firenze. La figura è molto magra, ha un aspetto ascetico e presenta dei tratti somatici irregolari. È raffigurata in una lieve torsione, con la testa rivolta verso la propria sinistra, la spalla destra è leggermente indietro rispetto a quella sinistra. Il volto è colto con crudo naturalismo in un’espressione di stupore misto a paura: occhi grandi si spalancano nelle orbite scavate e la bocca è semiaperta nell’atto di profetare. Ha un collo possente e animato da vene e tendini. Un pesante tessuto scende dalla spalla sinistra a destra ed il torace è coperto da una povera veste senza maniche. Il corpo è ricoperto da un mantello che crea un’ alternanza di luci ed ombre, nonostante l’ ampio mantello si può vedere facilmente il corpo e le articolazioni magre e tendinose del profeta. Le braccia sono vicine al corpo: la destra coperta dal manto, la sinistra è magra ma muscolosa, ha la mano infilata in un laccio all’altezza del fianco. → Cantoria. La Cantoria di Donatello è considerata un capolavoro del primo rinascimento fiorentino, scolpito tra il 1433 e il 1439, di grandezza 348x570x98 cm è realizzata in marmi bianchi e policromi con l’aggiunta di vari materiali. Essa non è solo un elemento architettonico ma anche un’opera che riflette profondamente le innovazioni artistiche e culturali dell'epoca. L’opera è stata commissionata dall’Opera del Duomo di Firenze, per essere posizionata all'incrocio tra la navata principale e il transetto della chiesa di Santa Maria del Fiore di Firenze. Oggi è possibile osservare gli originali nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, ed è davanti alla Cantoria della Robbia. Donatello scolpì il fregio su due lastre di due metri e mezzo con raffigurante dei «puttini» che danzano e si divertono, e sono accompagnati da due teste bronzee eseguite da Donatello e forse da Michelozzo Michelozzi. I putti sono simili a quelli classici: sembrano più persone normali che angeli, ballano e si divertono insieme, sono parzialmente nudi e sono coperti da un tessuto nella zona del ventre, che crea un motivo chiaroscurale e tridimensionale. Le smorfie a volte sono ai limiti della deformazione, caratterizzano il loro volto. Mentre ai loro piedi troviamo un letto di foglie, ghiande e bacche. La scena è ostacolata dalle colonnette a tutto tondo della struttura architettonica. A sinistra i putti si tengono per mano o per gli avambracci, a destra si legano con classiche ghirlande di alloro intrecciate. L'attenzione al dettaglio botanico era frequente nella pittura del Gotico Internazionale, ma è una componente essenziale anche nelle terracotte di Luca della Robbia. Il mosaico dorato dello sfondo coglie ogni bagliore luminoso, data la collocazione della cantoria all'interno della crociera mal illuminata, mentre l'architettura è riccamente ornata con numerosi motivi che derivano da prototipi classici ed etruschi e da incrostazione musiva multicolore. → David. Il David è un’ opera di Donatello realizzata a tutto tondo in bronzo, scolpita tra il 1438 e il 1442, pochi anni prima della sua partenza per Padova, di dimensioni di circa 158 cm in altezza. L’opera fu commissionata da Cosimo de’ Medici e destinata al cortile del Palazzo, in una collocazione privata, successivamente fu spostata presso il Museo del Bargello di Firenze. Il David è in posizione stante, quasi completamente nudo perchè indossa solo dei calzari che arrivano fino alle ginocchia ed il petaso, un cappello tipico dei pastori con una ghirlanda. I capelli sono lunghi e fluenti sulle spalle. il braccio destro è disteso lungo il corpo e regge una spada mentre quello di sinistra regge un sasso. Il piede sinistro poggia su una testa mozzata, ovvero quella di Golia, mentre la gamba destra è tesa e regge l’intero peso del corpo e la muscolatura è solo accennata. Il viso è rivolto verso il basso, gli occhi guardano la testa di Golia con un’espressione malinconica ma anche soddisfatta. L’ opera è stata pensata per mostrare un adolescente pensieroso, con tratti femminili. Esse sono state rappresentate per indicare una bellezza ideale e si pensa che Donatello si sia ispirato ad alcune statue precedenti. Una curiosità è che molti storici hanno creduto nell’ ipotesi che si possa non trattare di un David ma di Mercurio, a causa di alcune contraddizioni iconografiche, come per esempio il cappello sarebbe quello di Dio e per questo alcuni critici lo definiscono “David-Mercurio”. → Monumento a Gattamelata. Il monumento equestre della Gattamelata è una statua in bronzo realizzata da Donatello, eretta in onore del condottiero della repubblica veneta Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, scolpita tra il 1446 e il 1453. Misura 340x390 cm, con lo zoccolo di base di 780x410 cm. La statua si trova presso la piazza del santo a Padova. Si tratta della prima statua equestre di grandi dimensioni fusa dai tempi dell'antichità ed una delle prime opere scultoree dell'epoca moderna e l'opera si propone come forma autonoma. Il monumento era stato previsto dal 1443, ma Donatello dovette iniziare a lavorarvi non prima del 1446. L'opera permise all'artista di cimentarsi nella tipologia classica del monumento equestre. Nonostante il rapido inizio, i lavori si protrassero poi fino al 1453, anno in cui venne collocata sul piedistallo. I costi vennero finanziati in gran parte dalla vedova del condottiero, Giacoma Bocarini Brunori, ma anche dal Senato veneziano, che deliberò un'autorizzazione per creare il monumento a Padova, che era sotto il suo dominio dal 1405. La figura massiccia dell'animale è attraversata da un'evidente tensione, ma segue un'andatura lenta ma dritta, senza esitazioni. Le redini, la sella e le decorazioni ornamentali sono moderne e dimostrano come lo scultore non citò dipendesse dei modelli antichi. La testa del cavallo è fremente e testimonia un temperamento selvaggio. Il cavallo assume un’aria selvaggia ma nonostante ciò il condottiero domina l'animale con calma, senza fatica. La figura è fiera e reca in mano il bastone del comando, probabilmente offerto dalla Repubblica di Venezia nel 1438. La sua armatura è decorata e reinventata da Donatello seguendo il modello antico. Il condottiero, con le gambe tese sulle staffe, fissa un punto lontano mentre la spada è all’interno del fodero in posizione obliqua. Il volto del Gattamelata mostra un uomo maturo somigliante a un vero condottiero, la sua espressione è concentrata ed esprime determinazione. Nel scolpire il volto Donatello raggiunge un equilibrio tra realismo fisico e idealizzazione psicologica. Soprattutto dallo sguardo fisso e fiero trasmette determinazione, potenza, la forza di volontà, l'attitudine al comando, la concentrazione militare, la lealtà, l'integrità morale. LEON BATTISTA ALBERTI (1404-1472). Alberti girò e studiò in diverse città italiane; fu mandato in collegio a Padova e studiò poi legge a Bologna. Visse poi per un periodo a Firenze per poi recarsi a Roma. → Palazzo Rucellai. Il palazzo Rucellai è uno dei migliori esempi di architettura quattrocentesca a Firenze. La sua facciata venne progettata da Leon Battista Alberti e fu il primo di una serie di importanti interventi architettonici che eseguì per la famiglia Rucellai. Il palazzo, commissionato dal ricco mercante Giovanni Rucellai, fu costruito tra il 1446 e il 1451 da Bernardo Rossellino, su disegno di Leon Battista Alberti, che era legato al Rucellai da amicizia e da affinità culturale. L'Alberti curò solo un intervento parziale. La facciata è organizzata come una griglia, scandita da elementi orizzontali (le cornici marcapiano e la panca di via) e verticali (le paraste lisce), entro la quale si inseriscono le aperture. Al pianterreno lesene di ordine tuscanico dividono la superficie in spazi dove si aprono i due portali. Al piano nobile (primo piano) si trovano numerosi elementi classici (i portali, gli ordini architettonici dei capitelli) fusi sapientemente con elementi della tradizione medievale locale (bifore), e con elementi celebrativi dei committenti, come lo stemma e le imprese dei Rucellai, inseriti nei fregi. Il piano terra, più alto dei piani superiori, ha i capitelli decorati da una reinterpretazione dell'ordine dorico e due portali rettangolari classicheggianti. All'ultimo piano si hanno paraste di tipo corinzio, alternate a bifore dello stesso tipo. In alto il palazzo è coronato da un cornicione poco sporgente, sostenuto da mensole. L'effetto generale è vario ed elegante, per il vibrare della luce tra le zone chiare e lisce e quelle scure. All'interno del palazzo è di rilievo il cortile rinascimentale, anche se oggi su due lati le arcate sono state murate. Ampie arcate a tutto sesto sono sostenute da colonne con capitelli corinzi molto elaborati, che ricordano quelli delle colonne sopra il portale del Battistero di San Giovanni. Alcune stanze vennero decorate con affreschi di Gian Domenico Ferretti, di Lorenzo del Moro e di Pietro Anderlini. Monumenti correlati: Sul retro del palazzo è presente la ex chiesa di San Pancrazio che contiene un altro capolavoro dell'Alberti, il tempietto del Santo Sepolcro, all'interno della ex navata sinistra. Davanti al palazzo sempre Leon Battista Alberti realizzò la Loggia Rucellai. Anche la facciata della vicina basilica di Santa Maria Novella fu disegnata dall'Alberti su incarico sempre di Giovanni Rucellai. → Tempio Malatestiano. Il tempio Malatestiano di Rimini fu realizzato nella metà del XV secolo per volere di Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini, che voleva una cappella in onore della famiglia. Tuttavia però non fu "costruito da zero", ma realizzato sul terreno della precedente chiesa di San Francesco nel 1447. Questi lavori vennero affidati all'architetto Matteo de' Pasti (che coordina i lavori) e ad Agostino Duccio (che si occupa delle decorazione scultoree). Nonostante i lavori fossero già avviati, Sigismondo, decise di trasformare l'ex chiesa in un maestoso tempio mausoleo (tomba della famiglia), che esprimesse a pieno l'influenza e la potenza della persona, invitando perciò nel 1453 Leon Battista Alberti per realizzare la facciata esterna dell'edificio (suo primo lavoro architettonico). L'alberti come prima cosa ideò un involucro marmoreo che lasciasse intatto l'edificio già esistente. L'opera è rimasta incompiuta però si prevedeva che nella parte bassa della facciata ci sarebbe stata una tripartizione con archi inquadrati da semicolonne con capitello composito, mentre nella parte alta era previsto una specie di frontone con arco al centro affiancato da paraste. La mancanza dell'arco superiore permette di vedere, ancora oggi, un pezzo della semplice facciata medievale a capanna di San Francesco. Sopra di essa è poi collocata una piccola croce, simbolo del cristianesimo cattolico. Le fiancate sono composte da una sequenza di archi su pilastri il cui modello è stato rintracciato nei pilastri interni del Colosseo. Gli arconi delle fiancate si presentano con un'imposta rialzata trasformando l'arco a tutto sesto in arco 'semi staffato'. Le arcate cieche erano destinate ad accogliere i sarcofagi dei più alti dignitari di corte. → Facciata Santa Maria Novella. La basilica di Santa Maria Novella è una delle più importanti chiese di Firenze, e sorge per l'appunto sulla piazza si Santa Maria Novella. La facciata marmorea di Santa Maria Novella è tra le opere più importanti del rinascimento, pur essendo stata iniziata in periodi precedenti. Questa facciata, prima dell'intervento dell'Alberti era nuda, come le facciate di molte altre chiese fiorentine, ed era di stile gotico. Questo incarico venne commissionato a Leon Battista Alberti dalla ricca famiglia dei Rucellai tra il 1439 e il 1442, ma l'artista iniziò solo nel 1458. L'Alberti modificò/aggiunse le seguenti cose: -rivestì la parte mancante coi marmi, armonizzandosi alla parte già esistente -lasciò la parte inferiore nel suo essere gotico medievale -aggiunse il portale classicheggiante (stile classico) ispirandosi a quello del Pantheon -realizza un'ampia fascia decorata a tarsie quadrate che separa la parte inferiore da quella superiore -nella parte superiore installò un grande rettangolo tripartito (attorno al grande oculo) -il rettangolo è sormontato da un timpano con al centro il volto di Gesù Bambino inserito nel disco solare fiammeggiante -sull'architrave superiore realizza un'scrizione che simboleggia il benefattore e l'anno di completamento (Giovanni Rucellai, figlio di Paolo, anno 1470) L'Alberti intervenne quindi sulle parti gotiche precedenti, sapendo però unificare bene le parti vecchie a quelle nuove. → Basilica di Sant’Andrea a Mantova. La basilica di Sant'Andrea è la più grande chiesa di Mantova. La facciata è concepita sullo schema di un arco trionfale romano a un solo fornice tra setti murari, ispirato a modelli antichi come l'arco di Traiano. Lo schema dell'arco di trionfo è inserito nel tema formale del tempio classico che forma una sorta di avancorpo avanzato, rispetto al resto dell'edificio. Sotto l'arco venne a formarsi uno spesso atrio, diventato il punto di filtraggio tra interno ed esterno. Grande enfasi è poi data da un secondo arco superiore, oltre il timpano. Tale elemento architettonico definito "ombrellone", è in realtà un tratto di volta a botte e venne ritenuto, nel XIX secolo, estraneo al progetto di Alberti rischiando la demolizione. L'"ombrellone" segna l'altezza della navata, e impedisce inoltre alla luce di penetrare in modo diretto all'interno della chiesa creando una sorta di penombra. La struttura interna è a croce latina, con navata unica, e con cappelle laterali a base rettangolare. Tre cappelle più piccole, ricavate nel setto murario dei pilastri, si alternano a quelle maggiori e la loro alternanza venne definita dall'Alberti come tipologia di "chiesa a pilastri". La crociera tra navata e transetto è aperta dalla cupola dal diametro di 25 metri, sorretta da pilastri raccordati con quattro pennacchi. Si è dubitato che facesse parte del progetto albertiano, tuttavia i pilastri della crociera risultano costruiti durante la prima fase costruttiva quattrocentesca. PAOLO UCCELLO (1397-1475). → Monumento a Giovanni Acuto. Si tratta di un'affresco che celebra il condottiero inglese Sir John Hawkwood, noto in Italia come Giovanni Acuto che nel 1364 sconfisse i Pisani nella battaglia di Cascina. Il dipinto finge un gruppo equestre eretto al di sopra di un sarcofago che poggia su un basamento sporgente. L’artista ha dipinto l'intera scena in monocromia o detto anche in terra verde (tonalità di grigio e verde), imitando un monumento scultoreo di marmo. Il cavallo, è rappresentato con un passo elegante e controllato, mentre il condottiero o con un'armatura riccamente dettagliata e lo sguardo rivolto lontano, in segno di autorità e potenza. Un aspetto fondamentale del lavoro di Paolo Uccello è l'uso della prospettiva. Confronto con Niccolò da Tolentino. → Battaglia di San Romano. I tre dipinti raffigurano la battaglia nella quale le truppe fiorentine sotto il comando di Niccolò da Tolentino sconfissero l’esercito senese nel 1432. La tavola degli Uffizi è l’episodio centrale della sequenza narrativa, che iniziava con la raffigurazione di Niccolò da Tolentino alla guida delle truppe fiorentine nel dipinto oggi alla National Gallery di Londra e si chiudeva con l’attacco di Michelotto da Cotignola, alleato dei fiorentini, illustrato nel pannello del Museo del Louvre a Parigi. National Gallery. Il comandante è al centro della composizione su un cavallo bianco, dietro di lui sono presenti i cavalieri di Firenze la cui multitudine è indicata dalle numerose aste puntate verso il cielo. La scena principale è delimitata da aranci carichi di frutti e da alti siepi di rose in fiore. Al di qua della cortina di piante la profondità è definita da un piano che assume i contorni di un trapezio dal colore rosato. Oltre la siepe un paesaggio raffigurante colline coltivate si erge improvviso e verticalmente come una barriera, alla stregua di un fondale di scena dipinto. Uffizi. Delle tre è l'unica che abbia conservato tracce della lamina d'argento che ricopriva le armature, La scena della battaglia occupa il primo piano, con i due eserciti schierati dalle due parti e con il punto focale sul cavallo bianco del comandante senese al centro, che sta per cadere. La gamba tesa di Bernardino, la lancia che lo colpisce e quella che sta trafiggendo un guerriero a terra creano un'intelaiatura geometrica a forma di triangolo, che cristallizza la concitazione della scena in una più misurata monumentalità statica. Anche qui lo sfondo è disarticolato dal primo piano e si ritrovano i giovani a caccia con la balestra con una lepre inseguita da un levriero. ll mazzocchio viene indossato su due cavalieri a sinistra e da un altro dietro il comandante senese. → San Giorgio e il drago. Il quadro ritrae il cavaliere San Giorgio che arriva sul suo cavallo bianco e dall’alto trafigge lo spaventoso drago. La figura di San Giorgio è marginale o quasi insignificante: il santo è una figura quasi senza volto, nascosto dall’armatura e dall’imponente cavallo che si impenna. Sullo sfondo del quadro si notano, a sinistra una grotta dove il drago ha il suo rifugio, mentre a destra una tempesta in contrapposizione con un cielo sereno. Nonostante il contenuto del dipinto, dalla scena è quasi assente ogni genere di drammaticità. Nel quadro si riscontra la prospettiva nelle siepi sul terreno, scorciate attraverso una prospettiva centrale che non è scientifica ma intuitiva. Questa tela si tratta di un'opera di transizione tra il Rinascimento e la cultura gotica. → Caccia Notturna. Realizzata probabilmente tra il 1465 ed il 1470. In essa viene raffigurata una caccia nei boschi di Pisa, come viene riportato dall'artista stesso grazie ad una scritta sul retro della tavola. L'opera si articola tra linee verticali data dai tronchi degli alberi che vengono disposti secondo un'unica prospettiva centrale e dalla moltitudine di figure scattanti e colorate che vengono dipinte. In questo quadro l'uomo è l'animale hanno una sorte comune, ovvero quella di sparirebbe nel buio. l'artista arriva alla sintesi definitiva del suo percorso di ricerca teso al concetto dell'immagine pittorica che mostra in realtà la sua essenza illusoria. La caccia notturna fu una delle ultime opere realizzate da Paolo Uccello. BOTTICELLI (1445-1510). A differenza degli artisti, lui si avviò verso la pittura per sola vocazione, ispirato dalla pittura di Filippo Lippi a Prato. Dopodiché lavorerà e dimorerà (dal 1470) presso via Nuova (oggi del Porcellana) fino alla sua morte nel 1510. → L’Adorazione dei Magi. Dipinta nella cappella di Zanobi del Lama di Santa Maria Novella. L’opera fu eseguita con un riguardo verso il Nuovo testamento, ciò suscitò l’ammirazione del Vasari. In basso vengono rappresentati tutto gli esponenti dell’aristocrazia di Firenze, e coincidono con la base della piramide prospettica. Mentre al vertice abbiamo la figura della Vergine con il bambino ed il padre terreno Giuseppe; al di sotto di essi abbiamo i Magi mentre offrono i doni, rappresentano le tre età dell’uomo. Sullo sfondo abbiamo invece delle rovine di un tempio ed uno sfondo sfoglio e desertico. Dal vertice di questo triangolo un moto ascensionale sposta l'occhio dello spettatore verso l'altro, tramite la figura di Giuseppe, fino alla luce divina che spiove dall'alto. Un pavone, appollaiato a destra, simboleggia l’immortalità, poiché fin dall'antichità le sue carni erano ritenute immarcescibili. → La Primavera. L’immagine si materializza nella cornice fiorita di un prato primaverile, raffigurato in penombra di un boschetto di aranci e disseminato di erbe e piante d’ogni specie, descritte con un minuzia spettacolare. Al di là dell’aranceto, scandito dalle fitte verticali degli alberi, lo spazio è delimitato da una siepe di mirto, stagliata in contro luce, che forma un motiva ad aureola alle spalle del personaggio centrale, esattamente come il cespuglio di ginepro nel Ritratto di Ginevra Benci dipinto da Leonardo quasi negli stessi anni. La protagonista è la figura femminile bianco vestita, che avanza con il capo velato e il corpo parzialmente avvolto in un mantello vermiglio, elegantemente drappeggiato sul braccio destro e trattenuto dal sinistro al di sotto del ventre; le gambe accennano a un movimento di danza. La dama è designata come Venere dalla pianta di mirto a lei associata. Librato in volo sulla testa di Venere, Cupido ha il capo bendato e il corpo alato, si appresta a scagliare una freccia ardente in direzione della più esterna delle Grazie (Eglie, Eufronesis e Thalia) che, più a sinistra unisce le proprie mani con quelle delle compagne, intrecciate nella celebre danza circolare. All’estrema sinistra del quadro, vi è un giovane nudo, coperto solo di un mantello rosso cui trattiene i lembi con la mano sinistra; volge le spalle all’intera composizione, calza ai piedi i coturni. L’elmo e il manto militare, attraversato diagonalmente dalla bandoliera della spada, lo identifichiamo come mercurio. Dalla metà destra del dipinto, una donna sorridente avanza con passo deciso verso il centro, le vesti scompaginate in un turbinio di stoffe e di petali. La tunica è arricchita da fiori di varie specie. Dal fitto della boscaglia emerge Zefiro, il vento di ponente nunzio dei tempi primaverili, raffigurato in atto di abbrancare la ninfa Clori, che gli corre terrorizzata dinnanzi. Le sue vesti sono sconvolte nel disordine della fuga. Dall’insieme del loro incontro generano germogli che fioriscono. → La Nascita di Venere. Uno dei capolavori più celebri di Botticelli è La Nascita di Venere, dipinto intorno al 1484-1486. Era conservata nella Villa Castello per poi essere acquistata e trasferita agli Uffizi di Firenze. Il dipinto illustra un celebre passo delle Stanze del Poliziano, in cui è descritto un rilievo figurato collocato sulla Porta di Venere. Il dipinto rappresenta la dea Venere sulle rive dell’isola di Cipro mentre emerge dal mare su una conchiglia. Alla sua sinistra ci sono due figure, una maschile e d una femminile, che soffiano del vento per spingerla verso la riva, le due figure sono abbracciate, riconosciute come Zefiro, vento di primavera, e la ninfa Cloris, sua sposa. Secondo alcune teoria la figura di Clori può essere identificata come Aura, la brezza che viene citata nelle Stanze di Poliziano. La coppia di amanti, rappresenta il soffio della passione da cui la dea è mossa e ispirata. Ispirati all’immagine biblica dello spirito creatore che soffiava sulle acque primordiali. Botticelli li distribuisce in modo tale che emerga con maggior chiarezza la triade concettuale che c’è tra la natura e l'uomo. Entrambi sono avvolti da un manto azzurro, che segue la direzione opposta del vento soffiato dai due, e da un mucchio di fiori rosa che simboleggiano la primavera incombente. La dea è raffigurata stante nuda mentre si copre il seno con la mano destra, invece con la sinistra trattiene la massa di capelli lunghi, mossi dal vento sopra la zona dell’inguine. La nudità della dea non è affatto una pagana esaltazione della bellezza senza dignità, ma di purezza, semplicità, beltà dell’anima. Tra i significati impliciti, c’è anche quello della corrispondenza fra il mito greco e quello cristiano della nascita dell’anima dall’acqua del battesimo. A destra del quadro, invece è raffigurata una giovane nell’intento di coprire Venere con un mantello fi fiori. Questa figura viene riconosciuta come Ore, la Primavera, come una delle Grazie, Flora. Ore veste un abito bianco variopinto, coperta di fiori e cinta di rose, accoglie la dea con sguardo severo e impassibile. Alle sue spalla si intravede una foresta di alberi di ulivi. → Madonna Magnificat. Conservata agli Uffizi, la madonna è isolata nel proprio splendore come in una sfera di cristallo, supremamente elegante negli accostamenti cromatici e nella resa del particolare scelto e significante: l’intaglio fiorito del trono, il soffice ammassarsi delle capigliature, l’aristocratico incontro delle mani sul libro aperto. La Vergine riccamente abbigliata, con la testa coperta da veli trasparenti e stoffe preziose e i suoi capelli biondi si intrecciano con la sciarpa annodata sul petto; il nome del dipinto deriva dalla parola "Magnificat" che compare su un libro retto da due angeli, abbigliati come paggi che porgono alla Madonna il calamaio, mentre il Bambino osserva la madre e con la mano sinistra afferra una melagrana, simbolo della resurrezione. Attorno a lei vi sono angeli quali i più vicini alla Vergine fanno da reggi libro, mentre gli altri sorreggono la corona sul capo della donna. Sullo sfondo invece possiamo vedere un semplice paesaggio di campagna che vuole sembrare quasi spoglio per non distorcere l’attenzione. → Venere e Marte. Conservata alla National Gallery di Londra; viene dunque rappresentata la Venere, come simbolo di principio di amore e concordia che si oppone a Marte, simbolo di odio e discordia, vincendolo in ragione dell’armonia dei contrari. Attorno troviamo dei satirelli che giocano con le armi del dio (simboli pagani di lascivia, che ignorano Venere, vigile e cosciente, e tormentano Marte, intorpidito e assente), Mentre nell’angolo a destra troviamo un alveare di api mentre sciamano dentro e fuori il tronco spezzato raffigurato in testa al dio addormentato, costituisce infatti una sicura allusione al nome dei Vespucci, vicini illustri di Filipepi e loro padroni di vecchia data. Il quadro dunque vuole essere una compiuta iconografia augurale , indirizzata a una coppia nella fausta ricorrenza delle nozze. → La Calunnia. La complessa iconografia riprende anche stavolta fedelmente l'episodio originale e la scena viene inserita all'interno di una grandiosa aula, riccamente decorata di marmi e rilievi e affollata di personaggi; il quadro va letto da destra verso sinistra: il re Mida (riconoscibile dalle orecchie d'asino), nelle vesti del cattivo giudice. E’ seduto sul trono, consigliato da Ignoranza e Sospetto; davanti a lui sta il Livore, l'uomo con il cappuccio nero e la torcia in mano; dietro a lui è la Calunnia, donna molto bella e che si fa acconciare i capelli da Perfidia e Frode, mentre trascina a terra il Calunniato impotente; la vecchia sulla sinistra è la Penitenza e l'ultima figura di donna sempre a sinistra è la Verità, con lo sguardo rivolto al cielo, come a indicare l'unica vera fonte di giustizia. 1494 circa, Uffizi. La scena si caratterizza innanzitutto per un forte senso di drammaticità È una constatazione amara, che rivela tutti i limiti della saggezza umana e dei principi etici del classicismo, non del tutto estranea alla filosofia neoplatonica, ma che qui viene espressa con toni violenti e patetici, che vanno ben oltre la semplice espressione di malinconia notata sui volti dei personaggi delle opere giovanili di Botticelli. MANTEGNA (1431-1506). Compì il suo apprendistato artistico a Padova, a partire dagli undici anni, nella bottega di Francesco Squarcione. → Orazione nell’orto. L'Orazione nell'Orto è un dipinto, tempera su tavola, databile al 1453-1454, situato al National gallery di Londra. Mantegna pone i suoi personaggi in una natura spoglia, che sembra completamente modificata dall'azione dell’uomo. Il Cristo, solitario, è inginocchiato sulla dura roccia, sagomata come se fosse adattata per l'occasione. I tre discepoli, profondamente addormentati nelle vicinanze del torrente Cedron che è rappresentato come un canale scavato fra lisce pareti rocciose, sembrano anch'essi parti costitutive del paesaggio semidesertico e, infatti, sono rappresentati come blocchi di pietra perfettamente incastrati fra di loro. La solitudine di Gesù è sottolineata dal fatto che volge le spalle all'osservatore, mentre medita e soffre di fronte all'apparizione di cinque angeli, che gli mostrano i simboli della Passione: la colonna della flagellazione, la lancia, la croce, la spugna con cui gli sarebbe stato dato da bere aceto. Sulla destra, in corrispondenza di una curva della strada che da Gerusalemme scende nella Valle del Cedron dirigendosi verso il Getsemani Giuda guida la folla di armati che si apprestano a catturare il Figlio di Dio. → Pala di San Zeno. La Pala di San Zeno è stata commissionata nel 1456 dall’ abate di San Zeno Gregorio Corrèr e venne conclusa nel 1459 e finita di pagare nel 1460, anno in cui Mantegna fu chiamato a Mantova dai Gonzaga. Le tre tavole che la compongono (la predella di Verona è una copia successiva dovuta a Paolino Caliari, mentre gli originali della porzione centrale e delle due laterali sono conservati rispettivamente al Louvre e a Tours) sono incluse in una cornice lignea architettonica formata da quattro semicolonne corinzie, scanalate e sormontate da una trabeazione conclusa da una cimasa centinata. Nonostante l'aspetto di un trittico, la scena, che raffigura una Madonna in trono con il Bambino in braccio, attorniata da angeli musicanti e da otto santi, è ambientata in uno spazio architettonico unitario di pianta rettangolare, dove dieci pilastri sostengono una trabeazione e una copertura piana a lacunari. La prospettiva, a sua volta, ribadisce l'unitarietà spaziale dell'insieme. La linea d'orizzonte molto bassa e il punto di fuga lungo l'asse centrale della pala comportano la veduta dal basso e la monumentalità dei personaggi e suggeriscono la posizione degli occhi dello spettatore. Le semicolonne lignee si fingono di poco distanziate dai pilastri dipinti retrostanti in modo da intensificare il senso realistico dell'opera che coinvolge direttamente lo spettatore. Nello sfondo retrostante sono presenti nuvole a strati nel cielo blu, oltre il roseto che cresce rigoglioso al di là dell'edificio che ospita la Vergine e i santi. La Vergine, dal volto tondeggiante ornato dalle pieghe piene del velo che le copre la testa ricadendo intrecciato sul seno, sorregge il Bambino che, in piedi sulle sue ginocchia, le cinge il collo con un braccino e volge la testa e lo sguardo a sinistra, mentre la Madre guarda dalla parte opposta. L'aureola di Maria è richiamata dal tondo del fregio retrostante. → Stanza degli sposi. A Mantova Andrea Mantegna realizza la sua massima opera: la decorazione della Camera degli sposi, la camera da letto di Ludovico Il Gonzaga, un ambiente cubico nel torrione Nord di Castel San Giorgio, parte dell'immenso complesso del palazzo marchese gonzaghesco.Iniziata nel 1465 e conclusa nel 1474; la Camera degli Sposi presenta una grande novità della decorazione che è rappresentata dallo sfondamento illusionistico di due pareti vicine e della volta, attuato tramite l'impiego della prospettiva, in modo da dare l'impressione di trovarsi nello spazio aperto di un loggiato. Nella stanza solo le cornici del camino, quelle delle porte e le mensole sono veri, tutto il resto è decorazione, cioè pura finzione pittorica. Andrea suddivide le pareti con una finta architettura costituita da paraste che poggiano su un basamento. Al di sopra di questo, sulla parete Nord una scalinata conduce a una terrazza delimitata da una transenna marmorea. Sulle paraste, dai veri peducci si dipartono delle costole dipinte che ripartiscono la volta in lunette decorati a grisaglia (tecnica pittorica a monocromo, grigio), confluenti in un oculo centrale. Al di là di questo Andrea finge un cielo azzurro, luminoso e solcato da nubi vaporose. Dal parapetto, pretesto per i giochi di alcuni amorini, si affacciano delle fanciulle; su di esso è appollaiato un pavone ed è anche appoggiato, precariamente, un vaso di legno con una pianta fruttifera. Fra un peduccio e l'altro, finti cursori metallici sorreggono finti tendoni di cuoio con impressioni in oro. Sulle pareti Est e Sud i tendoni sono abbassati, mentre sulle due restanti sono variamente sollevati, permettendo così la visione di alcune scene. È molto probabile che le raffigurazioni abbiano un deciso contenuto celebrativo, potendo essere riferite all'elezione a cardinale di Francesco Gonzaga, secondogenito di Ludovico. Nella parete Nord è dipinta la corte mantovana riunita sulla terrazza attorno al marchese Ludovico, seduto sulla sinistra, e alla consorte Barbara di Brandeburgo, al momento di ricevere la notizia dell'elezione. Il marchese, che stringe tra le mani una lettera, è volto a sinistra in atto di confabulare con il segretario; che si è tolto il berretto. La marchesa Barbara li osserva severamente. Ogni personaggio ha ricevuto dall'artista le cure della caratterizzazione: dai figli e dalle figlie che attorniano i signori di Mantova, alla nana al fianco della marchesa. Il cane accucciato sotto il tronetto di Ludovico, i preziosi tappeti orientali, infine, sono altrettanti simboli di una tipica corte rinascimentale amante del lusso e dei divertimenti. → San Sebastiano. In primo piano il santo, trafitto da numerose frecce e dal volto sofferente, è legato ai resti di un edificio classico. Le sue gambe sono poco scostate l'una dall'altra perché una fune le stringe assieme. Le spalle si abbassano a destra, mentre il bacino, dallo stesso lato, si solleva. Il santo martire volge gli occhi al cielo; la sua testa è circondata da un'aureola di pulviscolo dorato. Gli arcieri, relegati nella parte inferiore destra del dipinto, sono delle presenze quasi ininfluenti. Sebastiano si staglia contro un pilastro decorato con motivi vegetali sormontato da quel che rimane di un arco e una colonna, conclusa da un ornatissimo capitello corinzio. Sull'abaco del capitello resiste ancora una porzione di trabeazione, parti della quale, cadute a terra, costituiscono l'appoggio per il martire. Ai resti di architettura crollati si aggiunge in basso a sinistra anche la porzione di una statua: un piede in un sandalo e l'abbozzo di una tunica. Un fico selvatico cresce fra le rovine e un'edera fra l'arco e il timpano, mentre fiori di papavero sbocciano sull’architrave. Lo sfondo è costituito da una stratificazione urbana. In basso antiche mura di edifici classici sono state adattate a un uso moderno: un arco trionfale costituisce la porta della città ed è sormontata da un doppio attico finestrato; una struttura ad archi con un registro superiore a colonne lo affianca a sinistra e rocchi di colonne scanalate giacciono a terra sulla piazza.Poco più sopra una fortezza domina l'abitato e in alto, su uno sperone roccioso, sorge un'acropoli murata. → Cristo morto. Con l'arrivo a Mantova nel 1482/ 1483 di una reliquia della pietra su cui era stato adagiato il corpo di Cristo nel sepolcro. Eseguito a tempera su una tela a trama larga, il dipinto, quasi monocromo, innova l'iconografia del Cristo morto. In una stanza, il cui ingresso è ben visibile sulla destra, il corpo del Salvatore, deposto dalla croce e già lavato, è collocato su una lastra tombale dalle tonalità rosso-gialle spente, il vaso contenente gli unguenti è posato sulla lastra, a destra in alto nella tela. La sua testa poggia su un cuscino di seta di color rosa pallido, mentre la metà inferiore del suo corpo è coperta da un lenzuolo funebre bianco-grigiastro. Un lembo del drappo gira sotto le spalle, attenuando il contrasto tra il colore livido del corpo di Cristo e quello del cuscino. San Giovanni, la Vergine e la Maddalena, piangenti e gementi, sono collocati a sinistra. Cristo è fortemente scorciato, l’intera lunghezza del suo corpo è pari a quattro volte la testa e, poiché lo spessore della lastra sulla quale giace coincide con il piano della rappresentazione, i suoi piedi sembrano sporgere in fuori, invadendo lo spazio del fedele che, così, è immediatamente coinvolto nella narrazione, divenendo il quarto dolente della composizione.La disposizione dei piedi di Cristo in primo piano e delle mani, di cui viene mostrato il dorso, comporta che gli squarci della carne dovuti ai chiodi si presentino con crudo realismo, suscitando un sentimento di pietà misto a orrore. Una "corretta" rappresentazione avrebbe imposto una testa piccola e dei piedi grandi. Mantegna fa esattamente l'opposto: inverte le dimensioni del corpo scorciato, dipingendo dei piccoli piedi e una grande testa reclinata verso destra. → Cristo in pietà. Eseguito attorno al 1495/ 1497, il Cristo in pietà dello Statens Museum di Copenaghen si mostra in tutto il suo perfetto equilibrio formale. Il dipinto di piccole dimensioni rappresenta il Cristo risorto seduto sui bordi del sepolcro e sorretto da due angeli. Le sue braccia sono distese e ruotate in modo che i palmi delle mani siano rivolti verso chi guarda, i piedi sono nudi e il busto è scoperto così da mostrare i segni del supplizio. La linea dell'orizzonte è alta e coincide con quella delle ultime montagne azzurre del profondo paesaggio. Il sarcofago in prospettiva, visto dall'alto, partecipa alla costruzione spaziale allontanandosi dall’osservatore. In fondo a sinistra il picco roccioso pericolosamente inclinato è il monte Sion che sovrasta Gerusalemme, la città circondata dalle mura. A destra si erge il Golgota sul quale sono ancora piantate le tre croci. Al di sotto alcuni artefici scolpiscono una statua, di fronte all'arco naturale di una grotta. Gli angeli, l'uno, un serafino, vestito di rosso e con le ali tendenti al nero, l'altro, un cherubino, con indosso una tunica azzurra e le ali blu notte, sono disposti dietro Gesù. Inginocchiati sui bordi del sarcofago lo sostengono e, mentre quello di sinistra lo guarda sofferente, l'altro, scostato un lembo del sudario, volge gli occhi al cielo e fuori del dipinto, piangendo per il corpo martoriato di Gesù. Le ali dei due messaggeri divini si allargano e si intrecciano e rinviano alle ornate volute che affiancano il fronte del sarcofago. Chi guarda è colpito dal corpo pallido del Cristo circondato dal bianco colmo di riflessi e di ombre grigie del sudario.