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LEZIONE 25 MARZO – MARIANA RICCI Il Seicento: elementi di continuità e affermazione dello Stato Nel Seicento abbiamo l’affermazione definitiva dello stato moderno così come oggi lo concepiamo, possiamo individuare alcuni elementi di continuità rispetto al passato ma anche dei cambiamenti important...

LEZIONE 25 MARZO – MARIANA RICCI Il Seicento: elementi di continuità e affermazione dello Stato Nel Seicento abbiamo l’affermazione definitiva dello stato moderno così come oggi lo concepiamo, possiamo individuare alcuni elementi di continuità rispetto al passato ma anche dei cambiamenti importanti verso una definitiva affermazione dello Stato come entità distinta rispetto all’autorità religiosa. La forma che lo Stato assume è quella dello Stato Assoluto, il re (che personifica lo stato stesso): - È sciolto rispetto agli altri poteri che insistono sullo stesso territorio o sulla stessa popolazione. - È “legibus solutus”, non è sottoposto dunque alle sue stesse leggi così come accadeva nel diritto romano di età imperiale. Siamo in un periodo immediatamente successivo ad alcuni importanti avvenimenti: - Concilio di Trento, una risposta vera e propria da parte della Chiesa alle riforme protestanti. - L’istituzione dell’ordine dei Gesuiti, ordine religioso che si caratterizza per una particolare obbedienza al potere papale. - L’istituzione dei Registri, che costituiranno un modello anche per il diritto laico. - L’istituzione dell’Indice dei libri proibiti nel 1564, che continuerà ad operare in Europa nei territori che riconoscono l’autorità della Chiesa Cattolica. - Vengono create le Congregazioni, presiedute dai cardinali continueranno a sopravvivere sino al 2022 quando Papa Francesco, con una riforma interna alla Chiesa, ha deciso di nominarle “dicasteri”. Continuano le guerre di religione e si instaura un nuovo ordine mondiale. La Spagna e l’Inghilterra si impongono come «grandi potenze internazionali». La Spagna si pone come modello di stato cattolico, dunque ha la possibilità di controllare direttamente altri territori europei che sono caratterizzati dalla preminenza della religione cattolica. In particolare, la Spagna, per «unione personale» controlla varie zone, tra le quali: la Lombardia, la Sardegna, la Sicilia e il Napoletano. Sono legati alla Spagna anche il Ducato di Savoia (Emanuele Filiberto, detto Testa di Ferro, era già un comandante dell’esercito spagnolo); la Repubblica di Genova (legata alla Spagna da scambi commerciali); la Toscana dei Medici legata a rapporti con i sovrani spagnoli; lo Stato pontificio con papi spagnoli (Alessandro VI) o filo-spagnoli. Anche la Francia si afferma come potenza monarchica di tipo assolutistico, riuscendo a superare i localismi dell’età precedente. Nel corso del Seicento continuerà inoltre ad esistere quel corpus normativo che prende la denominazione di “diritto comune” e inizieranno ad affermarsi proprio i diritti locali, cioè l’idea che l’ordinamento giuridico possa essere costituito non solo dal diritto romano canonico ma anche da leggi che lo differenziano rispetto ad entità diverse guidate da altri principi o sovrani. Viene abbandonata quell’idea secondo cui possa esistere un diritto comune europeo e nasce il diritto nazionale. Dal Principe allo Stato In questo secolo vi è una spersonalizzazione dei rapporti: non abbiamo più un rapporto diretto tra il principe ed i suoi sudditi e si inizia a concepire lo Stato come entità astratta. Si supera la concezione del “contrattualismo medievale”, il principe può esercitare la sovranità in quanto innata nel ruolo che ricopre. La concezione pubblicistica moderna non considerava più il principe come il vertice di un sistema di vassallaggio, vincolato da regole scritte e consuetudinarie tramandatesi nel corso dei secoli: lo vedeva titolare di un potere sovrano diretto, illimitato su tutti i sudditi, libero da ogni intermediazione di raggruppamenti, ceti o istituzioni: si sviluppa il concetto di LEX TERRAE, cioè di LEGGE DEL PAESE o LAW OF THE LAND, per indicare il corpus di norme relative ad una determinata area geografica, corrispondente a quello che sarà definitivamente lo Stato moderno à un concetto nuovo che supera l’idea del diritto comune romano-canonico in favore di un ordinamento giuridico territorialmente definito. Nel corso del 600 si può ancora assistere all’esercizio di una sovranità limitata: si assicura ai sudditi ordine interno ed esterno (funzione negativa) ma con una propensione ad una estensione delle funzioni del principe/Stato (funzione positiva). Nuovi elementi dello Stato moderno: - Legislazione centralizzata: il principe diviene fonte del diritto come già avveniva nella Roma imperiale, ci avviciniamo sempre di più alla creazione di un diritto nazionale. - Creazione di una burocrazia (ciò che molto più tardi prenderà il nome di “diritto amministrativo”) diffusa a livello locale, in rappresentanza del potere regio (sovranità). - Potenziamento della rete amministrativa con funzionari fedeli al sovrano e incaricati di esercitare il controllo in nome del sovrano, in quanto la giustizia è parte integrante del sistema burocratico. - Ordine pubblico e giustizia come compiti principali del sovrano/Stato (funzione negativa). - Funzioni del sovrano: Legislazione (direttamente esercitata dal principe), Amministrazione (esercitata tramite i funzionari a livello locale) e Giustizia (esercitata da funzionari o giudici scelti e nominati direttamente dal sovrano con una snaturalizzazione del sistema della giustizia). Sono funzioni preordinate al mantenimento dell’ordine pubblico e volte alla pacificazione interna nonché al controllo di pericoli provenienti dall’esterno. - Si creano, pertanto, quelle che possiamo definire «funzioni positive» dello Stato che non si limita più solo ad una protezione e quindi a garantire «l’assenza di eventi che pongono in essere la pace e la stabilità» ma si attiva per fornire «benessere» ai sudditi. Una delle conseguenze delle attività garantite e “offerte” dallo Stato moderno è l’aumento delle spese pubbliche e la conseguente crescita della imposizione sui sudditi. Altra conseguenza della creazione di un complesso apparato burocratico a livello centrale e periferico è la “spersonalizzazione” dei rapporti tra principe/sovrano/Stato e sudditi/contribuenti: la direzione è quella di un superamento del feudalesimo medievale (in Europa, nel 600, vivono circa 112 milioni di persone, un numero considerevole e in continua crescita rispetto ai secoli precedenti, certamente di molto inferiore agli attuali circa 750 milioni di abitanti dell’Europa comprensiva anche dell’area asiatica). La penisola italiana nel 600 La penisola italiana era caratterizzata da una forte frammentarietà per la presenza di realtà molto diverse fra loro nelle quali c’era una predominanza del diritto romano così come interpretato dai Dottori nelle Università, al contrario di altre zone dell’Europa dove si erano sviluppate già entità pre-statali. Nel diciassettesimo secolo anche in Italia è possibile individuare almeno tre grandi aree geografiche nelle quali succede qualcosa che si avvicina alla creazione di un’entità statale: - Domini Spagnoli (in particolare Sicilia, Sardegna, Lombardia e Napoletano): vediamo il concetto di “unione personale” perché più territori fanno riferimento alla stessa colonia pur non avendo rapporti tra di loro (come i paesi del Commonwealth). - Stati Sabaudi: area del nord dell’Italia a confine con la Francia, una pluralità di territori che vengono riorganizzati già nella seconda metà del 500 dal duca Emanuele Filiberto. Questo ducato diventerà un regno solo agli inizi del 700 quando acquisirà la Sardegna diventando, per l’appunto, il Regno di Sardegna che costituirà poi il nucleo iniziale del Regno d’Italia. Negli Stati Sabaudi si applicherà un sistema molto complesso di amministrazione pubblica che poi verrà applicato a tutto il Regno d’Italia nel 1861 tanto che si parlerà di una “piemontesizzazione” dell’Italia à processo alla base della nascita del diritto amministrativo. - Territori Pontifici: situati in Italia centrale, trovano la loro giustificazione iniziale nella famosa “Donazione di Costantino” che poi Lorenzo Valla dimostrerà essere un falso. Qui abbiamo una monarchia di tipo assoluto, sacerdotale ed elettiva. Sino alla metà del 900 esisteva inoltre un sistema per cui i membri della famiglia di una persona che diveniva pontefice avevano in qualche modo una sorta di “nobilitazione”, a partire da papa Giovanni XXIII questo sistema è stato sradicato. Domini Spagnoli I territori sotto il dominio spagnolo sono autonomi e non possono essere considerati parte del Regno di Spagna, difatti hanno al loro interno delle strutture autonome e indipendenti perché in questi territori si sviluppa un sistema amministrativo autonomo. A Madrid operava il Supremo Consiglio d’Italia (Real y Gran Consejo de Italia) che si occupava di Sicilia, Napoli e Lombardia. C’era una politica generale espressa direttamente da Madrid in questo consiglio. La Sardegna invece era sotto il controllo del Regno di Aragona anche dopo l’unione nel 1469 dei Regni di Aragona e Castiglia e dopo che la Spagna verrà considerata unitariamente a partire dal 1516 à infatti la bandiera del Regno d’Aragona è diventata poi la bandiera della regione Sardegna. Applicazione del diritto locale Nell’ambito del sistema di diritto comune la legislazione era diversa fra questi 4 territori, certamente vi è un’applicazione del diritto comune e del diritto che promana dall’autorità spagnola ma vengono conservati anche i diritti locali quali: - Constitutiones dominii mediolanensis del 1541 in Lombardia, sono consuetudini locali. - Constitutiones melfinatanae di Federico II del 1231 (raccolte nel liber Augustalis) nel Napoletano, anche in questo caso si tratta di consuetudini del posto. - Carta de Logu in Sardegna, redatta dal Giudice Mariano IV e perfezionata dalla Giudicessa Eleonora nella seconda metà del XIV secolo (in vigore sino al 1807). Questa carta viene considerata una sorta di carta costituzionale perché contiene una serie di principi generali provenienti direttamente dal diritto romano che concedono delle libertà e limitano i poteri dei signori locali. È scritta in lingua sarda e per la prima volta vi è l’abbandono della lingua latina e l’utilizzo della lingua volgare. Rimarrà in vigore sino al 1807. Struttura costituzionale dei domini spagnoli I domini spagnoli erano retti da un Viceré, tranne Milano che essendo un ducato e non un regno era retta da un Governatore, un militare che aveva specifiche competenze in ambito militare proprio per i pericoli maggiori cui era sottoposto il ducato a causa della sua posizione strategica. I Viceré e i Governatori erano inviati regi, restavano in carica di solito per 3 anni, avevano poteri illimitati nei territori da loro governati e rispondevano direttamente al Gran Consiglio d’Italia, tranne i Viceré di Sardegna che rispondevano direttamente al Gran Consiglio d’Aragona: avevano una scarsa conoscenza del territorio e per questo si facevano assistere da Consigli locali composti da personalità locali ma anche da spagnoli che vivevano nei territori italiani à questi consigli locali avevano funzioni consultive e a Napoli anche funzioni deliberative. Il caso della Lombardia Organi specifici di ausilio alle attività del Governatore: Consiglio Segreto, organo consultivo del Governatore spagnolo. Senato di Milano (1499 – 1786): si tratta di una corte sovrana cioè del Supremo Tribunale della Lombardia, con compiti giudiziari, a cui si aggiungevano ulteriori competenze in materia legislativa o amministrativa, dato che all’epoca non era netta la separazione dei poteri. Ha un’importante funzione di interinazione cioè di conservazione delle norme emanate dal legislatore o inviate dalla Spagna, funge da archivio. Era composto da pochissimi membri ( da 15 arriveranno ad essere 27 per poi tornare ad essere 23), si trattava perlopiù di giuristi e parte di questi dovevano essere necessariamente spagnoli ( inizialmente dovevano essercene almeno 3). Territori pontifici I territori pontifici erano caratterizzati dalla presenza di una monarchia elettiva, assoluta (dopo l’affermazione definitiva dell’assolutismo papale e ancor più dopo il Concilio di Trento) di tipo sacerdotale. Riorganizzazione successiva alle crisi conciliari e al Concilio di Trento: Affermazione di grandi casate cui appartenevano i Papi (Borgi, Medici, Della Rovere, Farnese) e creazione di grandi latifondi controllati direttamente dalle singole famiglie. 1588 Immensa Aeterni Dei di Papa Sisto V à 15 Congregazioni Cardinalizie («ministeri» creati per l’amministrazione dei territori pontifici e per svolgere attività che riguardano l’intero mondo cattolico, di recente riformati da Papa Francesco, hanno assunto a partire dal 2022 la denominazione di «Dicasteri» per un avvicinamento alla denominazione dei ministeri laici). LEZIONE MERCOLEDÌ 27 MARZO Gli stati Sabaudi Nella seconda metà del XVI secolo, il Duca Emanuele Filiberto, membro della dinastia Savoia e comandante dell'esercito spagnolo, raggiunge il pieno controllo della Savoia, una regione situata nel Sud-Est della Francia, al confine con l'Italia da una parte e con la Svizzera dall'altra, e degli Stati Sabaudi, un territorio caratterizzato da una certa frammentazione, che includono la Valle d'Aosta, il Piemonte e il Nizzardo, ovvero la zona intorno alla città di Nizza. Il Duca Emanuele Filiberto riorganizza il territorio in una chiave accentratrice con capitale a Torino nel 1563. Il territorio conosce il fenomeno della spersonalizzazione: il duca non ha più un rapporto diretto con i sudditi, i baroni o i signori locali, ma interagisce con essi tramite la creazione di una burocrazia a livello locale. Viene istituito un Consiglio dei ministri, denominati segretari, che sono tre in totale: Esteri, Interno ed Esercito. Queste tre figure possono essere ricondotte alla funzione generale dello stato, ossia garantire sicurezza, pace e ordine interno, nonché difendersi da potenziali minacce esterne. Vi è poi un Consiglio di Stato con compiti consultivi riguardo alle decisioni che il duca dovrà prendere. Sono istituiti tribunali locali con Prefetti nominati direttamente dal duca. Questi tribunali sono dislocati nelle aree periferiche per prevenire la formazione di sistemi di giustizia privata o alternativa rispetto alla giurisdizione statale. Sono istituite due Corti sovrane denominate "Senati", ispirate al modello milanese. Inizialmente sono due, una per la Savoia e l'altra per l'area piemontese. Successivamente viene aggiunta una terza Corte per l'area del Nizzardo. Queste corti hanno funzioni giurisdizionali, ma non esclusivamente; inoltre, presentano una dimensione territoriale. Ciò implica che la frammentazione iniziale persiste anche con l'istituzione di questa nuova organizzazione. La legge diventa strumento di consolidamento del potere e dell'identità statale. Vengono emanati gli Ordini Nuovi, provvedimenti di portata generale applicabili a tutti i cittadini dello Stato. Sebbene questi provvedimenti abbiano tentato di superare il diritto comune, quest’ultimo sopravviverà per tutto l'arco dell'età moderna. È solo con l'avvento dei movimenti di codificazione che si assisterà a un vero e proprio superamento del diritto comune. Attraverso tali movimenti, si passerà da un diritto comune con una tendenza universalistica a un diritto codificato, veramente nazionale. Si assiste a un rafforzamento degli studi giuridici presso l'Università di Torino. L’obbiettivo è promuovere un vivace dibattito che possa contribuire alla crescita e al miglioramento dell'ordinamento giuridico. Emanuele Filiberto potenzia la facoltà di giurisprudenza dell'ateneo torinese, impedendo agli studiosi e agli studenti torinesi di recarsi altrove per insegnare o studiare. Questo viene realizzato mediante l'offerta di incentivi, soprattutto di natura economica, come l'aumento degli stipendi dei professori. Inoltre, si incoraggia l'arrivo a Torino di studiosi provenienti dall'estero e da altre città. Tutte queste riforme contribuiranno al consolidamento del ducato di Sardegna, che si trasformerà nel regno di Sardegna con il Trattato di Londra del 1718. Gli stati sabaudi e le loro riforme rivestono un'importanza cruciale, poiché è grazie alla creazione di una burocrazia a livello locale che si è sviluppato ciò che oggi definiamo diritto amministrativo. Questo diritto amministrativo si forma nei territori sabaudi e si amplia ulteriormente nel Regno di Sardegna. Il diritto amministrativo viene esteso a tutto il Regno d'Italia nel 1861, dando vita a una "piemontesizzazione" del diritto amministrativo, nel senso che il modello di diritto amministrativo applicato sarà quello tipico del Piemonte e quindi del Regno di Sardegna. Dibattiti tra giuristi ed intellettuali A partire dal 1600, nacquero dei dibattiti che coinvolsero non solo i giuristi ma anche i filosofi del diritto. Il primo riguardava la lotta per le investiture, locuzione con cui si fa riferimento al ruolo riconosciuto all'autorità civile nella nomina dei vescovi che sono posti a capo delle singole diocesi. Questo dibattito ebbe delle importanti conseguenze anche sul piano giuridico: in particolare, si discuteva se l'autorità civile avesse il diritto di nominare e investire i vescovi o se questo diritto dovesse appartenere esclusivamente alla Chiesa. Si diffusero dei contrasti tra le autorità centrali che volevano centralizzare i poteri e le autorità locali che non volevano perdere i loro spazi di potere. Si discuteva attorno al ruolo delle signorie che continuavano ad esistere in questa epoca. Ancora, altri dibattiti avevano ad oggetto la posizione e il ruolo del principe: bisognava capire se il principe dovesse corrispondere esattamente allo Stato o se piuttosto avesse semplicemente una funzione rappresentativa di questa nuova entità astratta. Ulteriori contrasti si sono concentrati sulla questione dell'autonomia della fede religiosa personale rispetto all'imposizione di una religione specifica in un determinato territorio. A tal proposito, i monarcomachi, un gruppo di intellettuali così qualificati perché ritenevano che alla base del rapporto tra i sudditi e il sovrano vi fosse un contratto, sostenevano che uno degli aspetti di questo presunto contratto prevedeva la libertà di professare la propria fede religiosa. Un altro argomento di discussione riguardava la guerra e la conquista di nuovi territori. Durante questo periodo, un'altra novità che ha attirato l'attenzione del dibattito intellettuale è stata l'avvento del mondo della stampa. Se, inizialmente, le idee discusse all'interno delle università rimanevano confinate nei circoli degli intellettuali, già a partire dalla metà del Quattrocento, con l'avanzamento della tecnologia di stampa, queste idee hanno cominciato a diffondersi anche al di fuori dell'ambiente accademico. Questo fenomeno ha portato allo sviluppo di un dibattito più ampio, che ha coinvolto anche la sfera filosofica. Thomas Hobbes (1588-1679) Thomas Hobbes è un filosofo di area anglofona vissuto a lungo in Francia. Thomas Hobbes è autore del “De Cive” (1642) e del “Leviatano” (1651). Quest'ultima opera fu scritta originariamente in lingua inglese e solo successivamente fu tradotta anche in lingua latina. Il fatto che la lingua volgare iniziò ad essere utilizzata anche dagli intellettuali favorì una maggiore diffusione del pensiero di questi intellettuali. Nonostante Hobbes e Locke fossero filosofi e non avessero una formazione giuridica specifica, rifletterono sul concetto di Stato. Le premesse delineate da Thomas Hobbes risultano particolarmente pessimistiche. Egli sostiene che l'uomo non sia naturalmente portato a vivere in società e ad accettare la costruzione di un sistema giuridico. Al contrario, Hobbes descrive l'uomo come una bestia feroce nei confronti dei propri simili, con la celebre espressione "homo homini lupus", ovvero "l'uomo è un lupo per l'uomo". La società, secondo lui, è assimilabile a una "guerra di tutti contro tutti", un bellum omnium contra omnes. Partendo da queste premesse, Hobbes giustifica il potere assoluto conferito al sovrano e, di conseguenza, allo Stato. Egli spiega che poiché i rapporti umani sono costantemente caratterizzati da conflitti e aggressioni reciproche, l'esistenza di un ordine sociale è essenziale per prevenire il caos. Questo ordine viene instaurato attraverso un contratto stipulato tra il sovrano e i sudditi. Il sovrano si impegna a garantire la pace e a porre fine allo stato di guerra costante tra gli individui. Tuttavia, questo implica che gli individui debbano rinunciare ai propri interessi e diritti, affidando la tutela della pace sociale al potere centrale. In questo modo, si crea uno stato artificiale che contrasta con lo stato naturale di guerra. John Locke (1632-1704) Non tutti i pensatori dell'epoca condividevano le stesse conclusioni di Hobbes riguardo alla necessità di uno stato assoluto. Esistono altre teorie filosofiche in proposito. Tra questi pensatori troviamo anche John Locke, anch'egli filosofo di area anglofona e autore del "Secondo Trattato sul Governo Civile" (1690). Secondo John Locke, lo stato di natura non è regolato dalla forza, bensì dalla razionalità, dall'uguaglianza e dalla libertà. Questi diritti fondamentali, definiti da Locke diritti naturali "innati", non possono essere oggetto di contrattazione tra sovrano e sudditi, in quanto appartengono allo stato naturale di ogni essere umano. Tali diritti fondamentali devono essere garantiti e protetti e il sovrano è l'entità cui compete tale tutela. Alla base di questa protezione vi è un accordo tra i governati e i governanti. Da un lato, i governati devono rispettare le regole stabilite dai governanti poiché tale rispetto garantisce la tutela dei diritti fondamentali intoccabili. Dall'altro lato, i governanti sono tenuti a rispettare i diritti naturali riconosciuti a ogni individuo. Quindi, secondo Locke, sebbene le premesse siano differenti, l'obiettivo rimane lo stesso: comprendere la giustificazione dell'esistenza di uno stato assoluto. Locke, per la prima volta, opera una distinzione teorica tra due dei tre poteri che successivamente caratterizzeranno lo stato moderno (legislativo, esecutivo e giudiziario). Questi tre poteri, secondo Locke, dovrebbero essere distinti e affidati a organi separati. Questa concezione trova il suo apice con Montesquieu. Sebbene la separazione dei poteri sia oggi un principio fondamentale nei nostri ordinamenti giuridici contemporanei, nel XVII secolo, discutere di una tale separazione non era così ovvio, poiché ciascun organo svolgeva molteplici funzioni. All'inizio del suo sviluppo, il parlamento non si limitava alle funzioni legislative, ma svolgeva anche altre mansioni, come l'interinazione e la conservazione delle fonti del diritto. Allo stesso modo, il sovrano stesso poteva esercitare sia funzioni legislative tramite ordinanze o ordini nuovi, sia funzioni giurisdizionali intervenendo nei processi come autorità giudiziaria. Locke suggerisce che al parlamento dovrebbe essere assegnata esclusivamente la funzione legislativa, mentre al sovrano dovrebbe essere affidata unicamente la funzione esecutiva, con il compito di garantire l'applicazione delle norme derivanti dal parlamento. Huig de Groot (1582-1645) Huig de Groot, noto in Italia come Ugo Grozio, fu un eminente giurista e filosofo olandese, celebre per il suo lavoro "De iure belli ac pacis", pubblicato nel 1625. Nonostante le sue radici nel pensiero cristiano cattolico, Grozio introdusse una prospettiva laica e razionale del diritto, enfatizzando la ragione come un attributo naturale di ogni individuo umano. Considerato il pioniere del diritto internazionale, Grozio comprese il concetto dello stato moderno come un'entità separata dalle singole personalità dei suoi governanti e sostenne l'idea che tutti gli stati dovessero godere di pari dignità. Questo concetto di diritto internazionale si basa sul principio “pacta sunt servanda”, che sottolinea l'importanza del rispetto degli accordi stipulati. Questo principio, originariamente del diritto privato, viene esteso al diritto pubblico per garantire l'osservanza degli accordi tra gli stati. Per comprendere le cause e i metodi legittimi di condurre una guerra, è necessario distinguere tra gli strumenti giuridici che regolano l'uso della forza nella sfera internazionale. Grozio individua due corpi normativi: il ius ad bellum e il ius in bello. Il primo comprende le norme che giustificano l'uso della forza militare contro uno stato, mentre il secondo disciplina le operazioni militari durante un conflitto in corso. Ancora oggi esistono corpus normativi che regolano lo ius ad bellum e lo ius in bello, inclusa una branca del diritto internazionale chiamata diritto internazionale umanitario, che garantisce i diritti fondamentali agli individui durante i conflitti armati. L'influenza di Ugo Grozio si estende anche alla filosofia del diritto successiva, in particolare al giusnaturalismo moderno, che si basa sull'analisi dello stato di natura e sull'idea di una razionalità precedente all'ordinamento giuridico. Von Pufendorf Eminente esponente del giusnaturalismo e del razionalismo in Germania, von Pufendorf si distinse come giurista, storico e studioso di filosofia del diritto. È noto soprattutto per il suo trattato "De iure naturae et gentium". Secondo von Pufendorf, il diritto naturale si configura come un insieme di norme imposte da Dio, derivanti da uno stato di natura governato da una certa razionalità. Questo concetto sottolinea ancora una volta il ruolo predominante della ragione nell'essere umano, seguendo la stessa linea di pensiero già avviata da Locke. Al contrario, il diritto civile si configura come un insieme di norme imposte da un sovrano, derivanti da un accordo contrattuale tra governati e governante. Secondo von Pufendorf, il diritto civile non dovrebbe mai essere in contrasto con il diritto naturale perché quest’ultimo riguarda quei diritti fondamentali intrinseci a ogni essere umano. Nel pensiero dei filosofi giuristi cristiani, infatti, l'essere umano è una creatura di Dio. Inoltre, Von Pufendorf apportò un contributo di rilievo allo sviluppo del concetto di laicità, differenziando la teologia, ossia il diritto derivato da una volontà divina, dal diritto civile, basato invece su una volontà umana. Infine, portò avanti una riflessione sul diritto penale. Mentre il diritto romano influenzò lo sviluppo del diritto civile, il diritto penale si formò principalmente nell'età moderna e contemporanea, introducendo nuovi principi come il principio di legalità. Questo afferma che "nullum crimen nulla poena sine lege", ovvero nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente considerato un reato dalla legge, né con pene che non siano state stabilite dalla stessa. La dottrina privatistica del ‘600 Jean Domat (1625-1696) e Ugo Donello (1527-1591) erano pratici del diritto che si confrontavano quotidianamente con l'applicazione delle leggi per risolvere casi concreti. Jean Domat era un magistrato di professione. La sua ambizione era quella di portare ordine nel caos normativo del suo tempo. Egli, infatti, riteneva che l'applicazione delle leggi stesse diventando sempre più complessa a causa della molteplicità delle norme e delle interpretazioni ad esse associate. La sua opera dottrinaria si articola in due parti principali. La prima, "Les Loix Civiles dans leur Ordre Naturel" (1689-94), è di particolare rilevanza in quanto si concentra sul diritto civile, campo di interesse principale di Domat. La seconda parte, "Le Droit Public" (1697), è incompleta e è stata pubblicata postuma. Questa sezione si occupa del diritto pubblico e del diritto processuale, sia civile che penale. Jean Domat seguiva una impostazione «romanistica» in continuazione dell’opera di Ugo Donello, un altro giurista francese vissuto tra il 1527 e il 1591. Essendo un umanista, Donello criticava il diritto romano e la sua struttura, principalmente per motivi storico-filologici.  Gli umanisti sostenevano che il diritto romano, e in particolar modo quello che ci è pervenuto, tradiva l'autenticità del diritto romano classico. Questo perché i frammenti provenienti dalle opere dei giuristi classici sono stati inseriti in un'opera collettiva, perdendo così il vero spirito del tempo e la storicità del diritto.  Un'altra critica di natura filologica riguardava il fatto che i testi pervenutici non erano gli originali, ma erano stati tramandati principalmente attraverso manoscritti. Di conseguenza, era possibile, e in alcuni casi confermato, che questi testi avessero subito aggiunte o eliminazioni. D'altra parte, l’intento degli umanisti non era quello di sostituire il diritto romano con un diritto nuovo, anzi ritenevano che il diritto romano potesse essere un punto di riferimento ma solo se considerato in maniera filologicamente corretta. Questo implica che Donello, seguito successivamente da Domat, non criticano il diritto romano e la compilazione giustinianea, ma cercano piuttosto di individuarne sia i punti deboli che i punti forti. Domat osserva che all'interno della compilazione giustinianea vi sono principi che si adattano perfettamente alla razionalità umana. Tuttavia, critica la sistematica della compilazione giustinianea, la quale appare irrazionale. Pertanto, Domat propone un metodo per dare al diritto privato una nuova architettura nell'ottica di semplificarlo e chiarirlo. Questo nuovo metodo presuppone che l'ordine naturale e razionale proceda dalle definizioni, dalle quali derivano dei principi, dai quali, a loro volta, derivano delle regole. Questo approccio è presente ancora oggi nei codici del nostro tempo. Infatti, il nostro codice civile opera secondo il metodo suggerito da Domat, sia per quanto riguarda la struttura sistematica, sia per quanto riguarda l'organizzazione dei singoli argomenti. Domat è soprattutto un civilista, come dimostra l’ampia trattazione nella prima parte della sua opera. La seconda parte, invece, è dedicata al diritto pubblico (costituzionale e amministrativo) e a quello processuale (civile e penale). Nonostante la seconda parte dell’opera sia incompleta e postuma, presenta la stessa struttura architettonica e la stessa suddivisione delle materie operata da Domat nella prima parte della sua opera dottrinaria. Anche questa sezione ha avuto un suo seguito al momento della codificazione napoleonica tra il 1804 e il 1810. Robert-Joseph Pothier (1699-1772) Robert-Joseph Pothier (1699-1772) fu anch’egli un pratico del diritto come Jean Domat e Ugo Donello. Egli proseguì l'opera di ristematizzazione del diritto avviata da Domat, proponendo nuove soluzioni pratiche nell'applicazione delle norme, che risultassero più accessibili rispetto alla costruzione teorica del Domat. Pothier cercò a tal proposito di contribuire alla riesposizione della tradizione romanistica attraverso la sua opera principale, "Pandectae Justinianae in Novum Ordinem Digestae" (pubblicata tra il 1748 e il 1752), ma pure con numerosi trattati, come "Trattato sulle obbligazioni", "Trattato sul contratto di vendita" e "Trattato sul diritto di proprietà". Domat e Pothier sono considerati da alcuni storici e dalla dottrina come il nonno e il padre della codificazione francese, in particolare del celebre Codice civile del 1804. Questa designazione implica che essi siano in effetti i progenitori di tutte le altre codificazioni basate sul Codice civile francese del 1804, tra cui il codice civile del 1865 e il codice civile del 1942, ancora in vigore oggi. La nascita del diritto commerciale Il diritto commerciale nacque e vide la sua evoluzione nell'ambito delle corporazioni dei mercanti. Le corporazioni emanavano statuti, che stabilivano le regole per l'accesso e per l'esercizio del commercio, ed esercitavano la giurisdizione sui propri iscritti, i quali vedevano i giudici scelti tra di loro. A partire dalla fine del ‘400, si diffuse una letteratura giuridica rivolta ai pratici. In particolare, emerse il genere del trattato, un'opera monografica dedicata in modo specialistico e organico a una materia, a un singolo istituto o a un ramo del diritto, utile per giudici e avvocati nella risoluzione di casi pratici. Nel XVII secolo, quindi nel 1600, iniziò il periodo di statualizzazione del diritto commerciale, con il quale il diritto commerciale stesso veniva ricondotto all'attività propria dello Stato. Benvenuto Stracca e il Diritto Commerciale Benvenuto Stracca è un autore di Ancona, che vive nella seconda metà del Cinquecento, ma la cui opera si diffonderà soprattutto nel corso del Seicento. Stracca è considerato il fondatore del diritto commerciale in quanto è stato il primo a distinguere il diritto commerciale dal diritto civile e dal diritto canonico. Nel 1553 scrisse il Trattato "De Mercatura sive de Mercatore", che è l'opera che lo ha reso celebre nel mondo. L'opera è divisa in otto parti, di cui sono molto importanti quelle relative al fallimento ed al diritto marittimo. Struttura del «De Mercatura» 1. commercio in generale: definizione del concetto di mercante, distinzione tra mercatura ed artigianato; L’opera si apre con una parte generale di tipo definitorio (esattamente come suggeriva Domat). 2. i doveri dei mercanti: normativa statutaria, tenuta dei libri commerciali; 3. capacità necessarie per esercitare la mercatura: limitazioni generali e speciali alla capacità di agire, che incidono al momento dell'iscrizione alla matricula mercatorum; 4. cose che possono formare oggetto di mercatura: l'identificazione di esse avviene in negativis (mediante esclusione delle res extra commercium); 5. contratti mercantili: mandato, ipoteca, scommesse (queste ultime comprendono le assicurazioni o sponsiones); 6. commercio marittimo: questa parte, molto consistente, tratta del diritto marittimo (responsabilità del capitano, noleggio, libertà di navigazione, ecc.); 7. cessazione dell'attività mercatoria: per morte, per volontà del mercante, per sua interdizione penale, per fallimento; Le procedure concorsuali vengono avviate quando il patrimonio dell’imprenditore non è sufficiente a saldare i debiti da lui contratti. In questa situazione, si apre una competizione tra i creditori del debitore, i quali possono agire sul suo patrimonio per recuperare quanto loro spetta. Tra queste procedure, il fallimento riveste un ruolo centrale e ha origini storiche che risalgono al Seicento. In quel periodo, il fallimento era considerato un procedimento infamante, rappresentando una sanzione particolarmente severa per l’imprenditore che non era in grado di onorare i propri debiti. Nel contesto delle corporazioni mercantili, ogni mercante aveva il suo "banchetto" nel quale svolgeva la propria attività. Quando un mercante falliva, ovvero non poteva più pagare i creditori, il suo banchetto veniva simbolicamente "spaccato", dando origine al termine "banca rotta". Questa espressione trae origine dall'umiliante procedura di vedersi sottrarre il proprio banco, e tale concetto persiste ancora oggi. Oggi, naturalmente, non si parla più di "banca rotta" e la procedura fallimentare non è più vista come un marchio di infamia per l’imprenditore. Purtroppo, tuttavia, rimane una delle possibili soluzioni per un imprenditore che si trovi in difficoltà finanziarie e non sia in grado di onorare i propri debiti verso i creditori. 1. procedure dei tribunali mercantili Giovanni Battista De Luca (1613-1683) Giovanni Battista De Luca, è un avvocato e consulente originario di Napoli. Egli è espressione della nuova generazione di giuristi europei del XVII secolo. Scrisse 15 volumi “Theatrum veritatis ac iustitiae” (1669-73) nel quale raccoglie migliaia di casi trattati come pratico del diritto. Quello che emerge dalle opere di Giovanni Battista De Luca è una critica nei confronti dell'attività interpretativa dei giuristi, soprattutto quelle svolte in ambito accademico. Spesso, queste attività accademiche si distanziano dalla pratica del diritto poiché gli accademici, frequentemente, non hanno esperienza diretta come avvocati o notai e quindi non hanno una visione completa della realtà processuale nei tribunali. Tuttavia, questa opinione di De Luca è soggetta a critiche. È già difficile controllare un sistema giuridico basato su uno sviluppo dottrinale, dove la teoria è elaborata all'interno delle università dai professori. Immaginare un sistema giuridico che si sviluppi in base alle esperienze dei pratici del diritto in situazioni concrete risulta ancor più complesso. Un'altra opera significativa di Giovanni Battista De Luca è "Il dottor volgare", scritta appunto in lingua volgare. Questo rappresenta una vera innovazione, considerando che i 15 volumi de "Il teatro" erano stati redatti in latino, lingua comunemente usata in ambito giuridico all'epoca. Con "Il dottor volgare", De Luca si proponeva di rendere accessibile al pubblico un sistema giuridico complesso, svolgendo una sorta di divulgazione scientifica, azione che, nel Seicento, costituiva un'idea innovativa e affascinante. LEZIONE 28/03 IL SISTEMA GIURIDICO MODERNO Il sistema giuridico dell'età moderna rimane fortemente influenzato dalla predominanza del diritto comune, nonostante le sue crepe, le incongruenze e le zone d'ombra. Il sistema basato sul diritto comune poteva evolversi attraverso l'attività interpretativa dei giuristi (diritto dei dottori). Tuttavia, come abbiamo visto anche in riferimento alle epoche precedenti, questo sistema tendeva a generare incertezza nel diritto. Era quindi necessario individuare nuove soluzioni. Il sistema giuridico nell'età moderna si complica ulteriormente anche a causa di una nuova fonte: la legge (la c.d. fonte principe dello Stato moderno). Questa fonte assume nomi diversi a seconda dei luoghi: "ordonnance" in Francia, "ordini nuovi" negli Stati sabaudi, ecc. Il termine tecnico deriva dal diritto romano, dove "lex" indica un provvedimento di natura generale e astratta emanato dalla volontà di un magistrato, successivamente proposto e votato dall'assemblea popolare. Nel nostro ordinamento, gli articoli 70 ss. della Costituzione sono dedicati alla fonte "legge", la quale promana da un organo legislativo, ovvero il Parlamento. Nell'età moderna non vi sono stati grandi cambiamenti fino alla seconda metà del ’700, poiché il sistema giuridico moderno continua ad essere caratterizzato dalla predominanza del diritto comune (romano-canonico). Tuttavia, persiste il problema dell'incertezza del diritto, poiché l’applicazione pratica del diritto comune stesso richiedeva l’interpretazione della norma. Il diritto infatti evolve con la società e risponde alle varie esigenze e istanze sociali ("ubi societas, ibi ius"). Altra questione è poi se il diritto venga dopo esigenze poste dalla società (come nello Stato democratico) o se invece esistano prima delle norme ed a queste la società si adegua (come accade nello Stato assoluto) Il diritto comune continua a sopravvivere fino alla seconda metà del’700, quando si afferma la legge come espressione della volontà popolare. Tuttavia, emergono crepe e incongruenze nel diritto comune, specialmente nella sua parte relativa al diritto romano, percepita come distante e difficile da applicare. In questo periodo, le istanze di cambiamento sono promosse dagli intellettuali, non necessariamente giuristi, che interpretano la realtà e la nuova entità dello "Stato". Ad esempio, Hobbes e Locke, pur partendo da presupposti diversi, giustificano entrambi lo stato assoluto. Inoltre, Ludovico Antonio Muratori si rivolge all'imperatore e al papa per chiedere un intervento di autorità nella creazione di un ordinamento giuridico nazionale, al fine di superare le tendenze universalistiche del diritto comune e tener conto delle nuove realtà statali. In realtà un movimento critico nei confronti del diritto comune era già iniziato con l’Umanesimo, sebbene in modo meno radicale. L'obiettivo infatti non era sostituire completamente il diritto comune con un diritto nazionale creato ex novo, ma evidenziare i punti deboli del diritto comune e valorizzare quelli di forza, senza però propugnarne l'abbandono totale. ANCORA SUI TENTATIVI DI SUPERAMENTO DELL’INCERTEZZA DEL “DIRITTO DEI DOTTORI” Anche nel ‘600 si pone il problema della certezza del diritto, sempre nell’ambito di un diritto a sviluppo dottrinale; il diritto romano e il diritto canonico (esclusi i provvedimenti che provenivano dal Concilio di Trento) infatti venivano interpretati nelle università da civilisti (studiosi di diritto romano) e canonisti Un elemento di novità è sicuramente rappresentato dalla stampa, che contribuiva alla diffusione delle idee anche giuridiche. Tuttavia, da un altro punto di vista, la stampa rappresentava un mezzo pericoloso proprio perché favoriva la circolazione di altre possibili interpretazioni del diritto e quindi veniva a crearsi ulteriore confusione nel sistema normativo. Altro elemento di confusione nel diritto erano le leggi, provvedimenti di carattere generalee e astratto emanati dall'autorità del principe. Questi provvedimenti non miravano a sostituire le norme del diritto comune, ma piuttosto a integrarle o chiarirle. Difatti nell'immaginaria piramide delle fonti del diritto, al vertice c'era lo ius commune e sotto di esso la lex del principe. In età moderna si cercava di superare il problema dell'incertezza del diritto seguendo diversi criteri: Prima direzione: ○ communis opinio ○ legge delle citazioni ○ référé législatif ○ valore vincolante del precedente (Corti Sovrane in età moderna) Seconda direzione → ragionevolezza e la razionalità del sistema giuridico. Si sviluppano correnti filosofiche che non riguardano solo il dibattito sull'ordinamento giuridico, ma si estendono all'intera società, essendo l'ordinamento giuridico solo uno degli aspetti che riguardano la collocazione dell’essere umano in società. Vi è l’idea che si possa individuare una naturalis ratio cioè una ragione naturale insita al sistema giuridico nella sua complessità (Scuola dei culti in Francia, Scuola di Salamanca in Spagna) e addirittura sottesa e preesistente al diritto. L’idea della naturalis ratio consente da un lato di individuare un diritto naturale, ossia una serie di diritti fondamentali preesistenti al diritto e che non possono essere intaccati dall’attività legislativa, e dall’altro di capire perché una norma si trova all’interno di un ordinamento e a quali esigenze risponde. Terza direzione → la via della legislazione, la quale non si sostituisce al diritto comune ma lo integra, soprattutto attraverso la creazione di ordinamenti giuridici “nazionali”: la legislazione deve chiarire il sistema, non sostituirlo. L'esigenza di semplificazione e razionalizzazione del diritto comune era pertanto già stata sentita dagli intellettuali dell’umanesimo giuridico Nonostante questi sforzi, la legge non riuscirà però a risolvere completamente il problema dell'incertezza del diritto, poiché rimaneva il compito di interpretare le molte norme emanate dal sovrano. Il Diritto Comune sopravvive, sebbene invecchiato e criticato da diverse parti. Lo Stato non ha ancora l'autorità e l'autorevolezza necessarie per sostituire il sistema romano-canonico con una legislazione creata ex novo e con valore pienamente innovativo, come avverrà con il diritto codificato del secondo ‘700. I codici del XVIII secolo, tuttavia, differivano notevolmente dai codices del diritto romano: codices romani → raccolta di materiale già esistente, soprattutto frammenti o intere costituzione imperiali; codici del secondo ‘700 → vengono elaborate norme nuove, come risultato di una attività innovativa del legislatore (seppur applicando i principi del diritto romnao) AMBIZIONI DI CAMBIAMENTO GIURIDICO Nell’ultima fase dell’età moderna, tra la fine del ‘600 e la fine del ‘700 la legge diventa uno strumento di riforma degli ordinamenti giuridici pur non volendo scalfire gli ordinamenti giuridici già esistenti. Ma in questo momento si fanno forti non solo le istanze di modifica dell’assetto giuridico ma anche quelle dell’assetto sociale tutto. In particolare si evidenzia la tendenza naturale dell’uomo quale essere fornito di razionalità e di ragione, come si può evincere dai risultati delle opere di Domat e del giusnaturalismo moderno (Pufendorf). PRIME ISTANZE DI CODIFICAZIONE DEL DIRITTO: MURATORI E BECCARIA L'aspirazione al rinnovamento del diritto comune si manifesta, con prospettive diverse rispetto ai filosofi e giuristi di area tedesca, in due autori e intellettuali italiani di spicco: Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) e Cesare Beccaria (1738-1794). Entrambi gli autori auspicano, seppur invano, la creazione di un codice che dia vita a un nuovo sistema giuridico, sostituendo quello esistente. Questo ipotetico codice avrebbe dovuto raccogliere l'intero ordinamento giuridico, garantendo completezza e autosufficienza per la risoluzione dei casi concreti. Tuttavia: Muratori propone un rinnovamento del sistema giuridico senza necessari cambiamenti politico-sociali; Beccaria, illuminista, si orienta maggiormente verso una riforma generale, di cui il codice è solo un tassello o elemento. MURATORI Il Muratori cerca di promuovere questa idea rivolgendosi al papa e all'imperatore, ma incontra scarso seguito: L'imperatore perde il suo ruolo di soggetto unificatore, a causa dell'emergere degli Stati nazionali; Il papa sta perdendo potere nei confronti dei sovrani nazionali, che cercano di costruire uno Stato che sia indipendente e assoluto, slegato da influenze esterne. Le 2 opere principali di Muratori sono: "De codice carolino" (1726, indirizzata a Carlo VI), ma l'imperatore mostra scarso interesse per le proposte di Muratori; l’opera viene edita e stampata solo nel 1735, a testimonianza del fatto che non ha molto contribuito al dibattito intellettuale del tempo; "Dei difetti della giurisprudenza" (1742, indirizzata a Benedetto XIV), finalizzata a semplificare e migliorare il sistema; quest'opera ha successo soprattutto grazie all'intervento della stampa. BECCARIA Beccaria promuove un'istanza ancora più incisiva, affrontando anche il dibattito sull'abolizione della pena di morte. Tale abolizione avviene prima in Toscana (con la Leopoldina del 1786), poco tempo dopo la pubblicazione dell'opera "Dei delitti e delle pene" (1784), e successivamente si diffonde in vari territori europei. Questo dibattito non avviene all'interno di accademie o università, ma in circoli e case private: è il fenomeno dei salotti culturali, che ha origine in Francia ma che riscuoterà particolare successo a Milano e Napoli. Uno dei più noti è il salotto dei fratelli Verri, che fondano l'Accademia dei Pugni (1761), così chiamati perché le discussioni di questo salotto erano tanto accese che “poteva arrivarsi ai pugni”. Da questo ambiente nasce la breve esperienza della rivista "Il Caffè" (1764-1766), diffusa soprattutto nella zona milanese-lombarda, utile alla diffusione delle idee illuministiche e al dibattito sulla codificazione. Nel salotto dei Verri oltre a una codificazione si propone uno svecchiamento delle istituzioni giuridiche, troppo legate al passato. Altro salotto era quello di Alessandro Porta, detto “La Cameretta” del Porta, per via delle sue dimensioni ridotte rispetto ad altri salotti. Il fenomeno continuerà, con prospettive ed esiti differenti, anche nel XIX secolo con il Salotto di Cristina Trivulzio Belgiojoso; il Salotto di Clara Maffei in Via Bigli; il Salotto di Bianca Milesi. Si trattava di nobildonne che coagulavano intorno a propri i salotti i maggiori intellettuali lombardi del tempo. In questi ultimi casi si contribuirà al dibattito sulla unità d’Italia. N.B. I dibattiti sociali che si svolgevano all’interno di questi circoli tenevano conto non solo delle istanze delle classi sociali più agiate ma della società nel suo insieme. N.B. I dibattiti culturali continueranno a svolgersi anche nelle università e nelle accademie ma gli intellettuali accademici iniziano ad essere aspramente criticati, perché accusati di contribuire alla confusione dell’ordinamento giuridico. IL MOVIMENTO CODICISTICO Il movimento per la codificazione, che si sviluppa a partire da questo dibattito intellettuale, aveva 2 anime: giuristi → chiedono la risistematizzazione e il recupero dei principi del diritto romano per creare un nuovo ordinamento giuridico; filosofi e intellettuali → intendono abbattere tutto e costruire un sistema ex novo, superando il diritto romano. Le caratteristiche che questo codice ideale ipotizzato dagli intellettuali del tempo avrebbe dovuto avere sono le seguenti: certo nelle affermazioni; semplice; comprensibile nell’esposizione; completo → deve contenere tutte le norme adatte a risolvere qualsiasi controversia (anche se oggi sappiamo che questo è di fatto impossibile) ispirato alla razionalità e alle leggi naturali; sovranazionale → sembra quasi un riferimento diretto alle aspettative nutrite verso il diritto comune. Non si arriverà ad un codice di questo tipo, in particolar modo per quanto concerne la sovranazionalità; i codici andranno infatti in una direzione diversa e resteranno ancorati a determinate realtà statuali, proprio contro l'universalismo del diritto comune. Eppure, ancora oggi esistono delle tendenze all’universalismo, soprattutto in ambito occidentale-europeo. Un esempio sono i principi uni-droits, ossia principi generali e astratti applicabili a livello sovranazionale in materia di contratti e obbligazioni. Ma un forte limite a queste tendenze è rappresentato dagli Stati, gelosi della loro autonomia e indipendenza. Il superamento del diritto comune avverrà soltanto agli inizi dell’800 e si fa risalire ai 5 codici napoleonici: codice civile codice penale codice di procedura civile codice di procedura penale codice di commercio Con questi codici si chiude l'esperienza del diritto comune e inizia l'esperienza del diritto codificato. L’esperienza del diritto comune, non codificato, continuerà solo in un caso: nel Regno Unito. In questo codice ideale, le norme mancanti sarebbero state colmate tramite AUTOINTEGRAZIONE, ossia secondo l'idea di un sistema completo e chiuso in se stesso, che possa coprire tutti i casi che si presentano. Nei sistemi contemporanei vige invece l’idea di ETEROINTEGRAZIONE, ossia di riferimenti legislativi anche esterni (compresa la giurisprudenza cassazionista e costituzionale) che possano colmare le lacune. LE FUNZIONI DELLO STATO MODERNO E LO STATO DI POLIZIA (IUS POLITIAE) Inizialmente, le funzioni dello Stato moderno sono essenzialmente negative, volte a mantenere la pace e l'ordine pubblico nei territori governati da un sovrano. Tuttavia, i vivaci dibattiti culturali animati nei salotti intellettuali promuovono l'idea che lo Stato non possa limitarsi esclusivamente a questa funzione negativa, poiché, insieme alla legislazione, si sviluppa un robusto sistema di tassazione che grava sui sudditi. Di conseguenza, lo Stato, ossia il sovrano, deve restituire ciò che riscuote dai sudditi e pertanto deve svolgere anche un ruolo attivo, svolgendo attività fattive per il benessere della società. L'idea di garantire il benessere e la felicità, in particolare dal punto di vista economico (felicità deriva dal latino "felix", che significa ricco, abbondante e prosperoso), dà origine a una particolare declinazione dello Stato assoluto, denominata Stato di polizia. Quest'ultimo concetto può assumere due significati distinti: Nel senso non tecnico, lo Stato di polizia indica un regime caratterizzato da un controllo diffuso sulla popolazione, che si estende non solo ai comportamenti, ma anche alle ideologie. Questo concetto trova riscontro nell'azione della Chiesa nei territori dell'area germanica prima delle riforme. Nel senso tecnico, lo Stato di polizia (dal greco "polis" o "politeia", che significa città o cittadinanza) rappresenta una specifica declinazione dello Stato assoluto, il quale si preoccupa di garantire non solo la pace e la sicurezza, ma anche il benessere e la felicità dei sudditi. ASSOLUTISMO ILLUMINATO Le riforme dei principi, espressione dell’assolutismo illuminato, per la prima volta tendono a incidere dall’alto sulla organizzazione della società e a imporre d’autorità determinate soluzioni, nel presupposto che ciò conduca ad un maggiore benessere (all’epoca questo benessere veniva identificato con il termine “felicità”) a favore dei sudditi, i quali in ogni caso ne sono coinvolti in modo passivo in un programma predisposto dai sovrani. Gli interventi diretti dei sovrani/principi si estendono però anche ad altri poteri, cioè a quello legislativo e giudiziario. Ma non sempre hanno esiti felici. A testimonianza di ciò, si riporta una (versione della) storia che riguarda il mugnaio Arnold nella Germania di Federico II. Arnold, che ha in affitta un mulino da un nobile locale, decide improvvisamente di interrompere il pagamento del canone annuo. 1. Arnold viene allora chiamato in giudizio ed il ricorrente (il nobile) chiede lo sfratto del mugnaio. I giudici competenti confermano lo sfratto, dando ragione al ricorrente. 2. Arnold allora si rivolge direttamente al sovrano Federico II, il quale decide di avocare a sé la questione (ecco un esempio della commistione dei poteri: il re in questo caso diventa giudice). Naturalmente non è il sovrano in persona a giudicare ma la controversia viene delegata ad altri giudici. I nuovi giudici prendono cognizione dei fatti e ascoltano la lamentela del mugnaio circa la deviazione del corso d’acqua che impediva al mulino di lavorare (motivo per cui Arnold rifiuta di pagare il canone). Tuttavia il mugnaio è di nuovo condannato. 3. Federico II chiede allora al colonnello di effettuare delle indagini ma anche l’esito di questo sarà sfavorevole ad Arnold. Dopo 3 giudizi contrari da parte di 3 diversi organi, Federico II chiede al ministro di giustizia di iniziare un procedimento nei confronti dei giudici e del colonnello ma il ministro si rifiuta e Federico II gli revoca la carica. Giudici, colonnello e ministro revocato vengono allora rinchiusi e Arnold viene addirittura risarcito. Solo in seguito si scoprirà che era stato lo stesso Arnold a deviare il corso d’acqua per non pagare il canone, ma evidentemente il mulino continuava a funzionare quando non era controllato. Questa storia solleva riflessioni sul ruolo del sovrano nell'amministrazione della giustizia e sugli effetti negativi degli interventi diretti del sovrano. A seguito della circolazione della storia si inizia infatti a mettere in discussione il ruolo del sovrano nella funzione della giurisdizione, emergendo l'idea che a ciascun organo debba essere attribuita una sola funzione, con al sovrano spettante una funzione esecutiva, ovvero il controllo effettivo dell'applicazione della legge. Le critiche a questo sistema di giustizia sono molteplici, tra cui: eccessiva formalità di tribunali e pratici del diritto che rendono meno funzionale il sistema di giustizia, e quindi lo rallentano; disomogeneità del sistema all’interno dello stesso territorio → lo strumento del codice potrebbe allora essere d’aiuto; eccessivo arbitrio dei giudici, intollerabile in uno Stato con un sua costruzione in senso assolutista. Questa discrezionalità dei giudici si manifestava nella valutazione delle prove e nella gestione dell’intero processo. La soluzione proposta dagli intellettuali del tempo è allora confinare i poteri dei giudici attraverso lo strumento della legge. La soluzione proposta dagli intellettuali del tempo è quella di confinare i poteri dei giudici entro i limiti della legge. E questo problema della eccessiva discrezionalità dei giudici non è oggi meno sentito, soprattutto in riferimento alla magistratura inquirente; il dibattito sul problema penale e sul sistema delle pene e dei delitti lambisce dunque anche la nostra attualità. I primi codici penali nascono sotto l'impulso degli intellettuali illuministi, in particolare di Cesare Beccaria, che nel 1764 pubblica "Dei delitti e delle pene" in forma anonima. Non è un caso che la Leopoldina, legge che riforma il diritto penale del Granducato di Toscana abolendo la pena di morte e la tortura, risalga proprio al 1786. Esaminiamo ora alcuni principi contenuti nel codice penale e nella Costituzione. CODICE PENALE Art. 1 Reati e pene: disposizione espressa di legge Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite. → principio di legalità: è reato (punibile) solo ciò che il legislatore classifica come tale. Brocardo di riferimento per l’art. 1 è il seguente: “Nullum crimen, nulla poena sine lege”. Art. 2. Successione di leggi penali Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato → principio di irretroattività della legge penale. Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali. (Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'articolo 135). Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti. Altro principio del diritto penale è il divieto di applicazione analogica del diritto penale → il reato deve essere disciplinato in dettaglio dalla legge, altrimenti non può essere considerato tale. COSTITUZIONE Art. 25 Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. → principio del giudice naturale, che viene scelto sulla base di criteri oggettivi e principi generali e astratti. Le parti conoscono in anticipo a quale organo/apparato giudiziario rivolgersi a seconda della controversia, ma non possono conoscere in anticipo né decidere quale persona fisica giudicherà sulla stessa. Lo strumento di ricusazione del giudice serve poi ad individuare un’altra persona fisica che si occupi del caso (e.g. nel caso in cui il giudice individuato è conosciuto da una delle parti) Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge. → le misure di sicurezza sono un particolare tipo di sanzioni applicate dal diritto penale ed equiparate alla pena vera e propria all’interno della Costituzione. Art. 27 La responsabilità penale è personale. → principio di imputazione personale della responsabilità penale (la responsabilità oggettiva ricorre solo a determinate condizioni e con precise cautele). L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. → principio già enunciato nel diritto romano, non come norma generale e astratta, ma davanti ai tribunali. Lo stesso Cicerone infatti nel difendere i suoi clienti diceva ai giudici: “Non considerate il mio cliente colpevole fino a sentenza che ne accerta la colpevolezza”. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte. Lezione 8/04/2024 Rita Avella Dall’antico regime al nuovo ordinamento Vi è una differenza tra l’età del medioevo, quella moderna e quella contemporanea. L’età moderna è molto più breve rispetto all’età antica (13 secoli) e all’età del medioevo (10 secoli), in quanto si estende per soli 3 secoli. Anche se così breve, pone le basi per lo stato moderno. Si ha l’affermazione dello Stato, quale entità con una propria conformazione (di tipo assolutista) e una propria connotazione anche teorica. La caratteristica principale di questa epoca, dunque, è proprio lo stato. N.B.(non dimentichiamo anche che lo stato può essere anche patrimoniale, non sono categorie separate, in quanto quest’ultima può essere categoria dello stato assoluto) Focus sul 700’ Nel corso del 700’ diversi sono i filosofi che si occupano del diritto pubblico, come Hobbes, Montesquieu, Rossendorf, etc. Sono autori che partono da premesse diverse e giungono alla medesima considerazione: giustificare la formazione dello stato, in particolare di uno stato assoluto (ex Le idee di Locke troveranno applicazione in Inghilterra) Nel 1789 si raggiunge l’apice della rivoluzione francese, con una serie di movimenti che porteranno ad una grande riforma, a costituire una nuova idea di stato. Le rivolte riguarderanno le varie branche del diritto, soprattutto nel caso del diritto civile e del diritto penale. Principi di diritto pubblico Nella parte del diritto pubblico si hanno alcuni principi (nell’ambito del diritto sostanziale) - riconoscimento di "diritti innati”—> si definiscono i rapporti tra stato e società. Caratteristica di quel dibattito sviluppato con i giusnaturalisti, si riconoscono diritti che sono ben presenti nell’uomo già prima dell’ordinamento giuridico. La funzione di quest’ultimo è proteggerli e riconoscerli (funzione positiva), ma anche garantire la pace all’interno e all’esterno (funzione negativa). - garanzie per i diritti individuali, cioè del singolo in quanto tale—> è una idea nuova, l’essere umano in quanto tale ha dei diritti (≠ dalla schiavitù, percepita come naturale, che può limitare la libertà dell’individuo, in quanto si prevede che gli schiavi siano individui diversi dagli uomini) Gli altri principi riguardano il nuovo stato, il costituzionalismo politico. - rappresentanza politica -> I cittadini sono rappresentati in un organo che svolge determinate funzioni, il parlamento, che ha funzioni non ancora chiare e non ancora determinate. Il parlamento sarà organo di rappresentanza dei cittadini, non ancora in maniera democratica, in quanto si dovrà aspettare il 900’. - uguaglianza dinanzi alla legge—> un principio in contrasto con quello del privilegio. Il principio del privilegio è quel principio che trova applicazione già nel Medioevo, secondo il quale, determinati diritti/spazi di libertà, possono essere concessi agli individui, in quanto appartenenti a determinate classi sociali (come i borghesi, gli ecclesiastici) o a determinate corporazioni. Al principio del privilegio si contrappone l’uguaglianza formale, per la quale gli individui sono uguali davanti alla legge da un punto di vista formale (oggi l’art 3 cost. è inteso anche dal punto di vista sostanziale, elemento ineliminabile della società odierna, complessa). - precisa divisione dei poteri pubblici—> non si ha una precisa divisione dei poteri pubblici, in quanto l’idea di poter ricercare dei poteri distinti all’interno di ogni ordinamento, è impossibile, ma è comunque possibile individuare un potere legislativo, giurisdizionale ed esecutivo (Oggi sappiamo che vi è una precisa distinzione e assimilazione organo-potere) - nuova organizzazione delle fonti del diritto—> si affermano le costituzioni e i codici nella civil law; nei paesi di common law, invece, abbiamo uno sviluppo giurisprudenziale. - supremazia della legge come fonte che promana dallo Stato—> abbiamo varie denominazioni, denominazioni diverse per indicare la stessa fonte. Nell’età contemporanea la legge diverrà una delle fonti principali del diritto, con il superamento del diritto comune; mentre nell’età moderna la funzione della legge non è innovatrice ma integra, esplica le norme del diritto comune. ‘’Due secoli l’uno contro l’altro armati’’ ‘’Armati’’—> Manzoni nel ‘’5 maggio’’ tratta della contrapposizione tra il sistema 800esco e 700esco, due secoli uno contro l’altro armati. ‘’Armati’’ in quanto si passa dal sistema del privilegio a quello dell’uguaglianza formale, grazie al sistema delle limitazioni. Il sistema politico anteriore alla rivoluzione francese è quello di ancien régime cioè il sistema che aveva caratterizzato buona parte dell’età moderna, dopo l’affermazione dello Stato. Il vecchio sistema era basato sul principio del “privilegio” che si contrappone nettamente al principio della “uguaglianza formale” di tutti di fronte alla legge. Così, i diritti eventualmente riconosciuti agli individui non preesistevano all’ordinamento giuridico ma gli erano sempre riconosciuti ex post o meglio concessi dal sovrano: tali diritti o privilegi potevano essere riconosciuti al singolo in quanto tale oppure ad un determinato gruppo e quindi solo indirettamente ai singoli individui. Infatti, la libertà era concessa al singolo proprio in quanto appartenente ad una determinata categoria, ad un ceto (si ricordino le 3 classi sociali: nobiltà, clero, borghesia), ad una corporazione (es. i mercanti) che poteva vantare un certo “privilegio”. Sistema delle limitazioni Si arriva al superamento di tale sistema del privilegio attraverso le limitazioni, si possono porre delle limitazioni rispetto al potere del sovrano, sciolto rispetto sia ai vari poteri sia alle varie istanze che provengono dalla società. Il principio del privilegio continua ad operare nel Tardo Medioevo e ancora prima età contemporanea: - tra medioevo e prima età moderna lo stesso sovrano subiva delle“limitazioni” da parte dei ceti privilegiati: nobili, ecclesiastici e borghesi, che, con le loro istanze, ponevano dei precisi limiti al potere assoluto dei sovrani nelle varie realtà territoriali. Difatti questo privilegio era dovuto alla contrapposizione tra istanze corporative e poteri del sovrano. - in età moderna avanzata si tratta di una nuova applicazione del principio: è il sovrano a “concedere” spazi di libertà alle singole corporazioni, gruppi o ceti sociali e indirettamente agli individui. È il sovrano che tende ad affermare la propria supremazia in senso assolutistico cioè a non considerare più come determinanti per le proprie decisioni le istanze, le esigenze espresse dalle assemblee rappresentative dei ceti sociali: ciò portò ad una progressiva compressione dei poteri dei singoli ceti a favore di una espansione dei poteri del sovrano e quindi dello Stato in senso moderno. L’affermazione in età moderna di uno stato assoluto comporta che il potere del sovrano sia limitato dal diritto monarchico consolidato nel tempo, sia dal diritto naturale, sia dall’esistenza dei ceti sociali (delle prerogative consuetudinarie che si conservano nel tempo). - Nel XVIII secolo (1700) il sistema basato sui privilegi inizia ad incontrare qualche opposizione e non solo da parte dei ceti popolari, esclusivi dal sistema ma anche da parte degli stessi individui che storicamente hanno fatto parte dei ceti privilegiati: si portano avanti delle istanze di riconoscimento di diritti “innati”, “naturali”, nel senso di “riferibili all’essere umano in quanto tale”, prima della formazione dell’ordinamento giuridico e prima dell’appartenenza a determinate categorie sociali o gruppi. Vi sono sempre delle limitazioni al potere sovrano, ma le prospettive delle limitazioni sono, dunque, diverse: le limitazioni nel medioevo sono a vantaggio del sovrano, nell’età moderna vanno a vantaggio dello stato assoluto, nell’età contemporanea a vantaggio della pluralità di consociati. In Europa i giuristi affrontano questi problemi solo a livello teorico, invece negli USA (per la lontananza dalle tradizioni secolari continentali) ne si ha una sperienza pratica, costituzionalismo statunitense Il sistema giuridico anteriore ai Codici Il sistema giuridico anteriore a quello dei codici è il sistema di diritto comune che affonda le proprie radici nel basso medioevo e dura per secoli. Le due principali fonti del diritto comune sono ovviamente il corpus iuris civilis e il corpus iuris canonici, nell'interpretazione datane dai giuristi (diritto a sviluppo dottrinale). Alle due principali fonti si unisce, anche se talvolta in una posizione subordinata almeno culturalmente, il cd. ius proprium cioè il diritto locale di natura consuetudinaria che finisce però con l'essere parte integrante del sistema di diritto comune che caratterizzò l'Europa continentale sino alla fine dell'età moderna. Prima di questi codici vi sono le prime raccolte private, quali il codice Gregoriano ed Ermogeniano di età dioclezianea (unico imperatore che lascia il trono). Traggono il nome da due giuristi privati di età giustinianea, che, per primi, raccolgono le costituzioni imperiali. Lo stesso Teodosio inizia il suo progetto nel 438, facendo riferimento a queste due compilazioni. Non abbiamo il testo completo di questi due codici, sappiamo solo che fossero molto apprezzate da Giustiniano e che non fossero opere ufficiali, ma sono assunte come modelli. Gli umanisti criticano questo diritto perché non è contestualizzato e occorre un metodo storico filologico, occorre integrare questo tipo di diritto. Inoltre si critica l’opera giustinianea come un ‘’collage’’, è stata composta dalla riunione di opere già esistenti. L’evoluzione del corpus iuris canonici L’altra parte è il corpus iuris canonici, (dalla denominazione di papa gregorio XIII, nella bolla ‘’cum pro munere’’ del 1580). Quello che più ci è interessato è il ‘’decretum gratiani’’, un’opera privata. Graziano era un monaco che decide di raccogliere una serie di testi sacri che facevano riferimento ad un dottore della chiesa, a Sant’Agostino (Lutero quando opererà il rogo delle decretales salverà il decreto Graziani in quanto conteneva riferimenti a Sant’Agostino, biblici etc. Lutero era monaco agostiniano ed in qualche modo resta legato a quel pensiero). Il corpus iuris canonici resterà in vigore sino al 1917, quando avrà inizio la codificazione del diritto canonico (già iniziata nel resto d’Europa con i codici napoleonici all’inizio dell’800), un progetto di Papa Leone X: 1. La commissione è presieduta dal Card. Pietro Gasparri (motu proprio* «Arduum sane munus» di Papa Pio X del 19 marzo 1904) 2. Il primo codice di diritto canonico è emanato da pio X e benedetto XV e prende il nome di ‘’codice pio-benedettino’’. 3. Il modello classico a cui si ispira sono le Istituzioni di Giustiniano, comune alle nuove codificazioni, è il criterio che regola l’ordine sistematico della ripartizione della materia in personae, res, actiones. Il Codex del 1917 si compone di 2414 canoni distribuiti in cinque libri. Il Libro I presenta le fonti del diritto e il computo del tempo (cann. 1-96); il Libro II De personis (cann. 87-725) contiene il diritto costituzionale della Chiesa ed è suddiviso in De clericis, De religiosis, De laicis; il Libro III De rebus (cann. 726-1551) disciplina i sacramenti, il culto, il Magistero e il patrimonio; il Libro IV De processibus (cann. 1552-2194) e il Libro V De delictis et poenis (cann. 2195- 2414). 4. L’idea di fondo è quella di una società giuridica perfetta—> ossia l’idea (propria di Giustiniano) per la quale tutto l’ordinamento giuridico si può chiudere all’interno di un codice. Un sistema che crea una società giuridicamente perfetta. 5. 1917 Commissione per la Interpretazione Autentica del Codice—>Nel 1917 si istituisce una commissione per l’interpretazione autentica della stessa. Caratteri del codice e lavori - Il Codice Pio-Benedettino si fondanva sulla triade: “clero-strutture- ecclesiatiche-potestà” e non risultava più adatto alle “aperture” al mondo contemporaneo successive alla II Guerra mondiale e portate Avanti dal papa Giovanni XXIII a partire dal 1959 e che condurranno alla Convocazione del Concilio ecumenico Vaticano II. - I lavori di revisione del codice pio-benedettino iniziano nel 1965 con la nomina di una commissione di 40 cardinali. - I tempi furono particolarmente lunghi, tanto che si arrivò ad un testo definitivo solo nel 1981. Il papa da poco eletto (Giovanni Paolo II, 1979), volle però attuare un ulteriore controllo e il codice venne promulgato nel 1983 con la Costituzione Sacrae Disciplinae Legis. Struttura del Codice del 1983 1752 canoni (regole): - Libro I: Norme generali - Libro II: Il popolo di Dio (espressione che ricorre nelle sacre scritture per indicare tutti i battezzati) - Libro III: La funzione di insegnare della Chiesa - Libro IV: La funzione di santificare della Chiesa (sono le due funzioni principali, per questa di santificare si intende la gestione dei sacramenti - Libro V: I beni temporali della Chiesa - Libro VI: Le sanzioni nella Chiesa - Libro VII: I processi (si intravede ancora la struttura gaiana) Questo codice supera le gerarchie ecclesiastiche, che erano ancora presenti nel codice del 1917. Si pone al centro l’individuo, il cristiano cattolico. Questa compilazione si riferisce al popolo di dio, ossia a tutti i battezzati. Le gerarchie divengono uno strumento di ausilio, si ha l’equiparazione ai fedeli. LEZIONE 18 APRILE Il Codice del diritto canonico risponde ad esigenze diverse dalla codificazione che si ritrovano negli stati laici, ha un respiro più ampio e universalizzante. I destinatari di tal norme non sono solo coloro che abitano un certo territorio sotto la sovranità di un certo ente territoriale (definizione moderna di stato secondo i 3 requisiti di territorio, popolazione e sovranità), ma sono coloro che hanno ricevuto il sacramento del battesimo e appartengono a pieno titolo alla comunità cristiana. Il codice diviene il nuovo strumento con la quale si disciplina la vita all’interno delle realtà statali, si passa da un sistema a prevalenza di diritto comune a un sistema di diritto codificato. Un’altra cosa importante che viene superato è il superamento del principio del privilegio, che viene sostituito con il principio di eguaglianza formale (lo ritroviamo all’art 3 della nostra costituzione). CODIFICAZIONI E RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI Per arrivare ai codici moderni, si parte dalla Teorizzazione dei principi: si individuano principi generali in filosofia (come riportato nei passi letti in classe) a merito di giusnaturalismo e illuminismo giuridico. Essi vengono teorizzati in Europa nel ‘700, ma avranno difficoltà ad avere nella stessa Europa applicazione concreta. I sovrani europei vivranno una spersonizzazione del potere, venendo sostituiti gradualmente dalla figura astratta dello stato, ma il percorso per vedere applicati pienamente i principi teorizzati dai suddetti movimenti filosofici sarà ancora lunga e tortuosa. Un’altra limitazione è il sistema feudale che continua ad esistere a livello territoriale, ma anche quando verrà abolito formalmente esso permane nella mentalità dei cittadini europei, rappresentando un limite all’applicazione pratica di quei principi, ostacolati alla base dalla realtà pervicacemente presente nel continente del privilegio e dell’appartenenza ad una determinata classe sociale. Sul finire del III sec d.C. abbiamo i primi esempi di codificazione: codice gregoriano ed ermogeniano (due giuristi semisconosciuti), che sono raccolte private di costituzioni imperiali. Nel 5 sec l’Imperatore Teodosio recepisce le potenzialità di quel tipo di codificazione, dal momento che esse razionalizzano il potere giuridico, e dunque egli fa un’operazione simile in chiave ufficiale: da una parte fa una raccolta di costituzioni imperiali oltre a una raccolta della giurisprudenza classica. Egli è il primo ad avere l’idea di accostare le costituzioni imperiali a quanto espresso dai teorici del diritto nei secoli precedenti. Nel 438 d.C. entra in vigore il codice teodosiano, testo dunque ufficiale che permane ancora oggi a differenza dei due citati in precedenza. Vi è poi il codice di Giustiniano, due versioni (noi abbiamo a disposizione la seconda), che porta a termine la raccolta della giurisprudenza classica, cosa che Teodosio non riuscì a completare. Il Legislatore del codice del 1865 riprende, per descrivere fonti delle obbligazioni, il codice giustinianeo secondo la definizione quadripartita, mentre quello del 42 riprende la tripartizione Gaiana. Il codificatore di età contemporanea fa esattamente questo: scrivono norme nuove, ma non inventate, bensì radicate nella storia e tradizione giuridica occidentale, che affonda le sue radici nell’antico diritto romano. Bisogna inoltre ricordare la dichiarazione dei diritti, insieme norme astratte e generali che richiamano principi generali cui l’ordinamento giuridico dovrebbe ispirarsi. Vediamo in particolare le dichiarazioni sorte nelle colonie inglesi che daranno poi vita agli stati uniti d’America. Negli stati uniti d’America si ha per la prima volta il riconoscimento dei diritti (essi preesistono all’ordinamento secondo l’idea dei filosofi giusnaturalisti come locke), nelle costituzioni europee sono invece ottriate, dunque concesse dal sovrano. Egli concede dunque dei diritti, in virtù della sua sovranità. Un bill of rights esisteva già in Inghilterra, dove il parlamentarismo si affermò con forte limitazione del sovrano. Esso però riguarda le limitazioni del sovrano, ma eminentemente dal punto di vista del diritto pubblico, ossia di organizzazione del potere politico; ci sono dei diritti privati come quello all’autodifesa e a portare delle armi, ma rappresentano tuttavia una parte marginale della stessa carta. Il primo esempio di embrionale costituzionalismo lo abbiamo visto con la magna charta del 1215 (si ricordano le differenze sostanziali con le costituzioni moderne viste nella prima parte del corso): nella magna charta si vede una limitazione al potere regio, in quelle moderne la limitazione del potere non va a vantaggio del potere statale latamente inteso, ma dell’individuo. I nostri punti di riferimento filosofici a tal riguardo sono hobbes e locke. Il punto di partenza del primo è una visione catastrofica in cui l’uomo vive in una condizione ferina, di guerra perenne e incessante e ineluttabile egoismo che lo porta alla sottomissione, per avere salva la vita, al mostro del leviatano; in questo caso non c’è la possibilità di ribellione al potere dello stato, incarnato nella figura mitologica del leviatano. La Gran Bretagna aveva alle spalle una lunga tradizione (la Gran Bretagna fu “creata” nel 1707 con la Regina Anna dopo l’atto di Unione con la Scozia) di limitazione al potere sovrano sin dal 1215 con i principi contenuti nella Magna Charta, oltre a quelli giusnaturalistici, secondo cui era possibile individuare un diritto naturale cioè un corpo normativo fondamentale di diritti inviolabili (John Locke nel suo Saggio sul governo civile del 1690), ma continuò ad avere un peso nei secoli successivi, determinando un complesso apparato di rapporti consuetudinari che la Corona inglese non riuscì mai a cancellare e certamente non aveva ancora cancellato nel XVII secolo: dopo la prima rivoluzione inglese, il Parlamento ebbe la meglio sul sovrano (Carlo I fu giustiziato nel 1649) ma portò all’instaurazione di una dittatura (la dittatura di Cromwell del 1653-1658); la gloriosa rivoluzione portò all’elezione di un nuovo Re: William d’Orange (1689-1702) e la Regina Maria II Stuart ma la nuova dinastia deve accettare definitamente una limitazione da parte dei due rami del parlamento. IL DIBATTITO SETTECENTESCO Nel secolo XVIII il dibattito europeo sull’organizzazione del potere è stato molto ampio. Lo stesso giusnaturalismo aveva il suo fondamento nel pensiero cristiano e nelle limitazioni che ad ogni regnante provengono da Dio stesso; le teorie giusnaturalistiche vennero affiancate alle già esistenti teorie contrattualistiche che, sviluppate da Hobbes in prospettiva assolutistica e nella seconda metà del XVII secolo hanno trovato in Locke un fautore delle limitazioni invalicabili al potere del principe. Con Locke, infatti, il secondo filosofo che abbiamo preso come punto di riferimento, che ha una visione parzialmente diversa, i diritti naturali si teorizzano come appartenenti all’individuo intrinsecamente in quanto essere umano e al quale egli non può rinunciare; il potere del sovrano si giustifica come necessario per l’esistenza della società ma che trovano il limite nei diritti naturali degli individui. In questo caso, se viene meno questo vincolo di rispetto dei diritti, si può avere la ribellione al potere del sovrano. Il dibattito culturale diffuso nel corso del 700 dimostrava una certa insoddisfazione per lo status quo ma allo stesso tempo le soluzioni proposte non sembrano poter trovare applicazione pratica e modificare la realtà degli ordinamenti del tempo, tutti votati all’assolutismo e alla prevalenza del potere regio su ogni altra istanza proveniente “dal basso”. MONTESQUIEU E ROUSSEAU L’opera più importante (ai fini del nostro discorso) di Montesquieu è Lo Spirito delle Leggi (1748) mentre l’opera più rappresentativa di Rousseau è Il contratto sociale (1762). Montesquieu sembra ispirarsi alla situazione inglese: il re trovava una limitazione al suo potere da parte dei due rami del parlamento; parte centrale della sua opera è la teoria della separazione dei poteri e nella necessità di una rappresentanza elettiva. Il Contratto sociale di Rousseau, forse ispirato dall’esperienza dei cantoni svizzeri, insiste sulla necessità di un patto (contratto) tra governanti e governati; a differenza di Montesquieu, Rousseau preferisce fare riferimento a forme di democrazia diretta che possano assicurare una maggiore partecipazione popolare ai processi decisionali si rivela propenso al suffragio universale sempre nella preoccupazione di mantenere più uniti governanti e governati. Passaggio tratto da “Lo spirito delle leggi” (libro XI cap. 6): montesquieu afferma in apertura che in ogni stato vi sono 3 poteri: legislativo, esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti ossia il diritto naturale delle genti e il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto civile ossia il diritto che punisce i delitti, o giudica le controversie dei privati. Non può esserci libertà, sostiene l’autore, se i tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario sono uniti in “un’unica persona, o un unico corpo di no-tabili, di nobili o di popolo”. Nella maggior parte dei paesi europei, egli afferma, il principe detiene due primi poteri, mentre non esercita quello giudiziario. Nell’impero turco-ottomano, viceversa, dove questi tre poteri sono riuniti nella persona del sultano, regna uno spaventoso dispotismo. Per Montesquieu il dispotismo, che si regge sulla paura dei sudditi verso il despota, costituisce il pericolo supremo da evitare. Egli teme che la Francia sia avviata a una pericolosa forma di dispotismo, ma preferisce, per motivi di censura, non citarla, e attribuisce i caratteri di un governo dispotico al solo impero ottomano. LE COLONIE INGLESE SULLA COSTA ATLANTICA E LA LORO ORGANIZZAZIONE Dall’altra parte dell’atlantico si hanno delle colonie. La caratteristica di queste 13 colonie è che sono organizzate diversamente l’una dalle altre al loro interno, pur facendo capo alla corona inglese. La politica fiscale e doganale penalizzava fortemente i coloni e la corona e il parlamento inglesi sembravano non avere alcun interesse per le istanze provenienti dalle colonie. Nel 1765 si hanno le prime esperienze di riunioni collegiali tra i rappresentanti delle varie colonie (si tratta di riunioni informali che ancora non si pongono in contrapposizione con la madrepatria e ne riconoscono la sovranità sule colonie americane). Nel 1774 si tenne a Filadelfia il Primo Congresso Continentale Intercoloniale che pur ispirato ad una forte critica del modello seguito in Inghilterra, restava fedele alla Corona inglese e la reazione del sovrano inglese non si fa attendere: Giorgio III invia una spedizione per ricondurre i coloni all’ubbidienza, suscitando l’ira rivoluzionaria dei coloni, anche per il fatto che queste riunioni non avevano una motivazione di fondo di rottura istituzionale con la madrepatria. Le colonie erano governate da un governatore, di nomina regia, si faceva aiutare da un consiglio locale. Le decisioni che riguardavano la vita politica delle colonie provenivano da un ‘assemblea, anche se erano limitate dal parlamento inglese e dai principi dell’ordinamento giuridico della gran Bretagna. I coloni, tuttavia, non godevano di loro rappresentanti nel vero centro di direzione politica del regno, ossia nel parlamento inglese, e sarà proprio questo il motivo principale alla base del malcontento che sfocerà poi negli eventi rivoluzionari che fonderanno gli stati uniti d’America. Fu in questo contesto che intervenne il pensiero di Locke nella costruzione della nuova America: se il governante, cui la popolazione si è affidata in virtù del patto sociale, si comporta da tiranno senza rispettare i fondamenti di quel contratto, la sovranità può tornare al popolo. Si trattava quindi di individuare quali erano i presupposti violati dal sovrano che potevano giustificare una restituzione della sovranità al popolo: furono redatte diverse dichiarazioni di diritti: una delle più note risale al 1776 ed è la Dichiarazione del Buon Popolo della Virginia che precedette di poco quel 4 luglio 1776 nel quale i rappresentanti dei Coloni, riunitisi di nuovo a Filadelfia, ebbero modo di constatare la violazione dei diritti innati da parte del re d’Inghilterra e poterono annunciare il venir meno della sovranità inglese sulle colonie americane e dichiararono la loro indipendenza. LA DICHIARAZIONE DEL BUON POPOLO DELLA VIRGINIA (12 giugno 1776) Il virginia in particolare viene fondata agli inizi del XVII secolo, ed è considerata la prima delle colonie inglese oltre che quella più fedele alla corona, da qui rileva il testo della dichiarazione letto in classe. Sec. 1 – Tutti gli uomini sono da natura egualmente liberi e indipendenti, e hanno alcuni diritti innati, di cui, entrando nello stato di società, non possono, mediante convenzione, privare o spogliare la loro posterità; cioè, il godimento della vita, della libertà, mediante l’acquisto ed il possesso della proprietà, e il perseguire e ottenere felicità e sicurezza. Si evince il ruolo non più solo negativo dello stato, a un intervento attivo, positivo del potere politico che deve garantire il rispetto dei diritti ascrivibili ai cittadini in quanto nati liberi. Sec. 2 - “tutto il potere è nel popolo, e di conseguenza deriva da esso; i magistrati sono i suoi fiduciari e servitori e sono in ogni tempo responsabili verso di lui” per conseguenza: “il governo è istituito per la comune utilità, protezione e sicurezza del popolo, della nazione o comunità”; “il governo migliore è quello che può assicurare il maggior grado di felicità e sicurezza”. E quando un governo appaia inadeguato a tale risultato: “la maggioranza della comunità ha un sicuro, inalienabile e intangibile diritto a riformarlo, mutarlo ed abolirlo in quella maniera che sarà giudicata meglio diretta al bene pubblico”. Sec. 4 – Nessun uomo, o gruppo di uomini, ha diritto ad esclusivi o separati emolumenti o privilegi rispetto alla comunità, salvo che in considerazioni di servizi pubblici; i quali non essendo trasmissibili non debbono essere ereditari neppure gli uffici di magistrato, di legislatore o di giudice. Fine del privilegio di derivazione europea in favore del principio dell’eguaglianza formale. Sec. 8 – In tutti i processi capitali o criminali, ciascuno ha diritto di chiedere la causa e la natura dell’accusa, di essere messo in confronto con gli accusatori e testimoni, di chiedere prove in suo favore, ed un rapido giudizio da parte di una giuria imparziale di dodici uomini della vicinanza, senza il cui consenso unanime egli non può essere dichiarato colpevole; né può egli essere costretto dare prove contro sé stesso. Parimenti nessuno può essere privato della sua libertà, eccetto che secondo la legge del paese o dopo giudizio dei suoi pari. Da fondamento al principio odierno del giusto processo (art 111 cost. e 6 CEDU) DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DI FILADELFIA (4 LUGLIO 1776), unanime delle 13 colonie americane Il proclamo iniziale svolge il ruolo di giustificazione del gesto di incontrovertibile rottura con la madrepatria col fine di creare un nuovo e indipendente realtà politica. Il 4 luglio 1776 i rappresentanti delle 13 colonie insorte contro la madrepatria proclamavano la propria indipendenza e allo stesso tempo provvedevano alla redazione di una dichiarazione di diritti affermando l’uguaglianza, la vita, la libertà, la ricerca della felicità. La dichiarazione aveva un forte valore politico in chiave anti-inglese ma per il suo carattere generale assumeva valore universale, rivolgendosi non solo al nuovo popolo che stava per nascere, bensì all’intera umanità. La premessa di base della dichiarazione è tanto cristallina quanto dirompente nella sua stessa semplicità: il popolo ha il diritto di scegliere sia chi comanda che le proprie forme di governo, giustificando le scelte che portano ad un mutamento costituzionale, come in questo caso, il distacco dalla madrepatria inglese. La dichiarazione, quindi, ribaditi i diritti ne faceva notare il mancato rispetto da parte dell’Inghilterra, cui conseguiva l’indipendenza: si tratta proprio della applicazione pratica delle idee espresse da John Locke. (i diritti che scaturiscono dalla limitazione del potere sovrano non vengono mantenuti, dunque il popolo può ribellarsi) LEZIONE 19/04 LA COSTITUZIONE AMERICANA Attualmente gli emendamenti che sono stati apportati al corpus normativo iniziale sono 27: i primi 10, risalenti al 1791, sono quelli che vengono definiti Bill of Rights. Si tratta di un norme che enunciano i diritti fondamentali secondo una visione universalistica. Noi, popolo degli Stati Uniti, al fine di perfezionare la nostra Unione, garantire la giustizia, assicurare la tranquillità all'interno, provvedere alla difesa comune, promuovere il benessere generale, salvaguardare per noi e per i nostri posteri il bene della libertà, poniamo in essere questa Costituzione quale ordinamento per gli Stati Uniti d'America. L’introduzione è un preambolo di carattere generale, che richiama quelle che sono le funzioni negative e positive dello Stato. Articolo 1 sezione 1: Tutte le competenze legislative qui previste saranno conferite a un Congresso degli Stati Uniti, composto da un Senato e da una Camera dei rappresentanti. In questo articolo abbiamo una prima strutturazione dell’ordinamento costituzionale degli Stati Uniti, cioè si adotta la separazione dei poteri, attraverso la previsione di un organo (Congresso) corrispondente all’esperienza del Parlamento nella vecchia madrepatria inglese. Anche in questo caso vi è una struttura bicamerale, propria del parlamentarismo inglese: ciascun potere è affidato ad organi diversi. Il potere legislativo è affidato al Congresso, il potere esecutivo è affidato al Presidente e il potere giudiziario ad un corpo di giudici, che vengono individuati sulla base di un sistema elettivo. CARATTERI DELLA COSTITUZIONE AMERICANA Testo scritto Non è tanto una novità in quanto anche la Magna Charta era scritta. La scrittura è un elemento di certezza del diritto. Divisione dei poteri Soluzione federalista Significa individuare uno stato sovranazionale di coordinamento rispetto alle istanze che provengono da entità statali singole, che corrispondono alle ex colonie. Previsione di un meccanismo di revisione costituzionale Il fatto che la costituzione sia modificabile è un altro elemento di garanzia, ma tuttavia ci sono delle limitazioni come ad esempio l’aspetto numerico. Quindi per le modifiche serve un ampio consenso e sono necessari dei meccanismi di controllo. Corte suprema per dirimere i contrasti costituzionali Simile alla nostra corte costituzionale, ma ci sono delle differenze. Infatti i giudici della corte suprema sono solo 9 e hanno una durata vitalizia, a meno che non decidano di dimettersi prima. IL PROCEDIMENTO DI REVISIONE COSTITUZIONALE È richiesto un consenso molto vasto per poter addivenire a una modifica della Costituzione. La proposta deve da una maggioranza dei 2/3 e 2/3 degli organi legislativi dei singoli stati: vi è un coinvolgimento del Congresso a livello federale ma anche delle singole assemblee parlamentari dei singoli stati. Approvazione da parte dei 3/4 degli organi legislativi dei singoli stati Si tratta di un meccanismo complesso che vede il coinvolgimento della federazione e dei singoli stati. LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DI FILADELFIA Tra il 1774 e il 1776 abbiamo un movimento che si pone in contrapposizione rispetto alla madrepatria. Se in un primo momento si avevano delle istanze di inserimento, soprattutto di una rappresentanza dei coloni all’interno del parlamento inglese, e si aveva un controllo di quelle che erano le disposizioni applicate nei confronti dei coloni. Quindi le richieste iniziali non andavano verso una richiesta di indipendenza delle colonie verso la madrepatria, ma la contro reazione rispetto all’intervento militare di Giorgio III porta a delle nuove riunioni formali, che avvengono nella città di Filadelfia. Il 4 luglio 1776 i rappresentanti delle 13 colonie dichiarano la propria indipendenza e provvedono alla redazione di una dichiarazione di diritti affermando l’uguaglianza, la vita, la libertà, la ricerca della felicità. La dichiarazione aveva un forte valore politico in chiave anti-inglese ma per il suo carattere generale assumeva valore universale, con riferimento a tutta l’umanità. Questa parte da una premessa ben precisa: il popolo ha il diritto di scegliere chi comanda sia le proprie forme di governo, ma che debba porsi in un contesto “internazionale” giustificando le scelte che portano ad un mutamento costituzionale, come in questo caso, il distacco dall’Inghilterra. C’è quindi un momento di stacco rispetto al passato. Le ragioni di questa rottura confluiscono sia nella dichiarazione che all’interno della costituzione, e si tratta di riportare quello che era il pensiero filosofico che si era sviluppato tra il ‘600 e il ‘700, in particolare quello di Locke: idea che la rottura del patto che c’è tra governati e governanti si rompe. Nella dichiarazione infatti veniva fatto notare il mancato rispetto dei diritti da parte dell’Inghilterra. REAZIONI DELLA MADREPATRIA E LA CONVENZIONE La Gran Bretagna non riconosce la rottura e insiste che si torni all’ordine. Ci furono diversi interventi dal punto di vista militare, ma comunque dovette rinunciare alle proprie pretese sul continente americano. Infatti, nel 1783 venne siglata la Pace di Parigi tra la Gran Bretagna e le nuove colonie ormai libere: c’è quindi il riconoscimento dell’indipendenza del nuovo stato. Anche questa è un’altra preoccupazione delle vecchie colonie, nel senso che all’interno della costituzione la necessità di giustificare la propria posizione all’interno di quella che è la comunità internazionale. Siamo in una fase in cui lo stato moderno è già una realtà, quindi i rapporti sono tra queste entità: nasce il diritto internazionale. Nel 1787, sempre a Filadelfia, si diede vita ad una Convenzione nella quale si individuano le regole generali del nuovo ordinamento costituzionale americano. Questa convenzione in soli 7 articoli fissò i meccanismi costituzionali fondamentali. Si rifiuta l’idea monarchica in favore della costituzione di una repubblica presidenziale Separazione dei poteri, che vengono attribuiti a organi differenti Il potere legislativo è affidato a due camere (Congresso): una eletta dalla popolazione (Camera dei Rappresentanti) e una composta dai delegati dei singoli stati (Senato). Alla Camera il numero dei rappresentanti è proporzionale al numero degli abitanti di ciascuno stato; al senato sono previsti 2 senatori per ogni stato. Il potere esecutivo è affidato al presidente che sceglie i ministri con i quali attuare il suo programma: il presidente è eletto ogni 4 anni. Il potere giudiziario è affidato a giudici elettivi mentre il controllo costituzionale è affidato ad una Suprema Corte composta da 9 membri vitalizi. LA CONVOCAZIONE DEGLI STATI GENERALI Gli avvenimenti americani produssero un certo effetto sulla cultura giuridica europea. Non mancarono coloro che auspicarono che il loro esempio fosse seguito anche nel vecchio continente, ma altri – pur apprezzandone il significato – furono propensi a pensare che l’esperimento si poteva concepire nelle nuove colonie americane, ove esisteva una diffusa proprietà privata ed erano ignote le istituzioni feudali ma non nel continente europeo. A partire dal 1787 iniziarono ad esserci evidenti movimenti nelle grandi città francesi in cui il problema economico era molto sentito, soprattutto per gli appartenenti alle classi meno abbienti e in contrapposizione alle classi dirigenti, che sembravano godere di alcune possibilità economiche particolarmente forti. Conseguenza del forte problema economico fu appunto la diffusione di istanze che provengono dal popolo. Il Re si trova in difficoltà perché sa che le casse dello stato sono vuote e che è necess

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