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SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE 1. DALLA TRASMISSIONE ALLO SCAMBIO “La realtà è quella che è, la comunicazione è solo un modo di esprimerla o di spiegarla. […] Le nostre idee sulla realtà sono illusioni che andiamo accumulando per la mag...

SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE 1. DALLA TRASMISSIONE ALLO SCAMBIO “La realtà è quella che è, la comunicazione è solo un modo di esprimerla o di spiegarla. […] Le nostre idee sulla realtà sono illusioni che andiamo accumulando per la maggior parte della nostra vita quotidiana, anche a rischio di costringere i fatti ad adattarsi alla nostra definizione di realtà, e non viceversa […] esistono versioni diverse della realtà, alcune contraddittorie, ma tutte risultanti dalla comunicazione e non riflessi di verità oggettive, eterne” (Paul Watzlawick, 1967) Paul Watzlawick fu fondatore della Scuola di Palo Alto, il primo centro di studi su un’intelligenza artificiale che replicasse in tutto quella umana. Secondo Watzlawick, il rapporto tra realtà e comunicazione è artificiale, in quanto nessuno vede le cose allo stesso modo: la realtà dipende dalla percezione che la nostra mente ha di essa. La realtà non esiste in quanto tale ma in quanto interpretazione della realtà. Siamo noi che cerchiamo di adattare a noi la realtà, non è la realtà che ci piega. La realtà è un’illusione, è data dall’interpretazione che viene fatta di questa realtà, che è molto più importante della realtà stessa: la visione della realtà di ognuno di noi è diversa e dipende da tantissime variabili. In un’intervista rilasciata alla RAI, Watzlawick affermò che la relazione causa-effetto è sempre dubbiosa: uno scienziato dovrebbe soltanto dire che c’è sole E la pietra si riscalda. Il modello psicoanalitico si basa su una casualità molto determinata. Jung invece aveva parlato di una finalità: l’uomo diventa qualcosa, non è solo spinto dalle forze del passato ma attirato verso delle mete innate. Inoltre, Jung introdusse il concetto della sincronicità: l’avvenimento sincronico, allo stesso tempo, di due cose che apparentemente non sembrano avere nulla a che fare tra di loro. Secondo Watzlawick siamo noi ad attribuire alla realtà una certa importanza: ad esempio, se si mescola un mazzo di carte da gioco e questo appaiono in ordine nei 4 colori, sembra una cosa incredibile, anche se quell’ordine è probabile tanto quanto gli altri ordini. Sempre nell’intervista, disse di essere influenzato da Popper, il quale diceva che i fatti scientifici devono avere il carattere della falsificabilità e aveva preso una posizione contraria alle proposizioni autoimmunizzanti: una proposizione la cui veridicità è dimostrata tanto dal successo, quanto dal fallimento ottenuto. In generale, la comunicazione può essere definita come un processo sociale che mette in relazione le persone e fa progredire l’interazione sociale. Qualsiasi interazione umana è una forma di comunicazione, anche il silenzio. 1 Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin e Don D. Jacknel, membri della Scuola di Palo Alto, nel 1967 pubblicarono gli esiti delle loro scoperte nel volume Pragmatica della comunicazione, dove enunciarono i cinque assiomi pragmatico-comunicativi, secondo loro alla base delle relazioni umane: 1. Non si può non comunicare. Qualunque attività verbale, non verbale, visuale. Segnica, anche l’immobilismo comunica qualcosa agli altri. In quanto esseri umani interpretanti e comprendenti, noi comunichiamo, perché sempre e comunque all’interno di un contesto comunicativo. Ad esempio, mettere una borsa su una sedia accanto alla nostra può far intendere che il posto è occupato o che si vuole stare al tavolo da soli. 2. La comunicazione è contenuto e relazione. Ogni atto comunicato non solo trasmette informazioni, ma stabilisce anche una relazione tra soggetti. Accettando la definizione di Gregory Bateson (1972), ogni comunicazione implica il fatto che ci sia una notizia (report), un comando (command) e una relazione di potere (power relation). 3. L’importanza della punteggiatura. Ogni atto comunicativo assume senso solo se ordinato da segni di punteggiatura come pause, interruzioni o sospensioni che servono a organizzare il senso del discorso e a dargli una direzione. La punteggiatura quindi è tutta una serie di azioni che danno senso e strutturano una comunicazione. 4. La comunicazione è sia digitale che analogica. La comunicazione analogica è quella in cui c’è corrispondenza diretta tra contenuto e forma di realtà. La comunicazione digitale è un’esperienza codificata da un alfabeto. Solo l’essere umano riesce a comunicare sia in modo digitale che in modo analogico. La comunicazione umana è l’unica che organizza significati in modo combinato sia attraverso rapporti di somiglianza (gesti o immagini) sia attraverso relazioni discontinue stabilite da convenzioni (segni alfanumerici). 5. La comunicazione è simmetria e gerarchia. Perché un procedimento di comunicazione possa avvenire, è necessario che i comportamenti di un individuo si rispecchino in quelli di un altro (simmetrici). Allo stesso tempo, affinché la comunicazione produca effetti, i ruoli debbono essere distinti e interdipendenti (complementari), scanditi da turni di parola e sottoposti a gerarchie. Gli assiomi costituiscono tutte le complessità che si devono considerare quando si analizza una conversazione. Nel definirli, gli autori chiamano più volte in causa il concetto di contesto come dimensione metacognitiva in grado di incidere nella formazione di senso sociale. Nell’analisi dei processi comunicativi è bene sottolineare che i concetti di comunicazione e informazione, apparentemente simili, segnano una differenza sostanziale. Si può considerare il processo di comunicazione come una dimensione inclusiva dell’informazione, ma, al tempo stesso, senza il passaggio di un’informazione non ci può essere comunicazione. Il significato di informazione è principalmente legato a quello di nozione. L’atto di informare può rappresentare l’azione del dare forma ad un’idea: l’informazione è un contenuto, un messaggio, è quell’elemento che ci serve per comunicare. L’atto di informarsi significa ricevere una notizia che produce una maggiore consapevolezza su temi, fatti e situazioni. Da un punto di vista etimologico l’INFORMAZIONE è: Trasmissione, scambio di informazioni, di notizie Ogni notizia, ogni elemento conoscitivo comunicato o acquisito. Le informazioni possono essere più o meno esatte, più o meno sensibili, più o meno accessibili, ma ognuna rappresenta un dato di conoscenza che produce effetti sociali. I servizi di informazioni e di sicurezza sono 2 apparati dello stato che svolgono compiti di controspionaggio e di sorveglianza interna. L’ufficio o sportello di informazioni in aziende o enti pubblici è l’ufficio preposto a rispondere alle richieste del pubblico Il diritto alla libertà di informazione è il diritto a informare nonché ad essere informati attraverso la pluralità delle fonti di conoscenza. Nel linguaggio giuridico, l’informazione (o avviso di garanzia) costituisce l’avviso che il pubblico ministero è tenuto a inviare a chi è oggetto di indagini per informarlo dei fatti intorno ai quali indaga La teoria dell’informazione è lo studio matematico della trasmissione e della ricezione di messaggi intesi come serie di eventi soggetti a leggi probabilistiche In biologia, l’informazione genetica è il complesso di messaggi ereditari presenti nei geni dei cromosomi di una cellula Nelle scienze informatiche e nelle teorie delle comunicazioni, l’informazione rappresenta la quantità contenuta in un codice In filosofia è un atto che dà ad un essere la propria forma La comunicazione è considerata un passaggio di notizie che trasmette qualcosa a qualcuno. Comunicare significa rendere partecipi altri di un contesto instaurando un rapporto di partecipazione e comprensione. Da un punto di vista etimologico, COMUNICAZIONE è: Trasmissione, partecipazione, diffusione di qualcosa agli altri Nell’ambito accademico, comunicazione significa trasmettere un sapere esperto Relazione presentata ad un convegno Collegamento attuato attraverso mezzi tecnologici di trasporto o di diffusione Scambio di informazioni mediante uno o più linguaggi (verbale, gestuale, musicale) tra un emittente e un destinatario La comunicazione giudiziaria era l’atto con cui si informava il potenziale imputato dell’apertura di un procedimento penale a suo carico, poi sostituito dall’avviso di garanzia Comunicazione è anche comunione e partecipazione alle liturgie e ai riti sociali Si può definire sistema di comunicazione come l’insieme di tecnologie (es. giornali) e tecnologie usate dai gruppi sociali e dai leader per arrivare a grandi pubblici, o a segmenti specifici, per influenzarne opinioni, gusti, ed emozioni o attivarne l’interesse. Il processo di comunicazione rappresenta un elemento complesso che si fonda su una relazione semplice (Jakobson). In senso generale si può definire la comunicazione una relazione transitiva, come il processo di trasferimento dell’informazione contenuta in un segnale, attraverso un mezzo (canale), da un sistema (fonte o sorgente) a un altro (ricevente o destinatario). Per poter produrre un effetto, il segnale deve essere compreso. Quando comunichiamo c’è una SORGENTE, FONTE o EMITTENTE che attraverso un CANALE manda un’informazione ad un RICEVENTE, DESTINATARIO o TARGET in un CONTESTO chiamato comunicazione. 3 Secondo il sociologo Michel Maffesoli (2005), la comunicazione è l’elemento strutturante che rivela apertamente quanto le società contemporanee non facciano più perno sull’individuo razionale padrone di sé e del mondo, ma su micro-aggregazioni sociali in cui il sé si perde nell’altro e si scioglie nelle diverse tribù di cui fa parte. La comunicazione, quindi, avviene sempre in contesti definiti: le tribù sono le comunità interpretanti (si veste allo stesso modo, parla allo stesso modo). La comunicazione è l’elemento di conoscenza che ci fa capire chi siamo in relazione alle persone con cui comunichiamo. In un’accezione preliminare, il processo di comunicazione può essere considerato come una relazione di trasmissione o di scambio, a seconda che il passaggio di informazione proceda a senso unico, dall’emittente al ricevente, oppure a doppio senso, quando il destinatario la elabora e risponde con un’altra informazione. In genere, si tende a definire come trasmissione la comunicazione tra macchine, o un comando impartito che non prevede interpretazioni divergenti. Se l’informazione perde questa unidirezionalità, genera retroazione e scambio, si ha quella situazione in cui la circolarità diventa l’elemento qualificante della relazione: lo scambio è il presupposto della comunicazione umana, che genera la complessità e il mutamento sociale. Con sistema di comunicazione si fa riferimento all’insieme finito e organizzato di componenti e processi che facilitano la trasmissione, la ricezione e lo scambio di informazioni tra individui e gruppi. Può includere mezzi di comunicazione, canali di trasmissione, codici linguistici, ricevitori, emittenti, rumore e feedback. I sistemi di comunicazioni possono riguardare la trasmissione e la ricezione di informazioni, la comprensione dei messaggi, il feedback e l’interpretazione degli stessi. Possono esistere in una varietà di contesti, inclusi quelli mediatici, aziendali, accademici, governativi e personali. Le teorie della comunicazione hanno spesso dialogato con altre discipline, tra cui la teoria matematica della comunicazione di Claude Shannon, che insieme a Warren Weaver sono considerati i padri della cibernetica, la disciplina che si occupa dello studio unitario dei processi riguardanti la comunicazione e il controllo nell’animale e nella macchina partendo dalle ipotesi che vi sia una sostanziale analogia tra i meccanismi di regolazione delle macchine e quelli degli esseri viventi e che alla base di questi meccanismi vi siano processi di comunicazione e di analisi di informazioni. La cibernetica si propone da un lato di studiare e realizzare macchine ad alto grado di automatismo, volte a sostituire l’uomo nella sua funzione di controllare e di pilotare macchine e impianti, e dall’altro, inversamente, di servirsi delle macchine anzidette per riprodurre artificialmente determinate funzioni fisiologiche e dell’intelligenza. I concetti base della cibernetica, ripresi dalla teoria sistemica della comunicazione, sono: 1. Feedback, inteso come meccanismo di RETROAZIONE o concezione circolare degli stimoli informativi. Nelle teorie sistemiche è il processo per cui l’effetto risultante dall’azione interna ad un sistema (meccanismo, circuito, organismo, …) si riflette sul sistema stesso per variarne e correggerne opportunamente il funzionamento. Può essere positivo o negativo, secondo che si abbia, come risultato finale, l’intensificazione oppure l’attenuazione dell’effetto. Per le scienze umane il feedback è anche il rimando che avviene tra soggetto e ambiente. Noi siamo sempre alla ricerca di indizi per essere sicuri della nostra interpretazione. Il sistema è interamente attraversato da stimoli che rimandano al funzionamento del sistema stesso. 2. Omeostasi: controllo dell’EQUILIBRIO e dell’ORDINE interno di un sistema complesso. È l’attitudine propria dei sistemi a trovare un equilibrio intorno a un livello prefissato di parametri interni, disturbato di continuo da vari fattori interni ed esterni. Ogni sistema è ordinato al 4 proprio interno da sottoinsiemi che fungono da controllo, il cui intervento simultaneo regola il metabolismo interno, in modo da conservare immutato o di ristabilire le condizioni di equilibrio interno al sistema, indipendentemente dalle modificazioni di quello esterno. L’omeostasi si ottiene attraversi un complesso sistema di meccanismi di feedback che percepiscono i cambiamenti nell’ambiente interno e attivano le risposte per contrastare tali cambiamenti. 3. Entropia, che, recuperando anche i principi della teoria del caos, prova a misurare il DISORDINE interno a un sistema fondando la convinzione che nelle scienze non esistono situazioni completamente imperscrutabili. Il termine venne utilizzato per la prima volta nel XIX secolo dal fisico tedesco Clausius durante i suoi studi sul flusso di calore nei motori a vapore: c’è entropia quando nel trasferimento energetico c’è dispersione di calore. Shannon utilizza questo concetto per definire il rumore che interferisce con la corretta ricezione delle informazioni. In termini matematici, l’entropia viene definita come l’opposto dell’informazione, ovvero la probabilità che un evento (fisico) ha di realizzarsi. Il concetto di entropia nelle scienze sociali è stato utile per misurare la differenza tra l’incertezza iniziale e l’incertezza finale in termini di probabilità all’interno di un sistema dopo che c’è stato un passaggio di informazione. Nella teoria dell’informazione l’entropia è la misura della quantità di informazione contenuta in un messaggio: l’entropia di un messaggio è maggiore quando contiene molta incertezza o ambiguità, minore quando il messaggio è chiaro e specifico. La teoria del caos è lo studio, attraverso modelli della fisica e della matematica, di sistemi entropici: sistemi destrutturati o disordinati (a cui manca apparentemente un’organizzazione interna) che cerca di raggiungere un equilibrio dinamico (omeostatico). La teoria del caos o del disordine applicata ai sistemi umani ci mostra che le relazioni tra fenomeni differenti (naturali o sociali) non sono sempre casuali e possono essere riempite di significato. Il presupposto su cui si basa la teoria è che tutti i sistemi sono entropici: ogni sistema di comunicazione per noi è caotico finché non capiamo i meccanismi in base a cui funzionano, i meccanismi di difesa e di ridefinizione del confine. La teoria del caos aiuta a capire il sistema di comunicazione come azione e reazione. Si arriva al modello di Shannon e Weaver, detto anche modello del pacco postale, che propone una concezione lineare del processo di comunicazione in cui tra input e output si stabilisce una reazione neutra: l’enfasi viene posta sulla presenza di un apparato trasmittente, un canale e un apparato ricevente. Nel loro modello, l’elemento di originalità è rintracciabile nel modo di risolvere il problema del rumore (noise), ovvero della perdita di informazione nel tragitto tra sorgente e ricevente: si concentra sul rapporto tra informazione ed entropia. Al centro della riflessione c’è il problema della codifica dell’informazione: quanto più il sistema è efficiente, cioè a ridurre l’errore o la dispersione, tanto più sarà produttivo, nel senso che il contenuto ricevuto sarà il più simile possibile a quello trasmesso. Shannon afferma che la riduzione del rumore va perseguita tramite la massimizzazione dell’efficienza del linguaggio di trasmissione (codice), così da rendere i codici più gestibili e meno soggetti al rumore esterno. Nel cercare questa efficienza ci si scontra con il problema dell’entropia: - Come unità di misura del disordine presente nell’ambiente di trasmissione - Come inversamente proporzionale all’informazione: quanto maggiori sono i dati conosciuti in un sistema di comunicazione relazionale, tanto minore sarà l’entropia; tanto minore sarà la quantità di dati conosciuti, tanto maggiore sarà l’entropia. 5 Il modello prevede: Una sorgente capace di elaborare un messaggio Un apparato trasmittente che codifica in base al mezzo di comunicazione prescelto Un mezzo o canale di comunicazione attraverso cui il messaggio viaggia Una fonte di rumore che può modificare o deteriorare il messaggio Un apparato ricevente che codifica all’inverso il messaggio Un destinatario che riceve il messaggio decodificato Il problema semantico viene considerato irrilevante, perché il sistema di codificazione deve poter trarre ogni tipo di messaggio allo stesso modo. Il significato dell’informazione non conta, ma contano invece il numero di alternative possibili e la combinazione probabilistica che consentono ad un evento di essere definito nel modo meno dispersivo possibile. Non interessa cosa passa, ma il modo migliore per far passare l’informazione. L’attenzione di Shannon e Weaver è stata volta principalmente alla riduzione dei problemi della comunicazione in presenza di disturbi, che essi affrontano ponendosi il problema di migliorare l’efficienza dei codici di trasmissione. Il loro sforzo è stato quello di lavorare soprattutto sul linguaggio di trasmissione delle informazioni al fine di renderlo una sequenza matematica più facilmente gestibile e meno soggetta a disturbi interni, riducendo, in questo modo, il margine di errore. L’informazione che parte da una fonte costituisce un segnale: tale segnale diventa utile solo nel momento in cui viene correttamente trasmesso. Diverse fonti trasmettono segnali: sono utili se sono compresi e si può parlare di processo di informazione: perché ci sia comprensione è necessario che il segnale sia codificato in modo corretto rispetto al contesto. Non tutti i segnali sono comprensibili nell’immediato: alcuni non sono lo sono mai, perché non viene trovata l’informazione adeguata. La condivisione delle regole di attribuzione di significato è quindi l’elemento cruciale per definire l’esistenza di una forma di comunicazione. L’informazione è quindi il nucleo principale del processo di comunicazione. L’informazione può essere quindi definita un segnale naturale o artificiale a cui viene attribuito un significato comprensibile e trasmissibile solo se è capace di produrre un cambiamento nella situazione osservata. Essa è la percezione della differenza, l’elemento di conoscenza che cambia lo stato di un sistema, che permette di ridurre l’incertezza. 6 Il francese Edgar Morin ha affermato che il nostro mondo organizzato è un arcipelago di sistemi nell’oceano nel disordine. Si tratta di un modo per definire l’entropia. Il paradosso della teoria matematica delle informazioni è che nel momento in cui la digitalizzazione e l’integrazione dei vari sistemi informativi ci ha portato in uno dei momenti storici con maggiore accesso alle informazioni, in teoria dovremmo essere certi delle nostre decisioni. In realtà, la teoria matematica delle informazioni, non pensando al contesto, non ha ragionato sul fatto che tutto questo funziona in una sorta di neutralità della capacità di apprendimento: l’essere umano ha dei limiti bio-psichici nella gestione delle informazioni, cioè riusciamo a gestire psichicamente un numero limitato di informazioni. La funzione bio-psichica si è spostata da quella del ricordo a quella della gestione: ci sono dei dispositivi che sostituiscono la memoria umana. CODICI Un segnale per diventare uno schema di senso che possa essere trasferito ha bisogno di una codifica. Un codice è una rappresentazione di un insieme di informazioni che può essere definita per gli istanti di tempo entro cui avviene e per i valori che assume. Secondo l’ingegneria delle comunicazioni, il codice ha lo scopo di ottimizzare il trasferimento delle informazioni e perfezionare il momento della ricezione. Un codice è ottimale quando è: 1. Economico: il costo del suo trasferimento, della sua capacità interpretativa ha un costo sostenibile per l’intero sistema 2. Efficiente: se non disperde l’informazione, è il modo ottimale per dire le cose in modo chiaro 3. Utile: se produce vantaggi per il sistema 4. Comprensibile: se viene interpretato correttamente dal ricevente 5. Appropriato: deve scegliere quel canale appropriato per trasmettere quel tipo di informazioni Il processo di codifica efficiente trasforma l’informazione in ingresso in un sistema di segni adatti al tipo di dispositivo di comunicazione utilizzato: ad esempio la radio non è appropriata per trasmettere informazioni visuali. La funzione del codice è: 1. Proteggere l’informazione dai rumori 2. Rendere efficiente l’interpretazione 3. Definire l’ambito di comprensione del messaggio, il limite del sistema: definire la dimensione sistemica 4. Strutturare il rapporto tra emittente e ricevente. Ogni codice implica necessariamente l’esistenza di due serie di elementi, tra i quali si stabiliscono delle regole di corrispondenza. Mentre l’emissione di impulsi può essere un fenomeno naturale, la corrispondenza tra due elementi è sempre stabilita dall’uomo e quindi è convenzionale. Ad esempio, il suono di una sirena può indicare la presenza di un’ambulanza così come il fine turno lavorativo. Se la relazione tra il segnale e il fenomeno che rappresenta non è prestabilita, è necessario interpretarla, cioè valutare le diverse possibilità a cui rimanda e decidere quale definizione si adatta di più a quella 7 situazione. Un codice quindi è sempre qualcosa di arbitrario: la realtà non esiste, ma neanche il modo per codificarla, ma si tratta sempre di un’operazione arbitraria e convenzionale. Nel 1832 l’ingegnere americano Samuel Morse ebbe l’idea di trasmettere degli impulsi utilizzando la rete elettrica. L’apparecchio trasmittente consisteva in un tasto che apriva o chiudeva un circuito, mentre l’apparecchio ricevente era costituito da un’elettrocalamita collegata a una punta inchiostrata che registrava la durata maggiore o minore delle percussioni su un rotolo di carta in scorrimento. Il ragionamento fatto da Morse nel costruire il suo codice fu che le combinazioni più semplici andavano assegnate alle lettere usate più frequentemente nella sua lingua, l’inglese, allo scopo di risparmiare tempo ed energia. Il codice Morse rappresenta l’anticipatore di quello che oggi viene considerato il codice più efficiente in assoluto, cioè il codice binario, in cui la relazione combinatoria tra le sequenze è in base 2 (0 e 1), anziché 3 (linea, punto e pausa). Il bit diventa il codice più efficiente in quanto minimizza la quantità di informazioni necessaria per distinguere tra due eventi che hanno la stessa probabilità di manifestarsi. L’efficienza del codice binario è tale in quanto esso può essere controllato da algoritmi e processato da tecniche di elaborazione molto complesse e sofisticate in tempi sempre più brevi e con costi sempre più accessibili. Senza il computer, però, il codice binario non sarebbe molto pratico. Il passaggio dal segnale analogico a quello digitale è alla base del processo di digitalizzazione. Nel sistema ANALOGICO basato sulla trasmissione di impulsi elettrici continui, l’apparecchio ricevente riesce a trasformare, per semplice analogia, i segnali audio o video. Nel sistema digitale, al contrario, dove il segnale è discontinuo, qualunque messaggio viene scomposto in sequenze binarie di 1 e 0. L’apparecchio ricevente, dunque, deve essere istruito sul modo di ricomporre ogni sequenza di impulsi discontinui per renderla comprensibile. Nel momento in cui l’informazione adotta una modalità di codifica di tipo digitale, essa diventa un’informazione trattata matematicamente. I vantaggi della codificazione discontinua dei segnali sono diversi: 1. Riduzione del rumore del canale e maggiore pulizia del segnale: il canale diventa più libero 2. Compressione della quantità di informazioni tramite algoritmi per trattare i codici 3. Velocizzazione dei tempi di trasmissione 4. Aumento della possibilità di archiviare e gestire grandi quantità di informazioni 5. Integrazione di diversi linguaggi di comunicazione e produzione di una convergenza tra i differenti dispositivi e formati di comunicazione (Jenskins) I problemi che si possono generare sono: 1. Di ricezione: mentre nella comunicazione analogica la perdita parziale del segnale permette di recuperare la coerenza globale dell’informazione trasmessa, in quella digitale è sufficiente una piccola interruzione della sequenza di codice per perdere la coerenza globale dell’informazione trasmessa 2. Decostruzionismo: un continuo montaggio e rimontaggio di significati e un gioco di rimandi testuali. Per tale ragione, ogni tentativo di dare un senso alla realtà deve essere visto come un processo necessariamente parziale ed arbitrario, dal momento che diverse combinazioni di significati possono essere plausibili. Cambia il criterio di linearità del modo con cui si costruiscono i significati sociali. La decostruzione crea una “realtà meno reale”. 8 3. Iper-realismo: la realtà non esiste più perché possiamo darle un altro senso. Il rapporto tra la realtà e la sua rappresentazione cambia profondamente: crea una realtà aumentata che non c’è su cui io mi posiziono, crea in me una serie di emozioni. L’esperienza mediata e mediale è sempre meno una produzione originaria di senso ed è sempre più iper-realtà, vale a dire una realtà rigenerata dalla simulazione di modelli testuali (simulacri) che possono essere anche privi di un referente nel mondo reale (ne sono un esempio la realtà virtuale e quella aumentata). Il modello lineare della comunicazione si ridefinisce in qualcosa che è sempre di più ecosistema: quell’insieme di sistemi che preordina il fatto che c’è una complessità, un contesto in cui i vari sistemi agiscono. L’ecosistema prevede l’interazione tra tutte le parti, come a dire che il sistema è un elemento minore. In un ecosistema non fanno parte solo gli elementi tecnologici o il comportamento umano, quindi la trasmissione di informazioni di tipo lineare, ma anche il contesto in cui il sistema vive (sociale, culturale, politico, economico): quando analizziamo l’ecosistema analizziamo anche i valori della cultura in cui quel sistema si esprime, le influenze politiche e culturali, gli interessi, i sentimenti, le dinamiche di potere. L’ecosistema include anche la dimensione idealistica, delle culture di riferimento, quella dimensione più ampia che è propria del sistema socio-storico. L’informazione veicola un messaggio reso esplicito solo se avviene in un certo contesto: la decodifica di un’informazione dipende spesso dal contesto entro cui avviene e l’impatto di un’informazione in due contesti diversi non è lo stesso. Se nella comunicazione fra macchine perché avvenga un trasferimento di informazione deve esserci corrispondenza univoca tra il codice di trasmissione e quello di ricezione, nella comunicazione umana la mancata ricezione di un messaggio può essere dovuta all’autonomia interpretativa del destinatario o alla pratica con cui il codice viene usato in un dato contesto storico e culturale. La pluralità degli ambienti culturali, dei significati sociali e l’imprevedibilità delle loro direzioni rappresentano per la comunicazione umana un rischio e al tempo stesso un valore. La comunicazione umana non è solo un processo di trasmissione meccanicistica di informazione, ma un continuo scambio in grado di modificare le relazioni tra emittente, ricevente e l’ambiente entro cui queste avvengono. Il fatto che i soggetti recepiscano o meno un messaggio può essere dovuto a diverse cause. La mancata ricezione può anche dipendere dalla non conoscenza della lingua: si parla in generale di ignoranza di codici comunicativi, che può essere superata con l’apprendimento formale. Anche in assenza di conoscenza della lingua, la comunicazione umana può però procedere perché entra in gioco una meta- comunicazione, espressiva e non verbale, fortemente legata a una relazione di indicalità. Ma può accadere che gli interlocutori appartengano a contesti socioculturali differenti e non concordino sul senso della conversazione. Nella comunicazione umana diventa così possibile distinguere due livelli di codice comunicativo: 1. Codice primario: la struttura dei segni e delle regole sintattiche che definiscono la lingua parlata, senza la cui conoscenza non può esserci decodifica formale dell’informazione 2. Codice secondario: pratiche interpretative che i soggetti operano (o non operano) e diventa espressione di identità ed appartenenza Nel corso del tempo ci sono stati diversi tentativi di definire un linguaggio perfetto. 9 Un linguaggio perfetto presuppone una corrispondenza abbastanza univoca tra una parola e la cosa che rappresenta: è il principio su cui nascerà e si fonderà la disciplina della semiotica moderna. Nel XVIII secolo, in pieno Illuminismo, fu coltivata dai filosofi della scienza l’utopia di un linguaggio universale, uguale per tutte le genti che, se fosse stato realizzato, avrebbe aumentato la comprensione e l’armonio tra i popoli. Il contributo più significativo è quello fornito dagli anni del primo dopoguerra dal Circolo di Vienna: tra i suoi principali esponenti c’era Rudolf Carnap che considerava il linguaggio delle scienze dure come modello che il linguaggio comune e le scienze umane-filosofiche avrebbero dovuto seguire. Carnap riteneva che le nozioni basilari della scienza (legge, teoria, esperimento,...) dovevano essere sottoposte a un processo di validazione basato sui nessi di causalità. Ogni nozione intuitiva applicata alla scienza espressa nel linguaggio ordinario doveva essere esplicitata, ovvero sostituita con un linguaggio rigoroso privo di contraddizioni logiche e semantiche. Le idee del filosofo Ludwig Wittgenstein (1921) ispirarono il positivismo logico, nel quale si cercò di costruire un linguaggio accademico rigoroso e condiviso. Questo fu il contributo maggiore nella costruzione di un linguaggio comune che tuttavia non mirava alla correzione del linguaggio perfetto e restò entro i confini dell’accademia. Nella prima metà del Novecento si è fatta strada la cosiddetta svolta ermeneutica, L’avvenimento dei mass media ha reso più complicata la funzione di controllo dei significati da parte della fonte e svelato al polisemia dei testi e la divergenza interpretativa del pubblico. Il potere ha da sempre usato il controllo e l’omologazione della comunicazione per assoggettare le masse. La diffusione della democrazia, accompagnata da quella dei mezzi di comunicazione di massa, ha aumentato la circolazione di idee e la crescita delle forme di dissenso: il suddito non può più essere obbligato con la sorveglianza e la repressione, ma diventa cittadino, che va convinto attraverso la parola. Il linguaggio umano non può mai essere perfettamente referenziale: ad una parola non è sempre possibile assegnare un solo significato. Non è tanto il codice che assegniamo, quanto l’attribuzione di significato ad essere importante. Se, da un lato, la ricerca del linguaggio perfetto mira a risolvere la complessità aumentando il controllo sui significati e il grado di referenzialità, per altro verso l’omologazione e la riduzione della complessità dei codici di comunicazione porta con sé il rischio di autoritarismo interpretativo. Riducendo la possibilità del ricevente di sviluppare liberamente catene semantiche e di interpretare in base alla propria esperienza, si corre il rischio dell’impoverimento culturale e rischi di autoritarismo. Ogni tentativo del genere è condannato in partenza a essere riduttivo o autoritario, e si tradurrebbe in una sorta di dittatura della comunicazione. L’esempio letterario di Orwell in 1984, con il Grande Fratello a funzionare come polizia del pensiero attraverso i principi della Neolingua, ci fa capire lo stretto legame esistente tra comunicazione e potere e mette in guardia contro i rischi di omologazioni interpretative di tipo autoritario. 10 2. COMUNICAZIONE E NEGOZIAZIONE DEI CONTENUTI La riflessione sul rapporto tra significati e oggetti nasce con la filosofia aristotelica. La semiotica, prima disciplina che studia la forma e il processo di significazione, nasce nel XIX secolo in ambito filosofico grazie all’opera di Charles Sanders Peirce e in ambito linguistico grazie a quella di Ferdinand de Saussure. Tra i grandi nomi nell’ambito della disciplina c’è quello di Umberto Eco, che con la pubblicazione del Trattato di semiotica generale del 1975 ha dato un contributo fondamentale. Accanto alla semiotica esiste anche la semiologia: la prima definizione rimanda a un ambito più filosofico, la seconda più socio-linguistica. Secondo la definizione di Pierce, “un segno o representmen è qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa, sotto qualche rispetto o capacità” e crea in questo qualcuno “un segno equivalente, o forse più sviluppato”, cioè un soggetto interpretante. Secondo Eco la semiotica rappresenta lo studio dei segni in tutte le sue forme ed è un processo che si trova a molti e diversi livelli nella comunicazione “ogni qual volta qualcosa sta al posto di qualcos’altro e si stabilisce un rapporto tra un segno, il proprio oggetto e il proprio interpretante”. Gian Paolo Caprettini definisce la semiotica come la scienza che ha per oggetto lo studio comparato dei segni, della struttura e del funzionamento di tutti i processi in cui i segni sono coinvolti. La semiotica da un lato si occupa dell’individuazione di sistemi costituiti da segni e dalle loro relazioni, dall’altro cerca di spiegare l’utilizzo che gli individui ne fanno. In questo solco si inserisce l’approccio pragmatista dell’americano Charles Morris, che definisce la semiotica come una scienza in cui si parla della lingua delle scienze. Morris presentò una teoria semiotica che individuava tre diversi livelli di analisi del rapporto tra oggetto interpretato e interpretazione, tra loro interconnessi: 1. Dimensione sintattica: lo studio delle relazioni formali tra un segno con l’altro. Questa dimensione riguarda la relazione dei segni con gli altri segni (+, -, =) ma non ci dice nulla del mondo esterno 2. Dimensione semantica: lo studio delle relazioni dei segni con l’universo rappresentato. Riguarda il riferimento dei segni agli oggetti esterni, naturali o artificiali, e viene definita funzione referenziale. 3. Dimensione pragmatica: lo studio della relazione dei segni con coloro che li usano. Attiene alla pratica del segno, ovvero al comportamento (azione) dell’individuo di fronte al segno Per esempio, il fatto che il semaforo verde indichi “via libera” è una questione semantica; che dopo la luce gialla scatti quella rossa è una questione sintattica; la scelta di fermarsi o di sgomberare in fretta l’incrocio di fronte al segnale giallo può diventare una rinegoziazione del valore del segno che rimanda alla dimensione interpretativa, dunque alla pragmatica. Nel modello di Ferdinand de Saussure del 1916 il segno è costituito da due componenti: 1. Significante: il veicolo per mezzo del quale viene evocato il significato (ad esempio “gatto”) 2. Significato: il concetto cui il segno si riferisce (nell’esempio, l’animale domestico, peloso) 11 In entrambi i versi il legame non esiste materialmente, ma è il risultato della relazione tra coloro che comunicano (fonte e ricevente). Il nesso tra significante e significato è sempre arbitrario e convenzionale. Perché esista una lingua (nel senso della pratica) è necessario che i significati e i significanti siano diversi gli uni dagli altri e sperimentati in un contesto. Umberto Eco chiarisce questo punto con l’esempio dei termini indicanti “albero” e “bosco” in diverse lingue: non è solo differente il significante, ma anche il significato. Ad esempio, noi abbiamo quattro modi per dire “albero”, “legno”, “bosco” e “foresta”, mentre in altre lingue un significante può avere più significati. È l’usabilità che abbiamo di un oggetto che ci porta a ridurre o aumentare la capacità linguistica. Per Morris siamo gli unici esseri viventi trafficanti di segni, in grado di manipolarli, di creare conoscenza. Un altro esempio è posto dall’antropologo Franz Boas, secondo cui gli Inuit hanno differenti termini per indicare la neve secondo i diversi usi che ne fanno (per alimentarsi, per isolare le case, …). Di contro, le lingue di certi popoli dei paesi tropicali per i quali la neve non è pratica, ma è solo significato immaginato, non necessitano di molte parole per esprimere lo stesso concetto. Il discorso semiotico individua due funzioni referenziali rispetto ai segni: 1. Funzione denotativa si ha quando un segno ha un rapporto diretto con l’oggetto referente. La denotazione è l’atto di indicare una cosa attraverso segni esteriori, in semantica è la capacità di evocare un oggetto e le sue proprietà attraverso una relazione che unisce una forma linguistica a tutta una classe di oggetti uguali e analoghi 2. Funzione connotativa si ha quando un segno ha un rapporto indiretto con l’oggetto referente. La connotazione contribuisce a costruire il significato di una parola in un determinato contesto. In questa funzione rientrano sfumature tanto di carattere soggettivo (la dimensione evocativa e affettiva) quanto di carattere culturale (la dimensione etica e valoriale) che accompagnano l’uso della parola. Il rapporto tra funzione denotativa e connotativa viene raffigurato dal noto triangolo semantico, che si può tracciare sulla base della ripartizione di Pierce tra segno, oggetto e interpretante, e del triangolo di Odgen e Richards che mette invece in luce il rapporto tra simbolo, referenza e referente. 12 Il triangolo semantico aiuta a capire come nella comunicazione umana, tra emittente e ricevente, interviene un processo di negoziazione dei significati attribuiti agli oggetti. Nel linguaggio umano, la funzione referenziale tra segno e oggetto non è mai diretta o univoca, ma è sempre connotata da qualche immagine mentale che ci costruiamo attorno all’oggetto stesso: come si evince dalle figure, nella comunicazione umana la denotazione è sempre un rapporto indiretto tra il segno ed il referente e tale rapporto è mediato sempre da connotazioni. Mentre la relazione tra simbolo e referenza è, secondo Eco, discutibile perché indiretta e non naturale, quella tra simbolo e referente (o significante e referente) è immediata e reciproca. Questo rappresenta un fatto culturale, strategico ed istituzionale. Quanto più la punta del triangolo semantico va verso l’alto, tanto più lo spazio interpretativo aumenta; questi non può mai sparire, ma si può ridurre. Il rapporto tra significato e significante non è fisso. Ogni parola utilizzata dà origine a un processo di connotazione, per cui ogni significato può essere rinegoziato e diventare significante al passaggio successivo. Il linguaggio determina una catena di significati, ciascuno dei quali consiste in una diversa risposta al referente. In questo modo, tramite un gioco complesso di associazioni mentali, si stabiliscono catene semantiche in cui un significato può a sua volta essere assunto come significante rispetto a un nuovo significato, e così via: si forma una catena semantica che porta a capire la complessità della situazione. 13 Esempio della spia rossa (significante 0). Essa può essere indizio di un guasto o di un pericolo (significati 0). Se si tratta di un guasto (significante 1), si può procedere con la riparazione (significato 1) o con la sostituzione (significato 1), altrimenti se si tratta di un pericolo (significante 2) si può procedere con l’intervento (significato 1) o con la fuga (significato 1). Se si procede con la riparazione (significante 3), questa può avvenire attraverso l’assistenza o col manuale (significati 2); se invece si procede con la sostituzione (significante 4), questa può avvenire attraverso la rottamazione o il riciclo (significati 2); così via per tutti gli snodi interpretativi. In questo modo viene a definirsi una sorta di fuga degli interpretanti, ovvero una semiosi illimitata, nella quale si conferma il carattere ipoteticamente aperto del pensiero. Peirce parla di semiosi illimitata, che finisce per assumere l’aspetto di un’interminabilità interpretativa. Eco indica una soluzione, introducendo la definizione di interpretante energetico, diverso dall’interpretante emozionale, ovvero un soggetto dotato di senso pratico che pragmaticamente, e per evitare il caos interpretativo, tende a chiudere in qualche modo la catena semantica sulla base della valutazione delle opportunità e del contesto. Studiare la funzione dei segni e come questi intervengono nella comprensione dei linguaggi e delle informazioni è importante nella comunicazione umana. Peirce distingue i segni in: 1. Segnali Il segnale indica qualsiasi impulso venga trasmesso da un punto terminale ad un altro attraverso un canale Si parla di segnale, in senso specifico, un’informazione finita che implica una corrispondenza univoca tra significante e significato, e questo perché si vuole che la decodifica del messaggio sia il più possibile precisa e non ambigua. Le segnaletiche sono sistemi di comunicazione che rendono economico e organizzato il nostro muoversi nel linguaggio dei segni: esse hanno una funzione intenzionalmente denotativa. Un esempio è la segnaletica stradale. I segnali sono frutto di un processo convenzionale istituzionalizzato: sono negoziati, stabiliti da qualcuno e condivisi. Perché la corrispondenza tra codice della fonte e quello del destinatario 14 sia effettiva, essa deve essere codificata, trasmessa e verificata oppure essere soggetta a validazione esperenziale. Il controllo sulla corrispondenza di significato può essere fatto attraverso sanzioni, premi oppure diventare un fatto convenzionalmente accettato perché risolve l’incertezza. 2. Indici Si definisce indice ogni indizio di lettura di un segno. Gli indici rappresentano una relazione di continuità e di capacità tra significato e significante: ci dice che c’è uno stato, ma anche come lo stato appare. La correlazione tra segno e referente è stabilita in maniera convenzionale sulla base di leggi e pratiche empiriche consolidate. La funzione di un indice è quella di fornire una direzione interpretativa: ad esempio le macchie sulla pelle indicano la malattia. In generale quindi si definisce indice una qualunque relazione di significato che offre indicazioni di lettura all’informazione e ne afferma l’utilità. Se viene meno la contiguità, intesa come relazione diretta, viene meno l’indicalità: la barra di mercurio non graduata non serve a diagnosticare i sintomi della febbre. 3. Icona L’icona è un segno che stabilisce una relazione di analogia o similitudine effettiva tra un segno e il suo significato: rappresentando l’oggetto per somiglianza si presta ad un’univocità di lettura, ad esempio la Madonna come icona di purezza e beatitudine. L’icona serve a semplificare e rendere più immediato un concetto puntando sulla capacità evocativa. Si tratta di una risposta strategica all’uso delle segnaletiche per ottimizzare forme di comunicazione. In molti casi può rappresentare anche la traslazione di un significato sociale e culturale. In questo modo avviene una sostituzione che serve a semplificare e a rendere più immediato il rapporto con il significato attraverso l’analogia (ad esempio le icone delle applicazioni). 4. Simboli Si parla di simbolo quando la relazione tra significante e significato rimanda a processi interpretativi e ad associazioni mentali evocative e complesse che definiscono identità culturali. Il processo interpretativo è del tutto connotativo, non denotativo. Il rapporto tra espressione e contenuto nei simboli è sempre di tipo convenzionale, derivato da una tradizione culturale, tramandata e rinnovata nel tempo. Il simbolo diventa espressione di comunità interpretative (ad esempio il simbolo di un partito), sintetizzandone l’appartenenza identitaria e valoriale (la colomba è simbolo di pace) e guidandone comportamenti collettivi. Il simbolo inoltre definisce l’agire comunitario per inclusione e differenza (come la bandiera di una nazione). Il problema strategico della comunicazione attraverso segnaletiche quando sono necessarie e cercano il più possibile di ridurre l’interpretazione. Ma l’abuso di segnaletiche può generare il caos, l’entropia, caso in cui non abbiamo le informazioni necessarie per decodificare quella situazione. Le segnaletiche, come funzione, devono essere per forza il più possibile denotative, anche se si può sempre interpretare. La funzione dei simboli è quella più espressiva e si vede in tutti i campi – vita politica, religiosa, associativa – e carica il segno di un posizionamento. Ci sono poi i sistemi simbolici: insieme di norme e pratiche interpretative dove vediamo che la corrispondenza è arbitraria e contestualizzata. Ad esempio, nella squadra di calcio i compagni usano la stessa divida. I sistemi simbolici sono tutte forme segniche convenzionali (parole, gesti, dress code) che denotano un’appartenenza, nel bene o nel male. Dietro quel simbolo c’è una rappresentazione, un’idea, un posizionamento. Costruiamo e vengono costruiti dei sistemi simbolici per stabilire un rapporto comunitario, una relazione esclusiva, riconducibile all’interno di quel contesto (ad esempio la maglietta 15 delle squadre di calcio). Questi indicatori non sono indicativi di per loro, ma lo diventano quando questi vengono associati pragmaticamente a ciò che riferiscono. Nella retorica politica si vede come giocare con i sistemi simbolici può essere pericoloso, perché può portare all’escalation di una situazione degenerante e degenerativa, a volte anche estrema. L’uso simbolico è quella parte espressiva e creativa che denota il fatto che noi esseri umani interpretiamo e creiamo nuovi mondi ma è anche quel terreno pericoloso che porta a quei conflitti che possono portare o portano all’autodistruzione. I sistemi simbolici sono molto importanti quindi se contestualizzati e rispetto all’uso che ne facciamo. Nella comunicazione umana il processo di comunicazione è sempre ermeneutico, ovvero soggetto a interpretazione, e per questo non si ha mai la sicurezza della corrispondenza perfetta tra significato e significante. In questo gioco di interpretazione vi sono due entità ugualmente attive: colui che enuncia (fonte) e colui che interpreta l’enunciato (destinatario). Inoltre, ci sono una pluralità di livelli che possono essere isolati. Nel suo modello, Ronald Jakobson individua sei elementi cruciali, ognuno dei quali associati ad una funzione, in quello che è il problema ermeneutico della comunicazione: 1. Mittente: colui da cui parte la comunicazione 2. Destinatario: colui a cui è rivolta la comunicazione 3. Contesto: l’ambiente all’interno del quale avviene il processo di comunicazione 4. Messaggio materialmente scambiato all’interno del flusso comunicativo, sia esso un suono, uno scritto, un gesto 5. Canale attraverso cui la comunicazione avviene e che rende possibile il contatto tra mittente e destinatario 6. Codice: sistema organizzato di segni, come può esserlo una lingua o un linguaggio A ciascun elemento del processo comunicativo corrisponde una particolare funzione: 1. Funzione emotiva → mittente: indica l’atteggiamento del mittente (ciò che pensa, ciò che sente) riguardo a ciò di cui sta parlando. Ad esempio può essere attivata attraverso delle frasi affermative. Ad esempio Buongiorno ragazzi, sono contenta di vederti: la docente manifesta felicità nel vedere gli studenti. 2. Funzione conativa → destinatario: è la funzione per cui il mittente si sforza di produrre un effetto sul destinatario; esprime la tendenza ad usare degli effetti extralinguistici che non si limitano alla pura comprensione linguistica (ad esempio degli ordini). Ad esempio per favore prestate attenzione. 3. Funzione fatica → canale: è la funzione che esprime in un messaggio l’impegno a garantire il contatto e serve a verificare il funzionamento del canale e la presenza di un destinatario. Ad esempio uno, due, tre, prova. 4. Funzione referenziale → contesto: è la funzione che pone l’accento sull’esistenza di diversi contesti che strutturano diversamente l’organizzazione del set comunicativo e afferma che tra testo e contesto c’è un rapporto di continuità sostanziale. Ad esempio oggi è l’ultima lezione dà informazioni sul contesto. 5. Funzione poetica → messaggio: riguarda il modo in cui un messaggio è strutturato, l’intenzione. Ad esempio inizia lezione, tutti zitti. 6. Funzione metalinguistica → codice: si ha quando il discorso fornisce informazioni sulle strutture linguistiche, cioè fa del codice stesso l’oggetto della comunicazione. Questa funzione si attiva quando si introducono nel messaggio elementi che fanno da rafforzativo al discorso. Ad esempio avete capito cosa ho detto? 16 In generale, ogni messaggio può racchiudere tutte queste funzioni. Tuttavia esiste una funzione che prevale sulle altre e ne determina il senso. Umberto Eco definì la semiotica come l’arte della menzogna. Se noi interpretiamo sempre, vuol dire che non c’è mai una verità: la verità non esiste, ma è sempre un posizionamento della verità. Eco disse anche che la comunicazione non è un passaggio, ma qualcosa che trasforma: nel momento in cui l’informazione è passata, esiste un prima e un dopo in quanto l’ambiente e la relazione si sono trasformati. Non è solo importante quindi come si codifica un messaggio, ma anche che quella codifica attivi a buon fine e sia rilevante per chi la riceve. La decodifica aberrante, come fu definita da Eco e Fabbri, mette in risalto il problema strategico della comunicazione, che non consiste solo nel migliorare la ricezione e la codifica del messaggio, ma nel comprendere le logiche attraverso cui si produce senso, ossia le funzioni comunicative che permettono forme di interazione organizzate e comprensibili. Il problema strategico diventa un problema di ermeneutica sociale: se si vuole aumentare la probabilità di comprensione del messaggio, quindi la tendenza ad azzerare lo scarto interpretativo bisogna comprendere la natura del processo di costruzione del senso. Ci possono essere infatti dei casi di derailment of understanding, cioè di deragliamento della comunicazione, fenomeno per cui il ricevente attribuisce al messaggio un significato del tutto diverso o anche opposto a quello che l’emittente intendeva assegnargli. Questa espressione venne coniata a seguito di uno studio sugli effetti inattesi della campagna di comunicazione There Are No Master Races! contro l’antisemitismo negli USA nel 1945. Il fumettista Carl Rose disegnò una serie di vignette aventi come protagonista Mr. Bigott, un anziano bigotto, autoritario, maschilista e sciovinista che esprimeva apertamente i suoi pregiudizi e per questo diventava oggetto di schermo. L’esito fu inatteso: nonostante queste vignette fecero molto successo, non fu misurato nessun effetto possibile rispetto al contenimento degli atteggiamenti antisemiti. Le classi più agiate videro in Mr Bigott una critica alla lower class, per alcuni Mr. Bigott non era altro che una caricatura di sè stesso, altri allontanavano cognitivamente il protagonista, vedendolo come qualcosa di estraneo. I giovani riconoscevano nel personaggio la generazione dei loro padri e si divertivano a vederla messa in ridicolo. È un caso di deragliamento della comunicazione, dove l’ironia e l’umorismo hanno funzionato come effetto di rimozione piuttosto che come dispositivo razionale pe superare le proprie abitudini. Recuperando il triangolo semantico, per raggiungere il risultato voluto, il comunicatore deve essere in grado di conoscere quali dispositivi interpretativi il destinatario del messaggio attiva nel momento della ricezione e di negoziazione del senso del messaggio. 17 MODELLI SEMIOTICI Dall’analisi di questa campagna nasce un modello di Eco e Fabbri che mostra come funziona veramente un processo di comunicazione. C’è sempre una fonte, un messaggio, un canale ed un destinatario, ma il livello dell’interpretazione non sta tanto nel codice del messaggio, ma nel sottocodice, il posizionamento valoriale che ho rispetto a quel messaggio. Il modello di Eco e Fabbri, definito come modello semiotico-informazionale, mette in luce il funzionamento il processo di decodifica all’interno di un contesto comunicativo sempre più pervaso dal ruolo dei mass media. Il punto di partenza è che la comunicazione è un processo trasformativo: il destinatario non si limita a tradurre letteralmente in base al codice che ha in comune con l’emittente (codice primario) ma gli attribuisce un senso, associandolo a sottocodici (codici secondari) che gli derivano dalle sue conoscenze, dalla cultura o subcultura di appartenenza, dalle aspettative, dalle credenze e dalle pratiche quotidiane. Viene quindi accantonata l’idea del ricevente come soggetto passivo, come mero traduttore di messaggi, e viene messo in luce il fatto che possano realizzarsi delle interpretazioni dissonanti. Il modello semiotico-informazionale viene poi complessificato dal modello semiotico-testuale di Stuart-Hall che critica l’ideologia affermando che nelle menti risiede il potere di resistenza. Il concetto di messaggio viene sostituito da quello di testo, inteso come insieme di pratiche complesse all’interno di un contesto in cui emittente e pubblico partecipano alla costruzione di significati rilevando la loro interdipendenza. Noi abbiamo a che fare con testi, che siano scritti, suoni o immagini ed è con questo che noi interagiamo, non tanto con le persone. Ci sono tre modi per rispondere ad un testo: 1. Accettarlo: risposta egemone (ad esempio la Coca Cola come simbolo dell’imperialismo: accetto quel tipo di codifica) 2. Negoziarlo attraverso una serie di pratiche mando dei messaggi al mio interlocutore (ad esempio non compro la Coca Cola) 3. Rifiutarlo: non lo riconosco, lo rinnego. Il terzo modello è il modello semiotico-enunciazionale. Il punto di partenza è che la comunicazione che avviene attraverso i media non è il risultato di una relazione diretta: non abbiamo esperienze di realtà, ma con simulacri di realtà. L’emittente (enunciatore empirico) non ha davanti a sé il ricevente, per cui struttura la sua comunicazione sulla base dell’immagine che se ne è fatto, producendo simulacri testuali che cercano la sintonia con il ricevente (enunciatario empirico). Al tempo stesso, quest’ultimo, non potendo replicare direttamente, simula il rapporto con l’interlocutore in cui proietta le proprie aspettative e le proprie conoscenze, riconoscendo o meno i simulacri testuali dell’enunciatore. 3. DAL MEDIUM ALLA PIATTAFORMA I MEDIA 18 Dal latino medium, mezzo o strumento, si parla di media in presenza di una qualche tecnologia che permette di comunicare. Non è però un semplice strumento tecnologico, ma un dispositivo sociale che risponde a bisogni diversi svolgendo attività altrettanto diversificate. I media quindi possono essere definiti non come semplici supporti tecnici che garantiscono il passaggio e la diffusione dei messaggi, ma sono, in primo luogo, apparati sociali che incorporano tecnologie di comunicazione. Sono anche dispositivi (quindi strutture, forme, formati e interfacce) che veicolano contenuti simbolici (valori, modelli e rappresentazioni culturali) e che connettono e rendono vivi i rapporti sociali, attraverso l’uso di linguaggi e codici specifici. Pertanto, se manca l’elemento sociale, una tecnologia da sola non può essere considerata un medium; se manca la tecnologia, un effetto sociale da solo non può essere considerato mediale. Inoltre, c’è la categoria dei mass media: elemento tecnologico che genera un cambiamento nella società. La comunicazione attraverso i mass media produce un effetto e trasforma l’ambiente sociale: con il loro passaggio, i vari media hanno avuto un impatto sulla società, per il momento in cui sono apparsi e la trasformazione che hanno imposto nella società in cui si sono manifestati. Per definire un nuovo mass media devono essere rispettate delle condizioni: 1. Deve essere una tecnologia che serve per comunicare, per mediare una relazione 2. La tecnologia deve essere riproducibile in larga scala con un costo sostenibile 3. Deve produrre contenuti: ha delle funzioni editoriali, formali (ad esempio la redazione di un giornale) o informali. C’è inoltre la categoria del prosumer: fusione tra producer e consumer, per cui diventiamo sia produttori che consumatori di un media. 4. Essere forme di distribuzione (infrastrutture): ci deve essere un’infrastruttura distributiva che permette che quello che faccio vada nel mondo 5. Produrre un cambiamento sociale 6. Produrre un cambiamento sociale Lisa Gitelman ha definito i media come un sistema a due livelli: 1. Una tecnologia che permette la comunicazione 2. Un insieme di pratiche sociali (protocolli) cresciuto intorno a quella tecnologia Esistono quattro tipi di comunicazione: 1. Comunicazione interpersonale: relazione tra singoli interlocutori che si parlano tra loro in modo diretto, nello stesso momento in cui questo avviene (istantaneità) 2. Comunicazione di massa: trasmissione di informazione rivolta a grandi numeri di persone. Questa comunicazione vuole parlare a tante persone. La definizione di massa è difficilmente definibile numericamente. Non è la comunicazione dei mass media, perché non presuppone necessariamente un dispositivo che serve per comunicare: si può comunicare a molti anche senza una tecnologia di comunicazione. 3. Comunicazione mediale: viene utilizzato un dispositivo per comunicare, una tecnologia di trasmissione che rende possibile che il messaggio arrivi a molti. Comunicazione anche a pochi che utilizza un dispositivo di trasferimento. La comunicazione di massa incrocia le prime due forme 4. Comunicazione a rete: si sviluppa soprattutto grazie a Internet ma lo precede: è una comunicazione reticolare. Esistono quattro modelli di comunicazione, che derivano dall’incrocio di due dimensioni: 1. Tecnologia: mediale/non mediale 19 2. Destinatario: individuale/moltitudine Non mediale Mediale Individuale Personal communication Social media Moltitudine Public events Media tradizionali e social media 1. Personal communication: riguarda le relazioni comunicative tra singoli interlocutori, che avvengono in maniera diretta e indiretta 2. Public events: trasmissione di un’informazione rivolta a grandi numeri di persone anche se non sempre ben chiaro quale sia la soglia a partire dalla quale possiamo effettivamente parlare di una massa, utilizzando un medium 3. Social media: la riproduzione tecnologica delle comunicazioni interpersonali: è la comunicazione interpersonale che si appoggia i social media per espandere la propria capacità. 4. Media tradizionali e social media: comunicazione a rete che si sviluppa grazie a Internet. I media rappresentano un sistema complesso. Pertanto occorre tener conto delle seguenti dimensioni e della loro interazione: 1. Medium come tecnologia: una delle caratteristiche del medium è l’evoluzione degli aspetti tecnici che hanno consentito la costituzione della tecnologia nella forma che attualmente conosciamo. È possibile individuare una data simbolica per ciascuna tecnologia comunicativa che implica e sottintende un lungo e articolato processo di sviluppo e di interazione sociale che coinvolge una serie di fattori: quelli relativi alle scelte tecniche, agli usi tecnici, agli usi sociali e infine le controversie riguardanti l’immissione sul mercato 2. Medium come insieme di pratiche d’uso in relazione ai bisogni dei soggetti: la natura di un medium dipende dagli usi che le persone ne fanno. I media devono essere considerati anche processi di mediazione, in cui noi siamo contemporaneamente agenti e destinatari della produzione e interagiamo costantemente con le reti di significato che essi veicolano. Si ha un processo di mediazione quando a un mio comportamento applico un dispositivo che lo trasforma. Imparo a vivere quell’esperienza in base alla tecnologia che uso per fare quella esperienza. Le tecnologie mediali non sono soltanto prodotti, ma anche e soprattutto modelli di comportamento che finiscono per soppiantare beni che inizialmente sembravano più importanti (basti pensare al cellulare). Nel considerare le pratiche d’uso, bisogna pensare alla dicotomia sfera pubblica/sfera privata: le pratiche d’uso dei soggetti determinano le caratteristiche del medium. Ad esempio la televisione è diventata un medium con vocazione privata. Questa demarcazione viene meno nel momento in cui i media elettronici tendono a confondere le due sfere creando un unico ambiente comunicativo. Inoltre, l’ambiente domestico diventa il luogo delle grandi cerimonie dei media, come l’elezione di papa Francesco. 3. Medium come istituzione sociale: un medium è parte integrante dei rapporti di potere. Esso è legato anche agli aspetti istituzionali relativi alla gestione e al controllo, poiché non è per niente neutro. Si pensi all’influenza della sfera politica sulle emittenti televisivi: la figura di Silvio Berlusconi da un lato e il modo con cui viene nominato il Consiglio di Amministrazione della Rai dall’altra. Come afferma Thompson, i media sono strumenti di organizzazione sociale del potere simbolico. 20 4. Medium come agente di socializzazione: attraverso i media impariamo a comportarci, impariamo il conformismo e l’anticonformismo. I media sono dotati di potenza formativa. Sono a tutti gli effetti agenzie di socializzazione perché contribuiscono alla formazione della identità individuali e collettive, ponendosi addirittura in una situazione di competizione e integrazione con le agenzie educative tradizionali, la scuola e la famiglia. Ad esempio un social network come Instagram è a tutti gli effetti un ambiente di socializzazione 5. Medium come impresa: il medium agisce anche secondo le regole della domanda e dell’offerta, in una logica di acquisizione del profitto e di soddisfacimento delle esigenze dei pubblici. Si connette al concetto di industria culturale, con il quale si fa riferimento ai diversi mezzi di comunicazione come comparti dell’industria mediale, in una prospettiva che rimanda all’idea di prodotto culturale in quanto merce che può essere venduta. Secondo Marshall McLuhan, chiamato il profeta dei media, qualsiasi tecnologia (anche il frigorifero) costituisce un medium, nel senso che c’è un’estensione e un potenziamento delle facoltà umane, rendendo complesso l’ambiente sociale. Nel 1964, nel saggio Understandig Media, teorizzò una società in cui la tecnologia di comunicazione sarebbe diventata qualcosa di persuasivo. Secondo lo studioso canadese non si possono capire i media senza considerare l’interdipendenza tra tecnologia e cambiamento sociale: ogni medium trasforma la società in modo organizzativo e biologico. Medium è tutto ciò che produce cambiamento; per esempio anche l’orologio è considerato un media perché cambia il modo di percepire e gestire il tempo. McLuhan inoltre afferma che il medium è il messaggio: sono le forme della tecnologia a determinare le caratteristiche dei messaggi, per cui non è tanto importante il contenuto della comunicazione quanto la forma che esso assume. Il messaggio va quindi adattato al medium per esprimerlo con delle scelte estetiche e di codifica (ad esempio i 200 caratteri massimi su X). Accanto a questo primo slogan, ne viene proposto un altro: il medium è il massaggio cioè i media, con la loro azione, producono cambiamenti e profonde alterazioni nel nostro modo di essere. McLuhan concepisce i media in termini trasformazionali: ogni nuova invenzione contribuisce a modificare le facoltà sensoriali (a livello neurale) e la forma di pensiero e, di conseguenza, di azione. Quando arriva un nuovo medium, cambiamo il modo di ragionare, di schematizzare e di vedere le cose. Ogni medium infatti ha delle regole pre-ordinate a cui ci adattiamo. Ogni volta che viene introdotto un medium la società cambia profondamente e si impone una nuova organizzazione. Inoltre, i nuovi media non sostituiscono i vecchi perché tra media tradizionali e nuovi media esiste una sostanziale continuità. Questo concetto viene espresso da McLuhan attraverso la cosiddetta legge dei media e in particolare il dispositivo della tetrade, secondo la quale ogni innovazione umana amplifica, rende obsoleto, recupera e capovolge qualcosa. L’approccio di McLuhan rientra nel paradigma del determinismo tecnologico, secondo il quale sono soprattutto le tecnologie a determinare i cambiamenti sociali e non il contrario. McLuhan inoltre distingue tra: - Media caldi: come la stampa o la radio, caratterizzati da alta definizione perché saturano un solo canale sensoriale, favorendo in modo limitato la partecipazione dei destinatari. - Media freddi: come il telefono o la televisione, sono media a bassa definizione e sollecitano la partecipazione di chi li utilizza perché richiedono un maggiore investimento emotivo da parte del destinatario McLuhan distingue quattro fasi di sviluppo delle culture umane: 21 1. Periodo tribale. È la fase delle culture orali, dominata dalla prevalenza dell’orecchio, vale a dire dallo spazio acustico, uno spazio inclusivo e simultaneo, organico e integrale, in cui tutti i sensi sono in equilibrio. 2. L’età della scrittura. Si afferma il predominio della vista e uno spostamento da una percezione acustica a una visiva. L’alfabeto fonetico determina un modo di pensare astratto, lineare, analitico che neutralizza la complessità delle culture orali de-tribalizzando l’uomo e favorendo un modello di ragionamento sequenziale e lineare. Il sapere viene espresso in forma alfabetica. La scrittura diventa fondamentale quando la società diventa più complessa, anche per lasciare informazioni ai posteri. Con l’arrivo della scrittura, si impone una stratificazione sociale dove in una posizione gerarchicamente elevata stavano chi sapeva scrivere. 3. Età della stampa o era meccanica. L’invenzione della stampa nel XVI secolo rappresenta un’estensione qualitativa ulteriore dell’alfabetizzazione fonetica. Da un sistema di scrittura fatta a mano, in cui erano necessari gli amanuensi, all’avvento delle macchine da scrittura. L’uomo alfabetico diventa l’uomo-Gutenberg, ancora più individualizzato e isolato dal resto della comunità. 4. Era elettrica. È la fase in cui la cosiddetta Galassia Gutenberg viene eclissata dalla costellazione Marconi. I media elettronici esternalizzano il nostro intero sistema nervoso centrale, trasformando ogni aspetto della nostra esistenza sociale e psichica. I media elettronici riportano in auge un aspetto tipico del periodo tribale, ovvero l’oralità. La televisione è considerata da McLuhan il più significativo dei media elettronici, perché entra praticamente in ogni casa. Inoltre, capì con anticipo che la televisione analogica non è soltanto un mezzo passivo, ma richiede la partecipazione della mente umana. Lo spettatore della televisione deve collaborare neuralmente altrimenti le immagini sul teleschermo sono prive di significato: le immagini sarebbero senza significato senza un occhio e un cervello che glielo danno. Egli definisce questo processo come comunicazione a mosaico. L’uomo elettrico si ritrova a vivere nel villaggio globale, in quanto i social riproducono la relazione del villaggio tra le persone: una comunicazione istantanea, circolare, non gerarchizzata e reticolare. Gli individui ormai vivono in un villaggio globale dove le informazioni circolano in maniera istantanea come succedeva nelle antiche comunità. Si ritorna alle tribù. Inoltre, la comunicazione elettronica rende immateriale il nostro corpo, dilatandolo nell’etere. C’è chi ha criticato l’approccio deterministico di McLuhan, riconoscendo nella tecnologia un elemento importante ma non il principio di tutto. Un esempio è l’approccio culturale di Raymond Williams che pubblica Televisione. Tecnologia e forma culturale. Per Williams, la tecnologia è interdipendente con la società, non è dipendente: a livello di varabili sono sullo stesso piano. Lo sviluppo tecnologico è sociale e culturale. Se lo sviluppo tecnologico non porta ad uno sviluppo delle pratiche sociali e culturali, la tecnologia non serve a niente. Si tratta di una visione fortemente semantizzata del prodotto della comunicazione elettronica. Parlando della televisione commerciale americana, aveva elaborato il concetto di flusso programmato per descrivere un tipo di programmazione sequenziale caratterizzata da una "irresponsabile" successione di materiali testuali anche molto diversi tra di loro. Essi cercano di agganciare il pubblico e di trattenerlo a guardare un dato canale. Al contrario, sono molti i seguaci di McLuhan, a partire dalla scuola di Toronto, da lui stesso fondata. Attorno a questa scuola si è sviluppato il profetismo mediatico di cui De Kerckhove è uno dei principali 22 esponenti. Egli considera i media elettronici come psicotecnologie che stanno cambiano il modo sensoriale con cui gli individui percepiscono l’ambiente. L’uomo sarà trans-interattivo: formalizza il transumanesimo. Agli inizi degli anni Novanta egli preannunciò l’avvento di un’intelligenza connettiva, basata su uno schema-mente, che avrebbe superato i limiti sia dell’individualismo che del collettivismo. Saremo tutti connessi, quindi è come se tutti i nostri cervelli partecipassero ad un unico grande cervello, fatto dalle capacità di tutte le nostre menti. Su questo punto, ma in un’altra direzione, Pierre Lévy profetizza la nascita di un’intelligenza collettiva superindividuale generata dalle reti mediali interattive. Tale intelligenza collettiva rende i gruppi più capaci di risolvere i problemi e di rispondere alle sfide. La collaborazione, la condivisione della conoscenza, l’apprendimento cooperativo e la mobilitazione delle competenze sono il frutto di un processo di intelligenza collettiva. Non siamo collegati in una mente, ma nella pratica. Accenti ottimistici dominano nel pensiero dell'americano Nicholas Negroponte, direttore del Media Lab presso il Massachussets Institute of Technology, definito il guru dei media, negli anni Novanta profetizza l'avvento della società digitale e delle nanotecnologie. Steve Jobs ha fatto una sintesi tra il determinismo tecnologico e la capacità culturale di costruire la conoscenza. Steve Jobs è colui che ha sintetizzato nel campo dell'evoluzione socio-tecnica le caratteristiche della digital economy. Figura carismatica e visionaria che unisce doti di inventore a quelle di imprenditore. Leader innovatore, ha messo insieme visione innovativa, spirito comunitario, capacità organizzativa, dimensione della vita quotidiana. Genio del marketing per lui era necessario creare empatia con il cliente, realizzando una connessione intima con i suoi sentimenti, per capirne le esigenze. Oggi un seguace di McLuhan può essere Elon Mask, che fa dell’innovazione il suo spettacolo e della tecnologia il suo punto strategico. Le diverse fasi di sviluppo dei media che si possono individuare sulla base dei cambiamenti, delle trasformazioni e rivoluzioni che i media hanno attraversato sono le seguenti: 1. Primo scenario. Media premoderni: dalla preistoria alla metà del Quattrocento. In questa fase si collocano i fenomeni culturali che precedono l’invenzione della stampa. I due archetipi che lo testimoniano sono: Omero e Gutenberg. 2. Secondo scenario. Dalla stampa a caratteri mobili ai media di massa: dalla metà del Quattrocento agli anni settanta del Novecento. Questo periodo inizia con la stampa a caratteri mobili, passa attraverso la stampa di massa, il telegrafo, la fotografia, fino ad arrivare ai media broadcast (modello comunicativo da uno a molti) che cominciano a rivolgersi a pubblici sempre più ampi, sino a raggiungere un’audience globale: la radio, il cinema e la TV. I due archetipi sono il vampiro e Big Brother. 3. Terzo scenario. Dai media elettronici ai media digitali: dagli anni settanta del Novecento agli anni Duemila. Questo periodo segna il passaggio tra media elettronici e i media digitali, caratterizzati dalla convergenza dei supporti e dei contenuti comunicativi. Il pubblico inizia ad acquisire lo status di audience attiva. Gli archetipi sono la mela (Apple) e i selfie (forma di espressione del sé diventata preponderante. Quarto scenario. Dal medium alla piattaforma (post-digitale): dal Duemila ad oggi. È la fase in cui i nuovi media evolvono in veri e propri ambienti comunicativi ancora più avanzati. Il passaggio dal web tradizionale ai social media vede un’evoluzione nella platform society, dove la tecnologia diventa infrastruttura in grado di condizionare profondamente la vita degli 23 individui. Gli archetipi sono: il/la meme (la memetica come forma di comunicazione espressiva e contenutistica) e gli youtuber (intesi come influencer, la costruzione di influenza mediatica che diventa pratica sociale). 1. MEDIA PREMODERNI Si tratta della fase che inizia con l’oralità, va avanti con la scrittura e finisce quando la scrittura viene meccanizzata con l’invenzione della stampa. Le due figure archetipiche di questa fase sono Omero e Gutenberg: il primo con i poemi omerici rappresenta uno snodo fondamentale del passaggio dalle culture orali al mondo della scrittura, il secondo come inventore della stampa a caratteri mobili. La prima fase di sviluppo della comunicazione è l’età dei segni e dei segnali, risalente ai pre-ominidi e legata a comportamenti istintuali ed ereditari. Soltanto con l’età della parola e del linguaggio, che coincide con la comparsa dell’uomo di Cro-Magnon, si inaugura una nuova fase che fa risalire l’uso del linguaggio a circa 35000 anni fa. Successivamente si realizza il passaggio dall’oralità alla scrittura. Il passaggio successivo si distingue per l’avvento della scrittura fonetica. Partendo dalla scrittura cuneiforme, i Sumeri cominciarono a far corrispondere ciascun simbolo a un suono, anziché semplicemente ad un concetto. Si arriva successivamente alla scrittura alfabetica, che si diffonde rapidamente in Grecia. È proprio con l’avvento dell’alfabeto che la scrittura rivela la sua natura di tecnologia, che richiede una serie di strumenti come biro, superfici predisposte come la carta e inchiostro, colori e altre cose. Inoltre, con l’avvento dell’alfabeto si assiste ad un ulteriore passaggio nella ristrutturazione del pensiero, poiché esso favorisce lo sviluppo del ragionamento astratto e analitico. Il passaggio di rottura è quello tra scrittura a mano e quella stampata: almeno sino all’epoca medievale, la scrittura era riservata esclusivamente alle élite e ai gruppi di potere. La stampa a caratteri mobili fa perdere di potere la mano scrivente e meccanicizza un processo di riproduzione alfabetica e discorsiva. Comincia quindi un processo di trasformazione della società: il nucleo di potere improvvisamente si trova a dover condividere lo spazio con più persone letterate. L’invenzione della stampa, tuttavia, NON è il primo mass media perché è ancora un dispositivo meccanico e in quell’epoca le persone che sapevano leggere rappresentavano ancora una piccola parte della società, non era ancora la massa. Walter Ong distingue inoltre l’oralità primaria, tipica delle società premoderne e dunque molto simile all’era tribale di cui parla McLuhan, dall’oralità di ritorno o secondaria, caratteristica dei media elettronici. L’era elettronica viene caratterizzata da un’oralità di ritorno, quella del telefono, della radio, della televisione, la cui esistenza dipende direttamente dalla scrittura e dalla stampa. 2. MEDIA DI MASSA L’inizio della nuova fase viene convenzionalmente fissata con l’invenzione della stampa nel 1432. Le due figure archetipiche sono il vampiro e Big Brother. Il vampiro perché ogni invenzione, ogni nuovo 24 medium che conquista la sua nicchia, la sua capacità di essere definito tale viene poi superato da qualcos’altro che non lo annienta, ma lo assorbe; ogni nuova tecnologia di trasformazione che si impone sulla scena ingloba quella precedente, non la uccide e succhia da quella precedente le sue caratteristiche, finalità, obiettivi, bisogni che soddisfano. Ad esempio, quando la televisione si impone sulla scena, tutti avevano ipotizzato profetizzato la morte della radio (Video killed the radio star). Big Brother perché l’evoluzione dei mass media ha portato alla sorveglianza, da The Big Brother, format di reality show in cui i concorrenti sono sorvegliati costantemente in uno spazio di convivenza. I mass media, intesi come industrie, hanno necessità di controllare chi comprava ed i comportamenti di consumo o rispetto al consenso: è una necessità di conoscenza. In questo senso il capitalismo della sorveglianza, la necessità che il sistema dei mass media ha di conoscere il proprio pubblico e i modi per controllarlo e condizionarlo, diventano gli elementi strategici su cui si fondano i successi e gli investimenti fatti in determinati medium. Come spiega McQuail, il concetto di massa assume all’inizio una connotazione prevalentemente negativa e finisce per essere confuso con quello di folla, che è generalmente una moltitudine irrazionale, violenta o indisciplinata. Per massa invece si intende un’entità molto numerosa, dispersa e disaggregata, priva di autocoscienza e identità, assolutamente passiva, eterogenea e non organizzata. I media di massa sono dunque quelli che si rivolgono a pubblici molto ampi e poco specializzati, che distribuiscono contenuti volti a intercettare gusti e preferenze diverse. Infine, secondo McQuail il termine mass media si riferisce ai mezzi organizzati per comunicare apertamente e a distanza a numerosi riceventi entro un breve spazio di tempo. Si può tracciare una discontinuità tra i primi due periodi: la distinzione tra la figura dell’inventore e dell’imprenditore. L’inventore è colui che ha l’ingegno, l’idea, l’intuizione. L’inventore e l’imprenditore sono due figure distinte perché l’inventore inventa, ma l’imprenditore scommette sopra l’invenzione, le dà la possibilità di diventare realtà, mettendola sul mercato e utilizzandola per fini pubblici o individuali. Ci sono tre grandi trasformazioni che si accompagnano alla formazione dei mass media: 1. Macchina a vapore (comunicazione di massa pre-moderna) → il treno a vapore sposta persone, informazioni, posta. 2. Centrali elettriche (comunicazione di massa moderna in senso proprio) → tramite l’elettricità sono potute avvenire numerose invenzioni, oltre ad aver permesso alle città di avere la luce. 3. Fase dell’elettronica → quando si passa dall’elettricità come trasmettitore di impulsi all’utilizzo di questa elettricità per far funzionare gli impulsi. L’elettricità diventa un principio generabile, controllabile e trasmissibile attraverso la rete elettrica: il principio elettrico viene generato, trasferito e questo porta a creare altre invenzioni, come l’illuminazione. Un primo momento di rottura riguarda l’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte dell’orafo tedesco Johannes Gutenberg. Quest’ultimo, in particolare dal 1455, lancia diversi laboratori di stampa. Tale sviluppo favorisce anche in Italia la diffusione del libro stampato e la conseguente nascita dell’editoria libraria. I primi a trovare ampia diffusione sono i classici della nostra letteratura, dalla Commedia al Canzoniere. Nel lungo processo di mediatizzazione della cultura e nella storia del libro stampato, un’opera degna di nota è Pinocchio. Pinocchio è innanzitutto il protagonista del libro di Carlo Collodi (pseudonimo di Carlo Lorenzini), ma è anche un personaggio transmediale, perché la storia diventa presto un successo editoriale così come le trasposizioni teatrali, televisive, cinematografiche, di animazione. 25 L’affermazione della stampa di massa si accompagna alla costituzione di un pubblico di lettori che va oltre quello delle élite e dei mercanti. Nel corso del XIX secolo l’editoria industriale comincia a organizzarsi in generi e modelli culturali persistenti che intercettano una domanda di consumo sempre più personalizzata: i libri scolastici, la narrativa colta, quella più leggera dei periodici, eccetera. In questa fase, tuttavia, i processi di alfabetizzazione di massa non sono del tutto compiuti, anche perché la diffusione di libri e periodici è limitata dai livelli di cultura e di reddito dei destinatari. La diffusione del servizio postale è il prolungamento di ciò che ha fatto Gutenberg con la stampa: anticipa la rete del web, in quanto è stata la prima forma pre-moderna di struttura di comunicazione a rete. Si sviluppa solo a fine ‘800 a causa dell’elevato tasso di analfabetismo. Le guerre furono un grande propulsore di traffico postale: milioni di persone erano coinvolte e dovevano dare informazioni a chi rimaneva a casa e viceversa. In tutto il primo conflitto mondiale sarebbero state spedite due miliardi di cartoline. La circolazione delle immagini delle cartoline postali ha contribuito a modificare l’immaginario collettivo e a sviluppare un approccio culturale di massa. Questo dimostra che gli esseri umani avevano bisogno di comunicare a distanza. Il bisogno degli esseri umani di comunicare a distanza è sempre stato un bisogno esistente. Alla fine del 1700 Chappe, ingegnere francese, inventa il telegrafo ottico, costituito da tralicci semaforici che indicavano le lettere dell’alfabeto con la posizione di aste. È però con Samuel Morse che si assiste all’invenzione del telegrafo elettrico che sfruttava il codice Morse e la rete elettrica che trasportava energia. Nel 1844 Morse trasmette il primo messaggio telegrafico (What hath God wought: “cosa sei ruscito a fare Dio) inaugurando la linea interurbana Washington-Baltimora e fornendo ai giornalisti del tempo un mezzo per trasmettere rapidamente le notizie. Nel giro di poco più di vent’anni si sviluppa una rete estesa di comunicazione che permette la trasmissione di messaggi in tutto il mondo, unificando l’Europa e l’America, attraverso l’uso di cavi transatlantici. Il telegrafo è una tecnologia (seppure rudimentale, con uno strumento ricevente ed uno trasmettente), usa l’elettricità, preordina che ci sarà a breve una rete di comunicazione molto più estesa, viene gestita da apparati e riduce i tempi di comunicazione rispetto al servizio postale. La capacità istantanea di trasferire in modo veloce le informazioni crea un bisogno: la documentazione della realtà, il trasferimento delle notizie. Da un lato, lo sviluppo progressivo della stampa e dell’editoria libraria intercetta anche la nascita del giornalismo moderno (la stampa quotidiana propriamente detta nasce in Germania nel 1660 con la Lepgizer Zeitung), dall’altro prima del telegrafo il giornalismo come lo intendiamo ora non esisteva: c’erano dei cronisti, ma questa idea dell’istantaneità crea l’idea della news. Un’altra grande rivoluzione furono i cavi transoceanici posati sul fondo del mare per collegare la terraferma con le isole. Il primo covo sottomarino venne posato nel 1850 sul fondo della Manica, tra la Francia e la Gran Bretagna, successivamente venne collegato il continente europeo a quello americano nel 1865 ad opera dell’Associated Press, un’agenzia di comunicazione: non solo il giornalismo stava diventando una realtà, tanto che i cavi furono posati da un’agenzia giornalistica, non da un governo, ma l’investimento in trasmissibilità di informazioni era diventato qualcosa su cui rischiare. Il telegrafo è stato l’antenato del telefono. Nel 1860 Antonio Meucci sperimenta il teletrofono e dieci anni dopo presenta un brevetto provvisorio, mentre nel 1876 Bell chiede di brevettare il telefono, che permette la trasmissione della voce e la realizzazione di uno scambio one to one, decretando il passaggio dalla comunicazione di Stato alla comunicazione familiare. In Europa il telefono mobile, anche detto telefono cellulare o telefonino nel linguaggio comune, viene lanciato nel corso degli anni ottanta del Novecento in diversi paesi europei. Dal dicembre 1992 si 26 afferma un unico standard di comunicazione, il GSM, che permette l’introduzione della sim card. Con l’avvento dello smartphone, l’accesso alla rete e la navigazione in Internet attraverso il telefono diventano attività centrali per milioni di utenti anche grazie all’introduzione del sistema di operativo iOS di Apple e di Android di Google. La comunicazione mobile, anche attraverso l’utilizzo degli sms (short message service), contribuisce anche alla trasformazione del linguaggio, soprattutto nell’ambito delle culture giovanili. Inoltre, Guglielmo Marconi inventò una modalità di trasferimento della voce umana che non sfrutta un cavo o una rete elettrica ma onde hertziane: l’etere. Un sistema di ripetitori permetteva la trasmissione di messaggi utilizzando la voce umana senza l’utilizzo di cavi. Nel 1901 venne trasmesso il primo segnale radiofonico transatlantico dall’Inghilterra a Terranova, mentre nel 1908 si diffonde alla Tour Eiffel, a Parigi, la prima trasmissione a distanza della voce umana. In questo modo Marconi, senza saperlo, inventò un principio che sarà alla base della radio. La radio è un medium particolarmente importante, perché innanzitutto segna il passaggio dalle tecnologie elettriche a quelle elettroniche. Inoltre, è il primo che ha la possibilità di far uso della diretta e che inaugura un processo di diversificazione dei generi comunicativi. Inizialmente l’uso della radio è legato all’ambito civile e militare, mentre soltanto dagli anni venti del Novecento nascono i programmi di trasmissione per il pubblico. Il primo network americano, la NBC (National Broadcasting Company) nasce nel 1926, guidato da David Sarnoff, che ha l’intuizione che attraverso una radio collocata in salotto può veicolare contenuti diversi. Negli USA e in Gran Bretagna si configurano due diversi modelli di mercato: gli americani legano fortemente i network alla pubblicità ed alle sponsorizzazioni; in Europa, invece, prevale il servizio pubblico, a partire dal modello della BBC (British Broadcasting Company) fondata nel 1922 e basata sulla sottoscrizione di abbonamenti. La BBC, la cui missione è sintetizzabile nella triade “informare, educare, divertire”, può contare sui fondi pubblici. Con l’avvento dell’elettricità e con l’abbassamento dei costi, cominciano ad essere acquistati gli apparecchi radio che favoriscono lo sviluppo dell’intrattenimento domestico: il ricevente, cambiando canale, ha un potere, non riceve solo passivamente le informazioni. La radio fa nascere un nuovo tipo di pubblico: l’aspetto più dirompente è che per poterla ascoltare non c’era bisogno di saper leggere o scrivere. Inoltre, con la radio si ha la nascita dei generi di comunicazione: si fa informazione, spettacolo, musica, intrattenimento. Questo fa nascere il pubblico della radio che si sintonizza in base all’ora e all’offerta e consuma il palinsesto. La radio diventa anche uno strumento importante di comunicazione politica. I Fireside chats, le famose “chiacchiere al caminetto” del presidente americano Franklin D. Roosevelt rivelano per la prima votlta la forza di questo medium come strumento di propaganda politica che però agisce nella sfera domestica, offrendo un chiaro esempio del superamento della dicotomia pubblico/privato e della ridefinizione dell’autorità. In Europa i regimi totalitari usarono la radio a fini di propaganda ideologica per inquadrare le masse. Per ogni mass media che si impone sulla scena viene stimato il suo tempo di affermazione in base anche alla capacità con cui diventa una forma di comunicazione usabile: negli USA nel 1938 si diceva che erano stati venduti 26 milioni di apparecchi. Nello stesso tempo, in Germania i dispositivi erano 8 milioni, in Francia 4 milioni ed in Italia 1 milione. In Italia la radio assume un ruolo importante durante la II WW e, in particolare, durante il regime fascista. Nel 1928 nasce l’EIAR, Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche (precedentemente URI). La radio viene finanziata, oltre che dal canone, anche dalla pubblicità. Nel 1944 l’EIAR diventa RAI. In Italia il monopolio delle trasmissioni radiofoniche da parte della RAI continua fino al 1974, quando, con due sentenze della Corte costituzionale prende avvio il processo di liberalizzazione delle frequenze a livello locale, che determina la nascita delle radio libere. 27 La diffusione di Internet e dei media digitali contribuisce alla nascita delle web radio o radio online, termine che designa emittenti radiofoniche che trasmettono in forma digitale attraverso Internet. Il primo caso di mass medium in senso moderno à la fotografia perché: 1. Ha utilizzato una tecnologia di riproduzione delle immagini su larga scala: grazie alla pellicola la stessa foto può essere stampata molte volte 2. Ha contribuito a far nascere una cultura di massa: la stessa immagine può circolare 3. Ha modificato il modo di guardare le cose: la parola focalizzare significa mettere a fuoco che è quello che facciamo quando scattiamo una foto, prima l’occhio guardava in modo aperto 4. Ha cambiato i meccanismi di definizione delle identità individuali e collettive (immagini collettive e memoria storica) Questo medium permette di coltivare ed interiorizzare uno sguardo diverso sul mondo circostante e, soprattutto, di recuperare il concetto di memoria e di conservazione del ricordo, sia in una prospettiva individuale sia in funzione della documentazione dei processi sociali. La fotografia, infatti, è anche la linfa di cui si nutre il giornalismo: c’è una branca del giornalismo che si chiama fotogiornalismo. La fotografia diventa un patrimonio informativo e conoscitivo di un pezzo di storia. Prima dell’avvento della fotografia, il rapporto con la realtà era mediato dal pittore. Quando arriva la fotografia e iniziano a circolare le foto dai campi di battaglia, si iniziano a vedere le realtà della guerra e l’immaginario collettivo cambia. La nascita della fotografia è legata a diverse figure: 1. Niepce: mette a punto un processo di fissazione delle immagini basato sull’azione chimica della luce sviluppando, intorno al 1816, la prima fotografia sfruttando l’eliografia 2. Daguerre: rende nota la sua tecnica di riproduzione di esemplari unici (dagherrotipi) su lastre di rame argentato 3. Eastman: grazie a lui inizia la produzione della pellicola flessibile (rullino). Anche nell’ambito della fotografia si registra un’evoluzione tecnologica determinata dallo sviluppo del digitale: la prima macchina fotografica digitale è della Kodak e risale al 1975, mentre la diffusione della macchina fotografica digitale risale alla metà degli anni ottanta. La nascita del medium cinematografico si fa coincidere convenzionalmente con il 1895, anno in cui per la prima volta un pubblico pagante assiste ad uno spettacolo in una sala. Il 28 dicembre 1895, al Gran Cafè del Boulevard des Capucines a Parigi, viene proiettato attraverso il cinematografo (che unisce cinepresa e proiettore) il primo film documentaristico L’uscita dalle fabbriche Lumière, documentario dei fratelli Lumière. Da quel momento il cinematografo, che deve molto agli studi degli effetti

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