Scienza delle Costruzioni 3 PDF - LEZIONE 1 E 2
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Questi appunti di Scienza delle Costruzioni trattano le lezioni 1 e 2, affrontando i modelli geometrici, le azioni esterne e i modelli costitutivi per la progettazione strutturale. Vengono descritte le caratteristiche geometriche delle sezioni trasversali di elementi strutturali e il concetto di baricentro. I momenti del primo e secondo ordine sono discussi, e sono spiegati in dettaglio i momenti statici e d'inerzia.
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LEZIONE 1 MODELLI 1. Struttura portante modello geometrico 2. Carichi modello delle azioni esterne 3. Materiali modello costitutivo o reologico Di seguito rapida illustrazione. 1. MODELLO GEOMETRICO Attraverso questo mo...
LEZIONE 1 MODELLI 1. Struttura portante modello geometrico 2. Carichi modello delle azioni esterne 3. Materiali modello costitutivo o reologico Di seguito rapida illustrazione. 1. MODELLO GEOMETRICO Attraverso questo modello si definiscono le dimensioni della struttura e le caratteristiche cinematiche dei vincoli esterni e di connessione fra i vari elementi strutturali, che si possono classificare in a. Solidi monodimensionali o TRAVI Solidi per cui una dimensione (𝑙 = 𝑙𝑢𝑛𝑔ℎ𝑒𝑧𝑧𝑎) è prevalente rispetto alle altre di uno o più ordini di grandezza. Una trave è generata dalla traslazione di una figura piana (sezione trasversale) lungo un asse (asse geometrico) passante per il suo baricentro e descrivente una certa traiettoria, con la figura sempre ⊥ all’asse stesso. Se l’asse geometrico appartiene ad un piano, la trave è detta piana. Si definisce inoltre asta una trave soggetta esclusivamente a carichi diretti parallelamente all’asse geometrico della trave. b. Solidi bidimensionali o LASTRE Le lastre sono solidi per le quali due dimensioni sono prevalenti rispetto alla terza (spessore). È generata da un segmento che trasla mantenendo il punto medio su una superficie (superficie media), restando ortogonale ad essa. Il tipo di piastra ha lo stesso nome del tipo di superficie media: piana (a), a semplice curvatura (b), a doppia curvatura (c). Se una lastra è soggetta a carichi direzionati esclusivamente ⊥ alla superficie media. c. Solidi tridimensionali Tutto ciò che non rientra nelle categorie precedenti. 2. MODELLO DELLE AZIONI ESTERNE Attraverso questo modello vengono definite le azioni agenti sulla struttura portante: a. Forze di superficie o di massa Queste possono essere forze o coppie divisibili in: i. Distribuite (applicate per unità di 𝑙, 𝐴, 𝒱) ii. Concentrate (applicate su un unico punto, sono una speculazione delle distribuite) b. Cedimenti Variazione di posizione assoluta di punti d’estremità della struttura rispetto al suolo (considerato infinitamente rigido). c. Distorsioni Variazione di posizione relativa di punti interni della struttura. 3. MODELLO COSTITUTIVO Definisce il comportamento dei materiali sotto le forze esterne. Ci concentriamo su materiali elastico-lineari, omogenei, e isotropi. LEZIONE 2 Geometria delle masse / aree SISTEMI DISCRETI E CONTINUI Nella progettazione è necessario determinare le caratteristiche geometriche delle sez. trasversali degli elementi strutturali, tramite le grandezze: area, posizione del baricentro, assi principali d’inerzia, momenti del primo e secondo ordine. La rappresentazione dei corpi può avvenire un sistema discreto (n° finito di punti) o continuo (infiniti punti). Ogni punto del sistema è caratterizzato da un vettore posizione (𝑷 = (𝑥, 𝑦, 𝑧)) che fornisce le coordinate del punto nello spazio rispetto ad un determinato S.D.R., e da una massa (𝑚) che rappresenta la porzione di materia attribuita al punto considerato. In un continuo la massa 𝑚 non si può pensare concentrata in solo punto, ma sarà diffusa in un campo continuo 𝑪. A seconda del’estensione dell’elemento (1D, 2D, 3D, visti scorsa lezione), il suo dominio sarà la lunghezza 𝑳, l’area 𝑨, o il volume 𝓥. Per i continui inoltre si definisce la densità di massa (𝜇 = 𝜇(𝑷)), da cui si ottiene la massa elementare 𝑑𝑚 = 𝜇𝑑𝐶. 𝜇𝑑𝒱 𝑑𝑚 = {𝜇𝑑𝐴 a seconda del dominio di 𝐶. 𝜇𝑑𝑙 Normalmente si semplifica il problema ponendo 𝜇 = 𝜇(𝑷) = 𝑐𝑜𝑠𝑡 (materiale omogeneo), ed in particolare 𝜇 = 1 per semplificare i calcoli. I calcoli saranno ulteriormente semplificati riferendosi al piano. BARICENTRO Il baricentro 𝐺 è un luogo geometrico definito dal centro del sistema di masse o del continuo 𝐶. Discreto Definita la risultante delle masse per un sistema discreto: 𝑛 𝑀𝑡𝑜𝑡 = ∑ 𝑚𝑖 𝑖=1 Le coordinate di 𝐺 nel piano sono determinate dalle seguenti relazioni: 𝑛 𝑛 (𝐺) 1 (𝐺) 1 𝑥 = ∑(𝑚𝑖 ∗ 𝑥𝑖 ) , 𝑦 = ∑(𝑚𝑖 ∗ 𝑦𝑖 ) 𝑀𝑡𝑜𝑡 𝑀𝑡𝑜𝑡 𝑖=1 𝑖=1 Dove 𝑥𝑖 , 𝑦𝑖 sono le coordinate della massa 𝑚𝑖 rispetto al SDR Continuo Analogamente, definita la risultante delle masse per un sistema continuo: 𝑀𝑡𝑜𝑡 = ∫ 𝜇𝑑𝐴 𝐴 Le coordinate di 𝐺 nel piano sono determinate dalle seguenti relazioni: 1 1 𝑥 (𝐺) = ∫ 𝜇𝑥𝑑𝐴 , 𝑦 (𝐺) = ∫ 𝜇𝑦𝑑𝐴 𝑀𝑡𝑜𝑡 𝐴 𝑀𝑡𝑜𝑡 𝐴 Notare che, a meno di 𝜇, la risultante delle masse in questo caso corrisponde all’area 𝐴 della sezione. PROPRIETÀ DEL BARICENTRO 𝑮 Se il sistema di masse possiede un asse di simmetria, allora 𝐺 appartiene a tale asse. Se il sistema possiede più di un asse di simmetria, allora 𝐺 è il punto di intersezione di tali assi. Se un sistema continuo è irregolare, quindi di difficile integrazione al fine di determinare 𝑮 = (𝑥 (𝐺) , 𝑦 (𝐺) ), è possibile suddividere il sistema in 𝑛 campi, ciascuno dotato di un proprio baricentro 𝑮𝑖 con 𝑖 = 1, … , 𝑛. In questo modo è possibile discretizzare il sistema in un sistema di punti 𝑮𝑖 , da cui è facile ricavare il baricentro 𝑮, che coincide con quello del sistema iniziale. MOMENTI DEL PRIMO ORDINE O MOMENTI STATICI I momenti statici rappresentano la distribuzione della massa, o della forma dell'area, presa in considerazione in relazione ad un certo asse. Considerata quindi una massa 𝑚 posta su un piano con assegnato SDR, si definisce quindi momento statico 𝑺𝑖 il prodotto tra la massa e la distanza della massa stessa con l’asse 𝑖 Si ottengono dunque i momenti statici della massa 𝑚 rispetto agli assi 𝑥 e 𝑦 𝑆𝑥 = 𝑚𝑦 𝑆𝑦 = 𝑚𝑥 Relativamente ad un sistema discreto di 𝑛 masse, il momento statico è la somma dei singoli 𝑛 momenti statici: 𝑛 𝑆𝑥 = ∑(𝑚𝑖 ∗ 𝑦𝑖 ) 𝑖=1 𝑛 𝑆𝑦 = ∑(𝑚𝑖 ∗ 𝑥𝑖 ) 𝑖=1 Attenzione: i momenti statici hanno un segno! Nel caso di sistemi continui il procedimento è analogo, pensando ad un numero infinito di masse infintesime 𝑑𝑚, con 𝑑𝑚 = 𝜇𝑑𝐴 (e con 𝜇 = 1 per semplicità): 𝑆𝑥 = ∫ 𝑦𝑑𝐴 𝐴 𝑆𝑦 = ∫ 𝑥𝑑𝐴 𝐴 RELAZIONI COL BARICENTRO 𝑮 Conoscendo i momenti statici (e ricordando che se 𝜇 = 1, allora 𝑀𝑡𝑜𝑡 = 𝐴) posso scrivere il baricentro come: 𝑆𝑦 𝑆𝑥 𝑥 (𝐺) = , 𝑦 (𝐺) = 𝑀𝑡𝑜𝑡 𝑀𝑡𝑜𝑡 E al contrario: 𝑆𝑦 = 𝑥 (𝐺) ∗ 𝑀𝑡𝑜𝑡 , 𝑆𝑥 = 𝑦 (𝐺) ∗ 𝑀𝑡𝑜𝑡 Ciò significa che se io sposto il SDR sul baricentro avrò 𝑥 (𝐺) = 𝑦 (𝐺) = 0 ⟹ 𝑆𝑥 = 𝑆𝑦 = 0 Quindi se il sistema di riferimento è baricentrico (𝐺(0,0)), i momenti statici sono nulli. MOMENTI DEL SECONDO ORDINE O DI INERZIA I momenti di secondo ordine sono grandezza che indicano la resistenza di una figura piana a ruotare rispetto a un asse di riferimento, o nel piano di riferimento. Essi sono: 𝐼𝑥 = 𝑚𝑦 2 𝐼𝑦 = 𝑚𝑥 2 𝐼𝑥𝑦 = 𝑚𝑥𝑦 Detti rispettivamente momento d’inerzia rispetto all’asse x, momento d’inerzia rispetto all’asse y, momento centrifugo. Attenzione: i momenti d’inerzia non hanno segno, il centrifugo sì. In caso di distribuzione discreta di masse, i momenti di 2° ordine si definiscono sommando i momenti delle singole masse (e analogamente integrando nei sistemi continui), quindi: 𝑛 𝐼𝑥 = ∑(𝑚𝑖 ∗ 𝑦𝑖2 ) 𝐼𝑥 = ∫ 𝑦 2 𝑑𝐴 𝑖=1 𝐴 𝑛 𝐼𝑦 = ∑(𝑚𝑖 ∗ 𝑥𝑖2 ) 𝐼𝑦 = ∫ 𝑥 2 𝑑𝐴 𝑖=1 𝐴 𝑛 𝐼𝑥𝑦 = ∑(𝑚𝑖 ∗ 𝑥𝑖 ∗ 𝑦𝑖 ) 𝐼𝑥𝑦 = ∫ 𝑥𝑦𝑑𝐴 𝑖=1 𝐴 LEGGI DI HUYGENS O DI TRASPOSIZIONE DEI MOMENTI Servono a valutare l’effetto del cambiamento di SDR sui momenti di 2° ordine. Si consideri un SDR traslato rispetto all’originale di 𝑥 ′ e 𝑦 ′ , centrato alle coordinate (𝑥0 , 𝑦0 ) (prese rispetto al SDR originale). Come esempio, consideriamo il momento d’inerzia rispetto all’asse 𝑥: 2 𝐼𝑥′ = ∫ 𝑦 ′ 𝑑𝐴 = ∫ (𝑦 − 𝑦0 )2 𝑑𝐴 = ∫ 𝑦 2 𝑑𝐴 − 2𝑦0 ∫ 𝑦𝑑𝐴 + 𝑦02 ∫ 𝑑𝐴 𝐴 𝐴 𝐴 𝐴 𝐴 Dunque: 𝐼𝑥′ = 𝐼𝑥 − 2𝑦0 𝑆𝑥 + 𝑦02 𝐴 𝐼𝑦′ = 𝐼𝑦 − 2𝑥0 𝑆𝑦 + 𝑥02 𝐴 ′ =𝐼 𝐼𝑥𝑦 𝑥𝑦 − 𝑥0 𝑆𝑦 − 𝑦0 𝑆𝑥 + 𝑥0 𝑦0 𝐴 Se poi il SDR originale è quello baricentrico le cose si semplificano perché i momenti statici sono nulli. (𝐺) 𝐼𝑥′ = 𝐼𝑥 + 𝑦02 𝐴 (𝐺) 𝐼𝑦′ = 𝐼𝑦 + 𝑥02 𝐴 ′ = 𝐼 (𝐺) + 𝑥 𝑦 𝐴 𝐼𝑥𝑦 𝑥𝑦 0 0 Attenzione: non è più lecito pensare alla massa come concentrata tutta sul baricentro per effettuare il calcolo di questi momenti, perché verrebbero calcolati i soli momenti di trasporto (il secondo addendo di ogni formula). ASSI PRINCIPALI DI INERZIA Molte applicazioni di SdC si basano su un SDR baricentrico particolare chiamato SDR principale di inerzia, secondo il quale i momenti centrifughi risultano nulli. Se scriviamo i momenti sotto forma di tensore, il problema consiste nel diagonalizzare tale tensore, ossia risolvere un problema agli autovalori: 𝐼𝑥 𝐼𝑥𝑦 𝐼𝜉 0 𝑰=[ ]⟹𝑰=[ ] 𝐼𝑥𝑦 𝐼𝑦 0 𝐼𝜂 Per risolvere questo problema basta risolvere per 𝜆 l’equazione di secondo grado derivante da: 𝐼𝑥 − 𝜆 𝐼𝑥𝑦 det [ ]=0 𝐼𝑥𝑦 𝐼𝑦 − 𝜆 𝐼𝑥 + 𝐼𝑦 1 2 2 𝜆1,2 = 𝐼𝜉,𝜂 = ± ∗ √(𝐼𝑥 − 𝐼𝑦 ) + 4𝐼𝑥𝑦 2 2 L’angolo 𝛼 che il SDR principale d’inerzia forma con quello generico è dato dalla relazione: 𝐼𝑥𝑦 1 𝐼𝑥𝑦 tan(2𝛼) = −2 ⟹ 𝛼 = ∗ arctan (−2 ) 𝐼𝑥 − 𝐼𝑦 2 𝐼𝑥 − 𝐼𝑦 Dove 𝛼 è l’angolo di cui il corrente SDR deve ruotare per essere principale d’inerzia, e se l’angolo è positivo allora la rotazione deve essere antioraria. È inoltre dimostrabile che 𝐼𝜉 e 𝐼𝜂 sono i momenti d’inerzia massimo e minimo che una sezione può avere. Gli assi principali d’inerzia sono sicuramente baricentrici, quindi nel caso la sezione sia simmetrica uno degli assi principali di inerzia corrisponderà all’asse di simmetria, e di conseguenza il secondo asse principale d’inerzia è automaticamente determinato, perché sarà ⊥ al primo e passante per il baricentro 𝐺. Nel caso di doppia simmetria i due assi di simmetria saranno automaticamente i due principali di inerzia. Infine, nel caso di infinti assi di simmetria (simmetria polare, cerchio), allora qualunque coppia di assi baricentrici ortogonali sarà principale di inerzia. LEZIONE 3 Esercizi LEZIONE 4 Vincoli CONDIZIONI DI VINCOLO PER SISTEMI PIANI Nel piano, ogni corpo rigido possiede 3 gradi di libertà. La sua posizione può essere infatti definita dalle coordinate di un suo qualsiasi punto 𝑃, ossia 𝑥𝑃 , 𝑦𝑃 , e dall’angolo 𝜑𝑃 che la retta 𝜉, contenente il segmento 𝑂𝑃, forma rispetto all’asse 𝑥. Dunque i parametri {𝑥𝑃 , 𝑦𝑃 , 𝜑𝑃 } individuano la posizione del corpo rigido. Essi sono dette coordinate generiche o Lagrangiane e identificano i gradi di libertà del sistema, ossia le traslazioni lungo 𝑥 e 𝑦, e la rotazione del corpo. Si definisce quindi vincolo un qualunque impedimento al moto possibile (condizione cinematica). Questo impedimento genera una forza (detta reazione vincolare), quindi il vincola esplica un’azione necessariamente statica (condizione statica). Qui si vede la dualità statico-cinematica, ossia la possibilità di interpretare un vincolo dal lato cinematico (moti), o statico (forze). I vincoli si dicono poi esterni se vincolano punti del corpo rigido (o del sistema di tali) al suolo, considerato sempre come sistema di riferimento fisso; e interni se collegano mutualmente più corpi rigidi (limitando o impedendo spostamenti relativi. I vincoli considerati saranno inoltre: Bilateri: l’azione può essere applicata da un verso o dall’altro, consentendo spostamenti virtuali (ossia infinitesimi e compatibili con i vincoli); Olonomi: esprimibili tramite un numero fisso di equazioni; Ideali: fissi, non cedevoli (salvo eccezioni); Lisci: privi di attrito. CLASSIFICAZIONE DEI VINCOLI Condizioni Classificazione Classificazione Simbolo Denominazione elementari di Statica Cinematica Vincolo (CEV) Appoggio Semplice o Carrello 𝑉≠0 𝑣⃑ = 0 𝐻=0 𝑢 ⃑⃑ ≠ 0 1 𝑀=0 𝜑⃑⃑ ≠ 0 Biella (a differenza del carrello può essere cedevole) 𝑉≠0 𝑣⃑ = 0 Appoggio fisso o 𝐻≠0 𝑢 ⃑⃑ = 0 2 cerniera 𝑀=0 𝜑⃑⃑ ≠ 0 𝑉≠0 𝑣⃑ = 0 Bipendolo 𝐻=0 𝑢 ⃑⃑ ≠ 0 2 𝑀≠0 𝜑⃑⃑ = 0 𝑉≠0 𝑣⃑ = 0 Incastro 𝐻≠0 𝑢 ⃑⃑ = 0 3 𝑀≠0 𝜑⃑⃑ = 0 Attenzione: notare che, dato che se un moto non è vincolato non attiva una reazione vincolare, quando una condizione cinematica (moto) è ≠ 0, allora la condizione statica (forza) è = 0, e viceversa. Notare che c’è la possibilità che carrello e bipendolo non abbiano gli assi di azione e scorrimento congruenti con gli assi di riferimento globali (hanno un loro proprio sistema di riferimento). Cerniera e bipendolo invece non hanno assi di azione e scorrimento, dunque il SDR globale va sempre bene. Quando possibile, cercherò di porre il SDR globale in modo che, a meno dell’origine, sia congruente con quello locale dei vincoli che lo hanno. LEZIONE 5 Classificazione statico-cinematica di sistemi di corpi rigidi vincolati Sono oggetto della classificazione statico-cinematica i sistemi di corpi rigidi vincolati, riferibile anche ai sistemi di travi se il vincolo fosse agente su un’intera sezione anziché su un punto. A seconda di come metto i vincoli un corpo si può muovere oppure no, quindi devo classificare i corpi vincolati dal punto di vista statico e cinematico. Classificazione cinematica o Fisso: una struttura è fissa se non presenta possibilità di moto rigido o Labile: una struttura è labile se presenta una possibilità di compiere moti rigidi indipendenti, il cui numero è espresso dal grado di labilità Classificazione statica o Ipostatico: un sistema è ipostatico quando il n° di condizioni elementari di vincolo (uguale a quello delle reazioni vincolari) è minore del minimo necessario all’equilibrio (notare che equilibrio ≠ fisso). Un sistema ipostatico è quindi automaticamente classificabile come labile, anche se non è detto il contrario o Isostatico: Un sistema è isostatico quando le condizioni elementari di vincolo sono uguali al minimo richiesto per l’equilibrio, e se è fisso (condizione necessaria all’isostaticità). Un sistema isostatico è sempre staticamente determinato, ossia sono sempre in grado di determinare le reazioni vincolari conoscendo un sistema di forze al quale è soggetto il sistema o Iperstatico: Un sistema è iperstatico se il numero di condizioni elementari di vincolo è maggiore al minimo necessario per garantire l’equilibrio. Esiste quindi un numero di reazioni vincolari (grado di iperstaticità) sovrabbondanti, ossia non necessarie all’equilibrio. A causa di queste reazioni sovrabbondanti, nel modello di corpo rigido il problema risulta indeterminato. RELAZIONE FRA LE CLASSIFICAZIONI Esiste un legame fra le due classificazioni. Considerando il grado di iperstaticità (𝑖), il numero di condizioni elementari di vincolo (𝑣), i gradi di libertà del sistema (3𝑛, dove 𝑛 è il n° di corpi che compone il sistema), e il grado di labilità (𝑙), possiamo scrivere la seguente relazione: 𝑖 = 𝑣 − 3𝑛 + 𝑙 Prima di tutto bisogna determinare quanto vale 𝑣 − 3𝑛: 0 𝐢𝐩𝐞𝐫𝐬𝐭𝐚𝐭𝐢𝐜𝐨, ma non so se labile o fisso Il passo successivo è trovare il numero di labilità 𝑙 (che può essere solo ≥ 0): 𝒗 − 𝟑𝒏 = 𝟎 o 𝒍 = 𝟎: il sistema è isostatico, dunque per definizione fisso. o 𝒍 > 𝟎: il sistema è iperstatico e labile (perché 𝑙 > 0). Questo significa che c’è una CEV sovrabbondante, e in questo caso si dice che essa è maldisposta, ossia se posta in modo diverso potrebbe rendere il sistema isostatico. Non si può dire con solo questi dati quale sia esattamente, ma è quella/e tale per cui eliminandola non cambia 𝑙. 𝒗 − 𝟑𝒏 > 𝟎 o 𝒍 = 𝟎: il sistema è iperstatico e fisso. C’è una reazione sovrabbondante, ossia che se viene eliminata non fa alcuna differenza dal punto di vista cinematico o 𝒍 > 𝟎: il sistema è iperstatico e labile (perché 𝑙 > 0). Questo significa che c’è più di una CEV sovrabbondante. Il numero esatto è dato dal valore di 𝑖. Attenzione: anche se solo un pezzo della struttura è labile, l’intera struttura è considerata labile. LEZIONE 6 Teorema delle catene cinematiche Per trovare 𝑙 usiamo un procedimento chiamato teorema delle catene cinematiche, che è una condizione necessaria e sufficiente alla labilità del sistema. TEOREMA DI EULERO Il teorema di Eulero enuncia che: “Qualsiasi atto di moto rigido è riconducibile ad una rotazione intorno ad un punto fisso detto centro di rotazione assoluta.” Per trovare il centro di rotazione assoluta (CRA) di un corpo in moto, considero due punti, 𝑃1 e 𝑃2 , appartenenti ad un corpo 𝐶, e i loro spostamenti rispetto ad un SDR globale, rispettivamente 𝛿𝑠1 e 𝛿𝑠2. Se traccio le rette ortogonali a 𝛿𝑠1 e 𝛿𝑠2 , la loro intersezione mi fornisce il CRA. L’angolo di rotazione infinitesimo 𝛿𝜑 è dato dall’angolo 𝑃1 𝐶𝑅𝐴̂ 𝛿𝑠1 o 𝑃2 𝐶𝑅𝐴 ̂ 𝛿𝑠1. Se poi collego il CRA con 𝑃1 e 𝑃2 , chiamando questi segmenti rispettivamente 𝑑1 e 𝑑2 , allora posso scrivere le seguenti relazioni: 𝛿𝑠1 = tan 𝛿𝜑 ∗ 𝑑1 tan 𝛿𝜑≈𝛿𝜑 𝛿𝑠1 = 𝛿𝜑 ∗ 𝑑1 { ⇒ { 𝛿𝑠2 = tan 𝛿𝜑 ∗ 𝑑2 𝛿𝑠2 = 𝛿𝜑 ∗ 𝑑2 ⏟ 𝑺𝑷𝑶𝑺𝑻𝑨𝑻𝑨 Da notare che questo teorema vale anche per le traslazioni, in cui caso il CRA si trova all’infinito, ed appartiene ad una qualunque retta ⊥ all’asse di spostamento del corpo. SPOSTATA Una spostata è un diagramma delle componenti di spostamento di tutti i punti di un corpo (o sistema di corpi), che compie un moto. Per trovarla, supponiamo un corpo 𝒮, lo spostamento 𝛿𝑠⃑ di un suo punto 𝑃 e il centro di rotazione assoluta 𝐶𝐴 del corpo. Posso scomporre 𝛿𝑠⃑ in 𝛿𝑠⃑ = (𝛿𝑠𝑥 , 𝛿𝑠𝑦 ). Se volessi ad esempio conoscere 𝛿𝑠𝑥 , per prima cosa proietto 𝐶𝐴 e il corpo 𝒮 su due rette ortogonali fra loro e parallele agli assi 𝑥 e 𝑦, dette 𝜂 e 𝜉. Dato che 𝐶𝐴 è un punto fisso nello spazio, identificherà dei punti di 0 per gli spostamenti. Traccio poi una retta inclinata di angolo 𝛿𝜑 rispetto a 𝜉 e 𝜂 e passante per le proiezioni di 𝐶𝐴. Il segmento orizzontale passante per la proiezione di 𝑃 su 𝜉 quantifica lo spostamento 𝛿𝑠𝑥 (𝑑𝑦 ∗ 𝛿𝜑 = 𝛿𝜉𝑃 ≡ 𝛿𝑠𝑥 ). Allo stesso modo trovo 𝛿𝑠𝑦. Ma così facendo ho trovato un diagramma delle componenti di spostamento di tutti i punti del corpo. Se considerassi ad esempio un punto 𝑃′ , posso già trovare i suoi due spostamenti. CENTRO DI ROTAZIONE RELATIVA È un punto interno al sistema, non fisso, attorno al quale però possiamo ridurre le rotazione relative interne. TEOREMI DELLE CATENE CINEMATICHE Un sistema di corpi rigidi è labile se sono soddisfatte contemporanemente entrambe le condizioni. 1. Per due corpi 𝑖, 𝑗 devono essere allineati i centri di rotazione assoluti 𝐶𝑖 , 𝐶𝑗 e centro di rotazione relativo 𝐶𝑖𝑗. 𝐶𝑖 𝐶𝑖𝑗 𝐶𝑗 devono essere tutti allineati. 2. Per 3 o più corpi, allora deve verificarsi almeno un allineamento 𝐶𝑖𝑗 𝐶𝑗𝑘 𝐶𝑖𝑘 , considerata ogni combinazione di corpi 𝑖, 𝑗, 𝑘 Per 2 corpi basta la prima condizione, per 3 o più servono entrambe. C’è però un sistema per velocizzare la verifica per 𝑛 > 2 corpi. Ossia supponiamo che 𝑖 e 𝑗 siano collegati, così come 𝑗 e 𝑘, ma che 𝑖 non sia collegato a 𝑘. Allora posso applicare solo il primo punto ad ogni coppia di corpi mutualmente collegati. Nel nostro caso, quindi, perché il sistema sia labile bisogna controllare che almeno un allineamento sia soddisfatto tra: 𝐶𝑖 𝐶𝑖𝑗 𝐶𝑗 { 𝐶𝑗 𝐶𝑗𝑘 𝐶𝑘 Per 𝑛 corpi ho 𝑛 − 1 condizioni da controllare CENTRI DI ROTAZIONE IN BASE AI VINCOLI I centri di rotazione assoluti vengono forniti dai vincoli al suolo, i relativi dai vincoli interni fra corpi. Vincoli al suolo – Centri assoluti L’asse di azione di un carrello fornisce una retta che contiene un 𝐶𝐴 , ma la sua posizione non è direttamente fornita. Potrebbe essere all’infinito oppure no. Una cerniera al suolo è un punto fisso, dunque 𝐶𝐴 si trova esattamente sulla cerniera. Per essere verificato, un allineamento deve passare per la cerniera. Un bipendolo al suolo può far solo traslare il corpo a cui è collegato, quindi il 𝐶𝐴 si trova sulla retta di azione del bipendolo, sicuramente all’infinito. Per controllare un allineamento basta considerare la retta d’azione. Vincoli interni – Centri relativi Il centro relativo fra i due corpi si trova esattamente sulla cerniera Il centro relativo si trova su una delle infinite rette // all’asse di azione, ma sicuramente all’infinito. Per verificare un allineamento bisogna considerarle tutte. LEZIONE 7 Esercizi LEZIONE 8 Principio dei lavori virtuali (PLV) Un sistema isostatico è sempre staticamente determinato. Vedremo vari metodi per trovare le reazioni vincolari esplicate dai vincoli della struttura sottoposta ad un dato sistema di forze e coppie. Il primo di questi metodi è il principio dei lavori virtuali (PLV), che permette di calcolare un reazione vincolare alla volta. Esso enuncia che condizione necessaria e sufficiente affinché una posizione 𝑺𝟎 di un corpo 𝑺 sia in equilibrio è che il lavoro virtuale sia pari a 𝟎 (𝜹𝑳𝒂,𝒗 = 𝟎) per ogni spostamento infinitesimo (∀𝜹𝒔). Per i sistemi isostatici l’equazione simbolica della statica 𝛿𝐿𝑎,𝑣 = 0 è automaticamente soddisfatta come identità. Attenzione: si sta parlando di equilibrio, NON di fissità. Questo ovviamente se le reazioni vincolari sono ideali, perché annullano gli spostamenti e di conseguenza non compiono lavoro, mentre i vincoli cedevoli compiono lavoro. Il principio si può usare in: Strutture labili per determinare come distribuire i carichi in modo da garantire l’equilibrio. Strutture isostatiche, togliendo un vincolo alla volta (rendendo la struttura automaticamente ipostatica) e sostituendolo con la sua reazione vincolare per determinarne il valore. LEZIONE 9 Equazioni cardinali della statica Se i vincoli di un sistema di corpi sono sufficienti a impedire qualunque possibilità di moto, allora esso rimane in quiete qualunque sia il sistema di forze ad esso applicato. Dunque, quest’equilibrio può essere descritto dalle equazioni cardinali della statica: ∑ 𝐹𝑥𝑖 = 0 ∑ 𝐹𝑦𝑖 = 0 ∑ 𝑀𝑖 𝑜 = 0 𝑖 𝑖 𝑖 Le quali definiscono l’equilibrio alla traslazione orizzontale e verticale e l’equilibrio alla rotazione rispetto ad un punto generico del piano. Dato poi che se un corpo è in equilibrio lo è ogni sua parte, allora posso usare le ECS per esprimere l’equilibrio di un qualunque suo elemento, e di considerare in questo caso le azioni mutue esplicate dai vincoli interni (ad esempio richiedendo che tutti i momenti a destra di una cerniera interna si annullino, in modo da garantire l’equilibrio della cerniera stessa) Queste equazioni sono condizioni necessarie alla quiete di un corpo, ma sono anche sufficienti per i sistemi isostatici (che sono staticamente determinati, ossia le CEV sono di n° necessario e sufficiente a garantire l’equilibrio). Di conseguenza si identificano come vincoli iperstatici quelle CEV eccedenti il n° necessario e sufficiente per l’equilibrio del corpo. In questo caso le ECS non sono sufficienti a determinare tutte le reazioni vincolari. LEZIONE 10 Esercizi LEZIONE 11 Parametri della sollecitazione Si consideri una trave ad asse generico, caricato da un sistema di forze come in figura. Siamo nell’ambito dei sistemi monodimensionali. Si consideri inoltre la trave come dotata di piccola curvatura e sezione debolmente variabile, nonché praticamente rigida. Supponiamo che la trave sia in equilibrio sotto questo sistema di forze. Ora effettuiamo una sezione trasversale a distanza 𝑠 = 𝑠, con 𝑠 ascissa curvilinea fissata all’asse geometrico della trave. Se il sistema era in equilibrio, allora lo era ogni sua parte, ma dopo aver sezionato la trave, in generale i due tronchi 𝐼 e 𝐼𝐼 non saranno in equilibrio. Per ripristinare l’equilibrio (solo su 𝐼 per semplicità), dovrò applicare sulla sezione Ω le azioni che 𝐼𝐼 esplicava su 𝐼. Siano 𝑹 ed 𝑴 la risultante e il momento risultante di tali azioni, e siano applicati al baricentro 𝐺 di Ω, esse sono dette azioni equilibranti, che rappresentano l’effetto di 𝐼𝐼 su 𝐼 (e, di conseguenza, di 𝐼 su 𝐼𝐼, se prese opposte). Consideriamo ora una terna cartesiana 𝐺(𝑥, 𝑦, 𝑧) sulla sezione Ω, con 𝑧 tangente all’asse geometrico 𝑠 e orientato come questo, e con 𝑥 e 𝑦 tangenti agli assi principali di inerzia di Ω. Proiettando 𝑹 e 𝑴 sugli assi di tale terna otteniamo 6 parametri della sollecitazione interna o semplicemente azioni interne: 𝑅𝑥 = 𝑇𝑥 = Taglio lungo 𝑥 𝑅𝑦 = 𝑇𝑦 = Taglio lungo 𝑦 𝑅𝑧 = 𝑁 = Sforzo Normale 𝑀𝑥 = Momento flettente attorno a 𝑥 𝑀𝑦 = Momento flettente attorno a 𝑦 𝑀𝑧 = 𝑀𝑡 = Momento torcente CASO DI TRAVE PIANA Se la trave appartenesse ad un piano, ad esempio 𝑥𝑦, e le forze agenti appartenessero al piano medio, ossia quello su cui giace la trave, allora il problema diventa piano. I parametri si riducono a tre soli: 𝑁, 𝑇, 𝑀 EQUAZIONI INDEFINITE DI EQUILIBRIO PER TRAVI RETTILINEE Si consideri una trave piana, rettilinea, caricata da un carico distribuito verticale 𝑞, da uno orizzontale 𝑝, da coppie distribuite 𝑚 e da forze e coppie concentrate. Isoliamo dalla trave un concio infinitesimo di lunghezza 𝑑𝑧, su cui non agiscono forze e coppie concentrate. Se nel punto di ascissa 𝑧, ossia sulla sezione sinistra del concio, i parametri della sollecitazione sono 𝑀, 𝑇, 𝑁, nel punto di ascissa 𝑧 + 𝑑𝑧, ossia la sezione destra, i parametri di sollecitazione diverranno 𝑀 + 𝑑𝑀, 𝑇 + 𝑑𝑇, 𝑁 + 𝑑𝑁. Le equazioni di equilibrio alla traslazione, secondo la direzione di 𝑝𝑑𝑧 e 𝑞𝑑𝑧, e alla rotazione, intorno al punto 𝑜, ossia il punto di ascissa 𝑧 dell’asse principale, forniscono rispettivamente: 𝑑𝑁 −𝑁 + 𝑝 ∗ 𝑑𝑧 + 𝑁 + 𝑑𝑁 = 0 → = −𝑝 𝑑𝑧 𝑑𝑇 −𝑇 + 𝑞 ∗ 𝑑𝑧 + 𝑇 + 𝑑𝑇 = 0 → = −𝑞 𝑑𝑧 𝑑𝑧 2 𝑑𝑀 𝑀 + 𝑝𝑇 + 𝑚𝑑𝑧 + 𝑇𝑑𝑧 + ⏟ 𝑑𝑇𝑑𝑧 − 𝑀 − 𝑑𝑀 = 0 → =𝑚+𝑇 ⏟ 2 𝑇𝑅𝐴𝑆𝐶𝑈𝑅𝐴𝐵𝐼𝐿𝐸 𝑑𝑧 𝑇𝑅𝐴𝑆𝐶𝑈𝑅𝐴𝐵𝐼𝐿𝐸 𝑂𝑅𝐷𝐼𝑁𝐸 2 𝑂𝑅𝐷𝐼𝑁𝐸 2 Queste equazioni differenziali costituiscono le equazioni indefinite di equilibrio per le travi piane ad asse rettilineo. Da notare che i termini interi si semplificano tutti (ecco perché indefinito), e che 𝑁 è disaccoppiato da 𝑇 e 𝑀, che invece sono accoppiati. CONVENZIONE SUI SEGNI E TRACCIAMENTO DEI DIAGRAMMI Quando bisogna tracciare i diagrammi dei parametri delle sollecitazioni, bisogna innanzitutto disegnare quali fibre vengono assunte come “inferiori” del sistema di trave. Poi si procede a disegnare i diagrammi, tenendo conto delle seguenti convenzioni sui segni: Sforzo normale 𝑵 o Positivo se uscente dal concio (trazione), si disegna dalla parte fibre superiori, specificando il segno; o Negativo se entrante nel concio (compressione), si disegna dalla parte fibre inferiori, specificando il segno; Taglio 𝑻 o Positivo se genera una rotazione oraria del concio, si disegna dalla parte fibre superiori, specificando il segno; o Negativo se genera una rotazione antioraria del concio, si disegna dalla parte fibre inferiori, specificando il segno; Momento flettente 𝑴 o Positivo se genera trazione nelle fibre inferiori, si disegna dalla parte fibre tese; o Negativo se genera trazione nelle fibre superiore, si disegna dalla parte fibre tese; LEZIONE 12 Esercizi LEZIONE 13 Strutture reticolari Le travi che compongono le strutture reticolari lavorano solo a sforzo normale, sono quindi dette aste. Inoltre, per mantenere le proprietà reticolari, i carichi devono essere delle forze concentrate sui nodi. Gli sforzi normali sono quindi determinati scomponendo la forza. ELEMENTO TRIANGOLARE Elemento base delle strutture reticolari, non produce moti rigidi interni, dunque si dice che è internamente isostatico. Per stabilire se una struttura reticolare è isostatica, esiste una formula, da usare con cautela perché i vincoli esterni devono essere messi bene. Siano 𝑛 il n° di nodi, 𝑎 il numero di aste e 𝑎′ il numero di CEV esterne, allora se: 2𝑛 − 𝑎 − 𝑎′ = 0 Allora il sistema è isostatico. Inoltre posso fare due considerazioni: Se 2𝑛 − 𝑎 = 3 ho una condizione verificata per l’isostaticità Se 2𝑛 − 𝑎 > 3 c’è un’ipostaticità interna labilità interna Se 2𝑛 − 𝑎 < 3 c’è un’iperstaticità interna CALCOLO DEGLI SFORZI SULLE ASTE Ci sono due modi per farlo: Facendo un equilibrio al nodo per ogni nodo (partendo da quelli che collegano due sole aste e senza forze nodali per semplicità) Metodo della sezione di Ritter: consiste nel sezionare con un piano 3 aste non tutte collegate fra loro e imponendo l’equilibrio con le ECS sostanzialmente LEZIONE 14 Discontinuità nel grafici dei parametri della sollecitazione DISCONTINUITÀ NEI DIAGRAMMI DEI PARAMETRI DI SOLLECITAZIONE Le discontinuità si verificano in presenza di forze e coppie concentrate, il tipo di discontinuità è dato da questa tabella: 𝐹 concentrata 𝑀 concentrata Diagramma di 𝑀 Cuspide Salto Diagramma di 𝑇 Salto - LEZIONE 15 Esercizi LEZIONE 16 Esercizi LEZIONE 17 Linea di Influenza per sistemi isostatici Data una struttura soggetta ad un generico carico unitario viaggiante 𝑷 si definisce linea di influenza di un determinato effetto 𝐸 per una sezione fissata 𝑆, un diagramma le cui ordinate, lette in funzione della posizione del carico viaggiante 𝑃, forniscono i valori dell’effetto nella sezione data. Tali effetti possono essere: Reazione vincolare (se la sezione 𝑆 corrisponde ad una sezione direttamente vincolata) Sforzo normale sulla sezione 𝑆 Taglio sulla sezione 𝑆 Momento sulla sezione 𝑆 (Sostanzialmente io traccio un grafico che rappresenta tutti i possibili valori di un dato effetto 𝐸 su 𝑆, e solo su 𝑺. La posizione in cui lo leggo corriponde al valore dell’effetto su 𝑆 se 𝑃 fosse in quella posizione). Si procede innanzitutto svincolando il parametro cercato, ottenendo il diagramma delle componenti di spostamento lungo la direzione del carico applicato, dato che la struttura da isostatica diventa ipostatica, e si attiva un moto rigido virtuale (si disegna come una spostata). Applicando poi il PLV sulla sezione svincolata si ottiene il valore dell’ordinata in corrispondenza della generica posizione di 𝑃. Ad esempio, supponiamo la trave in figura e che si voglia determinare la linea di influenza della reazione 𝑉𝐵 a seguito del carico viaggiante 𝑃. Togliendo il vincolo che esplica la reazione vincolare cercata, applichiamo il PLV: −𝑉𝐵 ∗ 𝜂𝐵 + 𝑃 ∗ 𝜂(𝑧) = 0 𝜂(𝑧) 𝑉𝐵 = 𝜂𝐵 Dove 𝜂 è l’ordinata letta in corrispondenza della generica posizione di 𝑃. Dunque, a meno del valore di 𝜂𝐵 , si può asserire che la linea di influenza della reazione 𝑽𝑩 per un forza unitaria viaggiante corrisponde al diagramma delle componenti di spostamento verticale 𝜼(𝒛) della trave 𝐴𝐵 resa una volta labile. Osserviamo che la determinazione della linea di influenza effettiva necessita inoltre l’assolvimento di 3 condizioni, dopo aver fissato il verso del carico viaggiante concordemente a quello delle componenti di spostamento ritenute positive (nell’esempio abbassamenti verticali): 1. L’effetto 𝐸 va riportato sulla struttura in modo tale che esso sia per la struttura stessa positivo (attenzione a quando l’effetto è una reazione vincolare esterna, in quel caso il verso positivo è dato dal SDR) 2. Il lavoro compiuto dall’effetto sullo spostamento relativo o rotazione relative deve essere negativo (ciò significa che spostamento relativo o rotazione relative devono avere verso opposto all’effetto 𝐸). 3. Lo spostamento o rotazione relativo del punto sopra deve essere unitario. LEZIONE 18 Esercizi LEZIONE 19 Equazione differenziale della linea elastica Si considerino travi piane ad asse rettilineo, caricate da forze contenute nel piano di simmetria geometrica della trave e perpendicolari all’asse. Assunto l’asse della trave come asse 𝑧, orizzontale e orientato vero destra, e 𝑦 l’asse verticale orientato verso il basso, delle 3 componenti di spostamento, 2 di esse sono trascurabili rispetto alla componente 𝑣 (ossia quella diretta lungo 𝑦), nell’ipotesi dei piccoli spostamenti. La 𝑣 è quella dell’asse geometrico (che, dalle ipotesi date, è lo stesso per ogni sezione della trave). Rimossa l’ipotesi di corpo rigido, la trave si deformerà sotto l’azione delle forze, in modo compatibile con i vincoli. Il diagramma delle 𝑣(𝑧), ossia l’asse neutro deformato, è detto linea elastica o deformata della trave. Essa dipende da carichi e condizioni di vincolo ed è positiva se diretta verso il basso. Se si indicano come positive le rotazioni (attorno all’asse 𝑥) antiorarie, posso scrivere, nell’ipotesi di piccoli spostamenti, la seguente relazione: 𝑑𝑣 𝜑𝑥 (𝑧) = − 𝑑𝑧 Definisco inoltre a curvatura dell’asse geometrico: 𝑑𝜑𝑥 𝑑2𝑣 𝜃𝑥 (𝑧) = =− 2 𝑑𝑧 𝑑𝑧 Ora introduco la legge di Bernoulli-Navier, una relazione costitutiva che verrà successivamente dimostrata e che, detto 𝐽 il momento di inerzia della sezione trasversale rispetto all’asse attorno a cui ruota, 𝐸 il modulo elastico longitudinale e 𝐸 ∗ 𝐽 la rigidezza flessionale della trave, enuncia che: 𝑀(𝑧) 𝜃𝑥 (𝑧) = 𝐸∗𝐽 Grazie a questa relazione posso definire la vera equazione differenziale della linea elastica: 𝑑 2 𝑣 𝑀(𝑧) − 2= 𝑑𝑧 𝐸∗𝐽 Le travi sono solitamente soggette anche a taglio, ma la deformazione tagliante è generalmente trascurabile rispetto a quella flessionale. L’equazione della linea elastica 𝑣(𝑧) può dunque essere ricavata integrando il diagramma del momento flettente. I punti di discontinuità del diagramma di 𝑀 sono estremi dell’intervallo di integrazione. L’integrazione comporta la determinazione di due costanti arbitrarie, il cui valore può essere dedotto osservando le condizioni ai limiti (che siano vincoli o punti di applicazione di forze o coppie concentrate). LEZIONE 20 Teorema di Mohr e Corollari È applicabile solo alle travi Gerber, ossia sistemi di travi orizzontali. Consideriamo le equazioni risolventi il problema statico (1) e cinematico (2) nella loro forma integrale: (1) 𝑇 = − ∫ 𝑞𝑑𝑧 𝑀 = ∫ 𝑇𝑑𝑧 𝑀 (2) 𝜃= 𝜑 = ∫ 𝜃𝑑𝑧 𝑣 = − ∫ 𝜑𝑑𝑧 𝐸𝐽 Le (1) consentono di determinare, con l’integrazione del carico 𝑞, i diagrammi di taglio e momento flettente e le reazioni vincolari, quindi la soluzione sotto il profilo statico. Le (2) determinano, con l’integrazione della curvatura 𝜃, rotazione e spostamento dell’asse geometrico della trave, dunque la soluzione sotto il profilo cinematico. Il confronto dei due sistemi mostra che gli operatori presenti sono gli stessi rispetto all’ascissa 𝑧. Il problema cinematico può quindi leggersi in chiave statica, ossia se considerassi la trave soggetta ad un carico fittizio pari alla curvatura elastica, posso determinare rotazione e spostamento come taglio fittizio e momento fittizio: 𝑀 𝑞∗ = 𝜃 = 𝐸𝐽 𝑇 ∗ = −𝜑 = − ∫ 𝑞 ∗ 𝑑𝑧 𝑀∗ = 𝑣 = ∫ 𝑇 ∗ 𝑑𝑧 Per applicare l’analogia di Mohr, devo però reinterpretare le condizioni di vincolo, perché non posso fare calcoli fittizi su una trave reale. Devo creare una trave ausiliaria per effettuare i calcoli. Per il teorema di Mohr, infatti, gli abbassamenti di una trave reale sono equivalenti ai valori dei momenti 𝑀∗ di una seconda trave, detta ausiliaria, il cui carico è costituito dal diagramma dei momenti della trave reale, divisi per la rigidezza flessionale della trave 𝐸𝐽𝑥. Il carico fittizio è diretto dalle fibre compresse alle fibre tese della trave reale. CORRISPONDENZA DEI VINCOLI DELLA TRAVE REALE E FITTIZIA Attenzione: il teorema di Mohr non riesce a vedere cosa accade in direzione longitudinale alla trave, per quello c’è una sola componente di traslazione e posso intrpretare alcuni vincoli allo stesso modo (es. carrello e cerniera esterni). Attenzione: quando si cercano i vincoli fittizi, è utile ragionare sia in termini di spostamento assoluti che di relativi (quando tratto vincoli interni). Trave reale Trave Fittizia consente rotazioni ma non spostamenti verticali, dunque serve qualcosa che assorba taglio 𝑀∗ = 0 ; 𝑇 ∗ ≠ 0 ma non momento 𝑣 =0; 𝜑 ≠0 𝑣 = 0 ; 𝜑 ≠ 0 ; Δ𝜑 = 0 𝑀 ∗ = 0 ; 𝑇 ∗ ≠ 0 ; Δ𝑇 ∗ = 0 𝑣 ≠ 0 ; Δ𝑣 = 0 ; Δ𝜑 ≠ 0 𝑀∗ ≠ 0 ; Δ𝑀∗ = 0 ; ΔT ∗ ≠ 0 Non consente alcun spostamento, quindi ho bisogno di un vincolo che non assorba nulla 𝑣 =0; 𝜑 =0 𝑀∗ = 0 ; 𝑇 ∗ = 0 Consente ogni spostamento, quindi mi serve qualcosa che assorba tutto 𝑣 ≠0; 𝜑 ≠0 𝑀∗ ≠ 0 ; 𝑇 ∗ ≠ 0 𝑣 ≠0; 𝜑 =0 𝑀∗ ≠ 0 ; 𝑇 ∗ = 0 Δ𝑣 ≠ 0 ; 𝜑 ≠ 0 ; Δ𝜑 = 0 Δ𝑀∗ ≠ 0 ; 𝑇 ∗ ≠ 0 ; ΔT ∗ = 0 𝑣 ≠ 0 ; Δ𝑣 = 0 ; 𝜑 = 0 𝑀∗ ≠ 0 ; Δ𝑀∗ = 0 ; T ∗ = 0 LEZIONE 21 Esercizi LEZIONE 22 Esercizi LEZIONE 23 Analisi della deformazione VETTORI POSIZIONE, VETTORI SPOSTAMENTO, COMPONENTI DI SPOSTAMENTO E LE LORO PROPRIETÀ Conduciamo ora uno studio sui cambiamenti di forma e di volume dei corpi, senza far riferimento alle loro cause. Trattiamo quindi uno studio cinematico riconducibile ad un problema geometrico. Relativamente alla materia si pone, come assioma, la continuità fino all’infinitesimo matematico. I cambiamenti di forma e volume saranno supposti isotermi, e tale processo è detto deformazione. Definiamo i parametri atti a misurarla innanzitutto. Supponiamo un continuo generico di configurazione iniziale 𝐶 e finale 𝐶 ∗. Con configurazione si intende l’insieme delle posizioni di tutti i punti materiali del corpo. Un punto materiale 𝐴 del corpo in configurazione 𝐶, in riferimento ad una terna cartesiana triortogonale 𝑂𝑥𝑦𝑧, avrà coordinate 𝐴(𝑥𝐴 , 𝑦𝐴 , 𝑧𝐴 ). In configurazione 𝐶 ∗ lo stesso punto si sarà spostato diventando 𝐴∗ (𝑥𝐴∗ , 𝑦𝐴∗ , 𝑧𝐴∗ ), detto il trasformato di 𝐴. Indicando con 𝑖⃑, 𝑗⃑, 𝑘⃑⃑ i versori degli assi 𝑥, 𝑦, 𝑧 rispettivamenente, posso definire i vettori posizione: 𝑟⃑𝐴 = 𝑥𝐴 ∗ 𝑖⃑ + 𝑦𝐴 ∗ 𝑗⃑ + 𝑧𝐴 ∗ 𝑘⃑⃑ 𝑟⃑𝐴∗ = 𝑥𝐴∗ ∗ 𝑖⃑ + 𝑦𝐴∗ ∗ 𝑗⃑ + 𝑧𝐴∗ ∗ 𝑘⃑⃑ E un vettore spostamento di 𝐴 nel processo 𝐶 → 𝐶 ∗ : 𝑠⃗𝐴 = 𝑟⃑𝐴∗ − 𝑟⃑𝐴 = ⏟ (𝑥𝐴∗ − 𝑥𝐴 ) 𝑖⃑ + ⏟ (𝑦𝐴∗ − 𝑦𝐴 ) 𝑗⃑ + ⏟(𝑧𝐴∗ − 𝑧𝐴 ) 𝑘⃑⃑ 𝑢𝐴 𝑣𝐴 𝑤𝐴 𝑢𝐴 , 𝑣𝐴 , 𝑤𝐴 sono dette le componenti di spostamento relative ad 𝐴 nel processo 𝐶 → 𝐶 ∗. È possibile dunque scrivere la relazione ⃑⃑⃑⃑ 𝑟 ∗ (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑟⃑(𝑥, 𝑦, 𝑧) + 𝑠⃑(𝑥, 𝑦, 𝑧), esprimibile anche in forma scalare: 𝑥 ∗ (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑥 + 𝑢(𝑥, 𝑦, 𝑧) 𝑦 ∗ (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑦 + 𝑣(𝑥, 𝑦, 𝑧) 𝑧 ∗ (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑧 + 𝑤(𝑥, 𝑦, 𝑧) Avendo definito il vettore 𝑠⃑ in 𝐶, si è in effetti definito un campo vettoriale in 𝐶, detto campo di spostamento. Le 4 relazioni subito sopra sono in generale atte a definire, sotto certe restrizioni, il processo di trasformazione 𝐶 → 𝐶 ∗. Tali restrizioni servono a rendere il campo di spostamento cinematicamente ammissibile (o congruente). Escludono quindi campi che porterebbero a fessurazioni (𝐴 → 𝐵 ∗ ; 𝐶 ∗ ), richiedendo la continuità nel volume 𝒱 e la monodromia (una funzione monodroma è una funzione ad un solo valore) delle funzioni 𝑢, 𝑣, 𝑤, o compenetrazione della materia (𝐴, 𝐵 → 𝐶 ∗ ), richiedendo la monodromia delle funzioni esprimenti la trasformazione inversa 𝐶 ∗ → 𝐶. Le funzioni 𝑢, 𝑣, 𝑤 sono quindi appartenenti alla classe 𝑪𝟏 (continue nel dominio 𝒱 fino alle derivate parziali prime) e biunivoche. TENSORE DEI PICCOLI SPOSTAMENTI Si considerino ora due punti 𝐵 e 𝐵∗ appartenti ad un intorno volumetrico infinitesimo di 𝐴 e 𝐴∗ rispettivamente. Se quindi: 𝑟𝐴 + ⃑⃑⃑⃑⃑ 𝑟𝐵 = ⃑⃑⃑⃑ ⃑⃑⃑⃑ 𝑑𝑟 ⃑⃑⃑⃑ 𝑟𝐵∗ = ⃑⃑⃑⃑ 𝑟𝐴∗ + ⃑⃑⃑⃑⃑⃑⃑ 𝑑𝑟 ∗ E ricordando che ⃑⃑⃑⃑ 𝑟 ∗ = 𝑟⃑ + 𝑠⃑, si ottiene: ⃑⃑⃑⃑⃑ 𝑠𝐴 + ⃑⃑⃑⃑⃑ 𝑠𝐵 = ⃑⃑⃑⃑ 𝑑𝑠 (Da qui 𝑟⃑ verrà indicato con 𝑥⃑, a solo scopo di rappresentazione immediata) Dato un vettore spostamento 𝑠⃑, è dunque possibile definire il tensore gradiente di spostamento: 𝛿𝑢 𝛿𝑢 𝛿𝑢 𝛿𝑥 𝛿𝑦 𝛿𝑧 𝑑𝒔⃑⃑ 𝛿𝑣 𝛿𝑣 𝛿𝑣 𝚿= = 𝑑𝑥⃑ 𝛿𝑥 𝛿𝑦 𝛿𝑧 𝛿𝑤 𝛿𝑤 𝛿𝑤 [ 𝛿𝑥 𝛿𝑦 𝛿𝑧 ] 𝑠𝐵 = ⃑⃑⃑⃑ ⃑⃑⃑⃑⃑ 𝑠𝐴 + 𝚿dx ⃑⃑⃑⃑⃑ Il gradiente può essere scomposto, per comodità, nelle parti simmetrica e emisimmetrica: 𝛿𝑢 1 𝛿𝑢 𝛿𝑣 1 𝛿𝑢 𝛿𝑤 ( + ) ( + ) 𝛿𝑥 2 𝛿𝑦 𝛿𝑥 2 𝛿𝑧 𝛿𝑥 1 1 𝛿𝑢 𝛿𝑣 𝛿𝑣 1 𝛿𝑣 𝛿𝑤 𝝐 = (𝚿 + 𝚿 𝑇 ) = ( + ) ( + ) 2 2 𝛿𝑦 𝛿𝑥 𝛿𝑦 2 𝛿𝑧 𝛿𝑦 1 𝛿𝑢 𝛿𝑤 1 𝛿𝑣 𝛿𝑤 𝛿𝑤 ( + ) ( + ) [2 𝛿𝑧 𝛿𝑥 2 𝛿𝑧 𝛿𝑦 𝛿𝑧 ] 1 𝛿𝑢 𝛿𝑣 1 𝛿𝑢 𝛿𝑤 0 ( − ) ( − ) 2 𝛿𝑦 𝛿𝑥 2 𝛿𝑧 𝛿𝑥 1 1 𝛿𝑢 𝛿𝑣 1 𝛿𝑣 𝛿𝑤 𝜽 = (𝚿 − 𝚿 𝑇 ) = − ( − ) 0 ( − ) 2 2 𝛿𝑦 𝛿𝑥 2 𝛿𝑧 𝛿𝑦 1 𝛿𝑢 𝛿𝑤 1 𝛿𝑣 𝛿𝑤 − ( − ) − ( − ) 0 [ 2 𝛿𝑧 𝛿𝑥 2 𝛿𝑧 𝛿𝑦 ] 𝑠𝐵 = ⃑⃑⃑⃑ ⃑⃑⃑⃑⃑ ⃑⃑⃑⃑⃑ 𝑠𝐴 + 𝜽dx + 𝝐dx ⃑⃑⃑⃑⃑ Dove 𝝐 è detto tensore delle piccole deformazioni, che rappresenta il contributo della deformazione pura. Si ipotizza infatti che le derivate parziali prime delle funzioni spostamento rispetto alle coordinate (quindi grandezze 𝛿𝑢 adimensionali), siano molto più piccole dell’unità (ipotesi di piccoli gradienti di spostamento ≪ 1, …). E 𝜽 è detto 𝛿𝑥 tensore di rotazione rigida. Consideriamo ora un addendo per volta della somma ⃑⃑⃑⃑⃑𝑠𝐵 = ⃑⃑⃑⃑ 𝑠𝐴 + 𝝐dx⃑⃑⃑⃑⃑ + 𝜽dx ⃑⃑⃑⃑⃑ per comprendere il significato fisico di tutti e 3: 1. ⃑⃑⃑⃑⃑ 𝑠𝐵 = ⃑⃑⃑⃑ 𝑠𝐴 Significa che dati 𝐴, 𝐵 ∈ 𝑑𝑉, se ⃑⃑⃑⃑⃑ 𝑠𝐵 = ⃑⃑⃑⃑, 𝑠𝐴 allora 𝑑𝑉 trasla. Quindi (1) è la componente di traslazione rigida. 2. 𝑑𝑠⃑⃑⃑⃑⃑ ⃑⃑⃑⃑⃑ 𝐵 = 𝜽dx Considerando che la forma quadratica associata ad un tensore emisimmetrico è nulla (𝑑𝑥 ⃑⃑⃑⃑⃑ 𝑇 𝜽dx ⃑⃑⃑⃑⃑ = 0; ∀𝑑𝑥 ⃑⃑⃑⃑⃑), ⃑⃑⃑⃑⃑ è ortogonale a ⃑⃑⃑⃑⃑ significa che ad ogni punto dell’intorno di 𝐴 il vettore spostamento 𝜽dx 𝑑𝑥 per qualunque ⃑⃑⃑⃑⃑ 𝑑𝑥. Questo suggerisce un atto di moto di rotazione rigida dell’intorno stesso. 3. 𝑑𝑠⃑⃑⃑⃑⃑ ⃑⃑⃑⃑⃑ 𝐵 = 𝝐dx a. Prima di tutto vediamo cosa significano le componenti diagonali Consideriamo un segmento 𝐴𝐵 di lunghezza 𝑑𝑥, posto lungo l’asse 𝑥 di un SDR cartesiano centrato in 𝐴. Attiviamo la deformazione e supponiamo che agisca tutta su 𝐵, il cui trasformato sarà 𝐵′ (non 𝐵 ∗ , perché abbiamo eliminato il moto rigido). Lo spostamento relativo che subirà 𝐵 sarà 𝑑𝒔⃑⃑ = ⃑⃑ 𝜕𝒔 ( ) 𝑑𝑥. Le componenti di 𝑑𝑠⃑ rispetto ai 3 assi sono rispettivamente: 𝜕𝑥 𝜕𝑢 𝜕𝑣 𝜕𝑤 𝑑𝑢 = ( ) 𝑑𝑥 𝑑𝑣 = ( ) 𝑑𝑥 𝑑𝑤 = ( ) 𝑑𝑥 𝜕𝑥 𝜕𝑥 𝜕𝑥 Dunque la fibra 𝑑𝑥 si è deformata diventando 𝑑𝜉𝑥. La lunghezza di 𝑑𝜉𝑥 è: 2 𝜕𝑢 𝜕𝑣 2 𝜕𝑧 2 𝑑𝜉𝑥 = (√( + 1) + ( ) + ( ) ) ∗ 𝑑𝑥 𝜕𝑥 𝜕𝑥 𝜕𝑥 La formula può essere sviluppata in serie di Mac Laurin troncando gli infinitesimi di secondo ordine (per ipotesi di piccoli gradienti di spostamento): 𝜕𝑢 𝑑𝜉𝑥 = ( + 1) ∗ 𝑑𝑥 𝜕𝑥 𝛿𝑢 Se poi ricordiamo il tensore delle piccole deformazioni = 𝜖𝑥𝑥 = 𝜖𝑥. Quindi: 𝛿𝑥 𝑑𝜉𝑥 = 𝜖𝑥 𝑑𝑥 + 𝑑𝑥 𝜕𝑢 𝑑𝜉𝑥 − 𝑑𝑥 = 𝜖𝑥 = ⏟ 𝜕𝑥 𝑑𝑥 𝑑𝑎 𝑡𝑒𝑛𝑠𝑜𝑟𝑒 𝑑𝜉𝑥 −𝑑𝑥 è nota come deformazione diretta lungo 𝑥, ed è un parametro adimensionale che misura la 𝑑𝑥 variazione di lunghezza lungo 𝑥 di una fibra disposta secondo il medesimo asse. Il ragionamento può poi essere applicato per fibre orientate secondo 𝑦 e 𝑧. Si conclude quindi che le componenti diagonali del tensore delle piccole deformazioni hanno il significato di deformazioni dirette di fibre originariamente disposte lungo gli assi cartesiani. b. Ora vediamo le componenti extradiagonali. Si considerino nell’intorno di 𝐴 due segmenti 𝐴𝐵 e 𝐴𝐶 orientati secondo gli assi 𝑥 e 𝑦. Il processo 𝜋 deformativo li trasforma in 𝐴𝐵′ e 𝐴𝐶 ′ rispettivamente. L’angolo compreso fra le due fibre passa da 2 𝜋 a 𝜃, e quindi definisco 𝛾𝑥𝑦 = − 𝜃 lo scorrimento angolare fra le fibre 𝑥 e 𝑦 (ossia la variazione 2 angolare di due fibre originariamente ortogonali). Dalla parte precedente ricordiamo che: 𝑑𝜉𝑥 = (𝜖𝑥 + 1) ∗ 𝑑𝑥 𝑑𝜉𝑦 = (𝜖𝑦 + 1) ∗ 𝑑𝑦 Geometricamente, osservando i triangoli che si creano fra gli assi e le fibre deformate, possiamo determinare che: 𝜕𝑣 𝜕𝑢 𝑑𝜉𝑥 sin 𝛼1 = ( ) 𝑑𝑥 𝑑𝜉𝑦 sin 𝛼2 = ( ) 𝑑𝑦 𝜕𝑥 𝜕𝑦 Per piccoli gradienti di spostamento posso effettuare le seguenti semplificazioni: sin 𝛼𝑖 ≈ 𝛼𝑖 𝑑𝜉𝑗 ≈ 𝑑𝑥𝑗 Ottenendo quindi: 𝜕𝑣 𝜕𝑢 𝛼1 ≈ ( ) 𝛼2 ≈ ( ) 𝜕𝑥 𝜕𝑦 Dunque concludiamo che, considerando anche le componenti extradiagonali del tensore delle piccole deformazioni: 𝜋 𝜕𝑣 𝜕𝑢 𝛾𝑥𝑦 = − 𝜃 = 𝛼1 + 𝛼2 = ( ) + ( ) = 2𝜖𝑥𝑦 2 𝜕𝑥 𝜕𝑦 Le extradiagonali rappresentano dunque gli scorrimenti angolari fra fibre originariamente ortogonali. Il tensore delle piccole deformazioni si può quindi scrivere, in notazione ingegneristica, come: 𝛾𝑦𝑥 𝛾𝑧𝑥 𝜖𝑥 2 2 𝛾𝑥𝑦 𝛾𝑧𝑦 𝝐= 𝜖𝑦 2 2 𝛾𝑥𝑧 𝛾𝑦𝑧 [ 2 𝜖𝑧 ] 2 È bene notare che le deformazioni dirette hanno segno ((+) dilatazione; (−) contrazione), ma gli scorrimenti angolari no. Considerando anche la simmetria del tensore: 𝜕𝑢 1 𝜕𝑣 𝜕𝑢 𝜖𝑥 = 𝛾𝑥𝑦 = 𝛾𝑦𝑥 = ( + ) 𝜕𝑥 2 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑣 1 𝜕𝑢 𝜕𝑤 𝜖𝑦 = 𝛾𝑥𝑧 = 𝛾𝑧𝑥 = ( + ) 𝜕𝑦 2 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝜕𝑤 1 𝜕𝑣 𝜕𝑤 𝜖𝑧 = 𝛾𝑦𝑧 = 𝛾𝑧𝑦 = ( + ) 𝜕𝑧 2 𝜕𝑧 𝜕𝑦 Queste relazioni si dicono relazioni di corrispondenza, e definiscono la congruenza, ossia l’ammissibilità cinematica. Un processo di deformazione è congruente al campo di spostamento purché il campo di spostamento sia fatto bene. LEZIONE 24 Deformazioni principali e invarianti di deformazione Per il tensore 𝝐 di deformazione, simmetrico, si pone il problema di determinare autovalori e autovettori, i quali prendono il nome rispettivamente di deformazioni principali e direzioni principali di deformazione. Si cercano dunque i valori 𝑒 e i vettori 𝑛⃑⃑ tali per cui in un generico punto 𝑃 si ha 𝝐𝑛⃑⃑ = 𝑒𝑛⃑⃑. L’espressione equivale a determinare i piani per i quali la deformazione è ad essa ortogonale. Questi piani detti principali di deformazioni sono caratterizzati dall’avere scorrimenti angolari nulli. Ora per il punto 𝑃 si avranno esclusivamente le componenti di deformazione pura lungo le direzioni principali di deformazione, 𝜖1 , 𝜖2 , 𝜖3. Impostando il problema agli autovalori si procede nel seguente modo, risolvendo l’equazione caratteristica: (𝝐 − 𝑒𝑰)𝑛⃑⃑ = 0 det(𝝐 − 𝑒𝑰) = 0 L’espressione si riduce ad un’equazione algebrica di 3° grado con incognita 𝑒, detta equazione secolare, in forma: 𝑒 3 − 𝐽1 𝑒 2 + 𝐽2 𝑒 − 𝐽3 = 0 Dove i coefficienti 𝐽1 , 𝐽2 , 𝐽3 sono detti invarianti di deformazione, e si possono scrivere nella seguente forma: 𝐽1 = 𝜖𝑥 + 𝜖𝑦 + 𝜖𝑧 1 2 2 + 𝛾2 ) 𝐽2 = 𝜖𝑥 𝜖𝑦 + 𝜖𝑦 𝜖𝑧 + 𝜖𝑧 𝜖𝑥 − (𝛾𝑥𝑦 + 𝛾𝑦𝑧 𝑧𝑥 4 𝐽3 = det(𝝐) Gli invarianti di un’equazione secolare sono, per definizione, indipendenti dal SDR scelto, perché se variassero varierebbe la soluzione del problema fisico, e questo è assurdo. L’equazione secolare fornisce come soluzione tre radici reali 𝜖1 , 𝜖2 , 𝜖3 (deformazioni principali, gli autovalori del problema), con cui si determineranno gli autovettori del problema grazie alla relazione (𝝐 − 𝑒𝑰)𝑛⃑⃑ = 0, sostituendo a 𝑒 il valore di una delle deformazioni principali già trovate. Per ciascuna di esse devono individuarsi le componenti del vettore 𝑛⃑⃑ (normalizzabile a 1), che diviene versore rappresentativo di ciascuna direzione principale. Il tensore delle deformazioni nel sistema di riferimento principale con assi 1,2,3 è naturalmente diagonale: 𝜖1 0 0 𝝐 = [ 0 𝜖2 0 ] 0 0 𝜖3 E gli invarianti di deformazione sono dunque esprimibili attraverso altre relazioni: 𝜖1 + 𝜖2 + 𝜖3 = 𝐽1 = 𝜖𝑥 + 𝜖𝑦 + 𝜖𝑧 1 2 2 + 𝛾2 ) 𝜖1 𝜖2 + 𝜖2 𝜖3 + 𝜖3 𝜖1 = 𝐽2 = 𝜖𝑥 𝜖𝑦 + 𝜖𝑦 𝜖𝑧 + 𝜖𝑧 𝜖𝑥 − (𝛾𝑥𝑦 + 𝛾𝑦𝑧 𝑧𝑥 4 𝜖1 𝜖2 𝜖3 = 𝐽3 = det(𝝐) VARIAZIONE DI VOLUME E VARIAZIONE DI FORMA Si consideri un parallelepipedo con spigoli // agli assi principali di deformazione e pari, in configurazione indeformata, a 𝑑𝑥, 𝑑𝑦, 𝑑𝑧. A deformazione avvenuta la lunghezza degli spigoli risulterà pari a quella iniziale ma moltiplicata per (1 + 𝜖𝑖 ); 𝑖 = 1,2,3. Il volume vale, nelle due configurazioni: 𝑑𝑉 = 𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 𝑑𝑉 ′ = (1 + 𝜖1 )(1 + 𝜖2 )(1 + 𝜖3 )𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 Essendo sul SDR principale la forma si preserva, può solo dilatarsi o contrarsi. Si ottiene quindi che: 𝑑𝑉 ′ = (1 + 𝜖1 )(1 + 𝜖2 )(1 + 𝜖3 ) = 1 + 𝐽1 + 𝐽2 + 𝐽3 𝑑𝑉 Che ci dice che la variazione di volume è indipendente dal riferimento. Peraltro, per piccole deformazioni, si ha che 𝐽1 ≫ 𝐽2 ≫ 𝐽3 , quindi posso approssimare: 𝑑𝑉 ′ ≈ 1 + 𝐽1 𝑑𝑉 𝑑𝑉 ′ − 𝑑𝑉 𝜖1 + 𝜖2 + 𝜖3 = 𝐽1 ≈ 𝑑𝑉 Il primo invariante descrive quindi una variazione relativa di volume, ed è spesso denominato coefficiente di dilatazione cubica. Se esso è nullo, la deformazione è a volume costante e varia solo la forma. Se poi poniamo: 𝐽1 𝜖1 + 𝜖2 + 𝜖3 𝜃= = 3 3 Posso scrivere un tensore detto deviatore di deformazione che ha 𝐽1 = 0, e dunque descrive un processo di deformazione a volume costante, associato alla deformazione originale: 𝛾𝑦𝑥 𝛾𝑧𝑥 𝜖𝑥 − 𝜃 2 2 𝛾𝑥𝑦 𝛾𝑧𝑦 𝜂 = 𝝐 − 𝜃𝑰 = 𝜖𝑦 − 𝜃 2 2 𝛾𝑥𝑧 𝛾𝑦𝑧 [ 2 𝜖𝑧 − 𝜃 ] 2 Infine, a seconda di quante deformazioni principali sono nulle, si può definire uno stato di deformazione per ogni processo deformativo: 0 deformazioni principali nulle: lo stato di deformazione si dice triassiale; 1 deformazione principale nulla: lo stato di deformazione si dice biassiale; 2 deformazioni principali nulle: lo stato di deformazione si dice monoassiale; EQUAZIONI DI CONGRUENZA INTERNA (O DI COMPATIBILITÀ DI DE SAINT VENANT) Le deformazioni derivate dagli spostamenti costituiscono uno stato di deformazione congruente. Però non è detto che valori di 𝜖𝑖𝑗 arbitrariamente assegnati siano congruenti. In genere dunque non si può ricostruire la continuità del mezzo attraverso soli moti rigidi. Quest’operazione è possibile solo se le deformazioni soddisfano particolari condizioni di integrabilità, dette equazioni di congruenza interna: 𝜕 2 𝜖𝑥 𝜕 2 𝜖𝑦 𝜕 2 𝛾𝑥𝑦 + = 𝜕𝑦 2 𝜕𝑥 2 𝜕𝑥𝜕𝑦 𝜕 2 𝜖𝑦 𝜕 2 𝜖𝑧 𝜕 2 𝛾𝑦𝑧 + = 𝜕𝑧 2 𝜕𝑦 2 𝜕𝑦𝜕𝑧 𝜕 𝜖𝑧 𝜕 𝜖𝑥 𝜕 2 𝛾𝑧𝑥 2 2 + = 𝜕𝑥 2 𝜕𝑧 2 𝜕𝑧𝜕𝑥 𝜕 2 𝜖𝑥 𝜕 𝜕𝛾𝑥𝑦 𝜕𝛾𝑧𝑥 𝜕𝛾𝑦𝑧 2 = ( + − ) 𝜕𝑦𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝜕𝑧 𝜕𝑦 𝜕𝑥 𝜕 2 𝜖𝑦 𝜕 𝜕𝛾𝑥𝑦 𝜕𝛾𝑧𝑥 𝜕𝛾𝑦𝑧 2 = ( − + ) 𝜕𝑧𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑦 𝜕𝑥 𝜕 2 𝜖𝑧 𝜕 𝜕𝛾𝑥𝑦 𝜕𝛾𝑧𝑥 𝜕𝛾𝑦𝑧 2 = (− + + ) 𝜕𝑥𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑧 𝜕𝑦 𝜕𝑥 Per domini monoconnessi è dimostrabile che le 6 equazioni sono condizioni sufficienti alla congruenza. Garantiscono quindi l’esistenza di un campo di spostamenti 𝒔 dal quale le deformazioni sono derivabili. LEZIONE 25 Metodo cinematico, vincoli cedevoli e distorsioni Il metodo cineamtico è la via indiretta del metodo di Mohr per determinare componenti di spostamento e rotazioni di sistemi deformabili. Consiste nel considerare una trave alla volta come deformabile, riconoscere un caso notevole associato ad essa e trovarne quindi la deformata, disegnarla rispettando i vincoli, e continuare così per poi sovrapporre gli effetti. VINCOLI CEDEVOLI ELASTICAMENTE I vincoli cedevoli elasticamente sono vincoli non perfetti, che causano spostamenti o rotazioni dei punti in cui la trave è attaccata al vincolo, i cui effetti saranno poi sovrapposti alle deformazioni delle travi. Molla Una molla è un vincolo cedevole traslazionale. Un carrello è una molla con 𝐾 = ∞. Sia 𝐹 la forza esplicata sulla molla, allora lo spostamento 𝛿 del punto della trave attaccato alla molla è: 𝐹 𝛿= 𝐾 Precisando che la reazione vincolare, le CEV, e i parametri della sollecitazione non variano Biella La biella, come detto in precedenza, è un vincolo che può avere una rigidezza assiale 𝐸𝐴 finita. Lo spostamento del punto di aggancio sarà: 𝑅𝑣 ∗ 𝐿 𝛿= 𝐸𝐴 Dove 𝑅𝑣 è la reazione vincolare esplicata dalla biella Molla rotazionale È un incastro che però consente rotazioni, anche se non libere. La rotazione della trave rispetto al suo stato iniziale, attorno al punto di incastro, sarà: 𝑀 𝜑= 𝐾𝜑 DISTORSIONI TERMICHE Nei materiali reali variazioni di temperatura causano variazioni di volume dei solidi, dunque bisogna tenerne conto. Ci sono 2 tipi di carichi termici: lineari e a farfalla. Costante Un carico termico costante provoca deformazioni pure nella trave in direzione longitudinale. Siano 𝛼 il coefficiente di dilatazione termica del materiale, Δ𝑇 la variazione termica lineare sulla sezione (con segno) e 𝑑𝑧 la lunghezza del concio di trave soggetto a tale carico termico, allora la variazione di volume 𝑑𝑊 sarà: 𝑑𝑊 = ±𝛼 ∗ Δ𝑇 ∗ 𝑑𝑧 𝑑𝑊 = ±𝛼 ∗ Δ𝑇 𝑑𝑧 𝑑𝑊 Dall’analisi della deformazione sappiamo che = 𝜖𝑧 , dunque: 𝑑𝑧 𝜖𝑧 = ±𝛼 ∗ Δ𝑇 A farfalla Un carico termico a farfalla non causa variazioni di lunghezza dell’asse geometrico, ma flette la trave. 𝑑𝜑 𝑑𝑊 = ∗ ℎ = 𝛼Δ𝑇𝑑𝑧 2 𝑑𝜑 2𝛼Δ𝑇 = 𝑑𝑧 ℎ Per convenzione, se Δ𝑇 dilata le fibre inferiori è positiva, se dilata la superiori è negativa. LEZIONE 26 Analisi della tensione parte 1 DEFINIZIONE DI TENSIONE Prima di affrontare la tensione è necessario chiarire quali sono i sistemi di forze attraverso i quali un corpo generico, continuo e deformabile, interagisce con lo spazio ambiente. Si consideri un corpo continuo in equilibrio in una generica configurazione deformata 𝐶, di superficie ℬ, nello spazio. In generale il corpo può essere soggetto ad un: Sistema di forze di volume 𝑭 ⃑⃑, esercitate dall’ambiente nei punti interni del corpo. Sistema di forze di contatto, tra le varie parti in cui il corpo si può pensare idealmente suddiviso. Sistema di forze di contatto esterne o forze di superficie ⃑⃑ 𝒇, esercitate su tutta o su porzioni della frontiera del corpo dagli altri corpi costituenti l’ambiente. Se da una parte, le forze di volume sono d’interesse marginale nella meccanica dei continui deformabili, assumono invece importanza preponderante gli effetti di forze di contatto fra le varie parti del corpo, perché il concetto di tensione è legato proprio a questa trasmissione di forze. Supponiamo di sezionare il corpo 𝐶 con un piano generico, individuando due parti, 𝐶 + e 𝐶 −. Dato che il sistema era in equilibrio, attraverso la superficie di separazione si dovranno trasmettere forze da 𝐶 + a 𝐶 − e viceversa. La nozione di tensione è dovuta, nella sua formulazione classica, a Eulero e Cauchy attravero il principio delle sezioni e il principio delle tensioni rispettivamente. Si consideri quindi un generico punto 𝑃 e il suo intorno Δ𝐴 sulla superficie di separazione generica realizzatasi attravero l’intersezione fra il piano Π di normale 𝑛⃑⃑ e il corpo 𝐶, e siano 𝐶 + e 𝐶 − le porzioni del corpo separate da Π, nel verso di 𝑛⃑⃑ e nel verso opposto rispettivamente. Il principio delle sezioni di Eulero postula che l’azione che 𝐶 + esercita su 𝐶 − , attraverso l’intorno Δ𝐴 di 𝑃, equivale ad un campo di forze definito su Δ𝐴. Sia Δ𝑹 la risultante di tale campo di forze. Il postulato di Cauchy consiste nel richiedere che la funzione vettoriale Δ𝑹 ammetta limite finito al tendere dell’intorno di 𝑃, ossia richiede che: Δ𝑹 lim = 𝑡𝑛 Δ𝐴→0 Δ𝐴 Dove 𝑡𝑛 si dice tensione in 𝑷 relativa alla giacitura orientata 𝒏 ⃑⃑, ed è espressa per unità di area, valutata nella configurazione di riferimento. Sostanzialmente essa è la misura dell’azione locale che, a deformazione avvenuta, la parte 𝑪+ esercita su 𝐹 𝑪− in 𝑃, per contatto attraverso il piano Π, e quindi è a tutti gli effetti una pressione con unità di misura data da [ 2 ]. 𝐿 Il principio delle tensioni richiede quindi che il vettore tensione sia del tipo: 𝑡𝑛 = 𝑡𝑛 (𝑃, 𝑛) Cioè che sia una particolare vettore che, una volta fissato 𝑷, vari solo al variare di 𝒏. Da considerazioni di equilibrio si può vedere che: 𝑡𝑛 (−𝑛) = −𝑡𝑛 (𝑛) Ma il concetto di tensione è ancora più generale. Se il punto 𝑃 è interno al corpo esistono ∞3 modi di orientamento del piano Π e quindi ∞3 vettori 𝑛. Lo stato tensionale di 𝑷 è quindi l’insieme delle ∞3 tensioni 𝑡𝑛 , quando 𝑛 descrive un fascio di rette uscenti da 𝑃. Risolvere un problema di ordine ∞3 è impossibile. Per trovare una soluzione bisogna trovare, se esiste, un modo di rappresentare lo stato di tensione di un punto in funzione di un numero finito di parametri. Un modo c’è, ed è fornito dal teorema di Cauchy-Poisson. COMPONENTI DI TENSIONE Riprendiamo il punto 𝑃 sulla superficie di separazione di 𝐶, creata dal piano Π di normale 𝑛, l’intorno Δ𝐴 di 𝑃 e il vettore tensione 𝑡𝑛 (𝑃, 𝑛). Supponiamo un SDR locale formato da 𝑛, 𝑠, 𝑡 e centrato su 𝑃 per formare una terna cartesiana. 𝑡𝑛 può essere scomposto secondo due componenti: 𝝈𝒏 tensione normale lungo 𝑛 e 𝝉𝒏 tensione tangenziale agente parallelamente alla superficie Δ𝐴 lungo una direzione 𝑚. 𝜎𝑛 = 𝑡𝑛 ∗ 𝑛 = 𝑛𝑇 ∗ 𝑡𝑛 { 𝜏𝑛 = 𝑡𝑛 ∗ 𝑚 = 𝑚𝑇 ∗ 𝑡𝑛 𝜏𝑛 può poi essere ulteriormente scomposta lungo le direzioni 𝑠, 𝑡, ottenendo le componenti 𝜏𝑛 𝑠 e 𝜏𝑛 𝑡 rispettivamente, dove il primo pedice rappresenta la direzione a cui è ortogonale, il secondo pedice quella a cui è parallela. (𝜎𝑛 , 𝜏𝑛 𝑠 , 𝜏𝑛 𝑡 ) si dicono componenti speciali di tensione. Se poi penso di ridefinire 𝑛, 𝑠, 𝑡 come 𝑥, 𝑦, 𝑧, posso riscrivere le componenti speciali in riferimento ad un SDR cartesiano globale. Ruotando le coordinate posso quindi definire 9 componenti speciali di tensione. 𝑡𝑥𝑥 = 𝜎𝑥 𝑡𝑦𝑥 = 𝜏𝑦𝑥 𝑡𝑧𝑥 = 𝜏𝑧𝑥 [𝑡𝑥𝑦 = 𝜏𝑥𝑦 𝑡𝑦𝑦 = 𝜎𝑦 𝑡𝑧𝑦 = 𝜏𝑧𝑦 ] 𝑡𝑥𝑧 = 𝜏𝑥𝑧 𝑡𝑦𝑧 = 𝜏𝑦𝑧 𝑡𝑧𝑧 = 𝜎𝑧 TEOREMA DI CAUCHY-POISSON Gli assiomi di equilibrio di un corpo, ossia le relazioni che garantiscono la valenza dell’equilibrio di un continuo in ogni sua parte, di qualunque forma e dimensione 𝑅Ω = 0 { 𝑀Ω = 0 Ammettono una forma locale stabilita dal teorema di Cauchy-Poisson, che permette di determinare lo stato di tensione (cioè l’insieme delle 𝑡𝑛 ) in un punto 𝑃. Il teorema è suddiviso in 3 parti: 1. Esistenza del tensore 𝑻 di tensione 2. Equazioni indefinite di equilibrio 3. Reciprocità delle tensioni tangenziali Proviamole con delle dimostrazioni: 1. Esistenza del tensore 𝑻 di tensione Bisogna imporre l’equilibrio alla traslazione di un tetraedro infinitesimo detto tetraedro di Cauchy. Questo tetraedro si compone ponendo un SDR su 𝑃, e considerando i piani formati dalle coppie di assi cartesiani, insieme ad un piano distante 𝒅𝒉 da 𝑷 e parallelo all’intorno 𝚫𝑨 di 𝑃. L’intersezione di questi 4 piani forma il tetraedro. In particolare la faccia obliqua abbia area 𝒅𝑨 e la sua normale sia un versore 𝒏, mentre le aree delle facce ortogonali fra loro siano 𝑑𝐴𝑖 , con 𝑖 = 𝑥, 𝑦, 𝑧. Dato che 𝑑ℎ è una distanza infinitesima posso trasferire 𝒕𝒏 da 𝑷 a 𝑷′ senza commettere errori significativi. Essendo il tetraedro in equilibrio, tutte le facce devono essere soggette a vettori tensione, quindi posso scrivere un’uguaglianza (la cui unità di misura è forza, espressa in [𝑵]): 𝑡𝑛 𝑑𝐴 = 𝑡𝑥 𝑑𝐴𝑥 + 𝑡𝑦 𝑑𝐴𝑦 + 𝑡𝑧 𝑑𝐴𝑧 Attraverso le componenti speciali posso riscrivere 𝒕𝒙 , 𝒕𝒚 , 𝒕𝒛 : 𝑡𝑥 = 𝜎𝑥 + 𝜏𝑥𝑦 + 𝜏𝑥𝑧 𝑡𝑦 = 𝜏𝑦𝑥 + 𝜎𝑦 + 𝜏𝑦𝑧 𝑡𝑧 = 𝜏𝑧𝑥 + 𝜏𝑧𝑦 + 𝜎𝑧 È importante notare che, avendo 𝒕𝒙 , 𝒕𝒚 , 𝒕𝒛 verso opposto rispetto agli assi cartesiani di riferimento, anche le componenti speciali saranno controverse rispetto agli assi ai quali sono parallele. Vediamo ad esempio le componenti paralle a 𝑦 Poi scompongo 𝒕𝒏 nelle tre componenti cartesiane. Imponendo l’equilibrio, ottengo: 𝑥: 𝑡𝑛𝑥 𝑑𝐴 = 𝜎𝑥 𝑑𝐴𝑥 + 𝜏𝑦𝑥 𝑑𝐴𝑦 + 𝜏𝑧𝑥 𝑑𝐴𝑧 𝑦: {𝑡𝑛𝑦 𝑑𝐴 = 𝜏𝑥𝑦 𝑑𝐴𝑥 + 𝜎𝑦 𝑑𝐴𝑦 + 𝜏𝑧𝑦 𝑑𝐴𝑧 𝑧: 𝑡𝑛 𝑑𝐴 = 𝜏𝑥 𝑑𝐴𝑥 + 𝜏𝑦 𝑑𝐴𝑦 + 𝜎𝑧 𝑑𝐴𝑧 𝑧 𝑧 𝑧 In questo equilibrio non serve considerare le forze di volume 𝑭, perché esse agiscono su 𝑑𝑉, che rispetto a 𝑑𝐴 tende a 0 più velocemente di un ordine. Ora scompongo il versore unitario 𝒏 nelle sue componenti cartesiane. Considerando solo un piano, per semplificare, si vede che per geometria gli angoli del triangolo visualizzato sono uguali all’inclinazione di 𝒏. Posso quindi riscrivere le aree delle facce fra loro ortogonali in funzione dell’area della faccia obliqua 𝑑𝐴, anche confondendo aree con segmenti, dato che sto lavorando con infinitesimi. Ad esempio, 𝑑𝐴𝑦 = cos(𝛼𝑦 ) ∗ 𝑑𝐴, però sappiamo che 𝑛𝑦 = cos(𝛼𝑦 ) ∗ 𝑛. E dato che 𝑛 è un versore unitario, 𝑛𝑦 = cos(𝛼𝑦 ) ∗ 1 = cos(𝛼𝑦 ), quindi posso riscrivere 𝑑𝐴𝑦 come: 𝑑𝐴𝑦 = cos(𝛼𝑦 ) ∗ 𝑑𝐴 = 𝑛𝑦 𝑑𝐴 Posso quindi riscrivere l’equilibrio semplificando le aree nella forma: 𝑥: 𝑡𝑛𝑥 = 𝜎𝑥 𝑛𝑥 + 𝜏𝑦𝑥 𝑛𝑦 + 𝜏𝑧𝑥 𝑛𝑧 𝑦: {𝑡𝑛𝑦 = 𝜏𝑥𝑦 𝑛𝑥 + 𝜎𝑦 𝑛𝑦 + 𝜏𝑧𝑦 𝑛𝑧 𝑧: 𝑡𝑛𝑧 = 𝜏𝑥𝑧 𝑛𝑥 + 𝜏𝑦𝑧 𝑛𝑦 + 𝜎𝑧 𝑛𝑧 Queste equazioni sono dette relazioni di Cauchy, e, portate al limite, ci dicono come varia 𝑡𝑛 restando in 𝑃 ma cambiando 𝑛. Scritte in forma matriciale si presentano come: 𝑡𝑛𝑥 𝜎𝑥 𝜏𝑦𝑥 𝜏𝑧𝑥 𝑛𝑥 [ 𝑛𝑦 ] = [ 𝑥𝑦 𝜎𝑦 𝑡 𝜏 𝜏𝑧𝑦 ] [𝑛𝑦 ] 𝑡𝑛 𝜏𝑥𝑧 𝜏𝑦𝑧 𝜎𝑧 𝑛𝑧 𝑧 𝑡𝑛 = 𝑻 ∗ 𝑛 𝑻 è il tensore delle tensioni di Cauchy, la cui conoscenza permette di determinare la tensione in una qualsiasi direzione 𝒏 passante per 𝑷. Le componenti di tensione sono dunque 9, però vedremo nel punto 3 che sono in realtà 6, dato che le tensioni tangenziali sono reciproche, ossia 𝜏𝑖𝑗 = 𝜏𝑗𝑖. 2. Equazioni indefinite di equilibrio Costruendo un parallelepipedo infinitesimo di spigoli 𝑑𝑥, 𝑑𝑦, 𝑑𝑧 e volume 𝑑𝑉 ed imponendone l’equilibrio, posso scrivere le equazioni di equilibrio indefinito, tenendo conto che ora le forze di massa 𝑭 non sono più trascurabili. Scrivo dunque le componenti speciali di tensione su ogni faccia, facendo attenzione a quali sono controverse e quali non lo sono. Imponendo l’equilibrio alla traslazione, ad esempio, per 𝑥: 𝜕𝜎𝑥 𝜕𝜏𝑦 𝜕𝜏𝑧 𝑥 𝑥 𝑥: (𝜎𝑥 + 𝑑𝑥) 𝑑𝐴𝑥 − 𝜎𝑥 𝑑𝐴𝑥 + (𝜏𝑦 + 𝑑𝑦) 𝑑𝐴𝑦 − 𝜏𝑦 𝑑𝐴𝑦 + (𝜏𝑧 𝑥 + 𝑑𝑧) 𝑑𝐴𝑧 − 𝜏𝑧 𝑥 𝑑𝐴𝑧 + 𝑿𝑑𝑉 = 0 𝜕𝑥 𝑥 𝜕𝑦 𝑥 𝜕𝑧 Esplicitando le aree e i volumi ottengo: 𝜕𝜎𝑥 𝜕𝜏𝑦 𝜕𝜏𝑧 𝑥 𝑥 𝑥: 𝑑𝑥 ∗ 𝑑𝑦𝑑𝑧 + 𝑑𝑦 ∗ 𝑑𝑥𝑑𝑧 + 𝑑𝑧 ∗ 𝑑𝑥𝑑𝑦 + 𝑿𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 = 0 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 Semplificando e rifacendo il procedimento per le altre due direzioni ottengo le equazioni indefinite di equilibrio, che mi dicono come variano le componenti di tensione spostando il punto 𝑷 in 𝑷′ sulla stessa giacitura. 𝜕𝜎𝑥 𝜕𝜏𝑦 𝑥 𝜕𝜏𝑧 𝑥 + + +𝑋 = 0 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝜏𝑥 𝑦 𝜕𝜎𝑦 𝜕𝜏𝑧 𝑦 + + +𝑌 =0 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧