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Questi appunti di Istologia descrivono il processo di differenziamento cellulare, partendo dalla fecondazione e dalla segmentazione fino alla formazione dei foglietti embrionali. Vengono inoltre analizzati i fattori che influenzano la differenziazione e l'importanza delle cellule staminali.
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ISTOLOGIA Le cellule rappresentano l’unità gerarchica e quindi la base affinché si possa poi arrivare alla definizione di organismo vivente. Per ottenere un organismo completo è necessario che le cellule si organizzino in maniera opportuna per formare i tessuti. I tessuti a loro volta si organizza...
ISTOLOGIA Le cellule rappresentano l’unità gerarchica e quindi la base affinché si possa poi arrivare alla definizione di organismo vivente. Per ottenere un organismo completo è necessario che le cellule si organizzino in maniera opportuna per formare i tessuti. I tessuti a loro volta si organizzano opportunamente e vanno a definire gli organi. Gli organi a loro volta costituiscono apparati o sistemi che vanno a definire l’organismo nella sua interezza. Le cellule sono in grado di essere così differenti come morfologia. La dimensione e la forma delle cellule variano. È importare considerare la forma che le cellule acquisiscono perché possano poi andare a costituire un determinato tessuto. Bisogna tenere conto di quello che accade a livello cellulare perché un determinato elemento cellulare acquisisca quella determinata forma. La forma è strettamente legata alla componente citoscheletrica, ma anche alle interazioni che esistono tra elemento cellulare e ambiente esterno. E ancora, la forma che una cellula acquisisce è strettamente legata alla funzione che questa cellula svolge nella complessità del tessuto. Anche l’ambiente esterno è in grado di influenzare e di far sì che determinate tipologie cellulari abbiano una particolare configurazione e distribuzione nell’ambito di un tessuto. Tutto ciò è strettamente legato alla capacità che cellule così variabili che noi abbiamo nel nostro organismo possono acquisire quelle determinate caratteristiche morfo-funzionali che le rendono specifiche per quel determinato tipo di tessuto. Tutto ciò implica che esista un processo fondamentale chiamato differenziamento. Quando si fa riferimento a differenziamento bisogna prendere in considerazione diversi aspetti, che sono le influenze esterne, la capacità che una determinata cellula abbia una localizzazione precisa, oppure che ci sia un’induzione tissutale. Ad esempio, quando è necessario ripristinare parte di un tessuto che è danneggiato di elementi cellulari che sono andati persi, il condizionamento ambientale e l’induzione tissutale fanno sì che l’omeostasi (e quindi l’equilibrio del tessuto) venga sempre mantenuto costante. Questo processo di differenziamento è strettamente legato ad altri due processi che sono l’importanza e l’esistenza delle cellule staminali, quindi la possibilità che esista una relazione tra capacità differenziativa, capacità proliferativa e il processo di morte cellulare. Questo perché deve esistere uno stretto equilibrio tra questi tre processi in quanto quella che viene definita omeostasi di un organismo (quindi l’equilibrio di un organismo) è strettamente collegato al corretto funzionamento di questi tre processi che sono connessi tra di loro. Quando una cellula acquisisce caratteristiche di cellula differenziata in maniera terminale, cioè diventa cellula tipica di un determinato tessuto, a quel punto perderà la capacità proliferativa. Per cui tra differenziamento e proliferazione esiste una relazione inversa. Però può capitare che nei tessuti che sono sottoposti ad un rinnovamento continuo la quota di elementi cellulari che vengono persi perché il loro ciclo vitale si è concluso venga rimpiazzato dallo stesso numero di nuove cellule che andranno a sostituire gli elementi persi. In questo modo si mantiene l’equilibrio del tessuto, e quindi tutto l‘organismo rimane in perfetto equilibrio. Per poter parlare di differenziamento bisogna considerare cosa succede all’inizio di tutto. Affinché possa aver luogo la nascita di un organismo maturo è necessario un processo fondamentale che prevede l’unione di un gamete femminile con un gamete maschile che in seguito alla fecondazione dà origine allo zigote, che è la prima cellula dell’organismo. Nelle immagini ottenute grazie alla microscopia elettronica a trasmissione riusciamo ad identificare quello che capita a livello della superficie dell’ovocita quando lo spermatozoo penetra all’interno nell’ovocita in modo tale che avvenga la fecondazione. È possibile anche vedere la testa dello spermatozoo che penetra nell’ovocita. In questo caso non vediamo quello che capita nel genoma di questi due gameti. Quindi, il primo evento che si deve verificare perché si possa parlare di differenziamento è rappresentato dalla fecondazione. In seguito alla fecondazione l’uovo fecondato (lo zigote) va incontro ad un primo processo che prende il nome di segmentazione, in cui si verificano delle divisioni mitotiche. Queste divisioni mitotiche fanno sì che si abbia l’ottenimento di un primo elemento a 2 cellule, 4 cellule, 8 cellule. Queste cellule sono delle cellule potenzialmente in grado di differenziare ulteriormente. Vanno incontro a ulteriori processi divisionali che porteranno poi alla fine (passando per l’intermedio della morula) ad una situazione in cui si definisce la blastocisti. Questa è una condizione particolarmente importante perché a livello della blastocisti è possibile identificare alcune zone particolari. Nella blastocisti abbiamo una cavità che si chiama blastocele. La parte interna (inner cell mass) è la massa cellulare interna che sarà in grado di dare origine a tutti i tessuti dell’embrione e dell’adulto. Già questo ci fa capire che in questa condizione le cellule hanno una pluripontenzialità. Perché pluripotenzialità? Perché sono in grado di dare origine a tutti i tessuti, sia dell’embrione che dell’adulto, quindi si passa da una condizione di totipotenza ad una condizione di pluripotenza. In questo caso stiamo già dicendo che le cellule, man mano che iniziano il loro percorso differenziativo, acquisiscono delle peculiarità che fanno sì che questo grado di potenza via via si riduca, fino a diventare unipotenti. Questo è un po’ quello che capita quando parliamo di cellule staminali. Le cellule che vanno a costituire la porzione del trofoblasto sarà in grado dare origine ai tessuti placentari, che sono quelli che poi consentono la sopravvivenza e l’annidamento dell’embrione della blastocisti prima e, in seguito alla gastrulazione, l’annidamento a livello uterino e la formazione di tutti i componenti placentari affinché l’embrione possa svilupparsi. Nel momento in cui noi passiamo dalla condizione di blastocisti alla gastrulazione abbiamo la definizione di quelli che vengono chiamati foglietti embrionali. I foglietti embrionali sono tre: ectoderma (foglietto esterno); mesoderma (foglietto intermedio); endoderma (foglietto interno). E in più abbiamo le cellule germinali. Senza di esse non è possibile avere la riproduzione, perché se spermatozoo e uovo non entrano in contatto non può avvenire fecondazione, per cui non si può avere la formazione di un nuovo individuo. Questi foglietti hanno delle localizzazioni ben precise: dall’ectoderma differenzieranno le cellule dell’epidermide, le cellule del sistema nervoso centrale, le cellule delle creste neurali; nell’ endoderma avremo tutte le tipologie delle cellule che troviamo per esempio a livello dell’apparato digerente, a livello dell’apparato respiratorio, a livello faringeo; dal mesoderma otterremo tutte le altre tipologie tissutali, quindi otteniamo tessuto muscolare piuttosto che sangue e piuttosto che tessuto osseo. Quindi da ogni foglietto embrionale noi abbiamo la specificità di tipologie cellulari che andranno poi a costituire determinati tessuti. Quando si fa riferimento a differenziamento dobbiamo considerare un processo graduale. È importante che ci sia questa gradualità perché di fatto, alla base del differenziamento che poi porta all’ottenimento di un elevato numero di tipologie cellulari, c’è un aspetto molto importante, cioè una particolare espressione genica differenziale. Infatti le cellule sono capaci di esprimere quelli che sono definiti: geni housekeeping, cioè geni presenti in tutte le tipologie cellulari; geni esclusivi, cioè tipici per le funzioni che le cellule devono svolgere. Pertanto, considerando che tutte le cellule dell’organismo possiedono dei geni housekeeping (cioè geni uguali) come è possibile che le cellule acquisiscano caratteristiche diverse che portano poi a far avere una funzionalità diversa dalle cellule stesse? Perché nel corso del diffenziamento, dal momento che esistono dei geni che sono esclusivi a seconda del tipo cellulare, noi possiamo avere o espressione o repressione di determinati geni. Per cui alcuni geni possono essere espressi, altri invece sono repressi. Nel momento in cui un gene viene represso non ci può essere sintesi proteica. Nel momento in cui, invece, i geni vengono espressi abbiamo sintesi proteica, ma ancora nell’ambito dell’espressione genica vengono espressi specifici geni che portano all’ottenimento e alla sintesi di determinate e ben precise proteine che saranno tipiche della cellula di appartenenza. Quindi, una volta che in una cellula vengono espressi geni specifici, sintetizzate proteine specifiche, otteniamo come risultato finale che le cellule sono in grado di esprimere e manifestare peculiari caratteristiche morfo-funzionali, cioè delle caratteristiche sia strutturali le funzionali. Ma cosa c’è alla base di queste differenze espressione genica? La differente espressione genica riguarda soltanto quelli che sono geni specifici, non interessa i geni housekeeping. Nel senso che i geni housekeeping esprimeranno tutte le proteine che sono fondamentali per il normale funzionamento. È stato dimostrato che questa attivazione o repressione differenziale del genoma viene regolata ed è determinata da particolari fattori (soprattutto di tipo proteico) che sono già presenti nell’ovocita ancor prima della fecondazione e che prendono il nome di determinanti citoplasmatici. Ogni cellula nasce con un appropriato corredo genetico. La maggior parte dei geni portano alla sintesi delle proteine e questi geni sono i geni housekeeping. È necessario che ci siano perché quella cellula dovrà pur vivere, dovrà pur avere ribosomi e tutti i componenti perfettamente organizzati. Come fa una cellula x a diventare una cellula muscolare? Può diventarlo perché nel suo corredo vengono espressi quei geni che portano alla sintesi di proteine specifiche affinché quella cellula alla fine del percorso differenziativo possa essere una cellula muscolare. Gli stessi geni che vengono attivati nella cellula che diventerà cellula muscolare sono presenti anche in un’altra tipologia cellulare, per esempio in una cellula che deve diventare una cellula della cartilagine. Ma non vengono espressi, quindi non vengono sintetizzate le proteine. Per cui il genoma è uguale per tutti. Però se una cellula è destinata a diventare un adipocita o è destinata a diventare una cellula nervosa avrà un corredo di base di geni che le consente di essere cellula funzionante in tutti i suoi aspetti. Però, se deve diventare una cellula epiteliale, in questa cellula verranno espressi in modo particolare quei geni che le faranno poi acquisire la peculiarità di cellula epiteliale e questo è garantito grazie alla presenza dei determinanti citoplasmatici, che sono degli mRNA o delle piccole proteine. La cellula uovo viene divisa in polo animale e polo vegetativo. Quando lo spermatozoo incontra una cellula uovo che deve essere fecondata si ha una rotazione della cellula. Questa rotazione implica una distribuzione differente di mRNA che noi avevamo inizialmente nel polo vegetativo. Questo significa che tutte le proteine Dsh verranno spostate in una determinata posizione. Di fatto, in questo caso succede che quando piccole proteine o mRNA (che sono segnali già presenti nella cellula) vengono opportunamente distribuiti in una cellula fecondata, a quel punto viene definito il destino del differenziamento e quindi del percorso evolutivo che quella cellula deve seguire. Quindi, affinché possa essere garantita una condizione di definizione del destino della cellula, (cioè quello che alla fine la cellula deve diventare) bisogna considerare i determinanti citoplasmatici (piccoli mRNa e piccole proteine) e anche cosa succede quando ci sono delle cellule vicine. Non è sufficiente che noi abbiamo solo la distribuzione differente dei determinanti citoplasmatici. Abbiamo una cellula uovo che non è fecondata. In questa cellula sono presenti determinanti citoplasmatici differenti. Cosa succede quando la cellula uovo viene fecondata dallo spermatozoo? Si ha l’ottenimento dello zigote. In questo caso rimane integra la condizione iniziale, nel senso che nello zigote noi abbiamo ancora la presenza di tutti i determinanti citoplasmatici presenti nella cellula uovo non fecondata. Cosa capita quando si ha la prima divisione mitotica? Succede che nelle due cellule figlie (che dovranno poi seguire un destino diverso) si ha una distribuzione ineguale dei determinanti citoplasmatica. Questo fa sì che alla fine queste due cellule figlie seguano un percorso differenziativo che sarà differente. Ci sono altri segnali. Quando inizia la duplicazione (che poi porta allo stadio a 32 cellule), le successive divisioni mitotiche che portano dalla precedente a due cellule a quella a 32 cellule, le 32 cellule sono strettamente associate tra di loro. Esistono una serie di segnalazioni e comunicazioni cellulari per cui le interazioni e le segnalazioni che vengono da cellule vicine fanno sì che quelle determinate cellule abbiano altre segnalazioni in più che la portano a seguire un determinato percorso differenziativo. Una cellula che inizia ad attraversare un percorso differenziativo può differenziare grazie al fatto che il suo differenziamento viene regolato da determinanti citoplasmatici (mRNA e proteine che sono già presenti a livello citoplasmatico della cellula anche non fecondata) e poi dall’induzione che deriva dall’ambiente esterno delle cellule vicine quando si raggiunge lo stadio a 32 cellule. Gli eventi che si possono verificare nel corso della divisione possono essere differenti, nel senso che possiamo parlare di divisione cellulare asimmetrica e di divisione cellulare simmetrica. Nel primo caso la cellula va incontro ad un processo di divisione cellulare e succede che una cellula figlia avrà una dei determinanti citoplasmatici, l’altra invece ne avrà altri. Questo significa che queste due cellule figlie seguiranno un destino diverso e significa anche che in questo caso non abbiamo avuto un’equa distribuzione dei determinanti citoplasmatici, ma una divisione asimmetrica. Quindi queste cellule proseguiranno la loro divisione andando a seguire un preciso percorso differenziativo. Nel secondo caso, i determinanti citoplasmatici vengono equamente distribuiti nelle cellule. Per cui otteniamo due cellule figlie che esprimono gli stessi determinanti citoplasmatici e quindi avranno destini simili. In questo caso parliamo di divisione cellulare simmetrica. Otteniamo due cellule figlie identiche. Però, in ogni caso, le due cellule figlie saranno in grado di seguire un percorso differente a seconda delle influenze che l’ambiente esterno o le cellule circostanti sono in grado di determinare a livello di questa cellula. Quindi quando noi parliamo di differenziamento cellulare (che porta alla definizione di elementi cellulari con una notevole variabilità dimensionale), facciamo riferimento all’acquisizione di caratteristiche ben specifiche da parte di una cellula in modo che questa possa svolgere una funzione ben definita. Quindi stiamo definendo il fenotipo della cellula, che sarà peculiare per la tipologia della cellula considerata. Questo perché ogni cellula che segue un percorso differenziativo ben preciso avrà delle caratteristiche morfologiche, biochimiche e funzionali che sono tipiche del tessuto di appartenenza. Quando si fa riferimento al differenziamento bisogna tener conto di alcuni parametri, cioè che è vero che il differenziamento è un processo fondamentale (soprattutto nell’avvio dello sviluppo embrionale), ma non è un processo che si limita a questo. Ma il turn over tissutale (e quindi il turn over cellulare) si verifica durante tutto il percorso vitale di un organismo, anche perché esistono dei processi di riparazione di determinati tessuti che devono essere messi in atto. Cosa succede quando consideriamo un percorso differenziativo di una determinata tipologia cellulare? Le fasi iniziali del processo differenziativo sono tali per cui una cellula potenzialmente può differenziare in quello che vuole. Le cose nella realtà non sono proprio così. Questo perché man mano che il processo differenziativo va avanti si ha una restrizione sempre maggiore del potenziale differenziativo. Non solo, ma capita anche un altro evento. Una cellula che è capace di differenziare è caratterizzata da un’elevata capacità proliferativa. Il raggiungimento di uno stato differenziativo terminale implica una riduzione della capacità proliferativa che la cellula inizialmente aveva. Quindi esiste una relazione inversa tra proliferazione e differenziamento. Quanto più una cellula acquisisce uno stato di differenziamento terminale, tanto minore sarà la sua capacità proliferativa. Mentre invece, la capacità proliferativa sarà particolarmente alta quando la cellula mantiene lo stato indifferenziato, quindi non ha ancora acquisito quel fenotipo, quelle caratteristiche morfologiche, biochimiche e funzionali che sono tipiche dell’acquisizione di uno stato differenziato in modalità terminale. Ad esempio, se noi consideriamo un neurone, esso arriva allo stato di differenziamento terminale e non può più proliferare, perché andrà a costituire un tessuto che è un tessuto che una volta che ha raggiunto la sua definizione, le sue cellule non vanno più incontro a eventi proliferativi. Un altro esempio può essere il tessuto epiteliale. Il tessuto epiteliale è un tessuto sottoposto a rinnovamento continuo. Normalmente le cellule dell’epidermide (soprattutto quelle degli strati più superficiali) dopo un determinato periodo di tempo vanno incontro alla morte e vengono perse per desquamazione. Quindi sono cellule morte, cellule che hanno seguito tutto un percorso differenziativo che le ha portate da una condizione di elevata proliferazione ad una condizione di proliferazione assente. Però l’epidermide è abbastanza complessa ed è costituita da vari strati cellulari. Lo stato più interno, che prende il nome di strato germinativo o strato basale è caratterizzato dalla presenza di elementi cellulari non totalmente differenziati che hanno caratteristica di cellula staminale. Naturalmente quando si considera la componente staminale del rivestimento in particolare dell’epidermide, si deve tener conto che le cellule dello strato basale che hanno una grande capacità proliferativa quando si dividono seguono una divisione asimmetrica. Perché una delle due cellule figlie deve mantenere caratteristiche di cellula staminale (quindi caratteristica di cellula dotata di un’elevata capacità proliferativa), mentre invece l’altra cellula figlia deve seguire il processo differenziativo (cioè deve diventare cheratinocita, risalire i vari strati dell’epidermide fino ad andare incontro a morte ed essere persa sotto forma di lamella cornea). Questo equilibrio tra differenziamento, proliferazione e morte garantisce l’omeostasi del tessuto. Infatti non si può pensare che in un’epidermide avvengano soltanto dei meccanismi di perdita di elementi cellulari senza che ci sia un rimpiazzo degli elementi cellulari persi, perché altrimenti passeremo da una condizione di multistrato ad una condizione in cui l’epidermide diventa sottilissima perché perdiamo le cellule che la costituiscono. Invece, la possibilità che degli elementi con caratteristiche di cellule staminali rimpiazzino quelle cellule che sono andate perse fa sì che l’integrità del tessuto e di conseguenza dell’organo venga mantenuta integra. Quando si studiano le relazioni esistenti tra proliferazione, differenziamento e morte cellulare si deve sempre considerare il legame che esiste fra questi tre processi. Una proliferazione controllata potrebbe determinare la costituzione di un organo che abbia una morfologia anomala, ma anche l’acquisizione di peculiarità differenziative che non sono tipiche di quell’organo non va a favore del funzionamento poi di tutto l’apparato di cui quell’organo fa parte. E ancora, se non ci fosse l’intervento di processi regolati di morte cellulare avremo delle condizioni o di ipoplasia o di iperplasia degli organi che implica un malfunzionamento generale, uno stato patologico dell’organismo. CELLULE STAMINALI Le cellule staminali sono cellule dotate di un’elevata capacità proliferativa e sono in grado di dare origine a tutte le tipologie cellulari. Si considerano come mezzo per fare in modo che in coltura possano ottenersi determinate tipologie cellulari, anche se per quanto riguarda il loro uso bisogna considerare che bisogna fare i conti con problemi etici. Quando noi consideriamo lo sviluppo a partire dalla fecondazione di un ovocita noi otteniamo una morula caratterizzata dalla presenza di cellule totipotenti, le quali diventano poi pluripotenti nel momento in cui noi otteniamo la blastula. Dalla blastula possiamo ottenere specifiche tipologie cellulari che andranno poi a costituire determinati organi o apparati. Quindi passiamo da una condizione di pluripotenza ad una condizione di multipotenza, perché c’è comunque una restrizione della potenzialità differenziativa delle cellule staminali. Quando una cellula è una cellula staminale può diventare quella che viene detta cellula committed cioè una cellula che ha una sorta di destino già segnato, per cui segue poi un percorso differenziativo. Nel momento in cui questa cellula percorre il percorso differenziativo acquisirà determinate caratteristiche fenotipiche. La cellula invece che rimanere cellula staminale è capace di dar vita o a elementi cellulari staminali (quindi si automantiene seguendo una via di divisione simmetrica) oppure, seguendo la via di divisione asimmetrica, darà luogo a una cellula staminale e ad una cellula destinata a seguire un determinato percorso differenziativo. Per cui, nel momento in cui abbiamo cellule staminali embrionali, queste cellule hanno un’elevata potenzialità di staminalità e posso dar luogo a tutte le tipologie di cellule. Quando abbiamo la definizione di un embrione, a quel punto le cellule germinali avranno caratteristica prevalentemente di pluripotenza e le cellule staminali tissutali avranno caratteristiche di pluripotenza o multipotenza. Il cordone ombelicale rappresenta una riserva di cellule staminali. Queste cellule staminali hanno caratteristica di pluripotenza o multipotenza, per cui, in caso di eventuali patologie del feto o patologie che si possono riscontrare in seguito si possono utilizzare le cellule del cordone ombelicale per determinati interventi di tipo medico. Anche nell’adulto abbiamo delle cellule staminali. Quello che capita è che la capacità di staminalità dell’individuo adulto avrà un maggior grado di restrizione. Le cellule staminali si dividono in: totipotenti: possono generare tutti i tessuti di un organismo compresi gli annessi embrionali. Ci troviamo in condizioni di totipotenza quando l’embrione è ancora in uno stadio precoce; pluripotenti: c’è già una restrizione nella possibilità diottenere tipologie cellulari; (tante tipologie). Se è vero che abbiamo cellule che possono differenziare in cellule adipose, macrofagi, neuroni ecc di fatto noi non abbiamo la possibilità di ottenere annessi embrionali. Le possiamo mettere in coltura. Quando vengono messe in coltura possono differenziare nelle tipologie precedenti perché in vitro, verranno aggiunti o condizionati i mezzi di coltura in modo che queste cellule possano seguire un determinato percorso differenziativo. Quindi si aggiungeranno dei fattori di crescita neuronali che faranno in modo che queste cellule staminali embrionali siano condizionate dall’ambiente a diventare neuroni. multipotenti: abbiamo un ulteriore riduzione della capacità della staminalità di un determinato organismo. La riduzione della capacità di staminalità è legata all’acquisizione di uno stato differenziativo sempre più prossimo a quello che è il differenziamento terminale. Per cui, quando consideriamo le cellule staminali multipotenti, abbiamo la possibilità di avere cellule staminali che sono in grado di dar luogo soltanto a cellule, per esempio, del muscolo cardidaco piuttosto che cellule nervose o piuttosto che elementi figurati del sangue. Nel caso delle cellule staminali dell’individuo adulto sono considerate cellule staminali multipotenti sia le cellule mesenchimali che le cellule ematopoietiche (cellule che sono in grado di dare luogo a tutte le cellule del sangue, sia della linea mieloide che della linea eritroide). Una cellula staminale ematopoietica può seguire la via mieloide. Quindi noi passiamo da una condizione di pluripotenza ad una condizione di multipotenza. Dalla linea mieloide noi possiamo seguire il differenziamento di cellule della linea del sangue, quindi arrivare ad avere eritrociti. Oppure, differenziamento nella serie bianchi (neutrofili, ecc), o ancora abbiamo un’ulteriore divisione per cui possiamo avere i monociti macrofagi per esempio. Ancora, la cellula staminale può seguire un altro percorso differenziativo, perché stimolata da fattori ambientali e da determinanti citoplasmatici a seguire uno specifico percorso differenziativo, che in questo caso sarà la linea linfoide. Per cui come risultato finale otterremo linfociti B e linfociti T. Come fa una cellula staminale a rimanere tale? Esiste un condizionamento della cellula staminale che implica: interazione con altre cellule, quindi un contatto diretto con altre cellule. presenza di fattori solubili che interagiscono con la cellula staminale stessa; presenza di interazione che avviene tra cellule che sono interposte. Tutto ciò definisce un microambiente. Questo microambiente che fa sì che la cellula staminale riesca ad avere un supporto prende il nome di nicchia di staminalità. È fondamentale che queste condizioni vengano soddisfatte perché altrimenti una cellula staminale una volta che inizia il percorso differenziativo perderebbe la capacità di duplicarsi per mantenere una cellula figlia come cellula staminale. Per esempio, se consideriamo una condizione in cui abbiamo delle cellule staminali, esse possono andare incontro ad una divisione simmetrica o asimmetrica, ma il fatto che ci sia un’influenza di una membrana basale piuttosto che di molecole della matrice, interazione con la matrice extracellulare, fanno sì che la cellula staminale riceva una serie di segnali che impediscono a questa cellula di differenziare. Perché l’acquisizione di uno stato differenziato, automaticamente, implica la perdita della condizione di staminalità. Quindi, quando consideriamo nell’ambito dell’organismo adulto le cellule staminali adulte, possiamo fare riferimento a quello che capita al sangue. Quindi la nicchia del sangue sarà il midollo osseo. A livello della mucosa intestinale troviamo le cellule staminali nelle cripte di Lieberkun. Considerando l’epidermide, tutte queste condizioni fanno sì che le cellule le cellule dello strato basale ricevano tutta quella serie di stimoli, segnalazioni e siano condizionate a mantenere lo stato di cellule staminali. Quindi, ricevendo opportuni segnali, queste cellule dello strato basale, nel momento in cui si verifica il processo divisionale asimmetrico, succede che una delle due cellule figlie mantiene le caratteristiche di cellula staminale, l’altra invece prosegue via via nel percorso differenziativo attraversando i vari strati dell’epidermide fino ad essere persa come lamella desquamante. In questo caso si verifica un altro processo importante: le cellule staminali dell’epidermide vengono utilizzate per esempio quando si deve realizzare un trapianto di pelle, soprattutto nel caso in cui ci siano dei grandi ustionati. In questo caso in coltura possono essere coltivate le cellule dello stato basale che sono in grado di differenziare. Si ottengono così dei lembi di pelle che possono essere trapiantate nell’individuo che ha subito l’ustione. Un aspetto particolarmente importante è quello che viene definito amplificazione in transito. Abbiamo un tipo di divisione asimmetrica che prende il nome di asimmetria divisionale e che implica la differente distribuzione dei determinanti antigenici nelle cellule figlie che determina il destino che queste cellule avranno durante il loro percorso differenziativo. Quindi otteniamo cellule diverse. Oppure, possiamo avere un’altra tipologia di divisione asimmetrica che è strettamente legata al condizionamento ambientale. Per cui abbiamo cellule diverse tra loro, ma in questo caso sarà l’ambiente che circonda la cellula stessa che fa sì che questa segua un determinato percorso differenziativo. Dal momento che è importante che ci sia la garanzia del mantenimento dell’omeostasi di un tessuto è necessario che la capacità proliferativa delle cellule staminali sia tale per cui si verifichi quella che viene definita amplificazione in transito. Cosa significa? Quando le cellule staminali vanno incontro al processo divisionale, passano dallo stato staminale a quello differenziato. La cellula che acquisisce lo stato differenziato va incontro ad un elevato numero di divisioni mitotiche che porta l’ottenimento di un elevato numero di cellule che hanno raggiunto lo stato di differenziamento terminale. Questo processo garantisce la possibilità che un tessuto mantenga integra la propria architettura. Alla base del processo che regola il mantenimento dell’architettura dei tessuti dobbiamo considerare la relazione che esiste tra fenomeni proliferativi e differenziativi. Perché un tessuto possa essere garantito in maniera ordinata e precisa nella sua architettura devono essere eliminate cellule invecchiate, danneggiate e cellule prodotte in quantità eccessive attraverso eventi di morte programmata. Per esempio, nel corso dello sviluppo embrionale, il numero di neuroni che vengono prodotti è molto più alto rispetto a quello che è il numero definitivo degli elementi neuronali che definiscono poi il tessuto nervoso. Per esempio, l’encefalo comprende cervello e cervelletto. Se noi avessimo uno sviluppo esagerato dell’encefalo andremo incontro a degli eventi di macrocefalia che sono incompatibili con la vita. Per cui succede ce il numero di neuroni che viene prodotto in più vengono eliminati perché entrano in competizione per quelli che sono fattori di crescita. Quindi quelli che non servono vengono eliminati perché si innesca un processo di morte cellulare programmata che prende anche il nome di apoptosi. APOPTOSI O MORTE CELLULARE PROGRAMMATA In un campo microscopico in cui prevale un numero di cellule in uno stato di salute buono, c’è un elemento cellulare che presenta delle caratteristiche morfologiche sia a livello citoplasmatico che a livello nucleare decisamente differenti. Quali sono le tipologie di morte che vengono considerate? Quelle classiche sono l’apoptosi, che la cellula innesca quando per esempio un elemento cellulare è senescente o è danneggiato. Quindi è la cellula stessa che decide di autoeliminarsi. Oppure possiamo avere la necrosi. È una tipologia di morte che innesca dei fenomeni di infiammazione secondaria, quindi un interessamento anche del tessuto circostante. Quando consideriamo gli eventi di necrosi e apoptosi dobbiamo tenere conto del fatto che mentre l’apoptosi viene innescata da segnali specifici, la necrosi si verifica perché c’è stato per esempio un insulto di natura fisica o di natura chimica. Mentre nell’apoptosi osserviamo delle modificazioni morfologiche a carico sia del citoplasma che della componente nucleare che seguono un ordine ben preciso, i danni che si verificano nel caso della necrosi sono molto più importanti. Cellula che va incontro ad apoptosi: a livello citoplasmatico, il primo evento che si verifica è un raggrinzimento cellulare, ma gli organelli interni mantengono ancora la loro integrità. A livello nucleare, nel nucleo troviamo la cromatina. La cromatina si condensa e condensandosi si addossa sotto forma di ammassi discreti al di sotto della lamina nucleare. Cosa succede dopo? Una condizione di questo genere implica la frammentazione del nucleo. Contemporaneamente, a livello di superficie, la membrana inizia a emettere delle protrusioni che possono contenere porzioni di nucleo frammentato, organuli o anche soltanto organuli e porzioni di citoplasma. L’evento successivo porta alla formazione dei corpi apoptotici. Questi ultimi sono frammenti della cellula che ha subito tutte queste modificazioni di superficie, a livello citoplasmatico e a livello nucleare. Però essendo delimitati da membrana impediscono che ci sia rilascio di contenuto citoplasmatico all’esterno. I corpi apoptotici sono così fatti, per cui vengono riconosciuti dai fagociti professionisti che riescono a fagocitarli impedendo quindi l’innesco di un evento infiammatorio. Diversa è la situazione quando consideriamo una cellula che subisce un danno di tipo fisico o di tipo chimico. Che cosa succede? La cellula, anziché raggrinzirsi, come capita durante il processo apoptotico, si rigonfia. Il rigonfiamento cellulare implica un danneggiamento anche a carico degli organuli citoplasmatici. L’evento successivo è la lisi della cellula. Se una cellula si lisa, si rompe, ha una distruzione totale degli organuli. Durante la lisi si rompe anche la membrana. Quest’ultima implica il rilascio nell’ambiente circostante del contenuto citoplamatico. Questo però innesca un’infiammazione. Siccome la necrosi (così come l’apoptosi) è un processo che si verifica in vivo, abbiamo un interessamento anche del tessuto circostante, con eventi che possono portare ad una necrosi secondaria. Nel caso della morte cellulare apoptotica i corpi apopotici fagocitati non rilasciano niente nell’ambiente esterno, per cui non abbiamo l’interessamento del tessuto circostante. Il processo apoptotico è un processo molto rapido, però noi possiamo anche seguire questo processo quando andiamo consideriamo gli eventi che sono meglio studiabili in vitro. In questo caso possiamo analizzare tutto quello che succede sia a livello citoplasmatico che a livello nucleare. Quando si considera il processo apoptotico bisogna far riferimento ad alcuni geni che sono particolarmente importanti. Tra questi c’è la P53, considerato come il guardiano del genoma. Il ciclo di divisione si conclude con la divisione mitotica. La capacità che ha una cellula di attraversare tutte le fasi del ciclo cellulare è strettamente regolata dal fatto che nel passaggio tra una fase e l’altra esistono dei punti di controllo. Questi sono tali per cui si cerca di riparare eventuali danni che si possono verificare a carico del DNA. Che cosa succede quando, per esempio, in una cellula abbiamo un danno a carico del DNA? Possiamo avere un alto grado di danno (in questo caso P53 non interviene) che porta la cellula ad uscire dal ciclo e andare incontro ad apoptosi. Se invece il livello di danno è basso, la cellula va in arresto. Il danno viene riparato e la cellula può rientrare in ciclo e seguire il processo differenziativo. Oppure, ancora, quando si hanno delle variazioni a carico di P53 (nel senso che muta), la cellula può diventare una cellula tumorale. MODIFICAZIONI NUCLEARI (TEM) E MODIFICAZIONU DELLA SUPERFICIE CELLULARE (SEM) Esiste una correlazione abbastanza stretta tra modificazioni della superficie e modificazioni a carico del nucleo. Una cellula che va incontro ad apoptosi allenta i contatti con le cellule adiacenti e tende a diventare sferica. Allenta anche il contatto con il substrato di crescita, e quindi la superficie della cellula diventa un po’ più liscia. Contemporaneamente a carico del nucleo si ha la condensazione della cromatina e la frammentazione del nucleo stesso. Man mano che il processo apoptotico procede, si ha la formazione di vescicolazioni di membrana che si accompagnano a livello nucleare con la costituzione di strutture che si distaccheranno, che altro non sono che i corpi apoptotici. Si arriva ad uno stadio finale in cui la cellula è totalmente frammentata. Alcuni aspetti che devono essere considerati quando si considera il processo apoptotico sono danni che si verificano a carico dei mitocondri. Essi sono degli organuli particolarmente coinvolti in questo processo, in quanto una variazione del delta psi mitocondriale (potenziale di membrana mitocondriale) implica l’apertura di canali a livello di membrana che determinano il rilascio del citocromo c. Esso forma un complesso con Apaf-1 (è un fattore di inizio dell’apoptosi) che implica l’attivazione di una serie di enzimi che altro non sono che cistein proteasi che prendono il nome di caspasi, le quali hanno il ruolo di degradare le proteine. Una volta che viene attivata la prima caspasi, questa a sua volta attiva una cascata di attivazione delle altre caspasi che si conclude con l’evento apoptotico. Questo tipo di analisi può essere effettuato in fluorescenza considerando opportuni fluorocromi. IN SINTESI Il potenziale transmembrana mitocondriale garantisce il funzionamento ottimale del mitocondrio. Cosa succede però quando si ha un danno che può essere un trattamento farmacologico? Si ha la perdita del delta psi mitocondriale. Cosa succede in questo caso? Succede che in risposta al danno per via della perdita del potenziale transmembrana si ha l'apertura dei mega canali con conseguente rilascio del citocromo C. Il citocromo C si lega a un fattore di attivazione delle proteasi tipico dell'apoptosi (Apaf-1) e innesca l'attivazione delle caspasi (enzimi). Questo provoca la degradazione delle proteine, però siccome le caspasi sono in grado di autoattivarsi, la prima caspasi che viene attivata innesca tutta la successiva cascata delle caspasi, che portando alla degradazione di proteine (per esempio componenti citoscheletriche, danni generali alla cellula) senza che ci sia una rottura e un danno a carico della membrana plasmatica. Questo perché la finalità dell’apoptosi è quella di essere una forma di morte pulita, per cui non si innescano degli eventi di necrosi secondaria, cioè degli eventi che determinano infiammazione di tessuti circostanti. Il processo si conclude con l’innesco apoptotico con tutta la seria di modificazioni nucleari, citoplasmatiche che caratterizzano questo processo che è una forma di morte che la cellula è in grado di autoinnescare. É inoltre una forma di morte pulita. Come possiamo valutare l'evento apoptotico con una coltura cellulare sottoposta ad un determinato trattamento farmacologico? Utilizzando dei marcatori fluorescenti. Per esempio, è possibile marcare i mitocondri utilizzando dei fluorocromi cationici lipofilici. Un fluorocromo che può essere utilizzato é il JC-1. È un fluorocromo cationico lipofilico che funziona come tutti i fluorocromi lipofilici. Esso è capace di entrare nei mitocondri e si accumula al loro interno con una modalità che è concentrazione dipendente. Penetra nella cellula e quindi riesce a rimanere intrappolato all'interno dei mitocondri, e quando questi sono perfettamente funzionanti il JC-1 è in grado di formare degli aggregati. La formazione di questi aggregati di JC-1 si riflette nell'emissione di una fluorescenza rosso-arancio, quindi quando il fluorocromo è aggregato noi vediamo l'integrità del nucleo che è stato controcolorato, cioè abbiamo effettuato una doppia marcatura che ha consentito la marcatura dei mitocondri da una parte, e la marcatura del nucleo dall’altra. Questo affinché potessimo avere delle informazioni sul reale stato di salute della nostra coltura. Le strutture tondeggianti ci segnalano che la cellula è in stato di apoptosi. Le porzioni tondeggianti di frammenti nucleari hanno dimensioni variabili. In una cellula in cui la frammentazione nucleare ha raggiunto uno stadio particolarmente avanzato, non si osserva più positività nella marcatura dei mitocondri. La peculiarità del JC-1 è anche un'altra: i mitocondri hanno fondamentalmente una struttura filamentosa; nei mitocondri possiamo notare una differente emissione di fluorescenza. Questo è indicativo del fatto che in alcune parti di esso è presente una maggiore attività e in altre una minore attività. Questo non è indicativo di un malfunzionamento mitocondriale, ma è indicativo del fatto che nello stesso mitocondrio possiamo avere delle parti più o meno funzionanti. Questo tipo di discriminazione, soprattutto di cellule che presentano una condizione di benessere rispetto ad una situazione di cellule che stanno incontro alla morte, può essere rilevato anche attraverso la citoplurimetria. Cosa succede nel corso dell'apoptosi quando la cellula decide che non è più necessaria per l'organismo e per il tessuto ed è necessario ricorrere alla sua autoeliminazione? Vengono innescati anche delle modificazioni a carico della membrana plasmatica, la quale è caratterizzata dal fatto di presentare un'asimmetria. Normalmente, un doppio strato lipidico è organizzato in maniera abbastanza ordinata, compatibilmente con quelli che sono poi i movimenti a cui la cellula viene sottoposta. La forma della cellula e quindi la particolare organizzazione della membrana è legata al fatto che il citoscheletro sottostante (il cortex di actina) è funzionale al mantenimento della forma della cellula e quindi anche dell’integrità della membrana. È stato dimostrato che quando ci troviamo di fronte ad un evento apoptotico si crea una disorganizzazione del citoscheletro di actina che porta ad un rigonfiamento della membrana plasmatica. Questo primo rigonfiamento prende il nome di BUDDING. Questo a sua volta è l'evento che precede la formazione di quelle vescicole di membrana che possono racchiudere o porzioni di citoplasma o frammenti nucleari o organuli che poi si staccano dalla cellula. Le vescicole che si vengono a formare si chiudono e si ha la formazione del fenomeno del BLABING o BLAB. Nel versante interno del doppio strato fosfolipidico è presente un fosfolipide, che è la fosfaditilserina. Essa è normalmente confinata nel versante interno del doppio strato. Cosa capita a questo fosfolipide nel corso dell'apoptosi? Ad opera della translocasi, viene flippato nel versante esterno del doppio strato lipidico. Cosa succede quando viene traslocata la fosfaditilserina? Rappresenta uno dei primi segnali perché la cellula che sta andando incontro all’apoptosi venga riconosciuta da un macrofago. I macrofagi sono le cellule spazzino quindi sono in grado di fagocitare e rimuovere tutto quello che è malfunzionante o detriti cellulari. Quindi la traslocazione della fosfatidilserina rappresenta uno dei segnali eat-me che la cellula apoptotica esprime per poter essere rimossa dai fagociti. La finalità della rimozione da parte del macrofago o di un fagocita non professionista (in coltura potrebbero essere per esempio i fibroblasti) fa sì che in vivo non vengano innescati fenomeni di necrosi secondarie. Com'è possibile valutare dal punto di vista sperimentale la traslocazione della fosfatidilserina? Utilizzando un marcatore che è l'annexina quinta. Quest’ultima è in grado di legare la fosfaditilserina esposta e, questo legame, (annessina 5- fosfatidilserina) assieme a tutto quello che è legato a modificazioni di membrana, può essere valutato anch'esso attraverso la citofluorimetria. Il fatto che noi utilizziamo l’annessina 5 implica anche l’impiego di un marcatore fluorescente, perché l’annessina deve essere per forza coniugata con un fluorocromo affinché noi possiamo rilevarla in fluorescenza. L’evidenziazione della traslocazione della fosfatidilserina è sempre accompagnata da una marcatura della componente nucleare. Solitamente il protocollo prevede l’impiego dello ioduro di propidio, che è capace di marcare il nucleo soltanto quando le cellule si trovano in un determinato stato fisiologico. Lo ioduro di propidio fa sì che contemporaneamente noi riusciamo a definire quella che è la morfologia nucleare nel corso dell'apoptosi. Da un punto di vista sperimentate l'anexina quinta coniugata con una molecola fluorescente non marca una cellula che si trova in una condizione di normalità, perché la fosfaditilserina si trova nel versante interno del doppio strato fosfolipidico. Questo è indice di stadio iniziale dell’apoptosi. Quando però la fosfaditilserina viene traslocata (quindi si sposta nel versante esterno), l'annexina quinta fluorescente è in grado di riconoscere questo fosfolipide e di evidenziarlo. La traslocazione della fosfaditilserina non è l'unico segnale eat-me per il riconoscimento che viene esposto o presentato dalla cellula apoptotica perché possa poi essere rimossa dal fagocita. Sono presenti degli altri segnali come la perdita di residui di acido sialico con conseguente riconoscimento delle lectine. Un altro segnale è la formazione tramite una molecola ponte che prende il nome di trombospondina che è in grado di riconoscere la molecola presente sulla membrana della cellula apoptotica ed è in grado di riconoscere un complesso che è rappresentato dai recettori della trombospondina che sono deltaVbeta3 e CD36. Sembrerebbe esserci una sequenza temporale nell’esposizione dei segnali eat-me da parte della cellula apoptotica in modo che il fagocita abbia la possibilità di riconoscere la cellula apoptotica, ai fini della rimozione anche in momenti più avanzati. In vivo tutto questo si verifica rapidamente. Esempio: quando il frammento apoptotico viene riconosciuto dal macrofago (possono essere anche delle colture in vitro). I macrofagi sono delle cellule che derivano fai monociti e sono delle cellule circolanti, non sono adese ad un substrato di crescita. Per far sì che il monocita diventi macrofago è stato attivato, quindi è stato indotto per diventarlo. Per poterlo studiare nel momento in cui fagocita un frammento apoptotico è stata realizzata una co- cultura. Dunque, inizialmente sono stati fatti aderire al substrato di crescita i monociti in modo che diventassero macrofagi. Successivamente alla cultura dei macrofagi è stata aggiunta una coltura di cellule che erano state sottoposte a trattamento farmacologico in modo da indurre l'apoptosi. La superficie di un macrofago è ricca di lamellipodi, pseudopodi e protrusioni di superficie stessa. Dove il macrofago è ancora aderente al substrato di crescita e sono presenti ripiegamenti della superficie cellulare, ci sono delle zone che sono perfettamente lisce. A livello del rigonfiamento è stato fagocitato un corpo apoptotico. Il macrofago quando trova un frammento apoptotico è in grado di emettere una sorta di espansione della sua superficie che abbraccia il frammento che deve essere rimosso, lo ingloba e riescono a fagocitare. Gli eventi che si manifestano nel corso dell’apoptosi non sono legati soltanto a quello che capita a livello nucleare, ma capitano anche a livello citoplasmatico. C’è un interessamento degli organuli, come i mitocondri. Ma altre componenti cellulari che costituiscono il citoscheletro, microfilamenti di actina piuttosto che filamenti intermedi, piuttosto che componenti microtubulari sono tutti coinvolti durante il processo apoptotico e tutte queste componenti proteiche sono danneggiate e depolimerizzate nel corso del processo apoptotico. Le maggiori modificazioni si hanno a carico della componente microtubulare, in cui non si vede più l’organizzazione tipica dei microtubuli che formano dei fasci ordinati, in quanto il loro ruolo è quello di contribuire al mantenimento della forma, garantire il movimento di organuli. Anche i filamenti intermedi subiscono delle modificazioni nel corso del processo apoptotico. Particolarmente interessante risulta essere il comportamento dei microfilamenti di actina, che sembrerebbero essere quelli che per ultimi risentono (cercano di resistere il più possibile) del danno apoptotico. Svolgono un ruolo fondamentale perché immediatamente al di sotto della membrana plasmatica noi troviamo il cortex di actina, il quale è responsabile della formazione del budding prima e del fenomeno del bladding dopo per via dello scollamento che si verifica per disorganizzazione dei microfilamenti di actina. Questi intervengono anche nella costituzione di anelli che vanno a contenere frammenti nucleari che si distaccano dalla cellula apoptotica stessa. Nel momento in cui abbiamo il dissolvimento della componente nucleare, persistono ancora delle zone di adesione al substrato di crescita in cui i filamenti di actina sono ancora organizzati in una sorta di strutture che formano dei piedi di attacco al substrato di crescita. Il processo apoptotico è comunque un evento che si verifica anche nel corso dello sviluppo del nostro organismo in tutta una serie di processi. I momenti classici di innesco di eventi apoptotici durante lo sviluppo embrionale sono per esempio quelli che prevedono la rimozione della membrana interdigitale, che al momento della formazione del feto si ha nella mano e nel piede. Praticamente, la prima formazione del nostro organismo prevede mani e piedi palmati. Cosa succede nel corso dello sviluppo? Succede che quella membrana che tiene insieme le dita viene persa per un processo apoptotico. Consideriamo gli anfibi: la rana nasce come girino. Il girino, man mano che si sviluppa e diventa rana, perde la coda. La perdita della coda negli anfibi avviene proprio attraverso un meccanismo di apoptosi. Nei mammiferi, gli eritrociti nascono come cellule nucleate, quindi come eritroblasti. Ma nel corso nello sviluppo, si ha attraverso un meccanismo di apoptosi parziale l’eliminazione del nucleo. I globuli rossi sono responsabili dei gas respiratori. Quindi, l’ingombro del nucleo, darebbe fastidio. Nel globulo rosso troviamo l’emoglobina, che è necessaria perché possano avvenire gli scambi respiratori. Quando noi troviamo una situazione in cui il nucleo viene perso ma persistono ancora degli organuli non parliamo più di eritoblasto ma parliamo di reticolocita. Quando il reticolocita perde completamente gli organuli otteniamo il globulo rosso maturo. Una volta che l’eritrocita ha trascorso la sua vita diventa una cellula senescente e viene rimosso dai macrofagi. Le cellule sono in grado di innescare due processi di morte, l’apoptosi e la necrosi. In realtà, studi più recenti hanno dimostrato che esiste un ulteriore tipo di morte cellulare, chiamata morte cellulare autofagica. Questo tipo di morte cellulare è caratterizzato dal fatto che quello che capita a livello citoplasmatico (cioè le modificazioni che interessano la cellula in questo tipo di morte) avvengono prima a livello del citoplasma e successivamente a livello nucleare. Mentre invece nell'apoptosi abbiamo condensazione della cromatina e questa è accompagnata dall’inizio delle modificazioni che si verificano a livello citoplasmatico con però mantenimento dell’integrità degli organuli, sennò andrebbe incontro alla necrosi. Nell'autofagia i mitocondri sono ancora funzionanti perché devono essere in grado di supportare quelli che sono i meccanismi di autofagia. Cioè, mentre nel caso dell'apoptosi il ruolo fondamentale per l’innesco di tutto il processo è rappresentato dalla componente mitocondriale, nel caso dell'autofagia riveste un ruolo fondamentale la via lisosomiale. In questo caso la formazione di vacuoli autofagici implica una degradazione della cellula a livello citoplasmatico a cui fa seguito una serie di modificazioni che si verificano a carico della cellula che sta andando incontro alla degradazione finale che può seguire (come nel caso della morte cellulare per apoptosi) una condizione per cui non essendoci infiammazione arriviamo all'evento finale che è caratterizzato dal fatto che i fagociti rimuovono il tutto (e quindi non abbiamo infiammazione). Lo stesso vale per la morte cellulare autofagica: quando noi abbiamo delle cellule particolarmente grandi, non possono essere immediatamente fagocitate. Quindi hanno la necessità di essere ridotte da un punto di vista dimensionale, ai fini della rimozione da parte dei fagociti. Anche nel caso della morte cellulare autofagica, quando noi non abbiamo il processo rapido e non si verifica alcun evento infiammatorio, anche la cellula frammentata che deriva dal processo di autofagia viene rimossa dai fagociti professionisti e non (dipende sempre dalle condizioni in cui si sta analizzando l’evento, cioè in vivo o in vitro). Nel caso in cui ci fosse il confluire dei processi verso la necrosi avremo dei processi infiammatori di natura secondaria che possono danneggiare anche il tessuto circostante. ISTODIFFERENZIAMENTO Durante i processi di sviluppo embrionale, grazie alla definizione di quelli che sono i foglietti embrionali (ectoderma, mesoderma ed endoderma) è possibile ottenere delle cellule differenziate che sono in grado di acquisire delle particolari caratteristiche che consentono poi di far parte di un determinato tessuto. Quello che è fondamentale è quello che capita durante il processo del differenziamento: durante il percorso differenziativo le cellule sono in grado di regolare, modulare la propria attività genica esprimendo o reprimendo determinati tipi di geni. Inoltre, questo implica che nel corso dei processi divisionali si abbia una differente ripartizione di determinate proteine regolatrici che fanno sì che le cellule figlie acquisiscano quelle caratteristiche morfologiche, funzionali e biochimiche che consentiranno ad esse di definire ed entrare a costituire i tessuti. Naturalmente quando si ha questa differente ripartizione dei determinanti antigenici si ottiene una sintesi differenziale di altrettante proteine che definiscono poi le peculiarità morfo-funzionali di ogni tipo cellulare. Ciò implica l’ottenimento di un elevato numero di cellule che saranno in grado di andare a costituire i tessuti. Quando noi facciamo riferimento ad un tessuto, dobbiamo considerare che nell’ambito di ogni determinato tessuto possiamo trovare delle cellule che presentano peculiarità simili. La similitudine è strettamente legata alla derivazione embrionale, all’espressione di determinati marcatori, funzione e morfologia. Queste sono le basi che sottostanno alla definizione di un tessuto. Le cellule che entrano nella costituzione di un tessuto sono una popolazione abbastanza omogenea, ma in realtà non è sempre così. Affinché noi possiamo definire un tessuto come entità perfettamente distinta dobbiamo prendere in considerazione un altro processo, chiamato istodifferenziamento. Per cui, mentre nel differenziamento abbiamo l’acquisizione da parte delle cellule di quelle peculiarità appena citate, nel corso dell’istodiffenziamento, tipi cellulari che hanno un elevato grado di affinità sono in grado di cooperare tra di loro e sono in grado di organizzarsi a formare delle strutture che siano coerenti da un punto di vista funzionale e che abbiano anche un certo grado di complessità. Affinché un tessuto possa essere definito è necessario prendere in considerazione alcuni parametri. La possibilità che esistano dei mezzi di comunicazione tra cellule è legata ai fattori di riconoscimento presenti, per esempio, sul glicocalice. Per cui quando vengono messi in atto questi sistemi di connessione ai fini di riconoscimento cellulare, cellule simili si riconoscono e si uniscono tra loro e sono in grado di definire un tessuto. Ma i tessuti si differenziano in parte perché tutti sono costituiti da cellule con un elevato grado di affinità. Per esempio, se noi facciamo riferimento al tessuto di rivestimento ci ritroveremo in una condizione in cui sono presenti cellule strettamente aderenti tra di loro, ma manca quella che viene chiamata matrice extracellulare. Essa è una componente fondamentale presente per esempio nei tessuti connettivi, siano essi propriamente detti piuttosto che specializzati, con funzione di sostegno, come per esempio cartilagine e ossa, oppure tessuti connettivi che presentino una matrice fluida come per esempio sangue e linfa. La capacità di sintetizzare e secernere determinate sostanze fa sì che quelle tipologie cellulari entrino nella costituzione di un’altra tipologia di tessuto. Però, affinché un organismo possa interagire con l’ambiente esterno e affinché possano essere strettamente collegati tutti gli apparati presenti all’interno dell’organismo stesso, è necessario che alcune tipologie cellulari si specializzino in maniera tale da creare una rete funzionale. Questa rete funzionale è la capacità che hanno le cellule di stabilire dei contatti giunzionali che sono le sinapsi. Le sinapsi possono essere di natura chimica di natura elettrica. Se facciamo riferimento alle sinapsi chimiche, ci rendiamo conto come per esempio un neurone sia in grado di stabilire delle strette connessioni con il tessuto muscolare o quello scheletrico, garantendo la contrazione e quindi la possibilità che venga reso possibile il movimento. Il fatto che ci sia tutta questa stretta relazione e che vengano soddisfatte queste condizioni, rientrano nella definizione di istodifferenziamento. I processi che noi dobbiamo prendere in considerazione qualsiasi sia il tipo di tessuto, dobbiamo sempre ricordarci qual è la sua regione embrionale, quale peculiarità presentano le cellule che lo costituiscono e soprattutto quali sono le ulteriori capacità funzionali che queste cellule hanno e che acquisiscono nel corso dell’istodifferenziamento. Quando si parla di tessuti si fa riferimento a una classificazione che prevede la valutazione del ciclo vitale delle cellule che costituiscono questi tessuti: labili, stabili, perenni. Quando mi trovo ad una popolazione cellulare di un determinato tessuto labile, significa che queste cellule vanno incontro a processi di proliferazione che sono legati alla sostituzione di quegli elementi che vengono persi durante la normale vita dell’individuo. Per cui, sono delle cellule che hanno la capacità di proliferare nel corso della vita di un individuo. Cosa capita quando ci troviamo di fronte a delle cellule che vanno costituire i tessuti e che perdono la capacità di proliferazione quando hanno raggiunto la condizione di cellule terminalmente differenziata? In questo caso parliamo di elementi cellulari stabili (tessuti stabili) in cui se è vero che il processo di differenziamento terminale implica un arresto dell’attività proliferativa, è anche vero che a volte in caso di danni a quel determinato tessuto ci sono degli elementi cellulari che sono in grado di riattivare la capacità proliferativa al fine di sostituire o rimpiazzare quella porzione di tessuto che è stato danneggiato. Quando ci si trova invece a duna condizione di tessuto caratterizzato dalla presenza di elementi cellulari perenni significa che le cellule che costituiscono quel tessuto, una volta che hanno raggiunto lo stato di differenziamento terminale, non sono più in grado di proliferare. Questo è il caso dei neuroni. Per cui, quello che capita durante il processo normale di evoluzione della vita di un individuo quando si passa dalla nascita, la crescita, lo sviluppo fino ad arrivare all’età senile, nel caso delle cellule tipiche del tessuto nervoso gli elementi che invecchiano e che possono essere persi, di fatto non vengono sostituiti. Questo proprio perché le cellule hanno totalmente perso a capacità proliferativa. I TESSUTI: INTRODUZIONE GENERALE Quando facciamo riferimento ai vertebrati possiamo considerare la presenza di 4 categorie principali di tessuto o tessuti fondamentali: i tessuti epiteliali (o tessuto epiteliale); il tessuto connettivo (o connettivale); il tessuto muscolare; il tessuto nervoso (o tessuti nervosi). TESSUTO EPITELIALE Perché parliamo di tessuti epiteliali? Perché il tessuto epiteliale come prima classificazione, prevede una suddivisione in: epitelio di rivestimento; epitelio ghiandolare. Rientrano nella categoria del tessuto epiteliale l’endotelio e il mesotelio. Ø L’endotelio è il tessuto epiteliale che troviamo a livello dei vasi, che delimita quindi e definisce il calibro del vaso. Ø Il mesotelio è quella parte del rivestimento epiteliale che troviamo a carico degli organi interni. Le cellule tumorali non rispondono a nessun tipo di regola. Quindi, sono capaci di crescere in maniera incontrollata. Dipende sempre dalla tipologia del tumore. Se è un tumore rivestito da una capsula solitamente è un tumore benigno, per cui può essere anche asportato. Il problema è diverso quando abbiamo a che fare con tumori come il carcinoma della mammella. In questo caso le cellule tumorali non rispondendo a controlli già nel loro ciclo vitale perché sfuggono a tutti i check point che sono presenti durante tutte le varie fasi del ciclo cellulare, avremo un check point che impedisce il passaggio da G1 a S, ecc.. in modo che eventuali danni a carico del DNA possano essere riparati. Nel caso delle cellule tumorali, esse riescono a sfuggire ai punti di controllo del ciclo, anche perché durante lo sviluppo di neoplasia, succede che molte delle proteine che dovrebbero regolare (esempio il P53) possono essere ipoespresse o iperespresse. Quindi succede che non potendo più indurre la morte delle cellule neoplastiche, queste continuano a proliferare. In casi come carcinomi che sono le patologie tumorali peggiori che ci siano, dalla massa iniziale (dal tumore primario) si staccano elementi cellulari che vanno a colonizzare degli organi che sono anche a distanza, determinando quindi l’innesco di metastasi. Qual è l’abilità delle cellule tumorali? Sono in grado di autoindurre la formazione di vasi. Affinché i tessuti possano andare avanti e sopravvivere è necessario che ci sia un adeguato apporto di sostanza nutritive. Quest’ultimo avviene grazie al ciclo sanguigno. Le cellule tumorali sono in grado di determinare un’autoformazione di vasi in modo da potersi supportare. Questo determina una assoluta incontrollabilità della crescita tumorale che non implica un processo di senescenza delle cellule tumorali. Questo perché per quanto un tumore primario possa anche rimanere confinato nell’organo in cui ha avuto origine, è anche vero che tutte le cellule tumorali che si sono distaccate dal tumore primario e hanno raggiunto altri organi determinano un aumento della proliferazione in altre sedi con conseguente morte del soggetto che presenta il tumore. Questo perché ormai queste tipologie di cellule mandano in confusione tutto il sistema di regolazione di un determinato apparato. Nel momento in cui in un organismo vengono a mancare le relazioni funzionali e le connessioni tra i vari sistemi e apparati, si va incontro alla morte. Questo perché quando noi abbiamo un’alterazione per esempio a livello renale, a livello respiratorio, di fatto si crea un’alterazione multi-organo e multi- sistema e multi apparato e il soggetto non riesce più a mettere in atto nessun tipo di meccanismo di difesa. Quando si dice che un soggetto affetto da patologie neoplastiche va in blocco renale significa che il sistema di filtrazione del sangue non funziona più. Il fegato continuerà a funzionare male, per cui ci sarà un accumulo di prodotti di scarto a livello delle urine, che non riescono poi a filtrare in maniera opportuna. Una volta che abbiamo uno scompenso così grande in tutti gli apparati si va incontro alla morte. Questo per dire che le cellule tumorali non rispondono ai criteri classici, per cui una determinata tipologia cellulare può raggiungere lo stato differenziato perché le cellule tumorali non sono cellule differenziate. Sono quindi dotate di capacità proliferativa. Se in qualche modo si riuscisse a intervenire in maniera selettiva sulle cellule tumorali non ci sarebbe più lo sviluppo di tumori. Le cellule tumorali non sono cellule perenni. Quello che capita è che queste cellule purtroppo fanno quello che vogliono perché hanno un grado di differenziamento bassissimo. Quantomeno una cellula è differenziata, tanto più è proliferante. Può anche capitare che ci siano degli eventi di retrodifferenziamento, per cui delle cellule apparentemente erano cellule normali possono retrodifferenziare, cioè fanno il processo inverso e acquisiscono nuovamente la capacità proliferativa. Ma nel caso delle cellule tumorali non possiamo farle rientrare né in cellule stabili né in cellule perenni, né in cellule labili, perché il loro stato diffenziativo è nullo, nel senso che è indifferenziata. Una cellula perenne è il neurone. Una cellula labile è un enterocita, una cella tipica dell’epitelio intestinale. Una cellula stabile può essere una cellula del tessuto muscolare o del tessuto cartilagineo o del tessuto osseo. TESSUTO CONNETTIVO Si parla di tessuti connettivi perché in questo tessuto rientrano delle tipologie di tessuto connettivo, che peraltro hanno delle caratteristiche ben definire. Rientrano: i connettivi propriamente detti; i connettivi con funzione di sostegno (cartilagine e osso); il sangue; il tessuto adiposo. Che cosa differenzia queste tipologie di tessuti? Le caratteristiche sono tutte uguali: abbiamo sempre una componente cellulare e una matrice extracellulare ben definita. Da non dimenticare, hanno una buona distribuzione di componenti fibrillari, fondamentalmente collagene e elastina. Quello che cambia in queste tipologie di tessuto connettivo è la composizione della matrice. Nel caso della cartilagine ci troviamo in presenza di una matrice in cui le cellule si trovano immerse. Ma questa matrice mantiene ancora un certo grado di densità. Cambia completamente il grado di mineralizzazione nel caso della matrice ossea, per cui di fatto si annulla quasi del tutto la quantità di acqua presente nella matrice ossea. In questo caso le cellule tipiche dell’osso che hanno raggiunto lo stato di differenziamento terminale rimangono bloccate in questa matrice dura. Cosa succede nel sangue? Il sangue è un liquido e in particolare un tessuto connettivo in cui gli elementi figurati (cioè le cellule) viaggiano in una matrice fluida. Anche il tessuto adiposo viene fatto rientrare tra i tessuti connettivi anche se secondo alcuni visioni gli può essere dato il ruolo di tessuto assestante. TESSUTO MUSCOLARE Il tessuto muscolare tipico del muscolo è divisibile in due grandi categorie: tessuto muscolare striato; tessuto muscolare liscio. Nell’ambito dello striato bisogna considerare un’altra differenziazione: tessuto muscolare striato scheletrico, che è quello dei muscoli che ci consentono il movimento; tessuto muscolare cardiaco, che è il tessuto tipico del cuore. Dove si ritrova la muscolatura liscia? Mentre noi vediamo il muscolo che si contrae quando facciamo un movimento e sentiamo il cuore che batte, il tessuto liscio non lo vediamo. Esso è presente a livello degli organi interni e anche nelle porzioni muscolari dei vasi. Naturalmente quello che varia, oltre all’organizzazione morfologica di queste tipologie di muscolo (striato e liscio), è anche la diversa tipologia di nervazione. TESSUTO NERVOSO Il tessuto nervoso è quello che garantisce che un determinato individuo possa ricevere stimoli dall’ambiente esterno e possa anche rispondere a questi stimoli in un determinato modo. Quello che capita è che grazie alle condizioni che il tessuto nervoso è in grado di stabilire, tutto l’organismo funziona nel modo ottimale. Che cosa rientra nel tessuto nervoso? L’encefalo, contenuto nella cavità cranica, è costituito da cervello e cervelletto; il midollo spianale, che troviamo nella colonna vertebrale; le zone sensoriali, che sono i gangli e gli organi di senso. INTESTINO DI UN MAMMIFERO: quando facciamo riferimento a delle sezioni istologiche, difficilmente ci troviamo davanti a sezioni in cui è presente un unico tessuto. Questo perché tutto ciò che viene prelevato che sia una porzione di organo che viene prelevato in laboratorio per attività sperimentale, fa sì che ci si renda conto che ogni porzione, sezione che noi osserviamo è una struttura molto complessa. Questo perché identifichiamo la componente epiteliale, che è quella che si affaccia sul lume dell’intestino. Quest’ultimo è un organo cavo. Le cellule epiteliali sono strettamente adese tra di loro a formare una lamina. Cosa c’è immediatamente al di sotto del tessuto epiteliale? È presente il tessuto connettivo, in cui cambia notevolmente la distribuzione delle cellule, le quali non sono più associate tra di loro. Queste sembrano nuotare liberamente nella matrice extracellulare. Spesso all’interno di questa componente tissutale, noi riusciamo ad identificare delle componenti fibrose. Man mano che andiamo sempre più in profondità, verso l’interno, incontriamo delle cellule che presentano una differente organizzazione. Queste due parti organizzate in questo modo sono delle cellule muscolari lisce che presentano una disposizione longitudinale o circolare che è strettamente legata alla funzione che il muscolo liscio in questo caso ha per garantire per esempio i movimenti peristatici. Questi ultimi sono quei movimenti che consentono la progressione del cibo che abbiamo introdotto nella bocca dopo la prima digestione che appunto avviene nella bocca. Quindi il cibo, una volta che inizia la digestione arriva nell’intestino e affinché possa progredire (perché non tutto quello che viene introdotto viene assorbito o digerito), deve essere digerito fino all’espulsione dei prodotti di scarto indigeriti. I movimenti peristatici possono avvenire anche al contrario. Quando per esempio abbiamo il conato di vomito, è un movimento peristatico al contrario. Ancora, se noi osserviamo la sezione trasversale di una parte della parete dell’intestino di un mammifero vediamo che al di sotto del tessuto muscolare troviamo ancora del connettivo. E ancora, una componente laminare, una lamina di cellule epiteliali che altro non sono che le cellule che entrano a costituire il mesotelio. Quel mesotelio altro non è che una lamina di cellule epiteliali che riveste tutto l’organo, cioè tutto l’intestino (in questo caso). Un aspetto particolarmente importante quando si effettuano delle valutazioni istologiche, è capire esattamente come è stato sezionato quel determinato frammento di organo. È possibile sezionare un organo o una sua porzione secondo dei piani differenti. Il fatto che ci sia un diverso sezionamento implica l’ottenimento di immagini che comprenderanno o meno alcuni oggetto che sono di nostro interesse. È possibile ricostruire anche un’immagine, in che modo? Utilizzando delle sezioni seriali. Per ottenere delle sezioni si deve includere il frammento opportunamente trattato in un supporto che garantisca un certo grado di solidità alla struttura. Le sezioni seriali sono sezioni di taglio. Si taglia il frammento di organo che è stato reso opportunamente stabile perché incluso in paraffina. Poi, utilizzando un apparecchio particolar chiamato microtomo riesco a realizzare delle sezioni, dei nastri continui dove vado a ritrovare poi dello specifico frammento d’organo da cui sono partita. Una volta ottenute le varie sezioni posso ricostruirle tridimensionalmente. Questo può essere fatto grazie ad un’elaborazione grafica. Il fatto che si effettuino delle sezioni seriali spesso è legato a quello che si vuole cercare. Perché quando effettuo normalmente una sezione di un organo, io posso avere o delle sezioni trasversali, delle sezioni oblique, o delle sezioni longitudinali. Questo dipende sempre dal tipo di struttura che io sto considerando. Se prendo una porzione di intestino ho una struttura tubulare. Questa io la posso sezionare secondo diverse modalità. L’ottenimento dell’immagine è strettamente legato alla sezione di taglio. Esempio: il tronco di un albero. Se decido di tagliare questo tronco perché la pianta è vecchia o malata, devo eliminare la pianta. Faccio una sezione trasversale, quindi taglio secondo il lato corto dell’albero stesso. Se io guardo dall’alto la sezione che è ottenuto, non vedo più tutta la lunghezza del tronco, ma vedrò gli anelli concentrici che definiscono l’età dell’albero. La stessa cosa capita quando effettuo una sezione trasversale di una struttura tubulare che sia perfettamente organizzata e disposta nel mio blocchetto di inclusione, perché il mio interesse è quello di vedere che cosa succede quando io esamino in sezione trasversale quel determinato intestino. Quindi mi interessa vedere soltanto tutto quello che delimita il lume. Se io faccio una sezione tale per cui riesco a vedere tutto il lume intestinale, è come se avessi tagliato il tronco dell’albero, e in questo modo riesco a vedere tutto ciò che c’è all’interno, cioè vedo il lume dell’intestino. Se invece all’interno della mia inclusione per esempio, il frammento di intestino è posizionato in modo tale che la lama del microtomo lo tagli secondo una sezione obliqua, io non ottengo più una circonferenza ma ottengo un’ellisse. Se invece taglio questa struttura tubulare secondo una sezione longitudinale, posso decidere di tagliare in mezzo per cui otterrò due parti speculari, oppure posso effettuare il taglio nelle porzioni più prossime all’estremità e in quel caso vedo come è organizzata la porzione che non si affaccia direttamente sul lume. Quindi non vedo la cavità, ma ottengo una sezione con una forma più o meno rettangolare. Dal momento che stiamo parlando di strutture tubulari, è possibile che questa struttura tubulare abbia assunto all’interno della mia inclusione una forma a U. Quindi, quando io taglio, a seconda dell’altezza del taglio io riuscirò ad ottenere delle immagini che sono differenti. Questo perché se taglio in prossimità del punto in cui si ha l’origine della U io otterrò una struttura simil infinito. Se invece il piano di taglio avviene in una zona un po’ più profonda otterrò un’ellisse. Se vado ancora più in profondità otterrò o un’ellisse cava o un’ellisse piena (perché ho preso la porzione più esterna dell’organo). Supponiamo adesso di avere una struttura sferica: anche qua, se devo tagliare, sezionare una struttura di questo tipo, a seconda dell’altezza del taglio otterrò delle immagini differenti. Per cui, al centro di questa sfera avrò una disposizione di un’unica lamina cellulare. Se vado un po’ più in alto ottengo una sezione in cui aumenta l’organizzazione delle varie tipologie cellulari presenti all’interno di questo organo o suo frammento. A seconda del piano di taglio di un determinato organo avrò la possibilità di identificare (dopo opportuna colorazione) l’organizzazione specifica di quel tessuto, o meglio l’organizzazione specifica del tessuto che fa parte di quel determinato organo. L’istologia riguarda proprio lo studio dei tessuti. Tutto quello che può essere considerato come epitelio presenta delle caratteristiche peculiari ben precise: è possibile definire delle strutture che possono essere lamine o cordoni costituite da uno o più strati di cellule. Le cellule che entrano in una costituzione degli epiteli sono caratterizzate dalla stretta adesione tra di loro. Gli epiteli possono essere classificati in: epiteli di rivestimento; epiteli ghiandolari. Quindi, gli epiteli di rivestimento o gli epiteli in generale possono apparire come delle lamine o dei cordoni, e le cellule che entrano nella composizione di queste strutture sono caratterizzate dal fatto di essere strettamente adese tra di loro. Non solo, ma sono caratterizzate dal fatto di avere la superficie apicale che è libera, ed è sempre rivolta verso la cavità piuttosto che l’ambiente esterno o un dotto. Per esempio, se considero un epitelio di rivestimento che riveste tutto il nostro corpo (quindi se considero la pelle), la pelle sarà esposta e affacciata verso l’ambiente esterno. Se io guardo all’interno di un intestino la componente epiteliale si troverà affacciata nella cavità. Se io ho un dotto escretore delle ghiandole avrò la componente epiteliale che si affaccia nel lume del dotto. Un’altra particolarità di questa tipologia tissutale è che di fatto non è presente la matrice extracellulare. Si presta particolare attenzione alla tipologia di cellule che definiscono quel particolare tessuto epiteliale. Un’altra caratteristica è che gli epiteli, avendo un’organizzazione cellulare tale per cui le cellule sono strettamente adese e addossate tra loro, è che non presentano vascolarizzazione, ma presentano innervazione. Tutti gli epiteli poggiano sempre su una membrana basale o lamina basale che li separa dal tessuto connettivo. Perché gli epiteli sono privi di vascolarizzazione? Dal momento che sono costituiti da cellule e non è presente matrice extracellullare, automaticamente indica che la vascolarizzazione è una peculiarità tipica del connettivo sottostante. Per cui è il connettivo che garantisce il supporto agli epiteli, cioè che è altamente vascolarizzato. Quindi quando ci tagliamo e viene fuori il sangue, esso viene fuori non perché abbiamo rotto o danneggiato l’epitelio, ma perché siamo andati in profondità e abbiamo “colpito” anche il connettivo che è altamente vascolarizzato. Se io prendo un ago o avvicino la mano al ghiaccio piuttosto che al fuoco, riesco a percepire il caldo, il dolore, il freddo? Si, perché proprio negli strati dell’epitelio, è presente un’elevata innervazione. Sono presenti anche delle zone sensoriali difese a livello epiteliale. Per cui, quando considero gli epiteli di rivestimento definisco l’organizzazione morfologica del tessuto, e cioè cellule in uno stato di contiguità quindi strettamente associate tra loro. Esse possono avere differente organizzazione. Sono presenti a livello di tutte le superfici dell’organismo. Possono essere esterne, quando noi facciamo riferimento all’epidermide nella cute, quindi rivestono esternamente tutto l’organismo. Se andiamo a prendere in esame gli organi interni, questi avranno una componente epiteliale che si affaccia sul lume. In questo caso abbiamo la connessione con l’ambiente esterno, oppure possiamo considerare per esempio l’apparato circolatorio piuttosto che la componente del peritoneo piuttosto del pericardio, che non hanno comunicazione con l’esterno. Però comunque rivestono le cavità interne. Quindi, epiteli di rivestimento perché rivestono tutte le superfici del nostro corpo, ma è in grado di esplicare delle funzioni di protezione e di regolazione del passaggio di determinate sostanze. Nel senso che non è che attraverso l’epitelio di rivestimento all’interno del nostro organismo passa di tutto. Questo non avviene perché avendo una localizzazione così specifica è in grado di rappresentare una barriera nei confronti di agenti esterni, che possono essere di natura chimica o microrganismi. È altamente specializzato nel garantire una difesa contro la disidratazione. La presenza di epitelio di rivestimento impedisce che i tessuti più profondi possano essere danneggiati dalle radiazioni ultraviolette. Il tessuto epiteliale di rivestimento non si limita solo a rivestire la superficie esterna del nostro organismo, ma è anche in grado di regolare il passaggio di determinate sostanze. In che senso? Perché il tessuto epiteliale di rivestimento è implicato per esempio, nei processi di assorbimento di sostanze nutritive a livello intestinale, piuttosto che intervenire e regolare la capacità degli stadi respiratori dell’apparato respiratorio. Ha necessità di intervenire in quelli che sono processi di riassorbimento e di regolazione e formazione dell’urina, e quindi nei meccanismi escretori. Non è che noi eliminiamo soltanto l’urina, perché parte dei liquidi che vengono persi dal nostro organismo vengono persi anche sotto forma di sudore. Il fatto che ci sia una perdita d’acqua, la cui concentrazione è percentuale, è garantito dal fatto che la possibilità di regolare (e quindi di eliminare acqua anche sotto forma di sudore), ha anche la duplice funzione di mantenere costante la nostra temperatura. Noi mammiferi siamo omeotermi, temperatura 37°. La temperatura normale oscilla tra 36,5° massimo 37°. In generale, il mantenimento della temperatura corporea costante è data proprio dall’equilibrio e dalla regolazione messa in atto dal tessuto epiteliale. Esso è in grado anche di avere un certo grado di sensibilità. Questo perché avendo una precisa localizzazione noi riusciamo (grazie alla presenza di terminazione nervose) a percepire gli stimoli che provengono dall’ambiente esterno. In questo modo noi veniamo protetti da una radiazione ultravioletta anche perché gli epiteli di rivestimento sono caratterizzati da cellule che possono svolgere delle funzioni ben precise. La loro presenza nell’epitelio giustifica la funzione che l’epitelio sta svolgendo. Per esempio, quando consideriamo l’epidermide, ci sono delle cellule chiamate melanociti che sono cellule in cui sono presenti granuli di melanina. La melanina è responsabile del colore della pelle. Come mai le svedesi sono per la maggior parte bionde con gli occhi azzurri mentre chi viene dal Senegal ha una pelle scurissima? Questo per proteggere quel determinato individuo dal sole. Quando ci troviamo in zone (come quelle prossime all’equatore) in cui la radiazione solare è fortissima il colore della pelle delle persone che vivono li deve per forza essere scura. La melanina ha quindi massima espressione. Al contrario, gli svedesi avranno non solo una pelle chiara, ma anche più sottile. Questo perché è esposta alla luce ad una quantità di ore minore. Ed essendo più lontana dall’equatore (quindi l’inclinazione della radiazione solare è minima) chiaramente in quel caso la quantità di melanina minore. Ci sono poi i casi limite in cui non è presente per niente melanina e allora ci troviamo di fronte alla condizione di albinismo, in cui mancano i pigmenti che danno colorazione alla pelle e ai capelli. Si possono identificare diverse tipologie di epitelio di rivestimento. Quello che cambia è la quantità e il numero di strati che vanno a definire i vari epiteli. Per cui posso avere un epitelio semplice in cui trovo solo uno strato di cellule, ma posso trovare anche un epitelio in cui il numero di strati di cellule che lo costituiscono aumenta. Chi tra gli organi che noi possiamo prendere in considerazione svolge e ha implicazioni direttamente correlate al tessuto epiteliale? La pelle rientra in pieno nella definizione di rivestimento. Definisce tutto il nostro organismo. L’intestino a livello intestinale avviene l’assorbimento di sostanze nutritive. I processi respiratori si verificano a livello polmonare. Nel testicolo e nell’ovaio troviamo attività proliferativa. Le strutture deputate alla secrezione sono le ghiandole, che possono essere di tipo endocrino o esocrino, quindi capaci di secernere un secreto con modalità differenti. Ancora, perché siamo in grado di percepire odori e di avere una sensibilità tattile? Perché a livello sia della pelle che della mucosa ci sono dei granuli sensoriali che supportano la funzione dell’epitelio stesso. Le cellule epiteliali si presentano associate tra loro e poggiano tutte sulla membrana basale. Immediatamente al di sotto della membrana basale io trovo il tessuto connettivo. Quest’ultimo è vascolarizzato. C’è la presenza di un vaso con all’interno globuli rossi. Quindi, il fatto che ci sia vascolarizzazione nel tessuto connettivo fa sì che i nutrienti che arrivano grazie al circolo sanguigno possano raggiungere le cellule del tessuto epiteliale. È anche vero che non abbiamo in una cellula soltanto un’attività metabolica positiva, ma abbiamo anche un catabolismo che implica quindi la produzione di sostanze di scarto che vengono poi raccolte ancora dal circolo sanguigno e opportunamente eliminate. Se è vero che non è presente vascolarizzazione, è vero che sono presenti tante terminazioni nervose. Ecco perché la pelle per esempio è particolarmente sensibile. Se si poggia una mosca sulla mano, noi la sentiamo. Questo è legato al fatto che sono presenti delle terminazioni nervose che segnalano all’epidermide che c’è qualche cosa che non fa parte del nostro organismo. Solitamente si effettuano delle colorazioni che consentono di discriminare tra componente citoplasmatica (rosa più chiara) e componente nucleare (che appare con una colorazione violacea, che può o essere più o meno intensa). Al di sopra della membrana basale si identifica la componente connettivale. I due tessuti (epitelio e connettivo) sono organizzati in modo diverso. Le cellule del tessuto epiteliale sono strettamente associate tra di loro a formare una struttura particolarmente ordinata. Ci sono delle parti dotate di specializzazioni, in quanto hanno delle estroflessioni, delle ciglia. Cosa capita se osservo il tessuto connettivo? Il grado di ordine di distribuzione delle cellule cambia completamente. Questo perché le cellule sono tutte immerse in una matrice in cui è presente una componente fibrillare data principalmente dal collagene. Sono presenti delle zone di vascolarizzazione, dei vasi. Perché dico che si tratta di un vaso? Perché definisco il nucleo di questo vaso che altro non è che il nucleo della cellula endoteliale. L’endotelio fa parte del tessuto epiteliale. Una singola cellula endoteliale può definire il calibro di un vaso. Per cui, quando vedo una cavità con un nucleo evidente in cui posso vedere o meno globuli rossi all’interno, sicuramente mi trovo di fronte ad un vaso. Tutte le cellule poggiano sulla lamina basale. Questo significa che la superficie basale delle cellule prenderà contatto con la lamina basale. La superficie apicale sarà quella che si affaccia nel lume dell’organo e, sezionando in questo modo io riesco ad identificare anche le superfici laterali delle cellule che costituiscono l’epitelio. Per cui, quello che è importante ricordare è che le cellule che fanno parte della costituzione del tessuto epiteliale hanno un preciso orientamento. Questo perché ci sono dei meccanismi, dei complessi giunzionali e dei sistemi di comunicazione che fanno sì che quella cellula si mantenga correttamente in quella posizione. Questo perché è deputata a svolgere determinate funzioni. Se io avessi una cellula circolante, per esempio un monocita, esso non ha un orientamento. Un monocita si riconosce perché è una cellula abbastanza voluminosa ed è caratterizzata dal fatto di avere il nucleo che presenta una disposizione particolare. Può essere a ferro di cavallo oppure a fagiolo. Dal momento che si tratta di una cellula sferica non possiamo pensare di vedere un orientamento spaziale. Una cellula epiteliale invece ha un orientamento spaziale ben definito perché deve svolgere determinate funzioni. È fondamentale stabilire qual è la polarità delle cellule epiteliali. Questo perché il fatto che esista una polarità nelle cellule epiteliali è strettamente associata alla funzione che queste cellule devono svolgere nei vari distretti del nostro organismo. Quindi devono garantire per esempio l’escrezione o la secrezione di determinati prodotti. Se una ghiandola sebacea deve produrre sebo o una ghiandola sudoripara deve produrre sudore, è chiaro che la porzione della cellula interessata alla secrezione sarà la porzione apicale, nel senso che è all’apice della cellula che può essere secreto il secreto. Anche un ormone viene secreto in maniera opportuna in modo che raggiunga il circolo quando deve raggiungere l’organo che si trova a distanza, affinché tutto il complesso organismo poi possa funzionare in maniera corretta. Noi abbiamo necessità che ci sia anche un movimento di assorbimento di fluidi come capita nelle vie urinarie. Pertanto, quando noi consideriamo una cellula che fa parte di un tessuto epiteliale dobbiamo sempre verificare come è posizionata e come è polarizzata. Questo perché strettamente legata alla polarizzazione della cellula epiteliale è la distribuzione degli organuli. Oltre a questa, deve essere presa in considerazione la presenza o meno di specializzazioni della membrana che possiamo ritrovare a seconda della funzione che la cellula dell’epitelio deve svolgere o soltanto a livello apicale o a livello basale. Dipende dalle funzioni che quella cellula deve svolgere. Se io considero una cellula che è destinata per esempio a secernere ed è altamente impegnata nei processi di secrezione, avrò la superficie basale di questa cellula che sarà adagiata sulla membrana basale. La superficie apicale, che è quella rivolta verso il lume, deve essere “libera” in modo che le vescicole di secrezione si possano fondere con la membrana stessa e il loro contenuto possa essere riversato all’esterno. Affinché questo processo di secrezione possa avvenire in maniera corretta tutti gli organuli devono essere localizzati in prossimità della porzione basale della cellula. Il Golgi, impegnato a produrre vescicole di secrezione, sarà rivolto verso la porzione apicale della cellula stessa. Non dobbiamo dimenticare che se è vero che esiste una superficie basale, bisogna tener conto delle interazioni e quindi della capacità che una cellula ha di rimanere stabilmente adesa ad una membrana basale. Questo può essere realizzato considerando le giunzioni cellula-matrice. Questo non è sufficiente perché noi abbiamo detto che le cellule del tessuto epiteliale sono strettamente associate tra di loro. Per cui a livello della superficie laterale sono importanti tutti i complessi giunzionali che fanno sì che non ci sia ingresso di materiale che non è in quel momento desiderato. Quindi, la sequenza di disposizioni dei complessi giunzionali è tale per cui le cellule siano strettamente associate tra di loro e contemporaneamente venga regolato il transito di molecole o sostanze che possono provenire dall’esterno. Supponiamo che prendiamo in esame una cellula, per esempio quella di un tubulo renale, che è impegnata nel fenomeno del riassorbimento dell’urina. In questa tipologia cellulare, che presenterà sempre una superficie laterale che le consente di rimanere ben adesa alle cellule adiacenti, la distribuzione degli organuli risulta differente. In una cellula di questo tipo, noi abbiamo delle specializzazioni sia a livello della superficie apicale, sia a livello della superficie basale (che è quella più prossima alla membrana basale). Questa struttura ripiegata in corrispondenza della membrana basale si chiama labirinto basale. È proprio una specializzazione delle cellule del tubulo renale che sono impegnate nel fenomeno di assorbimento. C’è un’evidente estroflessione della superficie basale. Perché è necessario che ci sia questa struttura così complessa? Perché dal momento che le cellule del tubulo renale sono impegnate nei processi di riassorbimento e che alla fine sfociano in quello che è il meccanismo di produzione dell’urina, devono necessariamente avere un’elevata superficie di scambio con l’endotelio dei vasi. La membrana basale fa da intermedio tra l’endotelio del vaso e il labirinto basale. Supponiamo di avere di fronte una cellula che sia impegnata nella produzione di lipidi. In questo caso, ho una distribuzione degli organuli tale che la superficie apicale rimane libera perché le vescicole contenente il secreto possano fondersi con la membrana plasmatica e il secreto possa essere riversato nell’ambiente circostante. Un esempio di cellula secernente è quello della cellula adiposa. È interessante e strettamente legato alla funzione che una determinata tipologia di cellula che costituisce l’epitelio, essa può presentare o meno delle specializzazioni. Le specializzazioni della superficie apicale sono: i microvilli; le stereociglia; le ciglia vibratili; la crosta. Crosta è il nome che i primi istologi hanno dato ad una particolare specializzazione della superficie apicale. L’hanno chiamata così perché dall’osservazione in microscopia appariva come una struttura abbastanza spessa. Però in realtà è stato dimostrato che l’organizzazione di questa specializzazione di superficie è ben definita. LA POLARITA’ DI UNA CELLULA Possono essere presenti delle specializzazioni a livello laterale, e quindi si fa riferimento ai complessi di giunzione, e anche specializzazione della superficie basale. Il fatto che esista una polarità della cellula, e quindi una definizione di specializzazioni della superficie apicale e basale, è legata alla funzione che la cellula deve svolgere. Quando consideriamo per esempio le specializzazioni della superficie laterale dobbiamo tenere conto della sequenza precisa della localizzazione dei vari complessi giunzionali. Prima di tutto è necessario che esistano dei complessi giunzionali stretti che tengano adese perfettamente le cellule tra di loro, in modo da poter definire quello che è l’organizzazione tipica dell’epitelio. Affinché questo possa avvenire è necessario che ci siano particolari complessi giunzionali. Non solo, ma è anche importante che ci siano (soprattutto nella porzione più prossima alla superficie libera delle cellule), delle giunzioni occludenti piuttosto che delle fasce di adesione che impediscano il libero passaggio tra lume dell’organo e connettivo sottostante, perché le cellule dell’epitelio poggiano sempre tutte su una membrana basale che poi le connette a sua volta al connettivo sottostante. Quando consideriamo le specializzazioni nella superficie apicale dobbiamo considerare microvilli, ciglia, stereociglia e la crosta. Quest’ultima è presente in un particolare tipo di epitelio. La distinzione che impedisce che ci si confonda tra microvilli e ciglia è data dalla loro dimensione, sia in termini di diametro che di lunghezza. Per cui le ciglia saranno più lunghe dei microvilli. Anche la loro funzione sarà differente. Infatti, se i microvilli sono deputati alle funzioni di assorbimento è vero che le ciglia sono invece in grado (grazie al loro movimento) di determinare spostamenti di materiale presente sulla superficie. Le stereociglia, per esempio, sono dei particolari microvilli che presentano una forma irregolare. Rispetto ai microvilli sono più lunghe e rappresentano una localizzazione particolare. Le troviamo sulla superficie di cellule epiteliali presenti a livello dell’epididimo. Cellule che presentano questa tipologia di specializzazioni vengono denominate cellule a pennacchio. La dimensione delle stereociglia è di circa 30 micron, per cui sono importanti dal punto di vista dimensionale. Queste specializzazioni sono importanti perché sono legati per esempio a processi di secrezione e riassorbimento di liquidi prodotti a livello dei tubuli seminiferi (quindi nell’epididimo). Questa tipologia di specializzazione viene ritrovata anche a livello delle cellule sensoriali, come per esempio le cellule capellute acustiche. Quando si fa riferimento all’epitelio di rivestimento, è possibile effettuare una classificazione. Quest’ultima può essere effettuata considerando la forma delle cellule oppure il numero di strati che costituiscono l’epitelio. In particolare, se io considero la forma, posso trovare delle cellule: pavimentose; cubiche o isoprismatiche; cilindriche o batiprismatiche. Nel caso in cui consideriamo il numero di strati di cellule possiamo considerare: epiteli semplici; epiteli composti. In questo caso, l’epitelio monostratificato può essere pavimentoso, piuttosto che cubico o cilindrico semplice, quello che cambia e quello che definisce la tipologia di epitelio è sempre la forma che le cellule hanno. Esse poggiano tutte su una lamina basale. Nel caso dell’epitelio cilindrico, dobbiamo tenere conto delle specializzazioni della superficie apicale di queste cellule, che possono essere appunto microvilli o ciglia. Possiamo trovare anche tessuti in cui sono presenti entrambe le specializzazioni. Quando consideriamo un epitelio pluristratificato o composto, chi definisce la tipologia del tessuto per cui io possono parlare di pavimentoso piuttosto di cilindrico è sempre lo strato più superficiale di cellule che costituiscono questo tessuto. Per cui la porzione di cellule che si affaccia verso un lume o verso la superficie esterna. Gli epiteli di rivestimento possono essere monostratificati, pavimentosi, cubici o cilindrici. Esiste però anche una tipologia di tessuto monostratificato indicato come pseudostratificato, tipico delle vie respiratorie. Se io considero un epitelio monostratificato pavimentoso semplice in cui ho un unico strato di cellule che poggiano sulla membrana basale, posso prendere come tipologia di tessuto l’alveolo polmonare. L’epitelio polmonare presenta una particolare organizzazione. Il fatto che ci sia un epitelio pavimentoso nel distretto polmonare è strettamente legato al fatto che questo tipo di epitelio è coinvolto nei processi respiratori. Quindi è necessario che ci sia una struttura semplificata, in modo che gli scambi respiratori possano avvenire in maniera molto rapida. L’epitelio pavimentoso semplice può essere implicato nei meccanismi che consentono la resistenza a sollecitazioni meccaniche. È più indicato quindi, o strutture o organi che siano deputati a fenomeni di filtrazione e di fusione come a livello della capsula di Bowman o implicati negli scambi respiratori a livello degli alveoli polmonari. Questa tipologia di tessuto si riscontra sia a livello dell’endotelio che a livello del mesotelio. L’endotelio è quell’epitelio monostratificato pavimentoso semplice che troviamo a delimitare il lume dei vasi, mentre il mesotelio è quella porzione di epitelio che riveste esternamente gli organi interni. Quando consideriamo l’epitelio cubico possiamo fare riferimento alla superficie dell’ovaio e quando invece consideriamo un epitelio cilindrico o batiprismatico possiamo prendere come esempio il tubo digerente. Ø Le cellule, nel caso dell’epitelio pavimentoso, appaiano appiattite; Ø in una cellula cubica aumentano le dimensioni; Ø nel caso dell’epitelio cilindrico la cellula che costituisce quest’epitelio ha una determinata polarità per via del fatto che i nuclei si ritrovano più o meno localizzati tutti ad un’altezza uguali e quindi più prossimi alla porzione basale della cellula. Mentre invece la porzione che terminerà con la superficie apicale è libera, in quanto sono presenti delle specializzazioni che consentono il corretto funzionamento dell’organo stesso (dell’organo in cui si ritrova questo epitelio). Perché dobbiamo considerare anche degli epiteli pseudostratificati? Parliamo di pseudostratificati perché apparentemente i nuclei appaiono ad altezze diverse. Queste altezze diverse in realtà sono u