Microbiologia Medica Past Paper PDF (Federico II, 2019/2020)

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This document is the lecture notes for a Microbiology course at Federico II. It details the introduction to microbiology, features of prokaryotic cells, and the Gram staining technique, suitable for undergraduate students at the University.

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Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. 1 – INTRODUZIONE ALLA MICROBIOLOGIA. Sbobinatura di Carmela Santella del 23/03/2020. Revisione a cura di Antonio Annunziata. Argomenti trattati: Introduzione alla microbiologia, caratteri...

Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. 1 – INTRODUZIONE ALLA MICROBIOLOGIA. Sbobinatura di Carmela Santella del 23/03/2020. Revisione a cura di Antonio Annunziata. Argomenti trattati: Introduzione alla microbiologia, caratteristiche della cellula procariotica, colorazione Gram. La microbiologia è la materia che si occupa dello studio di tutti i microrganismi, quindi esseri viventi o entità infettanti (virus) che non è possibile vedere ad occhio nudo e che possono essere trasmesse da un individuo all’altro. Tra questi organismi vengono inclusi quelli che sono visibili: Tramite microscopio ottico, tra cui i protozoi (ad esempio le amebe e i plasmodi), i batteri (fatta eccezione per i micoplasmi che sono visibili al microscopio elettronico) Tramite microscopio elettronico, tra cui i micoplasmi e tutti i virus. La microbiologia studia organismi che hanno un’organizzazione cellulare sia procariotica, ovvero batteri, sia eucariotica (protozoi, amebe, plasmodi, funghi o miceti microscopici). Oggetto di studio della microbiologia sono anche delle entità infettanti la cui organizzazione è subcellulare (virus e prioni, che sono semplici molecole proteiche in grado di perturbare il funzionamento degli organi degli organismi superiori). Osservando l’albero filogenetico in figura si può notare come gli organismi oggetto di studio della microbiologia appartengano al phylum degli Eubacteria (a cui appartengono i batteri patogeni e commensali), degli Archea (a cui appartengono batteri adattati ad ambienti estremi, come i fondi oceanici o sorgenti termali) e gli Eucarioti (protozoi, funghi ecc.). I batteri, estremamente numerosi, hanno rappresentato la svolta per la comparsa della vita così come oggi la conosciamo. La comparsa dei procarioti ha modificato profondamente l’ambiente e tali cambiamenti hanno permesso la comparsa e l’attecchimento delle prime forme di vita eucariotica; essi hanno modificato l’atmosfera, producendo O2, e facilitando poi, insieme piante, la comparsa di organismi superiori. I microrganismi sono di fondamentale importanza anche per assicurare il corretto funzionamento dell’organismo umano, basti pensare alle funzioni svolte dal microbiota intestinale (il microbiota viene paragonato ad un organo, senza il quale non potremmo vivere). CARATTERISTICHE DEI BATTERI. Tutti i batteri sono organismi procarioti, ciò significa che non hanno un vero e proprio nucleo. Il materiale genetico non è contenuto in una regione delimitata dal cosiddetto involucro nucleare, ma è immerso nel citoplasma. La mancanza del nucleo e della compartimentalizzazione differenzia una cellula procariotica da una eucariotica. Nel citoplasma sono immerse anche tutte le altre molecole necessarie per la sopravvivenza della cellula. Nelle cellule eucariotiche i compartimenti sono determinati dalla presenza di sistemi interni di membrane ed indipendenti dalla membrana citoplasmatica. Pag. 1 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. Le caratteristiche fondamentali della cellula procariotica sono: Mancanza di organuli e sistemi di membrane interne; Ribosomi 70S con subunità di 30S e 50S (invece di 80S con subunità di 40S e 60S degli eucarioti); Presenza di mesosomi, caratteristici dei soli procarioti; Materiale genetico costituito da un unico cromosoma circolare (tranne il genere Burkholderia, che in base alla specie ha 2 o 3 cromosomi) Assenza di proteine istoniche, ma presenza di proteine simil-istoniche cariche positivamente; Parete cellulare di peptidoglicano, assolutamente inesistente negli eucarioti; Membrana plasmatica priva steroli (tranne nei micoplasmi); Flagelli, se presenti, costituiti dalla polimerizzazione di una proteina globulare, la flagellina; negli eucarioti sono formati, se presenti, da tubulina. Dimensioni di massimo qualche micron di diametro, mentre gli eucarioti possono raggiungere i 25 micrometri. I batteri possono avere forma forme differenti: Forma sferica è definito cocco Forma allungata-bastoncello è definito bacillo Forma ricurva è detto vibrione (la forma del Vibrio Colerae), Forma a spirale è detto spirillo o spirocheta (in base alla presenza di particolari flagelli). I batteri non sono mai pluricellulari, ma in alcuni casi, dopo la replicazione, mantengono dei rapporti di contiguità. Quando avviene la replicazione cellulare, ci deve essere la separazione della membrana citoplasmatica, ma anche la parete di peptidoglicano dovrà estendersi e seguire la strozzatura della membrana plasmatica in modo tale da consentire la totale separazione delle cellule. Questo processo non succede abbastanza velocemente perché le due cellule figlie restano tra loro unite dalla parete di peptidoglicano. In alcuni casi restano unite solo le due cellule figlie, avendo una disposizione a coppia, in altri casi le cellule figlie iniziano a dividersi mentre sono ancora attaccate alla cellula sorella per cui si creano aggregati, la cui forma dipende dal modo in cui si susseguono nello spazio i piani di divisione. Se tutti i piani sono paralleli si avrà una catenella, se i piani di divisione sono orientati in maniera irregolare allora si avrà un ammasso irregolare. Quindi si distinguono varie aggregazioni, la cui nomenclatura varia in base alla forma del batterio e alla forma dell’aggregazione. Se batteri sferici restano temporaneamente aggregati per formare una coppia si parlerà di diplococco; se batteri sferici si dispongono a catenella si forma uno streptococco, se si dispongono a tetrade si parlerà di lampropedia, se formano un cubo si parlerà di sarcina, se formano un ammasso con forma irregolare di grappolo si parlerà di stafilococco. Nel caso in cui la forma del batterio è allungata, il suffisso -cocco viene sostituito con -bacillo (Streptobacillo ecc.). prima o poi le cellule che formano questi aggregati si separeranno, per formare aggregati alla successiva divisione. Le componenti delle cellule batteriche possono essere classificate come fondamentali e accessorie. Le componenti fondamentali servono per permettere la sopravvivenza del batterio in qualsiasi condizione ambientale e sono: la membrana plasmatica, il citoplasma, il DNA, i ribosomi, la parete di peptidoglicano, la membrana esterna. Le componenti accessorie non compromettono la sopravvivenza del batterio purché questo si trovi in condizioni ambientali favorevoli (se viene cresciuto in laboratorio): i flagelli, i pili, i granuli citoplasmatici di materiale di riserva. Un batterio nel suo ambiente naturale necessita anche delle strutture accessorie per sopravvivere, ad esempio, i pili servono per permettere l’adesione alle superfici (se un batterio deve persistere nell’intestino e non ha i pili, non sarà capace di aderire alla parete intestinale e sarà eliminato con le feci). Un batterio, per essere patogeno, deve presentare anche le strutture accessorie e sono proprio queste che rendono un batterio patogeno o più patogeno rispetto ad un altro. Pag. 2 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. CITOPLASMA: ha più o meno la stessa composizione del citoplasma eucariotico. Il citoplasma riempie totalmente la cellula (non c’è la matrice mitocondriale) e tutti i processi metabolici avvengono al suo interno. Nel citoplasma sono presenti i ribosomi (composti da rRNA e proteine) sui quali avviene la sintesi proteica, seguendo gli stessi meccanismi degli eucarioti con la differenza che non vi è separazione spaziale tra trascrizione e traduzione/sintesi proteica (inizialmente si pensava che i batteri non avessero sequenze non codificanti, non è così). NUCLEOIDE: è quella regione di citoplasma in cui è contenuto il materiale genetico, l’unica molecola di DNA circolare (tranne nel genere Burkholderia, patogeno solo per individui che hanno alterazioni della risposta immunitaria, in cui ci sono 2 o 3 cromosomi a seconda della specie). Il nucleolo è assente, non vi sono istoni ma il DNA è super avvolto grazie alla presenza di proteine basiche (cariche positivamente) simil-istoniche. Il numero di geni presenti sul cromosoma batterico è di circa un migliaio. MEMBRANA CITOPLASMATICA: è un doppio strato fosfolipidico con proteine integrali transmembrana e proteine estrinseche. Serve per separare l’ambiente interno da quello esterno, per regolare il passaggio delle molecole (grazie alla diffusione facilitata, trasporto attivo ecc.), è responsabile della stabilità osmotica della cellula e serve come importante supporto metabolico e della divisione cellulare. Questi ultimi due compiti sono fondamentali perché la cellula procariotica non ha compartimenti delimitati da membrane indipendenti e non ha il fuso mitotico (non ci sono i microtubuli). La membrana cellulare forma i mesosomi, invaginazioni convolute della membrana plasmatiche che si avvolgono su loro stesse. Inizialmente sembravano degli organuli interni posti nella regione centrale della cellula, in realtà sono sistemi di membrana dipendenti dalla membrana citoplasmatica. Queste invaginazioni forniscono una superficie sufficientemente estesa da accogliere batterie enzimatiche, cofattori e fattori che servono per tutti i processi metabolici. I mesosomi intervengono anche nella divisione cellulare in quanto le due copie cromosomiche si legano a tali strutture e vengono guidate nelle due cellule figlie. PARETE CELLULARE: è una struttura presente solo nei batteri. È un involucro rigido che circonda la membrana citoplasmatica ed in base alle sue caratteristiche permette di distinguere tre categorie di batteri: GRAM+, GRAM- e batteri alcol/acidi resistenti, a cui appartengono i micobatteri. Le funzioni sono: Determinare la forma del batterio; Proteggono i batteri da insulti meccanici ed osmotici (se il batterio si trova in un ambiente ipotonico tende ad assorbire acqua ed aumenta di volume. Essendo la parate batterica rigida, si oppone alla lisi osmotica della cellula); Durante la divisione cellulare, il ritardo nella sua separazione, permette l’aggregazione dei batteri. I batteri Gram positivi e Gram negativi hanno una struttura di parete differente, perché dopo la colorazione di Gram essi apparivano rispettivamente viola e rosa. Pag. 3 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. La colorazione di Gram è differenziale, ciò significa che vengono usati 2 colori diversi in tempistiche diverse. Il primo colorante è il viola di genziana, il secondo colorante è la fucsina; entrambi sono coloranti non vitali (penetrano nelle cellule non vitali) e legano le stesse componenti cellulari (proteine di membrana o citoplasmatiche). I due coloranti devono essere usati in tempi successivi perché non c’è né compartimentalizzazione (come nella cellula eucariota), si legano alle stesse componenti cellulari, di conseguenza se fossero usati nello stesso tempo si andrebbero a sovrapporre e non si capirebbe nulla. Le fasi della colorazione sono: Fissare le cellule al vetrino (passandolo su una fiamma); Si aggiunge il primo colorante (viola di genziana); Lavaggio; Si aggiunge il liquido di Lugol (soluzione di iodio e ioduro di potassio). Questo si complessa con le componenti cellulari che hanno legato il primo colorante, formando dei grossi complessi che precipitano; Lavaggio; Si decolora con una soluzione di alcol etilico ed acetone per pochi secondi. L’alcol disidrata gli involucri del batterio rendendo difficile il passaggio di composti voluminosi e polari; Lavaggio; Si colora con il colorante di contrasto (fucsina). Tale colorante può agire solo se dal precedente lavaggio non è stato trattenuto il viola di genziana. Se ciò avviene i batteri saranno colorati in rosa (Gram negativi), se il precedente colorante non era stato eliminato, il colore finale sarà viola (Gram positivi). L’involucro cellulare ha quindi una permeabilità differente ed in particolar modo la permeabilità dei Gram positivi è minore rispetto a quella dei Gram negativi. Questo dipende dalla differente struttura della parete cellulare. In entrambe le tipologie di batteri vi è il susseguirsi di membrana plasmatica e poi di parete, ma nei Gram positivi la parete è molto più spessa rispetto a quella dei Gram negativi, che possiedono anche una membrana esterna, che manca nei Gram positivi (la membrana esterna non è coinvolta nella differente permeabilità). Ciò che influenza il differente comportamento alla colorazione di Gram è lo spessore della parete e la dimensione delle maglie del peptidoglicano (che deve essere immaginata come una rete). Il peptidoglicano dei Gram positivi è più spesso e a maglie più strette rispetto ai Gram negativi. Il peptidoglicano è un polimero assolutamente peculiare dei procarioti (quindi viene riconosciuto come non self dal nostro sistema immunitario) costituito da una successione di monomeri. Il monomero è formato da due aminozuccheri NAG (N-Acetil-Glucosamina) e NAM (acido N-Acetil Muramico) uniti tra loro tramite un legame β 1-6. Al NAM è legato un pentapeptide in cui il primo amminoacido è L-alanina e gli ultimi due sono D-alanina. Gli amminoacidi in posizione 2 e 3 variano tra Gram positivi e Gram negativi (a volte anche nello stesso gruppo). Quando il monomero viene inserito nella rete di peptidoglicano, la D-alanina in posizione 5 viene persa. Per far in modo che si formi una rete, è necessario creare legami tra le catene pentapeptidiche, che avvengono tra l’amminoacido in posizione 3 e quello in posizione 4. Nei Gram negativi il legame avviene direttamente tra l’amminoacido in posizione 3 e quello in posizione 4 (legame peptidico). Nei Gram positivi il legame tra i due amminoacidi è mediato da un ponte di pentaglicina. Questi legami prendono il nome di legami crociati o legami trasversali. Tutta questa struttura è tridimensionale, dovuta alla presenza di Pag. 4 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. più o meno strati di peptidoglicano. Nel peptidoglicano dei Gram positivi più del 95% delle catene legate al NAM sono impegnate nella formazione dei legami trasversali, nei Gram negativi ci sono molte catene non impegnate nella formazione dei legami trasversali. Questo spiega la diversa dimensione delle maglie tra Gram positivi e Gram negativi. Nelle maglie del peptidoglicano dei Gram positivi sono presenti gli acidi teicoici. Questi sono dei polimeri o di glicerolo fosfato o di robitolo fosfato, in cui i gruppi OH sono sostituiti da vari componenti (amminoacidi, zuccheri). In alcuni casi gli acidi teicoici si portano verso la membrana citoplasmatica e si legano ai glicolipidi della membrana, in tal caso sono detti acidi lipoteicoici. Il peptidoglicano è una struttura polare, perché è formato da amminoacidi polari e zuccheri. Gli acidi teicoici sono polari. Quindi la parete cellulare è altamente polare. Nei Gram negativi le maglie sono più larghe e non ci sono gli acidi teicoici, ma la parete è comunque polare. Questo influenza la permeabilità della parete, perché delle molecole non polari, a meno che non siano poco voluminose, non riescono a passare attraverso la parete di un Gram positivo, invece riescono a passare attraverso la parete di un Gram negativo. Durante la colorazione di Gram, il colorante (polare) forma dei complessi con il liquido di Lugol, poi con l’aggiunta del decolorante questi complessi vengono disidratati e diventano non polari. Tali complessi potranno passare solo attraverso il peptidoglicano del Gram negativo (quindi esso perde il primo colorante e sarà poi colorato grazie alla fuscina di contrasto). MEMBRANA ESTERNA DEI GRAM NEGATIVI. E’ un doppio strato fosfolipidico con proteine di membrana ma ha una selettività molto bassa. Le proteine di trasporto sono presenti direttamente sulla membrana interna, che è selettiva. Essa è comunque un filtro molecolare, fa passare molecole apolari o polari di dimensioni abbastanza limitate (grazie ad alcune proteine di membrana esterna che fungono da canale). La membrana esterna è fortemente asimmetrica, il lipopolisaccaride è molto espresso solo sul versante esterno di tale membrana. La membrana esterna è collegata al sottostante peptidoglicano (ed in maniera minore alla membrana plasmatica) grazie alle lipoproteine di Braun. Tra le due membrane è presente uno spazio periplasmico al cui interno possono essere accumulate proteine, enzimi digestivi ma anche enzimi che inattivano antibiotici. Molti batteri Gram negativi hanno enzimi che permettono di inattivare le prime penicilline scoperte (questo impedisce all’antibiotico di raggiungere la membrana plasmatica interna). Le proteine della membrana esterna (OMP) sono transmembrana e costituite da tre subunità che delimitano un poro centrale. Alcune hanno la funzione di porine (per trasporto di molecole polari, la cui selettività dipende solo dalla dimensione), altre OMP hanno un ruolo strutturale (danno stabilità alla membrana), altre ancora servono da recettori per batteriofagi o batteriocine (sostanza dannose per il batterio, prodotte da altri batteri). Il lipopolisaccaride è una molecola caratteristica dei Gram negativi ed è formato da tre porzioni: Lipide A inserito nel doppio strato fosfolipidico. È un dimero di glucosamina fosfato con catene di acidi grassi a 15 atomi di carbonio; Core: oligosaccaride (poche ripetizioni di alcuni carboidrati come leptosio, ketodeossiottonato, galattosio). È una porzione di raccordo tra il lipide A e l’antigene O, Antigene O (somatico) è polisaccaridico, dato dalla ripetizione di 30-40 volte di una serie di carboidrati. Esso rappresenta l’endotossina dei Gram negativi perché il lipide A ha attività tossica mentre la porzione saccaridica rappresenta la porzione antigenica del batterio (contente di distinguere un genere dall’altro e una specie dall’altra. Pag. 5 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. PARETE DEI BATTERI ALCOL/ACIDO RESISTENTI. Hanno una parete di peptidoglicano pluristratificata senza membrana esterna, ma non si vedono con la colorazione di Gram perché il colorante non riesce a penetrare gli involucri cellulari. L’involucro della cellula è ricco di lipidi come acidi micolici e lipidi legati a carboidrati. Questa ricchezza di cere fa sì che la permeabilità sia limitatissima (non penetrano i coloranti di Gram). Esiste una specifica colorazione per questi batteri, detta di Ziehl-Neelsen, una colorazione differenziale. Differisce dalla colorazione di Gram perché il primo colorante (carbolfucsina) viene messo in una soluzione di acido fenico ed utilizzata a caldo. La presenza dell’acido e delle alte temperature permette al colorante di penetrare nella cellula e di legare le componenti cellulari. La rimozione di tale colorante non avviene, nemmeno in seguito a decolorazione molto spinta fatta con alcol etilico e HCl. I batteri resteranno colorati in rosso, tutti gli altri batteri non alcol/acido resistente si decolorano e verranno evidenziati grazie al colorante di contrasto (blu di metilene). GLICOCALICE. E’ una struttura accessoria, un rivestimento che si trova esternamente al peptidoglicano/membrana esterna in base a se osservo un Gram positivo o negativo. È il rivestimento più esterno, non è fondamentale per la sopravvivenza della cellula, quindi non tutti i batteri lo posseggono. È formato nella quasi totalità dei casi da polisaccaridi, in pochi casi è di natura proteica (Bacillus Anthracis). Il glicocalice può essere distinto in: Capsula: se il materiale è altamente organizzato, fortemente adeso e omogeneamente distribuito intorno alla cellula Strato mucoso: se non è uniformemente distribuito, ben organizzato e strettamente adeso. Quasi sempre il glicocalice è ben organizzato e viene definito capsula. Nell’immagine (a destra) la capsula è lo strato bianco intorno alla cellula. La colorazione effettuata è una colorazione negativa effettuata tramite sospensioni colloidali (ad esempio di inchiostro di china). La capsula si lascia attraversare dalle particelle colloidali, quindi verranno colorati l’ambiente extracellulare e l’ambiente intracellulare al di sotto della capsula. La principale funzione è l’escape dalla risposta immune dell’ospite, protegge il batterio dalla fagocitosi (rende il batterio carico negativamente, i fagociti hanno carica negativa e quindi aumenta la repulsione tra le due cellule). Pag. 6 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. 2 – LA CELLULA BATTERICA. Sbobinatura di Alessandra Ninno, del 24/03/2020. Revisione a cura di Viola Verrioli. Argomenti trattati: Membrana esterna, glicocalice, flagelli, pili, ciclo cellulare, coniugazione, trasformazione, trasduzione. MEMBRANA ESTERNA. Come anticipato già ieri, nei gram negativi è presente un ulteriore rivestimento, che è una struttura fondamentale in questo tipo di microrganismo: la membrana esterna. In quanto membrana, la sua struttura è quella comune a tutte quante le membrane biologiche, dunque è un doppio strato fosfolipidico con delle proteine variamente inglobate al suo interno. Qualche testo la chiama anche “pseudomembrana”, ma in realtà e un doppio strato fosfolipidico a tutti gli effetti. È un filtro, ma non selettivo come la membrana citoplasmatica, siccome, per essere ugualmente selettivo, dovrebbe contenere gli stessi sistemi di trasporto attivo e le proteine per la diffusione facilitata che sono presenti su questa, ma ciò non è conveniente e, del resto, basta un'unica barriera di controllo (due sono superflue). La membrana esterna è un filtro molecolare che presenta delle proteine che formano un canale nel suo spessore. Tali proteine fanno passare soltanto molecole polari di dimensioni non eccessive. Una caratteristica della membrana esterna, inoltre, è la sua asimmetria, dovuta in particolar modo alla distribuzione non omogenea del lipopolisaccaride, presente soltanto sul versante esterno e in un numero di copie molto elevato. La membrana esterna interagisce con gli strati sottostanti attraverso delle lipoproteine che prendono il nome di lipoproteine di Brown che la collegano al peptidoglicano sottostante. Le proteine inglobate nel doppio strato fosfolipidico prendono il nome di “proteine della membrana esterna” (outer membrane proteins, indicate quindi anche con la sigla OMP). Nel gram negativo a questo punto avremo un una membrana altamente selettiva, che è la membrana citoplasmatica, e intorno ad essa, oltre allo strato di peptidoglicano, un'altra membrana parzialmente selettiva, ossia la membrana esterna. Ne consegue che nello spazio tra le 2 membrane (spazio in cui poi è immerso il sottile strato di peptidoglicano) possono essere allocate molecole che rimarranno là senza fuoriuscire dalla cellula: dal citoplasma a questo spazio periplasmico possono arrivare molecole grazie al meccanismo di trasporto attivo, ma dallo spazio periplasmico nello spazio extracellulare non posso andare perché troppo grandi per passare attraverso quelle proteine canale che la membrana esterna presenta. Il vantaggio della collocazione di queste molecole (che sono in gran parte ad attività enzimatica) nello spazio periplasmico sta nell’essere, ad esempio, enzimi digestivi, per cui il batterio va ad effettuare la digestione dei suoi nutrienti in uno spazio circoscritto e controllato, oppure enzimi che degradano sostanze tossiche. Tra le sostanze tossiche per i batteri ci sono gli antibiotici e la maggior parte dei batteri gram negativi presenta, in questo spazio periplasmico, delle penicillinasi, cioè enzimi in grado di inattivare le penicilline naturali tagliandole. Pertanto, le prime penicilline scoperte purtroppo sono inutilizzabili nei confronti della maggior parte dei batteri gram negativi. Le OMP nella maggior parte dei casi sono porine con struttura trimerica, dunque con tre subunità che vanno a delimitare il canale centrale. In altri casi, invece, servono come proteine strutturali, cioè danno stabilità al doppio strato fosfolipidico; alcune, poi, sono recettori per batteriofagi (cioè i virus che vanno ad infettare i batteri); altre ancora sono batteriocine (sostanze tossiche prodotte da alcuni batteri e attive e nei confronti di altri batteri. Ciò è dovuto al fatto che in determinati habitat i maggiori competitors dei batteri sono proprio i loro simili, per cui alcuni tendono a ridurre la competizione producendo sostanze tossiche efficaci nei confronti di batteri con caratteristiche somiglianti alle loro). Se un batterio ha colonizzato l'abitato intestinale, ad esempio, non ha interesse a produrre batteriocine che siano utili a combattere batteri che invece vivono nelle acque. Di conseguenza, le batteriocine sono solitamente attive nei confronti di batteri che hanno delle esigenze di crescita simili a quelle dei loro simili che le producono. Pag. 7 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. Una molecola caratteristica della membrana esterna, e quindi dei batteri gram negativi, è il lipopolisaccaride, il quale risulta essere costituito da una componente lipidica e da una componente carboidratica. La componente lipidica prende il nome di Lipide A ed è quella inserita nel doppio strato fosfolipidico della membrana esterna. È costituita da un dimeno di glucosammina fosfato legata a catene di acidi grassi a 14/15 atomi di carbonio. Per quanto riguarda invece la porzione saccaridica, questa è divisa a sua volta in due parti: una porzione centrale che prende il nome di Core, un oligosaccaride costituito da pochi residui di carboidrati, rappresentati principalmente dal chetodeossiottonato (che c’è sempre), dall’eptosio e poi o glucosio, o galattosio o altri carboidrati variabili; la porzione terminale, quindi quella esposta, prende il nome di antigene somatico oppure Antigene O ed è la porzione realmente polisaccaridica, perché è data da 30/40 ripetizioni di 4/5 residui. Il lipopolisaccaride ha una duplice importanza: innanzitutto la porzione lipidica (quindi il lipide A) è una porzione dotata di proprietà tossiche, infatti rappresenta l’endotossina dei batteri gram negativi (tossina perché ha attività tossica e endo in quanto alla fine li polisaccaride è un componente strutturale). Il lipopolisaccaride quindi, così come altre endotossine, viene prodotto dal batterio, ma non rilasciato nell' ambiente esterno: va' fa parte della struttura del batterio stesso, perciò è endotossina). Quindi è alla porzione lipidica che è dovuta questa attività tossica. Per quanto riguarda invece la porzione carboidratica, in particolare il polisaccaride e quindi l'antigene O, questa è responsabile della specificità antigenica dei gram negativi, nel senso che l’antigene somatico non solo differisce tra un genere di gran negativo a un altro ed un altro, ma addirittura può differire anche all’interno di una stessa specie di gram negativi. A questo proposito, l'esempio che si deve necessariamente fare è quello di Salmonella, la quale comprende due sole specie, cioè salmonella enterica e Salmonella Bongori. Quelle che interessano la patologia umana rientrano nella specie di salmonella enterica, tuttavia in questa specie sono compresi batteri con caratteristiche differenti dal punto di vista della patologia che nell'uomo possono dare (alcune salmonelle enteriche danno semplicemente una gastroenterite, altre salmonelle enteriche danno invece delle malattie sistemiche). Quindi è necessario dal punto di vista diagnostico e successivamente clinico, distinguere una salmonella enterica da un'altra, e questo lo si fa su base antigenica, grazie proprio all’antigene O. Ovviamente, poi, la differenza tra l'antigene O dei vari batteri Gram negativi condizionerà la risposta immunitaria (cloni linfocitari diversi per i vari tipi di antigene O). Abbiamo visto che il diverso comportamento alla colorazione di Gram risiede nell'architettura e nella composizione degli involucri esterni, in particolare del peptidoglicano. C’è una terza categoria di batteri che è individuabile sempre grazie a una colorazione, e che differisce dagli altri sempre per la composizione e la complessità degli involucri esterni. Questa terza categoria comprende i batteri alcol-acido resistenti a cui appartengono anche i micobatteri. La caratteristica dei loro involucri esterni l’assenza di membrana esterna. Hanno, invece, un peptidoglicano pluristratificato (assomigliano in questo ai gram positivi, tuttavia questi batteri non si colorano affatto con la colorazione gram). Hanno una parete molto più complessa rispetto a quella dei batteri gram positivi in quanto presentano legati, sia al peptidoglicano che a glicolipidi e glicoproteine della membrana plasmatica, degli ulteriori zuccheri (tipo arabinosio e mannosio) a cui poi sono legati componenti lipidiche (sarebbe più corretto parlare di lipoglucidi perché quello che si lega è lo zucchero). A tutti quanti i carboidrati legati al peptidoglicano sono legati poi delle cere, che prendono il nome di acidi micolici. Tutta questa abbondanza di lipidi nei batteri alcol-acido resistenti produce una permeabilità assolutamente scarsa dei loro involucri a sostanze di vario tipo, tant'è vero che questo influisce anche sulla velocità di moltiplicazione dei micobatteri, i quali infatti richiedono giorni per crescere (quelli a crescita più rapida ci mettono una settimana/10 giorni, quelli a crescita più lenta come il micobatterio tubercolare ci possono mettere anche 40 giorni). In sintesi, la complessità di questi involucri influisce sulla possibilità di scambio di materiali e sostanze tra l'ambiente intra ed extracellulare e influisce anche sulla velocità di crescita di questi batteri. Ovviamente influirà anche sulla permeabilità ai coloranti e quindi con una colorazione semplice possiamo capire se il batterio è un alcol-acido resistente. Questi batteri non si colorano con la colorazione di Gram, ma necessitano di una colorazione più aggressiva: la colorazione di Ziehl-Neelsen. È sempre una colorazione differenziale, ma diversa rispetto alla Gram. Prevede l’utilizzo di due coloranti in tempi successivi che danno valore diverso (in questo caso il primo colorate è la Pag. 8 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. carbolfucsina, che dà una colorazione rossa, mentre il secondo colorante è il blu di metilene che conferisce una colorazione blu). Si utilizza la carbolfucsina in soluzione fenigata (quindi addizionata di acido fenico) e possiamo ottenere sia soluzioni con una minor quantità di acido fenico, dove la colorazione viene effettuata a caldo in maniera tale da poter usare i colorati in una concentrazione di acido fenico ridotta. Possiamo anche lavorare a freddo, però con un colorante addizionato ad una quantità di acido fenico maggiore. A questo punto, quale che sia la confezione che noi abbiamo scelto, il colorante riesce ad attraversare gli involucri del micobatterio e si va a legare ai suoi componenti cellulari. Ora bisogna eseguire la tappa di decolorazione, che viene fatta con una soluzione più aggressiva: non alcool etilico ed acetone, ma alcool etilico ed acido cloridrico. Questo decolorante è in grado di decolorare tutto, fatta eccezione per i batteri alcol-acido resistenti perché questi componenti non sono in grado di asportare il primo colorante (la carbolfucsina) da questi involucri. Poi, ci sarà una fase di risciacquo, quindi si aggiunge il colorante di contrasto blu di metilene, che non viene aggiunto né in soluzione acida né a caldo. A questo punto sia altri batteri che cellule ospiti vengono colorate dal blu di metilene (perché si erano sicuramente decolorate visto il decolorante che abbiamo utilizzato). Perciò, a fine colorazione, dopo che il vetrino sarà ulteriormente risciacquato e si sarà asciugato e verrà osservato al microscopio ottico, mostrerà un fondo blu, con (se sono presenti) bacilli rossi, i quali corrisponderanno sicuramente a batteri alcol-acidi resistenti. Nella foto che vedete è proprio un micobatterio della tubercolosi. GLICOCALICE. Gli involucri che abbiamo finora considerato sono strutture fondamentali e come tali saranno presenti in tutti i batteri, o meglio, la parete cellulare sarà presente in tutti quanti batteri tranne che nei micoplasmi, mentre la membrana esterna sarà presente in tutti i batteri gram negativi, senza nessuna eccezione. Invece, la struttura di rivestimento che stiamo per considerare, il glicocalice, non è presente in tutti quanti i batteri e questo significa che è una struttura accessoria. Un batterio provvisto di glicocalice nel suo habitat naturale riesce a sopravvivere e a moltiplicarsi se il glicocalice c'è; un batterio che invece non è provvisto di glicocalice nel suo habitat naturale si moltiplicherà benissimo senza di esso. Il glicocalice è una struttura di rivestimento che circonda il peptidoglicano se il batterio è gram positivo e la membrana esterna se il batterio è gram negativo. Il glicocalice è fatto da polisaccaridi nella maggior parte dei casi, ma ci sono anche batteri che hanno un glicocalice costituito da proteine (ad esempio il Bacillus Anthracis ha un glicocalice fatto da acido D-glutammico, quindi sarà un glicocalice carico negativamente). Il glicocalice è un rivestimento carico negativamente, ma del resto anche la superficie del batterio senza glicocalice è carica negativamente. Si distinguono due tipologie di glicocalice: Capsula vera e propria: glicocalice ben organizzato, bene adeso e ben distribuito intorno alla cellula batterica; Strato mucoso: quando questo strato polisaccaridico non è ben organizzato, né adeso ed è anche abbastanza diffuso, vale a dire non proprio compatto. Pag. 9 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. Molto spesso si utilizza l’accezione di “capsula” genericamente, anche perché nella maggior parte dei casi si tratta di una capsula vera e propria, cioè di uno strato realmente ben organizzato intorno al batterio. La capsula è visualizzabile tramite una colorazione negativa con inchiostro di china, quindi sospensioni colloidali che non vengono trattenute dalla capsula, siccome è uno strato abbastanza lasso, mentre, invece, vengono trattenute dai componenti all’interno della cellula batterica, per cui colorano tutto il fondo del preparato. È questo il motivo per cui si chiama colorazione negativa: perché alla fine quello che non si colora con questo inchiostro di china è proprio quello che vogliamo mettere in evidenza. Un atro tipo di colorazione negativa è fatta invece con un colorante acido. Chiaramente, visto che la capsula è carica negativamente, il colorante acido non viene trattenuto da essa. Anche in questo caso, dunque, si colorano sia il fondo, che l'interno del batterio, ma la capsula non viene colorata. Questo genere di colorazioni sono definite “negative” perché funzionano un po’ come il negativo delle fotografie, dato che risulta colorato il contrario di quello che vogliamo effettivamente visualizzare. Le funzioni del glicocalice sono varie: § Innanzitutto, il glicocalice o capsula svolge una funzione nella protezione del batterio dalla fagocitosi. Questo perché la superficie del batterio è già carica negativamente e la capsula aggiunge ulteriori cariche negative, ma anche la superficie dei fagociti è carica negativamente: quindi, se c'è la capsula aumenta la repulsione elettrostatica e diventa ancora più difficile per il fagocita arrivare ad un avvicinamento sufficiente per procedere con l’inglobamento del batterio. Tutti quanti i batteri che più frequentemente danno meningiti sono dotati di capsula: questi batteri provocano infezioni al sistema nervoso centrale, che riescono a raggiungere tramite il sangue, il quale, però, è ricco di fagociti. Pertanto, il batterio, per arrivare vivo al sistema nervoso centrale, dovendo passare attraverso il circolo ematico, necessariamente deve possedere dei meccanismi che gli consentono di evadere la fagocitosi. Tra questi, quello principale è proprio il possesso della capsula. Per cui tutti quanti quei batteri che sono frequentemente coinvolti nella patogenesi delle meningiti sono capsulati. Del resto, se ricordate, gli esperimenti di Griffith con i topini (quelli che hanno portato poi all’identificazione del DNA come molecola responsabile del trasferimento dei caratteri dai genitori ai figli), erano svolti su delle cellule batteriche di Streptococcus Pneumoniae, di cui alcune lisce e altre rugose: quelle lisce, se inoculate nel topino, lo facevano morire, mentre quelle rugose no. La differenza stava nel fatto che le prime avevano la capsula, per cui questa è un fattore di virulenza. § Altra funzione del glicocalice è quella di adesione: un batterio, qualunque sia il suo habitat, per rimanerci e sopravvivere, deve aderire a una superficie del proprio ambiente naturale tramite una struttura che faccia parte del batterio stesso. La capsula è una delle strutture che utilizza per aderire alle superfici, siano esse superfici viventi, inerti o abiotiche. Il glicocalice è una delle cosiddette adesine, ossia un componente superficiale del batterio che gli serve per raggiungere una qualunque superficie. In alcuni casi, il materiale capsulare viene over prodotto dalla cellula batterica e si forma una specie di matrice in cui, chiaramente, è inglobato il batterio che ha prodotto questi polisaccaridi, ma nella quale possono rimanere intrappolati anche altri batteri che si trovano nelle vicinanze, anche non immediate. In questo modo si viene a formare una pellicola biologica (dato che ci sono dentro delle cellule batteriche e polisaccaridi che queste hanno prodotto): il cosiddetto biofilm. § Un’altra funzione che il glicocalice può avere è quella di proteggere la cellula dalla disidratazione perché, essendo carico negativamente, forma legami idrogeno con molecole d'acqua. § Può evitare la perdita di nutrienti da parte della cellula batterica. § Può impedire il flusso di molecole tossiche (soprattutto se apolari), come i detergenti. FLAGELLI. I flagelli sono delle appendici batteriche, nel senso che sono delle strutture che partono dalla cellula batterica e si sviluppano verso l'ambiente extracellulare. Essendo strutture accessorie, non è detto che tutti i batteri ne abbiano, infatti alcuni ne sono totalmente privi. Laddove presenti, i flagelli servono sempre per il movimento della cellula batterica. In alcuni batteri poi, oltre a questo, servono anche per l’adesione (per esempio in Pseudomonas Aeruginosa i flagelli fanno da adesine). Pag. 10 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. I flagelli procariotici hanno una struttura più semplice di quelli eucariotici: c'è un corpo basale, che è quello inserito negli involucri basali del batterio; c'è un uncino, la regione curva di raccordo tra il corpo basale e il filamento (la porzione mobile); c'è, appunto, un filamento, il quale è fatto da una proteina globulare detta flagellina, che forma la maggior parte del flagello stesso. Il corpo basale, quindi la struttura con cui il flagello si inserisce negli involucri cellulari, è costituito in maniera diversa nei batteri gram positivi e gram negativi. Ciò è dovuto al fatto che i gram negativi hanno un involucro in più rispetto ai gram positivi: la membrana esterna. Il corpo basale è costituito da anelli: nei gram negativi ci sono due coppie di anelli, una connessa con la membrana plasmatica e un’altra invece connesso con il peptidoglicano e la membrana esterna. Invece nei batteri gram positivi abbiamo una sola coppia di anelli, di cui un anello collegato soltanto con la membrana plasmatica, l'altro collegato sia con questa, che con il peptidoglicano. La struttura del corpo basale è abbastanza complessa: ci sono delle proteine motrici che sfruttano la forza protonmotrice di membrana per ricavare l’energia necessaria al movimento e delle proteine che, invece, servono per l'inversione del senso di rotazione. Il flagello infatti può ruotare in senso antiorario, il che determinerà il progredire in una certa direzione del batterio, oppure può ruotare in senso orario, caso in cui praticamente è come se si bloccasse e facesse una capriola. Lo stimolo per muoversi è per tutti i batteri uno stimolo chimico, per alcuni anche uno stimolo luminoso (in particolare per quelli che fanno fotosintesi). Nel caso del movimento verso un simbolo luminoso il batterio si muoverà sempre avvicinandosi alla sorgente di luce, mai allontanandosi, quindi la fototassi, cioè il movimento determinato da uno stimolo luminoso è sempre positiva (tant’è vero che in realtà non si parla proprio di fototassi positiva o negativa). Invece, nel caso di chemiotassi, dunque di movimento indotto da uno stimolo di natura chimica, questa può essere positiva oppure negativa: è positiva quando il batterio si muove verso lo stimolo (ad esempio quando lo stimolo chimico è un nutriente), è invece negativa quando si muove allontanandosi da esso (ad esempio quando lo stimolo chimico è una sostanza tossica). Quando il batterio non ha stimoli di alcuna sorta, esso si muove casualmente grazie al movimento in senso antiorario dei flagelli: si dirige in una certa direzione compiendo una “run”, poi c’è un cambiamento di senso di rotazione dei flagelli e quindi fa una capriola, quando i flagelli riprendono a ruotare in senso antiorario si muoveranno in direzione diversa dalla precedente. C'è più probabilità che cambi direzione che non che mantenga quella di prima. Di conseguenza, alternando run e capriole il batterio si muove in maniera casuale, senza avere una direzione precisa. Quando invece c’è uno stimolo, chimico o luminoso che sia, il numero di run aumenta, cioè il batterio mantiene la rotazione dei flagelli in senso antiorario per più tempo in modo tale da riuscire a spostarsi in una certa direzione. Se il batterio ha più flagelli, tutti si muovono con un movimento coordinato in senso antiorario, in modo tale da far progredire il batterio, mentre invece quando i flagelli cessano di muoversi in senso antiorario per incominciare a ruotare in senso orario, questo fascio di flagelli si scompone e quindi il batterio fa una vera e propria capriola nel mezzo. Pag. 11 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. Il numero di flagelli che il batterio possiede può essere variabile: se il batterio possiede un solo flagello, questo sarà, ovviamente, in un solo punto della cellula. Invece, nel caso in cui i flagelli siano più di uno, questi possono essere disposti nella stessa area della membrana plasmatica oppure in punti diversi della superficie cellulare: quindi avremo un batterio lofotrico (lofo significa ciuffo in greco), che ha più flagelli raggruppati nella stessa zona della superficie batterica, oppure un batterio anfitrico, cioè che ha o due flagelli o due ciuffi di flagelli ai due poli della cellula. Infine, potremmo avere un batterio peritrico se i flagelli sono distribuiti su tutta quanta la sua superficie. Al microscopio ottico i flagelli non si vedono, a meno che non si utilizzino dei coloranti che si vanno a depositare su di essi aumentandone le dimensioni. Due tipi di batteri, gli spirilli e le spirochete, hanno una forma a spirale (col termine spirochete si intendono più generi di batteri, spirochete propriamente detta, Treponema, Borrelia; Treponema ad esempio è il genere cui appartiene il Treponema Pallidum, che è l’agente eziologico della sifilide). I primi possono avere dei flagelli che partono dalla membrana citoplasmatica, liberi di muoversi nel mezzo extracellulare con il loro filamento. I secondi, invece, hanno dei flagelli particolari, che non sono liberi di muoversi con il loro filamento nel mezzo extracellulare perché sono endocellulari. Si trovano nello spazio periplasmico o aggregati alla membrana citoplasmatica in due punti e ruotano a spirale intorno alla cellula. Di preciso, nello spazio periplasmico, si vengono a trovare tra il peptidoglicano e la membrana esterna. È chiaro che in questo caso il flagello non può far muovere il batterio ruotando in senso antiorario/orario, sarà un altro tipo di movimento, uno un po’ serpentiforme, a far progredire il microrganismo in una certa direzione. (“Serpentiforme” nel senso che la spirocheta si accorcerà e si allungherà per muoversi su una superficie). Il numero di filamenti assiali varia a seconda del genere di spirocheta che noi andiamo a considerare, ad esempio in Treponema Pallidum ci possono essere da 2 a 16 filamenti assiali, in Borrelia ce ne possono essere anche varie decine, mentre nelle spirochete propriamente dette soltanto due. FIMBRIE (O PILI). Altre strutture filamentose che si dipartono dalla superficie cellulare sono le fimbrie, anche note come pili. Sono fatte da una proteina globulare detta pilina e sono appendici cellulari sono più corte rispetto ai flagelli, sicuramente più numerose e più sottili. Sono presenti in gran numero sui batteri gram negativi, tanto che inizialmente si pensava fossero presenti soltanto nei batteri gram negativi, successivamente la loro presenza è stata verificata anche in gram positivi. La funzione più importante dei pili, per lo meno di quelli che vengono detti semplicemente pili o pili comuni, è quella di adesione, quindi fanno parte delle adesine batteriche e servono sia per aderire a superfici biotiche (tipo le mucose), sia per aderire a superfici abiotiche, analogamente alla capsula. Pag. 12 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. Ci sono dei batteri in cui i pili servono anche per un tipo di movimento particolare che si chiama twitching: è un movimento per strisciamento, un po’ come se grazie a questi pili il batterio si attaccasse ad una superficie e si muovesse in una certa direzione, dopodiché lasciasse questo attacco per poi attaccarsi nuovamente, con i suoi pili, ad altri componenti della superficie e quindi, in questo modo, strisciasse. Così come alcuni batteri i flagelli non servono soltanto per il movimento ma anche per l’adesione, così in alcuni batteri i pili non servono soltanto per le adesioni ma anche per il movimento nel caso di adesione alle mucose, le estremità di questi pili (costituite da proteine chiamate piline) vanno ad interagire con carboidrati principalmente presenti sulla superficie delle cellule epiteliali, pertanto permettono l’adesione del batterio. Attraverso i pili, i batteri gram negativi intestinali aderiscono alla parete intestinale, che rappresenta il loro habitat. Tra questi batteri presenti come commensali a livello intestinale, ci sono gli escherichia coli, alcuni tra i quali esprimono una maggiore varietà di pili, cioè pili di tipo diverso (questo perché esistono vari tipi di piline). Ciò significa che non tutti gli escherichia coli sono uguali: il fatto che due o più batteri appartengano a una stessa specie, non vuol dire che siano identici tra loro. Questo è possibile perché c'è una porzione di genoma comune a tutti i batteri di quella specie, grazie alla quale c'è una grande omologia di sequenza tra il DNA di tutti gli escherichia coli. Poi c'è una percentuale del genoma che invece non fa parte di questo core genome e quindi può variare tra un batterio e l'altro, anche se sono tutti appartenenti alla specie escherichia coli. Per cui alcuni escherichia coli possono esprimere una minore varietà di pili, altri ne possono esprimere una maggior varietà. In conclusione, il fatto che dei batteri appartengano alla stessa specie non vuol dire che siano tutti quanti uguali tra di loro. Messo in chiaro che alcuni escherichia coli esprimano una maggiore varietà di pili in superficie, bisogna dire che questo li rende capaci di dare infezioni a livello vescicale con maggiore frequenza rispetto ad altri batteri, poiché le infezioni vescicali si acquisiscono ad opera di batteri che sono normalmente presenti nel nostro intestino, i quali devono, però, passare attraverso l’uretra: perché un batterio riesca a risalire attraverso l’uretra per arrivare in vescica (soprattutto nell'uomo, in cui l’uretra è più lunga), sono necessarie anche molte ore, un periodo di tempo durante il quale sicuramente l’individuo e andrà ad urinare. Per un batterio rimanere adeso alla superficie della mucosa mentre c'è il flusso di urine che passa attraverso l’uretra è davvero un’impresa, per cui ecco che i pili diventano un fattore di virulenza fondamentale. C'è un trattamento che viene utilizzato per la prevenzione delle infezioni vescicali (cistiti) che consiste nel somministrare del mannosio per imbrogliare le punte dei pili dei batteri, che si legano a queste molecole e chiaramente non possono più legare i carboidrati presenti sulla superficie delle cellule epiteliali. RICAPITOLANDO: I pili comuni servono per l’adesione, in alcuni casi servono per il movimento. Ci sono, però, anche dei pili particolari che servono nei processi coniugazione, i pili sessuali oppure pili F. Pag. 13 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. CONIUGAZIONE, TRASFORMAZIONE E TRASDUZIONE. La coniugazione è un meccanismo di trasferimento di materiale genetico tra un batterio donatore e un batterio ricevente ed è basato sul contatto fisico tra di essi. Questo contatto fisico può avvenire direttamente a livello delle superfici dei batteri oppure attraverso un pilo, che in questo caso prende il nome di pilo sessuale. E’ un meccanismo molto importante perché in questo modo il materiale genetico può essere trasferito da un batterio ad un altro orizzontalmente: una cellula batterica donatrice può trasferire materiale genetico a una cellula batterica che non è nata da essa, perciò si parla di trasferimento genetico orizzontale. La coniugazione è uno solo dei meccanismi di trasferimento orizzontale di materiale genetico, gli altri due sono la trasformazione e la trasduzione. La trasformazione consiste nell’acquisizione di materiale genetico dall’ambiente extracellulare. Non tutti i batteri sanno farlo, ma alcuni sono in grado di far passare pezzi di DNA presenti nell’ambiente extracellulare all’interno del proprio citoplasma. Sostanzialmente, è quello che accadeva negli esperimenti di Griffith: egli mise dei batteri rugosi in una sospensione di batteri lisci uccisi al calore, andò poi a inocularli in un topino e vide che quest’ultimo moriva. Da ciò capì che c'era una qualche molecola che nel batterio liscio era responsabile del carattere virulenza e che poteva, però, trasferirsi anche ai batteri rugosi: i batteri lisci che erano stati uccisi al calore erano andati incontro a degradazione, per cui avevano liberato il loro DNA frammentato nell’ambiente extracellulare. Alcuni batteri rugosi avevano preso dall'esterno frammenti del DNA dei batteri lisci morti e li avevano portati nel loro citoplasma. A qualcuno di quelli che avevano operato un uptake di DNA, capitò il gene che produceva la capsula, per cui cominciò a produrla e quindi diventò virulento. Il terzo meccanismo di trasferimento genetico orizzontale tra batteri è la trasduzione, che invece si basa sui batteriofagi. Questi ultimi sono virus che infettano le cellule batteriche, con un ciclo replicativo che assomiglia più alla produzione di un computer che non alla replicazione di una cellula. Il virus ha come obiettivo quello di introdurre il proprio genoma all'interno della cellula ospite, in questo caso la cellula batterica: una volta che il proprio genoma è stato introdotto nella cellula batterica, questo genoma promuoverà la sintesi di copie di sé stesso e delle varie proteine che servono per gli involucri virali. Ci deve essere un richiamo del genoma virale all’interno di questo rivestimento proteico, tuttavia può capitare un errore per cui all’interno di questo rivestimento, anziché essere messo il genoma virale, viene messo un pezzo di DNA batterico. Il virus fuoriuscirà comunque dalla cellula batterica infettata e sarà comunque in grado di infettare una nuova cellula batterica, ma vi inserirà non un genoma virale bensì il DNA che contenuto in un’altra cellula batterica (quella che aveva infettato precedentemente). Questi meccanismi di scambio genetico sono di grande importanza per i batteri proprio perché permettono il trasferimento orizzontale di geni (i batteri che si trovano nel nostro intestino possono scambiarsi quotidianamente pezzi DNA). Il problema nasce se nel DNA scambiato sono presenti geni di resistenza agli antibiotici: un gene di resistenza a un antibiotico, che compare sempre per un evento mutazionale, anziché rimanere relegato nel batterio in cui la mutazione si è verificata e, ovviamente, nella sua progenie, può essere invece trasferito orizzontalmente a batteri anche di generi completamente differenti. CICLO CELLULARE. In condizioni ambientali favorevoli, i batteri si replicano praticamente di continuo, quindi il loro ciclo cellulare è completamente diverso da quello della cellula eucariotica. Il meccanismo in base al quale da una cellula batterica madre si originano due cellule batteriche figlie si chiama scissione binaria, alcuni testi del usano anche il termine “flessione semplice”, benché di semplice vi sia ben poco. Innanzitutto, la cellula madre deve trasmettere alle cellule figlie un corredo genico identico a quello che essa possiede, dunque la prima fase sarà la replicazione del genoma. Nella quasi totalità dei casi, il genoma di un batterio è costituito da un'unica molecola di DNA circolare e quindi avremo certamente una differenza rispetto alla replicazione del DNA nella cellula eucariotica: la molecola di DNA procariotico incomincia a replicarsi in corrispondenza di un'unica origine, dalla quale la replicazione procederà in due direzioni opposte originando due forcine replicative. Poiché l’intermedio di replicazione ha la forma della lettera greca theta, si chiama anche meccanismo di replicazione a theta. Una volta che il DNA batterico si è duplicato, le due molecole di DNA figlie interagiscono con la membrana citoplasmatica, in particolare con dei mesosomi, per essere poi segregate. Nel citoplasma sono presenti sempre delle proteine dette FTS (FTSZ per la precisione), che si vanno a concentrare nella regione tra le due molecole figlie di DNA nel momento in cui la replicazione è Pag. 14 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. stata completata e formano un anello, detto Z ring, che servirà per guidare la strozzatura della membra citoplasmatica. Al tempo stesso ci deve essere costruzione di nuova membrana, così come costruzione di nuova parete cellulare, in corrispondenza della regione che si trova tra le due molecole di DNA figlie: si avrà la formazione di setti che, una volta completi, determineranno la separazione delle due cellule batteriche figlie (la membrana citoplasmatica effettua questo processo entro i tempi idonei, mentre la parete cellulare può ritardare la formazione di questi setti e tenere le cellule contigue per un certo periodo di tempo). Oltre a ciò, il batterio dovrà sintetizzare ex novo tutti quanti i suoi componenti, perciò c’è un aumento della massa e del volume cellulare prima che la cellula si divida in due. Perché il batterio si possa replicare, è necessario che possa fare sintesi e che possa portare avanti tutta una serie di processi metabolici: deve crescere. Per farlo deve poter disporre di una sorgente di energia, di una sorgente di carbonio organico, di idonee condizioni del pH, di temperature adatte, di una idonea concentrazione di ossigeno. I batteri più esigenti necessitano anche fattori di crescita (ad esempio basi azotate). I procarioti occupano tutte quante le nicchie ecologiche che un essere vivente può essere in grado di occupare, non a caso esistono anche batteri estremofili. I batteri presenteranno tutti i meccanismi esistenti per procurarsi una fonte di carbonio ed energia, nel senso che avremo procarioti in grado di fare la fotosintesi (usano, cioè, energia luminosa come fonte di energia), procarioti che invece utilizzano composti chimici (organici e inorganici) per procurarsi l'energia. I batteri di interesse medico si procurano energia degradando composti chimici organici, quindi sono chemiosintetici organotrofi. Hanno bisogno di carbonio già organicato e perciò sono detti eterotrofi, definizione che è quindi applicabile anche alle nostre cellule. Dal punto di vista, invece, della necessità di ossigeno nell’atmosfera in cui il batterio vive, possiamo riconoscere batteri aerobi obbligati, batteri anaerobi obbligati, batteri aerobi o anaerobi facoltativi, batteri microaerofili e batteri anaerobi ma aerotolleranti: I batteri aerobi obbligati devono per forza trovarsi in presenza di ossigeno perché sanno procurarsi l'energia soltanto attraverso la respirazione aerobia. Al tempo stesso, bisogna tener conto del fatto che l'ossigeno crea degli intermedi reattivi in grado di ossidare vari costituenti cellulari: l’ossidazione di proteine comprometterebbe la loro funzione. Quindi un batterio che vive esposto all'ossigeno deve possedere dei mezzi per neutralizzare l'effetto potenzialmente tossico di questi intermedi. Presentano, pertanto, enzimi tipo la superossido dismutasi e la catalasi: gli intermedi reattivi più tossici per un batterio sono l’anione superossido e il perossido di idrogeno. La superossido dismutasi neutralizza l’anione superossido, la catalasi scinde il perossido e grazie a questi enzimi l'effetto tossico viene prevenuto. I batteri anaerobi obbligati, se esposti all'ossigeno muoiono. Ciò significa che non hanno alcuna attività enzimatica in grado di neutralizzare questi intermedi reattivi (ROS), quindi devono avere dei mezzi alternativi per procurarsi energia. Per quanto concerne gli aerobi facoltativi o anaerobi facoltativi, se è presente ossigeno lo utilizzano, perché la respirazione aerobia frutta più degli altri meccanismi in termini di produzione di ATP. Se invece l’ossigeno non è presente, fanno altro, ad esempio fanno fermentazione. È ovvio, però, che per tollerare l'esposizione all'ossigeno debbano essere forniti di quelle attività enzimatiche che neutralizzano i ROS. I batteri microaerofili hanno bisogno di essere esposti a una concentrazione più bassa di ossigeno rispetto a quella che c'è nella normale aria atmosferica. Questo perché producono soltanto alcune superossido dismutasi e alcune catalasi, quindi sanno si neutralizzare gli intermediati reattivi dell’ossigeno se questi però non sono molti. I batteri anaerobi aerotolleranti sono anaerobi perché non utilizzano ossigeno (quindi non fanno respirazione aerobia) e sono aerotolleranti perché non muoiono se sono esposti all'ossigeno. Posseggono delle superossido dismutasi. Pag. 15 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. Nel nostro organismo possono sopravvivere e moltiplicarsi tutti quanti questi tipi di batteri che abbiamo elencato. Se soltanto pensiamo al tubo digerente, la concentrazione di ossigeno va via via diminuendo man mano che passiamo dallo stomaco, al tenue, al crasso perché ci saranno dei batteri commensali aerobi facoltativi che consumano l'ossigeno. Per cui nel tenue la concentrazione di ossigeno è più bassa che nello stomaco, mentre nel crasso è 0, infatti ci sono batteri anaerobi obbligati. A livello dell'intestino tenue, batteri microaerofili possono provocare infezioni. Lo stesso Helicobacter Pylori che sta nello stomaco è un microaerofilo. Anaerobi obbligati riescono a sopravvivere anche nel cavo orale: basti pensare alle tasche gengivali, dove la concentrazione di ossigeno è già bassa. Nella profondità nella tasca troviamo anaerobi obbligati, più in superficie aerobi facoltativi che consumano quel poco di ossigeno che riesce a entrare. Per quanto riguarda gli effetti della temperatura sulla crescita batterica, sappiamo che il batterio, in quanto cellula, basa il suo funzionamento sull'attività di una serie di enzimi che avranno un optimum di temperatura, ossia una temperatura a cui il loro funzionamento è ottimale. Di conseguenza, la crescita dei batteri sarà ottimale a temperature differenti, infatti si distinguono batteri psicrofili (che hanno un optimum di crescita intorno ai 10°C), mesofili (che hanno un optimum intorno ai 36°/37°C), termofili (che hanno un optimum di crescita sui 65°/70C°) e ipertermofili (con un optimum di crescita sui 95°C). Ci interessano però anche dei batteri che si possono definire psicrotolleranti, quali ad esempio listeria: listeria prediligerebbe moltiplicarsi a 36°/37°C, però a 4°C, temperatura di frigorifero, comunque si moltiplica (infatti alcune infezioni sono correlate proprio alla presenza di listeria su verdure oppure latticini). Poi, un batterio che non è termofilo, ma per lo meno termotollerante, è Campylobacter, che infatti si moltiplica anche a temperature superiori ai 40°C. Infine, per quanto riguarda l'effetto del pH sulla crescita batterica, anche in questo caso avremo batteri che si moltiplicano meglio a pH acido (acidofili), altri che si moltiplicano meglio a pH neutro (neutrofili) e, infine, gli alcalofili o basofili, che si moltiplicano meglio a pH basico (un esempio di batterio basofilo è il vibrione del colera). Essendo la maggior parte dei distretti del nostro organismo caratterizzati da un pH intorno alla neutralità, la maggior parte dei batteri che ci interessa sono neutrofili. Tuttavia, esistono varie specie di batteri acidofili che possono essere nostre commensali: basti pensare all’ambiente gastrico. Ci sono soggetti che non hanno alcun commensale a livello dello stomaco, mentre in altri soggetti, invece, sono presenti vari commensali. Quindi a livello gastrico troviamo batteri acidofili come gli streptococchi e i lattobacilli. Questi ultimi, nella donna in età fertile colonizzano l'ambiente vaginale caratterizzato da un pH acido. Troviamo batteri basofili nel nostro organismo molto meno frequentemente. Pag. 16 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. 3 – SPORE BATTERICHE. Sbobinatura di Daniela D’Isanto e Martina Maione del 25/03/2020. Revisione a cura di Anna Scognamiglio. Argomenti trattati: Concetto di tolleranza, spore batteriche, sporulazione, germinazione, coltivazione dei batteri. SPORULAZIONE. Affinché un batterio possa replicare devono essere soddisfatte determinate condizioni. Nell’ambiente esterno, inteso come le acque, il terreno, l'aria come anche il nostro organismo, se non ci sono condizioni favorevoli alla replicazione e se non si mantengono tali per un periodo di tempo protratto, allora la maggior parte dei batteri non riesce a sopravvivere. Il resto dei batteri ha soltanto due possibilità: In condizioni ambientali sfavorevoli alla crescita possono formare spore; In condizioni ambientali sfavorevoli alla crescita possono resistere in quanto sono tolleranti. Il concetto di tolleranza è un concetto importante e delicato e consiste nella capacità dei batteri di sopravvivere (non moltiplicarsi) in presenza di condizioni ambientali sfavorevoli. La scoperta dei batteri tolleranti è avvenuta con gli studi sui biofilm. Si è visto che sostanze che avrebbero dovuto uccidere le cellule batteriche e che riuscivano a permeare lo spessore del biofilm non uccidevano il 100% dei batteri, ma una percentuale di questi restava vitale in quanto la sostanza utilizzata andava a bloccare i processi metabolici. I biofilm sono delle strutture già difficilmente attaccabili, ad esempio dagli antibiotici, nel senso che non tutti gli antibiotici riescono ad entrare nella cellula e ad attraversare il biofilm. La maggior parte degli antibiotici agisce se il batterio metabolizza perché tutti gli antibiotici, tranne una sola classe, agiscono interrompendo un processo metabolico del batterio. Nel trattamento del biofilm gli antibiotici eliminavano la quasi totalità delle cellule batteriche ma alcune restavano vitali perché erano in uno stato di tolleranza cioè non metabolizzavano, di conseguenza erano insensibili all’azione dell'antibiotico. Sono stati fatti vari studi sulla tolleranza ma fino ad oggi non si è ancora trovato uno stimolo “induttivo” cioè uno stimolo che scatena l'ingresso del batterio nello stato di tolleranza. Per questo motivo si ritiene che spontaneamente una percentuale piccolissima della popolazione (non superiore allo 0,1%) entra in uno stato di non metabolismo, (cioè non metabolizza) e questo stato resta per un periodo di tempo variabile e sempre spontaneamente il batterio ritorna alla fase metabolizzante. Se un batterio è entrato spontaneamente in uno stato di tolleranza e, mentre è tollerante, le condizioni ambientali cambiano e diventano sfavorevoli alla replicazione, quel batterio non se ne accorgerà nemmeno. Quando quel batterio spontaneamente ritornerà allo stato di moltiplicazione, se le condizioni sono ancora avverse, il batterio morirà; se le condizioni nel frattempo sono ritornate ad essere favorevoli alla moltiplicazione, quel batterio si moltiplicherà. La tolleranza ad oggi è uno stato del batterio che non è inducibile, è uno stato che non comporta nessuna modifica strutturale della cellula batterica (chiaramente una modifica a livello di espressione genica avviene visto che i processi metabolici vengono bloccati). Diverso è il caso in cui batterio riesce a produrre spore. Le spore sono quelle cellule che sono sia funzionalmente sia strutturalmente diverse rispetto alla cellula che si moltiplica. Le spore sono delle cellule differenziate che il batterio forma all'interno del proprio corpo cellulare e in condizioni ambientali sfavorevoli alla crescita. Pag. 17 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. Le spore sono delle forme di resistenza e, in quanto formate all’interno del corpo cellulare della cellula, si chiamano endospore. Non tutti i batteri riescono a formare spore in risposta a stimoli esterni. I batteri che formano spore si chiamano batteri sporigeni, per questi batteri esistono due morfotipi, due tipi di cellule: Vegetativa: che si moltiplica normalmente perché l'ambiente lo consente; Spora: che non si moltiplica perché l'ambiente che è cambiato ha innescato il processo di formazione della spora. Quindi la cellula vegetativa è la forma di un batterio sporigeno che si moltiplica, mentre la spora è la forma di un batterio sporigeno che non si moltiplica. Se considero un batterio di tipo Stafilococco Aureus oppure Escherichia Coli, questi non sono sporigeni quindi la loro cellula è sempre vegetativa, hanno un solo morfotipo, una sola forma, di conseguenza è inutile dire “cellula vegetativa” ma sarà semplicemente “cellula”. Invece un batterio sporigeno, ad esempio Clostridium tetani, esiste sia nella forma che si replica sia nella forma che non si replica allora le due forme saranno distinte in cellula vegetativa e spora. Il processo che porta dalla cellula vegetativa alla formazione della spora è detta sporulazione o sporogenesi. Non si tratta di un processo di riproduzione perché si parte da una cellula e si origina una spora (un processo riproduttivo porta invece da una cellula a due cellule figlie). La sporulazione è un processo di sopravvivenza. La spora non esiste soltanto nel mondo dei procarioti, essa esiste anche in quello degli eucarioti ma con caratteristiche diverse. Ad esempio, le spore dei funghi sono strutture riproduttive mentre, nel caso dei batteri, le spore sono forme di resistenza per consentire la sopravvivenza di batteri in condizione ambientali avverse. Quindi il batterio forma la spora in condizioni ambientali avverse ma deve esserci anche un processo di ritorno alla cellula che si moltiplica perché ogni specie vivente ha come obiettivo la sopravvivenza della specie stessa (la riproduzione). Il processo di sporulazione esiste perché c'è un processo inverso che dalla spora porta alla formazione nuovamente di una cellula vegetativa e questo processo viene detto germinazione. Non tutte le specie batteriche sono in grado di formare le spore, ne sono in grado alcune specie di batteri gram positivi (che sono tutti bacilli) ed alcune specie di batteri gram negativi. I batteri sporigeni che interessano la patologia umana, quindi che sono di interesse medico, sono tutti quanti bacilli gram positivi appartenenti alle specie: Clostridium Botulinum (causa il botulismo), Clostridium Tetani (causa il tetano) e Clostridium Perfringens (causa la gangrena gassosa, un’infezione dei tessuti molli alla quale può seguire anche una setticemia) per gli anaerobi; Bacillus Anthracis (causa antrace e carbonchio polmonare; le spore di questo bacillus sono state utilizzate per atti di bioterrorismo attraverso la semplice spedizione di pacchi per posta ordinaria che contenevano le spore), e Bacillus Cereus (causa tossinfezioni alimentari) per gli aerobi. Le spore possono avere forma, posizione e dimensioni differenti, ad esempio nel Clostridium Botulinum e anche nel Clostridium Tetani la spora si trova in posizione terminale cioè proprio all'estremità della cellula, è tondeggiante ed ha un diametro maggiore rispetto a quello della cellula da cui si è formata; invece per il Clostridium Perfringens la posizione è sub terminale: c'è un po’ di spazio tra la spora e l’estremità della cellula, Pag. 18 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. la forma è ovale ed è anche un po’ più piccola; infine il Bacillus (sia Anthracis che Cereus) ha la spora in posizione centrale ed ha più o meno le stesse dimensioni della cellula in cui si forma. Le spore sono formate da batteri che si trovano in un’ambiente non favorevole e sono diverse da batteri tolleranti. Infatti, una spora è in grado di resistere e di sopravvivere in condizioni estreme, nel senso che è in grado di resistere all’esposizione a temperature molto elevate, all'esposizione ad agenti chimici come disinfettanti, all’esposizione a raggi gamma, X, ultravioletti, e alla disidratazione. Una cellula vegetativa sopravvive non più di 10 minuti a 80 °C, mentre le spore a seconda della specie che le forma possono resistere da 30 minuti a 5 ore a 100 °C. Le spore resistono a cicli di congelamento e scongelamento. In realtà un singolo atto di congelamento non è detto che uccida nemmeno le cellule vegetative. Se però le cellule vengono congelate e scongelate ripetutamente allora le cellule vegetative muoiono e le spore invece resistono. Le spore sono delle cellule vitali che rappresentano gli organismi viventi più resistenti scoperti fino ad oggi. Inoltre, una volta che una spora si è formata può rimanere vitale nell’ambiente esterno per migliaia di anni (alcune spore sono state ritrovate in alcune mummie e in alcuni fossili). Questi batteri sporigeni vivono in simbiosi con varie tipologie di organismi viventi, ad esempio, il Clostridium tetani che è presente nell'intestino di vari animali, lo troviamo in forma vegetativa e non in forma di spora perché ci sono sicuramente delle condizioni che sono favorevoli alla moltiplicazione. Il materiale nell’intestino che deve essere espulso come materiale fecale è umido e ricco di nutrienti per un certo periodo di tempo poi va incontro a disidratazione e riassorbimento e diventa un mezzo in cui la moltiplicazione batterica non è più consentita. A quel punto il Clostridium tetani comincerà il processo di sporulazione all’esterno dell’organismo con cui era in simbiosi. Le spore riescono ad essere così resistenti a condizioni ambientali avverse ed anche ad agenti fisici e chimici perché sono cellule differenziate, modificate rispetto alla cellula vegetativa sia dal punto di vista fisiologico che dal punto di vista strutturale. Sono modificati dal punto di vista fisiologico perché sono cellule che non fanno alcun tipo di metabolismo quindi, per esempio, le spore di un Clostridium, anche se questo è anaerobio obbligato, non sono condizionate dalla presenza dell’ossigeno nell’ambiente. Questo stato di quiescenza, di letargo e di vita sospesa è definito stato di criptobiosi e le spore sono definite cellule criptobiotiche. Dal punto di vista strutturale la parte centrale della spora è definita core ed è formato da quelle che sono le strutture che troviamo anche nella cellula vegetativa come il citoplasma che è estremamente disidratato e contiene delle piccole proteine acido solubili cariche positivamente che si vanno ad attaccare al DNA. Il DNA è altamente spiralizzato, molto di più rispetto a quello di una cellula vegetativa e ed è addossato alla membrana citoplasmatica. Queste proteine acido solubili che si attaccano al DNA servono per proteggerlo. La forma spiralizzata evita che venga danneggiato dai raggi ultravioletti e dai raggi X. È costituita inoltre da una membrana citoplasmatica e una parete cellulare rudimentale. Intorno al core ci sono gli involucri sporali che sono: cortex (o corteccia), i coats esterno ed interno ed eventualmente l’esosporio (non tutti lo presentano). La corteccia è costituita da peptidoglicano, strato importante per la protezione ed è costituito da un peptidoglicano modificato perché il monomero base è costituito sempre da N-acetilglucosammina e acido N-acetilmuramico, ma molti residui di acido N-acetilmuramico vengono sostituiti da acido delta lattamico. Questo avviene perché l’acido delta lattamico servirà come punto di attacco per gli enzimi che nel momento in cui la spora dovrà germinare andranno a degradare la corteccia. Nella cortex è anche presente acido dipicolinico che forma con il sale dipicolinato di calcio. Quest’ultimo forma dei ponti, dei legami crociati con il peptidoglicano ed è come se questa rete spessa che sta intorno alla membrana citoplasmatica si contraesse per determinare la fuoriuscita delle molecole d’acqua dal protoplasto, infatti il citoplasma è altamente disidratato. Pag. 19 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. Intorno alla corteccia ci sono i coats di rivestimento interno ed esterno che sono fatti da proteine ricche di cisteina e ponti disolfuro. Queste proteine sono dette proteine cheratino-simili sono molto stabili e resistenti alla denaturazione. Lo strato più esterno è l’esosporio che ha una costituzione lipoproteica e in più può contenere acidi teicoici e carboidrati in generale. Non è una struttura resistente ed infatti non è presente in tutte le cellule. La sporulazione è un processo complicato che viene detto processo dimorfogenetico perché da una forma cellulare cioè la cellula vegetativa porta ad una forma cellulare diversa, la spora. È un processo complesso che richiede una diversa espressione dei geni che la cellula sporigena possiede e quindi un processo di differenziazione. Devono essere repressi tutti i geni che sono connessi con la maggior parte delle sintesi macromolecolari e contemporaneamente vengono attivati una serie di geni che sono connessi con la formazione la spora. La repressione e derepressione dei geni hanno una sequenza temporale ben specifica quindi c’è una regolazione temporale di almeno 50 geni connessi con la fase vegetativa e che quindi verranno silenziati oppure connessi con la fase di formazione della spora che verranno espressi. L’attivazione temporale differenziata dei vari geni è permessa dall’espressione di sigma factor alternativi. I sigma factor sono delle subunità dell’RNA polimerasi dei batteri a cui si deve l'inizio del processo di trascrizione. I fattori sigma che normalmente vanno a trascrivere i geni della fase vegetativa non vengono più espressi e vengono espressi dei sigma factor alternativi che andranno a far trascrivere i geni che sono collegati con la produzione della spora. Tutto il processo richiede dalle 6 alle 8 ore ed avviene solo se la cellula è sana e non possiede alterazioni nel proprio DNA che comprometterebbero la capacità replicativa della cellula una volta avvenuto il processo di germinazione. Il batterio, infatti, prima di cominciare a formare la spora deve essere sicuro che nel momento in cui questa spora ritornerà alla forma vegetativa riuscirà a moltiplicarsi. Esistono dei segnali esterni che inducono la sporulazione come le condizioni ambientali ed anche segnali interni come il controllo del DNA infatti eventuali alterazioni rappresentano un segnale negativo per la sporulazione. “Le spore sono formate da cellule sane minacciate dalla fame”. G. Knaysi. La cellula sporigena comincia a dividersi replicando il suo DNA, nel momento in cui si forma il setto di membrana plasmatica per poter far avvenire la divisone del citoplasma nelle due cellule figlie possiamo notare la differenza che intercorre tra una normale divisione cellulare e una sporulazione. Il setto infatti non divide in maniera simmetrica il citoplasma, si formerà un compartimento più piccolo che darà origine alla spora e si Pag. 20 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. chiama “prespora” ed un compartimento più grande che rappresenta la cellula destinata a scomparire entro otto ore. La cellula “sorella” della prespora svolge un ruolo fondamentale perché la sua membrana citoplasmatica va ad avvolgere la prespora e contribuisce alla formazione di quelli che sono gli involucri sporali, in particolare i coats. Sulla membrana plasmatica dei batteri sono allocati tutti gli enzimi che servono per i processi metabolici come la sintesi dei lipidi e delle proteine della membrana stessa e anche enzimi che servono per la sintesi del peptidoglicano, anche quello modificato della corteccia. La prespora con la sua membrana citoplasmatica formerà principalmente la corteccia e parte del coats interno. La membrana plasmatica della cellula sorella che va ad avvolgere la prespora determina la formazione del coats esterno, contribuisce alla formazione del coats interno ed eventualmente forma se il batterio lo presenta l’esosporio non degradandosi del tutto. La cellula sorella una volta che è terminata la formazione della spora muore e si disgrega perché perde l’integrità della membrana citoplasmatica, il suo DNA va nell’ambiente extracellulare e si degrada, ciò che resta è la spora che viene rilasciata nell’ambiente esterno. Per ogni cellula che va incontro al processo di sporulazione si forma una sola spora, rapporto 1:1. GERMINAZIONE. Anche il processo di germinazione è dimorfogenetico perché porta da una forma cellulare, la spora ad una forma vegetativa. La germinazione è indotta da stimoli esterni in particolare dalla disponibilità di nutrienti soprattutto gli amminoacidi come l’alanina. La germinazione si distingue in tre fasi: Induzione o attivazione; Germinazione vera e propria; Esocrescita. Di questi tre stadi quello inducibile è il secondo stadio. Per formare la spora ci vogliono anche 8 ore per far ritornare la forma la vegetativa invece bastano 90 minuti circa. La fase di attivazione è una fase non inducibile in cui avviene il danneggiamento degli involucri in quanto vengono esposti per tempi lunghi ad acidi, allo shock termico prolungato. In laboratorio ad esempio le spore delle mummie sono state definite come vitali perché sono state prelevate, sottoposte a shock termico, i loro involucri esterni si sono danneggiati, sono state messe in un terreno di coltura idoneo ed hanno dimostrato così di aver ripreso la loro moltiplicazione. Quindi la prima fase non può essere indotta dal ripristino delle condizioni ambientali favorevoli alla crescita ma deve essere causata da fattori che danneggiano gli involucri delle spore. In laboratorio viene utilizzato lo shock termico, in natura è l’invecchiamento delle spore a determinare la degradazione degli involucri oltre che gli agenti atmosferici. A questo punto gli involucri sono diventati permeabili, perdono il dipicolinato di calcio e durante la germinazione permettono il passaggio di nutrienti che interagiscono con i recettori posti sulla membrana plasmatica, nel core. I recettori avvertono la disponibilità di nutrienti e quindi il cambiamento delle condizioni ambientali e fanno sì che si inneschi l’espressione dei geni che servono per la germinazione, in primis vengono attivati geni che codificano per delle autolisine particolari, ovvero enzimi che il batterio produce che vanno a tagliare il peptidoglicano del batterio stesso. Tutti quanti i batteri producono a livello costitutivo una piccola quantità di enzimi detti autolisine, o meglio mureina idrolasi in quanto tagliano il peptidoglicano che è chiamato anche mureina. Il batterio produce normalmente durante la sua vita vegetativa questi enzimi che riconoscono il peptidoglicano lo tagliano per permettere l’aggiunta di monomeri appena prodotti al fine di ingrandire la parete cellulare durante la moltiplicazione. Quando parliamo di spora invece in cui gli involucri esterni si stanno deteriorando e le sostanze nutritive dell’ambiente esterno segnalano ai recettori che la cellula può ricominciare la moltiplicazione. La cellula riprende il suo metabolismo e comincia ad assumere acqua dall’esterno ingrandendosi, a questo punto la cellula deve liberarsi del tutto degli involucri esterni tagliando il peptidoglicano modificato della cortex tramite delle autolisine particolari, dando luogo all’esocrescita. Pag. 21 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. L’immagine al microscopio elettronico fa riferimento all’esocrescita, si possono notare gli involucri della spora e la cellula che ha ripreso le sue attività metaboliche. Quando la cellula comincia ad aumentare di volume perché il citoplasma riassume dall’esterno acqua è come se fuoriuscisse dagli involucri sporali dando luogo all’esocrescita. Le spore sono importanti dal punto di vista medico e industriale in quanto hanno una capacità di resistere a condizioni estreme. Quando si mettono in atto procedure di sanificazione di un locale oppure di strumentazione bisogna tener conto che eliminare le cellule vegetative è diverso da eliminare le spore. Per cui, ad esempio, se si vuole utilizzare la temperatura come mezzo di sterilizzazione bisognerà agire a temperature più alte oppure a temperature di 100°C per periodi molto più lunghi rispetto a quello che è necessario fare per le cellule vegetative. Se si utilizzano dei mezzi chimici bisogna tener conto ad esempio che un alcol può essere in grado di eliminare delle forme vegetative ma non è certo in grado di eliminare le spore per cui bisogna utilizzare, per esempio, la formaldeide o altri agenti chimici. Importante e da non sottovalutare è che le spore vengono veicolate anche attraverso l'aria e possono resistere nell'ambiente esterno anche per periodi di tempo lunghissimi. Per esempio, nel materiale defecato da un animale e che sta andando in contro ad essiccamento, le cellule batteriche che si trovano al suo interno iniziano la sporulazione. Le spore possono essere così trasportate col vento e messe in circolazione nell’aria, inoltre le spore possono anche posarsi su oggetti, verdura ecc. Se per esempio dovessimo tagliarci con un oggetto di ferro (essendo la ruggine un indice del tempo in cui un oggetto di ferro è stato esposto all’ambiente), se l’oggetto con cui ci siamo feriti non è arrugginito avremo minor probabilità che su quell’oggetto si siano posate delle spore, cosa contraria se pensiamo ad un oggetto molto arrugginito che probabilmente ha su di sé spore di Clostridium tetani, un suo taglio potrebbe provocarci il tetano. L’importanza delle spore anche dal punto di vista industriale ha come motivo il fatto che le spore possono anche essere presenti sugli ortaggi. Se le spore in questione appartengono al Clostridium Tetani, allora pur mangiando quell’ortaggio non riportiamo alcun danno, ma se le spore appartengono al Clostridium Botulinum o Bacillus Cereus allora questo in questo caso si possono avere delle tossinfezioni alimentari, quindi chiaramente anche l'industria alimentare deve mettere in atto delle procedure per la neutralizzazione dei microrganismi. La spora è importante come forma attraverso cui noi possiamo acquisire il batterio ma se la spora non germina non ci può dare nessuna patologia. Infatti, riprendendo l’esempio del coltello arrugginito, io svilupperò la patologia se tra le spore di Clostridium tetani sul coltello, una può andare incontro alla germinazione generare la cellula germinativa. Questa produrrà la tossina tetanica che è il responsabile del tetano, cioè paralisi spastica. COLTIVAZIONE BATTERICA. I batteri hanno bisogno di molecole di carbonio, fonti di energia, nutrienti, fattori di crescita, condizioni fisiche adeguate, un’idonea concentrazione di ossigeno (che può anche significare 0 ossigeno) e un idoneo pH. La maggior parte di queste esigenze vengono soddisfatte utilizzando dei terreni di coltura e poi si fornisce al batterio il giusto grado di umidità perché l'acqua è indispensabile per qualunque processo vivente. Grazie al terreno esponiamo i batteri anche all’idoneo pH. Per quanto riguarda invece la temperatura utilizziamo degli incubatori, nel caso di batteri mesofili questi saranno settati su una temperatura di 37,5 C ° oppure per batteri che crescono nel suolo verranno utilizzati degli incubatori settati a temperature differenti, infine per alcuni non vengono utilizzati perché possono essere lasciati a temperatura ambiente. Pag. 22 Microbiologia Medica. Federico II. A.A. 2019/2020. Per quanto riguarda invece l'ossigeno i batteri vengono definiti aerobi obbligati, aerobi facoltativi e anaerobi aereo tolleranti e crescono nella comune atmosfera; invece i batteri microaerofili vengono messi in degli incubatori, simili a quelli che si usano per la crescita delle cellule eucariotiche in cui viene erogata anidride carbonica. Essendo il volume d’aria presente nell’ incubatore fisso se si immette anidride carbonica automaticamente diminuisce la concentrazione di altri gas, ossigeno compreso. L'alternativa è quella di utilizzare un sistema chiuso a tenuta in cui si aggiungono dei prodotti chimici che legano l'ossigeno per eliminarlo dal mezzo ed è questo il tipo di contenitore che si usa invece per coltivare i batteri anaerobi obbligati. I terreni di coltura devono essere sterili, non devono contenere nessun altro batterio. I terreni una volta preparati con tutti i loro costituenti devono essere sterilizzati nel senso che dobbiamo elimin

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