Programma Esame Motoria PDF
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This document discusses the importance of movement in human life. It covers various aspects of movement, its functions, and the impact across different life stages (childhood, adulthood, old age). The text details the effects of movement on physical, cognitive, and social development. The document also describes the different types of movement, considering their characteristics and stages of development.
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LEZIONE 2. 19 SETTEMBRE Movimento definizione: componente essenziale degli esseri viventi. La sua essenzialità riguarda il fatto che permette di condurre una vita autonoma e indipendente alle persone. Nell’età avanzata si perde autonomia perché si perde mobilità e mobilità. Il movimento è importante...
LEZIONE 2. 19 SETTEMBRE Movimento definizione: componente essenziale degli esseri viventi. La sua essenzialità riguarda il fatto che permette di condurre una vita autonoma e indipendente alle persone. Nell’età avanzata si perde autonomia perché si perde mobilità e mobilità. Il movimento è importante perché ci permette di essere autosufficienti. Il movimento costituisce un mezzo di relazione della persona con l’ambiente. Con ambiente intendiamo non solo quello fisico in cui ci si muove, ma anche tutto ciò che è contenuto all’interno dello spazio come oggetti, animali e persone. Il movimento è dunque una funzione organica che caratterizza gli esseri viventi. Consente e ha consentito l’evoluzione dell’uomo, intesa sia in senso ampio che in senso più ristretto rilegato alla vita di un singolo soggetto: forme di motricità sempre più complesse ed evolute man mano che si procede con la crescita e quindi con il processo evolutivo della motricità. Il culmine di questo sviluppo è rappresentato dalla motricità evoluta che abbiamo noi adulti. Il mantenimento del benessere psico-fisico La prevenzione dell’invecchiamento. Nell’ultima fase della vita il movimento ha proprio questo scopo. Il processo di invecchiamento, inevitabile, può essere ritardato grazie al movimento: questo ci consente di mantenere in funzione i grandi apparati e sistemi (cardio-circolatorio, respiratorio, muscolo-scheletrico, nervoso). Spesso vengono proposte attività simili agli anziani e ai bambini ma con finalità differenti: per i bambini si punta ad acquisire e potenziare l’apparato motorio, mentre per gli anziani il fine è evitare di perdere in modo drastico il movimento. Si riferisce: 1. atto motorio visibile 2. posture ed atteggiamenti statici: Il movimento si ha anche quando siamo fermi: le funzioni vitali avvengono e quindi si muovono cuore, polmoni, ecc… Inoltre, noi ci muoviamo grazie ai muscoli: la contrazione muscolare avviene anche quando siamo immobili. La contrazione può sia permettere il movimento in quanto spostamento che movimento inteso come mantenimento della posizione. Quali sono gli effetti del movimento sullo sviluppo della persona? Quelli più visibili riguardano l’area fisico-motoria: - si ha sviluppo dell’apparato osseo—> il movimento, utilizzando alcune modalità e carichi di lavoro adeguati, facilita la deposizione di sali e calcio nelle ossa che permette l’accrescimento delle ossa sia in termini di densità che di lunghezza. Carichi di lavoro che siano idonei rispetto all’effettiva capacità di sopportazione dei carichi di lavoro da parte die bambini. Se questo non avviene, le ossa possono rallentare il proprio processo di crescita (es: atlete di artistica). - componente articolare—> le nostre articolazioni hanno mobilità differenti (mobili, semimobili e fisse) legate alle caratteristiche strutturali dell’articolazione. Per ciascuna di queste cambia l’ampiezza del movimento che può compiere, il piano sul quale queste si possono muovere. L’età evolutiva è caratterizzata da una grande ampiezza di mobilità: le articolazioni sono ancora in accrescimento e quindi molto mobili. A scuola bisogna cercare di mantenere questo elevato grado di mobilità che i bambini hanno: significa favorire e indurre il bambino a fare movimenti molto ampi. Questa ampiezza si perde per due motivi: 1. Le articolazioni cambiano crescendo 2. In funzione del movimento, crescendo, cambia l’abitudine al movimento Quanto più si invecchia più è importante compiere movimento con movimenti molto ampi e con alta intensità. - funzione muscolare—> l’effetto che il movimento induce nell’immediato sono quelli che si ripercuotono nel muscolo. Ipertrofia muscolare (ingrossamento visibile del muscolo): effetto ultimo che consente al muscolo di diventare più grande. Osserviamo l’efficientamento del sistema muscolare a seguito di quello nervoso. È il sistema nervoso che manda gli impulsi alle fibre muscolari che permettono al muscolo di formarsi. Quindi bisogna lavorare ed incrementare la sua efficacia. - cardiocircolatorio—> il cuore è un muscolo e quindi il movimento migliora la sua prestazione. Migliora inoltre, il ritorno venoso (la circolazione). Siamo una macchina che funziona meglio con il movimento. Altra funzione del movimento: sviluppo della funzione comunicativa. Tutto quello che diciamo e recepiamo viene veicolato e percepito tramite il corpo. Questa funzione ha una duplice accezione: 1. Movimento come strumento di comunicazione che si sostituisce alla lingua parlata (LIS) 2. I movimenti e le posture che il nostro corpo assume, possono potenziare o screditare quello che diciamo. Il linguaggio del corpo è quello che arriva prima al nostro interlocutore ed è più efficace. Sviluppo cognitivo Sviluppo socio affettivo Stile di vita: l’abitudine al movimento si sta perdendo, soprattutto nei bambini; non si ha più uno stile di vita sano. In generale l’attività motoria: 1. Aiuta il bambino a crescere globalmente 2. Aiuta l’adulto a sviluppare e mantenere le proprie capacità: l’obiettivo è raggiungere il massimo della propria potenzialità per mantenere più tempo possibile. 3. Aiuta l’anziano a ritardare il processo di invecchiamento Tre fasce d’età: Evolutiva 0-18 Adulta 18-65 Anziani da 65 Questa suddivisione ci serve per comprendere se i traguardi raggiunti dal punto di vista dello sviluppo sono consoni all’età in cui vengono raggiunti e, se così non fosse, valutare un ritardo nello sviluppo. Lo sviluppo di ciascuno di noi è individuale e personale. Nonostante questo si hanno dei target di età che vengono presi in considerazione quando si pensa a delle attività da proporre. Il nostro grado di motricità, ovvero la nostra capacità del movimento (dipende da una componente qualitativa e componente), cambia in funzione alle diverse tappe di sviluppo (questo è definito con il termine psicomotricità). Motilità: capacità di compiere movimenti attraverso meccanismi neuromuscolari. La motilità e la psicomotricità congenite legate alla specie e al singolo si sono costruite attraverso gli adattamenti che hanno determinato l’evoluzione della specie. In relazione a questo iter di sviluppo della motricità cambia la relazione che c’è tra l’azione e la conoscenza. Inizialmente il bambino comincia a muoversi per conoscere il mondo (fare); successivamente il bambino impara a muoversi in maniera corretta (saper fare); poi arriva il saper fare bene, quindi svolgere i movimenti in maniera corretta raggiungendo sempre il proprio obiettivo tramite l’allenamento. Tutto questo avviene perché a livello fisiologico e di funzionalità, il movimento induce cambiamenti nella persona e a sua volta la persona che è cambiata è in grado di compiere movimenti sempre più efficaci e rispondenti l’obiettivo e la necessità (aumenta la forza, la resistenza). Si viene a creare un circolo vizioso tra persona e movimento. Il movimento provoca nel soggetto dei cambiamenti che vengono genericamente chiamati “effetti o adattamenti”. Gli effetti del movimento, quindi, possono riguardare l’aspetto: strutturale funzionale cognitivo comportamentale A livello del corpo intervengono due meccanismi: aggiustamenti ed adattamenti. Il miglioramento è dovuto al fatto che la persona si adatta alla condizione di movimento e così migliora la propria funzionalità. Per potersi adattare però prima si deve aggiustare. Le modificazioni del corpo che avvengono parallelamente al movimento sono definite aggiustamenti. Il movimento viene visto come un fattore di stress ed il corpo risponde aggiustandosi. Questi aggiustamenti vengono definiti anche come effetti immediati del movimento: l’insieme delle risposte che l’organismo o meglio la persona “da subito” organizza per “tamponare” la situazione di “...stress...” provocato dal movimento. Successivamente si ha una condizione di recupero che riporta gradualmente il corpo alla condizione basale. Posso avere anche degli effetti permanenti: il mio corpo, dopo giorni e mesi di corsa, si adatta. Con adattamenti/effetti permanenti intendiamo l’insieme di cambiamenti stabili per meglio rispondere alle situazioni di stress che il movimento potrebbe provocare in futuro. Ad esempio se corro per un anno, il numero di battiti in una condizione di riposo si abbasserà (da 70 a 60 battiti). Questi adattamenti li otteniamo e li manteniamo fino a quando ci muoviamo in maniera regolare e costante, altrimenti gli effetti positivi del movimento si perdono. Più è lungo il periodo di fermo maggiore è la perdita. (NO ultime 3 slide) (Secondo pacco di slide). Evoluzione della motricità in funzione dell’età e delle fasi di sviluppo. Motricità: è il comportamento motorio o anche il grado di capacità di movimento (inteso sia in senso qualitativo che quantitativo) che un essere umano manifesta solitamente in relazione ad una tappa dello sviluppo o ad una età (psicomotricità) Le tre forme di motricità che si susseguono sono: (a mano a mano che si cresce alcune forme di movimento diventano meno preponderanti) 1. Movimento riflesso o automatico 2. Movimento volontario 3. Movimento automatizzato Movimento riflesso o automatico. primi 4 mesi di vita: il bambino é dotato di motricità riflessa neo- natale, definita anche motricità primitiva. Questa dà la possibilità al bambino di sopravvivere al nuovo ambiente in cui si trova a vivere (pancia—> mondo). Non agisce volontariamente ma mette in atto movimenti per via riflessa (respirazione, pianto, suzione, deglutizione). Tra i movimenti riflessi o autonomi distinguiamo i movimenti massivi da quelli atetotici. I movimenti massivi coinvolgono massivamente il corpo del bambino, globalmente. Non hanno una finalità precisa, sono scoordinati e imprecisi (movimento confusionario di gambe e braccia nella culla). I movimenti atetotici sono quelli che il bambino esegue in condizioni di riposo e rilassatezza (si accarezza la pancia, le guance). Anche questi sono movimenti primitivi, non controllati, imprecisi e scoordinati. La motricità riflessa è un tipo di movimento che rimane sempre, da quando nasciamo a quando moriamo; cambia la finalità del movimento riflesso. Se nel periodo iniziale il fine è sopravvivere, crescendo la finalità diventa quella di preservare l’integrità del nostro organismo: sono meccanismi di difesa che il nostro corpo attua in maniera inconscia(es: mano sul fuoco—> non siamo noi che decidiamo coscientemente di togliere la mano. Se tutto questo avvenisse in maniera cosciente, il tempo di risposta sarebbe troppo lungo e ci scotteremmo). Alcune definizioni: Azione riflessa: Ogni risposta di adattamento che avviene senza il controllo della coscienza o senza l’intervento della volontà. Riflesso: Risposta motoria automatica e stereotipata conseguente ad uno stimolo sensoriale. Perché la risposta si inneschi deve esserci una domanda proviene dall’ambiente (interno o esterno). Sono risposte rapide e semplici. La semplicità funzionale e quella strutturale vanno di pari passo. Quanto più un meccanismo è semplice tanto più presuppone struttura semplici e lo stesso vale se sono complesse. L’azione riflessa è rapida e semplice quindi abbiamo una semplicità anche a livello strutturale. Man mano che si passa alle altre forme di motricità aumenta il grado di complessità e le strutture che vengono coinvolte. È bene distinguere il movimento automatico, ovvero quello riflesso, da quello automatizzato che rappresenta il culmine del processo di apprendimento motorio, è la forma di movimento più complessa che siamo in grado di compiere. Si compie quindi un percorso che porta dal movimento riflesso a quello automatizzato, passando per un livello intermedio che è rappresentato dal movimento volontario. Il movimento riflesso è anche un movimento stereotipato cioè sempre uguale a se stesso: questo proprio perché non lo controlliamo noi. Semplicità funzionale presuppone semplicità strutturale. Le strutture che vengono impiegate per compiere il movimento più semplice, ovvero quello riflesso, sono 5: 1. Sensore 2. Branca afferente 3. Centro di integrazione 4. Branca efferente 5. Effettore Movimenti riflessi schemi automatici, coordinati e stereotipati di contrazioni e rilasciamenti muscolari prodotti da stimoli periferici che non necessariamente provengono dall’esterno ma anche dall’ambiente interno (propriocezione, dolore). La prima struttura coinvolta è il recettore: la mano (sensore, ovvero qualunque organo di senso) viene poggiata sulla superficie bollente, il calore attiva i recettori tattili. L’informazione di calore e dolore parte dal recettore e arriva la domanda a livello centrale, fino al midollo tramite la branca afferente (via/condotto che da fuori porta la domanda all’ambiente interno). La risposta viene elaborata a livello spinale e parte poi la risposta, ovvero il comando che induce la contrazione muscolare. La risposta, quindi l’impulso nervoso, viene condotta dalla branca efferente e raggiunge l’effettore, ovvero i muscoli e questi si contraggono producendo la risposta. Questo a livello strutturale è la struttura più semplice in assoluto che è in grado di produrre movimento. I movimenti più semplici fanno capo a questo meccanismo che prende il nome di arco riflesso. A livello strutturale, branca afferente e branca efferente sono la stessa cosa (cellule nervose), ma quello che cambia è la direzione e di conseguenza la natura dell’informazione: nella branca afferente l’informazione sensoriale entra (movimento in entrata) e nella branca efferente esce la risposta (movimento in uscita). Tra domanda e risposta, l’informazione viene trasferita tramite un insieme di reazioni biochimiche che prendono il nome di sinapsi (passaggio dell’informazione da un neurone a quello successivo). Se è vero che l’arco riflesso costituisce la forma più semplice di movimento che possiamo svolgere, è vero anche che quando ci muoviamo non produciamo quasi mai delle esecuzioni così semplici. Questo perché l’ambiente in cui ci muoviamo è troppo complesso, dunque l’arco riflesso, che è semplice, non è mai sufficiente per sopravvivere nel nostro ambiente e per rispondere alle sue richieste. La risposta riflessa di solito viene quindi modulata da altre strutture, ovvero gli interneuroni, che portano sempre a livello midollare una serie di altre informazioni e attenuano e modulano l’automatismo del movimento globale. Anche una situazione apparentemente semplice contiene diversi stimoli per cui l’utilizzo dell’arco riflesso non sarebbe sufficiente. Infatti, noi utilizziamo sempre i riflessi polisinaptici. I riflessi polisinaptici vengono utilizzati nel momento in cui ci sono più stimoli a cui rispondere. La differenza tra i riflessi monosinaptici e quelli polisinaptici sono le strutture coinvolte nel movimento. Nei riflessi monosinaptici perchè abbiamo una strada che entra, una che esce, un unico punto di contatto che è la sinapsi; nei riflessi polisinaptici tra la struttura in entrata e quella in uscita potrebbero essere tante altre strutture che portano informazioni provenienti da varie parti del corpo e che vengono utilizzate per modulare l’azione riflessa in modo che questo movimento riflesso risponda alla complessità dell’ambiente. Qui la complessità ambientale comporta una complessità strutturale che a sua volta comporta una complessità funzionale. A seconda della provenienza, le risposte (azioni riflesse) vengono chiamate in modo diverso in base alle stimolo che le produce. Riflessi propriocettivi: provengono dall’interno del nostro corpo (muscoli, ossa, articolazioni, apparato vestibolare ovvero l’orecchio). L’orecchio è un duplice organo di senso che è a carico sia dell’udito che di tutta la capacità dell’ equilibrio. Oltre ad avere questi recettori che captano i suoni, ne hanno altri che ci danno la percezione della posizione, del movimento e delle rotazioni. I riflessi propriocettivi e i riflessi telecettivi coinvolgono lo stesso organo(l’orecchio) ma parti diverse: i secondi sono principalmente indotti da stimolazioni acustiche, visive ed olfattive quindi coinvolgono la parte dell’orecchio deputata alla percezione dei suoni mentre i primi coinvolgono la parte deputata alla definizione di posizioni, rotazioni, traslazioni del corpo. I riflessi esterocettivi sono quelli che provengono dall’esterno, quindi dai recettori del tatto e del gusto I riflessi enterocettivi dall’interno del nostro corpo (Provocati da afferenze della muscolatura liscia) I riflessi nocicettivi sono dovuti da sensazioni di dolore A partire dal movimento riflesso, come arriviamo ad un bambino che compie movimenti volontari in poco tempo? Nell’arco di un anno circa il bambino si mette a camminare raggiungendo la posizione eretta. Il primo anno di vita del bambino è un anno importante per la sua evoluzione. Tutto parte dai movimenti riflessi innati: i due principali che danno una forte spinta evolutiva sono: Il riflesso posturale labirintico del capo: azione che avviene per via riflessa. Dà la spinta al bambino gradualmente di sollevarsi per acquisire prima la stazione seduta e poi quella eretta. Quando il bambino è posizionato a pancia sotto (decubito prono), per via riflessa il bambino tende ad estendere prima collo e testa dalla superficie e poi sempre per via riflessa inizia a spingere gli arti superiori sollevando il tronco. In posizione decubito supina (pancia sopra) il bambino per via riflessa si solleva con collo e capo (flessione in avanti del collo e della testa, senza alzarsi). Successivamente il bambino sperimenta le prime forme di rotolamento che sono involontarie ma che gli permetteranno di raggiungere le prossime fasi. Grasping (o riflesso di prensione): riflesso per cui il bambino chiude il pugno quando gli si mette qualcosa in mano. Questo anticipa la prensione degli oggetti e la capacità di manipolazione. La spinta evolutiva grossa il bambino ce l’ha quando riesce a stare seduto autonomamente perché non ha più bisogno di tenere le mani poggiate a terra per sostenersi e quindi averle libere per la manipolazione autonoma. Tra lo stare seduti e la posizione eretta compare una tappa fondamentale: l’arrampicarsi. Schema motorio dell’arrampicarsi: il bambino se è seduto e ha un appoggio si poggia con le mani e si alza acquisendo la stazione eretta che diventerà autonoma con il tempo. Inizia così le prime forme di deambulazione, prima con sostegno e poi autonome. Questo anticipa la camminata. Camminata: per raggiungere la camminata il bambino barcolla, allarga la base d’appoggio (gambe divaricate), mette le braccia in avanti per mantenere l’equilibrio e così via fino ad arrivare ad una motricità volontaria dopo essere partiti da una motricità riflessa. Questi adattamenti sono possibili grazie al movimento, alla pratica. Con il tempo si passa dalla guardia alta (braccia in alto) passa alla guardia bassa e poi usa gli arti in maniera controlaterale. Siamo passati da una motricità riflessa ad una volontaria. La motricità volontaria ha delle caratteristiche ben precise, diverse dalla motricità riflessa. Se quello riflesso è automatico, stereotipato, sempre uguale a se stesso, semplice, rapido, la motricità volontaria ha caratteristiche opposte. Innanzitutto nel movimento volontario c’è un controllo cosciente e volontario: lo controlliamo in tutte le sue fasi, decidiamo come rispondere, quando rispondere, a cosa rispondere e quando fermare l’azione. Il controllo volontario è su tutte le fasi del movimento. Volontariamente decido io quando attivare l’azione in funzione di un obiettivo. Tra gli stimoli che arrivano, decido quale è più rilevante al momento; in base a questo, mi muovo in direzione della risposta a quello stimolo. Abbiamo il controllo di tutte le fasi di elaborazione del movimento il quale può subire modificazioni anche in corso d’opera. Questa possibilità di modifica in corso d’opera solo nel movimento volontario e non in quello riflesso, proprio perché io decido di modificare l’iter. Per produrre un movimento volontario c’è bisogno di un certo grado di attenzione e controllo su quello che stiamo facendo. Questo è particolarmente vero nell’età evolutiva perché tutto il processo di apprendimento motorio è a carico della motricità volontaria. Quindi il bambino apprende focalizzando l’attenzione su quello che sta facendo, altrimenti non avverrebbe il processo di apprendimento. Questo comporta un dispendio di energia, è un movimento faticoso proprio perché volontario. Ha un costo a livello cognitivo (pensare a quello che sto facendo) ma anche fisico che in termini tecnici è un impegno sia dal punto di vista condizionale che coordinativo: quando una persona deve affrontare un movimento nuovo che deve imparare a fare, mette tutte le risorse possibili per riuscire e raggiungere l’obiettivo. Dopodiché avviene la pulitura dei movimenti, si elimina tutto ciò che non serve (ad esempio le braccia in avanti nella camminata), che non è funzionale al movimento. Conseguentemente il movimento si affina (utilizzare quel quantitativo di forza, rapidità e mobilità che sia funzionale al movimento) e diventa più economico in termini di dispendio di energia. Tutto questo fa parte della prima fase dell’apprendimento motorio che viene detta fase della coordinazione grezza. Tutto il processo dell’apprendimento motorio, caratterizzato quasi esclusivamente dalla motricità volontaria , si articola in: Coordinazione grezza: è la prima fase dell’apprendimento motorio che è caratterizzata dalla motricità volontaria. È una motricità grossolana e goffa, movimenti poco fluidi, poco coordinati e poco economici; Coordinazione fine Disponibilità variabile Si ha poi il passaggio dalla coordinazione grezza alla coordinazione fine (propria del movimento automatizzato). Come impariamo a correre, camminare, afferrare? Come avvengono questi apprendimenti? Si tratta di apprendimenti di abilità di base del movimento chiamate schemi morti di base, ovvero le prime forme di movimento che il bambino acquisisce. L’apprendimento motorio di queste abilità avviene grazie alla costruzione progressiva degli schemi motori o programmi motori o programmi ideo-motori (tutti sinonimi). Elaborazione del movimento volontario: Prima fase: raccolta delle informazioni dall’ambiente, incosciente o cosciente. Seconda fase: l’informazione arriva a livello centrale, non più spinale ma l’elaborazione raggiunge i livelli superiori, ovvero l’elaborazione avviene a livello cerebrale. Qui vengono elaborate le informazioni e vengono integrate con altre informazioni già acquisite in passato. In che modo il bambino ha acquisito queste informazioni? Grazie agli stimoli, alle sensazioni: impara sentendo e muovendosi. In questo modo costituisce lo schema motorio, ovvero sceglie il programma del movimento. Terza fase: schema ideo-motorio (fase esecutiva). Lo schema motorio è una sorta di impalcatura che regge il movimento. Esempio: Saltare in alto è un automatismo, saper saltare, senza specifiche spazio-temporali definite e con tutte le sue varianti (a un piede, due piedi, in lungo, in alto, lateralmente ecc.) è uno schema motorio. Quello che un bambino apprende non è il salto nel dettaglio, ma la base, la struttura di base che accomuna tutte le tipologie di salto. In comune hanno: la fase di caricamento, la fase di volo e la fase di atterraggio. Lo schema motorio è quindi un automatismo allo stato grezzo nel quale le condizioni di esecuzione non sono ben definite e per questo si conserva solo la struttura generica del movimento che essendo tale può essere applicata ad una ben più ampia gamma di situazioni. Quello che noi strutturiamo e immagazziniamo sono impalcature generiche che poi andiamo a parametrizzare, modificare in base al nostro obiettivo. Perché da piccoli impieghiamo più tempo a imparare qualcosa mentre da adulti ci mettiamo meno? Perché noi adulti abbiamo già una serie di schemi motori già strutturati e consolidati che poi adattiamo a seconda delle necessità, il bambino invece deve ancora costruirli ed interiorizzarli. Lo schema motorio identifica e definisce un’intera classe di movimenti (abbiamo più tipi di salti, ma parliamo di un unico schema motorio: il salto). Anche se gli elementi che caratterizzano un movimento sono gli stessi, ma hanno un ordine diverso, parliamo di due schemi motori diversi. Anche nel caso del movimento volontario, utilizziamo sempre tutti i sensi (compresa la propriocezione), chi più e chi meno. Fra tutti, quello che si utilizza di più è la vista perché tutte le informazioni che si traggono vedendo sono più immediate da parte del bambino (infatti, il bambino impara principalmente per imitazione, cerca di riprodurre quello che vede). Anche gli adulti quando devono imparare qualcosa di nuovo preferiscono osservare qualcun altro che lo fa anziché per esempio sentire la spiegazione. L’utilizzo della vista cambia in funzione dell’apprendimento motorio. Noi abbiamo due differenti sistemi di visione che trattano l’informazione in maniera diversa: Visione focale: ci permette di mettere a fuoco ciò che è al centro del nostro campo visivo; richiede l’attenzione sull’oggetto visto, bisogna osservare bene e direttamente la cosa. Visione ambientale o periferica: una visione che non è chiara come la visione focale ed è più offuscata ma che comunque mi dà informazioni diverse; fissando un punto vedo bene quella cosa ma riesco anche a vedere intorno a me. La prima in poche parole mi dà informazioni di quello che c’è nell'ambiente, la seconda di quello che succede nell’ambiente. Come cambia l’utilizzo dell’informazione visiva nel bambino in funzione del grado di apprendimento motorio? L’evoluzione è anche il modo con cui vengono elaborate le informazioni di natura visiva. Pensiamo ad un bambino che gioca a calcio: corrono dietro la palla che è il suo fuoco; gli adulti hanno sia la visione focale che quella ambientale: devono sapere dove si trovano rispetto alla palla, rispetto al campo, rispetto ai compagni e agli avversari. Questo è sintomatico di quello che è la motricità evoluta. La motricità evoluta è infatti quella che abbiamo noi: cammino ma so identificare ciò che mi succede intorno. Questo è possibile perché non uso solo ed esclusivamente la visione focale ma anche quella periferica in maniera consapevole. Questa evoluzione si ha quando si procede con l’apprendimento motorio che ci permette poi il passaggio alla motricità automatizzata. [ Recap: La fase di acquisizione di uno schema motorio è caratterizzata dal movimento volontario. Una volta acquisita l’impalcatura posso consolidare lo schema motorio immagazzinandola nella mia memoria motoria, cosa che determina il passaggio ad un movimento automatizzato. Tanto più le esperienze motorie sono ampie e diversificate, e quindi tanto più ci si muove, tanto più il processo di acquisizione e consolidamento sarà veloce. Questo perché abbiamo un bagaglio di conoscenze che possiamo utilizzare. Mano a mano che si cresce i nuovi apprendimenti utilizzano gli apprendimenti che sono avvenuti in precedenza: partono da apprendimenti vecchi per costruire nuovi. Tutti gli schemi motori di base (correre, saltare, strisciare, arrampicarsi) hanno un ordine preciso, dal più semplice al più complesso. Quello precedente funge da base di partenza per quello successivo.] Lezione 3 24 Settembre No lezione 3 Ottobre 18 ottobre dalle 10 alle 13 laboratorio 8 novembre a Tor di Quinto dalle dalle 10 alle 13 laboratorio Quello che determina il passaggio dalla motricità volontaria a quella automatizzata è il progressivo apprendimento del movimento attraverso prima la strutturazione e poi il consolidamento dello schema motorio, successivamente attraverso la ripetizione del gesto. Questa ripetizione sarà strutturata, quindi diventerà allenamento, andando così ad automatizzare il gesto. Il termine ripetizione non è molto corretto: quello che si fa e che bisogna fare con i bambini è la ripetizione senza ripetizione. Alla base dell’apprendimento motorio c’è la strutturazione di schemi motori che abbiamo detto accomunano gesti differenti ma che presentano una struttura generale di base che li accomuna. Se la ripetizione fosse in senso stretto il bambino apprenderebbe solo una variante dello schema, mentre noi dobbiamo consentire l’apprendimento della struttura basilare che poi può utilizzare nelle altre varianti (es: salto). Dobbiamo far apprendere e consolidare l’impalcatura, ovvero differenti forme di un movimento. Il perfezionamento del gesto si avrà nel momento in cui si passa al movimento automatizzato. La finalità di costruire un bagaglio motorio ampio significa dare competenze e capacità al bambino che gli permetteranno di modificare il proprio comportamento motorio in base ai contesti che vive quotidianamente. Il bagaglio motorio deve essere ampio, vario e diversificato. La motricità automatizzata è espressione dell’apprendimento di abitudini o abilità motorie e sportive e ci permette di compiere movimenti veloci, a differenza di quello volontario. Richiede bassi livelli di attenzione. L’elaborazione e la messa in atto della motricità volontaria è un’elaborazione che richiede la nostra attenzione soprattutto nel momento in cui l’azione viene avviata. Nel momento in cui l’azione è avviata, il controllo costante sull’azione non c’è più perché ormai lo schema motorio è strutturato, acquisito e consolidato. (Differenza automatizzata e volontaria). Differenza tra automatizzata e riflessa: se è vero che in quello automatizzato non c’è bisogno del controllo, è anche vero che non è completamente slegato da questo. Se mentre cammino incontro una buca la mia attenzione viene riportata all’azione che sto compiendo e a quel punto adotto delle modificazioni in corso d’opera che non mi fanno cadere. Se cambia la situazione ambientale si modifica anche l’azione. Se mi muovessi per via riflessa cadrei. Altra caratteristica della motricità automatizzata è l’economia dal punto di vista energetico. Il movimento viene ripulito dai movimenti accessori (non funzionali), il bambino utilizza tutte le risorse funzionali (impara a dosare l’impegno, la forza…), è più fluido. Il movimento diviene automatizzato se gli schemi motori di base sono stati acquisiti in modo corretto, altrimenti bisognerà smontarlo e costruirne uno nuovo. In questo secondo caso sarà più difficoltoso arrivare al movimento automatizzato. Gli schemi motori che apprendiamo vengono immagazzinati in una parte della nostra motoria che prende il nome di memoria motori/cinestetica/chinestetica. Mano a mano che il bambino si muove e ripete vengono costruite impalcature. Quando vengono consolidate e quindi il bambino ha acquisito un’abilità, questo programma/schema motorio viene immagazzinata nella memoria motoria che è una memoria a lungo termine che dura per tutta la vita (es: bicicletta). Possiamo quindi fare ricorso a questo movimento in qualunque momento, anche se per lungo tempo non lo abbiamo utilizzato. Questa fase qui è quella che prende il nome di disponibilità variabile, la terza fase dell’apprendimento motorio. 1. Coordinazione grezza: fase della motricità volontaria. I movimenti sono grezzi, poco funzionali perché il bambino sta apprendendo il movimento. Ripetendo l’azione si arriva all’automatizzazione. La proposta di uno schema motorio conosciuto o meno induce il soggetto ad una risposta di esecuzione grossolana, in cui i vari tentativi di riproduzione del movimento presentano un’alta frequenza di errori e/o di imprecisioni. 2. Coordinazione fine: rappresenta la prima fase del processo di automatizzazione. I movimenti sono accurati, fluidi, coordinati, controllati, finalizzati ma in condizioni ambientali stabili. Se dovessero intervenire variazioni nell’ambiente questo controllo fine subisce una regressione tornando alla coordinazione grezza. La risposta alla proposta di uno schema motorio migliora costantemente, eliminando tutti gli elementi di disturbo. Questo permette al soggetto di prestare maggiormente attenzione allo scopo dell’azione e meno alle fasi esecutive del gesto. Mano a mano che si ha la ripetizione senza ripetizione si completa l’automatizzazione del gesto. 3. Disponibilità variabile: automatizzazione. Il bambino si muove in modo armonioso, coordinato, fluido anche in condizioni ambientali mutevoli. Lo schema appreso e continuamente migliorato diviene abilità e può essere utilizzato in situazioni e contesti molto diversi. Ha disponibili i mezzi per rispondere alle variazioni che l’ambiente richiede. [Differenza tra ambito motorio e sportivo perché le finalità sono differenti: nell’ambito sportivo ci si concentra su movimenti specializzati andando a ricostruire le possibili realtà che si possono presentare. In ambito motorio invece si differenziano i movimenti permettendo l’acquisizione degli schemi motori di base. Nel mondo sportivo invece questi vengono specializzati e strutturati. Al giorno d’oggi la specializzazione sportiva è troppo anticipata: sarebbe perfetto nel passaggio dalle medie al liceo. Basti pensare alle ginnaste olimpioniche che a 13 anni si trovano al termine della loro carriera che se si seguisse il giusto iter motorio inizierebbe ora.] Se è vero che disponiamo di 3 tipologie di motricità, possiamo dividere i movimenti che siamo in grado di produrre in 3 unità fondamentali: 1. Posture 2. Schemi posturali 3. Schemi motori Le posture rappresentano il movimento più semplice, a livello intermedio abbiamo gli schemi posturali mentre il massimo livello di difficoltà è rappresentato dagli schemi motori. L’iter di strutturazione del movimento va di pari passi con la strutturazione dello schema motorio. Il bambino impara a muoversi mano a mano che impara a conoscere il proprio corpo e va a strutturare il proprio schema corporeo (aumento della consapevolezza corporea). Questa consapevolezza corporea aumenta con il movimento che è quindi sia mezzo che fine (attraverso il corpo il bambino impara a muoversi e attraverso il movimento conosce il proprio corpo). Lo schema corporeo rappresenta la rappresentazione mentale che ciascuno di noi ha del proprio corpo, di come le diverse parti si articolano e si rapportano tra loro, di come queste parti si articolano e rapportano con lo spazio e con il tempo. “Rappresentazione cognitiva della posizione e dell'estensione del corpo nello spazio e dell'organizzazione gerarchica dei singoli segmenti corporei, finalizzata principalmente all'organizzazione dell'azione nello spazio.” L’acquisizione dello schema corporeo dura molto: raggiungiamo la piena consapevolezza corporea verso i 12 anni (bisogna ricordare che sono numeri approssimativi poiché lo sviluppo è individuale e personale). È una strutturazione che segue 4 tappe: Corpo subito Corpo vissuto Corpo percepito Corpo rappresentato. Corpo subito (0-3 mesi). È definito subito poiché non c’è movimento cosciente, siamo nella fase primitiva del movimento dove il bambino compie movimenti che avvengono per via riflessa e che hanno come fine la sopravvivenza. Non è attore di quello che fa. Alla nascita il bambino ha sviluppato soprattutto la sensibilità tattile, l'odorato e l'udito. Non esiste integrazione sensoriale. Si possiedono solo due tipi di automatismi motori: a) in relazione ai bisogni vitali b) riflessi innati Corpo vissuto (3 mesi-3 anni). È la fase più significativa a livello motorio. Acquisisce tutte le abilità di movimento anche se non con un’esecuzione perfetta. L’acquisizione motoria avviene gradualmente. Il primo step riguarda il fatto che le percezioni e le sensazioni diventano consapevoli. Le competenze sensoriali e percettive ora sono consapevoli, e mano a mano che il bambino fa esperienza nel mondo lui crea dei collegamenti funzionali tra le diverse sensibilità. Oltre a strutturarsi gli schemi motori di base e lo schema motorio, si sviluppa anche il processo di lateralizzazione: processo che porta il bambino a sviluppare la lateralità. Il movimento del corpo è dominato nel seguente modo: l’emicorpo destro dall’emisfero sinistro e viceversa. La dominanza non è uguale negli arti superiori e in quelli inferiori, e si può non avere una dominanza definita (ambidestri). Questa dominanza si struttura grazie alla strutturazione della lateralità ovvero quel processo che permette di differenziare la dominanza e che permette al bambino di acquisire consapevolezza su tutto ciò che è destra e tutto ciò che è sinistra, quindi una prima differenziazione spaziale. Se il bambino non ha acquisito tale consapevolezza corporea e spaziale, avrà difficoltà sia nella scrittura che nella lettura. La lateralità è quindi un supporto motorio basilare. Per capire la dominanza degli arti superiori basta chiedere di scrivere o chiedere con quale mano mangi. Per capire la dominanza degli arti inferiori basta dare una piccola spinta e vedere quale gamba si poggia per prima. Corpo percepito (3—6 anni). L’organizzazione e la consapevolezza del nostro corpo è in funzione della consapevolezza sia spaziale che temporale. Comincia l’organizzazione delle percezioni (processi mediante i quali il bambino trae informazioni dal mondo circostante e ne prende coscienza) di: 1. elementi esterni quali forme, dimensioni e distanze (organizzazione dello spazio); Il lavoro che si fa in questo periodo riguarda la costruzione dello spazio topologico. Lo spazio inteso per dimensioni opposte: su/giù, alto/basso, aperto/chiuso, destra/sinistra. 2. tempo, inteso come apprezzamento della durata (evento lungo o breve) e della struttura ritmica (organizzazione del tempo, frequenze e ritmi differenti); la dimensione temporale è complessa. È bene presentare attività con difficoltà crescente: frequenze minori e ritmi regolari fino ad arrivare a frequenze maggiori e con ritmi differenti. Un movimento lento richiede un maggiore controllo del movimento rispetto a quello veloce. Si lavora anche su diverse consapevolezze quali ad esempio quella temporale. 3. proprio schema corporeo, come conoscenza motoria e verbale delle parti del corpo e della loro interrelazione (sensibilità proprio percettiva). Si inizia dalle basi: destra/sinistra, parti del corpo attraverso la nomenclatura e giochi… 4. Le informazioni provenienti dal corpo diventano coscienti (interiorizzazione). 5. Lavoro motorio di tipo percettivo: mettere in relazione le sensazioni propriocettive con quelle visive, uditive e tattili. 6. Compare il disegno dell’"omino" che gradatamente si arricchirà di particolari personali. 7. Al lavoro percettivo occorre associare quello globale, che consente la libera espressione e lo sviluppo di una coordinazione dinamica generale. Per verificare a che stadio dell’apprendimento motorio ci si trova, si utilizza il disegno dell’omino. Prima il bambino acquisisce la consapevolezza delle grandi parti del corpo (braccia, gambe, testa) per poi arrivare alle parti più piccole (occhi, mani, dita, bocca). Il disegno dell’omino viene utilizzato sia come supporto durante l’apprendimento ma anche per monitorare l’apprendimento dello schema motorio da parte del bambino (strumento di verifica). Se l’aggiunta di particolari nell’omino non avviene, significa che non sta avvenendo un adeguato apprendimento dello schema corporeo e quindi bisogna lavorare in modo concentrato sul bambino sulle diverse percezioni, sulla dx/sx e su quella che è la coordinazione dinamica globale. Corpo rappresentato (7-12 anni). Il bambino è in grado di rappresentare il proprio corpo e delle parti che si muovono nello spazio. Questa fase rappresenta il presupposto motorio per una motricità fine e controllata. Per poter fare movimenti elaborati e fini bisogna conoscere il proprio corpo e saperlo controllare. Lo schema corporeo è completo dal punto di vista topografico-posturale, quindi statico. Compare lo schema d’azione, che rappresenta l’aspetto dinamico dello schema corporeo, e dovrà tenere conto delle coordinate spazio-temporali. Ora la capacità di rappresentare il corpo in movimento consente di pensare l’azione prima di eseguirla (anticipazione). Unità fondamentali del movimento: 1. La postura. Prima unità fondamentale del movimento. Viene definita una situazione apparentemente statica del corpo (i muscoli si contraggono per mantenere la posizione, funzioni vitali): sembra che non si muova quando in realtà lo fa. Non è un movimento visibile. Se esistesse l’immobilità la proiezione del nostro baricentro sarebbe un punto. Questo non avviene perché il nostro corpo è sempre soggetto ad oscillazioni e quindi la proiezione è come se fosse un gomitolo. Tanto più è ampio quanto più è instabile il nostro corpo. Si parla di postura corretta quando abbiamo un atteggiamento del corpo ben bilanciato in perfetta armonia con la forza di gravità. È più corretto parlare di posture, al plurale: abbiamo più posture condizionate dal nostro stato d’animo. A parità di correttezza degli atteggiamenti che assumiamo la postura cambia se siamo felici (più aperto), se siamo tristi (più chiusi), in base al sonno, più in generale in base al momento contingente della vita che stiamo vivendo. Nomenclatura. Atteggiamenti e posizioni del corpo. 1. Atteggiamento: figura statica che il corpo o parte di esso assume indipendentemente dai rapporti col mondo esterno: Lungo (i capi alla massima distanza articolare) Breve (angolo acuto) Semibreve (angolo retto o ottuso) Ruotato La stessa cosa avviene sia per gli arti superiori che inferiori (svincolati dal mondo esterno). 2. Posizione: rapporto che il corpo o parte di esso assume col mondo esterno: - Prese: identificano i rapporti di contatto delle parti del corpo con gli attrezzi e/o con il suolo [plantare, addominale, ascellare, brachiale, palmare, digitale, metacarpea, poplitea (parte inferiore del ginocchio), tibiale, crurale]. L’impugnatura è un tipo particolare di presa, ovvero quando la mano avvolge completamente un attrezzo facendo pugno. Passo: è un concetto che ci serve quando si danno le istruzioni iniziali prima di dare inizio al movimento. Ad esempio le istruzioni per la posizione di partenza per una capriola. In termine tecnico il passo identifica la distanza che c’è tra due prese o due impugnature. Essendo un ordine di grandezza, posso distinguere diversi tipi di passo, sia con gli arti superiori che inferiori. Ciò che li differenzia è il passo normale (misura di riferimento): per quanto riguarda gli arti superiori corrisponde alla larghezza delle spalle; al di sotto della larghezza delle spalle abbiamo il passo stretto, quando le mani sono a contatto abbiamo il passo unito, il passo largo va oltre la larghezza delle spalle, passo incrociato le braccia si incrociano; per gli arti inferiori il passo normale corrisponde alla larghezza del bacino, per il resto è uguale agli arti superiori. - Attitudini: Rapporto del corpo (centro di gravità) rispetto al suo supporto (mezzo di sostegno o suolo). Mi trovo in attitudine di appoggio quando il baricentro si trova al di sopra della base di appoggio. L’attitudine di sospensione si ha quando il baricentro si trova al di sotto della base di appoggio (appesi alla spalliera). L’attitudine di volo ce l’abbiamo ad esempio quando saltiamo. Attitudine combinata: gli arti inferiori si trovano in attitudine di appoggio e gli arti superiori in attitudine di sospensione (mani e piedi appoggiati): ad esempio quando ci si arrampica sulla spalliera. - Stazioni : Rapporto del corpo con il suolo a carico dei soli arti (stazioni propriamente dette) o anche del busto (decubiti): Stazione eretta Stazione seduta Stazione in ginocchio Decubito (supino/pancia sopra, prono/pancia sotto, laterale) Stazione in quadrupedia Stazione a corpo proteso Schemi posturali. Noi ci muoviamo rispetto allo spazio per produrre dei movimenti che possono essere più o meno complessi. Gli schemi posturali o schemi motori statici sono dei movimenti segmentari visibili ma che non comprendono il corpo nella tua totalità. La posizione del corpo rimane invariata ma si muovono parti di esso. Questi schemi possono comprendere: movimenti analitici: sono movimenti che coinvolgono una sola articolazione o un gruppo limitato di articolazioni e muscoli. Questo tipo di movimento è specifico, isolato e spesso si esegue con l'obiettivo di lavorare su una parte del corpo in particolare. movimenti segmentari del corpo: implicano il movimento coordinato di più articolazioni, segmenti del corpo o gruppi muscolari contemporaneamente. Sono più complessi e coinvolgono diverse parti del corpo in maniera simultanea. Gli schemi posturali e posture avvengono nello spazio. Lo spazio in cui ci muoviamo è molto complesso poiché è tridimensionale. Ogni piano nasce dall’incontro di due assi. Asse longitudinale: linea immaginaria che percorre longitudinalmente il nostro corpo e che congiunge la testa ai piedi. Asse sagittale o antero-posteriore: linea immaginaria che percorre in modo intero posteriore il nostro corpo (lo attraversa) Asse trasversale: linea immaginaria che congiunge le nostre spalle, sia da dx verso sx che viceversa. I tre assi intersecandosi due a due generano i piani. - Il piano frontale è dato dall’intersezione dell’asse trasversale e longitudinale. - Il piano sagittale è dato dall’intersezione dell’asse sagittale e longitudinale - Il piano trasverso/orizzontale è dato dall’intersezione dell’asse sagittale e trasversale Questi tre piani convenzionalmente dividono il corpo in modalità differenti: Piano frontale : divide il corpo in parte anteriore e parte posteriore. Se mi muovo secondo questo piano il mio corpo si muoverà verso destra o verso sinistra. Piano sagittale: divide il corpo in parte destra e parte sinistra. Se mi muovo secondo questo piano il mio corpo si muoverà verso avanti o verso dietro Piano trasverso: divide il corpo in parte superiore e parte inferiore. Se mi muovo secondo questo piano il mio corpo si muoverà attraverso le rotazioni (globali o solo di alcune parti). Schemi posturali più comuni: Flettere/estendere Piegare/rizzare (Flettere/estendere vs piegare/rizzare: quello che cambia è il vincolo o meno dell’arto che si muove. Passaggio da atteggiamento lungo a breve svincolato dall’ambiente mi dà vita alla flessione. Se l’arto è in attitudine d’appoggio ad esempio, ho un piegamento. La dinamica è la stessa, cambia l’appoggio o meno della parte del corpo che si muove e quindi la terminologia). Elevare/abbassare Addurre/abdurre Inclinare Oscillare Ruotare e circondurre Slanciare Schemi motori dinamici. Sono atti motori globali che quando avvengono comportano una variazione di postura o una traslocazione nello spazio. Sono le forme di movimento più complesse della nostra motricità. Si ha uno spostamento globale del corpo nella dimensione spazio-temporale. Gli schemi motori di base vengono acquisiti da tutti inizialmente per poi venire affinati in modo più lento e differente da persona a persona. Tra gli schemi motori di base distinguiamo quelli locomotori che presuppongono lo spostamento di tutto il corpo nello spazio e quelli non locomotori che identificano movimenti propulsivi come il lanciare ed il calciare. La caratteristica di questi schemi motori di base è che vengono acquisiti secondo il principio della complessità crescente: lo schema più semplice rappresenta il presupposto per l’acquisizione per quello successivo che è sempre più intenzionale, complesso e controllato. Non posso imparare a correre se prima non ho imparato a camminare, così come non posso imparare a camminare se prima non ho imparato ad arrampicarmi e così via. L’unico schema motorio che fa eccezione è il gattonare: pur essendo uno schema motorio di base non rappresenta una tappa obbligata all’interno di quello che è il percorso motorio evolutivo del bambino (pietre miliari). Rotolare e strisciare: si sviluppano nei bambini con una certa precocità e costituiscono uno dei primi mezzi di movimento prima dell’acquisizione della stazione eretta. Il rotolare è legato a tutti quei processi percettivi che stimolano le sensazioni vestibolari, tattili e cinestesiche. Non tutti i bambini sono portati spontaneamente ad attuare tali schemi motori: perciò rotolamenti semplici (attorno all’asse longitudinale del corpo) devono precedere quelli più complessi come la capovolta avanti. Arrampicarsi: ha grandi effetti di rafforzamento psico-motorio. A livello fisico lo schema motorio dell’arrampicarsi consente al bambino di acquisire una stazione eretta. Se esercitato nel corso della crescita esso può costituire per il bambino un mezzo di rafforzamento psichico, di miglioramento del senso di coraggio e di sfida, che facilita il superamento di eventuali situazioni inibenti. L’acquisizione delle tecniche di arrampicata rappresenta molto spesso una scoperta e conquista personale del bambino. Camminare: è il primo degli schemi motori che il bambino esegue dopo aver conseguito la stazione eretta, ed è una delle più naturali espressioni del comportamento motorio. L’esecuzione di questo schema e la sua osservazione può aiutare l’educatore a comprendere meglio i vari livelli della motricità individuale. Al termine della scuola dell’infanzia il bambino acquisisce una buona padronanza di questo schema che costituisce la base di partenza delle prime esperienze motorie. È il presupposto di base per la corsa. Correre: il modo di correre del bambino di 5-6 anni è caratterizzato da sbandamenti laterali, dai piedi “sventolanti” in diverse direzioni, da un’andatura poco armonica e scarsamente economica, fatta di passi irregolari, molto frequenti e di limitata ampiezza. I bambini in questa fascia di età tendono a correre sempre al massimo delle loro possibilità, per una tendenza agonistica quasi fisiologica, avulsa da qualsiasi consapevole controllo della spesa energetica. Per questo è importante insegnare ai bambini come dosare la propria energia e la propria forza. Nel bambino normodotato verso i 9-10 anni si affina tale schema motorio in quanto migliorano le capacità coordinative e si sviluppano le capacità condizionali. Inoltre migliorano importanti fattori psicologici, quali la fiducia e la sicurezza motoria, il controllo consapevole dell’azione volontaria Ciò che differenzia il cammino dalla corsa è la fase di volo e la sua durata. Perché ci sia il camminare l’appoggio riguarda entrambi i piedi. Nel momento in cui tra un appoggio e l’altro si intervalla la fase di volo si ha il passaggio allo schema motorio del correre. Saltare: l’acquisizione di questo schema presuppone un certo livello di coordinazione dinamica e di controllo. Il primo salto che viene proposto ai bambini è il salto in basso, andando ad aumentare gradualmente l’altezza del dislivello dal quale partire. Successivamente si propongono quelli in alto o in lungo. Questo permette ai bambini di superare eventuali blocchi psicologici presenti sia nella fase di volo che nella fase di caduta. Appurate le diverse forme di movimento più o meno complesse, per migliorare la motricità andiamo a lavorare in maniera distinta su quelli che sono i 2 presupposti fondamentali del movimento: le capacità coordinative (presupposto qualitativo) e le capacità condizionali (presupposto quantitativo). Lezione 4, 26 Settembre 2024 Le capacità motorie. Per definire gli schemi motori, operativamente parlando, si va a lavorare nello specifico su quelli che sono i presupposti del movimento, ovvero le capacità motorie. Queste rappresentano i presupposti fondamentali per la realizzazione del movimento nelle sue forme e finalità. Le capacità motorie vengono distinte in due grandi categorie: Capacità motorie coordinative Capacità motorie condizionali Ciò che cambia è il tipo di regolazione che sottendono le capacità: le prime dipendono dalla funzionalità e dall’efficienza del sistema nervoso. Un lavoro di tipo coordinativo cerca di rendere più efficiente il sistema nervoso e questo si ripercuote nella coordinazione. Le funzioni del sistema nervoso in termini di movimento sono di controllo, la coordinazione e la conduzione del movimento stesso. Le seconde sono controllate da processi energetici del movimento. Noi riusciamo a muoverci perché bruciamo il carburante (cibo, in particolare grassi) a seconda del movimento: quindi il determinato dispendio energetico necessario per il movimento necessita di carburante. Questo dopo essere stato acquisito e metabolizzato, libera energia che viene liberata e dà vita al movimento. Le richieste energetiche aumentano all’aumentare della forza, dell’energia e della potenza richiesta dal movimento. Le capacità motorie condizionali dipendono dalla nostra costituzione biologica. Altro aspetto che differenzia le capacità motorie è che quelle coordinative rappresentano il presupposto qualitativo del movimento, sono quelle che conferiscono qualità al movimento (efficace, fluido, pulito, finalizzato, ritmico, economico, fine, adattabile in relazione ai cambiamenti ambientali) e si concentrano sul grado di complessità. Quelle condizionali rappresentano il presupposto quantitativo del movimento, cioè quanto è forte, veloce, rapido, resistente il movimento, quanto impegno mettere nel movimento affinché questo sia finalizzato. In termini di proposte motorio questo presuppone modalità di lavoro differenti. In quelle condizionali siamo in grado di quantificare quanto un bambino è rapido, forte; in quelle coordinative la valutazione è di tipo qualitativo. Quindi la valutazione in ambito coordinativo è più complessa poiché si basa sull’osservazione mentre in ambito condizionale avviene tramite la misurazione attraverso la quale posso determinare la progressione. È ovvio che qualunque movimento è il risultato integrato sia delle capacità motorie coordinative che di quelle condizionali. Prevale a volte il coinvolgimento di una delle due in funzione di quello che è l’aspetto che prevale nel movimento, ma questo non esula il coinvolgimento delle altre capacità. Distinguiamo movimenti a carattere: Coordinativo (ginnastica ritmica) Condizionale o energetico (maratona) Misto (pallacanestro): le due componenti si equivalgono, non ne prevale una in particolare. Le capacità coordinativa assolve a 3 funzioni: 1. L’apprendimento motorio: consiste nell’assimilazione e nell’acquisizione di movimenti non posseduti 2. Il controllo dei movimenti SLDIE 3. L’adattamento e la trasformazione dei movimenti: ci permette di adattare, trasformare o modificare completamente il movimento che si sta eseguendo per rispondere alle esigenze ambientali. Questa capacità, che rappresenta il culmine dell’apprendimento motorio, corrisponde alla disponibilità variabile. Le capacità condizionali rappresentano la componente qualitativa del movimento. Si fa riferimento a tre tipologie di capacità: Resistenza Forza Rapidità o velocità: sono termini che hanno accezioni diverse ma spesso vengono interscambiati. Infine abbiamo un’ultima capacità motoria, ovvero quella di mobilità articolare. È una capacità motoria che definiamo ibrida: fa capo tanto ai meccanismi delle capacità neurologiche/nervose quanto ai meccanismi energetici. Rispetto alla complessità delle capacità coordinative, in che modo possiamo apprendere nuovi movimenti sempre più complessi? Andando a lavorare sulle singole capacità coordinative che vengono definite speciali: Capacità di accoppiamento e combinazione Capacità di differenziazione Capacità di equilibrio Capacità di orientamento Capacità di ritmo Capacità di reazione Capacità di trasformazione Il lavoro integrato di tutte e 7 permette la capacità di apprendimento. La capacità di direzione e di controllo del movimento è a capo delle prime 3, mentre la capacità di adattamento a capo delle ultime 4. Capacità di accoppiamento e combinazione/di coordinazione segmentaria. Consiste nella capacità di collegare e raccordare le sequenze motorie (movimenti che coinvolgono più parti del corpo) con il fine di ricavarne un atto motorio compiuto, orientato e finalizzato. Espressione massimo di questa capacità può essere ad esempio la danza, una schiacciata di pallavolo, il salto con l’asta, ginnastica artistica/ritmica. Se non fosse presente questa capacità i movimenti non sarebbero finalizzati, quindi ad esempio durante una schiacciata lascerei la palla. Alcuni movimenti sono più complessi, quale ad esempio la danza poiché è caratterizzata da una durata più prolungata e dalla presenza del ritmo, a differenza ad esempio del salto in alto che si limita a quel momento. Anche in relazione a questa capacità si procede gradualmente. Le forme più semplici da cui partire sono: Movimenti simultanei: duo o più movimenti completi effettuati contemporaneamente da due parti del corpo (circonduzione di entrambe le braccia: è più semplice partire dalla stessa parte del corpo, in questo caso le braccia, per poi utilizzarne due diverse come ad esempio braccia e gambe). Movimenti successivi: movimento di un segmento del corpo quando l’altro ha terminato l’azione (quando un braccio termina la circonduzione parte l’altro) Movimenti alternati: un segmento corporeo si muove mentre l’altro è ancora in movimento (il braccio destro non termina la circonduzione e quello sinistra lo inizia) La circonduzione necessita un buon grado di mobilità articolare oltre alla coordinazione. L’una non esclude l’altra. Tale capacità quindi permette di collegare tra loro le abilità motorie automatizzate. Viene sviluppata con esercizi di coordinazione segmentaria tra arti inferiori e arti superiori. L’esecuzione può avvenire su diversi piani in forma simultanea, successiva, alternata, con movimenti simmetrici, incrociati e asincroni. Partendo dal presupposto che si procede per difficoltà crescente, in che modo questo avviene? O aumentando la difficoltà esecutiva progressivamente a seconda dei bambini che ho (utilizzando movimenti di differenti parti del copro o sullo stesso piano o su piani diversi, accoppiando sequenze motorie che implicano movimenti differenti) o aumentando progressivamente la velocità esecutiva (all’inizio l’esecuzione è più lenta). L’aumento della velocità esecutiva è efficace nel momento in cui la velocità va di pari passo con il controllo della coordinazione (l’esecuzione del movimento deve rimanere corretta e controllata anche all’aumento della velocità). Capacità di differenziazione cinestetica. Richiede un elevato grado di sensibilità. È quella capacità che permette la precisione della forza poiché ci permette di dosare l’impegno da mettere in un movimento, soprattutto l’impegno neuromuscolare, in modo tale che il movimento sia finalizzato all’obiettivo. Mi permette di capire quanta forza, velocità imprimere al movimento per raggiungere l’obiettivo: ad esempio lanciare la palla in una scatola. Qui è importante la ripetizione senza ripetizione: se il bambino deve imparare, non a fare canestro, ma a dosare l’impegno che deve mettere per fare canestro. In che modo? Variando e andando a proporre lanci di palle diverse (forma, peso), in canestri diversi (dimensione) da distanze diverse, in direzioni differenti (avanti, dietro, laterale), movimenti in successione (corro e lancio). Esempio: a parità di canestro e di distanza, cambio il peso della palla e di conseguenza cambia l’intensità della forza nel lancio. La complessità maggiore si ha nel momento in cui si uniscono tutti questi aspetti: vario tutti gli elementi in un’unica volta. Con i lanci della palla appena detti si vanno a differenziare gli arti superiori; bisogna fare lo stesso per gli arti inferiori ad esempio ponendo al posto del canestro una “porta”. Altre modalità per permettere una differenziazione cinestetica degli arti inferiori sono i salti. Ad esempio salto a distanze diverse, puntando ad un bersaglio che mi funge da target, andando a modulare la forza necessaria. Posso variare l’altezza da cui parte il mio salto, posso combinare il cambio d’altezza con la distanza del target. Posso combinare movimenti prima o dopo il salto, posso inserire all’interno del salto un movimento (rotazione, questa sollecita anche la capacità di equilibrio dando vita ad un lavoro combinato di capacità). Capacità di equilibrio. Si è in equilibrio nel momento in cui la proiezione del nostro baricentro rientra all’interno della base d’appoggio. Nel momento in cui fuoriesce si perde l’equilibrio. Distinguiamo: L’equilibrio statico quando si cerca di mantenere e si mantiene la posizione L’equilibrio dinamico quando si eseguono movimenti in esecuzione mantenendo l’equilibrio Nell’ambito delle attività motorie si parla anche di equilibrio di oggetti, quindi tutto ciò che è alla base della manipolazione degli oggetti: trasportarli, tenerli… Lavoro combinato schema corporeo e consapevolezza corporea: se provo a tenere in equilibrio un palloncino su diverse parti del corpo. La capacità di equilibrio è influenzata da informazioni provenienti dai recettori: Vestibolari (ci danno la percezione del movimento, delle accelerazioni, della rotazione e si trovano internamente all’orecchio). Ottici Tattili Cinestetici Tutte le esercitazioni sull’equilibrio vengono strutturate tenendo in considerazione questi quattro aspetti. La vista è quella che prevale su tutti e che utilizziamo maggiormente per tenere l’equilibrio. Per un bambino è più semplice vedere che percepire, e soprattutto la vista è il primo senso che viene utilizzato (apprendimento per imitazione). A parità di richiesto, con occhi chiusi o aperti cambia la stabilità: ad occhi chiusi ho più oscillazioni del corpo se sono su un piede solo. Gli occhi aperti permettono di avere un punto di riferimento che stabilizza il movimento. Tra equilibrio statico e dinamico è più semplice quello dinamico. Cosa si fa per lavorare sull’equilibrio? Piedi scalzi per sollecitare i recettori tattili Cammino poggiando prima tutta la pianta del piede, cammino sulle punte, cammino sui talloni, sul margine interno/esterno del piede. Si modifica la qualità della superficie, la grandezza (da più grande a più piccola), l’altezza, l’utilizzo di superfici instabili per sollecitare l’equilibrio a carico dell’apparato vestibolare. È importante definire un target inteso come punto fisso. Si può mantenere prima l’equilibrio con occhi aperti e poi occhi chiusi passando però per un passaggio intermedio. Qual è il passaggio intermedio? Si può lavorare in coppia dove abbiamo un bambino con gli occhi chiusi ed un bambino con gli occhi aperti che funge da facilitatore, si può camminare con gli occhi aperti ma all’indietro; si possono fare esercitazioni a visibilità ridotta o riducendo la luminosità della stanza o utilizzando gli occhiali da sole. Capacità di ritmo. Può essere intesa come la capacità di adeguarsi ad un ritmo proveniente dall’esterno o come la capacità di imporre un proprio ritmo esecutivo. Ognuno di noi ha un ritmo innato e anche questa capacità in parte è innata: i bambini in grembo, per 9 mesi hanno sentito il cuore della madre che aveva un determinato ritmo. Esempio di attività in cui si impone il proprio ritmo: il serpente/treno dove il primo della fila detta il ritmo mentre gli altri si adeguano. La prima esercitazione di ritmo che si utilizza è senza suono: si parte dal saper discriminare la presenza e l’assenza del suono. Un’attività potrebbe essere fare un movimento con lo stimolo sonoro (battito di mani) e stare fermo quando non c’è il suono. Gradualmente si potrebbe arrivare all’ultima tappa che potrebbe essere la realizzazione di una danza. Capacità di orientamento spazio-temporale Ci permette di orientarci nello spazio e nel tempo. Nel dettaglio permette di determinare le variazioni spaziali e temporali nel movimento del corpo o di parti di esso, in relazione a una superficie (il campo di gara), a oggetti e soggetti in movimento (palla, compagni, avversari). Tutte le nostre azioni si svolgono sia nello spazio che nel tempo dunque deve essere compiuta correttamente in entrambe le dimensioni. Tale capacità consente di modificare la posizione e il movimento del corpo nello spazio e nel tempo, in riferimento ad un campo di azione definito. I giochi sportivi o di combattimento permettono di sollecitare questa capacità. In relazione a questo possiamo cambiare il numero di persone (compagni o avversari; se aumentano aumenta la sollecitazione della capacità), diminuire la grandezza del campo, aumentare il numero di oggetti (la palla aumenta le richieste coordinative per le sue molteplici possibilità di utilizzo), differenziare le caratteristiche degli oggetti andando ad introdurre prima strumenti e attrezzi stabili per poi introdurre quelli instabili come la palla. Capacità di reazione. Consiste nel dare avvio nel modo più veloce possibile ad una risposa a seguito di un segnale/domanda. Un esempio di attività è la ruba bandiera che posso adattare all’infanzia utilizzando colori e animali. Questa capacità si distingue in: Risposte semplici: ad una domanda che conosco so già quale risposta devo dare. Durante una gara di corsa so che quando sento il fischio devo iniziare a correre il più velocemente possibile. Risposte complesse: quando devo rispondere velocemente ad una domanda che non conosco, ad esempio evitare che un compagno mi rubi la palla. Devo comprendere lo stimolo in entrata e la risposta adeguata. Come posso sollecitare la velocità di reazione? Posso non dare un preavviso (non usare un, due, tre, via) Modificare il segnale al quale rispondere (fischio, luce..) Variare la risposta: a parità di domanda (fischietto) cambio ad esempio il movimento che effettuo per arrivare al muro (correre, camminare, strisciare, rotolare). Capacità di trasformazione o fantasia motoria. Consiste nella capacità di apportare modifiche ad una sequenza o ad un comportamento motorio sulla base della intuizione, della percezione e della previsione del variare delle situazioni circostanti. Questa capacità identifica anche quello che viene definito il comportamento motorio evoluto: quando il bambino sta ancora apprendendo si muove in funzione di quello che avviene nell’ambiente; questo comportamento mano a mano che la nostra motricità evolve, si trasforma nella capacità di anticipazione, ovvero non ci muoviamo più in risposta di quello che succede ma anticipando quello che accadrà. Acquisiamo la sensibilità di percepire alcuni segnali che ci permettono di acquisire la capacità di prevedere. Un esempio semplice anche da portare in classe è far fare il portiere. Lezione 5 1 Ottobre Principi di allenamento. L’allenamento qualitativo prende il nome di multilateralità che identifica la modalità di lavoro che ci permette di lavorare in maniera adeguata per l’acquisizione delle capacità motorie. Multilateralità significa variabilità: ripetizione senza ripetizione. Questa variazione e variabilità come può essere realizzata? Variando le proposte (variazione di attività, giochi, situazioni) oppure la modalità esecutiva in modo da perseguire sempre un filo conduttore che regola questa variazione, ovvero la gradualità. Se non avessimo la graduale intensificazione, ad esempio del carico, non avremmo adattamenti positivi del nostro organismo all’elemento stressante (movimento). Questa intensificazione in nome del movimento coordinativo avviene in funzione del grado di difficoltà che deve essere anche questo graduale. Questa variabilità come può essere perseguita? Variazione dell’esecuzione e combinazioni di sequenze di erenti: accoppiare e combinare tra di loro movimenti simultanei, sincroni ed asincroni; eseguire la sequenza al contrario; modi care velocità e ritmo (ad esempio proponendo piccole competizioni senza trascurare però la correttezza esecutiva); eseguire i movimenti da diverse posizioni del corpo; esecuzione speculare dei movimenti; Variazione delle condizioni esterne: diminuzione/aumento dello spazio a disposizione; terreni diversi; interazione fra più compagni; inserire più oggetti; sollecitare diverse tipologie di sensibilità. Pressione temporale: Esercizi a tempo; esercizi per la capacità di reazione Variazione/riduzione delle fonti di informazione: camminare con la testa ruotata a dx, in alto, occhi chiusi, usare occhiali da sole. I quattro principi che regolano la variabilità: 1. Compiti vari e svariati: compiti motori impegnativi da un punto di vista coordinativo. Organizzare nuove situazioni non familiari, chiedendo compiti motori corrispondenti. Questa diversificazione deve essere perseguiti diversificando le proposte ma lavorando sempre sulle stesse abilità di base. 2. Metodo principale per l’allenamento coordinativo e l’acquisizione delle competenze motorie è la variazione mirata dell’esecuzione del movimento e delle condizioni esecutive 3. Nell’allenamento coordinativo è necessaria una ottimale progressione dei carichi di lavoro. Questo significa aumentare sistematicamente il grado di difficoltà 4. Il punto di partenza dell’allenamento coordinativo dovrebbe essere l’analisi dei requisiti al fine di individuare i requisiti coordinatrici del movimento o della classe di movimento da apprendere. Dobbiamo essere consapevoli delle abilità del bambino: non bisogna né proporre cose troppo difficili né troppo semplici. Nel primo caso si demotiva poiché sono proposte fallimentari ed il bambino è frustrato, nel secondo caso si demotiva perché si annoia e non è stimolato. fi ff La coordinazione globale ci permette di lavorare globalmente sulla strutturazione dello schema corporeo: il bambino muovendosi impara a conoscere il proprio corpo ed aumenta la consapevolezza corporea; conoscendo il proprio corpo impara a muoversi. Questi due aspetti procedono sempre di pari passo. Un altro modo con cui si può lavorare in modo operativo è attraverso la realizzazione dei circuiti e/o percorso: questo è molto utile quando si hanno problemi di spazio e quando si ha una classe numerosa. La finalità è quella di cercare a mano mano che si procede con il lavoro di ridurre il più possibile i tempi morti. In questi tempi il bambino non viene coinvolto attivamente. Si hanno quando inizialmente viene data la spiegazione e/o dimostrazione da parte della docente dell’esecuzione da fare; quando tra una stazione e l’altra il bambino prende fiato con il tempo di recupero; quando viene dato il feedback attraverso la correzione dell’errore. Se non c’è questa ultima parte, tutto quello che abbiamo fatto perde di significato: se il bambino sta imparando a fare qualcosa, i primi tentativi sono fallimentari. Bisogna eliminare questi errori in funzione di un movimento che deve piano piano migliorare e perfezionarsi: questo è possibile solo se la docente lo corregge mostrando l’errore ed esplicitando in che modo deve essere corretto. Successivamente si fa ri-eseguire il movimento al bambino sulla base delle indicazioni date. Tanto il circuito quanto il percorso prevedono un’organizzazione del lavoro a stazioni, dove ognuna delle quali prevede lavori differenti. Che differenza c’è tra circuito e percorso? Nel primo in ogni singola stazione si staziona per un certo tempo, c’è una ripetizione dell’esercizio prima di passare all’attività successiva; nel percorso il lavoro procede senza soluzione di continuità (senza interruzione): si passa da una stazione a quella successiva ininterrottamente. Circuito di destrezza di Harre (definito circuito però si presenta e viene eseguito come percorso): viene usato per valutare la capacità globale di movimento in relazione al tempo di esecuzione e l’esattezza del percorso. Se nel momento della presenza dell’ostacolo ho una classe che non conosco e a cui non so se proporre un salto o uno scavalcamento, dò libertà di scelta al bambino osservando la modalità di superamento dell’ostacolo (modalità di Problem solving). Questo costituisce l’osservazione iniziale da cui poi strutturare proposte finalizzate. Il percorso posso utilizzarlo come metodo di valutazione ed osservare in che modo è cambiata l’abilità e la velocità esecutiva in relazione a diverse proposte che sono state fatte durante il corso dell’anno. Si osserva l’evoluzione del comportamento motorio dei bambini a parità di situazione problema. Possono essere utilizzati anche strumenti non convenzionali. - Percorsi: Velocità senza soluzione di continuità tra start e finish. Coordinazione generale – speciale - destrezza. Duttilità e adattabilità applicativa. Sviluppo multilateralità e polivalenza. Semplicità realizzativa È una modalità di lavoro indicata maggiormente per un lavoro a carattere coordinativo. - Circuiti: Lavoro in stazioni: continuo – spezzato. Rafforzamento e potenziamento organico muscolare. Individualizzazione del carico di lavoro. Duttilità applicativa. Adattabilità col carico naturale È una modalità di lavoro indicata maggiormente per un lavoro a carattere intensivo e condizionale. Perchè sulle capacità coordinative si lavora in modo preponderante in età evolutiva? Perché precede quello condizionale? È un perché di natura fisiologica; è legato all’iter evolutivo di crescita di ciascuno di noi. Abbiamo diversi organi, apparati e sistemi. A mano a mano che cresciamo questi crescono e maturano. Il sistema nervoso centrale è quello che giunge prima a maturazione. Abbiamo detto che un lavoro di tipo coordinativo efficienta il lavoro del sistema nervoso, noi dobbiamo intervenire fino a quando siamo in grado di condizionare questo efficientamento. Tutto questo miglioramento riusciamo a farlo fino a quando il SNC è ancora malleabile, ovvero fino a quando non ha completato il suo processo di sviluppo e maturativo. Per poter effettuare un lavoro di tipo condizionale (forza, resistenza, velocità) dobbiamo aspettare che il bambino abbia acquisito una maturità in relazione alle strutture ossee, muscolari e respiratorie tali da permettere lo sviluppo di queste capacità. Questo sviluppo avviene da una certa età in poi (maturazione psico-fisica che gli permette di sopportare un certo tipo di allenamento). Per questo il lavoro sulle capacità coordinative avviene prima di quelle condizionali: il corpo non è in grado di sopportare lo sviluppo e l’intensificazione di quelle condizionali. Teoria delle fasi sensibili. Fasi sensibili identificano i momenti più indicati per stimolare le diverse capacità motorie, i momenti di maggior allenabilità. Se lavoriamo in modo mirato ad un’abilità in una fase sensibile rispetto ad una non sensibile, a parità di stimoli, vedremo come si avrà una maggiore acquisizione in termini di capacità motorie nel primo caso. Convenzionalmente questo periodo d’oro per la motricità è compreso tra i 7 e i 12 anni, con uno scarto a seconda del genere. Il genere femminile maturano prima rispetto ai maschi, quindi la possibilità di condizionamento nel genere dei maschi dura di più (fino ai 13). Tra le componenti condizionali (capacità condizionali), la fase ideale di sollecitazione, parte dai 10 per la resistenza e 12 anni per la forza. Le capacità motorie condizionali. 1. Resistenza aerobica. Capacità di opporsi all’affaticamento e quindi la capacità dell’organismo e del sistema cardio-respiratorio e muscolare di resistere ad uno stimolo il più a lungo possibile. È insita in questa capacità di resistenza aerobica la durata. Il fine è, infatti, quello di resistere il più a lungo possibile allo stimolo di natura aerobica in modo da ritardare il più possibile l’affaticamento. Questa capacità incide molto sulla salute delle persone poiché la resistenza aerobica ci permette di compiere azioni volte a migliorare la salute, il peso. La finalità principale è lavorare sulla e per la salute. È un lavoro molto complesso poiché presuppone un lavoro di lunga durata. Questo implica quindi un lavoro non troppo intenso ma che si prolunghi nel tempo, a differenza del tipico movimento del bambino. Infatti, quando si chiede ad un bambino di muoversi questo accumula tutta la forza che può e spreca l’energia tutta in una volta, stancandosi presto ed esaurendo l’energia velocemente. Tanto in poco tempo. Bisogna invece educare il bambino a modulare l’impegno che deve mettere nell’esercizio poiché bisogna educarlo ad un movimento meno intenso ma che possa essere prolungato. Questa capacità è la risultante del coinvolgimento dei sistemi: Cardio-circolatorio: il cuore è un muscolo che viene allenato con attività specifiche, ovvero quelle aerobiche. Polmonare Muscolare Aerobico significa che richiede ossigeno. Quindi il metabolismo alla base è un metabolismo aerobico, ovvero che richiede la presenza di ossigeno per bruciare grassi e zuccheri. L’ossigeno deve quindi arrivare ai muscoli. L’efficienza dei polmoni serve a portare all’interno del corpo l’ossigeno e portare all’esterno anidride e organismo dei rifiuti; cuore e sistema circolatorio vengono trasportati dai polmoni ai muscoli e dai muscoli ai polmoni. Il cuore pompa il sangue che viene trasportato dal sistema circolatorio. I muscoli sono gli effettori: ci muoviamo perché contraiamo i muscoli. Tanto più questi sistemi diventano efficienti tanto maggiore è la resistenza aerobica; tanto più ci si allena sulla resistenza aerobica tanto più questi sistemi migliorano di efficienza. Metodi di allenamento (riguarda tutte le capacità motorie). Un allenamento per essere efficace (che induce adattamenti positivi) deve seguire 4 principi: 1. Sovraccarico: regola l’efficacia dell’esercizio fisico. Perchè il nostro organismo si adatti e migliori la propria funzionalità in risposta al movimento e all’esercizio fisico, lo stimolo che viene fornito deve essere qualcosa in più rispetto a quello a cui normalmente in nostro organismo è sottoposto. È questo qualcosa in più che induce l’adattamento che migliora le capacità. In riferimento all’attività aerobica si va ad aumentare la durata dell’esercizio. 2. Specificità: c’è una stretta relazione tra la tipologia di esercizio che si effettua e gli adattamenti che l’esercizio induce sui muscoli interessati. 3. Differenze individuali: l’allenamento, i programmi motori, l’esercizio fisico, deve essere individualizzato il più possibile. In questo caso si riescono ad ottenere i risultati migliori poiché sarà un allenamento creato ad hoc per le possibilità, capacità e specificità di quell’individuo. Quando si progettano interventi motori, la scelta dei contenuti e la quantità/qualità dell’esercizio dipendono dall’età del soggetto. Crescendo l’allenamento diventa più specifico e quindi condizionale per poi tornare a quello coordinativo in età più avanzata. Bisogna considerare anche lo stato di salute che influenza la capacità di ottenere benefici dal movimento e la resa stessa; il livello di allenamento: bisogna fare proposte in relazione al bagaglio motorio pregresso che il bambino ha o non ha; quindi bisogna tenere conto delle esperienze precedenti; a parità di tutti questi aspetti appena analizzati bisogna considerare la motivazione e la disposizione all’esercizio. La mia predisposizione e motivazione all’esercizio mi fa ottenere risultati migliori introducendo più tardi l’affaticamento e quindi rendendomi in grado di sopportare nel tempo l’esercizio o di aumentare il carico. 4. Reversibilità: gli adattamenti positivi introdotti dal movimento si mantengono fino a quando il nostro corpo si muove. Se ci fermiamo, gradualmente perdiamo gli effetti positivi introdotti dal movimento e dall’esercizio fisico. Tanto più è il tempo in cui si rimane fermi tanto più elevata è la reversibilità. In seguito a periodi di inattività si riprende l’esercizio ad un livello più basso di quello al quale ci si era fermati. Il recupero delle abilità sarà più rapido poiché abbiamo una memoria motoria che ci permettono di riacquisire le abilità e capacità. Filo conduttore è il principio della progressione: aumento graduale dei carichi di lavoro in funzione del grado di difficoltà se parliamo di capacità coordinative, in funzione di intensità, frequenza e durata se parliamo delle capacità condizionali. Nel caso delle capacità condizionali, il sovraccarico si ottiene monitorando i 3 parametri dell’esercizio: 1. Intensità 2. Frequenza (quante volte a settimana; a seconda delle abilità che si vogliono migliorare ci sono delle frequenze ottimali). 3. Durata Analizziamo questi aspetti contestualizzati nella capacità di resistenza aerobica. L’unità di misura che usiamo per stabilire l’intensità dell’esercizio aerobico è la frequenza cardiaca. Quanto intenso deve essere l’esercizio affinché solleciti in maniera ottimale il sistema cardio-respiratorio? Intensità moderata 50-70% FC max Intensità intensa 70-90% FC max Non si supera il 90% per questioni di sicurezza (si propone un esercizio sotto-massimale); non si scende sotto il 50% poiché non risulta essere abbastanza intensa. Per misurare il battito cardiaco si utilizza il cardio-frequenzimetro, ad esempio l’orologio. In modo più veloce e spicciolo si possono contare il numero di battiti per un tot di secondi ad esempio al collo (x 10 secondi moltiplico poi x 6). Per i bambini definiamo diverse tipologie di attività a seconda del numero di battiti: Moderata: 140 bpm Intensa: 160 bpm Il range ottimale per l’allenamento dell’attività di resistenza aerobica è quella che si trova tra l’attività moderata e quella intensa. A scuola come faccio? Possono essere utilizzati degli strumenti validi e utili che ci consentono di monitorare l’innestò dell’esercizio aerobico. Uno di questi è la scala di Borg. Seguendo questa scala da 6 a 20, come ha percepito lo sforzo?”. Con i bambini utilizziamo un corrispettivo della scala di Borg che risulta però più facile da utilizzare. È stata adattata per essere fruibile da parte dei bambini. La scala va da 0 a 10 anziché da 6 a 20. C’è una descrizione verbale delle sensazioni che il bambino potrebbe provare all’aumentare dello sforzo. In aggiunta troviamo anche le immagini che rappresentano lo sforzo che il bambino sta percependo in quel momento. L’intervallo 5-8 è il range in cui l’intensità risulta essere ottimale per il miglioramento della resistenza aerobica. Frequenza di allenamento. La frequenza ottimale per migliorare la capacità di resiste aerobica è compresa tra le 3 e le 5 volte a settimana. Più ci si muove maggiori sono i risultati che si ottengono. L’OMS ci suggerisce che per i bambini è consigliato l’esercizio per almeno un’ora al giorno per tutti i giorni. La durata dell’esercizio riguarda la durata che dovrebbe avere l’esercizio aerobico per definire degli adattamenti positivi. La durata ottimale è tra i 20 nei 60 minuti. Se dura più di 60 non abbiamo risvolti negativi, anzi c’è un ulteriore miglioramento ed ulteriori risultati; il valore di 20 minuti è invece un valore limite: al di sotto non si osserverebbero adattamenti positivi. Questi 20-60 minuti possono essere sfruttati o sfruttando attività motoria continuativa (corro per un’ora) o proponendo intervalli di attività fisica con una continuità di almeno 10 minuti per esercizio. Bisogna proporre attività che vadano a sollecitare la resistenza dell’apparato cardio-circolatorio, quindi attività di traslazione globale come correre, nuotare, andare in bicicletta. Il lavoro a circuito è un escamotage utile per realizzare un lavoro duraturo. Perché? Perché all’interno di un circuito o di un percorso propongo attività differenti. A parità di durata (10 minuti) è più stimolante proporre attività diversificate nonostante lo stesso grado di intensità. Valutazione della resistenza. È un aspetto complesso. La resistenza implica la lunga durata. La valutazione motoria ci serve per verificare il livello di partenza e per monitorare l’andamento dell’attività che stiamo facendo. La valutazione periodica mi permette di valutare ciò che sto facendo e di modularlo a seconda dei risultati. Test da campo: Corse di durata Test di Cooper: valuta la distanza percorsa correndo per 12 minuti su un percorso di cui conosciamo la lunghezza. Esistono anche versioni adattate: Mini-Cooper (per bambini): distanza percorsa correndo per 8 min La distanza percorsa camminando per 6 minuti (per anziani) Si possono anche invertire i dati da osservare: definita una determinata distanza misurare il tempo che si impiega per percorrerla. Test a navetta. Test a velocità crescente. Si effettua una corsa continua tra due coni a 20m di distanza. Si segue il tempo dato da un registratore (bip). Il tempo tra un bip e l’altro diminuisce ogni minuto. Ci sono varie versioni ma di solito si parte a 8.5 km/h e si aumenta di 0.5 km/h al minuto. Si conta il numero di volte che si sono completati i 20 m seguendo il tempo. Il test si interrompe quando per due volte di seguito il bambino non riesce a mantenere il ritmo. Lezione 8 Ottobre L’organizzazione della lezione di motoria segue una struttura precisa: Riscaldamento: la finalità è quella di riscaldare il corpo, di prepararlo sia a livello fisico che mentale a quello che sarà il lavoro che verrà affrontato nella parte centrale. Se nella parte centrale viene affrontato il tema principale, la fase di riscaldamento viene utilizzata per inserire gli esercizi propedeutici e funzionali agli esercizi che verranno trattati dopo (se la lezione verterà sui diversi tipi di lancio, nel riscaldamento lavorerò sulla mobilità degli arti superiori; se lavoro su un lavoro complesso, nella fase di riscaldamento inserisco gli elementi su cui si è lavorato nelle lezioni precedenti per poi costruire elementi più complessi nella fase centrale). Questa fase serve a predisporre il corpo e la mente a quello che sarà l’impegno e la fatica richiesti nella fase centrale. All’intensità target che si punta alla fase centrale bisogna arrivare gradualmente; questo passaggio graduale avviene nel riscaldamento. Parte centrale: è la parte della lezione in cui si lavora sull’obiettivo predisposto. Qui si cura l’obiettivo specifico raggiungendo i livelli di intensità specifici ottimali. Defaticamento: è una funzione di scarico sia fisico che mentale. Il ritorno alla condizione basale in termini fisiologici deve avvenire gradualmente. Il defaticamento porta gradualmente ad una diminuzione della frequenza cardiaca. Altra funzione di questa fase riguarda l’abbassare il livello di attivazione emotiva e psicologia in modo tale da permettere ai bambini di tornare in classe per seguire l’attività in classe. Ha la funzione di scarico funzionale anche perchè si vanno ad allungare i muscoli e le strutture che direttamente sono state coinvolte nelle attività proposte (es: allungamento colonna, stretching nel caso di attività incentrate nei salti). Per quanto riguarda la durata non c’è una durata precisa. La durata è variabile in funzione dell’età. Con i bambini piccoli difficilmente si fanno lezioni di un’ora intera. Solitamente si tende a realizzare delle lezioni con una durata inferiore. La durata varia anche in relazione al livello tecnico dei bambini con cui si lavora: maggiore è il livello maggiore è la durata (una lezione a livello sportivo dura un’ora e mezza). Varia anche a seconda del contesto e della disciplina. A scuola la durata viene condizionata dall’orario scolastico: 60 o 50 minuti. Considerando una lezione di un’ora: La metà della lezione è occupata dai contenuti della parte centrale (se dura un’ora la lezione, la parte centrale dura mezz’ora). Il rapporto è: la parte centrale dura il 50% della totalità. L’altra mezz’ora si distribuisce equamente tra fase di riscaldamento e fase di defaticamento: 15 minuti ciascuna. Il rapporto è: un quarto della totalità della lezione è destinato al riscaldamento, il 50% alla parte centrale, e l’ultimo quarto al defaticamento. (PER L’UDA NON ANDARE OLTRE L’ORA, non bisogna riempire le lezioni di contenuti: meglio di meno che di più; filo conduttore tra le 3 fasi). (PER ESAME: se si chiede la durata di una lezione la risposta è variabile; se viene definita la durata e viene chiesta una fase bisogna fare il rapporto). La capacità di forza. Per definizione la capacità di forza viene definita come la capacità del muscolo di generare tensione (contrarsi) per superare o opporsi ad una resistenza esterna. Se riesce a superarla o meno darà vita a contrazioni differenti. Il movimento è condizionato da diverse forze che interagiscono e che danno forza e funzione al movimento: la forza interna generata dai muscoli direttamente produce movimento. la forza esterna dell’ambiente: gravità, attrito—> possono sia facilitare che ostacolare il movimento a seconda di come vengono usate. In base al tipo di contrazione distinguiamo: Contrazione isometrica o statica: non produce movimento visibile. I muscoli si contraggono perchè c’è contrazione muscolare e attività contrattile ma queste in realtà non producono movimento visibile. Il muscolo si oppone ad una resistenza che però è insuperabile. Ad esempio se mi poggio al muro come se lo spingessi sto contrendo tutti i muscoli, produco forza ma non produco movimento. Infatti, il quantitativo di forza che produco con la contrazione muscolare non può superare la forza prodotta dalla parete. Il muscolo né si allunga né si accorcia, la sua lunghezza rimane invariabile nonostante la contrazione. Contrazione isotonica o dinamica: è la contrazione muscolare vera e propria. La contrazione può essere in accorciamento o in allungamento. Si parla di contrazione concentrica quando abbiamo un accorciamento del ventre muscolare con un avvicinamento dei cavi muscolari. La contrazione eccentrica produce un allungamento del muscolo ed un allontanamento dei cavi muscolari. Questo tipo di contrazione si ritrova molto spesso nel lavoro motorio. La contrazione eccentrica la troviamo ad esempio quando si fanno i salti, si scendono le scale. Risulta essere il tipo di contrazione più traumatica, di conseguenza bisogna curare la correttezza esecutiva. La capacità di forza ha una serie di sottocategorie che rappresentano diverse tipologie di forze. A partire dalla definizione generale possiamo distinguere diverse forze in funzione al modo in cui il movimento viene eseguito: forza massimale, forza elastica, forza rapida, resistenza alla forza. Con l’età evolutiva si lavora solo sulla forza rapida o potenza e sulla capacità di resistenza. Con la forza massima in età evolutiva non si lavora mai. La forza massimale è la massima forza che è possibile esprimere in una massima contrazione volontaria. Ci serve conoscerla poiché i carichi di lavori vengono definiti in relazione a questo valore. La massima contrazione volontaria: ipotizzo di lavorare con i pesi; un peso di 100kg mi permette di effettuare una sola flessione in andata e in ritorno. Questo carico di lavoro rappresenta il mio massimale. La forza rapida o potenza rappresenta la capacità di produrre contrazioni alla massima velocità possibile sia muovendo parti del corpo che attrezzi. Parliamo di movimenti forti ma che vengono eseguiti in maniera rapida. La resistenza alla forza o forza resistente corrisponde alla capacità dell’organismo di opporsi all’affaticamento durante esercitazioni di forza. Fino ad un certo punto questa definizione è uguale alla capacità di resistenza aerobica, la quale è caratterizzata da attività globali. Se ipoteticamente lavoro con due pesi di mezzo chilo, ho in azione il metabolismo aerobico ma non lavoro sulla resistenza aerobica; bensì lavoro sulla resistenza alla forza. Con l’età evolutiva si lavora solo sulla forza rapida o potenza e sulla capacità di resistenza: i bambini hanno i presupposti sici per lavorare su queste capacità; lavorare su queste poi esula dalla presenza di attrezzatura speci che quindi ci si lavora con carico naturale; queste forme di forza permettono di lavorare in maniera combinato sia dal punto di vista di condizionamento che coordinativo. Quello che viene meno in una proposta vincolata ad un attrezzo speci co è la mancanza di poter operare in un regime di variabilità esecutiva che invece è consentito da un lavoro a carico naturale. Perchè è importante l’allenamento della capacità di forza? Miglioro la capacità di forza per migliorare in maniera speci ca la prestazione di forza. Questa potrebbe essere la prima risposta ma è l’ultimo obiettivo. Si lavora sulla capacità di forza per: Rendere più ef ciente ed ef cace il movimento Favorire uno sviluppo armonico ed equilibrato del bambini (prevenzione Prevenzione di posture scorrette soprattutto del dorso (estensori del dorso) e addome, mal di schiena. Si lavora su una struttura che sia a sostegno dello scheletro che si sta sviluppando. E questo indirettamente ci permette di lavorare su queste posture scorrette. Stabilizzare e sorreggere le articolazioni Ridurre il rischio di infortuni e traumi: se non abbiamo una massa muscolare che in caso di caduta attutisce il colpo, l’osso subisce in modo più diretto il colpo. I muscoli servono da cuscinetto di protezione per la struttura scheletrica sottostante Prevenire l’osteoporosi, fragilità ossea. Aiutare nel controllo del peso corporeo fi fi fi fi fi fi I fattori che influenzano la capacità di sviluppo della forza sono le differenze individuali, tra le quali fortemente riscontriamo: l’età e il genere. Queste differenze individuali hanno una propria rappresentazione grafica. Es Grafico slide: mano a mano che si cresce e che si raggiunge la maggior età abbiamo un crescendo della capacità di forza che va di pari passo con la crescita dei muscoli. Il picco si raggiunge tra i 18/20-22 anni con uno scarto tra genere maschile e genere femminile: queste ultime raggiungono il picco prima del genere maschile. Fino a che si raggiunge la pubertà non c’è differenza tra la capacità di espressione della capacità di forza tra maschi e femmine. Dopo la pubertà, con la differenziazione sessuale e il diverso sviluppo, poiché abbiamo una composizione differente tra i due generi, il genere femminile risulta essere sempre meno forte. Questa differenza ce l’abbiamo per tutte le capacità condizionali: le donne sono meno forti, meno potenti. La differenza di costituzione fisica fa si che gli uomini prevalgano, a parità di condizioni, e che abbiamo maggiori livelli. La situazione si inverte per la mobilità articolare dove prevale il genere femminile. La perdita di capacità di forza che si ha con l’avanzare dell’età si può rallentare con l’allenamento. Questa involuzione inizia molto presto per poi divenire sostanziale nell’età adulta e per gli anziani. Altro fattore che incide sulla possibilità di sviluppo della capacità di forza è l’area di sezione traversa del muscolo: quanto è grande il muscolo che si contrae e che compie movimento. Tanto più il muscolo è grande tanto più il movimento è forte. Identifica la grandezza o il numero delle fibre coinvolte nel movimento: quindi il muscolo può essere definito grande sia in relazione all’ampiezza delle fibre che al numero di fibre. I muscoli degli arti inferiori sono naturalmente più forti di quelli degli arti superiori: abbiamo a che fare con grandezze differenti. Altro fattore che determina sulla capacità di forza è la componente nervosa e quindi in parte coordinativa: lo sviluppo della forza dipende dal lavoro di natura nervosa a monte della contrazione muscolare. Il muscolo è composto da piccoli filamenti, le fibre muscolari, che nel loro insieme costituiscono il muscolo; questi filamenti lavorano in maniera coordinata tanto luogo alla contrazione muscolare. Il lavoro coordinato di queste fibre migliora mano a mano che aumenta l’allenamento e quindi l’apprendimento motorio. L’acquisizione di una corretta tecnica esecutiva permette, a livello del SNC, permette di reclutare le fibre che lavorano in un