Marketing 2 Parziale - PDF
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This document discusses product policies in marketing, focusing on the concept of a product as more than just its physical attributes. It explores how companies define products based on customer needs and competitive positioning and analyzes various product classifications, such as convenience goods, preference goods, shopping goods, and specialties goods, emphasizing the importance of understanding diverse consumer behaviors and expectations.
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MARKETING 2 PARZIALE CAPITOLO 8 – LE POLITICHE DI PRODOTTO La definizione del prodotto e delle sue caratteristiche è il punto di avvio delle politiche di marketing delle imprese. Il concetto di prodotto non si riferisce alla fisicità del prodotto, bensì alla sua capacità di soddis...
MARKETING 2 PARZIALE CAPITOLO 8 – LE POLITICHE DI PRODOTTO La definizione del prodotto e delle sue caratteristiche è il punto di avvio delle politiche di marketing delle imprese. Il concetto di prodotto non si riferisce alla fisicità del prodotto, bensì alla sua capacità di soddisfare le esigenze dei clienti e di collocare l’offerta dell’impresa in modo adeguato rispetto alla concorrenza. IL CONCETTO DI PRODOTTO Il prodotto è il primo strumento con cui l’azienda si dichiara al suo pubblico di riferimento. Le ragioni che inducono a considerare il prodotto come “prima” variabile del marketing mix sono riconducibili al fatto che in primo luogo le decisioni del cliente prendono in considerazione “cosa” possa consentire la soddisfazione delle sue esigenze e solo in seguito il cliente valuta e le altre variabili dell’offerta, dal prezzo alla disponibilità del prodotto sui punti vendita, alla sua immagine e così via. Chiaramente le preferenze dei clienti discendono dalla corretta formulazione delle variabili dell’intero marketing mix dell’impresa e non di una sola variabile, indipendentemente dalla sua importanza. Quindi il prodotto è un sistema di attributi tangibili ed intangibili che rappresenta una piattaforma potenziale per la creazione di valore per e con il cliente. La base del ragionamento è la valutazione delle connotazioni del prodotto. Quindi se il cliente valuta secondo degli attributi, l’impresa deve sapere quali sono e inserirli nel prodotto. Queste caratteristiche possono essere tangibili o intangibili. ESEMPIO: Macchina Fiat 500 Abarth COMPONENTE MATERIALE COMPONENTE IMMATERIALE o Quali sono gli attributi tangibili di una macchina Fiat 500 Abarth? La scritta Abarth che rimanda ad un modello più resistente, lunghezza, dimensioni, allestimento, velocità… o Quali sono gli attributi intangibili di una macchina Fiat 500 Abarth? (i valori che sono in grado di trasmettere al cliente, che deve sentirsi rappresentato da ciò che acquista) La community degli Abarthisti è anche fatta di persone che non hanno necessariamente un’Abarth, ma si identificano in quei valori, in quello stile di vita. Va al di là del concetto di acquirente/consumatore. La componente tangibile è distintiva, ma per il cliente non è più sufficiente in quanto la stessa performance di velocità, peso e dimensione potrebbe trovarla in un’altra macchina. Per questo è importante la potenza della componente immateriale: il valore della marca. Esso è una sintesi di ciò che l’azienda è stata in grado di costruire nel tempo, con fatica, lottando con i competitor, è una sintesi di valore (e ciò non è facilmente imitabile). IL CONCETTO DI PRODOTTO E LE LOGICHE DI DIFFERENZIAZIONE Il concetto di prodotto si presta ad una pluralità di interpretazioni. In primo luogo è possibile porre in relazione le diverse tipologie di prodotto con il comportamento d’acquisto e di consumo dei clienti. In particolare vi sono 2 variabili che ne caratterizzano le condotte: IL RISCHIO PERCEPITO (in termini economici, temporali, ma anche di coinvolgimento psicologico. “Il prodotto che mi sono portato a casa è quello che mi hanno promesso?” LO SFORZO PROFUSO NELLA SCELTA, NELL’ACQUISTO E NELL’UTILIZZO DEL PRODOTTO Lo sforzo è proprio una fatica: fatica nella ricerca delle informazioni giuste, quanto tempo devo metterci per capire cosa ho davanti, quanto ne so e quanto ho bisogno invece di altri per raccogliere competenze sufficienti per scegliere. Dalla combinazione tra rischio percepito e sforzo sostenuto dal cliente discendono 4 categorie di prodotti: CONVENIENCE GOODS, PREFERENCE GOODS, SHOPPING GOODS AND SPECIALTIES GOODS. Ciascuna di queste tipologie di prodotti necessita di una logica di marketing differente e, di conseguenza, di una diversa combinazione di variabili di marketing in quanto le richieste dei clienti sono differenti. Nello specifico: CONVENIENCE GOODS (PRODOTTI CONVENIENTI): Si tratta di prodotti finalizzati a soddisfare esigenze piuttosto elementari o che hanno una storia nei nostri processi di acquisto (li abbiamo già comprati tante volte e quindi è difficile che siano rischiosi). I clienti tendono a concentrarsi verso le offerte più convenienti sul piano economico e facilmente reperibili sul mercato. Si tratta di: o Beni di largo consumo o Alta frequenza di acquisto o Costo basso o Coinvolgimento affettivo basso o I convenience goods si definiscono anche PRODOTTI FUNGIBILI in quanto possono essere sostituiti con un’alternativa in modo facile ESEMPIO: SALE DA CUCINA, PASTA. Un prodotto convenience come il sale si sceglie solitamente basandosi sul prezzo, che deve essere il più basso possibile. Nella maggior parte dei casi non ci si ricorda il nome dei brand/aziende che producono questi prodotti di largo consumo, non ci facciamo particolare attenzione. PREFERENCE GOODS (PRODOTTI DI PREFERENZA): Quando ci si sposta verso i prodotti PREFERENCE le scelte dei consumatori si concentrano maggiormente sui fattori di differenziazione, intrinseci nel prodotto o conseguenti alle politiche di comunicazione di marketing, in grado di determinare e consolidare le preferenze di marca. Quindi si tratta di: o Beni preferiti o Beni di largo consumo speciale o Benefici sociali e/o psicologici o Prezzo medio basso o Coinvolgimento superiore (sono prodotti verso i quali abbiamo una precisa polarizzazione positiva o negativa. Non selezioniamo più in base al prezzo più basso ma cominciamo ad avere una preferenza di marca, il prezzo comincia a raccontarci un investimento da parte dell’azienda in connotazioni specifiche). ESEMPIO: Un esempio di PREFERENCE GOODS è lo yogurt. Yomo ho introdotto numerose alternative: pezzi di frutta più grandi; poi è arrivato un player ancora più grande: Muller. Poi vi è anche l’acqua: acqua essenziale (che, se bevuta la mattina, pare abbia degli effetti estremamente benefici dal punto di vista pancreatico) sta facendo molto leva sulla selezione delle componenti organoletiche dell’acqua. SHOPPING GOODS: Nel caso degli SHOPPING GOODS, agli elementi della politica di marketing già presenti nei PREFERENCE GOODS, si aggiunge il ruolo determinante del punto vendita (per l’arricchimento che può giungere al cliente dal servizio di assistenza pre-vendita, dall’ambientazione e dall’immagine del punto di vendita, dalle capacità di accoglienza e di customer care assolte dal personale di vendita). Si tratta di: o Beni acquisto ponderato o Costo elevato o Coinvolgimento affettivo elevato o Non fungibili (Non mi va bene qualunque cosa come nel caso del sale. Quindi la fungibilità o sostituibilità è molto ridotta) o Ridotta frequenza d’acquisto o Il consumatore fa dei confronti tra prodotti ESEMPIO: Acquisto di cucina per un appartamento; si trovano prezzi estremamente diversi. Per esempio con IKEA ho la possibilità di intervenire su delle linee standard adattandole oppure con SCAVOLINI, vi è la possibilità di adattare e customizzare una cucina. SPECIALTY GOODS: Infine nel caso dei prodotti SPECIALTIES, tutte le variabili del marketing assumono un’importanza particolare, motivata delle particolari esigenze espresse dalla domanda. A ogni categoria di prodotti corrisponde quindi una determinata configurazione del marketing mix, per intensità delle variabili utilizzate dalle imprese in risposta ai differenti bisogni di interazione dei clienti con l’impresa e con il prodotto offerto. Quindi si tratta di: o Beni speciali (prodotti di lusso, customizzati ad hoc) o Costo monetario elevato o Investimento affettivo elevato (nel momento in cui acquista questo prodotto, il cliente non intende confondersi con la massa ed è disposto a pagare un premium price) o Non fungibili o Il consumatore ha una forte preferenza di marca Quindi i prodotti CONVENIENCE puntano sulla leva prezzo. I prodotti PREFERENCE devono lavorare sulla differenziazione del prodotto. I prodotti SHOPPING vedono la differenziazione perché l’adattamento deve essere guidato anche lavorando sul punto vendita, mi aspetto un certo tipo di supporto (pre, durante e post acquisto). Chiaramente questa definizione di prodotto ha come riferimento il comportamento del cliente e il rapporto che esso instaura con il prodotto stesso. In una prospettiva diversa, il concetto di prodotto può essere suddiviso considerando le caratteristiche del prodotto stesso e le possibili aree di differenziazione e di posizionamento. CLASSIFICAZIONE PER TIPOLOGIA DI PRODOTTO – MODELLO LEVITT L’autore del modello di classificazione per tipologia di prodotto è Theodore Levitt. Egli ha cercato di portare l’attenzione sul fatto che un prodotto debba essere scomposto a strati e non presenta una sola sfaccettatura. Nello specifico si distinguono: CUORE DEL PRODOTTO (o VANTAGGIO ESSENZIALE): Ciò che è al centro, che dura in eterno del prodotto ed è il suo motivo di esistere, il motivo per cui quel prodotto è sul mercato e il beneficio che va a risolvere). Da questa definizione deriva ciò che il prodotto è e può fare, cioè i livelli successivi o più esterni; Dal vantaggio essenziale si può definire il PRODOTTO GENERICO (caratteri basici) cioè le connotazioni tecniche del prodotto; Poi vi è il PRODOTTO ATTESO che coincide con le caratteristiche funzionali, estetiche, di performance, di immagine, ecc…che il cliente si aspetta da un certo prodotto. Via via, con l’evoluzione del prodotto sul mercato, le attese dei clienti aumentano e si perfezionano per cui le loro richieste non possono più essere soddisfatte dal prodotto fisico che tende a rappresentare una parte relativamente piccola rispetto al prodotto atteso. Più ci si sposta verso i concetti di prodotto AMPLIATO e di prodotto POTENZIALE, tanto maggiore rilievo assumono i fattori di differenziazione creativa e originale proposti dall’impresa rispetto ai concorrenti. Nello specifico: PRODOTTO AMPLIATO (servizi attesi) – MEDIO PERIODO A questo punto l’azienda si domanda che cosa potrebbe aggiungere al prodotto, cosa potrebbe fornire un ulteriore gancio relazionale con i clienti nel medio periodo. Ciò dipende da cosa vogliono, da cosa si aspettano di ricevere ma non deve snaturare il motivo per il quale è stato costituito. Quindi vi è l’aggiunta di una componente intangibile. PRODOTTO POTENZIALE (possibili ampliamenti futuri) – LUNGO PERIODO L’ultimo livello è lo stadio di massima espansione possibile di quel prodotto o marca. Da qui, ci si interroga sugli sviluppi futuri del prodotto (in termini di ampliamenti o servizi nel lungo periodo). Non ci sono limiti superiori. A volte il prodotto potenziale potrebbe condurre anche ad un cambiamento del modello di business dell’azienda. Inoltre il prodotto rappresenta una componente multiforme e continuamente dinamica della relazione con il mercato. Infatti: o Il prodotto è multiforme perché può assumere caratteristiche e connotati diversi a seconda delle situazioni; o È componente variabile sia in termini di continui cambiamenti delle caratteristiche che lo definiscono, sia perché si deve adattare alle caratteristiche dell’impresa, alle sue competenze e capacità oltre che alle esigenze della domanda e dei segmenti di domanda a cui si rivolge. LA SMATERIALIZZAZIONE DELL’OFFERTA La multiformità del prodotto introduce un’ulteriore considerazione: l’offerta dell’impresa è composta da elementi materiali e immateriali che si integrano tra loro sempre di più. Infatti la crescente complessità dell’ambiente ha prodotto nel tempo il progressivo affiancamento di 2 dimensioni: o Quella MATERIALE (che permane, è ancora importante e costituisce il supporto attraverso cui il valore si fa reale); o Quella IMMATERIALE (è fatta di “idee” che possono vivere anche al di fuori della materialità e che quindi possono essere più facilmente riprodotte, così come tutte le risorse di conoscenza, a costi nulli o bassi e declinate in contesti di mercato anche distanti da quelli di provenienza). DIMENSIONE OLISTICA DELL’OFFERTA: Si assiste così ad un progressivo spostamento dell’attenzione dal momento produttivo in senso stretto alla struttura dell’offerta riletta in una dimensione “OLISTICA”, dove le componenti intangibili (legate alla reputazione dell’impresa, al valore della marca, alla gestione delle relazioni con il mercato e con la filiera, alla cultura dell’impresa e al suo capitale umano e sociale), consentono all’impresa una proposizione di valore percepito e riconosciuto come differenziale dal mercato; Di conseguenza vi è anche il COINVOLGIMENTO DEL CLIENTE: CO-CREAZIONE, CO- DESIGN E CO-PRODUZIONE DEL SISTEMA DI OFFERTA. In questo senso si parla di crescente tendenza alla “SMATERIALIZZAZIONE” del prodotto. Smaterializzare significa estrarre dal contesto materiale del bene tangibile o servizio la conoscenza che è incorporata nel bene o nel servizio stesso e, sottoforma di “idea”, renderla il fulcro del processo gestionale. Quali sono i vantaggi della smaterializzazione dell’offerta? DIFFERENZIAZIONE A COSTI INFERIORI OFFERTA COME MONDO POSSIBILE AUMENTO DI VALORE DELL’OFFERTA PER EFFETTO DEI CONTENUTI IMMATERIALI Qualunque struttura un’azienda abbia, deve partire dal presupposto che al cliente non interessa l’oggetto di per sé stesso, bensì cosa può fare con quell’oggetto, la motivazione per la quale è stato costruito, educare le persone su come orientarsi nella funzionalità per la quale è stato creato. Il nome penna è spesso associato al nome BIC. Quando pensiamo ad una penna pensiamo subito a BIC (l’affezionarsi al nome del prodotto da parte del cliente è positivo). Ma quando il cliente non associa più il nome del prodotto a quella azienda, nasce il problema: l’azienda deve cambiare modello di business. LE DIMENSIONI CHIAVE DELLE POLITICHE DI PRODOTTO È possibile identificare 3 dimensioni chiave con le quali l’impresa deve confrontarsi nell’approcciare alle politiche di prodotto. La rappresentazione che ne deriverà costituirà un punto di riferimento non solo per gli operatori di marketing, ma anche per tutte le funzioni aziendali coinvolte nel processo (nonché per gli stakeholder esterni maggiormente interessati dall’agire competitivo dell’impresa; ossia fornitori, intermediari e clienti). Le 3 dimensioni chiave sono rappresentate da: 1) CONNOTAZIONE DEL PORTAFOGLIO PRODOTTI 2) QUALITÀ DEL PRODOTTO 3) ORIZZONTE TEMPORALE ADOTTATO NELLA GESTIONE DEL PRODOTTO CONNOTAZIONE DEL PORTAFOGLIO PRODOTTI La prima dimensione è rappresentata dalle caratteristiche della struttura di offerta in termini di portafoglio prodotti che l’impresa intende proporre al mercato. Con il termine assortimento di prodotti si intende quindi il complesso di tutti i prodotti che l’azienda pone sul mercato. Di norma l’assortimento è composto da linee di prodotti, ossia da gruppi di prodotti accomunati da caratteristiche specifiche (quali la comune tecnologia produttiva, l’attitudine a soddisfare una certa categoria di bisogni, il collocamento attraverso gli stessi canali distributivi e così via). In questo contesto si possono considerare 2 dimensioni che rappresentano le modalità attraverso le quali l’impresa intende porsi nei confronti del mercato: AMPIEZZA DELL’ASSORTIMENTO o GAMMA (linee di business dell’azienda): L’ampiezza dell’assortimento è data dal numero delle linee che compongono l’assortimento stesso, che rappresenta la volontà dell’azienda di soddisfare sistemi di bisogni complessi in una logica di completezza, al fine di favorire il rafforzamento della relazione nel tempo attraverso i meccanismi della fidelizzazione. Infatti l’azienda deve dotarsi di tanta struttura per rispondere a bisogni eterogenei di propri clienti e cercare di coprire quanti più segmenti diversi possibile (lasciando meno spazio possibile ai competitor). PROFONDITÀ DELL’ASSORTIMENTO (varianti della stessa linea di prodotto): La profondità dell’assortimento si definisce invece in relazione al numero medio di prodotti che compongono le diverse linee; questa dimensione esprime la capacità dell’impresa di operare in una logica di specializzazione volta a soddisfare la varietà espressa da parte dei diversi segmenti del mercato. Un’azienda con elevata profondità è in grado di variare il modello di prodotto (cambia le connotazioni per creare delle varianti). Per esempio SAMSUNG nella linea 1 ha elaborato il modello s, z, x…in modo tale fornire diverse alternative in termini di dimensione, fotocamere, capacità di memoria, connessione, piuttosto che ARTIFICIAL INTELLIGENCE ultimo modello. Ciò serve a mettere a disposizione di quel segmento di clientela tutto ciò ci cui potrebbe aver bisogno affinché possa scegliere l’alternativa migliore. Dalla combinazione tra estensione dell’ampiezza e declinazione della profondità, è possibile indicare 4 alternative di caratterizzazione della struttura di offerta: Nello specifico: OFFERTA LIMITATA Caratterizzata da un’ampiezza contenuta (poche linee di business) e una profondità contenuta (poche varianti della stessa linea di prodotto). Il perseguimento di una strategia di offerta limitata può lasciare spazi di manovra ad aziende concorrenti con strategie più definite e più centrate rispetto alla domanda; rappresenta invece un momento evolutivo nel caso di imprese in fase di start up che stanno definendo il percorso di crescita. ES: Pensiamo a GHEDINI SRL (azienda che vende, acquista e cura la manutenzione delle centrifughe dei migliori brand sul mercato). Si tratta di una tecnologia altamente sofisticata, l’unica varietà possibile del prodotto (la centrifuga) è andare a modificare l’altezza da terra. La Ghedini potrebbe customizzare il singolo componente senza modificare tutta la struttura di base (l’azienda fa questa macchina e ne garantisce il funzionamento così com’è). Possono anche esserci delle varianti aziendali con versioni leggermente meno estreme dell’azienda Ghedini, ma pur sempre con poche varianti (profondità contenuta) e poche linee di business (ampiezza contenuta). SPECIALIZZAZIONE DI PRODOTTO Caratterizzata da ampiezza contenuta (poche linee di business) e profondità elevata (tante varianti della stessa linea di prodotto). Talora, ed è il caso spesso delle piccole e medie realtà, la scelta ricade verso una strategia che esalta le competenze specializzate che l’impresa ha sviluppato nel tempo e in funzione delle quali persegue una strategia di specializzazione di prodotto. In questo senso, l’obiettivo prioritario dell’impresa è quello di rivolgersi in modo focalizzato ai diversi segmenti della domanda interessati alla categoria di prodotto proposta. ES: La MONDO S.P.A. è una multinazionale italiana specializzata in pavimentazione sportive e civili e in giocattoli. Il focus di questa azienda è costruire oggetti che rimbalzano. La prima linea di business sono i palloni (palloni da calcio, da tennis, da pallavolo, per rugby che possono essere fatti con materiali diversi). La seconda linea di business, in perfetta coerenza con il modello originario è la costruzione della pavimentazione, quindi piste di atletica, campi da basket piuttosto che calcio. OFFERTA ALLARGATA Caratterizzata da un’ampiezza elevata (tante linee di business) e profondità contenuta (poche varianti della stessa linea di prodotto). La scelta del perseguimento di un’offerta allargata è finalizzata a sostenere un processo di fidelizzazione della clientela che si costruisce a partire da una struttura di offerta in cui le diverse categorie di prodotti che compongono la gamma consentono al cliente di soddisfare sistemi di bisogni eterogenei. ES: Tasty Box Dispensa lanciata da Riso Scotti S.P.A o Almaverde Bio. Ultimamente sono molto apprezzati i prodotti quarta gamma (prodotti freschi, lavati, confezionati in imballaggi protettivi, pronti per essere consumati). Si tratta di prodotti che non presentano molteplici varianti, bensì solamente 2 o 3 maggiormente richieste dalla clientela. L’offerta allargata risponde ad un’esigenza di soddisfacimento di bisogni della stessa tipologia di clienti o di clienti diversi (con tante linee di business ma poche varianti della stessa linea di prodotto). SPECIALIZZAZIONE ESTESA Caratterizzata da un’ampiezza elevata (tante linee di business) ed elevata profondità (tante varianti della stessa linea di prodotto). Infine, soprattutto nel caso delle grandi aziende, si attua una strategia di specializzazione estesa: le competenze dell’impresa tendono a specializzarsi in diversi ambiti di prodotto consentendo non solo un ampliamento della gamma, ma anche una contemporanea possibilità di intervento sulla profondità, con l’obiettivo di incrementare le distanze competitive rispetto alle imprese concorrenti (soprattutto ove vi sia complementarietà tra le linee di prodotti che compongono l’assortimento). ES: “Differenziarsi sempre, anticipando le attese del consumatore” ecco la filosofia Ferrero (multinazionale italiana specializzata in prodotti dolciari caratterizzata dall’uso di 3 ingredienti principali: latte, cioccolato e nocciola). L’azienda declina il modello di specializzazione in diversi livelli di profondità. Vi sono tante linee di business con tante varianti della stessa linea di prodotto: praline con delle varianti (per esempio pralina con nocciola intera, crema di nocciola e crema gianduia e granella di nocciola), merendine con altre varianti, biscotti con altre varianti… che si adattano a esigenze di consumo diverse per persone diverse (bambini, adulti, lavoratori, studenti…) soddisfacendo un ampio numero di esigenze e bisogni. QUALITÀ DEL PRODOTTO Un’ulteriore dimensione di attenzione dal punto di vista strategico è rappresentata dal livello di qualità che l’impresa intende associare ai propri prodotti. Il concetto di qualità è estremamente articolato e non facilmente definibile: si tratta di un concetto multidimensionale che connota il prodotto e che costituisce una delle basi della piattaforma relazionale tra impresa e cliente. Tra le definizioni più significative di qualità ritroviamo: “Fitness to use” “The total composite product and service characteristics of marketing, engineering, manufacturing, and maintenance through which the product and service in use will meet the expectations of the consumer” The efficient production of the quality that the market expects Meeting or exceeding customer expectations at a cost that represents value to them Il tema del fitness to use non basta: non basta che il prodotto risolva tecnicamente il problema. Vi è un tema di percezione, capacità di assecondare le aspettative con efficacia ed efficienza. Qualunque oggetto, esperienza o servizio non ha una fissità; quindi è necessario modulare in gradienti diversi i sistemi di offerta e adattare lo stesso prodotto o servizio alle aspettative della clientela. Il compito dell’azienda è quello di sbloccare i livelli successivi che interessano all’utente/cliente. Le implicazioni gestionali relative alla definizione della qualità e alla sua traduzione operativa sono declinabili nell’ambito delle diverse tipologie di imprese e attengono in particolare a: Entità cui la qualità si riferisce, quale il prodotto specifico, la linea di prodotti o l’intero assortimento; Soggetto portatore del sistema di bisogni in funzione della specifica entità definita come riferimento; che può essere declinato in termini di cliente, utente, paziente, cittadino, o che può identificarsi con la società stessa; Determinanti della qualità in termini di caratteristiche specifiche dell’entità su cui si focalizza l’attenzione (prodotto specifico, linea o assortimento) in relazione agli specifici sistemi di bisogni e di aspettative da soddisfare e alla misura in cui questi possono essere soddisfatti. L’ORIZZONTE TEMPORALE ADOTTATO NELLA GESTIONE DEL PRODOTTO L’ultima dimensione riguarda l’orizzonte temporale che si intende adottare nel momento in cui si definiscono le politiche di prodotto. In alcuni casi, come nei prodotti di moda, l’orizzonte temporale è necessariamente di breve periodo, in altri casi l’impresa orienta consapevolmente tutto il processo gestionale del prodotto verso il lungo periodo. È il caso di Ferrero che, (un’azienda che ha saputo offrire ai consumatori di tutto il mondo prodotti specialità unici, diversi da ogni altro, in un contesto di attenzione nutrizionale) sottolinea la prospettiva della durata nel tempo come elemento connotativo dei propri prodotti e al contempo, del vantaggio competitivo. A partire dalle 3 dimensioni (articolazione dell’assortimento, qualità e orizzonte temporale) è possibile giungere alla definizione di un modello di approccio strategico alla gestione del prodotto. INNOVAZIONE E MERCATO L’innovazione costituisce uno dei temi legati alle politiche di prodotto e di marketing tra i più attuali e dibattuti. L’innovazione di mercato si può esprimere con forme molto diverse tra loro; le principali sono le seguenti: INNOVAZIONE INCREMENTALE: Le forme dell’innovazione incrementale sono potenzialmente infinite. Si possono trovare nel prodotto e nelle sue componenti periferiche, nel cliente e nei suoi modi d’acquistare e di consumare il bene offerto, nel punto vendita (come il punto vendita presenta, offre, assiste la vendita del prodotto). Ma soprattutto, l’innovazione incrementale è nelle relazioni dinamiche che si instaurano tra prodotto, canale (punto vendita) e cliente/utilizzatore. Attraverso l’osservazione continua dell’evolversi di queste relazioni, l’impresa può comprendere il bisogno di adattamento e fronteggiarlo. Perciò l’innovazione incrementale si ingloba nei diversi comportamenti possibili: nella politica di prodotto, nella politica distributiva, nelle modalità di acquisto e di utilizzo dei clienti. ES: Pensiamo all’innovazione della televisione, rendere l’esperienza il più vivida possibile andando a lavorare sui 4 colori primari per rendere l’’immagine talmente vivida da non sembrare quasi filtrata dallo schermo.). altro esempio incrementale riguarda la tecnologia delle fotocamere per telefoni (fino a 3 fotocamere disponibili). INNOVAZIONE RADICALE: A volte divengono necessarie innovazioni radicali che rompono con gli schemi del passato. Se cambia radicalmente il prodotto, con esso cambia il modo di venderlo, di acquistarlo, di utilizzarlo e quindi, cambiano le relazioni tra le parti. Innanzitutto è necessario comprendere fino a quale punto la radicalità dell’innovazione genera cambiamenti (a volte imprevedibili), in altri contesti che, a loro volta, possono essere generatori di ulteriori cambiamenti; INNOVAZIONE NELL’UTILIZZO DI PRODOTTI/SERVIZI: Oltre all’innovazione di prodotto e/o di processo, altrettanto importante è l’innovazione nell’utilizzo dei prodotti. Infatti le innovazioni di successo sono il frutto di un equilibrato e sapiente compromesso tra le due componenti: la tecnologia e il mercato. Infatti un’innovazione di successo presuppone la comprensione dell’esperienza dell’acquirente e dell’utilizzatore. È evidente che un nuovo cliente non può essere trattato come un cliente consolidato; le sue esigenze, i rischi che percepisce, l’incertezza connessa alla novità e alla scarsa esperienza inducono l’impresa venditrice alla ricerca di risorse di fiducia che possano aiutare a superare l’ostacolo della novità (assecondando i tempi decisionali del cliente, assistendolo con l’informazione, garantendo i risultati e così via); INNOVAZIONE DI TRADE: Da tempo il trade si muove sul territorio dell’innovazione con modalità e strumenti assai sofisticati (ad esempio camerini virtuali o assistenti alla vendita digitali…). Il trade innova in 3 modi: o Usando una tecnologia propria che si basa sulla sua posizione. È innovazione il modo di proporre i prodotti sugli scaffali, è innovazione la nascita di nuove formule e combinazioni distributive, dall’hard discount alla marca commerciale o Il secondo momento innovativo riguarda le relazioni con l’industria. Tale collaborazione con le imprese è finalizzata a comprendere quali caratteristiche debba avere un’innovazione di successo o Infine la distribuzione è in grado di cogliere i bisogni d’innovazione dei suoi clienti. Diviene quindi ricevente dei suggerimenti del mercato. INNOVAZIONE DI METODO: L’innovazione può colpire anche i metodi utilizzati (metodi per raccogliere e trasmettere le informazioni, i metodi d’indagine, i metodi di elaborazione e trasmissione delle informazioni, ecc…). Tuttavia le innovazioni di metodo sono più difficili da attivare, perché i metodi necessitano di tempi lunghi di sperimentazione e, in genere, vanno validati in termini teorici. IL PROCESSO DI SVILUPPO DI UN NUOVO PRODOTTO Il processo di sviluppo di un nuovo prodotto diviene il territorio ove l’impresa si confronta con la sua capacità di innovare e di creare le condizioni interne che favoriscano la sua attitudine all’innovazione. In primo luogo è opportuno che l’impresa verifichi dei driver e delle dimensioni valoriali attorno alle quali orientare l’innovazione e tradurla nello sviluppo di proposte di offerta (e quindi di prodotti) in grado di consentirle l’acquisizione di un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo. ES: È il caso per esempio di Foppapedretti, che alla base dei suoi prodotti ha posto una filosofia che non solo è condivisa a tutti i livelli dell’organizzazione ma rappresenta anche la sintesi dei valori sui quali avviene la produzione di senso nel sistema percettivo del cliente (intermedio e finale). Il processo che ne deriva è: pianificabile e suddivisibile in fasi a carattere sequenziale; di norma organizzato attraverso la pre-definizione degli obiettivi da realizzare e l’attribuzione di responsabilità a una funzione particolare dei risultati relativi a ogni singola fase (in particolare al marketing è tendenzialmente affidato il compito di analizzare i sistemi di bisogni del mercato e trasferire tali informazioni all’interno dell’organizzazione, di verificare la sintonia tra innovazione e mercato nelle diverse fasi del processo e di gestire, al termine del processo stesso, il lancio del nuovo prodotto) gestibile dalla singola impresa, utilizzando le risorse e le capacità di cui dispone. In particolare, tale processo si definisce attorno ad alcune fasi fondamentali: 1) IDEA GENERATION – Identificazione delle opportunità e generazione di idee; 2) IDEA SCREENING – Selezione delle idee in riferimento alla loro compatibilità con gli obiettivi, le risorse e le capacità disponibili da parte dell’impresa; 3) CONCEPT TEST – Sviluppo e valutazione del concetto di prodotto; 4) MARKETING STRATEGY – Definizione delle linee guida della strategia di marketing; 5) BUSINESS ANALYSIS – Analisi economica 6) PRODUCT DEVELOPMENT – Progettazione e sviluppo tecnico-produttivo del prodotto; 7) TEST MARKETING – Test di mercato (sviluppo commerciale e lancio del prodotto). In questa prospettiva, risulta indispensabile una stretta sinergia tra le diverse attività e le diverse funzioni ad esse preposte al fine di ottenere un’efficienza ed un’efficacia premianti; ciò può essere facilitato dalla presenza di un project leader, con ampie responsabilità sui risultati ottenuti dall’inizio alla fine del progetto. Inoltre il processo di sviluppo di un nuovo prodotto è riconducibile a 3 grandi fasi principali: FASE DI ESPLORAZIONE – Dalla generazione delle idee al concept del nuovo prodotto; FASE DI SPERIMENTAZIONE (sia tecnica sia di mercato) – Legata alla progettazione del prodotto, analisi economica e valutazione delle potenzialità di mercato; FASE DI PREPARAZIONE AL LANCIO DEL PRODOTTO SUL MERCATO. Nello specifico: FASE DI ESPLORAZIONE: Obiettivo di questo momento è quello di sviluppare il numero più elevato di idee anche molto eterogenee tra loro onde non precludersi spazi di opportunità ancora non considerati. Le dimensioni chiave di questa attività sono: le fonti delle idee, i metodi di generazione delle idee, l’output della fase. Al momento divergente nella generazione delle idee deve necessariamente seguire un momento “convergente” di selezione e prima scrematura delle idee. Di norma le modalità di valutazione si fondano sull’elencazione delle caratteristiche che qualificano l’idea di un nuovo prodotto in relazione alle risorse e competenze dell’impresa. Il momento elettivo è rappresentato dal test del concetto di prodotto (CONCEPT TEST) il cui obiettivo è l’analisi della validità dell’innovazione che si intende proporre e dei suoi eventuali miglioramenti. Il concept può essere definito come la descrizione sintetica, in forma scritta (ed eventualmente visiva) dell’idea di un nuovo prodotto; definisce le principali caratteristiche e i benefici che ne trarrà il potenziale acquirente. Gli elementi costitutivi del concept sono rappresentati da: o CUSTOMER INSIGHT (perché l’idea è stata concepita?): evidenzia un problema che è alla base della soluzione promessa; o MAIN BENEFIT (quale tipo di beneficio dà quell’idea?): rappresenta la modalità attraverso la quale l’impresa si impegna a far sì che il prodotto risolva il problema sviluppato sulla base del customer insight; o REASON WHY: (perché me e non un’altra azienda? È legato al vantaggio competitivo dell’azienda, la quale si fa portavoce di realizzare davvero quella promessa) giustifica la promessa fatta dal prodotto e dall’impresa nel main benefit dichiarando la presenza di una nuova formula, di nuovi ingredienti o componenti particolari; presentando una nuova tecnologia di produzione; promuovendo un nuovo packaging; o KEY ELEMENTS: Si tratta di ulteriori elementi che influenzano la percezione del prodotto, accrescendo la credibilità del concept: la raccomandazione di opinion leader (in particolare gli ambasciatori di marca o esperti del settore); elementi di differenziazione rispetto ai concorrenti… o WRAP UP: Ultimo ingrediente del concept. Il wrap up è una sintesi che rafforza la promessa, si ricorda come l’esigenza verrà soddisfatta utilizzando il prodotto. Molto spesso tale wrap up si trasforma in uno slogan (con cui la nuova idea può essere rappresentata, una sorta di proposta di valore o posizionamento che consente di sintetizzare ciò che l’azienda che sta lanciando e con poche parole chiave riesce a darne visibilità e comunicazione attraverso i vari media). FASE DI SPERIMENTAZIONE: In questa seconda macro fase si passa dal concetto o da un’idea di business a un prodotto vero e proprio; è quindi necessaria la massima sinergia tra le varie funzioni aziendali che cooperano al progetto del nuovo prodotto. In particolare vi è: o LA REALIZZAZIONE TECNICA o A latere della dimensione più tipicamente realizzativa ritroviamo la definizione delle STRATEGIE DI MARKETING che l’impresa intende adottare relativamente al prodotto e la valutazione economica del progetto. Più in particolare, si tratta di giungere a: DESCRIZIONE DEL MERCATO OBIETTIVO, DEL POSIZIONAMENTO DI PRODOTTO, DELLE VENDITE, DELLA QUOTA DI MERCATO E DEGLI OBIETTIVI DI PROFITTO PREVISTI. Ciò significa procedere alla determinazione della strategia di prezzo che si intende adottare rispetto al prodotto, della politica distributiva e del budget di marketing per un arco di tempo definito. In questo modo si potrà giungere a una previsione degli obiettivi di vendita e di profitto a medio termine al fine di stilare un conto economico previsionale di prodotto. Sulla base di tali considerazioni il management potrà effettuare le valutazioni necessarie ai fini di procedere alla predisposizione del lancio vero e proprio del prodotto. FASE DI PREPARAZIONE AL LANCIO: In questa fase si mettono a punto i dettagli che caratterizzeranno l’ingresso del prodotto sul mercato. In particolare vi è lo svolgimento dei test di mercato, il cui obiettivo è quello di verificare atteggiamenti e comportamenti relativi alla combinazione di prodotto, prezzo, comunicazione e modalità di distribuzione che l’impresa intende attivare nel lancio del nuovo prodotto al fine di massimizzarne efficacia ed efficienza. Tra le diverse tipologie di test, i più usati sono: o ACQUISTO SIMULATO: onde evitare che le informazioni relative al lancio del prodotto vengano a conoscenza dei concorrenti, le imprese ricorrono a questo tipo di test che prevede l’osservazione in una situazione controllata del comportamento di un gruppo di potenziali clienti; o TEST DI MARKETING CONTROLLATO: si tratta di una simulazione del lancio vero e proprio che viene effettuata presso un gruppo di rivenditori selezionati ad hoc. Il prodotto viene inserito in assortimento nei vari punti vendita allo scopo di osservare i comportamenti della clientela potenziale. o MERCATO DI PROVA: si tratta di una commercializzazione a tutti gli effetti in un’area geografica limitata. L’obiettivo è quello di riprodurre le dinamiche del lancio reale su piccola scala in modo tale da poter espandere i risultati all’intero mercato. A valle dell’attività di test l’impresa procederà con il lancio del prodotto vero e proprio, dando inizio alle attività più specificatamente gestionali che caratterizzeranno tutto il ciclo evolutivo affrontato dal prodotto nel corso della sua permanenza sul mercato. LA GESTIONE DEL PRODOTTO E DEL CICLO DI VITA Il MODELLO DEL CICLO DI VITA DEL PRODOTTO costituisce una modalità di rappresentazione della dimensione evolutiva che caratterizza il prodotto e la sua gestione. Il ciclo di vita è rappresentato mediante un diagramma cartesiano avente sull’asse verticale (ordinate) il volume delle vendite e su quello orizzontale (ascisse) il tempo. L’andamento delle vendite di un prodotto viene presentato di solito nella forma di una curva logistica in cui, nell’accezione classica, si distinguono 4 fasi con caratteristiche differenti (introduzione, sviluppo, maturità e declino). Le prime elaborazioni teoriche del concetto di ciclo di vita del prodotto risalgono agli anni Cinquanta. Il ciclo di vita del prodotto viene spesso applicato in modo indiscriminato in situazioni di mercato molto eterogenee, e ciò ha giustificato le numerose critiche sulla sua efficacia come strumento decisionale. Nel corso degli anni tali critiche si sono concentrate su 2 aspetti: Il modello del ciclo di vita non può essere universalmente applicato a classi di prodotto (per esempio toiletries), tipi (creme, deodoranti, ecc…) e specifiche marche; La seconda principale critica riguarda la forma grafica del modello (non è possibile l’utilizzazione di una medesima curva: è necessario tenere conto delle caratteristiche del prodotto e del settore di appartenenza). In particolare è possibile teorizzare diversi andamenti esplicativi delle molteplici realtà di mercato: o CURVA CLASSICA DI TIPO LOGISTICO (anche detta conformazione standard): In seguito alla fase di prototipazione e di immediato lancio del prodotto sul mercato, le vendite sono fortemente negative (si manifestano timidamente) e la curva dei profitti è anch’essa negativa (vi sono continui investimenti da parte dell’impresa in termini di produzione, distribuzione e comunicazione). In seguito il prodotto entra nella fase di crescita (o adolescenziale): l’azienda ha verificato che c’è un mercato di interesse di partenza e sperimenta per capire fin dove può migliorare il prodotto con le sue accezioni o servizi collaterali proponendoli a diversi segmenti di mercato. La curva dei profitti esce da quel dramma sotto zero e comincia a diventare più positiva grazie ad un incremento delle vendite. La fase successiva può essere suddivisa in 2 momenti: la prima parte si ferma sulla cuspide della curva o punto di massimo (in questa prima parte vi è l’euforia totale: l’azienda sta vendendo bene, il prodotto continua a riscontrare gradimento). Le vendite salgono, così come i profitti. Ad un certo punto si raggiunge la saturazione: tutti i clienti che potevano essere interessati a quel prodotto lo hanno acquistato, quindi le vendite si fermano. Le vendite cominceranno a calare (il prodotto inizia a riscontrare stanchezza sia in termini di innovazione sia in termini di capacità di destare interesse) fino al punto in cui l’azienda non dovrà prendere la decisione di ritirare il prodotto dal mercato. o Alla curva classica di tipo logistico (A) si contrappone lo sviluppo delle vendite di quei prodotti che non richiedono una lunga fase di introduzione prima di raggiungere consistenti volumi di vendita (B) o Alcuni prodotti, nella fase di maturità o declino, dapprima registrano tassi di crescita negativi per poi riportarsi su variazioni percentuali delle vendite di nuovo crescenti (C); o Un tipo di ciclo di vita, analogo nel concetto al precedente, presenta un andamento a forma piramidale. La curva di tipo piramidale si adatta soprattutto a classi e tipi di prodotti; l’estensione della curva è dovuta (per le classi di prodotti), all’introduzione di nuovi tipi e per i tipi, all’ingresso di nuove marche (D) o Vi sono quei prodotti il cui unico contributo alle esigenze del consumatore è costituito dal fattore novità (E). L’andamento del ciclo di vita dei prodotti “fat” trova le sue origini proprio nelle caratteristiche strutturali del prodotto, che si fonda su elementi di novità di breve durata (essi tendono a scomparire nel momento in cui aumenta il numero degli acquirenti); o Invece i prodotti di moda devono la brevità e la ciclicità della loro vita a fattori intrinseci del prodotto, a elementi tipici del mercato al quale appartengono, oltre al comportamento dei clienti (F). Infatti la curva presenta un tasso di crescita molto sostenuto all’inizio e, una volta raggiunto il livello massimo, declina in modo altrettanto rapido. Inoltre ciascuna fase del modello del ciclo di vita del prodotto presenta delle peculiarità: FASE 1 – INTRODUZIONE Nella fase di introduzione il prodotto è appena stato lanciato sul mercato (in particolare nel caso del lancio di un nuovo prodotto, l’azienda ha un vantaggio competitivo in quanto pioniera di quel lancio). ü VENDITE: Inizialmente i clienti in generale difficilmente si avventurano nell’acquisto per cui le vendite sono limitate ü COSTI: I costi sono elevati ü PROFITTI: I profitti sono negativi ü TARGET: I primi ad accedere alle innovazioni sono i CURIOSI (trend setter, pionieri o primi innovatori, ovvero coloro che per primi sono disposti ad accettare il rischio di innovazione); ü CONCORRENZA: Inizialmente la concorrenza è scarsa STRATEGIA: ü PRODOTTO: Si parla di PRODOTTO DI BASE. Vi è un margine temporale di vantaggio: ci si può permettere del tempo per verificare che il mercato risponda positivamente al fine di migliorare quel prodotto e apportare modifiche; ü PREZZO: Vi è il COST PLUS BASIS (si vuole rientrare sui costi spesi dall’impresa) ü DISTRIBUZIONE: È necessario costruire una distribuzione selettiva presso punti vendita specializzati (punto vendita monomarca o piccole concessionarie in grado di valorizzare quel tipo di prodotto). ü COMUNICAZIONE. A livello di comunicazione è importante costruire notorietà tra innovatori e canali distributivi e favorire la prova (migliorando in particolare la notorietà di marca, che può essere applicata al prodotto o all’azienda). FASE 2 – SVILUPPO A questo punto l’azienda dovrà sfruttare il proprio vantaggio competitivo e rafforzare le proprie relazioni con il mercato. ü VENDITE: Le vendite sono in rapida crescita (grazie ai crescenti investimenti); ü COSTI: I costi non sono in diminuzione. Per mantenere quel vantaggio iniziale l’azienda continua a investire in termini di visibilità del prodotto); ü PROFITTI: I profitti sono crescenti; ü TARGET: Oltre ai PRIMI INNOVATORI, tra i clienti vi sono gli ADOTTANTI ü CONCORRENZA: All’aumento dei clienti si accompagna una crescente concorrenza (pertanto è necessario aggiungere varianti e accessori al prodotto per favorire la differenziazione dell’offerta) STRATEGIA: ü PRODOTTO: Al prodotto base si accompagnano varianti e servizi accessori; ü PREZZO: Il prezzo è basato sul valore per la domanda (si comincia a capire che cosa il cliente sia davvero disposto a pagare. La differenza di prezzo è data dalla presenza di varianti, servizi, ma il prodotto di base mantiene sempre lo stesso prezzo. È il cliente a chiedere quel differenziale di prezzo rispetto alla fase precedente); ü DISTRIBUZIONE: È necessario un ampliamento dei canali (aumento della copertura numerica, ovvero dei punti vendita nei quali posso entrare: anche la tipologia di punti vendita cambia; specializzati e non); ü COMUNICAZIONE: Per quanto riguarda la comunicazione, è necessario porre enfasi sulle caratteristiche funzionali e simboliche del prodotto (per evitare il “sorpasso” da parte di un potenziale competitor). FASE 3 – MATURITÁ Una volta che il prodotto si è diffuso in tutto il potenziale mercato ci si avvicina alla sua saturazione, entrando nella fase di maturità. ü VENDITE: Le vendite sono ancora stabili (ci si avvicina alla saturazione); ü COSTI: Vi sono i cosiddetti costi di mantenimento, si cerca di aumentare le vendite senza eccedere in ulteriori investimenti; ü PROFITTI: I profitti sono elevati; ü TARGET: Si cerca di conquistare la maggior parte del target, degli interessati; ü CONCORRENZA: La concorrenza è stabile, in tendenza all’oligopolio; STRATEGIA: ü PRODOTTO: Vi è una diversificazione di modelli e brand, innovazioni incrementali (si cerca di adattarsi e soddisfare le preferenze dei clienti, finchè ne vale la pena); ü PREZZO: Il prezzo è competitivo con la concorrenza; ü DISTRIBUZIONE: Vi è una massima intensità distributiva; ü COMUNICAZIONE: Dal punto di vista della comunicazione, si punta sulla fidelizzazione del cliente ponendo enfasi su differenze di brand e brand switching. FASE 4 – DECLINO Nel momento in cui la domanda comincia a decrescere, l’azienda si trova a dover comprendere se il prodotto ha iniziato una fase di declino o vi è un arresto temporaneo delle vendite. ü VENDITE: Le vendite si riducono drasticamente; ü COSTI: I costi diminuiscono. Quando il prodotto comincia a perdere il suo potere innovativo viene dismesso. Ciò non porta necessariamente ad un abbattimento totale delle vendite, semplicemente l’azienda non ci investe più (da una parte vi sono i clienti fedeli a cui bisogna ancora garantire la reperibilità dei prodotti, in alcuni casi si parla di prodotti vintage ancora apprezzati); ü PROFITTI: Di conseguenza anche i profitti sono in diminuzione; ü TARGET: Il target è composto principalmente dai fidelizzati al prodotto/marca; ü CONCORRENZA: Anche la concorrenza è in netto declino. STRATEGIA: ü PRODOTTO: Ci si concentra su una semplificazione delle linee e prodotto; ü PREZZO: Vi sono delle politiche aggressive di prezzo (si propongono prezzi più bassi che consentano di svuotare il magazzino: a volte è più dannoso avere nel portafoglio determinati prodotti piuttosto che non averli). ü DISTRIBUZIONE: Si verifica una riduzione della capillarità distributiva ü COMUNICAZIONE: Vi è una riduzione degli investimenti in termini di comunicazione di prodotto. L’estrema duttilità del modello lo rende utilizzabile, con maggiore o minore efficacia, in diverse aree di applicazione. Infatti il modello del ciclo di vita può essere impiegato in 3 specifiche aree analitiche e decisionali: 1) CICLO DI VITA E PREVISIONE DELLE VENDITE: La condizione di base che consente di utilizzare il modello a fini previsionali consiste nell’individuare una funzione matematica in grado di delineare il probabile andamento delle vendite di un determinato prodotto. Una volta previsto l’andamento della curva, si potrà procedere a previsioni di vendita più precise all’interno di ogni fase, mediante l’impiego di metodi appropriati. Seguendo questa metodologia, la previsione delle vendite viene limitata ad archi temporali più ristretti, evitando di formulare una previsione riferibile al ciclo di vita completo (a causa dell’impossibilità di quantificare alcuni fattori e della eventualità che si verifichino eventi imprevedibili); 2) CONTROLLO E VERIFICA DELLA POSIZIONE DEL PRODOTTO NEL CICLO DI VITA Non esiste una misurazione scientifica globalmente valida della durata del ciclo di vita, né di ogni sua fase. Tuttavia vi sono molteplici indicatori utilizzabili per verificare la posizione del prodotto nel ciclo: variazioni percentuali delle vendite, rapporto pubblicità/vendite, grado di copertura del mercato, stabilizzazione delle quote di mercato, ecc. In ogni caso, solo un’attenta analisi delle caratteristiche del prodotto e del mercato garantisce l’affidabilità di tali criteri di identificazione degli stadi. 3) DETERMINAZIONE DELLE POLITICHE DI MARKETING DURANTE LE VARIE FASI L’ultima area di applicazione del concetto di ciclo di vita del prodotto riguarda la determinazione delle politiche di marketing più appropriate in ciascuna fase. Allo stato attuale delle conoscenze manca un adeguato supporto empirico che consenta di stabilire con esattezza quale combinazione di variabili sia meglio utilizzare in ogni fase. In particolare: o IL COMPORTAMENTO DEL CONSUMATORE, si sostiene che la sua sensibilità alle variabili del marketing mix non sia costante nell’arco della vita del prodotto, ma che possa variare in relazione alla fase del processo di adozione e di abbandono del prodotto nella quale il consumatore si trova; o A LIVELLO COMPETITIVO: è opportuno considerare le diverse forme di mercato attraverso le quali l’impresa si muove. Infatti nella fase di INTRODUZIONE l’impresa innovatrice spesso gode di una posizione di monopolio temporaneo la cui durata dipende dall’assenza di prodotti sostitutivi e dalla presenza di barriere all’entrata di nuovi concorrenti. Nella fase di SVILUPPO, favorevoli prospettive di profitto provocano di frequente l’ingresso di nuovi concorrenti; le politiche competitive mirano in modo particolare alla conquista della quota di mercato. Nella fase di MATURITÀ si assiste ad un processo di stabilizzazione delle quote di mercato; vi è una proliferazione di tipi e modelli come strumento di differenziazione del prodotto rispetto ai concorrenti o LA SENSIBILITÀ DELLA DOMANDA AGLI STRUMENTI DEL MARKETING MIX: Nella fase di introduzione è limitata; infatti le motivazioni che spingono i consumatori innovatori all’acquisto sono legate soprattutto al carattere di novità del prodotto. Nella fase di sviluppo, cresce la sensibilità della domanda alle politiche di marketing dell’impresa: l’esigenza di differenziare il prodotto affinché il cliente continui ad acquistare la marca aumentandone la fedeltà fa sì che l’attività pubblicitaria diventi lo strumento più efficace nei confronti della domanda. GLI INTERVENTI SULLA GAMMA E SULLE LINEE DI PRODOTTO Alla dimensione dinamica della gestione del prodotto si affianca il presidio dell’evoluzione del portafoglio prodotti. Dal punto di vista gestionale, è importante la determinazione di una struttura equilibrata di gamma e di linee affinché il portafoglio prodotti economicamente sostenibile per l’impresa e soddisfacente per la domanda. In questa prospettiva: Una prima attività di monitoraggio riguarda il livello del singolo prodotto e interventi su posizionamento, qualità, estetica, immagine e caratteristiche funzionali; Analogamente la valutazione può essere declinata a livello di linea di prodotti; gli interventi riguardano principalmente: o ANALISI ECONOMICA DELLA LINEA: Infatti alla prima area si riconduce l’analisi delle vendite e dei profitti della linea di prodotto (contributo percentuale di ogni prodotto della linea alle vendite e ai profitti complessivi) nonché la definizione del profilo di mercato della linea di prodotti (ossia il posizionamento dei prodotti della linea rispetto a quelli concorrenti) o DECISIONI DI INTERVENTO SULLA LINEA: Alla seconda area attengono le decisioni relative alla lunghezza della linea. Infatti le imprese che ricercano un’immagine di completezza di linea, tendono a gestire linee di prodotto più lunghe, mentre le imprese che mirano ad un’elevata redditività tendono a gestire linee di prodotto più corte e composte da prodotti selezionati in questo senso. MATRICE BCG (BOSTON CONSULTING GROUP) La matrice BCG è uno strumento di pianificazione strategica. L’obiettivo è classificare i prodotti presenti nel portafoglio attività dell’impresa, secondo un’ottica finanziaria. La matrice BCG venne creata negli anni Settanta dal Boston Consulting Group (società di consulenza strategica statunitense). La matrice Boston è composta da 4 aree, che a loro volta derivano dalla combinazione di 4 fattori diversi. Inoltre il modello BCG prevede l’intersezione di due variabili sul piano cartesiano: Sull’ASSE VERTICALE si colloca il TASSO MEDIO DI SVILUPPO; in particolare: o TASSO MEDIO DI SVILUPPO DEL MERCATO DI RIFERIMENTO (che misura l’attrattività del mercato: ad esempio il mercato del caffè in Italia) o TASSO MEDIO DI SVILUPPO DEI SINGOLI BUSINESS (ad esempio il caffè espresso, il caffè in cialde, il caffè solubile, ecc…) Sull’ASSE ORIZZONTALE si colloca la QUOTA DI MERCATO RELATIVA per ogni singolo prodotto, presente nel portafoglio dell’impresa (rispetto al leader o, se l’impresa è leader, rispetto al secondo concorrente). Ad esempio la quota di mercato relativa, rispetto al leader, di Splendid, per il caffè espresso. Dalla combinazione di tali variabili e in base al loro valore, i 4 quadranti di cui è composta la matrice andranno a rappresentare le aree di business, le categorie di prodotto e le relative strategie che l’azienda andrà ad applicare. In particolare: QUESTION MARKS: Nel quadrante in alto a sinistra di una matrice BCG si trovano i prodotti o le aree noti come QUESTION MARKS. Quest’area strategica è caratterizzata da un elevato tasso di crescita del mercato, (perché in forte espansione), e una bassa quota di mercato, per la quale sono richiesti cospicui investimenti e dei quali non si ha la certezza che generino flussi di cassa interessanti. All’interno di quest’area si collocano prodotti o servizi da poco immessi sul mercato e per tale motivo sono considerati un punto interrogativo. L’azienda ha delle mire espansionistiche su questi prodotti (nonostante generino ancora poche risorse), cerca di farli diventare dei prodotti “star” e i principali investimenti vengono fatti in innovazione e pubblicità, al fine di poter diventare leader di mercato; STARS: Il quadrante in alto a destra della matrice BCG è occupato dai prodotti e aree note come STARS. Tali prodotti presentano un elevato tasso di crescita di mercato (in quanto registra un importante ritorno di investimento) e un’elevata quota di mercato (perché l’azienda è molto competitiva). Essere leader di mercato significa avere molti concorrenti e gli investimenti sono necessari per mantenere una posizione di predominio. Il nome “stella” deriva dalle sue potenzialità nel “brillare” all’interno di un mercato; CASH COW: Il quadrante in basso a destra della matrice BCG è occupato dai prodotti e aree noti come CASH COW, contraddistinti da un basso tasso di crescita del mercato e da un’elevata quota di mercato (l’azienda ha una buona reputazione). Si trovano in un mercato a crescita stagnante ma sono prodotti di un’azienda leader di mercato, dunque generano grande liquidità senza la necessità di grossi investimenti. Si chiamano CASH COW (o “mucche da mungere”) poiché la strategia da attuare è quella di riuscire a ottenere da questi il massimo. In caso di andamento negativo gli investimenti vengono ridimensionati e talvolta eliminati; DOGS: Il quadrante in basso a sinistra della matrice BCG è occupato dai prodotti e aree noti come DOGS. Essi presentano un basso tasso di crescita del mercato ed una bassa quota di mercato. Si possono considerare degli ostacoli al funzionamento dell’azienda perché alle volte non generano profitti sufficienti e di conseguenza la strategia attuata è spesso quella di disinvestimento. Fra i motivi che spingono le aziende a mantenere in vita queste aree di business o prodotti c’è l’intenzione di continuare comunque a presidiare il mercato pur non generando profitti (si parla di LOGICA DI FIDELIZZAZIONE = mantenimento dello stato attuale finché il mercato me lo consentirà). Due sono infine le ulteriori dimensioni che connotano il sistema prodotto e concorrono alla sua differenziazione: il packaging e i servizi che integrano e arricchiscono l’offerta. IL PACKAGING Tra le dimensioni connotative del prodotto (sia funzionali sia simboliche) vi è la marca e il packaging. Dalle tradizionali funzioni di protezione ed economicità, strettamente legate alla realtà produttivo- distributiva dell’azienda, nel corso degli ultimi decenni il packaging ha visto enfatizzare le funzioni di promozione/informazione e praticità/funzionalità, più vicine alla sfera di interesse del consumatore, determinando nuovi spazi di opportunità per lo sviluppo di soluzioni innovative ed efficienti. In particolare il packaging è: ü PRIMO PUNTO DI CONTATTO TRA IL BRAND E IL CONSUMATORE (Infatti il packaging costituisce un vettore di orientamento ai fini della decisione di acquisto); ü FUNZIONALE PER MANTENERE IL BRAND NELLA MENTE DEL CONSUMATORE; ü PUNTO DI PARTENZA DEL PERCORSO CHE TRASFORMA IL CONSUMATORE IN CLIENTE FEDELE. Inoltre permette di INSTAURARE UNA RELAZIONE CON IL CONSUMATORE, ATTIRANDOLO IN AMBIENTI DIGITALI DI PROPRIETÀ DEL BRAND. Ulteriore strumento di ingaggio nel B2C (BUSINESS TO CONSUMER) e nel B2B (BUSINESS TO BUSINESS) è rappresentato dallo SMART PACKAGING (o imballaggio intelligente) che nasce come risposta del settore degli imballaggi alle richieste delle imprese sempre più attente alla tematica della sostenibilità, della riciclabilità e della ricerca di materiali con maggiori funzionalità. Lo SMART PACKAGING presenta le seguenti finalità: CAPITOLO 9 – BRAND MANAGEMENT & BRAND EQUITY La marca può essere considerata la sintesi delle azioni dell’impresa sul mercato perché in essa si riuniscono molti degli elementi che contraddistinguono il marketing. LA MARCA E LE SUE COMPONENTI Una corretta gestione della marca consente di ottenere vantaggi significativi sia per l’impresa sia per i clienti. In questa prospettiva l’approfondimento delle tematiche che riguardano la marca e la sua gestione (brand management) deve riguardare 5 ambiti fondamentali: LE COMPONENTI E FUNZIONI DELLA MARCA, riferendosi tanto al mercato e ai clienti quanto all’impresa. Infatti la marca ha 5 funzioni nei confronti dei consumatori e 3 nei confronti dell’azienda; I BENEFICI ECONOMICI E DI MERCATO DELLA MARCA, evidenziando i vantaggi che da essa possono derivare per la gestione dell’impresa e del prodotto; LE POTENZIALITÀ DELLA MARCA, nella prospettiva di resource based management, che considera la marca come una risorsa e le conferisce un valore generatore di ulteriore valore; Il VALORE DERIVANTE DALLA MARCA (BRAND EQUITY) E LE MODALITÀ DELLA SUA VALUTAZIONE; I PERCORSI SUGGERITI per conferire alla marca un valore rilevante in armonia con le politiche di marketing dell’impresa. Inoltre la marca è formata da numerose componenti che consentono di identificare una marca, permettendo al mercato di riconoscerla e di differenziarla sul piano comunicativo. Tali componenti si riconducono a 3 elementi di base: 1) IL NOME DELLA MARCA (NAMING) – Si tratta di una sequenza di parole che possono avere o meno un significato: può essere il nome del fondatore o un nome di fantasia: l’importante è che sia unico. Spesso il nome viene protetto affinché non venga riutilizzato da altre aziende. La scelta del nome viene spesso associata ai valori che l’azienda intende trasmettere o al significato che essa racchiude; 2) I SIMBOLI (SYMBOLIZING) - Consentono una migliore visualizzazione dell’azienda da parte dei consumatori e competitor. Il simbolo avvicina il consumatore a quel tipo di sistema di offerta o valore di marca, serve per renderlo più vicino alle persone con le quali vuole interfacciarsi. Il simbolo è quel disegno, quella forma o grafica che alle volte è proprio inclusa nel nome di marca. 3) UN PAY OFF (DESCRIBING) che sinteticamente la comunichi. Il PAY OFF (frase finale o slogan) appresenta un riassunto del valore. Spesso questa frase di sintesi può essere collegata al wrap up (all’interno del concept vado a sintetizzare con una frase ad effetto ciò che sto lanciando). Si parla anche di POSITIONING STATAMENT (dichiarazione del posizionamento competitivo: una frase che faccia capire la mia essenza). ESEMPIO: Il pay off di McDONALD è I’M LOVIN’IT; il pay off di APPLE è Think different; il pay off di Barilla è Dove c’è Barilla, c’è casa. Oltre ai 3 elementi di base, è possibile individuare ulteriori segni di riconoscimento della marca. Essi consentono di identificare in maniera univoca prodotti e attività non soltanto nei confronti del mercato finale ma anche dei soggetti stakeholder (in particolare investitori, al fine di attrarre risorse economiche e competitor per delimitare il proprio territorio nel mercato). In particolare: IL DESIGN DISTINTIVO (PICTURING) – Può esserci come no. È legato al modo in cui la marca e i suoi descrittori vengono proposti. Può essere un tipo di font o il colore del nome di marca. ESEMPIO: Milka, il picturing sono le montagne innevate e l’immaginario in cui il simbolo si contestualizza ed è sempre lo stesso dovunque si trovi. IL JINGLE (ANIMATING) – Per jingle si intende il motivo musicale (che va dai 3 ai 10 secondi) utilizzato nelle campagne (principalmente spot) per accompagnare la pubblicità di prodotti o servizi di uno specifico brand. Parallelamente agli elementi visivi della marca, il jingle può giocare un importante ruolo nella costruzione della brand identity. ESEMPIO: Nel caso di Radio Italia non vi è un jingle autarchico: chi ha creduto in me lo canta in primis. Quindi spesso sono gli stessi cantautori a cantare il jingle; rendendolo più unico I CARATTERI (WORDING O LETTERING) ESEMPIO REDBULL: nome: redbull; termine = energy drink; segno = non c’è; simbolo = tori; design = la scelta del colore rosso e il font con cui è scritto red bull. Alcune di queste componenti potrebbero non esserci, in questo caso il segno. Spesso il design, simbolo e segno sono protetti fa un brevetto. Il simbolo ® posto sempre alla destra del marchio, è invece universalmente interpretato come segno dell’avvenuta registrazione. La R inscritta in un cerchio rivela all’esterno anche l’intenzione del titolare di difendere l’esclusività del marchio (con cui il titolare del marchio può delineare l’esclusività del proprio territorio). LE FUNZIONI DELLA MARCA: LATO CLIENTE La marca consente l’attuarsi di un rapporto efficace tra impresa e mercato nel quale l’impresa riesce a disporre ed evidenziare tutte le sue capacità. Tra le funzioni svolte dalla marca per il cliente è possibile individuare: ORIENTAMENTO/RELAZIONE - Una delle più importanti funzioni svolte dalla marca parallelamente al mercato è quella di orientamento. La marca è un segnale inviato ai consumatori che hanno così la possibilità di conoscere, con il minimo sforzo, il ventaglio di soluzioni che sono loro offerte. Questa funzione contribuisce alla trasparenza del mercato, in particolare alla luce della proliferazione dei prodotti tipica di molti mercati, soprattutto quelli caratterizzati da elevata competitività; PRATICITÀ - In secondo luogo la marca assolve una funzione di praticità. Infatti essa è un modo comodo e pratico per il cliente per memorizzare le caratteristiche dei prodotti e associarvi un nome (grazie agli sforzi e investimenti in termini di picturing, payoff, simboli e payoff, capace di raccontare una storia di valori…). La marca permette così al consumatore di adottare comportamenti di acquisto ripetitivi e di routine che permettono di ridurre il tempo e l’impegno dedicati all’attività di acquisto. tale praticità è legata ai concetti di brand remind o brand recall (notorietà spontanea o sollecitata); GARANZIA - Una marca è una firma che identifica e responsabilizza l’impresa in modo continuativo, che la impegna a fornire al mercato determinati livelli di qualità, mantenendoli costanti nel tempo (certificazioni di provenienza, certificazioni europee o di qualità validate da un ente certificatore costituiscono delle esemplificazioni del concetto di garanzia). Più una marca è conosciuta (caratterizzata da un’elevata immagine di mercato) più la funzione di garanzia è importante (di fatto l’azienda non può permettersi di deludere i clienti e di perdere il capitale di notorietà e di immagine accumulato). “LUDICA” - Altre funzioni sono meno collegate alla dimensione fisica del prodotto, ma possono ugualmente assumere un’importanza notevole. Infatti per alcune tipologie di prodotto, il cliente va ricerca valori che vanno al di là dei benefici funzionali derivanti dall’utilizzo del prodotto. È il caso, per esempio, dei prodotti di moda e ancor di più dei prodotti di lusso. In questi casi la marca conferisce al prodotto elementi aggiuntivi in termini ludici. La superiorità di tali prodotti non è solamente creativa, ma riguarda anche la bellezza dell’acquisto di un prodotto esclusivo, un’esperienza capace di emozionare il cliente. Talvolta quest’ultimo si immerge in ciò che la marca vorrebbe che diventasse grazie all’uso dei suoi prodotti, una nuova versione di sé. All’acquisto, all’utilizzo e, spesso, all’ostentazione dei prodotti si associano valori che possono trovare una risposta alla marca. PERSONALIZZAZIONE - Particolarmente impegnative risultano le cosiddette funzioni di personalizzazione. Ogni prodotto viene valutato e giudicato dai clienti in maniera diversa, in relazione alle caratteristiche dell’individuo e del prodotto stesso, e in una certa misura si adatta alle esigenze dei singoli acquirenti/consumatori. In questo modo si concretizzano le funzioni di personalizzazione: i singoli clienti si avvicinano e utilizzano le diverse marche in modo personalizzato. LE FUNZIONI DELLA MARCA: VANTAGGI PER L’IMPRESA Queste stesse caratteristiche, interpretate dal punto di vista dell’impresa, definiscono ulteriori funzioni svolte dalla marca. Si tratta delle funzioni di identificazione, di posizionamento e di capitalizzazione. IDENTIFICAZIONE - La funzione di identificazione consente di riconoscere in ciascuna marca gli elementi che la possono contraddistinguere dalle altre marche presenti sul mercato. Questi fattori possono essere: o sia TANGIBILI, prevalentemente legati alle caratteristiche funzionali o sia INTANGIBILI, di solito riferiti alle dimensioni immateriali e simboliche associabili a una marca. POSIZIONAMENTO - Nell’uno e nell’altro caso la funzione di identificazione consente di attuare il posizionamento della marca che rappresenta un momento fondamentale del processo di marketing. CAPITALIZZAZIONE - Infine la marca assolve una funzione di capitalizzazione nel senso che gli investimenti che nel tempo sono stati compiuti per l’affermazione della marca si consolidano un valore economicamente rilevante. Anzitutto la marca esprime una capitalizzazione “di mercato” riconducibile alle capacità di attrazione e di mantenimento delle quote di mercato di riferimento. Il capitale di mercato è, a sua volta, costituito da un capitale “di relazione” con i clienti, sintesi dei rapporti che intercorrono tra marca e clienti, e di un capitale “di fiducia”, entro il quale si esprimono gli elementi positivi che si sviluppano partendo dalla soddisfazione delle esigenze dei clienti. Infine la marca esprime un risultato rilevante sotto la forma di una capitalizzazione economica e finanziaria, conseguenza dei continui e spesso ingenti investimenti necessari alla sua costruzione e diffusione nel mercato. ESEMPI: IDENTIFICAZIONE DEL FOOD Hanno utilizzato una certa tonalità di giallo e di rosso per inserirsi nella stessa tipologia di business (food and beverage) e di macro-proposta (in particolare il fast food). Tuttavia si tratta di realtà molto diverse (in termini di menu, design e punto vendita). Ciò ci fa comprendere la forza identificativa della marca. I BENEFICI ECONOMICI E DI MERCATO DELLA MARCA I benefici che l’impresa può ottenere possono essere ricondotti a 3 risultati principali: VANTAGGI DI RELAZIONE CON IL MERCATO - Questi vantaggi si concretizzano in maggiori livelli di fiducia dei clienti nei confronti dell’impresa e della sua offerta. Oltre al miglioramento delle relazioni con il mercato, l’impresa di marca ottiene una posizione di superiorità nei rapporti con tutti gli stakeholders, sia interni sia esterni: di conseguenza, si ottimizzano le relazioni con i fornitori, la pubblica opinione, i media, i dipendenti attuali e potenziali e così via. Infatti le migliori relazioni ottenute attraverso la marca arricchiscono l’impresa, incrementando il patrimonio di risorse tangibili e intangibili (in particolare la capacità di attirare nuove risorse junior dall’esterno) su cui essa può contare; VANTAGGI DI NATURA DISTRIBUTIVA - Un secondo insieme di vantaggi per l’impresa è rintracciabile nelle relazioni con la distribuzione. A parità di altre condizioni, un prodotto di marca può anzitutto ottenere un livello superiore di capillarità distributiva, da cui derivano vantaggi consistenti in termini di copertura numerica e di quota di mercato. Un ulteriore vantaggio dei prodotti di marca è la migliore esposizione dei prodotti sugli scaffali dei punti di vendita; ciò garantisce una maggiore facilità d’acquisto del prodotto e una più elevata probabilità di ottenere risultati positivi in termini di quota di mercato. Inoltre una marca nota e conosciuta ai consumatori è in grado di ottenere una positiva accettazione dei propri prodotti presso strutture distributive dalle quali era assente. Ciò consente all’impresa di ampliare il proprio mercato, sopportando costi minori e/o aumentando la velocità di ingresso e di penetrazione nei mercati; VANTAGGI DERIVANTI DA UN MIGLIORE FUNZIONAMENTO DELLE VARIABILI DEL MARKETNG MIX - Le funzioni assolte dalla marca, tanto per l’impresa quanto per il cliente, si concretizzano in una maggiore capacità di funzionamento dell’intera politica di marketing dell’impresa. La marca, inglobando valori funzionali e simbolici e trasferendo al cliente vantaggi di identificazione e di garanzia, fa sì che l’impresa possa formulare strategie di PREMIUM PRICE (prezzo del prodotto superiore alla media). Tale strategia premia il maggior valore che i clienti percepiscono nei prodotti di marca ed è correlata a quanto l’impresa è riuscita a includere nel valore di marca Un altro vantaggio del marketing mix riguarda la difendibilità della posizione di mercato. Di fatto il presidio di un determinato territorio di mercato attuato con una politica di marca garantisce all’impresa e ai suoi prodotti un isolamento maggiore dagli attacchi dei concorrenti e una superiore libertà di azione nelle decisioni di marketing. ESEMPI (PREMIUM PRICE E DIFENDIBILITÀ POSIZIONE DI MERCATO) Il caso di studio riguarda Gocciole, Gocciolotti Balocco o Carrefour. Gocciole ha un premium price (superiore alla media). Carrefour è un distributore che ha il suo prodotto però deve dare maggiore spazio al prodotto che presenta un premium price. La vera sfida è per prodotti come le gocciole di Balocco, per i quali vi è una incapacità di conquistare una preferenza immediata, stabile e continuativa: il cliente lo acquista solo se è in sconto o se non ha alternative. Infine, una marca ben conosciuta e apprezzata dai clienti può essere il punto di avvio di una strategia di espansione sia dei prodotti sia dei mercati di riferimento. L’ipotesi su cui si fonda l’estendibilità della marca o BRAND EXTENSION si basa sul presupposto che se la marca è stata in grado di soddisfare il cliente in un determinato ambito, acquisendone la fiducia, lo stesso cliente potrà ritenere altrettanto affidabile un’offerta di prodotti diversa da quella originaria, ma “garantiti” dalla stessa marca. L’impresa che intende perseguire una strategia di sviluppo in nuovi territori competitivi può far leva sui valori di marca e ottenere un vantaggio importante in termini di trasferimento di fiducia e di fedeltà, di velocità di ingresso, nonché di economie di raggio d’azione (scope economies). ESEMPIO DI BRAND EXTENSION (MERCEDES): L’azienda si chiede che altro possa fare sulla base di quei valori caratteristici della marca (precisione e puntualità) e utilizza queste stesse argomentazioni spostandosi in un’altra categoria di prodotto come gli accessori (gemelli, orologi ma anche una fragranza). Si tratta di possibili evoluzioni della marca in contesti diversi da quelli di origine che però mantengono una forte coerenza con i valori di marca. ESEMPIO DI BRAND EXTENSION (PRODOTTI MASS MARKET): L’estendibilità della marca non è necessariamente a panaggio delle aziende di lusso ma anche delle aziende di beni di largo consumo (caratterizzate da prodotti mass market). Un esempio eloquente riguarda Vitasnella che, partendo dalla dimensione salutare e di quotidianità, è stata capace di declinare questo stesso concetto in una pluralità di prodotti che hanno la medesima coerenza. LE POTENZIALITÁ DELLA MARCA I vantaggi derivanti dalla marca non si esauriscono a livello di benefici. Infatti la marca consente all’impresa di cogliere delle potenzialità che permangono nel lungo periodo. Alcuni dei fattori di potenzialità della marca sono riconducibili agli aspetti economici e di mercato. In particolare, una marca può consentire l’ottenimento di più elevati livelli di redditività determinati dalle politiche di premium price e dal consolidarsi delle relazioni di fiducia che si concretizzano in maggiori livelli di fedeltà da parte del consumatore; Anche la riduzione della concorrenza rappresenta un fattore di vantaggio. Infatti una marca forte e riconosciuta dai consumatori è un’importante barriera all’entrata e alla mobilità che consente al prodotto di marca più elevati margini di manovra nei confronti delle azioni della concorrenza. Le potenzialità della marca si riscontrano anche in una prospettiva di sviluppo, soprattutto in riferimento alle possibilità di ampliamento dell’offerta riconducibile ad una stessa marca. La fiducia dei clienti nei confronti di una certa marca non può essere automaticamente trasferita a qualsiasi prodotto diverso da quello da cui si è generata, ma la sua trasferibilità deve essere valutata considerando la coerenza tra i fattori d’origine (che qualificano il prodotto/mercato di partenza) con quello di destinazione, dove cioè si intende estendere la marca. Infatti la fiducia associata alla marca consente di diminuire la percezione di rischio per il cliente facilitando l’accettazione e la diffusione delle innovazioni. DALLA MARCA ALLA BRAND EQUITY Il riconoscimento del valore economico della marca ha portato, verso la fine degli anni Ottanta, a cercare di individuare quali e quante siano le determinanti del valore di marca, cioè della BRAND EQUITY. Secondo una definizione di Philip Kotler la BRAND EQUITY è: “L’EFFETTO DIFFERENZIALE CHE LA CONOSCENZA DEL BRAND ESERCITA SULLE RISPOSTE DEI CONSUMATORI ALLE AZIONI DI MARKETING DELL’IMPRESA”. Gli approcci seguiti nella letteratura e nella pratica delle imprese per fornire una valutazione di marca sono riconducibili a 2 filoni: FINANZIARIO (FINANCIAL-BASED BRAND EQUITY): Legato alla definizione di un valore economico in ipotesi di vendita o di cessione in licenza del marchio; DI MARKETING (CUSTOMER-BASED BRAND EQUITY): Legato alla valutazione degli effetti, positivi o negativi, delle azioni di marketing che possono accrescere o ridurre il valore della brand equity. La brand equity può essere definita come un insieme di 5 categorie di brand asset (attività) o in casi negativi, di passività, collegate a una marca che aumentano (o diminuiscono) il valore del prodotto offerto dall’impresa, sia per il cliente sia per l’impresa. Le 5 componenti principali alla base di una marca di valore teorizzati dall’economista statunitense David Aaker (all’interno del cosiddetto modello di Aaker) sono: 1) FEDELTÀ DEI CLIENTI ALLA MARCA – Il primo fattore da cui si genera la brand equity è la fedeltà dei clienti alla marca (rilevabile attraverso opportune ricerche di mercato quali- quantitative e una solida relazione con i distributori. Per esempio in alcuni supermercati sono state installate delle telecamere per svolgere ricerche di mercato legate ai comportamenti dei potenziali consumatori). Nel modello della brand equity, la fedeltà è il risultato del valore percepito della marca in quanto testimonia quanto sia forte il legame dei clienti con la marca e quanto siano affezionati a essa. La fedeltà, quindi, rappresenta la sintesi, cioè il risultato di quanto l’impresa sia riuscita a costruire e a trasmettere ai propri clienti. D’altra parte, la customer loyalty esprime quantitativamente la difendibilità della posizione competitiva della marca, i gradi di libertà della marca in ipotesi di modifiche dei prezzi e delle caratteristiche del prodotto e, soprattutto, indica la continuità di presenza della marca sul mercato. 2) NOTORIETÀ - La notorietà è la componente della brand equity più elementare da costruire e valutare. Infatti attraverso un’indagine a risposta binaria (“Conosce/non conosce la marca X?) è possibile ottenere indizi sufficienti sul livello di notorietà di una marca. La notorietà può essere acquistata e/o rinforzata con opportuni interventi di comunicazione governabili dall’impresa, che vanno dalla pubblicità alle relazioni esterne; altre volte si sviluppano, senza che l’impresa possa gestirli e controllarli, fenomeni di comunicazione informale e di “passaparola” che talvolta possono determinare elevati livelli di notorietà in tempi brevi e con minimi investimenti. In particolare, la BRAND AWARENESS misura il livello di conoscenza e grado di notorietà di un marchio da parte delle persone o di un pubblico target. Aaker divide la piramide della brand awareness in 4 livelli di ricordo: o UNAWARE OF BRAND (assenza di conoscenza) o BRAND RECOGNITION (conoscenza superficiale, ricordo sollecitato. Si parla di NOTORIETÀ SOLLECITATA) ES: - «Conosci la marca di pasta Rummo?» «Si» o BRAND RECALL (conoscenza forte, ricordo spontaneo. Si parla infatti di NOTORIETÀ SPONTANEA) ES: «Quali sono le prime 5 marche che ti vengono in mente di pasta? - «Barilla, Voiello, De Cecco, Divella, La Molisana» o TOP OF MIND (il livello più alto della piramide di Aaker indica la “prima scelta”, ovvero il primo brand che viene in mente alle persone quando pensano a uno specifico prodotto o servizio). «Quale è la prima marca di pasta a cui pensi quando devi acquistare una confezione di spaghetti?» - «Barilla» 3) QUALITÀ PERCEPITA – Il valore di una marca è spesso associato alla sua percezione di qualità. Essa è costituita in modo inscindibile da fattori materiali (la qualità tecnica, oggettiva, misurabile), processi d’impresa, qualità della comunicazione; il cui obiettivo è di tradurre la qualità oggettiva in percezione per il mercato. Il risultato finale è la percezione di qualità che il cliente riceve da tutti questi fattori. La percezione di qualità può essere analizzata e valutata a diversi livelli: di settore, di processo, d’impresa e di prodotto. 4) ASSOCIAZIONE DI MARCA E DI IMMAGINE: La quarta componente della brand equity è legata al concetto di associazioni di marca. Risponde alla domanda: cosa ti viene ti viene in mente quanto ti nomino questa marca? L’individuazione delle associazioni definisce il posizionamento della marca nella mente del consumatore e consente di determinare la posizione tra marche, cioè quali siano percepite vicine in termini di associazioni. La valutazione delle associazioni è fortemente influenzata da elementi soggettivi poiché il singolo consumatore, in base alle proprie conoscenze, esperienze, preferenze, ecc… decide le associazioni più pertinenti per ciascuna marca. Quando le associazioni sono convergenti verso un profilo ben definito si forma l’IMMAGINE DI MARCA, ovvero la sintesi di tutte le associazioni che si sono formate nella mente del consumatore. Anche l’immagine è una dimensione fortemente soggettiva, almeno quanto lo sono le associazioni che la compongono. – ES: Nike ci comunica con il pay off “Just do it” uno sport accessibile, per tutti: non devi essere un super campione per vestirti Nike. 5) ALTRI ASSET DI MARCA: L’ultima componente della brand equity è costituita da un insieme di fattori che possono ulteriormente rafforzare il valore di marca. Una marca per esempio, è più forte se registrata e legalmente difendibile oppure se la tecnologia sulla quale si basa è protetta da un brevetto. Altrettanto importanti sono i contenuti relazionali collegati alla marca, alla sua storia e le performance che ha ottenuto negli anni passati. LA COSTRUZIONE DELLA MARCA: BRAND ASSET EVALUATOR (BAV) Da tempo le imprese si sono poste il problema di come costruire marche forti, in grado di essere anzitutto apprezzate dal mercato e di durare nel tempo, evolvendo e rinforzandosi di continuo. Combinando esperienze e conoscenze sofisticate con un adeguato radicamento degli obiettivi e delle caratteristiche dell’impresa, è possibile ottenere ottimi risultati sintetizzabili in validi modelli analitici e decisionali. Uno di questi modelli, largamente utilizzato dalle imprese, è il BRAND ASSET VALUATOR (BAV) sviluppato dall’agenzia di pubblicità Young & Rubicam. Infatti il modello BAV è un quadro di valutazione del marchio progettato per misurare e analizzare il valore del marchio, al fine di comprenderne il posizionamento sul mercato e identificare le aree di miglioramento. L’osservazione dei comportamenti dei clienti individua l’esistenza di 4 fasi che corrispondono alle richieste (e alle risposte) dei consumatori posti di fronte ad un prodotto di marca. Le fasi sono denominate: DIVERSITÀ (il grado in cui un marchio è visto come unico e distinto dalla concorrenza); RILEVANZA (la misura in cui un marchio è capace di soddisfare le esigenze dei consumatori ed è rilevante per la loro vita) I primi 2 elementi (DIVERSITÀ E RILEVANZA) generano la “FORZA” DELLA MARCA. Infatti, una marca risulta forte rispetto alle marche concorrenti se ha in sé elementi che la contraddistinguono che sono ritenuti importanti per il cliente. STIMA (il livello di ammirazione che i consumatori nutrono per un marchio: quanto bene mantiene le sue promesse?) FAMILIARITÀ (la profondità della consapevolezza e della comprensione di un marchio da parte dei consumatori: quanto quella marca è capace di entrare nella mia quotidianità, nel vissuto quotidiano?); Stima e familiarità definiscono la “STATURA” DELLA MARCA; testimoniano l’instaurazione di un rapporto di natura fiduciaria da parte dei clienti destinato a durare nel tempo. Nel modello originale le fasi sono proposte seguendo una logica temporale (nascita, sviluppo, consolidamento della leadership, eventuale riposizionamento) che richiama alla mente il modello del ciclo di vita del prodotto. Nello specifico: EXODING (MARCHE NUOVE/MARCHE DESPECIALIZZATE): Quando una marca nasce, è necessario superare la soglia dell’indifferenza e dell’apatia che spesso caratterizza i consumatori, abituati e presumibilmente soddisfatti dalle performance delle altre marche presenti sul mercato. La marca nuova deve poter far leva su un elemento fondamentale, la novità, cioè la diversità rispetto alle marche già presenti. Ma la novità in sé dura poco e, di conseguenza, il tempo non gioca a favore della marca neo-entrante. UNREALIZED POTENTIAL (MARCHE AD ALTO POTENZIALE): L’insieme dei fattori che può determinare un positivo incremento del mercato di una nuova marca è riconducibile al concetto di diversità. In questa circostanza conta molto far leva sulla curiosità del cliente potenziale. I benefici devono quindi essere pensati e comunicati con freschezza di linguaggio e, in qualche caso con un pizzico di spregiudicatezza, utilizzando tutte le risorse disponibili. Il tutto richiede grande flessibilità, capacità di lettura dei bisogni del mercato e, soprattutto, capacità di adattamento della novità alle nuove esigenze emergenti. L’insieme deve essere finalizzato a far sì che il prodotto offerto diventi davvero rilevante per il consumatore, in caso contrario è improbabile che il consumatore riacquisti la marca. In sostanza, il primo acquisto può essere sollecitato dalla curiosità e quindi dalla diversità, ma il primo riacquisto è motivato dalla rilevanza, cioè dall’effettiva dimostrazione che la marca è stata in grado di risolvere problemi ritenuti importanti dal consumatore. Le due variabili ora esaminate (DIVERSITÀ E RILEVANZA) generano la “FORZA” della marca. Diventano quindi forti le marche diverse e rilevanti per il consumatore. Se questa duplice caratteristica non sussiste o viene annullata dagli interventi della concorrenza, la marca non riesce a radicarsi nel mercato. LEADERSHIP (MARCHE LEADER) A questo punto del ciclo di sviluppo, la prospettiva cambia, d’azione e di decisione si fanno meno pressanti perché la marca può godere di una certa credibilità determinata dai primi successi ottenuti e, soprattutto, ottiene e consolida una parte delle preferenze dei clienti che si concretizzano in livelli crescenti di quota di mercato (CONSOLIDAMENTO DELLA POSIZIONE DI LEADERSHIP DELLA MARCA). Stima e fiducia diventano una componente fondamentale del patrimonio su cui la marca, e più in generale l’impresa, può contare. Si deve consolidare la cosiddetta triangolazione delle relazioni di fiducia i cui vertici sono costituiti dalla marca, dai clienti e dall’impresa. In particolare: o La prima relazione (MARCA-CLIENTE) genera fiducia in base alle capacità della marca di soddisfare le esigenze dei consumatori e, quindi, si fonda sulle esperienze positive del cliente; o La seconda relazione (CLIENTE-IMPRESA) è spesso fondamentale nel caso di prodotti complessi, di non facile utilizzo e a elevata componente di servizio. In questi casi il cliente si fida sì della marca, e della propria esperienza, ma cerca rassicurazione dall’impresa (come una garanzia di continuità); o Proprio per sostenere questa seconda relazione, è necessario un forte rapporto MARCA- IMPRESA, sia per ottenere le risorse indispensabili al continuo rinnovamento della marca, sia per garantire al consumatore i necessari interventi di adattamento. Oltre a generare fiducia, queste 3 relazioni sollecitano un continuo processo di rinnovamento della marca, fondamentale per evitare che questa, una volta ottenuta la stima del mercato, la possa compromettere perché soffocata dalla noia dei clienti e dalla banalizzazione dei loro processi di acquisto e di consumo; in questo caso si parla di MARCHE IN EROSIONE DEL POTENZIALE. UNFOCUSED (MARCHE IN EROSIONE DEL POTENZIALE) Quando dopo un certo ciclo di vita la marca non è stata capace di attirare e conquistare l’attenzione di nessuno, diventa despecializzata. Si parla di MARCHE IN EROSIONE POTENZIALE. Quando la STIMA si consolida, si produce la FAMILIARITÀ: la marca è entrata a far parte del mondo del consumatore, del suo vissuto e ne rappresenta una parte del patrimonio. La costruzione e il consolidamento di una marca sono operazioni costose e spesso cariche di rischi; il raggiungimento di elevati livelli di STIMA e di FAMILIARITÀ, sintetizzati nel concetto di “STATURA DI MARCA”, può ripagare dagli sforzi e dagli investimenti compiuti, anche in una prospettiva di ritorno economico e finanziario. CAPITOLO 10 – PREZZO, VALORI E COSTI Dietro la stesura del prezzo l'azienda deve fare tante riflessioni: - il prezzo non è solo un numero ma anche parte di un contenuto tecnico - c'è il tema del valore del prodotto (anche il significato che il prodotto ha per me, ovvero che mi risolva problema più o meno urgente) COS’É IL PREZZO? “Prezzo come espressione economicamente tangibile e monetaria della volontà del cliente di entrare in possesso dei valori incorporati nell’offerta e, quindi, del sacrificio che il cliente intende sopportare per acquisire e utilizzare detti valori.” Il prezzo è sintesi di contenuti e capacità, è un'espressione monetaria, ma anche INTANGIBILE: ovvero il significato del prodotto per noi e quanto noi siamo disposti a pagare. Il prezzo è legato anche alla capacità dell'impresa di farci capire i suoi elementi distintivi attraverso il prezzo; vi è una fatica nel tradurre il numero in qualcosa che arrivi a noi in modo corretto. PREZZO VS VALORE PERCEPITO: L’azienda passa dal concetto di numero seguito da valuta, al mettere nelle mani del cliente la possibilità di comprendere quel numero. Questo flusso da prezzo a valore NON è passaggio automatico, ma bisogna riflettere da dove deriva quel numero. DALL’ORIENTAMENTO AI COSTI ALL’ORIENTAMENTO ALLA DOMANDA Tuttavia gli estremi non vanno mai bene da soli, ci vuole un punto di equilibrio, i COMPETITORS. Se l'azienda è legata troppo al prezzo non valorizza lo sforzo al di là del sistema produttivo, invece se l’azienda chiede solo ai clienti quanto sono disposti a pagare per il prodotto, rischia di non riuscire a coprire i costi perché il cliente dirà ovviamente che vuole un prezzo basso. I competitors sono quindi un ago della bilancia tra piatto dei costi e della domanda→ essi equilibrano VALORE COSTRUITO-PERCEPITO-TRASFERITO - VALORE COSTRUITO: è il valore che l’azienda è in grado di generare in termini di prodotto e prezzo→ è il suo sforzo produttivo. Essa vuole creare il prodotto migliore rispetto alle sue capacità e quindi va a generare un prezzo capace di far rientrare del denaro dell'azienda per supportare quell’investimento. - VALORE PERCEPITO: il punto vendita mette in comunicazione azienda e cliente, è un interlocutore esterno. i punti vendita investono per poter riempire gli scaffali e permettere a noi di trovare prodotto preferito. L’azienda butta fuori il prodotto ad un prezzo, che viene acquistato dal punto vendita: il cliente paga sia l'azienda che lo sforzo distributivo. Vi è un'alternativa: l’acquisto diretto dal produttore. Il saltare il passaggio della distribuzione non giova su di me, perché devo fare chilometri per andare dall'azienda, oppure ragionare per evitare delle fregature. - VALORE TRASFERITO: quanto il prodotto sia utile o meno Da dove nasce il valore per il cliente? Il sacrificio è il costo, ma il costo è scomponibile nelle varie fasi d’acquisto. - RICERCA DELLE INFORMAZIONI→ costi di ricerca - VALUTAZIONE ALTERNATIVE: 1. costi di elaborazione 2. costi psicologici Vi è un costo di tempo e cognitivo, inoltre ci chiediamo se ne vale la pena acquistare il prodotto - ACQUISTO: porta a capire quali sono i vantaggi superiori rispetto ad altri sistemi dati da quel prodotto-brand (sono i costi di collegamento emotivo, legati a fatica, paura, dubbio) - RIACQUISTO: 1. costi di conversione → necessità di cambiare abitudine, non è soltanto l’investimento economico, ma è l'abituarsi, è il cambiare le proprie abitudini rispetto al precedente prodotto 2. costi psicologici → sensazione di perdita di un qualcosa, che arriva il nuovo prodotto 3. costi di uscita → alle volte costa di più cambiare che non restare dentro un tipo di situazione (interrompere un abbonamento è una seccatura), è un modo per vincolare la persona e non farla andare dal competito