Lezioni PG IGIENE DENTALE 2024.pdf

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Università di Foggia Corso di Laurea in Igiene Dentale LEZIONI DEL CORSO DI PATOLOGIA GENERALE Prof. Sante Di Gioia Prof. Sante Di Gioia Ricercatore MED/04 (Patologia Generale) DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E CHIRURGICHE – UNIVERSITA’ DI FOGGIA Laboratorio di Medicina Speriment...

Università di Foggia Corso di Laurea in Igiene Dentale LEZIONI DEL CORSO DI PATOLOGIA GENERALE Prof. Sante Di Gioia Prof. Sante Di Gioia Ricercatore MED/04 (Patologia Generale) DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E CHIRURGICHE – UNIVERSITA’ DI FOGGIA Laboratorio di Medicina Sperimentale e Rigenerativa Studio: II piano – Blocco Centrale Tel. 0881 588074 E-mail: [email protected] La Patologia Generale è una disciplina che ha come scopo lo studio della malattia. Essa comprende: eziologia, che si occupa delle cause (agenti eziologici) che provocano alterazioni funzionali e strutturali a carico di un organismo; Patogenesi, che si occupa dei meccanismi con i quali gli agenti eziologici provocano alterazioni funzionali e strutturali, che si manifestano con fenomeni patologici detti sintomi. La conoscenza delle cause di malattia e dei meccanismi permette di comprendere la sintomatologia propria di ogni evento patologico. Alcuni sintomi sono detti patognomonici, cioè caratteristici di una determinata malattia; altri possono non essere specifici e quindi devono essere valutati nel loro complesso (sintomatologia). La capacità di risalire dai sintomi alle cause e ai meccanismi patogenetici consente di mettere in attostrategie terapeutiche e strategie preventive. In risposta ad uno stimolo lesivo si possono avere manifestazioni diverse per intensità: esse prendono nomi differenti in base alla loro gravità FENOMENO MORBOSO PROCESSO MORBOSO STATO MORBOSO La più semplice deviazione Insieme di fenomeni Situazione patologica dalla normalità in risposta morbosi. stazionaria che all’azione dell’agente lesivo; generalmente non il fenomeno morboso può influenza l’intero essere anche modesto dal organismo, poiché questo punto di vista riesce ad adattarsi alla sintomatologico. situazione: disturbi della Esempi di fenomeni vista, mancanza di una morbosi sono la gamba o di un rene. Lo vasodilatazione, iperemia stato morboso può tuttavia passiva, diapedesi dei comportare una maggiore granulociti che, nel loro suscettibilità alla comparsa insieme, danno origine al della malattia. processo morboso chiamato infiammazione. La MALATTIA è una condizione dinamica ed è l’espressione dell’alterazione morfologica e funzionale di uno o più organi. Gli esiti della malattia possono essere: la GUARIGIONE (la causa è stata eliminata); la CRONICIZZAZIONE (la causa non è stata eliminata, ma è sopraggiunto un nuovo equilibrio tra la risposta dell’organismo colpito e la causa della malattia) ; la MORTE. Le cause primarie di una malattia, possono essere: intrinseche quando sono interne all’organismo (su base genetica) estrinseche quando sono determinate da fattori ambientali (microrganismi, alimenti, agenti fisici o chimici, etc...). In genere, fattori genetici e ambientali concorrono nel causare le malattie, dette per questa ragione multifattoriali PATOLOGIA CELLULARE RISPOSTA CELLULARE AL DANNO Per comprendere i meccanismi che provocano malattia nell’uomo, bisogna conoscere sia i meccanismi che provocano danno alla cellula sia le risposte che la cellula oppone al danno stesso. Già nel 1809, Rudolph Virchow, il padre della moderna patologia, aveva intuito che, alla base di tutte le malattie, vi era un danno alla più piccola unità di materia vivente, la cellula, e che ad un’alterazione della forma della cellula doveva corrispondere un’alterazione della sua funzione. RISPOSTA CELLULARE AL DANNO Se consideriamo il numero enorme di batteri, virus, parassiti, agenti chimici e fisici lesivi e, con un testo di medicina aperto, contando le malattie che possono colpire una persona, si potrebbe essere indotti a credere che ognuno di questi agenti provochi un tipo particolare di malattia. In realtà, molti agenti, anche molto distanti tra di loro per natura, adoperano gli stessi limitati meccanismi per danneggiare cellula, tessuti, organi e intero organismo. RISPOSTA CELLULARE AL DANNO La cellula risponde agli stimoli lesivi con le stesse limitate risposte: si adatta, oppure subisce un danno RISPOSTA CELLULARE AL DANNO Non sempre la cellula riesce ad adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente e allora si produce un danno, la cui durata e intensità condizionano la risposta: se lo stimolo dannoso viene rimosso rapidamente e la cellula riesce a sopravvivere, il danno si dice reversibile e, una volta cessato, la cellula ritorna ad avere la forma e le funzioni che aveva prima dell’insulto: se il danno è particolarmente intenso o duraturo, la risposta della cellula supera il punto di non ritorno e la cellula muore; in questo caso si parla di danno irreversibile. Adattamenti cellulari della crescita e del differenziamento Le cellule possono rispondere ad eccessive sollecitazioni fisiologiche o a stimoli patologici andando incontro a una varietà di adattamenti cellulari di tipo morfologico e fisiologico. In questa situazione la cellula acquisisce un nuovo equilibrio, alterato ma solido, che ne preserva la vitalità e ne modula le funzioni in risposta a stimoli. La caratteristica fondamentale che distingue questi adattamenti dalla neoplasia è il fatto che una volta cessato lo stimolo, la situazione può tornare alla normalità. Si tratta di fenomeni limitati ad un distretto dell’organismo. Si possono avere modificazioni cellulari che riguardano: ✓ la proliferazione; ✓ le dimensioni; ✓ il differenziamento. Adattamenti cellulari della crescita e del differenziamento Un organo può andare incontro a: a) variazioni positive o negative delle sue dimensioni: ✓ iperplasia: aumento del numero delle cellule; ✓ ipertrofia: aumento delle dimensioni delle cellule; queste modificazioni riguardano solo e soltanto le cellule parenchimali (no: stasi, edema, infiammazione) ✓ atrofia (ipoplasia e ipotrofia): diminuzione delle dimensioni, del numero e della funzione cellulare; b) alterazioni del differenziamento: ✓ metaplasia; ATROFIA Diminuzione delle dimensioni delle cellule dovuta a perdita di componenti cellulari. Quando viene coinvolto un numero sufficiente di cellule, l’intero organo o tessuto diminuisce di volume. ATROFIA FISIOLOGICA Durante le fasi dello sviluppo: dotto tireoglosso e notocorda Atrofia uterina dopo il parto Atrofia dell’endometrio, epitelio vaginale e della mammella in menopausa. Atrofia patologica Causa Esempi Ridotto utilizzo Atrofia della muscolatura striata degli arti da immobilizzazione Perdita di innervazione Atrofia delle fibre muscolari Diminuzione dell’apporto ematico Atrofia del cervello per aterosclerosi Inadeguata nutrizione Atrofia delle masse muscolari (cachessia) Compressione di un tessuto Atrofia dei tessuti circostanti un tumore benigno (per ischemia) Esempio di atrofia: cervello senile L’atrofia del cervello è dovuta all’’invecchiamento e ad un ridotto apporto di sangue Ipertrofia E’ aumento delle dimensioni cellulari e, di conseguenza, aumento delle dimensioni dell’organo che non ha cellule nuove ma solo cellule più grandi L’aumento del volume cellulare è dovuto ad una maggiore sintesi di componenti strutturali I nuclei delle cellule ipertrofiche possono avere un maggiore contenuto di DNA rispetto alle cellule normali (non vanno in mitosi) Ipertrofia fisiologica → Muscolo scheletrico → Utero in Gravidanza → Il cuore dell’atleta → Ghiandola mammaria in gravidanza Ipertrofia patologica → Occlusioni intestinali → Ipertrofia del miocardio Iperplasia Aumento del volume di un organo/tessuto dovuto all’incremento numerico delle cellule- parenchimali- che lo compongono. Avviene in tessuti in cui le cellule possono proliferare. delle compongono. Avviene in tessuti in un lo dovuto cui le cellule possono proliferare. di che numerico volume cellule-parenchimali- organo/tessuto del all’incremento Aumento Iperplasia fisiologica Rigenerazione epatica a seguito di epatectomia parziale Iperplasia delle ghiandole endometriali durante il ciclo mestruale Iperplasia patologica Iperplasia compensatoria post-nefrectomia Iperplasia dell’endometrio per eccessiva stimolazione estrogenica Metaplasia Modificazione reversibile per la quale un tipo cellulare differenziato (epiteliale o mesenchimale) adulto è sostituito da un altro tipo cellulare differenziato (per es cellule più adatte alla nuova situazione). ✓ Metaplasia squamosa dell’epitelio respiratorio: epitelio cilindrico specializzato della trachea e dei bronchi sostituito da pavimentoso stratificato (fumatori; perdita della produzione del muco); ✓ Metaplasia squamosa dei dotti biliari: epitelio cilindrico secretorio sostituito da pavimentoso stratificato non funzionale (calcoli) ✓ Ulcera gastrica La persistenza degli stimoli che predispongono alla metaplasia (epiteliale) può indurre la trasformazione cancerosa proprio nell’epitelio metaplastico. METAPLASIA Metaplasia da epitelio pavimentoso a cilindrico: Esofagite di Barrett: l’epitelio esofagico di tipo pavimentoso è sostituito da epitelio cilindrico di tipo intestinale (può derivarne un adenocarcinoma ghiandolare) Metaplasia connettivale Formazione di osso, cartilagine o tessuto adiposo in tessuti che normalmente non contengono questi elementi. Miosite ossificante: formazione di muscolo in un osso andato incontro a frattura. Fibrodisplasia ossificante progressiva disordine genetico caratterizzato dalla presenza di malformazioni ossee evidenti sin dalla nascita e dalla progressiva formazione di tessuto osseo nei muscoli scheletrici, nei tendini, nei legamenti. recentemente è stata evidenziata un’anomalia a carico di un gene localizzato sul braccio lungo del cromosoma 4 codificante per la proteina BMP-4 (Bone Morphogenic Protein), importante per il corretto sviluppo del tessuto osseo. METAPLASIA In generale, si pensa che la metaplasia dipenda dalla riprogrammazione di cellule staminali degli epiteli o di cellule mesenchimali indifferenziate presenti nel tessuto connettivo. Le cellule staminali verrebbero stimolate a differenziarsi in modo anomalo da una combinazione di fattori di crescita, citochine e componenti della matrice extra-cellulare. Sono coinvolti geni tessuto-specifici e del differenziamento. DANNO E MORTE CELLULARE Le risposte adattative si sviluppano solo quando lo stimolo lesivo viene tollerato dalle cellule colpite Se lo stimolo lesivo causa disfunzioni che superano i limiti di adattamento la cellula muore per necrosi Esiste un’altra forma di morte cellulare, chiamata apoptosi attraverso cui l’organismo regola il numero il numero delle sue cellule; anche alcuni stimoli, in particolare quelli mediati dal sistema immunitario e da citochine, attivano l’apoptosi. NECROSI E’ la morte cellulare accidentale che consegue a stimoli patologici intensi di varia natura (traumi, alte temperature, veleni, tossine, ischemia,ecc…) Interessa gruppi estesi di cellule. Ossigeno e radicali liberi dell’ossigeno I radicali liberi dell’Ossigeno, definiti anche come (ROS: specie reattive dell’Ossigeno) possiedono un elettrone libero libero nell’orbitale più esterno e sono, pertanto, molto reattivi Possono ossidare molecole complesse quali fosfolipidi di membrana, acidi nucleici e proteine I radicali liberi sono continuamente prodotti durante le reazioni ossidative del metabolismo cellulare. Le cellule sono in grado di neutralizzarli grazie alla presenza di sostanze ossidanti come la vitamina E e all’intervento continuo di sistemi enzimatici. La superossidodismutasi (SOD) converte lo ione superossido in acqua ossigenata che, a sua volta, viene trasformata in acqua dalla catalasi. I radicali liberi possono essere prodotti anche dal metabolismo intermedio di alcune sostanze tossiche e di farmaci, e dai leucociti nel corso della risposta infiammatoria. Deplezione di ATP Ischemia: riduzione dell’apporto ematico ad un tessuto (es. necrosi ischemica nell’infarto del miocardio) Ridotta produzione di ATP La cellula tenta di recuperare ATP mediante la glicolisi anaerobia La glicolisi cessa quando non arrivano più nutrienti per sostenerla Aumento del lattato intracellulare Mancato funzionamento delle pompe della membrana plasmatica ATP- dipendenti., con conseguente ingresso di ioni Sodio, Calcio ed acqua. La cellula ed i suoi organelli cellulari si rigonfiano. La carenza di ATP porta all’inibizione della sintesi di proteine e di fosfolipidi di membrana EFFETTI DELL’ISCHEMIA Rapidità d’insorgenza Calibro del vaso Tipo di circolazione dell’organo colpito Sensibilità del tessuto all’ischemia CARATTERISTICHE DELLA CELLULA NECROTICA NECROSI ED INFIAMMAZIONE Necrosi coagulativa Si ha quando le cellule morte non hanno un grosso contenuto di lisosomi e le proteine citoplasmatiche, anziché essere digerite completamente, vanno incontro a denaturazione. In questo caso l’architettura del tessuto è ancora riconoscibile. La causa più frequente di questo tipo di necrosi è l’occlusione improvvisa, totale e duratura delle arterie che irrorano un organo, come succede ad esempio, nell’infarto del miocardio, dove la necrosi di un gran numero di cellule diventa uno stimolo infiammatorio Infarto renale. Un esempio di necrosi coagulativa Infarto renale Infezione micotica renale Necrosi colliquativa E’ dovuta all’abbondanza degli enzimi lisosomiali che provocano rammollimento del tessuto morto. Le cause più frequenti di questo tipo di necrosi sono: l’infarto cerebrale (il cervello, infatti, ha un grosso numero di lisosomi e poche proteine strutturali extracellulari); le infezioni batteriche (che richiamano cellule fagocitiche che rilasciano enzimi lisosomiali) Necrosi caseosa E’ un tipo particolare di necrosi che riflette una modificazione della necrosi coagulativa e si trova all’interno dei granulomi tubercolari; delle cellule rimane solamente una massa proteica amorfa che conferisce al tessuto l’aspetto di formaggio fuso. GANGRENA La gangrena non è una forma distinta di necrosi, ma è il termine utilizzato comunemente nella pratica clinica per indicare un tessuto necrotico dall’aspetto nerastro. GANGRENA SECCA – PIEDE DIABETICO GANGRENA UMIDA GANGRENA GASSOSA È UN TIPO DI NECROSI COAGULATIVA… NECROSI COLLIQUATIVA DOVUTA A COMPLICAZIONE DOVUTA A BATTERI GRAM- INFEZIONE DA BATTERI GRAM+, COME Clostridium perfrigens, PRESENTE NEL TERRENO. Si ha produzione di gas! INDICI PERIFERICI DI NECROSI (I) Il processo necrotico porta alla lisi della membrana cellulare ed alla fuoriuscita nello spazio extracellulare del contenuto citoplasmatico. Le proteine e gli enzimi intracellulari liberati dai tessuti danneggiati, vengono trasportati a distanza dalla sede di lesione dal circolo ematico e, dosati nel plasma, rappresentano per il clinico un utile strumento di valutazione sia della sede che dell’entità del danno necrotico. INDICI PERIFERICI DI NECROSI (II) Un esempio di questi marcatori di danno è rappresentato dall’enzima creatin-chinasi di cui sono dosabili nel plasma due isoforme: la creatin-chinasi MM (CK-MM), propria del muscolo scheletrico e l’isoforma MB (CK-MB) propria del muscolo cardiaco. In caso di necrosi ischemica del miocardio l’isoforma CK-MB aumenta in circolo permettendo di confermare, se dosata tempestivamente, un sospetto caso di infarto. INDICI PERIFERICI DI NECROSI (III) Altri enzimi di comune impiego nella pratica clinica sono l’alanina transaminasi (ALT) e l’aspartico transaminasi (AST), prodotte dagli epatociti e rilasciate in circolo durante processi necrotici del fegato causati da infezione da virus epatitici, ma anche in seguito a danni tossici indotti da farmaci, alcool, tossine o trattamenti chemioterapici. La necrosi del pancreas causa un aumento delle amilasi, mentre alterazioni delle diverse isoforme dell’enzima latticodeidrogenasi (LDH) sono un frequente reperto indice di lesioni a livello epatico o di discreti processi necrotici del muscolo e delle cellule leucocitarie. INDICI PERIFERICI DI NECROSI (IV) Le caratteristiche che rendono il dosaggio di tali enzimi particolarmente utile nella pratica clinica sono rappresentate dalla loro sensibilità, aumentando in circolo proporzionalmente all’entità del danno, e dalla loro specificità, essendo in grado di identificare con precisione la sede tessutale della lesione che ne ha indotto il rilascio Apoptosi Morte cellulare programmata: l’eliminazione di cellule non desiderate avviene attraverso l’attivazione di una sequenza di eventi coordinati e sequenziali messi in atto da una serie di prodotti genici specializzati Alcuni meccanismi sono comuni alla necrosi e all’apoptosi. La scelta dipende dall’intensità dello stimolo, dalla rapidità della risposta e dall’entità di deplezione di ATP Apoptosi - funzioni fisiologiche Embriogenesi: -impianto dell’embrione - organogenesi - involuzione di strutture durante lo sviluppo Involuzione ormono-dipendente nell’adulto: - ciclo mestruale (endometrio) - menopausa (atresia follicoli ovarici) - mammella (svezzamento) Mantenimento omeostasi cellulare all’interno di un tessuto: - cripte intestinali - sistema immunitario: deplezione clonale di linfociti T nel timo durante lo sviluppo Apoptosi - meccanismi L’apoptosi è l’evento finale di una cascata di eventi molecolari e cellulari, dipendente da energia, iniziata da stimoli specifici Fasi dell’apoptosi: - Segnali di inizio (attivano l’apoptosi) - Controllo ed integrazione (molecole regolatrici ad attività positiva o negativa regolano l’esito dell’innesco) - Fase effettrice comune (mediata dalle caspasi) - Rimozione mediante fagocitosi VIE DI ATTIVAZIONE DELL’APOPTOSI: FASE DI INDUZIONE DELLA VIA ESTRINSECA Via estrinseca Prevede l’intervento di molecole solubili (Fas- ligando, TNF-alfa) che attivano i recettori specifici sulla superficie cellulare e innescano la trasduzione del segnale di morte. Questa via di attivazione è utilizzata dalle cellule del sistema immune mentre svolgono il compito di immunosorveglianza. Fas/ligando del Fas (CD95/CD95L) TNF/TNFR - Possono attivare le caspasi “inizianti” o“effettrici” mediante il legame a proteine adattatrici che contengono i cosiddetti “domini di morte” VIE DI ATTIVAZIONE DELL’APOPTOSI: FASE DI INDUZIONE DELLA VIA INTRINSECA La via intrinseca viene anche definita via «mitocondriale» I mitocondri contengono diverse proteine capaci di attivare il processo apoptotico tra le quali le principali sono rappresentate dal Citocromo C e da una serie di proteine antagoniste degli inibitori dell’apoptosi La capacità del mitocondrio di rilasciare tali proteine, cioè la permeabilità delle membrane mitocondriali è regolata da una serie di «sensori cellulari» costituiti da una famiglia di proteine il cui prototipo è Bcl-2 Stimoli intracellulari come un danno al DNA o la mancanza di ormoni e fattori di crescita, sono in grado di attivare tali sensori e, di conseguenza di innescare la attivazione e dimerizzazione di Bax e Bad, che si inseriscono nella membrana mitocondriale e formano dei canali ionici attraverso cui il cit. c ed altre proteine pro- apoptotiche possono uscire. Una volta fuoriuscito nel citoplasma, il cit. c, in presenza di ATP e di alcuni cofattori, forma un complesso multimerico (cit. C, Apaf-1 e caspasi-9) denominato «apoptosoma» che media l’attivazione della caspasi-9 VIE DI ATTIVAZIONE DELL’APOPTOSI: FASE DI INDUZIONE DELLA VIA INTRINSECA La caspasi -9, detta anche caspasi iniziatrice, attiva una serie di caspasi, quali la caspasi 3 e 7, responsabili della disgregazione cellulare L’attività delle caspasi è negativamente regolata da proteine della famiglia IAP (Inibitori dell’Apoptosi) che sono a loro volta controllate da proteine del complesso Smac/DIABLO rilasciate dal mitocondrio durante l’apoptosi ed in grado di interagire con IAP e di modulare la inibizione delle caspasi mediata da IAP Il processo culmina in ultima analisi nella attivazione delle endonucleasi e delle proteasi, nella riorganizzazione del citoscheletro ed in alterazioni citomorfologiche VIE DI ATTIVAZIONE DELL’APOPTOSI: FASE DI INDUZIONE DELLA VIA INTRINSECA - Mancanza di fattori di crescita o di ormoni, i quali normalmente sopprimono la morte cellulare e inviano segnali di sopravvivenza (integrazione e bilancio tra membri della famiglia Bcl-2) Danno della membrana plasmatica: - radiazioni - ROS - tossine batteriche - attivazione della sfingomielinasi acida e produzione di ceramide che innesca l’apoptosi attraverso i mitocondri Danno del DNA: - accumulo di p53 nel nucleo - se la riparazione del DNA non ha successo, p53 induce la trascrizione di fattori pro-apoptotici Apoptosi – FASE DI INDUZIONE DELLA VIA INTRINSECA Apoptosi Ricognizione fagocitaria: - Esposizione sul foglietto esterno della membrana della cellula apoptotica di fosfatidilserina (PtdS) e suo riconoscimento da parte di cellule parenchimali vicine e macrofagi - La fagocitosi delle cellule apoptotiche induce una diminuzione dell’infiammazione mediante: riduzione della secrezione di TNF- aumento della secrezione di TGF1 e IL-10 Apoptosi “IN ECCESSO” - fisiopatologia NELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE: NEL MORBO DI PARKINSON ALCUNE NEUROTOSSINE INDUCONO APOPTOSI DEI NEURONI; NELLA MALATTIA DI ALZHEIMER LA DEPOSIZIONE DI PEPTIDE Aβ INDUCE APOPTOSI DEI NEURONI CORTICALI NELLE ATROFIE MUSCOLARI SPINALI: UNA MUTAZIONE CAUSA LA CARENZA DELLA PROTEINA smn (SURVIVAL OF MOTOR NEURON), ESSENZIALE PER LA SOPRAVVIVENZA DEI MOTONEURONI NEL MIDOLLO SPINALE; QUESTO DEFICIT COMPROMETTE LA PROTEZIONE DALL’APOPTOSI DEI MOTONEURONI NELL’AIDS: ALCUNE PROTEINE DI HIV INDUCONO APOPTOSI DEI LINFOCITI CD4+ INFETTATI Apoptosi “in difetto” - fisiopatologia NELLE MALATTIE AUTOIMMUNI: I LINFOCITI T AUTOREATTIVI VENGONO FISIOLOGICAMENTE ELIMINATI ATTRAVERSO L’APOPTOSI:SE L’APOPTOSI E’ DIFETTIVA, QUESTE CELLULE SOPRAVVIVONO E SCATENANO UNA RISPOSTA IMMUNITARIA CONTRO MOLECOLE PROPRIE DELL’ORGANISMO, COME ACCADE NEL DIABETE DI TIPO 1, IN ALCUNE ENCEFALOMIELITI, ECC… NEL CANCRO: LA RESISTENZA DELLE CELLULE TUMORALI ALL’APOPTOSI E’ UNA CARATTERISTICA ESSENZIALE DELLO SVILUPPO DEL TUMORE ED E’ CAUSATA DALL’ATTIVAZIONE DI GENI ANTI-APOPTOTICI O DALL’INATTIVAZIONE DI GENI PRO- APOPTOTICI Apoptosi - aspetti morfologici Coinvolgimento di singole cellule o gruppi di cellule La cellula apoptotica appare come una masserella rotondeggiante o ovoidale, intensamente eosinofila e con frammenti di cromatina nucleari molto densi. La reazione apoptotica è molto rapida (2-4 ore) ed i corpi apoptotici sono rapidamente degradati e fagocitati APOPTOSI BCL-2 E LA-REGOLAZIONE FASE DI DEGRADAZIONE DELL’APOPTOSI CASPASI ATTIVATE APOPTOSI - FASE DI DEGRADAZIONE Apoptosi indotta da linfociti T citotossici Apoptosi - casi specifici Apoptosi indotta da danno del DNA L’esposizione delle cellule a radiazioni ionizzanti o a agenti chemioterapici può indurre danno del DNA (stress genotossico) Il prodotto del gene p53 si accumula in seguito a danno del DNA e arresta il ciclo cellulare in G1 per dare tempo alla riparazione Se questa fallisce, p53 induce apoptosi p53 è un gene oncosoppressore: difatti in vari tipi di cancro esso è mutato o assente e ciò induce sopravvivenza cellulare ACCUMULI INTRACELLULARI STEATOSI EPATICA RIDOTTA DISPONIBILITA’ DI Diabete ETANOLO OSSIGENO E ALTERAZIONI Obesità MITOCONDRIALI VELENI O SOSTANZE CHE INIBISCONO LA SINTESI OE IL RILASCIO DELLE LIPOPROTEINE Un eccessivo accumulo di trigliceridi o acidi grassi all’interno del fegato può essere attribuibile a difetti in qualsiasi punto della via La steatosi può essere riconosciuta ad occhio nudo : Fegato steatosico Fegato di con cirrosi soggetto normale iniziale (paz. Alcolista) ACCUMULI INTRACELLULARI-MALATTIE DA ACCUMULO LISOSOMIALE Come si trasmettono le malattie da accumulo lisosomiale? Queste malattie si trasmettono in genere con modalità autosomica recessiva: i genitori sono portatori sani della mutazione responsabile e ciascun figlio ha il 25% di probabilità di essere malato. In due casi (malattia di Fabry e mucopolisaccaridosi di tipo 2) la trasmissione è recessiva legata all’X: in genere solo i maschi presentano i sintomi, mentre le femmine sono portatrici sane. ACCUMULI EXTRACELLULARI - LE AMILOIDOSI Caratteristica conformazione dell’amiloide a -foglietti incrociati responsabile di: - colorazione con il rosso Congo - birifrangenza a luce polarizzata Amiloidosi sistemica reattiva associata a stati di infiammazione cronica ; patologie associate: → Artrite reumatoide ed altre connettiviti, → patologie intestinali croniche → Tossicodipendenti → Tumori non immunologici AMILOIDOSI PRIMARIA:DISCRASIE IMMUNOLOGICHE CON AMILOIDOSI Spesso, presenza di proteine di Bence- Jones Shameem Mahmood et al. Haematologica 2014;99:209-221 ©2014 by Ferrata Storti Foundation Malattia di Alzheimer Causa più frequente di demenza dell’anziano Progressiva lenta: deficit della memoria, disturbi del linguaggio, perdita dell’abilità motoria, incontinenza, mutismo, incapacità alla deambulazione Colpisce il 40% o più della popolazione di 85-89 anni. Solo il 10-15% dei casi è familiare. Cambiamenti patologici identici a quelli dell’Alzheimer si trovano in quasi tutti gli individui con trisomia 21 che sopravvivono oltre i 45 anni. L’esame autoptico del cervello mostra tipicamente un idrocefalo marcato, secondario alla perdita di tessuto cerebrale Malattia di Alzheimer- patogenesi Malattia di Alzheimer Atrofia cerebrale (corticale) con idrocefalo ex vacuo Placche neuritiche: si formano al di fuori dei neuroni, nel neuropilo (lo spazio contenente gli assoni e i dendriti).Tali placche provocano la disgregazione della sostanza cerebrale e la morte dei neuroni. Sono caratterizzate da raccolte di processi neuronali dilatati localizzati intorno a un nucleo centrale di amiloide Il principale componente della placca è l’A, un peptide derivato dalla proteina precursore dell’amiloide (APP),che si aggrega rapidamente , forma strutture a foglietto  ed è neurotossico. DANNO DA ISCHEMIA-RIPERFUSIONE Nell’ambiente asfissiante del tessuto ischemico, l’arrivo del flusso è come un fiammifero in una scatola di fuochi d’artificio. INFIAMMAZIONE E RIPARO - ite 1. Tende a liberare l’organismo dall’agente dannoso (batteri, tossine) e dalle conseguenze del danno (cellule e tessuti necrotici). 2. I due principali meccanismi di difesa contro i microorganismi, leucociti e anticorpi, sono normalmente trasportati nel flusso ematico. Pertanto deve esistere un meccanismo, strettamente regolato, che permetta loro di arrivare là dove il loro intervento è necessario. 3. L’infiammazione acuta fornisce la possibilità di arrivare nei tessuti danneggiati dell’organismo, in prima battuta alle cellule dell’immunità naturale e, successivamente, alle cellule Perché possiamo considerare dell’immunità acquisita. l’infiammazione una risposta fondamentalmente protettiva? INFIAMMAZIONE ED INFEZIONE SONO SINONIMI? Infiammazione ed infezione sono 2 processi che spesso si accompagnano ma non sono equivalenti: →l’infiammazione è un processo reattivo →L’infezione è una “contaminazione con microorganismi” Ci può essere infezione senza infiammazione: un paziente gravemente immunosoppresso non è capace di rispondere all’invasione batterica con l’infiammazione Ci può essere infiammazione senza infezione: nell’infarto del miocardio, dove il processo è scatenato dai prodotti dei tessuti danneggiati. Questo significa che qualunque danno “asettico” intenso scatenerà un processo infiammatorio. MICROORGANISMI NECROSI REAZIONI IMMUNITARIE CAUSE D’INFIAMMAZIONE AGENTI CHIMICI AGENTI FISICI LE CELLULE DELL’INFIAMMAZIONE CRONICA TIPI DI INFIAMMAZIONE ACUTA Lunga durata Rapida insorgenza Riparo Danno Decorso breve Ruolo del macrofago Fenomeni vascolari Riparo INNESCO FASE VASCOLARE FASE CELLULARE: ADESIONE –DIAPEDESI - CHEMOTASSI FASE CELLULARE - FAGOCITOSI FASE CELLULARE – BURST RESPIRATORIO RIMPIAZZO CELLULE ELIMINAZIONE MORTE CON NUOVE RISOLUZIONE DELLO STIMOLO CELLULE LESIVO RIMOZIONE MEDIATORI E CELLULE RISOLUZIONE DELL’INFIAMMAZIONE 1. Ripristino della normale permeabilità vascolare 2. Drenaggio del liquido di edema e delle proteine nei linfatici o 3. Per mezzo della pinocitosi dei macrofagi 4. Fagocitosi dei neutrofili apoptotici 5. Fagocitosi dei residui necrotici 6. Smaltimento dei macrofagi I M0 producono anche fattori di crescita che danno inizio al successivo processo di riparazione. RISOLUZIONE RESOLVINE IL-10 SINTESI DI MEDIATORI LIPIDICI SEGNALI DI RILASCIO DI CITOCHINE ANTI-INFIAMMATORI ARRESTO ANTI-INFIAMMATORIE LIPOSSINE TGF-β EFFEROCITOSI MACROFAGO NEUTROFILO APOPTOTICO TGF - β VARIANTI ISTOPATOLOGICHE DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA Che cosa sono le aderenze o sinechie? La fibrina non può persistere per molto tempo nell’essudato perché viene distrutta dai macrofagi che la riconoscono come estranea. Vi sono tuttavia situazioni in cui i macrofagi trovano difficoltà a raggiungerla (per esempio, nelle cavità celomatiche) e grossi depositi di fibrina possono persistere per anni: in questo caso il foglietto parietale e quello viscerale possono rimanere connessi tramite tralci di fibrina che costituiscono le cosiddette aderenze o sinechie. La formazione di aderenze è di ostacolo per una buona funzione degli organi che si trovano nelle cavità: la cassa toracica potrà espandersi in misura minore dopo pleurite fibrinosa; i movimenti intestinali saranno dolorosi per la difficoltà dei due foglietti viscerale e parietale, del peritoneo di scorrere l’uno sull’altro dopo appendicite acuta. Infiammazione emorragica: aspetto sanguinolento e colore rossastro. Elevato contenuto proteico e cellulare con presenza di emazie. Rappresenta l’aggravamento di di altri tipi di flogosi. In particolare è indotta da batteri, virus, rickettsie. Si verifica la rottura della parete di vasi del microcircolo Meningite da Bacillus anthracis VARIANTI ISTOPATOLOGICHE DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA Infiammazione Purulenta Elevata densità e colore caratteristico (verdastro---MPO) a causa del grande numero di neutrofili apoptotici (Pus) Tipico delle infezioni da batteri fortemente chemiotattici (es. Stafilococchi) La formazione di pus (suppurazione) denota una reazione vigorosa e salubre [pus bonum et laudabile] Terza lezione di patologia generale 20172018 Perché talvolta i linfonodi locali si ingrossano e diventano dolenti? L’eccesso di liquidi e alcune cellule dell’essudato La linfa drenata da un focolaio infiammatorio è possono essere drenati dai linfatici oltre che dalle portata ai linfonodi più vicini: ciò è particolarmente venule. La linfa che defluisce da un focolaio importante perché negli organi linfatici secondari infiammatorio acuto ha un contenuto proteico simile l’antigene viene presentato alle cellule dell’immunità a quello dell’essudato e contiene mediatori chimici specifica e prende avvio la risposta immunitaria che possono infiammare gli stessi vasi linfatici acquisita. Inoltre, i linfonodi contengono molti (linfangite). macrofagi che fagocitano i batteri, bloccandone la A volte, quando la linfa drenata contiene elevate moltiplicazione. Se la linfa drenata contiene una concentrazioni di mediatori e batteri, può comparire buona quantità di mediatori chimici e batteri, essa un alone rosso infiammatorio che prende il nome di può provocare l’infiammazione dei linfonodi stria linfangitica lungo il decorso dei principali vasi (linfoadenite), per questo essi si rigonfiano e linfatici che drenano quel distretto. diventano dolenti. FLEMMONE INDUCONO LA PREFORMATI ATTIVITA’ SINTESI DI ALTRI PLEIOTROPICA MEDIATORI DI MEDIATORI ORIGINE CELLULARE MEDIATORI CHIMICI DELL’INFIAMMAZIONE DI NUOVA SINTESI ACUTA MEDIATORI DI EFFETTI DIVERSI EFFETTO ORIGINE PLASMATICA SU CELLULE DELLO RIDONDANTE STESSO TIPO MEDIATORI PLASMATICI DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA Mediatori plasmatici Funzioni biologiche Sistema del complemento Aumento della permeabilità vascolare e vasodilatazione; adesione, chemotassi, e attivazione dei leucociti; fagocitosi;opsonizzazione uccisione microbica Sistema delle chinine Aumento della permeabilità vascolare e vasodilatazione; chemotassi; dolore Sistema della Aumento della permeabilità vascolare; adesione dei leucociti e coagulazione/fibrinolisi chemotassi Fosfolipidi di membrana Fosfolipasi A2 Acido Arachidonico Lipoossigenasi Cicloossigenasi Leucotrieni Prostaglandine Chemiotassi Vasodilatazione Aumento permeabilità Aumento permeabilità Dolore LE PRINCIPALI CITOCHINE COINVOLTE NELL’INFIAMMAZIONE CITOCHINE FONTE FUNZIONI IL-1 Macrofagi, endotelio, cellule dell’epidermide e altri tipi cellulari Induce la sintesi di molecole di adesione endoteliali; stimola la produzione di prostaglandine; stimola la sintesi di altre citochine e chemochine; causa febbre IL-6 Macrofagi, endotelio, fibroblasti Stimola gli epatociti a sintetizzare le proteine di fase acuta; induce il differenziamento dei linfociti B in plasmacellule IL-10 Macrofagi, linfociti, cellule dell’epidermide Macrofagi, linfociti, cellule dell’epidermide IFN IFNα e β: leucociti e fibroblasti Antivirali IFNγ: linfociti T e NK Antivirale; potentissimo attivatore dei macrofagi; aumenta l’espressione di MHC potenziando la presentazione dell’antigene TNFα Macrofagi, linfociti T Ad alte concentrazioni provoca shock settico A basse concentrazione induce la sintesi di molecole di adesione endoteliali; stimola la produzione di prostaglandine; stimola la sintesi di altre citochine e chemochine; causa febbre; attiva vari tipi di leucociti DANNO TISSUTALE REAZIONI RIPARATIVE DURATA > 6 settimane CAUSE DI INFIAMMAZIONE CRONICA PRESENZA DI AGENTI MICROBICI O SOSTANZE ESPOSIZIONE RIPETUTA MALATTIE PERSISTENZA DI DI UN POCO RESPONSIVI AD AGENTI TOSSICI E AGENTE LESIVO AUTO-IMMUNI ALL’INFIAMMAZIONE PRO-INFIAMMATORI ACUTA ENDOTELIO Monocita Macrofago INFIAMMAZIONE E RIPARAZIONE DANNO TISSUTALE TISSUTALE ROS Fattori di crescita Enzimi litici M1 M2 per i fibroblasti Citochine Fattori di crescita per l’endotelio DIFFUSA INFIAMMAZIONE CIRCOSCRITTA ( non granulomatosa) CRONICA ( granulomatosa) PLASMACELLULE LINFOCITI CELLULA GIGANTE FIBROBLASTI CELLULE EPITELIOIDI MACROFAGI GRANULOMA DA CORPO ESTRANEO GRANULOMA IMMUNOLOGICO es. Materiale sintetico post-operatorio es. Tubercolo ESEMPI DI PATOLOGIE ASSOCIATE A INFIAMMAZIONE CRONICA LES EFFETTI SISTEMICI DELL’INFIAMMAZIONE 20000/mmc 5000/mmc FEBBRE MECCANISMI DI TERMOREGOLAZIONE TERMOGENESI TERMODISPERSIONE Metabolismo Conduzione Vasocostrizione Irradiazione Brividi Sudorazione Ormoni Vasodilatazione cutanea A livello ipotalamico, la temperatura di set-point corrisponde a 37°C Fluttuazioni della temperatura corporea durante il giorno Aumento metabolismo lipidico Aumento secrezione ormoni tiroidei FEBBRE CURVA FEBBRILE:febbre continua, es. polmonite da pneumococco Meccanismi riparativi RIPARAZIONE Conservazione DEL DANNO Ripristino del TISSUTALE tessuto Proliferazione e differenziamento Ciclo cellulare Proliferazione e differenziamento Proliferazione e differenziamento Rigenerazione e riparazione GUARIGIONE DELLA FERITA La guarigione della ferita avviene anch’essa tramite processi di organizzazione e formazione del tessuto di granulazione e cicatrizzazione. Il risultato in termini di quantità di cicatrice, però, è diversa a seconda che si prendano in considerazione una ferita chirurgica e una ferita che il paziente si è procurato in un incidente (ferita lacerocontusa). La ferita per prima intenzione, sarà pulita, non infetta e presenterà margini ravvicinati e una quantità minima di tessuto necrotico da eliminare. La ferita presenterà margini distanziati, carica batterica più elevata e maggiore quantità di tessuto necrotico: in altri termini, la perdita di sostanza è consistente. Nel caso della ferita lacerocontusa, con infezione e perdita di sostanza, si parla di guarigione della ferita per seconda intenzione, termine che probabilmente sta ad indicare che, affinchè la ferita possa rimarginarsi, devono essere eliminati proprio gli ostacoli dovuti all’infezione e alla perdita di sostanza. GUARIGIONE DI UNA FERITA Pelle integra Lesione GUARIGIONE DI UNA FERITA Lo spazio provocato dall’incisione si riempie di sangue che subito coagula e contiene, tra le altre componenti, cellule bianche e fibrina La disidratazione della superficie del coagulo darà luogo alla formazione della crosta che ha il compito di separare la ferita dall’ambiente esterno. Le cellule danneggiate rilasciano mediatori dell’infiammazione e, quindi, i neutrofili compaiono ai margini della ferita che diventa rossa, edematosa e dolente. GUARIGIONE DI UNA FERITA Nell’area danneggiata il vuoto lasciato dal tessuto perso si riempie di macrofagi che fagocitano le cellule dell’essudato infiammatorio e il tessuto necrotico. Formazione del tessuto di granulazione I nuovi vasellini prendono origine dai capillari preesistenti per proliferazione delle cellule endoteliali, si dispongono a formare una rete di capillari anastomizzati tra loro e sono necessari per portare nutrimento e fattori di crescita ai fibroblasti; questi dapprima si moltiplicano, poi incominciano a sintetizzare fibre collagene e producono proteoglicani, ma non fibre elastiche. GUARIGIONE DI UNA FERITA Man mano che si depositano, le fibre collagene vanno a comprimere molti capillari neoformati che regrediscono: restano pochi vasellini che mettono in contatto l’area danneggiata con il tessuto normale. Alcuni vasellini acquisiscono muscolatura liscia intorno alla parete e andranno a formare venule e arteriole funzionanti. Gli spazi che restano vengono riempiti da fibroblasti che sintetizzano collagene. Anche il coagulo viene a poco a poco sostituito dal tessuto di granulazione. Fin dall’inizio, le cellule epiteliali, che sono cellule labili, vanno incontro alla divisione e migrano lungo il coagulo fino a quando non si forma un sottile strato di epitelio. In seguito, le cellule endoteliali e i fibroblasti vanno incontro ad apoptosi e resta un tessuto fibroso con molte fibre collagene, poche cellule e pochissimi vasellini. GUARIGIONE DI UNA FERITA Dopo una settimana circa i punti di sutura possono essere tolti: il tessuto di granulazione si arricchisce di collagene le cui fibre si dispongono lungo le linee di stress del tessuto. La parte vascolarizzata del tessuto di granulazione scompare e successivamente la cicatrice acquista sempre maggiore resistenza TESSUTO CONNETTIVO NON ELASTICO COME QUELLO ORIGINARIO 1 MESE PERDITA ANNESSI MESI 80% CUTANEI RESISTENZA INIZIALE Guarigione per seconda intenzione Se la perdita di tessuto è estesa; come avviene nelle ferite lacerocontuse, la riparazione è più complicata per una serie di motivi: grosse perdite tissutali si accompagnano a maggior quantità di fibrina e di detriti ccellulari e, quindi, la reazione infiammatoria è più intensa; come conseguenza si forma una quantità maggiore di tessuto di granulazione in sostituzione del tessuto perso, comunque incapace di rigenerare, e la cicatrice è inevitabilmente più grande. Che cos’è la fibrosi? Un eccesso di tessuto fibroso si definisce fibrosi. La fibrosi da una parte, rappresenta una risposta dei fibroblasti alle citochine secrete in gran parte dai macrofagi ma, dall’altra, può essere a sua volta causa di malattia: per esempio, nel polmone, in seguito ad un’infiammazione cronica, lo stimolo prolungato ed eccessivo può produrre la fibrosi in ogni parte dell’organo e pregiudicarne la funzionalità FATTORI CHE INFLUENZANO LA GUARIGIONE DI UNA FERITA INFEZIONI FATTORI LOCALI CORPI ESTRANEI SEDE DELLA LESIONE FATTORI MECCANICI FARMACI FATTORI SISTEMICI NUTRIZIONE DIABETE PATOLOGIE VASCOLARI ASPETTI PATOLOGICI DELLA GUARIGIONE DELLE FERITE INADEGUATA FORMAZIONE DEL TESSUTO DI GRANULAZIONE deiscenza ulcerazione Es. aterosclerosi diabete ASPETTI PATOLOGICI DELLA GUARIGIONE DELLE FERITE ECCESSIVA FORMAZIONE DI TESSUTO DI GRANULAZIONE Cicatrice ipertrofica Formazione di cheloidi ASPETTI PATOLOGICI DELLA GUARIGIONE DELLE FERITE ECCESSIVA CONTRAZIONE DELLA FERITA GUARIGIONE DI UNA FRATTURA OSSEA RITARDO DI CONSOLIDAMENTO NON-UNIONE ONCOLOGIA TUMORI Un tumore cresce perché la produzione è superiore alla perdita delle cellule. Oncologia - definizioni L’oncologia (dal greco oncos = rigonfiamento) è lo studio dei tumori o delle neoplasie. Cancro = tutti i tumori maligni Una neoplasia è una massa anomala di tessuto la cui crescita eccessiva è scoordinata rispetto a quella del tessuto normale e persiste in questa condizione anche dopo la cessazione degli stimoli che l’hanno provocata Crescita afinalistica, a spese dell’ospite e dipende nondimeno dall’ospite (nutrimento e supporto vascolare, supporto ormonale) Che caratteristiche ha la crescita di un tumore? AFINALISTICA ATIPICA AUTONOMA AGGRESSIVA Oncologia - terminologia I tumori sono composti da: 1. una popolazione di cellule neoplastiche (che nel loro insieme sono dette parenchima); 2. da una parte di sostegno e nutrimento, detta stroma, prodotta dall’organismo in risposta a fattori di crescita elaborati dalle cellule tumorali Oncologia - terminologia COMPORTAMENTO CRITERI DI CLASSIFICAZIONE ISTOGENESI BIOLOGICO DEI TUMORI Classificazione in base al comportamento biologico TUMORI BENIGNI Il tumore benigno, caratterizzato da un accrescimento di tipo espansivo, è separato dai tessuti sani da una capsula, che non è dovuta alla proliferazione del connettivo del tessuto ma al fatto che la massa tumorale, crescendo per espansione, comprime, ammassandolo, il connettivo circostante. Il tumore benigno non dà metastasi e quando viene asportato non recidiva, a differenza del tumore maligno; l'eventuale danno che può arrecare è dovuto in gran parte alla compressione cui vanno soggetti i tessuti circostanti. Classificazione in base al comportamento biologico TUMORI MALIGNI Accrescimento infiltrativo maligno dove i tessuti normali vengono scompaginati, la massa tumorale risulta sprovvista di capsula e c'è la possibilità di una riproduzione a distanza (metastasi) del tumore rispetto all'area d'insorgenza. Classificazione istogenetica dei TUMORI GRADAZIONE dei TUMORI La gradazione del tumore indica il grado di differenziazione del tumore stesso: più è elevato il numero di cellule indifferenziate più è alto il grado che gli viene assegnato. La gradazione costituisce quindi anche un indice prognostico. GRADO I Tumore ben differenziato GRADO II Media differenziazione GRADO III Scarsa differenziazione GRADO IV Tumore non differenziato o anaplastico STADIAZIONE dei TUMORI La stadiazione del tumore indica la sua estensione e la sua diffusione. Ci sono molti schemi per la standardizzazione della stadiazione dei singoli tumori. Generalmente la stadiazione del tumore è importante per la prognosi e la scelta della terapia. T: dimensione ed invasività del tumore primario N: stato dei linfonodi regionali M: assenza o presenza di metastasi INVASIVITA’ Le modificazioni che si verificano a carico del DNA delle cellule tumorali le rendono capaci di esprimere una serie di molecole sulla loro membrana cellulare; queste molecole permettono alle cellule di staccarsi una dall’altra, di digerire la sostanza fondamentale e le membrane basali dei capillari, di indurre l’ospite a formare nuovi vasi molto fragili (angiogenesi), rendendo le cellule maligne capaci di viaggiare e, quindi, di produrre metastasi. I tumori maligni in tempo più o meno breve aggrediscono gli altri tessuti, sia quelli adiacenti (invasione locale) sia quelli distanti, tramite un processo che prende il nome di metastatizzazione. Metastasi VIE DI DISSEMINAZIONE CAVITA’ SIEROSE Cavità sierose MECCANISMO DELLE METASTASI METASTASI Angiogenesi tumorale Le cellule tumorali e le cellule che circondano il tumore, richiamano cellule endoteliali vicine per indurle a formare nuovi vasi che alimentino il tumore Questi vasellini sono fondamentali per la crescita del tumore: infatti le cellule tumorali, hanno bisogno di ossigeno e nutrienti per sopravvivere. Quando un tumore cresce, le cellule che si trovano a più di 1 mm di distanza da un vasellino muoiono: questo è il motivo per cui all’interno delle masse tumorali si trova necrosi in quantità più o meno abbondante. PRESENZA DI PARTICOLARI STIMOLI CHEMIOTATTICI CARATTERISTICHE DEL TESSUTO DA COLONIZZARE FLUSSO EMATICO Non sono sedi metastatiche INTERAZIONE TUMORE-OSPITE Ostruzione intestinale Sanguinamento ed anemia Ormoni corticosteroidi in eccesso INTERAZIONE TUMORE-OSPITE ENDOCRINOPATIE DERMATOMIOSITI SINDROMI FEBBRE PARANEOPLASTICHE PEMFIGO OSTEOARTROPATIA IPERCOAGULABILITA’ IPERTROFICA ANEMIA INTERAZIONE TUMORE-OSPITE TNFα PIF Le cellule tumorali liberano sostanze che le cellule normali non liberano oppure liberano in quantità modeste: queste molecole sono chiamate marcatori tumorali. La ricerca dei marcatori tumorali nel sangue dei pazienti può essere di aiuto nella diagnosi, per eseguire l’andamento della malattia dopo che sono state impostate le terapie antineoplastiche e per predire la recidiva prima che essa si renda clinicamente manifesta. PROTEINE ONCOFETALI Proteine che sono normalmente presenti durante un periodo variabile della vita embrionale o fetale e riappaiono nel corso di alcune neoplasie (CEA-antigene carcinoembrionario; AFP- alfafetoproteina) ORMONI DEL SINCIZIOTROFOBLASTO Prodotti a livello placentare durante la gravidanza (hCG – gonadotropina corionica umana), che compaiono nel siero dei pazienti affetti da coriocarcinoma e tumori del testicolo ORMONI ECTOPICI Prodotti da cellule che normalmente non li sintetizzano e responsabili di sindromi paraneoplastiche (per esempio, ormone adrenocorticotropo-ACTH, vasopressina e calcitonina, prodotti dal cancro a piccole cellule del polmone) ENZIMI Fosfatasi acida prostatica (che aumenta nel carcinoma prostatico), fosfatasi alcalina (il cui aumento è indice di metastasi epatiche od ossee), LDH (latticodeidrogenasi, aumenta nei linfomi), gammaglutamiltranspeptidasi-GGT (che aumenta nei pazienti con metastasi epatiche), etc… Antigeni associati al tumore Antigene ovarico (CA 125), il CA 15.3 (adenocarcinoma mammario e tumore ovarico), PSA – antigene specifico prostatico EZIOPATOGENESI DEL CANCRO: CANCEROGENI E CANCEROGENESI Studi epidemiologici hanno messo in evidenza l’esistenza di correlazioni tra alcuni fattori ambientali e l’incidenza di diversi tipi di cancro: la più nota è sicuramente quella esistente tra fumo e cancro del polmone (il 30% dei tumori è imputabile al fumo), ma esiste anche una correlazione tra fattori alimentari e cancro (il 35% dei tumori è imputabile ad abitudini alimentari). Questi dati sono importanti perché indicano che è possibile la prevenzione di molti tipi di cancro. EZIOPATOGENESI DEL CANCRO: CANCEROGENI E CANCEROGENESI L’esposizione di animali da esperimento ai fattori ambientali ha permesso di dimostrare che molti fattori differenti (virus, grande quantità di agenti chimici, radiazioni ionizzanti e ultraviolette) provocano tumori, sono cioè cancerogeni. I cancerogeni sono stati divisi a seconda della loro natura i tre grosse categorie: → Cancerogeni chimici ; → Cancerogeni fisici ; → Cancerogeni biologici. Qual è la proprietà biologica che accomuna tutti questi cancerogeni? Studi sperimentali hanno evidenziato che questi fattori sono tutti capaci di danneggiare ed alterare il DNA delle cellule bersaglio o di impedirne la riparazione. Quindi si può dire che l’insorgenza del cancro è il risultato di alterazioni a carico del DNA cellulare. Alcune considerazioni di ordine epidemiologico supportano questa teoria: 1. Alcune forme di cancro sono familiari (vi è cioè una suscettibilità di ammalarsi di tumore in una stessa famiglia superiore alla media della popolazione); 2. Individui con errori genetici che impediscono di riparare lesioni del DNA si ammalano più facilmente di alcune forme di cancro; 3. L’analisi citogenetica ha evidenziato l’esistenza di diverse anomalie cromosomiche nelle cellule di alcuni tipi specifici di cancro AGENTI INIZIANTI E AGENTI PROMOVENTI In Oncologia, molto importanti sono stati i dati ottenuti esponendo animali da esperimento a differenti dosi di cancerogeni chimici, secondo schemi diversi per sequenza e durata dell’applicazione. Sulla base dei risultati ottenuti, i cancerogeni chimici venivano suddivisi in agenti inizianti e agenti promoventi. Gli agenti inizianti, per la maggior parte mutageni (cioè capaci di provocare mutazioni a carico del DNA), somministrati a basse dosi non causano direttamente il tumore, ma predispongono le cellule a sviluppare tumore se vengono successivamente esposte ad altri agenti. Questi agenti causano un danno genetico alla cellula cui vengono applicati, ma questo danno non è sufficiente a svincolare la cellula da tutti i meccanismi di controllo proliferativo. Gli agenti promoventi, se somministrati prima degli agenti inizianti, non sono in grado di indurre tumore, ma inducono tumore nelle cellule già esposte agli agenti inizianti. Questi agenti sono mitogeni, inducono cioè la proliferazione cellulare che permette lo sviluppo di cloni di cellule che hanno perso il controllo proliferativo e hanno acquisito le caratteristiche di una neoplasia. IL PROCESSO DELLA CANCEROGENESI AVVIENE IN TRE STADI L’iniziazione consiste nell’indurre alterazioni genetiche nelle cellule; La promozione consiste nell’indurre la proliferazione cellulare di cellule già iniziate La progressione consiste nell’acquisizione di ulteriori alterazioni genetiche da parte delle cellule iniziate che hanno formato alcuni cloni; tali alterazioni (mutazioni o iperespressione di oncogeni e delezioni o inattivazione di geni oncosoppressori) permettono alla cellula di acquisire una completa autonomia invasiva La biologia molecolare ha permesso di evidenziare l’esistenza di alcuni geni (oncogeni) che possono trasformare cellule normali in cellule neoplastiche e, al contrario, la perdita o l’inattivazione di altri geni (oncosoppressori) nelle cellule tumorali. I geni trasformanti od oncogeni hanno sequenze di basi simili a quelle dei geni riscontrati in cellule normali che, per questo motivo, vengono chiamati protooncogeni, ma contengono mutazioni specifiche. I protooncogeni codificano per proteine che normalmente stimolano la proliferazione (fattori di crescita, recettori per fattori di crescita, fattori di trascrizione, etc); se, però, una cellula subisce, a carico di questi geni, alterazioni tali che essi vengano espressi in quantità superiore alla norma (iperespressione) o codifichino per proteine modificate che funzionano di più, la cellula incomincia a non risentire più dei meccanismi di controllo della proliferazione. I geni oncosoppressori sono geni che, in condizioni normali, inibiscono la progressione della cellula nel ciclo cellulare ogni qualvolta ve ne sia bisogno. Se la cellula perde il prodotto di questi geni, diventa incapace di fermare la proliferazione Una mutazione a carico di un oncogene o di un gene oncosoppressore è sufficiente ad indurre un tumore? La sequenza è necessaria perché una prima mutazione può conferire alla cellula colpita dal cancerogeno una capacità di sopravvivere in un ambiente ostile superiore a quella che hanno le altre cellule, cioè un vantaggio selettivo di crescita. Se la cellula mutata va normalmente incontro alla divisione cellulare, trasmetterà anche alle cellule figlie questa capacità: si seleziona, così, un clone che ha una chance in più di sopravvivere quando altre cellule non possono farlo. Nel clone formato, per effetto di un altro cancerogeno, una cellula può andare incontro ad un’altra mutazione che le conferisce un ulteriore vantaggio selettivo. A sua volta, questa cellula si espanderà a formare un clone che ha già almeno due chance in più di sopravvivere in condizioni difficili. In questo modo, man mano che le mutazioni o le delezioni si sommano, si va selezionando una cellula che non risponde più ai meccanismi di controllo proliferativo, e, a differenza delle cellule normali inserite nel contesto di un tessuto, è capace di motilità: si selezionano così cellule in grado di dare metastasi, perché hanno acquisito un potenziale metastatico alto. Una mutazione a carico di un oncogene o di un gene oncosoppressore è sufficiente ad indurre un tumore? Attualmente si ritiene che alla genesi di un tumore concorrano numerose e differenti alterazioni genetiche (cancerogenesi multifasica), secondo una sequenza che comprende delezione di geni oncosoppressori, mutazione di oncogeni e altre anomalie cromosomiche. Queste alterazioni sequenziali sembrano associate alla progressione ed all’aumento del grado di malignità. Infatti, la proliferazione è un processo troppo importante per essere tenuto sotto controllo solamente con pochi meccanismi e la perdita di una sola proteina di controllo non può permettere una 5-10 anni crescita incontrollata. Una mutazione a carico di un oncogene o di un gene oncosoppressore è sufficiente ad indurre un tumore? La sequenza è necessaria perché una prima mutazione può conferire alla cellula colpita dal cancerogeno una capacità di sopravvivere in un ambiente ostile superiore a quella che hanno le altre cellule, cioè un vantaggio selettivo di crescita. Se la cellula mutata va normalmente incontro alla divisione cellulare, trasmetterà anche alle cellule figlie questa capacità: si seleziona, così, un clone che ha una chance in più di sopravvivere quando altre cellule non possono farlo. Nel clone formato, per effetto di un altro cancerogeno, una cellula può andare incontro ad un’altra mutazione che le conferisce un ulteriore vantaggio selettivo. A sua volta, questa cellula si espanderà a formare un clone che ha già almeno due chance in più di sopravvivere in condizioni difficili. In questo modo, man mano che le mutazioni o le delezioni si sommano, si va selezionando una cellula che non risponde più ai meccanismi di controllo proliferativo, e, a differenza delle cellule normali inserite nel contesto di un tessuto, è capace di motilità: si selezionano così cellule in grado di dare metastasi, perché hanno acquisito un potenziale metastatico alto. Cancerogenesi multifasica 5-10 anni Perché l’insorgenza di carcinomi è più frequente rispetto a quella dei sarcomi? I carcinomi derivano da cellule epiteliali e, pertanto, capaci di dividersi; una cellula dello strato basale dell’epidermide si divide regolarmente per consentire al tessuto di mantenere il suo numero di cellule ogni volta che le cellule dello strato supeficiale esfoliano. La cellula ha probabilità di andare incontro ad una mutazione ogni volta che ha superato un certo numero di divisioni. E’ evidente, quindi, che una cellula labile avrà molte più probabilità di subire una mutazione di quante ne abbia una cellula perenne. La cellula con una sola mutazione continuerà a dividersi e a propagare la mutazione alle cellule figlie e così via, fino a che si selezionerà una cellula che somma un numero tale di mutazioni da renderla autonoma da un punto di vista proliferativo e di motilità. Tutte le vie d’ingresso del corpo umano sono rivestite da cellule epiteliali e tutti gli agenti cancerogeni devono interagire con esse, sia che essi vengano inalati (mucose del tratto respiratorio), introdotti con il cibo(mucose del tratto gastrointestinale) oppure il corpo ne venga a contatto(cute) esternamente.

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