Lezione 3 - Modificazioni istoniche PDF

Summary

Questo documento fornisce un'introduzione alle modificazioni istoniche e al loro ruolo nell'espressione genica. Il documento descrive i nucleosomi e fornisce un'introduzione ai saggi di accessibilità per studiare l'organizzare del DNA.

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MODIFICAZIONI ISTONICHE Concluso il discorso sulla metilazione del DNA, dobbiamo passare allo step successivo, ossia parlare degli istoni: come sappiamo essi sono proteine con una struttura estremamente conservata e un ripiegamento specifico, che si associano tra loro a formare i nucleosomi. Essi so...

MODIFICAZIONI ISTONICHE Concluso il discorso sulla metilazione del DNA, dobbiamo passare allo step successivo, ossia parlare degli istoni: come sappiamo essi sono proteine con una struttura estremamente conservata e un ripiegamento specifico, che si associano tra loro a formare i nucleosomi. Essi sono infatti ottameri di istoni attorno ai quali il DNA si avvolge per circa 146 bp, lasciando poi un piccolo segmento di DNA linker libero tra un nucleosoma e l’altro approssimativamente di 80bp. Il nucleosoma è quindi la struttura, conformazione di base e più lassa della cromatina, che è stata inizialmente determinata con saggi di accessibilità grazie al lavoro del premio Nobel Kornberg che fu per primo in grado di determinare la sua organizzazione e quindi di porre le basi per come essa influisce sull’espressione genica. Nello specifico questi saggi di accessibilità sono basati come sempre su un sistema naturale delle cellule, ossia il sistema con cui esse sono già dalla partenza programmate per morire: parliamo dell’apoptosi, che si esprime attraverso una cascata di eventi fino alla degradazione degli inibitori delle nucleasi cellulari, che sono così libere di attuare la loro attività litica sul genoma e di degradare il DNA. Ma questo processo non è randomico, bensì avviene in corrispondenza dei segmenti di DNA linker che abbiamo prima citato: rispetto al resto del DNA avvolto attorno agli istoni essi sono infatti più accessibili e meno ingombrati stericamente, per cui l’attività enzimatica può espletarsi. Da un’analisi elettroforetica ciò che si ottiene sono una serie di bande discrete formate da 150bp e multipli, che sono appunto una traccia caratteristica dell’apoptosi; se da un’estrazione di DNA genomico si ottiene questo risultato è sicuro che la cellula stia morendo, si tratta di un saggio semplice ma sicuro. Ovviamente Kornberg non era a conoscenza di questi fattori, ma eseguì alcuni esperimenti, nello specifico sul gene della 𝛽-globina: dapprima i nuclei venivano purificati dal resto della cellula, processo piuttosto semplice. Ciò infatti necessita solo di un buffer e un detergente per ledere la membrana plasmatica, e quindi di centrifugazione per estrarre i nuclei pesanti. Essi sono quindi resi parzialmente permeabili al passaggio di nucleasi, nello specifico DNAasi1, nucleasi micrococcale, e varie attività enzimatiche degradative. Eseguendo quindi una digestione controllata Kornberg potè osservare questo pattern specifico di degradazione del DNA genomico; lo stesso insieme di segmenti e multipli di segmenti da 150bp invece non si trovano nella degradazione di DNA plasmidico, oppure nel caso in cui il DNA fosse prima estratto e separato dal resto del contesto proteico. Doveva chiaramente essere presente una struttura che in qualche modo lo proteggeva, dato che in assenza di essa la degradazione risultava randomica e si osservavano delle strisciate o smear in elettroforesi piuttosto che bande definite. Arrivò allora ad ipotizzare la struttura cromatinica, con le zone più compatte meno degradate in quanto meno accessibili, che corrispondono anche a geni meno espressi, e viceversa per quelli trascrizionalmente attivi. Queste furono le prime prove, i primi approcci fondamentali per capire il ruolo della complessità strutturale del DNA nella sua espressione; la presenza degli istoni a formare i nucleosomi e la loro interazione con il DNA è molto forte e fondamentale nella struttura (al punto che si riassociano da soli senza bisogno di particolari condizioni in soluzione). Questa introduzione è necessaria in quanto uno degli aspetti che influiscono maggiormente sulla complessità strutturale del genoma sono proprio gli istoni e le loro modificazioni: a formare i nucleosomi ci sono di base 4 tipi di istoni, ossia H3 e H4, H2A e H2B, ed anche H1 che unisce il filamento di DNA linker bloccando l’intero complesso. Mentre H1 differisce leggermente, i 4 elementi dell’ottamero istonico sono estremamente simili e conservati tra loro: in particolare c’è una zona di 3 domini di folding che non solo è essenzialmente uguale a livello di omologia in tutti e 4 gli istoni di un organismo, ma è anche mantenuta tra diverse specie. Ovviamente la sequenza del DNA può variare leggermente, ma essenzialmente l’insieme degli amminoacidi rimane lo stesso e soprattutto il ripiegamento che la proteina assume, portando alla stessa conformazione della cromatina in quasi tutti i geni di organismi dagli archeobatteri fino a noi. Questo ovviamente è derivato da una pressione selettiva per mantenere questa organizzazione e stabilità nel genoma, che è soprattutto importante a livello dell’eterocromatina con regioni ripetute, come abbiamo visto parlando della metilazione del DNA, ed anche per la gestione dell’espressione del DNA. Vediamo allora di capire meglio come sono strutturati questi istoni: a parte i tre domini conservati, essi presentano alcune differenze alle estremità N e C terminali, e sono generalmente molto ricchi di amminoacidi acidi con carica positiva, come lisine e arginine, che garantiscono un’ottimale interazione elettrostatica con il DNA. L’estremità N terminale poco ripiegata in particolare è estremamente importante nella determinazione dell’intensità di questa interazione come vedremo, e per questo su di essa possono avvenire numerosissime modificazioni post-traduzionali di cui parleremo approfonditamente; alcune avvengono anche nell’estremità C-terminale, che tuttavia risulta meno caratterizzata e meno rilevante. Per capire innanzitutto la struttura degli istoni e quindi della cromatina è essenziale comprendere come essi interagiscono tra loro: in particolare tendono a formare eterodimeri, con H3 e H4 che interagiscono e H2A e H2B, grazie ad elementi di ripiegamento del tipo elica-ansa-elica. Quindi questi eterodimeri insieme portano alla formazione del nucleosoma, sempre con una serie di interazioni molto specifiche di tipo handshake: i due eterodimeri di H3-H4 si uniscono a livello degli H3, formando un tetramero, e quindi gli eterodimeri H2A-H2B possono unirsi ma sempre con H2B che prende contatto con H4. Non ci sono altre combinazioni o interazioni differenti, lo stato della struttura è sempre esattamente questo e forma un insieme cilindrico che ha una simmetria diade, ossia può essere diviso esattamente a metà tra i due H3 generando due unità speculari. Ma perché è così rilevante la specificità di questa organizzazione? Il fatto è che per il modo in cui si dispongono, i domini dei singoli istoni espongono verso l’esterno i loro amminoacidi con carica positiva (qui parliamo di elementi ripiegati nelle proteine, non ancora delle code N-terminali) formando una superficie attrattiva per il legame del DNA; in particolare vi sono 12 punti di contatto dati dalle arginine degli istoni, che si posizionano in corrispondenza del solco minore del DNA. E mentre le coppie di eterodimeri H2A e H2B forniscono una superficie orizzontale, H3 e H4 ne danno una obliqua, guidando così esattamente il primo avvolgimento, salita e secondo avvolgimento (anche se è solo per tre quarti) del DNA. C’è quindi un incastro esattamente perfetto che rende conto del motivo per cui la cromatina essenzialmente si assembla da sé anche in soluzione, la superficie è ordinata per formare il contatto elettrostatico e solo questa struttura organizzata permette la formazione del nucleosoma. L’estrema precisione spiega anche perché il nucleosoma è formato da esattamente 147bp che girano attorno all’ottamero istonico (anche se dai tagli enzimatici si possono avere risultati leggermente diversi a seconda del punto considerato sul DNA linker) con un avvolgimento di un giro e 3/4. Inoltre nella zona più interna dell’ottamero istonico si forma una zona nota come acidic patch, strutturata da H2A e H2B e in cui si trovano alcuni amminoacidi con carica negativa; si tratta di una zona accessibile ad alcune proteine con cui può interagire, determinando dei cambiamenti nella struttura e quindi nella funzionalità dei geni. Ovviamente poi gli istoni essendo proteine vengono prodotti nel citoplasma, e devono essere portati e posizionati nel nucleo a formare la cromatina secondo una certa gerarchia ed ordine; a questo scopo esistono delle proteine specifiche note come chaperonine. Tra l’altro alcune modifiche post- traduzionali della coda N-terminale sono coinvolte in questo processo di localizzazione ed avvengono quindi prima del posizionamento degli istoni, ma ne parleremo più approfonditamente trattando appunto delle modifiche. Prima tuttavia è necessario precisare che gli istoni di cui abbiamo trattato sono solamente quelli replication dependent, ossia che sono espressi in funzione della replicazione durante la fase S e G2 perché servono a riassemblare la cromatina del DNA in replicazione; il processo avviene in contemporanea, con una chaperonina che li trasporta e interagisce con il PCNA a livello della forca replicativa. Gli istoni scalzati durante la replicazione si mischiano a quelli nuovi e riformano la struttura; essi si trovano allora a venire espressi in cluster soltanto durante questa fase quando sono necessari, ed una “rest cell” che non replica più avrà i geni corrispondenti inattivi per esempio. Tuttavia esistono anche delle varianti istoniche che non sono replication dependent, bensì vengono espresse quando c’è necessità per le varie funzioni che esse ricoprono; innanzitutto tra questi c’è H1, ma anche altri elementi: H2AX – è espresso da un gene a sé in condizioni di stress genotossico ed incorporato nel sito in cui è presente un danno di delezione, alterazione chimica, o anche single strand o double strand break. Esso rappresenta quindi un marcatore che segnala la necessità di riparazione del DNA e recluta i sistemi di vario tipo necessario; in particolare ciò avviene anche grazie alla sua fosforilazione che si lega alla coesina, stabilizzando il punto di rottura. H2AZ – ha una discreta divergenza rispetto alla sua controparte replication dependent, e gli sono state attribuite diverse funzioni, complicate anche dalle modificazioni post-traduzionali che può subire; esso è abbondante soprattutto in cellule che non si replicano più, è inversamente proporzionale alla metilazione e si concentra in nucleosomi vicini a siti privi di nucleosomi e quindi attivi transcrizionalmente o che sono pronti per essere attivati. Potrebbe essere coinvolto nel mantenimento della memoria epigenetica. H3.3 – esso si localizza nelle zone attivamente trascritte ed è un segnale di riconoscimento per gli enzimi responsabili della modifica di istoni in locus attivi, ad esempio i complessi di rimodellamento o gli enzimi writers per modificazioni della coda N-terminale. CenH3 – caratterizza i centromeri ed è molto diverso dalla sua controparte, probabilmente a causa di una pressione selettiva per far sì che interagisca solo con certi macchinari mitotici; si suppone sia coinvolto anche nel riconoscimento dei cromosomi paterni e ha un ruolo insostituibile durante la segregazione. Possiamo ora passare a parlare della coda N-terminale, poco ripiegata e che protrude dalla struttura del nucleosoma, ricca in lisina e arginina (tutto l’istone in generale ne è particolarmente ricco), ma anche serina e persino tirosina. Questi sono tutti amminoacidi disponibili ad una modificazione post-traduzionale, per esempio fosforilazione per la serina, acetilazione e metilazione per la lisina, che vanno a modificare l’intensità dell’interazione tra istone e DNA e quindi il compattamento della struttura; di base gli amminoacidi positivi lisina e arginina garantiscono un legame piuttosto stretto, e sono presenti nel corpo del core istonico piuttosto che solo nella coda come abbiamo visto prima parlando della struttura. In ogni caso le modificazioni della coda istonica aiutano o intralciano l’avvolgimento del DNA e quindi la compattazione della cromatina, e sono catalizzate da enzimi writers ed erasers bidirezionali; ciò significa che si tratta di modificazioni reversibili, che vanno a guidare la funzionalità della cromatina e possono essere sia eseguite dopo il posizionamento dell’istone, per la maggior parte, che talvolta anche prima. Come possiamo vedere dall’immagine non solo le modificazioni possibili sono tante nei soli primi 20 amminoacidi, ma sono anche in punti diversi e in istoni diversi, e quindi con significati diversi: ad oggi conosciamo circa un centinaio di modificazioni con i relativi significati, ma le combinazioni sono tantissime e vanno a formare un vero e proprio codice istonico. Esso essenzialmente determina la funzionalità dei geni in modo epigenetico, anche se sempre in parallelo con la genetica; il livello di complessità e compattazione influisce infatti sul riconoscimento di sequenze specifiche e responsive elements, che sono intrinsechi nella sequenza delle basi azotate. A differenza del codice genetico tuttavia quello istonico è molto più difficile da comprendere e decifrare, in quanto è molto più complesso a livello sia di numeri di base che di combinazioni possibili, che vanno considerate poi nel loro insieme: le singole modificazioni sono allora da scoprire, capire e poi valutare nel contesto generale. Questa identità si può osservare usando dei saggi di immunoprecipitazione con anticorpi, che vanno a legare le modificazioni specifiche sui vari amminoacidi degli istoni e ci permettono di visualizzarle nell’insieme. Per capire meglio il concetto generale proviamo a fare un esempio con l’acetilazione l’istone H4 e H3: essi sono tra gli istoni più studiati, ed è interessante osservare che nonostante le loro sequenze N-terminali siano differenti, sia a livello di amminoacidi che di domini, sono estremamente conservate a livello filogenetico, soprattutto per gli amminoacidi con un ruolo importante di modificazione come la lisina. Tra noi, topi, moscerini della frutta e persino archeobatteri si hanno essenzialmente le stesse posizioni con gli stessi amminoacidi modificabili o quasi, come avveniva per il ripiegamento istonico, a riprova dell’importanza della loro funzione e anche del fatto che ricoprono ruoli di regolazione simili tra tutti gli organismi; altrimenti non ci sarebbe stata una pressione evolutiva così forte per conservarli. Andando allora nello specifico l’acetilazione avviene sulle lisine (e in minor misura sulle arginine) e su H4 abbiamo 5 lisine mentre su H3 ben 4; queste ultime che possono essere acetilate o metilate in modo mutiualmente esclusivo a causa dei diversi significati funzionali. E’ evidente che la lisina abbia un ruolo fondamentale, dato che in appena 20 amminoacidi iniziali vi sono concentrazioni così elevate. Vi è proprio un ordine gerarchico con cui avviene la modificazione: in H4 ad esempio la prima a venire acetilata è sempre la lisina 16, per poi passare alla 12 o alla 8 ed infine alla 5. Se osserviamo quindi una lisina 5 dell’istone H4 acetilata abbiamo sicuramente a che fare con una tetracetilazione in quanto c’è questa progressione dalla mancanza di modifiche attraverso la mono, di, tri ed infine tetracetilazione; e se osserviamo una tetracetilazione, quasi sicuramente abbiamo a che fare con un gene attivo. Un fenomeno simile avviene su H3; ma allora perché l’acetilazione provoca attivazione della trascrizione? La risposta è molto semplice ed è basata sulla carica: come abbiamo detto precedentemente la lisina ha una carica positiva, che le permette di interagire in modo forte con il DNA carico negativamente. L’acetilazione va a mascherare questo sito, neutralizzandolo, riducendo così l’interazione elettrostatica e causando un minore contatto; la cromatina allora, se questo avviene su diversi nucleosomi, può passare in uno stato meno condensato semplicemente con una variazione di carica. Si apre allora lo spazio per reclutare innanzitutto altri enzimi che lavorano sullo stato di condensazione, come i complessi di rimodellamento, che riconoscono la modificazione e agiscono di conseguenza, e quindi elementi di trascrizione che riconoscono siti di binding prima nascosti. Ed infatti l’acetilazione degli istoni è un fenomeno associato all’eucromatina, anche se dobbiamo ricordare che non abbiamo mai la certezza ma soltanto delle previsioni e delle conseguenze che ci aspettiamo: occorre però sempre eseguire una verifica e dimostrare il significato della modificazione con cui stiamo lavorando, anche perché se otteniamo qualcosa di “anomalo” ed inaspettato è ancora più interessante. Rimanendo sul discorso dell’acetilazione grazie alle tecniche di studio (vedi pdf lezione 4) siamo stati in grado di capire sia dove che a quale livelllo, quindi la distribuzione e la quantità, di numerosissime modificazioni instoniche, permettendo di eseguire confronti per ogni singolo locus tra modelli diversi: cambia l’acetilazione tra un tessuno normale ed uno staminale? E tra uno sano ed un tessuto neoplastico? E tra uno malato e quello che sta venendo trattato con un certo farmaco o una certa terapia, c’è effettivamente una risposta terapeutica epigenetica a livello di tutto il genoma? Chiaramente si tratta di una frontiera estremamente interessante, soprattutto perché una volta determinata se c’è una differenza a livello della risposta epigenetica possiamo anche cercare di interagire con essa, dato che l’epigenetica è essenzialmente reversibile e duttile, diversamente dalle difficoltà che porta con sé la genetica. È molto più difficile infatti andare a correggere una mutazione genica con una terapia genica in tutto un organismo, mentre le epimutations che sono alla base di patologie, ma magari anche di diversi decorsi o persino diverse risposte ad una terapia possono effettivamente essere modulate se capiamo come funzionano: è qui che sta la grandiosità di poter definire dove si trova e come funziona una modificazione epigenetica. Allora prendiamo come riferimento il solito HCSC database ed andiamo a vedere come è distribuita l’acetilazione; ovviamente noi facciamo riferimento ad uno o pochi locus, ma i bioinformatici sono in grado di ricavare da questi database i file con le coordinate genomiche di una certa modificazione per poter poi fare una sovrapposizione e confronto su tutto il genoma. In ogni caso possiamo qui andare ad analizzare l’acetilazione sulla lisina H27 dell’istone H3, che è leggermente diversa da quelle di cui abbiamo parlato precedentemente, come sulla lisina 4 che indica tetracetilazione del sito, ma ha un ruolo analogo; occorre andare a flaggare “show” su ENCODE regulation, nel nostro caso per esempio visualizzando il gene DMT1 – il sito di inizio della trascrizione è a destra, e possiamo cliccare sulla banda per ottenere maggiori informazioni sulle modificazioni istoniche. Più info TSS Qui non possiamo osservare le acetilazioni di cui abbiamo parlato prima semplicemente perché non sono salvate nel browser di default, ma questo non è l’unico dataset ricavato per immunoprecipitazione a cui fare riferimento: vi sono infatti altri siti come GEO in cui vi sono tutti i dati depositati e a nostra disposizione, per cui è sufficiente scaricarli, andare a caricare su UCSC ed osservare la visualizzazione. Le informazioni a nostra disposizione sono così tante che è possibile fare delle scoperte ed ottenere pubblicazioni semplicemente ponendosi delle domande e analizzando i dati già forniti, accettati e considerati, senza nessun tipo di effettivo esperimento pratico. Come stavamo dicendo allora se andiamo ad osservare la distribuzione dell’acetilazione della K27H3 possiamo vedere che si trova esattamente sul trascription start site o TSS, e non solo in questo gene: se andassimo infatti ad analizzare con un anticorpo specifico le decine di milioni di sequenze di DNA immunoprecipitate otterremmo quasi sempre lo stesso risultato. Ed inoltre non c’è solamente questa modificazione epigenetica, ma ne possiamo anche osservare altre associate: ad esempio la tetracetilazione di H4 che dicevamo prima, la metilazione di K4 di cui parleremo tra poco, ed anche una sovrapposizione con CpGi. Tutto questo indica essenzialmente che il gene in questione è attivo e trascritto, e infatti non a caso si tratta di quello per la metil-transferasi; tuttavia come abbiamo già detto molte volte occorre sempre confermare le nostre previsioni, e in questo caso lo si può fare andando a svolgere un RNA sequencing. In questo modo infatti estraiamo l’RNA dalla cellula, che è un’indicazione diretta di quali geni sono attivamente trascritti (possiamo eseguire anche una valutazione quantitativa da questi dati), e dal suo sequenziamento otteniamo i cosiddetti reads, che possiamo allineare nel nostro database con il DNA: essi si sovrapporranno esattamente agli esoni dei geni trascritti ed espressi attivamente, confermandoci la nostra ipotesi – si sovrappongono infatti alle modificazioni prima descritte. (Per ottenerli da UCSC – Encode regulation – Integrated regulation code in alto a destra – attivare flag trascrizione). Tra l’altro è interessante osservare che i picchi forniti da UCSC sono di diversi colori, in quanto corrispondono alle tecniche di ChIP e sequenziamento svolte su diverse linee cellulari, che possiamo isolare per osservare nel dettaglio; è evidente come non solo queste modifiche siano allora costanti in un genoma, ma si conservino anche in elementi tissutali e cellule differenti, rendendo conto della loro importanza. Fino a questo momento abbiamo essenzialmente descritto cosa accade ed anche dimostrato il perché per l’acetilazione delle prime 20 lisine delle code istoniche; tuttavia come abbiamo già visto esse si possono estendere oltre ed anche più a valle. In particolare l’acetilazione stessa di cui abbiamo parlato illustrando come osservare le modificazioni nell’UCSC è su una lisina successiva, la K27; essa corrisponde ad una regione enhancer, che regola la trascrizione più a distanza ed è quindi acetilata sui propri istoni aiutando l’espressione del gene. Lo stesso vale ancora oltre, con la lisina 36 ad esempio, che viene addirittura acetilata durante la trascrizione stessa in quanto si trova nel corpo del gene: l’acetil-transferasi che si occupa della sua modificazione infatti è reclutata dall’apparato trascrizionale, e l’acetilazione è necessaria per “aprirle la strada”. Chiaramente se con un ChIP seq andiamo a cercare l’acetilazione di questa lisina, quasi sicuramente avremo la conferma che il nostro gene è attivo e in trascrizione; lo stesso in realtà vale anche per la K5 di cui abbiamo parlato all’inizio, che quando è metilata indica tetracetilazione per cui i geni corrispondenti sono attivi o al massimo pronti per essere trascritti. Nonostante si tratti sempre di approssimazioni a livello globale parlare dell’acetilazione di queste lisine e parlare di trascrizione sono dei concetti fortemente associati; in ogni caso non bisogna compiere l’errore di studiare queste modificazioni a sé e senza considerazioni precedenti. Ad esempio in un tessuto anomalo o tumorale non ha senso chiedersi la distribuzione di una certa modificazione epigenetica senza prima aver studiato il trascrittoma: prima individuiamo se ci sono geni la cui espressione è alterata rispetto alla situazione normale, e poi risaliamo al perché con tecniche come il ChIP seq. Passiamo allora ad analizzare un tipo differente di modificazione molto rilevante: parliamo della metilazione, che può avvenire sul gruppo amminico sia di lisine che arginine anche se come sempre sono maggiormente studiate ed anche diffuse le prime. La caratteristica particolare della metilazione è che essa può avvenire su ben 3 livelli, ossia vi può essere una monometilazione, dimetilazione ed infine trimetilazione sulla stessa lisina; per capirne la funzione specifica chiaramente è stato necessario sviluppare degli anticorpi che potessero differenziare tra le 3. Per quanto possa sembrare assurdo si è effettivamente ottenuto questo risultato, andando a determinare una risposta anticorpale policlonale in conigli o topi in seguito all’inserimento di una delle tre versioni di lisina metilata; quindi dall’estratto del siero, che contiene diversi anticorpi con diverse affinità, è stato immunoprecipitato per reazione con l’antigene (ossia la lisina tot- metilata) desiderato, in modo da ottenere solo gli anticorpi che riconoscono con maggiore efficienza una delle tre metilazioni. Così è stato possibile applicare alla metilazione le stesse tecniche delle altre modificazioni, studiando la distribuzione e soprattutto il livello di metilazione delle lisine in tutto il genoma: si è così potuto osservare che esse non hanno sempre lo stesso significato. In particolare, se l’istone H3 ha la lisina 4 trimetilata in prossimità di un TSS di un gene, allora esso è sicuramente attivo trascrizionalemente; viceversa, se questa trimetilazione è sulla lisina 27, allora il gene è quasi certamente spento. Le due modifiche sono mutualmente esclusive ad eccezione di circa un centinaio di promotori bivalenti, che corrispondono a geni “ready for transcription”: essi infatti sono di base disattivati ma potrebbero tornare utili alla cellula, per cui presentano entrambe le modificazioni in modo da poter essere velocemente attivati perdendo H3K27met3. Ovviamente come al solito abbiamo a che fare con modificazioni che sono generalmente associate ad uno stato del gene ma non dobbiamo sempre dare per scontato che sia così, anzi trovare un’eccezione alla regola significa avere qualcosa di interessante tra le mani. Con questa conoscenza dalla nostra parte possiamo anche osservare come sul TSS di DNMT1 c’era effettivamente una sovrapposizione di K4 trimetilata insieme alla K27 acetilata, a confermare le nostre aspettative. Lo studio della trimetilazione di K4 e K27 è fondamentale per discernere numerose informazioni: il gruppo di ricerca del prof ha dimostrato la possibilità di analizzare l’epigenoma di cellule conservate in formaldeide da biopsie e vari tessuti, anche risalenti a 20-30 anni fa. Ciò ha aperto la porta allo studio a posteriori delle modificazioni epigenetiche e delle possibili cause di insorgenza di una malattia o diversa risposta terapeutica; in particolare la ricerca ha dimostrato l’esatta corrispondenza dell’immunoprecipitazione per riconoscere K4 e K27 fatta su queste cellule e su colture dello stesso tipo, e ha provato le differenze a seconda dell’attivazione/inattivazione del gene corrispondenti a ciò che abbiamo detto precedentemente. Vedi tecniche di studio. Per quanto riguarda invece la mono e dimetilazione generalmente si tratta di step che progressivamente portano alla trimetilazione, per cui possiamo osservare come “un’onda” di modificazioni epigenetiche, di cui la monometilazione è più estesa lungo il gene, la dimetilazione meno e infine la trimetilazione si concentra sul TSS. trimetilazione Essenzialmente quindi si osserva che la mono metilazione è molto più distribuita e mano a mano che aumentano i livelli della monometilazione modificazione il picco diventa sempre più sharp e copre un tratto sempre meno ampio, concentrandosi sul TSS. Questo livello così alto di metilazione è necessario per il reclutamento della RNA polimerasi e quindi l’attivazione della trascrizione; è interessante osservare che poi la RNA polimerasi stessa richiama alcuni enzimi in grado di svolgere la trimetilazione, quindi di aggiungere l’ultimo livello a lisine istoniche già dimetilate. Si tratta per esempio di Set 1 e 2, anche se parleremo meglio degli enzimi che svolgono queste modificazioni successivamente, che sono specifici per la trimetilazione (mentre ve ne sono altri che svolgono la mono e di metilazione esclusivamente); con la loro azione può partire la trascrizione e l’espressione genica, ed hanno anche un ruolo nel metilare lisine a valle del TSS per permettere il procedere della trascrizione stessa, come sulla K36 ad esempio (ma non ci addentreremo molto nell’argomento). Continuando sull’argomento della trimetilazione un aspetto molto importante di questa modificazione è la sua capacità di comunicare con altre in un cross-talk istonico, che nell’insieme determina un messaggio complessivo sulla cromatina. Per esempio è stato osservato che la mono-ubiquitinazione della lisina 120 dell’istone H2B promuove la trimetilazione della K4 sull’istone H3. Poi andando a studiare per immunoprecipitazione la trimetilazione della K4 in alleli di varianti istoniche, con una ricerca volta ad osservare l’attività di una molecola in grado di eseguire modifiche di tipo epigenetico e quindi con potenziali capacità per trattamento neoplastico, si è osservato che l’aumento della metilazione delle K4 andava ad inibire o prevenire la metilazione delle K9 sullo stesso istone. Nelle cellule trattate con la molecola in cui c’è una forte metilazione della K4 infatti si può osservare che i livelli di K9 sono molto bassi, e viceversa dove K9 è più abbondante K4 deve necessariamente diminuire. In ogni caso questa comunicazione tra le due modificazioni è dovuta al fatto che i complessi che metilano la lisina 4 allo stesso tempo bloccano altri complessi che andrebbero a metilare la lisina 9, stimolando uno spegnimento del gene che è in contrasto con la loro attività. È proprio questo cross-talk, questo insieme di modificazioni che partecipano nel loro complesso e sono concertati da complessi in cui l’uno condiziona l’altro che forniscono il cromatine state, ossia determinano la funzionalità e la compattazione della cromatina in un tratto. Questa enorme complessità è alla base del motivo per cui ad oggi in lavori molto importanti non basta nemmeno studiare una modificazione nell’intero genoma, per vederne le differenze tra due tessuti di cui uno malato o in trattamento farmacologico magari, bensì serve studiare nel loro insieme più modifiche per vedere come si coordinano le loro diverse attività funzionali e come regolano lo stato cromatinico. Nell’ambito di questo cross-talk e copartecipazione non deve allora apparire strano il fatto che la stessa modificazione, con lo stesso livello e sullo stesso tipo di amminoacido, ossia la trimetilazione di una lisina, sia in grado di dare due effetti opposti quando posizionata in un contesto amminoacidico differente: è il caso di K4 e K27, in cui a poca distanza la stessa trimetilazione inibisce la trascrizione genica invece che attivarla. La chiave sta negli enzimi, in particolare qui sono coinvolti EZH1 e EZH2, che spesso si ritrovano in complessi di natura repressoria denominati poly-comb: essi riconoscono messaggi nella struttura e decretano il compattamento della cromatina. In particolare questi Poly-Comb repressori si trovano in alcune zone di eucromatina in Drosophila, oltre che in eterocromatina e nel cromosoma X, e sono appunto sempre associati alla trimetilazione della K27. Oltre che sui promotori di geni spenti poi K27met3 si può trovare in alcuni promotori bivalenti come accennavamo prima che sono pronti per essere velocemente accesi nonostante si trovino in uno stato ancora represso, come quelli per i danni al DNA che vanno riparati tempestivamente o per la maturazione di cellule in attesa. Infine per concludere con questa modificazione e con la metilazione in generale essa è coinvolta anche il pathway che portano allo sviluppo del cancro, in quanto gli enzimi che la determinano sono sovra-espressi in molti tipi di tumore inclusi quelli al cancro e alla prostata. Come abbiamo già accennato prima, questi marker di modificazione sono estremamente conservati durante l’evoluzione in tutti gli organismi eucarioti che hanno DNA organizzato con istoni, in particolare questo vale per le lisine che in organismi estremamente diversi si trovano esattamente nelle stesso posizioni, o poco spostate, e con lo stesso identico significato. Non a caso gli anticorpi immuno-specifici che si usano per identificare queste modifiche con immunoprecipitazione sono indicati come adatti sia per cellule umane, che per topi, che per la Drosophila, e spesso non si va ad escludere neanche altri organismi modello utilizzati come C.Elegans, semplicemente non sono testati e occorre fare delle verifiche. Un esempio estremo di questo riguarda uno studio del professore sulla Leishmania, un parassita che va ad infettare i macrofagi nel sangue delle vittime, e li sfrutta per la sua riproduzione invece che venire distrutta da essi. Per capire come potrebbe avvenire questo processo di resistenza lo studio voleva identificare le differenze a livello epigenetico nei macrofagi, supponendo ci dovesse essere almeno qualche variazione; si parti dall’immunoprecipitazione della lisina 4 trimetilata, senza però risultato ad eccezione di due geni con una risposta interessante, molto elevata. Tuttavia ad un’ulteriore analisi essi furono riconosciuti come appartenenti al genoma di Leishmania, e molto trimetilati perché servivano per la trascrizione dei loro geni policistronici; la vera parte interessante sta nel fatto che si sia potuto immunoprecipitare questo organismo così lontano da noi con esattamente gli stessi anticorpi, che denota la stessa identica modificazione epigenetica. Allora lo studio si è spostato sull’espressione epigenetica di Leishmania in fase di infezione nel macrofago e fuori da esso, osservando ad esempio che con la lisina K27 l’immunoprecipitazione è fallita in quanto essa si trova spostata di qualche amminoacido e in un contesto differente. Questo esempio ci rende conto di quanto possa essere estesa la conservazione evolutiva di queste sequenze e modificazioni epigenetiche, e di quanto sia utile nello studio: possiamo infatti usare modelli animali come quello del topo pper ottenere risultati che saranno sicuramente o quasi adattabili all’uomo. Se confrontassimo il genoma MM10 del topo con quello che abbiamo usato hr19 umano su UCSC potremmo vedere gli stessi livelli di trimetilazione e acetilazione delle lisine in geni analoghi come DNMT1, ed anche le CpGi sarebbero probabilmente molto speculari per l’importanza dell’imprinting che rende conto della sua conservazione. Procediamo ora verso un nuovo tipo di modificazione, ossia la fosforilazione; essa avviene su tutti gli istoni (H1 compreso) in corrispondenza di amminoacidi come serine, treonine e tirosine. Ad esempio H2A può essere fosforilato sulla serina 1, H2B sulla 14 e 32, H3 sulla serina 10 e 28 e H4 di nuovo sulla 1, anche se come sempre la modificazione più studiata è quella dell’istone H3 sulla serina 10. Il motivo per cui questo istone è così ampiamente caratterizzato è perché ha, insieme all’H4, il maggior numero di lisine, che come abbiamo visto rappresentano uno degli amminoacidi più modificati; la seconda motivazione è la disponibilità di reagenti, che serve avere per poter studiare in modo accurato una certa modifica e soprattutto occorre che siano affidabili e comprovati. Per questo ci si concentra sempre sugli stessi elementi, in modo da evitare errori di cross-talk, anche se come diciamo sempre tutti i reagenti vanno prima testati e soprattutto occorre assicurarsi che le condizioni di diluizione, forza ionica, antigene presente siano quelle adeguate. Tornando a noi la fosforilazione di serine ed altri amminoacidi avviene grazie a chinasi, e a seconda dell’enzima responsabile si possono avere risultati diversi; la fosforilazione della S10 tuttavia è sempre associata alla condensazione cromosomica, ossia questa modificazione è particolarmente rappresentata nei cromosomi in fase mitotica. Andando ad eseguire un’immunofluorescenza su cellole sincronizzate in metafase, magari usando un agente bloccante come la colchitina, si può osservare l’ampia presenza di S10 indicata come segnale fluorescente, che poi va a diminuire successivamente; è quindi legata all’eterocromatinizzazione ma solo durante la divisione. Questo tipo di visualizzazione di varie modificazioni epigenetiche direttamente sui cromosomi è molto utile soprattutto in ambito diagnostico, colorando i cromosomi per andare ad osservarne il bandeggio e determinare se ci sono delle anomalie; una volta questo era fatto manualmente osservando i risultati al microscopio elettronico e confrontandoli con standard, mentre oggi abbiamo sonde di colori diversi per i vari siti ed è il computer a riallineare gli elementi ed indicare se ci sono problemi, portandoci molto avanti nella diagnostica di aneuploide o fragilità cromosomiche in fase fetale ad esempio. Tornando alla nostra fosforilazione sulla serina 10, anch’essa esegue un cross-talk con altre modificazioni ed è spesso associata all’acetilazione di lisina 9 e 14 nell’eucromatina, oltre che ad alcune acetilazioni sull’istone H4. Questo ci fa comprendere una sua associazione alla trascrizione quando si trova nell’eucromatina (non in fase di divisione quindi): in particolare la fosforilazione della serina 10 facilita la trascrizione, pur non essendo così forte come la metilazione nel determinarla. Se non c’è S10 fosforilata per esempio K9 più che essere acetilata viene di- metilata, rendendo tutto il TSS meno predisposto all’espressione; questo è dovuto probabilmente al fatto che S10p previene l’azione dell’enzima che va a metilare K9 , che non riesce a riconoscere la sequenza e quindi non può eseguire la sua azione di compattamento. In modo analogo la fosforilazione della serina 28 di H3 determina la dislocazione del complesso polycomb di cui parlavamo prima e quindi determina la demetilazione di K27. Un altro ruolo fondamentale della fosforilazione riguarda la variante istonica H2AX; essa abbiamo accennato che ha un ruolo nelle cellule danneggiate, sia per motivi fisiologici come i radicali dell’ossigeno che per agenti esterni come radiazioni ionizzanti. In particolare questo istone alternativo viene posizionato nelle estremità libere del DNA danneggiato per poi venire fosforilato sulla serina 139, all’estremità C-terminale; diventa così un flag, un segnale che indica il sito da riparare e recluta gli enzimi deputati. In particolare sia il posizionamento della variante che la sua fosforilazione sono due eventi contestuali che determinano l’attivazione dei sistemi di riparazione dei danni, e non a caso la serina 139 si trova in una sequenza amminoacidica SQEY molto conservata tra le specie. Eseguendo un’immunoprecipitazione per immunofluorescenza di questa modificazione possiamo individuare le posizioni di H2AX in tutto il genoma, e se combiniamo questo risultato con quello ottenuto da una immunoprecipitazione delle proteine reclutate per le riparazioni possiamo vedere un match quasi perfetto: H2AX si posiziona esattamente alle estremità, circoscrivendo il danno, con un “drop” al centro dove lascia spazio per il legame delle proteine che invece hanno qui concentrazione massima. Chiaramente se l’immunoprecipitazione per 𝛾H2AX viene effettuata (si indica così per identificare la variante con le sue modificazioni associate) in una cellula che è stata sottoposta a trattamenti che determinano danni al DNA, la presenza dei punti di interesse sarà molto maggiore; ciò rende questa detection utilissima nel test di chemioterapici, ossia molecole deputate a combattere il cancro andando ad uccidere le cellule tumorali tramite danni al DNA. Esse possono intercalare, modificare, il DNA, disturbare il generale la fase S, ed ovviamente causano anche degli effetti collaterali su cellule sane che si replicano nel nostro corpo; tuttavia spesso i benefici superano i danni dato che non abbiamo molti altri modi di contrastare questo fenomeno. In ogni caso qui possiamo portare come esempio molecole quali gli inibitori di metilazione del DNA, ossia analoghi della citosina che si inseriscono al loro posto nella sequenza e determinano un errore durante la metilazione: l’enzima si lega ad essi in posizione 6, ma in 5 non c’è un C bensì un N, per cui non avviene il processo e l’enzima viene sequestrato. Ovviamente questa situazione viene percepita come anomala dalla cellula, in quanto il DNA non può lavorare propriamente con un ingombro del genere, per cui è reclutato H2AX, la fosforilazione e con essi i sistemi di riparo. Questo va avanti finchè la cellula riesce a eseguire un riparo, ma se il danno è massivo viene indotta l’apoptosi e la cellula muore; si tratta quindi di una strategia efficace per combattere alcuni tipi di tumori, in particolare oggi è usata per la sintrome emodisplastica, un precursore della leucemia che altera il quadro emopoietico, ed alcune leucemie e linfomi in generale. Tuttavia c’è spazio anche per altri tipi di tumori, come il carcinoma polmonare; ciò è dimostrato con l’aumento progressivo di 𝛾H2AX osservato per immunofluorescenza nelle cellule sottoposte al trattamento con azacitidina. Questo testimonia l’aumento di danni al DNA e in concomitanza la riduzione delle cellule che replicano, fino alla loro distruzione; per ogni punto si potrebbe anche precipitare e sequenziare, osservando la disposizione dei danni. Un altro tipo di chemioterapico si basa su inibitori della de-acetilazione invece, che hanno lo scopo di limitare la de-acetilazione e quindi permettere di attivare una serie di geni che spesso nei tumori sono bloccati, come gli oncosoppressori: essi poi sono liberi di agire per controllare la crescita cellulare e potenzialmente tenere sotto controllo il tumore. In questo caso abbiamo ad esempio l’acido idrossanico, e lo stesso principio si potrebbe adattare con dei de-metilanti in quanto le stesse zone sono spesso anche iper- metilate nelle CpGi; in sintesi stiamo entrando nella frontiera delle epi-drugs, che correggono con diverse modalità l’espressione epigenetica delle cellule per contrastare danni e problemi. E fino ad ora abbiamo descritto nel dettaglio l’effetto di sole due modificazioni, l’acetilazione e la metilazione (e un po' di fosforilazione): in realtà come abbiamo detto esse si leggono e regolano a vicenda, creando un messaggio complessivo, non solo tra loro ma anche con altri tipi di variazioni epigenetiche, come per esempio la metilazione del DNA. Non dobbiamo infatti mai pensare di avere dei compartimenti stagni: una modifica viene letta da un’altra molecola, che a sua volte recluta nuove proteine che svolgono altre modificazioni, in un’insieme complesso che agisce in maniera coordinata e con un effetto risultante dalla sommatoria delle singole attività. A proposito di questo quindi come abbiamo fatto per la metilazione del DNA dobbiamo identificare tre tipi di attività enzimatiche che sono coinvolte nella regolazione e definizione del codice istonico: Writers, che eseguono le modificazioni, come potrebbe essere l’istone acetil-transferasi; si tratta in realtà di famiglie di enzimi, con alcune differenze tra loro a livello di vari domini, che prendono il nome generale di HAT’s. L’altra modificazione molto studiata è la metilazione, per cui sono rilevanti anche le istone metil-transferasi o HKMT’s. Erasers, che cancellano le modificazioni, come la famiglia delle istone deacetilasi HDAC’s e quella delle istone demetilasi KDM’s. Readers, che leggono le modificazioni (o ne leggono l’assenza potremmo dire) e le traducono in un fatto pratico, come il richiamo di altre proteine o dell’apparato trascrizionale aumentando l’espressione genica. Di per sé infatti un’acetilazione o una metilazione è poco rilevante, non causa grosse alterazioni funzionali e nemmeno un particolare ingombro sterico; certo per l’acetilazione abbiamo la differenza di carica, ma essa non agisce ovviamente da sola. Le modificazioni istoniche sono infatti come la metilazione del DNA piuttosto delle indicazioni e dei siti di riconoscimento poi per readers in grado di distinguerle finemente (anche mono-di-tri metilazione hanno significati differenti): il risultato finale è dato sì dal codice, ma anche da chi lo interpreta. Per esempio a questa classe appartengono i complessi di rimodellamento della cromatina ATP-dipendenti, che aumentano ed esaltano l’effetto della singola piccola modificazione con una risposta più intensa di spostamento dei nucleosomi. Nel caso dell’acetilazione nello specifico le informazioni sono lette, interpretate e quindi esaltate da reader che possiedono un bromodominio, ossia una struttura proteica molto conservata che è formata da 4 eliche unite tra loro con elementi a forcina; essi sono soprattutto presenti in alcuni fattori di trascrizione, come Brd2 che è in grado di iniziare la trascrizione legandosi alla lisina 12 acetilata dell’istone H4. Poi abbiamo altri elementi che legano la lisina 14 dell’istone 3, e a loro volta portano dei coattivatori che rendono la zona maggiormente disponibile; tra tutti sicuramente i più rilevanti sono i rimodellatori della cromatina che abbiamo citato prima. Nel caso specifico dell’acetilazione Hydrophobic pocket interviene SWI/SNF (Swi-sniff) che è in grado di riconoscere la modificazione quando reclutato su di essa grazie ai suoi bromodomini e di svolgere e rilassare la cromatina. Ovviamente al contrario in condizioni di ipoacetilazione questi elelmenti non saranno reclutati, ma vi saranno altri readers in grado di leggere la mancanza di modificazione o altri tipi di cambiamenti istonici. Gli anticorpi usati per riconoscere queste modificazioni non funzionano con lo stesso principio dei readers ma sono o anticorpi lineari, in grado di riconoscere la struttura distesa della proteina, oppure conformazionali, che funzionano meglio per riconoscere un epitopo nella conformazione nativa e non denaturata, come una modificazione istonica nella cromatina – essi sono allora i migliori per le tecniche di immunoprecipitazione. Invece nella metilazione abbiamo readers che formano dei cromodomini in grado di riconoscere le lisine metilate. Ricordiamo in ogni caso che l’inattivazione della trascrizione di un gene nel genoma è sempre legato ad una questione di ingombro sterico: come l’acetilazione allenta l’interazione tra nucleosomi e DNA e libera quast’ultimo, un maggiore compattamento e condensazione ha l’effetto esattamente opposto. Non a caso i primi studi sui nucleosomi supponevano che il loro ruolo e quello della cromatina fosse interamente di inibizione trascrizionale, mentre oggi sappiamo che dipende dal loro rilassamento o compattamento; d’altro canto se il DNA fosse interamente libero e trascrivibile non solo non avremmo regolazione, ma sarebbe anche molto più instabile e vulnerabile a modificazioni. In generale allora tutte le modificazioni epigenetiche entrano in qualche modo nel discorso condensazione-decondensazione, direttamente o indirettamente, causando ingombro sterico e nascondendo sequenze, ossia responsive elements, che potrebbero essere lette dai fattori di trascrizione, o al contrario liberando zone. Poi alle modificazioni sono ovviamente associate altre attività coattivatorie o corepressorie, con proteine che reclutano altri enzimi oppure determinano altre modificazioni; di per sé però la base del processo è sempre questa possibilità o meno di riconoscere le sequenze determinate dall’ingombro. Tutto si riduce quindi essenzialmente ad un fatto strutturale, con varie modifiche che si influenzano a vicenda e cooperano nel determinarlo; è per questo infatti che abbiamo il concetto fondamentale di cromatine state o stato epigenetico della cromatina, formato dall’insieme di tutti i messaggi epigenetici e che può variare anche con il cambiamento di uno solo di essi. Questo discorso serve a farci capire quanto sia complicato, molto più di quello del DNA, lo studio dell’epigenoma e delle sue funzioni, a causa dell’interazione tra tantissime modifiche differenti in posizioni diverse e con significati variabili, che non possono essere considerati solo nel singolo ma vanno visti nell’insieme complessivo; vi sono alcuni progretti che stanno cercando di decifrarlo, come Road Map Epigenomics Project, in tutti i tessuti dell’essere umano sani – pensa poi quelli patologici! Per fare un esempio di come altre attività entrino in gioco in questo ambito, sappiamo già che nel DNA abbiamo una distinzione tra eucromatina aperta e trascrivibile ed eterocromatina compattata, che per la gran parte ha un ruolo di stabilità e non viene attivamente trascritta (o quasi); essa è formata da numerose sequenze ripetute, che sono uguali in tutti i cromosomi e prendono il nome di DNA alfoide, DNA satellite 1, 2, 3, ecc. Questa particolare nomenclatura è dovuta al fatto durante le prime procedure di purificazione del DNA, in cui si utilizzava ultracentrifugazione su gradiente di cloruro di cesio, si poteva osservare come il DNA genomico formava un anello di densità specifica nella provetta, da cui poi era possibile estrarlo o eluirlo semplicemente per aspirazione. Tuttavia oltre all’anello della banda di DNA genomico si osservavano anche bande meno intense “satelliti” appunto, in quanto si distribuivano ad altezze differenti e separate da quella principale. Ciò è dovuto alle ripetizioni, che rendono differente rispetto alla previsione di probabilità la sequenza e quindi danno una densità alterata. Oltre alle zone telomeriche e centromeriche/pericentromeriche dei cromosomi tuttavia l’eterocromatina si può osservare ad esempio anche nell’intero cromosoma X secondario delle cellule femminili, che viene completamente inattivato e forma un corpo di Barr; ovviamente un tipo di organizzazione così stretta non è dovuto solamente alle sequenze ripetute, ma anche ad altre modificazioni e proteine ausiliarie. In particolare abbiamo già visto la metilazione del DNA, abbondante ad esempo nel DNA alfoide dove la sequenza ripetuta presenta una CG che quindi va a ripresentarsi centiaia di volte fornendo tantissimi punti di metilazione disponibili. Vi sono poi alcune proteine specifiche come HP1, che riconoscono invece modificazioni istoniche legate alla repressione come la trimetilazione della lisina K27 dell’istone H3; esse contribuiscono in particolar modo al PeV o Position effect Variegation, ossia la tendenza delle zone eterocromatiniche ad influenzare negativamente e reprimere l’espressione dei geni adiacenti eterocromatinici per un effetto sterico. Infine abbiamo anche elementi come Polycomb-group proteins, che abbiamo già citato e di cui parleremo più approfonditamente descrivendo a fondo la struttura cromatinica, che reprimono l’espressione solo di geni specifici ed hanno un ruolo fondamentale nel corretto sviluppo dorso-ventrale di Drosophila per esempio. APPROFONDIMENTO Rivedere questi video per informazioni addizionali https://www.youtube.com/watch?v=FNpZxNa-1l8 https://www.youtube.com/watch?v=ImcomFPgJO4

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