Introduzione alla Fisica Medica PDF

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This document provides an introduction to medical physics. It covers basic concepts like physical quantities and vectors, specifically relating to topics in mechanics. It may be useful for undergraduate students studying this subject in university. The document does not appear to be a past exam paper.

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INTRODUZIONE La Fisica è lo studio delle proprietà e del comportamento di sistemi materiali, ed in generale di oggetti in interazione con il loro ambiente, escludendo le situazioni in cui nei sistemi materiali studiati avvengono modificazioni della composizione. Tutto l’universo fisico viene suddivi...

INTRODUZIONE La Fisica è lo studio delle proprietà e del comportamento di sistemi materiali, ed in generale di oggetti in interazione con il loro ambiente, escludendo le situazioni in cui nei sistemi materiali studiati avvengono modificazioni della composizione. Tutto l’universo fisico viene suddiviso in tre parti: l’osservatore, l’oggetto e l’ambiente. Il primo argomento di studio della fisica è la dipendenza tra l’osservatore e le leggi risultanti dall’osservazioni: il criterio di scelta dell’osservato costituisce esso stesso un principio della Fisica. IL METODO SCIENTIFICO 1. Osservazione di un fenomeno mediante misure delle grandezze fisiche presenti nel fenomeno 2. L’insieme delle misure permette di elaborare un’ipotesi, ovvero una rappresentazione di quel fenomeno. La rappresentazione si può concretizzare in una relazione matematica tra grandezze fisiche, dando origine ad una legge fisica 3. Formulata una rappresentazione la devo sottoporre al vaglio sperimentale. Da essa si può dedurre una previsione del comportamento del fenomeno studiato 4. Eseguiamo dei controlli (eseguiamo un esperimento) per controllare che la previsione sia giusta 5. Sulla base del risultato sperimentale induciamo un rafforzamento oppure una falsificazione della rappresentazione stessa che ci indurrà ad introdurre in essa una modifica GRANDEZZE FISCHE Una grandezza fisica è una proprietà di un corpo o di un sistema che può essere misurata sperimentalmente. Tutte le grandezze fisiche possono essere espresse in funzione di un insieme limitato di grandezze fondamentali Un sistema di unità di misura definisce le grandezze fisiche fondamentali e le corrispondenti unità di misura. SISTEMA INTERNAZIONALE (SI) MULTIPLI E SOTTOMULTIPLI NUMERI IN NOTAZIONE SCIENTIFICA DEFINIZIONE DELLE UNITA’ DI MISURA Per ogni unità di misura viene indicata la Conferenza Generale dei Pesi e Misure (CGPM) che l'ha introdotta. https://physics.nist.gov/cuu/Units/current.htm I VETTORI Grandezze scalari: Sono definite dal loro valore numerico + unità di misura esempi: densità di un mezzo, lunghezza di un segmento, volume di una sfera, etc. Grandezze vettoriali: Sono definite, oltre che dal loro valore numerico (modulo) anche da una direzione e da un verso esempi: velocità di un corpo, accelerazione, forza che agisce su un corpo. Una grandezza vettoriale, vettore, viene rappresentata mediante un segmento orientato: la lunghezza rispetto ad una data scala ne rappresenta il modulo, la retta su cui giace il vettore ne dà la direzione e la freccia ne indica il verso. - Si indicano con v (oppure con la lettera v in grassetto) - Sono caratterizzati da3 dati: modulo (v o |v|), direzione e verso. Nota: - Due vettori possono essere uguali anche se il punto di applicazione è differente; - Il vettore opposto di v è il vettore (-v). - L’unità di misura di una grandezza vettoriale è l’unità di misura con cui viene espresso il suo modulo. I VETTORI: somma di vettori Regola del parallelogramma Il vettore somma viene anche chiamato vettore risultante. Due vettori opposti hanno risultante nulla !! I VETTORI: differenza di vettori Regola del parallelogramma Moltiplicazione divisione di un vettore per uno scalare Moltiplicare o dividere un vettore per uno scalare equivale a moltiplicare o dividere il modulo del vettore, lasciando invariata la direzione. PRODOTTO SCALARE DI DUE VETTORI Il prodotto scalare tra due vettori è dato dal prodotto dei due moduli e del coseno dell’angolo compreso tra i due vettori. Esempio di prodotto scalare tra due vettori: Lavoro, dato dal prodotto scalare tra una forza ed uno spostamento, entrambi vettori. PRODOTTO VETTORIALE DI DUE VETTORI Il prodotto vettoriale tra due vettori è un vettore che ha per direzione la retta perpendicolare al piano s cui giacciono i due vettori, il verso segue la regola della mano destra ed il modulo è dato dal prodotto dei due moduli e del seno dell’angolo compreso. Nel caso dei vettori a e b, se li immaginiamo appartenere al piano dello schermo, il vettore c’è perpendicolare allo schermo ed ha verso uscente. Se fosse b Λ a avrebbe verso entrante. REGOLA DELLA MANO DESTRA –PUGNO CHIUSO MECCANICA La Meccanica è la parte della fisica che studia il movimento o l’equilibrio dei sistemi fisici. Può essere suddivisa in tre parti: Meccanica Classica, Meccanica Relativistica, Meccanica Quantistica. La Meccanica Classica si divide in: Cinematica, studio del moto dei corpi indipendentemente dalle cause che lo producono Statica, studio delle condizioni di equilibrio di un corpo Dinamica, studia il movimento in relazione alle forze che lo producono CINEMATICA La cinematica è la parte più elementare della Meccanica: studia il moto dei corpi senza riferimento alle sue cause. Il moto è determinato se è nota la posizione del corpo in funzione del tempo, ovvero se è nota la sua legge oraria. È necessario definire il sistema di riferimento nel quale il movimento di un corpo viene descritto, in quanto al variare del sistema di riferimento varia la posizione del corpo stesso. Un corpo si dice in moto o in movimento quando la sua posizione rispetto ad un altro, assunto come riferimento, varia nel tempo. La traiettoria è la linea costituita da tutte le posizioni occupate dal punto materiale. La posizione di un corpo rispetto al sistema di riferimento può essere definita come grandezza vettoriale. Nel sistema cartesiano tridimensionale X,Y,Z la posizione di un oggetto puntiforme P rispetto all’origine O, P0, è determinata dalle sue coordinate cartesiane x0, y0, z0. Il vettore posizione OPo ha come modulo la distanza OP0, come direzione quella della retta passante per O e per P0 e come verso quello che va da O a P0. Se si indicano con i versori della terna X Y Z, il vettore posizione potrà essere indicato nel modo seguente: Il percorso effettuato dal punto P viene descritto dalla legge oraria ovvero da una relazione matematica che associa ad ogni tempo t la corrispondente posizione P. Il moto è conosciuto compiutamente una volta dedotta l’equazione oraria del moto s = s(t), la quale ci dà la posizione del corpo, in ogni istante, sulla traiettoria. La velocità è la grandezza fisica che rappresenta la relazione tra spazio percorso in ogni tratto e tempo impiegato a percorrerlo. La velocità è il vettore definito dal rapporto fra spostamento e tempo impiegato ad effettuare tale spostamento. Considerando il moto più semplice (in una sola dimensione) di un punto che si muove lungo una retta (moto rettilineo) con velocità costante in direzione, modulo e verso lungo tutto il percorso: Se la velocità varia lungo il percorso il valore v=Δs/Δt rappresenta la velocità media. VELOCITA’ MEDIA La velocità media è pertanto: 𝑣 = Δ𝑠 /Δ𝑡 La velocità è una grandezza fisica derivata e si misura in m/s (msec-1). La velocità media si calcola come il rapporto tra la distanza percorsa ed il tempo impiegato a percorrerla. Se la velocità media viene determinata in intervalli di tempo molto piccoli (Δt -> 0), essa viene chiamata velocità istantanea e corrisponde alla seguente relazione: Conoscendo come varia la posizione s(t) nel tempo, la velocità v(t) si calcola come la derivata di s(t) rispetto al tempo, in ogni momento t. La velocità istantanea corrisponde alla pendenza (coefficiente angolare) della retta tangente alla curva s(t). Esempio: Tutor in autostrada Le due macchine percorrono la distanza tra i due tutor (15 Km) in tempi diversi. macchina verde: 7.5 minuti = 7.5/60 h = 0.125 h macchina arancione: 5 minuti = 5/60 h = 0.083 h MOTO RETTILINEO Consideriamo il moto in una sola dimensione, di un punto materiale che si muove sempre nello stesso verso: tale moto si definisce moto rettilineo. Supponiamo che al tempo t1 il punto si trovi nella posizione s1 e al tempo t2 si trovi nella posizione s2 per conoscere la velocità media si utilizza la seguente relazione: 𝑣 = Δ𝑠 /Δ𝑡 = (𝑠2 − 𝑠1)/( 𝑡2 − 𝑡1) MOTO RETTILINEO UNIFORME Consideriamo il moto in una sola dimensione, di un punto materiale che si muove sempre nello stesso verso con velocità costante: tale moto si definisce moto rettilineo uniforme. Supponiamo che al tempo t0 il punto si trovi nella posizione s0, per conoscere il percorso s effettuato nel tempo t, si può utilizzare la seguente relazione: Δ𝑠 = 𝑠 − 𝑠0 = 𝑣Δ𝑡 -> 𝑠 = 𝑠0 + 𝑣Δ𝑡 -> 𝑠 = 𝑣Δ𝑡 + 𝑠0 -> 𝑦 = 𝑚 𝑥 + 𝑞 (eq della retta) LEGGE ORARIA MOTO RETTILINEO UNIFORME La legge oraria esprime lo spazio in funzione del tempo. La legge oraria del moto rettilineo uniforme è espressa con l’equazione di una retta, in cui lo spazio rappresenta le ordinate (y) e il tempo le ascisse (x). La velocità costante (v) è il coefficiente angolare della retta (m), mentre la posizione iniziale (s0) rappresenta l’ordinata all’origine (q). ESERCIZIO 1 1. Descrizione del moto: - Nel primo secondo la formica percorre 3 cm - La formica resta ferma per 1 secondo - La formica torna indietro e percorre5 cm in 1 secondo - Nell’ultimo tratto la formica inverte nuovamente il verso e percorre 2 cm in 1 secondo 2.Calcolo della velocità media nei tratti ESERCIZIO 2 Legge oraria di Matteo MOTO RETTILINEO ACCELERAZIONE Quando il moto rettilineo non è uniforme, ovvero la velocità non è costante, si può definire una grandezza fisica, detta accelerazione, che rappresenta la variazione della velocità nel tempo. Considerando gli istanti t0 e t1 in cui l’oggetto si muove rispettivamente alla velocità v0 e v1, l’accelerazione media viene definita dalla seguente relazione: L’accelerazione si misura in m/s2 (m sec-2) ACCELERAZIONE ISTANTANEA Nel caso tridimensionale è necessario passare alla notazione vettoriale: L’accelerazione è nulla se l’oggetto è fermo o si muove a velocità costante in direzione, verso e modulo. Quando l’accelerazione è costante il moto si dice uniformemente accelerato. MOTO RETTILINEO UNIFORMEMENTE ACCELERATO Consideriamo il caso monodimensionale del punto che si muove lungo una retta con accelerazione costante. Ricaviamo le relazioni del moto: Legge oraria e grafico velocità-tempo Nel moto rettilineo uniforme, la velocità è costante e lo spazio è l’area del rettangolo: s = vt Nel moto uniformemente accelerato, la velocità varia nel tempo con accelerazione costante. A t=0 la velocità è v0 , mentre al tempo t la velocità è v = v0 + at. Lo spazio percorso è l’area del trapezio: ESERCIZIO 3 ESERCIZIO 4 Caduta dei gravi La caduta dei gravi ed il lancio verso l’alto di un peso rappresentano casi particolari del moto uniformemente accelerato o decelerato, con una accelerazione pari a g = 9,8 m/s2. Il corpo parte da fermo e precipita dall’altezza h con accelerazione pari a g=9,8 m/s2. La legge oraria è 𝐡 = ½ 𝐠𝐭 𝟐 L’equazione della velocità è v = gt e raggiunge il valore max quando tocca a terra, per poi bloccarsi sul terreno. Per calcolare il tempo impiegato per toccare il suolo si applica l’inverso della legge oraria: t = √2ℎ/𝑔 ESERCIZIO 5 Lancio di un corpo verso l’alto Il lancio verso l’alto di un peso è un caso particolare del moto uniformemente decelerato, con una accelerazione pari a g = -9,8 m/s2. Il corpo, che ha inizialmente una velocità rivolta verso l’alto pari a v0, subisce una decelerazione dovuta alla forza peso, che attrae il corpo verso il basso. ESERCIZIO 6 CINEMATICA Le grandezze fisiche necessarie per lo studio del moto di un punto materiale e quindi della cinematica sono: Fino ad ora abbiamo analizzato il moto e le grandezze che lo definiscono senza considerare le cause che lo hanno causato. DINAMICA È la parte della meccanica che studia il movimento in relazione alle forze che lo determinano. Vengono introdotti due concetti fondamentali della Fisica: quello di Energia e quello di Forza. In tutti i sistemi fisici è presente la grandezza fisica chiamata Energia. Durante le trasformazioni dei sistemi vi è sempre uno scambio di energia tra il sistema stesso e l’esterno, o la trasformazione da una forma di energia ad un’altra. Principio di conservazione dell’energia: all’interno di un sistema fisico l’energia si trasforma da una forma ad un’altra mantenendo costante l’energia totale. PRINCIPIODI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA - In un sistema isolato, che non scambia energia con l’esterno, l’energia si conserva durante tutte le possibili trasformazioni che il sistema può subire. - se due sistemi compiono trasformazioni scambiando energia esclusivamente tra di loro, allora la somma delle energie dei due sistemi si conserva. L’energia può assumere svariate forme per le quali esistono delle correlazioni. L’Energia associata al movimento del corpo è chiamata Energia Cinetica. LE FORZE In natura esistono una molteplicità di forze che possono essere derivate dalle forze fondamentali 1. Forza Gravitazionale che è alla base del funzionamento macroscopico dell’universo. 2. Forza Elettromagnetica è la forza che “tiene insieme” la materia ed è responsabile dei movimenti degli atomi e delle molecole. 3. Forza Nucleare che “tiene insieme” i nuclei, a livello ultramicroscopico. Un corpo sottoposto a forze può trovarsi in una condizione statica oppure in una condizione dinamica. EQUILIBRIO STATICO Un corpo si definisce in equilibrio statico quando le forze che agiscono su di esso esercitano una reazione vincolare. Esempio: Su un quadro appeso ad una parete con un chiodo, il chiodo esercita una forza uguale e contraria al peso del quadro, consentendo la condizione di equilibrio statico. Nel caso di equilibrio statico, non si genera alcun moto le forze applicate si compensano ed il corpo resta fermo. LE FORZE Spingere un oggetto, invece, ne causa il movimento nella direzione in cui è esercitata la forza. Il movimento si interrompe nel momento in cui la forza smette di essere applicata. Lasciare cadere un oggetto nel campo gravitazionale, genera un movimento verso il suolo con una velocità che aumenta di intensità con il tempo (moto accelerato) Le Forze sono grandezze vettoriali! Come per tutte le altre grandezze vettoriale, la forza è compiutamente definita dal suo modulo, dalla direzione e dal verso. In quanto tali, le forze applicate allo stesso punto, si combinano seguendo le leggi del calcolo vettoriale. I e II PRINCIPIO DELLA DINAMICA Primo principio: Un corpo non sottoposto ad alcuna forza, o sottoposto a forze la cui risultante è nulla, se è fermo resta fermo, se è in moto il suo moto è rettilineo uniforme. (principio d'inerzia). Secondo principio: Se un corpo, assimilabile ad un punto materiale, è sottoposto ad una forza F non nulla, esso assume un'accelerazione a tale che il rapporto Tale costante, dipendente solo dalle caratteristiche del corpo, viene chiamata massa e viene indicata con la lettera m. II PRINCIPIO DELLA DINAMICA Il secondo principio della dinamica è espresso dalla seguente relazione: La direzione ed il verso dell'accelerazione alla quale viene sottoposto il corpo sono gli stessi della forza F. La massa è, insieme alla lunghezza ed al tempo, una delle tre grandezze fondamentali della meccanica. La dipendenza delle grandezze derivate da quelle fondamentali è espressa mediante le equazioni dimensionali. EQUAZIONI DIMENSIONALI LAVORO Se all'interno di un sistema fisico agiscono delle forze, generalmente, si genera un lavoro. Quando un sistema fisico genera un lavoro, provoca sempre una variazione di energia. Supponiamo che una forza F agisca su un corpo e ne causi uno spostamento nella direzione di s. Il lavoro viene definito dalla seguente relazione: LAVORO Il lavoro viene definito dalla seguente relazione: Dalla relazione che definisce il lavoro si evince che il lavoro è nullo nelle seguenti condizioni: 1. Quando la forza è nulla (risultante delle forze nulla) 2. Quando l'angolo è pari a 90° (forza perpendicolare allo spostamento) 3. Quando il punto è fermo (s=0) Analogamente il lavoro è positivo quando 0 < 90° ed è negativo quando 0 > 90°. L'unità di misura del lavoro nel Si è il joule (j), che corrisponde al lavoro eseguito dalla forza di 1 Newton per spostare il suo punto di applicazione di 1 metro nella direzione della forza stessa. Le dimensioni del lavoro sono quelle di una forza per una lunghezza: Forza gravitazionale La forza gravitazionale universale è la forza con cui il Sole attrae gli altri pianeti (formulazione di Newton). La forza peso è un caso particolare della forza gravitazionale e rappresenta la forza di attrazione esercitata dalla Terra sugli altri corpi. La forza di gravitazione con cui si attraggono reciprocamente due corpi di massa m1, e m2, distanti r risulta diretta come la congiungente le due masse ed il suo modulo è dato dalla seguente relazione: Dove G è la costante di gravitazione universale ed è pari: Forza gravitazionale F varia con l'inverso il quadrato della distanza tra le due masse (per esempio se raddoppia la distanza, la forza diventa un quarto). Le due masse m, e m, esercitano una rispetto all'atra una forza, sempre di tipo attrattivo, uguale e contraria: Forza Peso La forza peso è un caso particolare della forza di attrazione gravitazionale, dove le due masse sono quella del corpo in osservazione e quella della Terra. Se assumiamo il corpo puntiforme e la Terra come un punto di massa pari a MT, (5,972x10^24Kg), la distanza tra le due masse può essere approssimata al raggio della Terra, RT, (6,4x10^6m). La formula della forza peso risulta essere la seguente, con g pari all'accelerazione di gravità: FORZA PESO: LAVORO Il lavoro fatto dalla forza peso dipende solamente dalla differenza di quota fra punto iniziale e punto finale. Il lavoro fatto dalla forza peso è dato da L = P h cosa = P h coso° = mgh FORZE COULOMBIANE Le forze coulombiane si verificano tra due cariche Q e q che si trovano ad una distanza r l'una dall'altra. La formula delle forze coulombiane è la seguente: K dipende dl mezzo in cui si trovano le cariche. A differenza delle forze gravitazionali che sono sempre attrattive, le forze coulombiane possono essere sia repulsive che attrattive, a seconda che le due cariche abbiano lo stesso segno o segno opposto. FORZE ELASTICHE Le molle sono gli oggetti che danno origine a forze elastiche. Le principali caratteristiche delle molle sono: a) Lunghezza a riposo della molla, Io b) Costante elastica della molla, k. L'allungamento e la compressione di una molla sono proporzionali alla forza applicata. Legge di Hooke: = entità di deformazione della molla. La forza elastica è sempre negativa perché è sempre opposta allo spostamento. LAVORO E FORZE ELASTICHE Il lavoro fatto dalla forza elastica dipende solo dall'allungamento della molla dal punto iniziale al punto finale. Il lavoro compiuto da una forza elastica, quando l'allungamento passa da xi xf, è dato dalla seguente relazione. FORZE CONSERVATIVE In generale il lavoro fatto da una forza può dipendere dal percorso seguito dal corpo. Se il lavoro fatto da una forza durante uno spostamento qualsiasi dipende solo dalla posizione iniziale e finale, ovvero è indipendente dal percorso scelto, si dice che la forza è conservativa. FORZE CONSERVATIVE E NON Sono conservative le seguenti forze: Forza gravitazionale (forza peso), La forza elastica (forza di una molla), La forza elettrostatica (attrazione fra cariche). In generale tutte le forze centrali, ovvero tutte le forze dipendenti solo dalla distanza dal centro e dirette verso il centro Sono forze non conservative: Forze di attrito. ENERGIA POTENZIALE Per un corpo sottoposto ad una forza conservativa è sempre possibile introdurre una funzione detta Energia potenziale U per cui il lavoro è dato dalla differenza di energia potenziale tra la posizione iniziale e quella finale: L = Ui-Uf, L è il lavoro compiuto dalle forze conservative tra lo stato iniziale e quello finale (non dipende dal percorso). Energia potenziale gravitazionale: U(h) = mgh Energia potenziale forze elastiche: U(x)=1/2kx^2 REAZIONI VINCOLARI Le reazioni vincolari sono le reazioni esercitate dai vincoli (superfici, rotaie, chiodi, etc.) sui corpi con i quali sono in contatto. Sono generalmente forze di tipo elastico, in quanto derivano da reazioni a deformazioni indotte dal corpo vincolato. La reazione vincolare è una forza con le seguenti caratteristiche: 1. È sempre perpendicolare al vincolo, sia su oggetto fermo che con oggetto in movimento. È una forza di tipo passivo 2. Se il corpo vincolato si muove, la forza vincolare R varia durante il moto del corpo in modo da essere sempre uguale (e di senso contrario) alla forza che il corpo esercita sul vincolo. In generale, se si indicano con Fin le componenti perpendicolari delle forze attive che si esercitano sul vincolo, la reazione vincolare complessiva è data dalla seguente relazione: ATTRITO L'attrito è una forza passiva che si esercita tra due superfici a contatto, in moto relativo o a riposo. (legata alla "rugosità" delle due superfici). Tra le due superfici a contatto, attraverso le loro protuberanze e microscopiche irregolarità, si formano dei legami microscopici che originano la forza macroscopica chiamata attrito. L'attrito è una forza di tipo resistente, perché si oppone al moto relativo dei due corpi o alla modifica della loro quiete. Possiamo considerare tre tipi di attrito: 1. Attrito radente e volvente (tra due solidi) 2. Attrito viscoso (movimenti in un fluido) 3. Attrito statico (tra due corpi in quiete relativa) ATTRITO RADENTE E VOLVENTE L'attrito dinamico di un corpo su una superficie è detto radente se il corpo "striscia" sulla superficie oppure volvente se il corpo "rotola" sulla superficie. La forza di attrito f è definita dalla seguente relazione: Dove u è il coefficiente di attrito dinamico e sono le forze che tengono premuto il corpo alla superficie, nell'ipotesi che la velocità relativa delle due superfici vr, non sia troppo elevata. Il coefficiente di attrito dinamico u dipende dai materiali a contatto e da come sono trattate le superfici. La direzione delle forze d'attrito è sempre tangente alla superficie di contatto, mentre il verso è sempre opposto al moto. Per il calcolo dell'attrito bisogna tenere conto solo delle componenti delle forze attive perpendicolari alla superficie sulla quale il corpo si muove. Le forze di attrito non sono forze posizionali, pertanto non sono forze conservative. Il coefficiente di attrito radente è molto maggiore di quello volvente: può essere anche 100 volte maggiore. ATTRITO VISCOSO L’attrito viscoso è l’attrito che si genera su un corpo che si muove in un fluido. Il fluido è detto viscoso quando esercita una forza che si oppone al moto del corpo. Se la velocità relativa vr è bassa e le dimensioni del corpo sono piccole, la legge della forza di attrito è data dalla seguente relazione: 𝑓v è chiamata resistenza viscosa, k e n sono due costanti. k è una grandezza caratteristica della forma del corpo e n è il coefficiente di attrito interno del fluido. ATTRITO STATICO L’attrito statico è dovuto all’azione reciproca di due corpi solidi con una superficie di contatto S ed in quiete relativa. Se si vuole far scorrere un corpo su un altro bisogna agire con una forza finita tangente alla superficie, di intensità superiore ad un certo valore limite. Applicando forze minori il contatto resiste con una forza statica uguale e contraria alla sollecitazione. La forza minima necessaria per far scivolare i due corpi l’uno sull’altro è proporzionale alla componente FN delle forze attive normali ad S ed a un coefficiente 𝜇𝑠, detto coefficiente di attrito statico. 𝑓 < 𝜇𝑠𝐹n In generale 𝜇𝑠 > 𝜇 (attrito radente) ATTRITO RADENTE STATICO E DINAMICO L’attrito statico è una forza il cui modulo si ottiene moltiplicando la forza ortogonale alla superficie (forza premente) per il coefficiente di attrito statico, caratteristico della superficie stessa. La forza di attrito statico è la forza necessaria per mettere in movimento un corpo su una superficie: FAS = µs F⊥ La forza di attrito dinamico è la forza che mantiene il corpo in movimento su una superficie: FAD = µd F⊥ µs e µd sono grandezze adimensionali (numeri puri). ESERCIZIO Un corpo di massa 2,5 Kg, inizialmente fermo, scivola su un piano in presenza di attrito. Il coefficiente di attrito statico è 0.30 e il coefficiente di attrito dinamico è 0.15. Calcolare: 1. La forza che permette al corpo di iniziare a muoversi 2. La forza immediatamente dopo il distacco. FORZA MUSCOLARE Normalmente il muscolo agisce collegando due ossa, che, sotto la tensione dei tendini, possono muoversi l’una rispetto all’altra attraverso delle giunzioni, dette giunture o articolazioni. Per il terzo principio della dinamica (principio di azione e reazione) l’osso applica al muscolo una forza uguale e contraria a quella del muscolo su di esso. La forza muscolare dipende dalla sezione del muscolo e nell’uomo varia da 28 a 35 N/cm2. La forza muscolare agisce sulle ossa, le quali esercitano una forza sulle articolazioni. Le articolazioni possono essere considerate dei vincoli lisci, ovvero senza attrito, grazie alla presenza delle cartilagini. ENERGIA MECCANICA Ci sono due forme di energia meccanica: l’energia cinetica e l’energia potenziale. Cerchiamo la relazione tra il lavoro e l’energia. Se la forza F è costante si può scrivere la seguente relazione: K è definita come Energia Cinetica. La relazione L = KB – KA rappresenta il teorema dell’energia cinetica che viene enunciato nel seguente modo: Il lavoro eseguito dall’insieme delle forze agenti su un sistema è uguale alla variazione dell’energia cinetica del sistema stesso. => se il lavoro è positivo, allora l’energia cinetica aumento, se il lavoro è negativo l’energia cinetica diminuisce. L’equazione dimensionale del lavoro rispetto all’energia cinetica è la seguente: ENERGIA MECCANICA Se si considera un sistema fisico con solo forze conservative, ovvero posizionali, le forze applicate e lo spostamento sono funzione della posizione finale e di quella iniziale del punto. Se indichiamo con R la risultante delle forze conservative applicate, il lavoro sarà dato dalla seguente relazione: La funzione V, cambiata di segno, rappresenta l’energia potenziale: U = - V Quindi: TEOREMA DI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA MECCANICA L’energia meccanica si conserva quando le forze in gioco sono tutte conservative: cioè, la somma dell’energia potenziale e dell’energia cinetica è costante. (Teorema delle forze vive). Consideriamo il caso in cui non tutte le forze sono conservative, ovvero consideriamo un sistema in cui agiscono sia forze conservative che forze non conservative. E’ possibile scomporre la risultante delle forze in una risultante conservativa, Rc, ed una non conservativa Rnc. Solo le forze conservative danno origine ad energia potenziale, quindi: La generalizzazione del teorema delle forze vive, in presenza di forze conservative e non conservative, afferma che: L’energia totale in un punto B, cioè la somma dell’energia cinetica del sistema e dei vari tipi di energia potenziale che il sistema possa possedere in quel punto, è uguale all’energia totale del sistema in qualsiasi altro punto A precedente, sommata al lavoro delle forze non conservative del sistema mentre questo passava dal punto A al punto B. POTENZA Una caratteristica fondamentale del lavoro è la rapidità con cui il lavoro è compiuto. La rapidità con cui si compie un lavoro è una grandezza fisica derivata, chiamata potenza, ed è definita dal rapporto tra lavoro compiuto e tempo impiegato a compierlo. La potenza media e la potenza istantanea sono definite dalla seguenti relazioni: L’unità di misura della potenza nel SI è il watt (simbolo W) ed è il lavoro di 1 joule al secondo. IMPIEGO DELLE RADIAZIONI ELETTROMAGNETICHE IN MEDICINA SORGENTI DI RADIAZIONI USATE IN MEDICINA - Raggi X: Radiologia, Radiologia interventistica, Radioterapia (Raggi X di alta energia, e-) - Radionuclidi: emettitori γ – β+ – β- – α, Medicina Nucleare, Radioterapia metabolica - Onde Radio - Campi elettromagnetici (Risonanza Magnetica) - Luce visibile ed invisibile SORGENTI DI RADIAZIONI USATE IN MEDICINA Tipo di radiazioni: - PARTICELLE: elettroni, protoni, α, β - Onde elettromagnetiche: Fotoni: γ , X; micro-onde; luce (visibile e invisibile); Radiofrequenze Tipo di radiazioni: - IR (ionizing radiation) Radiazioni ionizzanti: elettroni, protoni, α, β; fotoni: γ, X. - NIR (non-ionizing radiation) Radiazioni non-ionizzanti: microwaves; luce (visibile e invisibile); Radiofrequenze RADIAZIONI ELETTROMAGNETICHE Si tratta di un trasferimento di energia: sono variazioni di campi elettrici e magnetici che si muovono nel vuoto alla velocità della luce. Un campo elettrico variabile nel tempo produce una variazione di un campo magnetico a sua volta variabile nel tempo e viceversa. Tali variazioni costituiscono le onde elettromagnetiche. Sono onde trasversali: i campi E e B sono ortogonali tra di loro e ortogonali alla direzione di propagazione. ONDE ELETTROMAGNETICHE Le onde elettromagnetiche (fotoni) sono caratterizzate da: Lunghezza d’onda () Frequenza () Energia(E) LUNGHEZZA D’ONDA E FREQUENZA La lunghezza d‘onda è la distanza tra due creste o due valli ed è generalmente indicata con la lettera greca λ. La frequenza è il numero di onde che passano attraverso un punto nell’unità di tempo e generalmente è indicata con la lettera greca .  = c/ c = velocità della luce= 3 x 10^8 m/s ONDE RADIO Nel 1887, Heinrich Hertz dimostrò l’esistenza delle onde elettromagnetiche teorizzate da Maxwell, generando sperimentalmente delle onde radio nel suo laboratorio. La loro frequenza variava da 3 KHz a 300 GHz. Le radiofrequenze sono oscillazioni elettromagnetiche nel range delle onde radio. Le radiofrequenze sono ampiamente utilizzate in medicina: MRI (imaging di risonanza magnetica) e RFA (ablazione a radiofrequenze). RISONANZA MAGNETICA (RM) E RADIOFREQUENZA La RM è utilizzata per produrre immagini dei tessuti molli, dei fluidi, del grasso e dell’osso. Le immagini si formano riproducendo una mappa della densità di idrogeno contenuta nei diversi tessuti. Usa magneti a superconduttori, con un campo magnetico 40000 volte più forte del campo magnetico terrestre. Come funziona la RM Quando un paziente viene disteso sul lettino di un tomografo di RM, tutti i nuclei di idrogeno (protoni) del suo corpo si allineano alla direzione del campo magnetico esterno B0. Applicando un campo a radiofrequenze (prodotto dalle bobine) si causa una perturbazione dell’allineamento dei protoni, che cambiano l’allineamento dello spin, seguendo il segnale di radiofrequenza che genera il fenomeno della risonanza. Quando il segnale a radiofrequenze viene interrotto, l’allineamento degli spin torna nella condizione iniziale e viene prodotto un cambiamento del campo magnetico, che genera un segnale elettrico, letto dalle bobine e utilizzato per produrre le immagini. Ablazione a radiofrequenza L’ablazione a radiofrequenza (Radiofrequency Ablation RFA) viene utilizzata per distruggere le cellule tumorali. Utilizza un elettrodo per applicare una corrente elettrica al tumore. La corrente elettrica riscalda le cellule tumorali, portandole a temperature elevatissime, provocandone l’ablazione (morte). Le cellule tumorali muoiono ed il tessuto circostante, che è stato trattato, si contrae e diventa tessuto cicatriziale. Perché sia efficace, in generale, servono più applicazioni. Micro Onde Nel 1888, Heinrich Hertz fu il primo scienziato a dimostrare l’esistenza delle micro-onde, utilizzando un trasmettitore radio che produceva microonde da 450 MHz. Le micro-onde hanno una frequenza tipicamente variabile tra 300MHz e 300GHz. Ipertermia a micro-onde L’ipertermia è un tipo di trattamento medico in cui il tessuto del corpo umano è esposto, totalmente o solo in parte, ad elevate temperature prodotte da un apparecchio a micro-onde, allo scopo di danneggiare o uccidere le cellule tumorali, oppure di rendere le cellule tumorali all’effetto delle terapie radianti o delle chemioterapie. La radiazione ottica La radiazione a infra-rossi Tutti gli oggetti che si trovano ad una temperatura superiore allo zero assoluto emettono infrarossi. È possibile misurare la radiazione emessa o assorbita dai tessuti. Gli infrarossi sono utilizzati per visualizzare tumori ipervascolari Pulsiossimetro L’ossimetro sfrutta essenzialmente due fenomeni: per misurare il livello di ossigeno nel corpo: 1. La capacità dell’emoglobina di assorbire la luce 2. La naturale pulsazione del sangue nelle arterie. Il dispositivo è costituito da una sonda dotata di una sorgente luminosa, di un rivelatore e di un microprocessore, che confronta e calcola le differenze tra l’emoglobina ricca di ossigeno e quella deficitaria di ossigeno. Su un lato del dispositivo è montata una sorgente di luce in grado di emettere due tipi di radiazioni luminose: la luce rossa e gli infrarossi. L’emoglobina arricchita d’ossigeno assorbe principalmente gli infrarossi. L’emoglobina povera di ossigeno assorbe principalmente luce rossa. Il microprocessore all’interno del dispositivo calcola le differenze e converte le informazioni in un segnale digitale. È questo valore che viene valutato per stabilire la quantità di ossigeno presente nel sangue. La luce blu per il trattamento dell’ittero I bambini prematuri a volte presentano ittero alla nascita. L’ittero li fa apparire gialli a causa dell’eccesso di bilirubina. È innocuo e può essere trattato con la luce blu. La luce blu abbatte la bilirubina in modo che possa essere escreta con le urine. Impiego della luce ultravioletta per il trattamento della psoriasi e della vitiligine Psoriasi, Vitiligine, trattamenti dentali. RAGGI X La scoperta I Raggi X sono stati scoperti incidentalmente da Wilhelm Roentgen nel 1895. Roentgen stava lavorando con dei fasci di elettroni prodotti da un tubo catodico. Le caratteristiche Sono invisibili, Sono altamente penetranti nella materia, Sono elettricamente neutri, Viaggiano alla velocità della luce (300.000 Km/sec), Viaggiano in linea retta, Ionizzano la materia causando l’espulsione di elettroni orbitali, In alcune sostanze inducono fluorescenza, Non possono essere focalizzati con lenti o collimatori. La produzione I raggi X sono prodotti in seguito alla conversione dell’energia cinetica degli elettroni che colpiscono il target dell’anodo in energia elettromagnetica. I Raggi X vengono prodotti da “tubi radiogeni”, ovvero da sistemi che sono frutto dell’evoluzione del tubo di Coolidge. Il catodo è il polo negativo: è costituito da un filamento metallico che, se portato all’incandescenza, attraverso un proprio circuito di alimentazione, libera elettroni dalla propria superficie (effetto termoionico). L’anodo è il polo positivo: è costituito da una placca metallica ad elevato numero atomico, generalmente in tungsteno (Z=74), e ad elevata temperatura di fusione. Tra l’anodo ed il catodo è applicata una elevata differenza di potenziale. Produzione dei raggi X Quando gli elettroni, prodotti per effetto termoionico dal filamento del catodo (elettrodo negativo), sono accelerati, per mezzo della elevata ddp, verso l’anodo (elettrodo positivo): il 99% dell’energia è dissipata sotto forma di calore (i materiali anodici sono scelti in modo da resistere alle elevate temperature a cui sono sottoposti) l’1% dell’energia viene trasformata in produzione di Raggi X RADIAZIONE DI BREMSSTRAHLUNG RADIAZIONE CARATTERISTICA I fotoni X di frenamento vengono emessi in tutte le direzioni (isotropa), quelli utili per la formazione delle immagini radiologiche “escono” da una apertura dell’involucro del tubo mentre tutti gli altri sono fermati dalla schermatura del tubo stesso. I moderni tubi radiogeni hanno una radiazione di fuga inferiore all’1%. RADIAZIONE DI BREMSSTRAHLUNG La probabilità di un elettrone di impattare direttamente con il nucleo è molto bassa; l’atomo è costituito da un grande spazio vuoto e la sezione d’urto del nucleo è molto piccola. La maggior parte dei Raggi X generati sono di bassa energia. Pochi Raggi X sono generati alle energie più alte ed il numero dei raggi X ad alta energia diminuisce linearmente con l’energia. L’energia massima dei Raggi X corrisponde alla massima energia degli elettroni incidenti. Il grafico mostra lo spettro energetico dei raggi X di Bremsstrahlung in funzione dell’energia. Lo spettro non filtrato mostra una relazione a “rampa” della distribuzione dei fotoni in funzione dell’energia, con l’energia massima determinata dal picco di differenza di potenziale (Kvpicco) applicata tra gli elettrodi del tubo a raggi X. Lo spettro filtrato mostra l’abbattimento dell’intensità di Raggi X alle basse energie. La filtrazione è riferita alla rimozione dei raggi X durante il passaggio del fascio attraverso uno strato di materiale assorbitore (rame o alluminio). Un tipico spettro di bremsstrahlung filtrato mostra che le basse energie sono assorbite e l’energia media dei raggi X è circa 1/3 – ½ dell’energia massima dello spettro. L’efficienza di produzione dei raggi X (intensità) è influenzata dal numero atomico del materiale target e dall’energia cinetica dei fotoni incidenti: maggiore è l’energia dei fotoni e maggiore sarà l’intensità emessa. RADIAZIONE X CARATTERISTICA Ogni elettrone dell’atomo del target ha un’energia di legame che dipende dall’orbitale in cui risiede. L’energia diminuisce man mano che ci si sposta dagli orbitali più vicini al nucleo a quelli più lontane. Quando l’energia di un elettrone incidente è maggiore dell’energia di legame di un elettrone dell’atomo target, è energeticamente possibile che la collisione provochi l’espulsione dell’elettrone colpito e la conseguente ionizzazione dell’atomo. SPETTRO CARATTERISTICO Gli orbitali non completamente pieni sono instabili, pertanto un elettrone di un orbitale più esterno, con un’energia di legame minore, effettuerà un salto di orbitale per riempire la vacanza. Quando l’elettrone si sposta in un orbitale più interno, l’eccesso di energia viene rilasciata sotto forma di fotone X caratteristico, con un’energia pari alla differenza di energia di legame dei due orbitali. All’interno di ciascun orbitale ci sono dei sotto-orbitali con energie discrete, che provocano un fine slit dell’energia dei raggi X caratteristici. I raggi X caratteristici, a parte quelli degli orbitali K, non sono importanti nell’imaging radiologico perché sono completamente attenuati dal materiale filtrante e dalla finestra del tubo a raggi X. Materiale anodico: Le energie di legame sono uniche per un determinato elemento target. Pertanto, I raggi X emessi hanno energie discrete che sono caratteristiche di quell’elemento. I principali materiali utilizzati per la costruzione dei target anodici nei tubi a raggi X per apparecchiature di diagnostica sono il tungsteno W (Z=74), il molibdeno Mo (Z=42) ed il rodio Rh (Z=45): BE  Z2. All’aumentare dell’energia E degli elettroni incidenti rispetto all’energia di legame di soglia per la produzione dei raggi X caratteristici, la percentuale di raggi X prodotti aumenta (5% a 80 kVp versus 10% a 100 kVp). SPETTRO DEI RAGGI X Lo spettro dei raggi X è uno spettro continuo dovuto alla radiazione X di Bremsstrahlung con sovrapposte delle righe discrete dovute alla radiazione caratteristica. ELETTRICITA’ ED ELETTROMAGNETISMO FENOMENI ELETTROMAGNETICI: La carica elettrica, L’atomo: struttura microscopica, La carica elettrica, Forza di Coulomb, Il campo ed il potenziale elettrico, Condensatori in serie ed in parallelo, La corrente elettrica, Le leggi di Ohm, Resistenze in serie ed in parallelo, Potenza elettrica ed effetto Joule, I campi magnetici. ELETTRICITA’ L’elettricità è un fenomeno fisico che coinvolge le cariche elettriche a livello atomico e molecolare. I protoni e gli elettroni scambiano tra loro delle forze elementari, che vengono chiamate forze elettriche (o più propriamente elettro-magnetiche), e che sono la sorgente della stragrande maggioranza dei fenomeni macroscopici che quotidianamente vengono osservati. L’ATOMO L’atomo è costituito da un nucleo, formato da N neutroni e Z protoni, e da Z elettroni che ruotano attorno al nucleo. Il numero atomico Z identifica l’elemento chimico. Il numero N di neutroni, a parità di Z può variare e identifica i diversi isotopi dello stesso elemento. Il numero di massa A è dato dalla somma dei neutroni e di protoni che costituiscono il nucleo atomico. A=Z+N La massa di un atomo è tutta concentrata nel nucleo; infatti, la massa dei singoli elementi è la seguente: Massa del protone = 1,67262158x10-27 Kg Massa del neutrone = 1,67492715x10-27 Kg Massa dell’elettrone = 9,10938188x10-31 Kg I nuclei contengono quasi la totalità della massa dell’atomo, ma hanno dimensioni estremamente piccole. L’ordine di grandezza della dimensione del nucleo è 10^-14 m. Gli elettroni ruotano ad una distanza decisamente maggiore all’interno di una “nuvola elettronica” di dimensioni dell’ordine di 10^-10 m. Quindi un atomo è formato da un piccolo nucleo centrale, dove è concentrata tutta la massa, e da una regione, sede del moto degli elettroni, di dimensioni molti ordine di grandezza delle dimensioni del nucleo. Le interazioni tra atomi avvengono sempre a livello della nuvola elettronica: - Le interazioni tra due nuvole elettroniche sono regolate soltanto dalle forze elettriche, che si scambiano gli elettroni che compongono tali nuvole. - I nuclei non interagiscono praticamente mai direttamente tra di loro, da questo risale la stabilità degli elementi. Le interazioni tra gli atomi sono dovute solo all’azione di forze elettriche. Le forze elettriche sono responsabili della formazione delle molecole. LE FORZE ELEMENTARI Gli elettroni ed i protoni interagiscono tra di loro attraverso forze che agiscono a qualunque distanza r si trovino: 1. Due elettroni o due protoni nel vuoto si respingono con una forza che è inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza: 2. Un protone ed un elettrone si attraggono con una forza il cui modulo è sempre: La costante k = 2,308x10-28 Nm2. LA CARICA ELETTRICA In generale un corpo è formato da atomi costituiti da un ugual numero di elettroni e di protoni, pari a Z (numero atomico). È possibile, però, che un corpo acquisti o perda elettroni. In questo caso è possibile quindi che la somma di tutti i protoni del corpo non coincida con il numero totale di elettroni. La carica elettrica Q è una misura dello sbilanciamento tra il numero di elettroni e di protoni. Q = K (Np – Ne). In un atomo neutro Q = 0 e K determina l’unità di misura della carica elettrica. Un eccesso di protoni determina una carica complessiva positiva, mentre un eccesso di elettroni una carica elettrica negativa. L’unità di misura delle cariche elettriche è il Coulomb (C). La carica elementare è quella dell’elettrone ed è pari a: e- = -1,6021x10^-19 C La carica del protone è uguale a quella dell’elettrone ma ha segno positivo: p+ = +1,6021x10^-19 C Il neutrone è senza carica. L’atomo, essendo formato da un ugual numero di elettroni e di protoni ha carica totale = 0. CARICHE PUNTIFORMI Se consideriamo una carica generatrice Q ed una carica di prova q, la forza con cui le due cariche interagiscono è detta forza di Coulomb ed il suo modulo è dato dalla seguente relazione: Nel vuoto k = k0 Questo valore è molto grande, quindi la forza di Coulomb è una forza molto intensa. CAMPO ELETTRICO Una massa e una carica generano una perturbazione nello spazio che le circonda. Il campo elettrico generato è un vettore che ha la stessa direzione e lo stesso verso della forza F. Il suo modulo è dato dalla seguente relazione: La carica di prova q è sempre positiva. Le linee di campo elettrico sono sempre uscenti se la carica Q è positiva e sono entranti se la carica Q è negativa. ENERGIA POTENZIALE ELETTROSTATICA Le forze elettrostatiche sono forze di tipo conservativo, pertanto, il lavoro compiuto per spostare una carica dalla posizione A alla posizione B dipende solo dalla posizione iniziale e da quella finale e non dalla traiettoria. Il lavoro può essere espresso come una variazione di energia potenziale: LAB = UA - UB POTENZIALE ELETTRICO Il potenziale elettrico è definito come il rapporto tra l’energia potenziale elettrostatica e la carica i prova q: V è la differenza di potenziale tra due punti di un circuito. Il potenziale elettrico si misura in Volt: 1V = 1J /1C CONDENSATORI PIANI Il condensatore piano è costituito da due lastre metalliche conduttrici identiche, piane e parallele di area S, poste alla distanza d molto minore delle loro dimensioni piane. Le due lastre si chiamano armature del condensatore e tra di loro deve sempre essere posto un mezzo isolante. Inizialmente supponiamo che ci sia aria o vuoto. Quando sulle piastre non è presente alcuna carica il condensatore si dice scarico. È invece carico quando sulle due piastre si depositano una carica Q ed una carica uguale ma negativa –Q. A causa dell’attrazione delle cariche opposte la carica si distribuisce tutta sulle facce interne del condensatore. La carica si distribuisce in maniera omogenea sulle due piastre e si può definire una densità superficiale di carica: Una carica q che si trovi in mezzo alle due piastre subirà una forza attrattiva verso una piastra ed una forza repulsiva verso l’altra. In un condensatore la capacità elettrica viene definita come il rapporto tra la carica Q depositata sulle armature e la differenza di potenziale V tra le due armature. CONDENSATORI IN SERIE ED IN PARALLELO Il condensatore è un sistema in grado di immagazzinare energia elettrica. LA CORRENTE ELETTRICA Quando le cariche generatrici sono in moto si introduce la nozione di corrente elettrica e di densità di corrente elettrica. Consideriamo il caso di cariche elettriche che fluiscono in un filo conduttore. La corrente elettrica i che fluisce in un filo conduttore è data dal rapporto tra la quantità di carica dQ che in un breve intervallo di tempo dt attraversa la sezione del file conduttore ed il tempo dt. L’unità di misura della corrente elettrica è l’ampere (A) che corrisponde al passaggio della carica di 1 coulomb in q secondo. I CIRCUITI ELETTRICI Un circuito elettrico semplice è costituito da: - Un elemento G chiamato generatore, ovvero un dispositivo che cede energia alle cariche elettriche che lo attraversano - Un elemento U, che in generale possiamo chiamare utilizzatore (esempio una lampadina) - due fili di collegamento, nei quali possono fluire le cariche - un interruttore I, in grado di troncare la continuità del circuito. A interruttore chiuso le cariche fluiscono, ad interruttore aperto il flusso si ferma. Le cariche elettriche prelevano l’energia dal generatore e la trasportano all’utilizzatore. LEGGI DI OHM In un filo conduttore di lunghezza l e sezione S nel quale scorre una corrente elettrica i e ai cui estremi c’è una differenza di potenziale (ddp) V, si può dimostrare sperimentalmente che: Prima legge di Ohm: La ddp V è direttamente proporzionale all’intensità di corrente e la costante di proporzionalità si chiama resistenza R. Seconda legge di Ohm: La resistenza di un filo è direttamente proporzionale alla sua lunghezza ed inversamente proporzionale alla sua sezione, la costante di proporzionalità dipende dal materiale conduttore e prende il nome di  =resistività. Dalla prima legge di Ohm si può ricavare l’unità di misura della resistenza: Quando in una resistenza scorre della corrente elettrica viene ceduta energia da parte delle cariche elettriche. La potenza ceduta sarà data dalla seguente relazione, che rappresenta la terza legge di Ohm: RESISTENZE IN SERIE ED IN PARALLELO Resistenze in serie Resistenze in parallelo DISSIPAZIONE TERMICA (EFFETTO JOULE) La dissipazione termica in un conduttore percorso da corrente elettrica corrisponde al lavoro fatto dalle forze del campo per accelerare ripetutamente le particelle cariche. L’energia cinetica acquisita da queste si dissipa tramite urti e viene misurata a livello macroscopico come una quantità di calore prodotta dal passaggio di corrente (effetto Joule). La quantità di energia dissipata è proporzionale alla quantità di carica che attraversa il conduttore ed alla differenza di potenziale attraversata La potenza dissipata è pari al lavoro fatto nell’unità di tempo ed è quindi: CAMPI MAGNETICI E CORRENTI ELETTRICHE Un filo conduttore nel quale scorre una corrente elettrica genera attorno a sé un campo magnetico. Le cariche che si muovono in un filo elettrico sono gli elettroni degli atomi che lo compongono. Il campo magnetico generato dagli elettroni che si muovono in un filo conduttore ha le seguenti caratteristiche: - In ogni punto P è perpendicolare sia all’asse del filo che alla perpendicolare abbassata dal punto P al filo; - il verso è definito dalla regola della mano destra - il suo modulo è dato dalla seguente relazione: il prodotto 0 r è una costante di proporzionalità; il valore di 0 = 410^-7 T m/A (permeabilità magnetica del vuoto) la quantità r (permeabilità magnetica relativa del mezzo) dipende dal mezzo in cui il campo magnetico viene creato e deve essere determinata sperimentalmente, per ogni tipo di materiale. Le linee di forza del campo magnetico sono delle circonferenze che giacciono in piani perpendicolari al filo e che ad esse sono concentriche: sono sempre linee chiuse. SOLENOIDI Un solenoide è un filo avvolto su più volte su un supporto cilindrico di raggio R. È costituito da N spire avvolte per una lunghezza L. Il campo magnetico generato da una corrente che scorre in un solenoide è dato da: Il campo magnetico prodotto da un solenoide è costante in un certo volume di spazio. Regola della mano destra per le linee di campo magnetico PROPRIETA’ MAGNETICHE DELLA MATERIA La costante permeabilità magnetica relativa di un mezzo è caratteristica di ciascun mezzo e individua le caratteristiche magnetiche del mezzo che stiamo considerando. Gli atomi, in base alle loro caratteristiche magnetiche, possono essere suddivisi in tre categorie: Atomi paramagnetici - Atomi diamagnetici - Atomi ferromagnetici Le proprietà magnetiche degli atomi sono legate ai campi magnetici prodotti dalla rotazione degli elettroni attorno ai nuclei. Nei materiali diamagnetici, i campi generati dai vari atomi sono accoppiati in modo da annullare il campo magnetico totale. Nei materiali paramagnetici e ferromagnetici, il campo totale generato dai vari atomi è diverso da zero, e maggiore nei materiali ferromagnetici. La costante permeabilità magnetica dei materiali diamagnetici è r < 1, mentre nei materiali paramagnetici e ferromagnetici è r > 1. I MAGNETI PERMANENTI Esistono delle sostanze, chiamate magneti, che producono spontaneamente un campo magnetico. La più nota è la magnetite da cui si estrae il ferro. La forma più comune di un magnete è il magnete a barra. Studiando il campo magnetico in prossimità di un magnete a barra, si scopre che è molto simile a quello prodotto da un solenoide. Una caratteristica fondamentale di un magnete è che non esistono cariche magnetiche isolate: tagliando un magneti si formano sempre i due poli. In analogia con le cariche elettriche si dice che c’è una “carica magnetica positiva”, individuata come polo nord del magnete, ed una “carica magnetica negativa”, individuata come il polo sud del magnete. LA STATICA La statica è quella parte della Meccanica che studia l’equilibrio meccanico dei sistemi fisici. La semplificazione massima dei sistemi fisici è quella di approssimarli ad un oggetto puntiforme (punto materiale). In generale, però, i sistemi fisici sono complessi ed estesi. Un corpo rigido è un sistema esteso senza struttura interna, utilizzato nello studio della statica. Un corpo rigido è un corpo che sottoposto a forze non si deforma o la deformazione è trascurabile. STATICA: EQUILIBRIO E CORPO RIGIDO 1. Se ad un corpo rigido sono applicate nello stesso punto due forze uguali e contrarie, il corpo rimane nella sua condizione di moto o mantiene il suo stato di quiete, in quanto l’effetto totale delle forze applicate è nullo. 2. La stessa considerazione del punto 1 vale se le due forze sono applicate in due punti diversi ma sono sulla stessa retta direttrice. 3. Se il corpo non fosse rigido, l’effetto delle forze potrebbe essere quello di deformarlo. 4. Conseguenza di quanto sopra esposto è che: una forza applicata a un corpo rigido può essere spostata lungo la sua retta di applicazione senza alterare le condizioni dinamiche del corpo. FORZE APPLICATE A UN CORPO RIGIDO Conseguenza di quanto sopra esposto è che: una forza applicata a un corpo rigido può essere spostata lungo la sua retta di applicazione senza alterare le condizioni dinamiche del corpo. Se si vuole spostare una forza dal punto di applicazione A al punto di applicazione B, basterà applicare a B due forze F’ e – F’, giacenti sulla retta congiungente A e B, ambedue in modulo e direzione uguale a F, ma una avente lo stesso verso e l’altra il verso opposto. La composizione delle tre forze equivale alla sola forza F’ la quale equivale alla forza F applicata al punto B. Se ad un corpo rigido sono applicate due o più forze, le cui linee di azione si incontrano tutte in un punto, potremo sostituire ad esse la risultante di tali forze applicate in quel punto. L’effetto della risultante è del tutto identico a quello delle forze delle quali essa ne è la somma. Consideriamo il caso di due forze parallele F1 e F2, applicate alle estremità di un’asse. Per costruire la forza risultante, applichiamo agli estremi 1 e 2 due forze di uguali intensità, verso opposto e dirette come l’asse, F e -F. Per ottenere la forza risultante sommiamo prima F1 con F, ottenendo F1 ’, poi F2 con – F, ottenendo F2’, ed infine sommiamo tra di loro F1’ e F2 ’, traslate entrambe in O per ottenere R. Consideriamo il caso di due forze uguali in modulo, parallele F1 e F2, applicate alle estremità di un’asse, con verso opposto. Per costruire la forza risultante, come nel caso precedente, applichiamo agli estremi 1 e 2 due forze di uguali intensità, verso opposto e dirette come l’asse, F e -F. Per ottenere la forza risultante sommiamo prima F1 con F, ottenendo F1 ’, poi F2 con – F, ottenendo F2’. Poiché anche F1 ’, e F2’ sono parallele non possono essere ridotte ad una sola forza risultante: si parlerà di coppia di forze. MOMENTO DELLA COPPIA Applicando una coppia di forze ad un corpo rigido se ne provoca una rotazione. Una coppia di forze è rappresentata in modo completo da un vettore chiamato momento della coppia, M. Il momento della coppia ha le seguenti caratteristiche: - Modulo uguale al prodotto tra la distanza tra le due rette di applicazione delle forze (distanza 1-2) ed il modulo della forza. - La direzione perpendicolare al piano su cui giacciono le forze. - verso, secondo la regola della mano destra. MOMENTO DELLA FORZA Qualunque sia l’insieme delle forze applicate ad un corpo, queste sono sempre riconducibili ad una forza ed a una coppia; quindi, ad una forza risultante delle forze applicate e al momento risultante delle coppie. Poiché le forze F1 e F2 non hanno la stessa intensità, la loro risultante non si applica al centro dell’asta, ma in un punto spostato rispetto ad esso. La conseguenza è che l’asta si sposta essendo sottoposta ad un moto traslatorio ed a uno rotatorio. Ogni moto di un corpo rigido può essere sempre decomposto istante per istante, in un moto i traslazione ed uno di rotazione. Non è sempre semplice individuare la coppia di forze che agisce sul corpo. Il momento delle forze rispetto a un punto fisso è un vettore con le seguenti caratteristiche: - Come modulo, il prodotto tra la distanza (braccio) fra il punto fisso e la retta di applicazione della forza e la forza stessa. - Come direzione, quella della perpendicolare al piano che contiene la forza e la distanza l. - Come verso, quello ottenuto dalla regola della mano destra. Cruciale è la scelta del punto rispetto al quale calcolare il momento. MOMENTO DELLA FORZA Altalena a dondolo: condizione di equilibrio, l’altalena rimane orizzontale e ferma rispetto al fulcro O. Bambino 1, peso P1 e distanza dal fulcro O l1. Bambino 2, peso P2 e distanza dal fulcro O l2. 01 = 02 = 90 Poiché i due corpi sono in equilibrio, la risultante R sarà uguale e contraria alla somma di P1 e P2 e i momenti delle due forze sono anch’essi in equilibrio: P1l1 = P2l2 Quindi, il bambino più pesante dovrà stare seduto più vicino al fulcro rispetto al bambino con peso minore. Caso in cui la direzione della forza non è perpendicolare alla retta che congiunge il suo punto di applicazione con il fulcro O. Bambino 1, peso P1 e distanza dal fulcro O: l1sin0 Bambino 2, peso P2 e distanza dal fulcro O: l2sin0 Il momento delle forze viene pertanto definito come il prodotto vettoriale di F per l: L’azione del momento è quella di far ruotare l’altalena: dondolio. L’equazione dimensionale del momento è la seguente: MOMENTO DELLA FORZA: esempio Braccio teso orizzontale (l=57 cm): forza perpendicolare (0 = 90) alla distanza dal fulcro (gomito) => sin0 = sin90° = 1 M = Fx57x1= 57F Braccio inclinato verso il basso (l=57 cm): forza a 45 gradi rispetto al braccio => sin0 = sin45° = 0.707 M = Fx57x0.707= 40.3F Quando il braccio è in posizione orizzontale, il momento va contrastato con una forza muscolare maggiore. EQUAZIONI CARDINALI DELLA STATICA Un punto materiale è in quiete quando ha velocità nulla e quindi anche l’accelerazione è nulla. Dal secondo principio della dinamica si evince che perché l’accelerazione sia nulla è necessario che sia nulla la risultante di tutte le forze che agiscono sul punto. Quindi: LE LEVE Una leva è costituita generalmente da un’asta rigida appoggiata ad un punto fisso, detto fulcro, e sottoposta a due forze, dette: Potenza FP e Resistenza FR, oltre che all’azione vincolare R esercitata dal fulcro. Il funzionamento della leva è governato dai momenti delle due forze rispetto al fulcro. La posizione del fulcro rispetto al punto di applicazione delle due forze determina la classificazione delle leve in 1°, 2° e 3° genere. Leve di 1° genere: Il fulcro si trova tra il punto di applicazione della Resistenza e quello della Potenza. Leve di 2° genere: Il fulcro si trova oltre le due forze, più vicino alla Resistenza. Leve di 3° genere: Il fulcro si trova oltre le due forze, più vicino alla Potenza. Il guadagno meccanico di una leva è definito come il rapporto tra la resistenza e la potenza. La leva è vantaggiosa quando il guadagno meccanico è maggiore di 1, ovvero quando la Resistenza è maggiore della Potenza. Nel caso del sollevamento di un peso la leva è vantaggiosa quando la Potenza che bisogna applicare è inferiore al peso del masso, che costituisce la resistenza. In termini di momenti, la leva è vantaggiosa quando il momento della potenza è maggiore del momento della resistenza, quindi quando il braccio della potenza è maggiore del braccio della resistenza. Si deduce che: 1. Le leve di primo genere sono vantaggiose solo quando il fulcro è più vicino alla resistenza che alla potenza 2. Le leve di secondo genere sono sempre vantaggiose 3. Le leve di terzo genere sono sempre svantaggiose. BARICENTRO Il baricentro è il punto al quale si può considerare applicato il peso di un sistema materiale. Il baricentro coincide con il punto nel quale andrebbe concentrata tutta la massa se il corpo potesse essere sostituito con un punto. Se si considera un corpo esteso si introducono due nuove grandezze: la densità e il peso specifico. Se si conosce la densità ed il volume di un corpo è possibile determinare la sua massa e quindi il suo peso dalla formula della densità (esempio: uso della radiologia) EQUILIBRI Un corpo appoggiato ad una superficie è sottoposto alla forza peso, applicata al baricentro, e alla reazione vincolare della superficie sulla quale è appoggiato. Se la somma vettoriale di queste due forze è nulla ed il momento complessivo è anch’esso nullo, allora il corpo è in equilibrio. Se la superficie d’appoggio è orizzontale, il corpo è in quiete se la retta di applicazione della reazione vincolare passa dal baricentro del corpo. Il corpo resta in equilibrio se la retta di applicazioni delle risultanti cade all’interno del poligono di appoggio del corpo sul piano. Se un corpo è solo parzialmente appoggiato su una superficie e la forza peso (e quindi la retta passante per il baricentro) cade fuori dalla superficie d’appoggio, si genera un momento che lo fa cadere. Equilibrio stabile: si ha quando il punto di applicazione della reazione vincolare è al di sopra del baricentro. Equilibrio instabile: si ha quando il punto di applicazione della reazione vincolare è al di sotto del baricentro. Equilibrio indifferente: si ha quando il punto di applicazione della reazione vincolare coincide con il baricentro. Il corpo umano, in posizione eretta è un equilibrio instabile, in quanto il baricentro si trova al di sopra del punto di applicazione della reazione vincolare. Perché l’uomo resti in piedi è necessario che la retta passante per il baricentro cada all’interno dell’area definita dai piedi. La posizione di equilibrio viene mantenuta dall’azione muscolare. PROPRIETA’ ELASTICHE DEI SISTEMI CONTINUI La legge di Hooke, sulle forze elastiche, si applica anche ai sistemi continui. Immaginiamo di avere una bacchetta di lunghezza L e sezione A, sottoposta a due forze contrapposte, di modulo F, applicate alle estremità, che tirano in verso opposto. Sperimentalmente si ottiene la seguente relazione: sforzo = F/A, forza per unità di superficie deformazione = ΔL/L, allungamento relativo g = modulo di Young Lo sforzo ed il modulo di Young si misurano in N/m2=Pascal (Pa) I vari materiali, per esempio l’osso, possono subire delle deformazioni elastiche (tornando nelle condizioni iniziali), oppure possono subire delle deformazioni plastiche o fratture. In genere si verifica una frattura quando la deformazione è superiore allo 1.5%. Lo sforzo corrispondente al punto di frattura viene detto ultimo sforzo di tensione. In tabella sono riportati lo sforzo ultimo di tensione ed i fattori di Young delle ossa principali. In compressione lo sforzo ultimo è maggiore. Esempio femore: 1.6x102 MPa A1. DIMENSIONE DELLE VERTEBRE Lo sforzo è il rapporto tra la forza applicata e la superficie a cui viene applicata: F/A e si misura in N/m2 = Pascal. Esiste un valore limite caratteristico di ogni materiale che viene definito ultimo sforzo di tensione. Ogni vertebra (es. V10) è stretta tra la forza che agisce dall’alto verso il basso (dovuta a tutte le vertebre soprastanti), F9->10, e la reazione della vertebra susseguente dal basso verso l’alto, F11->10. La reazione vincolare sul fondo della vertebra è maggiore rispetto a quella sulla parte più alta, perché ogni parte deve sopportare il peso di tutte quelle che stanno sopra. Questa è la ragione per cui le vertebre aumentano dall’alto verso il basso. A2. FORZE ALLE QUALI È SOTTOPOSTA LA SPINA DORSALE I dischi vertebrali hanno diverse funzioni: -Assorbire i colpi -Trasmettere in modo uniforme la pressione tra le vertebre -Permettere la deformazione durante la spina dorsale -Sono elastici e si comprimono sottoposti ad un carico. Come tutti i materiali elastici il disco vertebrale ha un punto di rottura: per i dischi lombari è circa 1500 kg-peso, con una compressione del 35%. Grazie al fatto che le dimensioni delle vertebre aumentano dall’alto verso il basso, la pressione di rottura è uguale per tutte ed è circa 1.1 Kg-peso/mm2. Le vertebre, sotto l’azione della forza esercitata dai muscoli della schiena eseguono movimenti di rotazione sia su un piano verticale che orizzontale. FORZE ALLE QUALI È SOTTOPOSTA LA SPINA DORSALE La spina dorsale può essere assimilata ad un’asta rigida con uno snodo nel disco lombo- sacrale. P = peso di tutto il corpo = 80 Kg-peso P1 = peso del tronco = circa 0.4P = 32 Kg-peso P2 = peso di testa e braccia = circa 0.2P = 16 Kg-peso L = lunghezza della colonna; R = reazione del disco lombo sacrale; A circa 2/3L dal basso si attacca il muscolo che agisce sulla colonna con una forza Fs la cui direzione forma un angolo di 12° con la colonna; P1 si applica ad una distanza L/2; P2 si applica ad una distanza L; Peso P = 80 Kg-peso. Supponiamo che l’uomo si inclini di 0 = 45° a mani vuote. Calcoliamo l’equilibrio dei momenti rispetto al disco lombo sacrale: Piegandosi di 45° si fa compiere ai muscoli della schiena uno sforzo di 149,3 Kg. Calcoliamo la forza R esercitata sul disco lombo sacrale e scomponiamola nelle componenti lungo l’asse x e l’asse y. Le componenti delle forze peso nelle direzioni dell’asse x sono nulle. Valgono le seguenti relazioni: In questa posizione il disco lombo-sacrale sopporta un peso superiore al doppio del peso del corpo. L’angolo formato dalla proiezione di Fs lungo l’asse x e Fs è pari a 33° in quanto complementare dell’angolo di 57° = 12°+45°. Supponiamo che il braccio sollevi un peso di 20 Kg => P2=0.2x80+20=36 Kg Valgono le seguenti relazioni: Questo aumento così elevato, per l’aggiunta di soli 20 Kg è dovuto al braccio di leva tra P2 e il disco lombo- sacrale, che è grande essendo uguale alla proiezione sull’asse orizzontale di tutta la spina dorsale. A3. FORZE ALLE QUALI È SOTTOPOSTO IL FEMORE DURANTE LA DEAMBULAZIONE Si vuole calcolare la forza a cui è sottoposto il femore di un uomo durante la deambulazione. -La forza esercitata dai muscoli adduttori sul grande trocantere è la forza F ed è inclinata di 70° rispetto ad un asse orizzontale; -La forza RF è la forza esercitata dall’acetabolo sulla testa del femore; -P è il peso del corpo ed R=P è la reazione vincolare; -Pg=P/7 è il peso della gamba. L’equilibrio statico può essere definito come equilibrio delle forze ed equilibrio dei momenti. Tutte le forze sono sul piano verticale, quindi possono essere scomposte nella direzione x ed in quella y. Equilibrio delle forze Componenti lungo l’asse y: F sin 70° − 𝑅𝐹Y − 1/7 P + P = 0 Componenti lungo l’asse x: F⋅ cos 70° − 𝑅𝐹X = 0 Equilibrio dei momenti Calcoliamo i momenti rispetto al centro della testa del femore, definiti come la componente della forza nella direzione verticale e la distanza orizzontale rispetto all’asse. La forza esercitata dai muscoli adduttori sul grande trocantere è circa 1.6 volte il peso del corpo. FORZE ALLE QUALI È SOTTOPOSTO IL FEMORE DURANTE LA DEAMBULAZIONE Dalle formule dell’equilibrio delle forze è possibile ricavare i valori delle due componenti di R: Si deduce dai risultati che la forza che agisce sul femore è poco meno di 2.5 volte il peso del corpo. FLUIDI I fluidi si dividono in due grandi categorie: i liquidi e gli aeriformi. Liquidi: hanno volume proprio; assumono la forma del recipiente che li contiene Aeriformi: non hanno volume propri; assumono la forma ed il volume del recipiente che li contiene. Nel caso dei fluidi, a differenza dei corpi solidi, una forza, per essere efficace, deve essere applicata ad una superficie rigida o semirigida che agisce sul fluido => non può essere applicata ad un solo punto! Negli stati di quiete la forza è sempre perpendicolare alla superficie stessa. Poiché nei fluidi bisogna parlare di forze che agiscono su una superficie, è fondamentale introdurre il concetto di pressione. L’unità di misura della pressione è il Pascal: 1 Pa = 1 N / 1 m2. Altre unità sono il bar = 10^5 N/ m2 oppure l’atmosfera: 1 atm = 1,013 bar. In un aeriforme la pressione esercitata verso l’esterno è dovuta principalmente al movimento e agli urti tra le molecole del gas, che provocando una variazione della quantità di moto esercitano una forza. Nei liquidi, invece tale forza è trascurabile. ISOTROPIA DELLE PRESSIONI Si consideri un fluido a riposo racchiuso in un recipiente. La pressione esercitata su ogni parete è perpendicolare ad essa. Analogamente se si considera una superficie immaginaria all’interno del fluido, la pressione sarà perpendicolare alla superficie stessa ed uguale sulle due facce della superficie, altrimenti si avrebbe la formazione di una corrente ed il fluido non sarebbe in quiete. Nel caso dei liquidi la pressione è dovuta principalmente alla forza peso del liquido stesso e alla pressione esercitata sulla superficie libera. In generale, in un fluido, la pressione esercitata in un punto è uguale in tutte le direzioni, mentre al variare della profondità varia, perché varia il peso del fluido. PRINCIPIO DI ISOTROPIA DELLE PRESSIONI: Principio di Pascal La pressione esercitata su una superficie infinitesima all’interno di una massa fluida ha lo stesso valore qualunque sia la giacitura della superficie sulla quale essa si esercita, e si trasmette con la stessa intensità in ogni punto del fluido. Martinetto idraulico: una forza F esercitata su una superficie S genera una pressione p = F/S. La pressione si trasmette lungo il fluido rimanendo costante: S2/S1 viene detto vantaggio meccanico del martinetto. VARIAZIONI DELLA PRESSIONE CON L’ALTEZZA In un fluido in quiete la pressione è uguale in tutte le direzioni alla stessa profondità. È noto che in mare la pressione aumenta con la profondità, mentre la pressione atmosferica decresce con l’altezza. Richiamiamo le definizioni di densità e peso specifico: PRESSIONE IDROSTATICA Si consideri un piccolo volumetto di un liquido: le forze cui è soggetto sono le pressioni perpendicolari esercite dal fluido circostante più il peso del volumetto. Le forze lungo le pareti laterali si annullano a vicenda, mentre la forza esercitata sulla superficie inferiore è uguale a quella esercita lungo la parete superiore più il peso del volumetto. Se p è la pressione della faccia superiore e p + dp è la pressione della faccia inferiore possiamo scrivere: PRESSIONE IDROSTATICA: Principio di Stevino La variazione di pressione sarà data da: Se si considera un liquido con una superficie libera, la pressione ad una profondità Δh è data dalla pressione in superficie (pressione atmosferica = PH) + il peso specifico del liquido moltiplicato per la profondità: LEGGE DI ARCHIMEDE Un corpo immerso in un liquido riceve da questo una spinta verso l’alto pari al peso del volume del fluido spostato. Un corpo di massa m è sottoposto alla forza peso FP = mg e alla spinta idrostatica FA (spinta di Archimede): 𝐹A = Mg M rappresenta la massa del volume di fluido spostato dal corpo (N.B. 𝜌 è la densità del fluido). A parità di volume la massa è maggiore quando maggiore è la densità. a) Il peso del corpo immerso è maggiore del peso del volume di fluido spostato => il corpo affonda (ρcorpo > ρfluido) b) Il peso del corpo immerso è uguale al peso del volume di fluido spostato => il corpo resta in equilibrio (ρcorpo = ρfluido) c) Il peso del corpo immerso è minore del peso del volume di fluido spostato => il corpo galleggia (ρcorpo < ρfluido) La spinta idrostatica non dipende dalla composizione del corpo, ma solo dal volume della parte immersa. Consideriamo il caso di un corpo completamente immerso in un fluido: la forza risultante sul corpo è diretta verso l’alto se FA > FP, ovvero se la densità del corpo è minore della densità del fluido e diretta verso il basso se la densità del corpo è maggiore della densità del fluido. Se FA > FP il corpo emergerà parzialmente: - il volume sommerso si riduce - la spinta idrostatica si riduce, fino a quando si equilibra con la forza peso. FORZE DI VAN DER WAALS Le forze di Van der Waals agiscono a livello molecolare. A seconda della distanza tra le molecole possono essere di tipo attrattivo oppure repulsivo: - Sono attrattive alle grandi distanze - sono repulsive a piccole distanze Sono responsabili della tensione superficiale e del fenomeno della capillarità. TENSIONE SUPERFICIALE Una molecola che si trova all’interno del liquido si trova sottoposta a forze in tutte le direzioni, che si annullano a due a due, pertanto la risultante è nulla. Le molecole che si trovano sulla superficie liquida a contatto con un mezzo diverso (aria oppure un altro fluido), sono sottoposte ad una risultante di forze non nulla diretta perpendicolarmente alla superficie di contatto. Tale risultante è una forza di coesione rivolta verso l’interno del fluido (evita la dispersione delle molecole). La tensione superficiale può essere considerata come la forza per unità di lunghezza esercitata sui bordi, si misura in N/m e si indica con la lettera ͳ. CAPILLARITA’ Tra le molecole di un liquido contenuto in un recipiente e le molecole del bordo del recipiente ci sono delle forze, dette di adesione, simili a quelle che ci sono tra le molecole del liquido stesso (forze di coesione). Le forze di adesione possono essere minori, maggiori o uguali rispetto alle forze di coesione: ci sono effetti sulla forma assunta dalla superficie libera. Quando la forza di adesione Fa è maggiore della forza di coesione Fc’, allora la risultante Fm sarà diretta verso l’esterno del liquido, che si incurverà verso l’alto. Quando la forza di adesione Fa è minore della forza di coesione Fc’, allora la risultante Fm sarà diretta verso l’interno del liquido, che si incurverà verso il basso. Indicando con α l’angolo che si forma tra la parete ed il liquido si può affermare che: - Se α < 90°, Fa > Fc ed il liquido bagna la parete. - Se α > 90°, Fa < Fc ed il liquido non bagna la parete In un recipiente largo, l’effetto ai bordi è comunque trascurabile. Se il recipiente è stretto, come nel caso dei tubi capillari con r Re il vaso scoppia, se R < Re il vaso si contrae fino al collasso. TERMODINAMICA TEMPERATURA La temperatura è la proprietà di un oggetto che determina la sensazione di “caldo” o “freddo” quando viene toccato. Lo strumento per misurare la temperatura è il termometro. La temperatura è una misura dell’energia cinetica media molecolare. CALORE E TEMPERATURA Prima del XIX secolo, si pensava che il caldo ed il freddo fossero determinati da quanto calore fosse contenuto in un corpo. Calore e temperatura erano la stessa cosa e il calore era considerato un fluido che scorreva da un oggetto caldo ad un oggetto freddo: il calorico. ESPANSIONE TERMICA Un corpo di lunghezza L0 alla temperatura T0, subisce una dilatazione se scaldato e portato a temperatura T. Se T0=0, allora: IL TERMOMETRO 1610: Galileo descrive un “termoscopio” per misurare la temperatura. Non aveva, però, uno standard di riferimento. 1641: Viene costruito, su commissione del Granduca di Toscana il primo termometro ad alcool in vetro, con 50 tacche arbitrarie. 1702: Roemer suggerisce l’uso di due valori fissi standard su cui basare una scala di temperatura. 1724: Fahrenheit inventa il termometro a mercurio, con due punti fissi (0 = temperatura di una miscela di cloruro di ammonio e ghiaccio e 100 = temperatura i un corpo umano in salute. In seguito, Fahrenheit modificò la scala in modo che il punto di fusione del ghiaccio fosse a 32°F e il punto di ebollizione dell’acqua a 212°F. SCALE DI TEMPERATURA 1745: Anders Celsius propone una scala divisa in 100 gradi con due temperature di riferimento: - 0°C = punto di fusione del ghiaccio - 100°C = punto di fusione dell’acqua 1933: Viene scelto il come punto fisso il punto triplo dell’acqua, fissato a 0.01°C. La scala Kelvin pone a 273.15°K il punto triplo. GAS E GAS PERFETTI I Gas hanno le seguenti proprietà: - Possono essere facilmente compressi - Esercita una pressione sulle pareti del recipiente che lo contiene - Occupa tutto il volume disponibile - Non ha forma propria né volume proprio - Due gas diffondono facilmente uno nell’altro - Tutti i gas hanno la stessa densità LEGGI DEI GAS Le leggi dei gas sono leggi che descrivono il comportamento dei gas all’equilibrio. Sperimentalmente si è dimostrato che le leggi dei gas si ricavano utilizzando solo le seguenti quattro variabili: - Pressione (P) - Volume (V) - Temperatura (T) - Numero di particelle (n) Robert Boyle, nel 1662, scopre che il volume di un gas è inversamente proporzionale alla pressione, quando la temperatura ed il numero di particelle rimangono costanti. Da un punto di vista molecolare la legge di Boyle si interpreta deducendo che, quando il volume di un gas si dimezza, vi saranno il doppio di urti delle particelle contro le pareti e quindi la pressione raddoppia! LA LEGGE DI BOYLE LA LEGGE DI CHARLES-GAY LUSSAC A pressione costante il volume è direttamente proporzionale alla temperatura. Tutte le rette convergono a volume 0 alla temperatura di -273.15°C -273.15 = Zero Assoluto LA SCALA KELVIN Poiché tutti i grafici della legge di Charles-Gay Lussac intersecano l’asse della temperatura a - 273.15°C, Kelvin propose di usare questo valore come zero di una scala assoluta di temperature: la scala Kelvin. Lo zero Kelvin (0K) è la temperatura dove il volume di una gas ideale è nullo e cessa ogni movimento molecolare. LA LEGGE DI AVOGADRO Il volume di un gas, a temperatura e pressione costante, è direttamente proporzionale al numero di moli del gas. V  n Uguali volumi di gas a parità di temperatura e pressione, contengono un ugual numero di molecole. Il volume molare è lo stesso. EQUAZIONE DI STATO DEI GAS IDEALI Le leggi dei gas sono le seguenti: - V  1/p Legge di Boyle -VT Legge di Charles-Gay Lussac - Vn Legge di Avogadro Combinando tutte queste relazioni e esprimendo la temperatura in gradi Kelvin possiamo ottenere un’unica legge: CALORE E TEMPERATURA La Temperatura rappresenta il movimento casuale delle molecole ed è, quindi, correlata alla loro energia cinetica. Il Calore è un flusso di energia interna che passa da un corpo ad un altro. Il calore fluisce da un corpo caldo a un corpo freddo fino a quando i due corpi raggiungono la stessa temperatura e quindi uno stato di equilibrio termico. I processi in cui il sistema scambia calore con l’esterno cedendo calore all’ambiente si dicono Esotermici. I processi in cui il sistema scambia calore con l’esterno assorbendo calore dall’ambiente si dicono Endotermici. Un sistema scambia energia con l’ambiente esterno mediante: - scambio di calore - lavoro (eseguito dal sistema o dall’ambiente) Scaldando un corpo, si aumenta la sua capacità di compiere lavoro e si aumenta la sua energia. Compiendo lavoro sul sistema, si aumenta la sua energia, ad esempio comprimendo un gas. ENERGIA INTERNA Sperimentalmente si è dimostrato che ogni corpo ha la capacità di immagazzinare l’energia internamente, senza trasformarla in energia cinetica totale del corpo ponendolo in movimento. Intuitivamente ad un corpo fermo è difficile associare un’energia cinetica e potenziale di movimento delle particelle (atomi/molecole) che lo compongono. La Termodinamica postula l’esistenza di una funzione U chiamata Energia Interna. L’energia interna è la somma dell’energia cinetica e potenziale molecolare. L’ENERGIA INTERNA PUO’ VENIRE IMMAGAZZINATA. IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA Immaginiamo di avere un corpo con energia interna iniziale Uì, immaginiamo che questo corpo assorba calore Q e che al suo interno sia stato dissipato un lavoro L. Si può affermare che la somma tra il calore (Q) ed il lavoro (W) equivale alla variazione di energia interna U: Primo principio della termodinamica. U = Q + L L’energia interna è funzione di pressione, temperatura e volume: U = U(p,V,T). Spesso il primo principio viene anche scritto come U=Q-W, indicando con positivo quando il lavoro è compiuto dal corpo e negativo quando è subito. UNITA’ DI MISURA DEL CALORE Caloria: definita come la quantità di calore che serve per portare 1 Kg di acqua da 14.5 °C a 15.5 °C. Per l’equivalenza tra lavoro e calore si può scrivere: 1 Cal = 4186 J = 4.186 kJ Per innalzare la temperatura di un corpo di massa M bisogna fornire energia (calore) alle sue molecole: Q = M c (Tfin – Tin) La costante c è chiamata calore specifico. TIPI DI TRASFORMAZIONI - Tr. Isoterma T = cost - Tr. Isobara p = cost - Tr. Isocora V = cost - Adiabatica Q = 0 CONDUZIONE La conduzione termica viene definita come quel meccanismo che provoca il trasferimento di energia interna da un corpo più caldo ad un corpo più freddo. La conduzione di calore avviene per interazione tra atomo e atomo, soprattutto attraverso gli elettroni che sono mobilissimi e velocissimi. In generale un buon conduttore termico è anche un buon conduttore elettrico. CONVEZIONE La convezione viene definita come il passaggio di calore tra corpi mediato dal trasporto di materia. - È specifica dei fluidi - La densità di un fluido diminuisce con la temperatura - Il fluido si sposta e viene rimpiazzato da un altro a temperatura minore (pentole e termosifoni) IRRAGGIAMENTO L’irraggiamento è uno scambio di calore senza contatto e senza movimento tra fluidi. Avviene anche nel vuoto (calore che arriva dl sole). L’energia irradiata è proporzionale alla temperatura assoluta elevata alla quarta. Questa legge è nota come la legge empirica di Stefan-Boltzmann. Il coefficiente  ≤ 1 viene detto emittenza. EQUILIBRIO TERMICO Si considerino due sistemi isolati, ciascuno dotato di valori propri di pressione, volume e temperatura. Immaginiamo di metterli a contatto separati solo da una parete conduttrice, dopo un certo periodo di tempo i due sistemi raggiungeranno l’equilibrio termico e la loro temperatura sarà uguale. Consideriamo due sistemi A e B separati tra di loro da una parete adiabatica, ma in contatto termico con un terzo sistema C. Attraverso la parete conduttrice A e B entrano in equilibrio termico e raggiungono la temperatura di C. Se a questo punto mettiamo in contatto il sistema A con il sistema B attraverso una parete conduttrice, non accade più nulla perché i due sistemi sono già in equilibrio termico tra di loro. PRINCIPIO ZERO DELLA TERMODINAMICA ASSIOMA: due sistemi in equilibrio termico con un terzo sistema, sono in equilibrio tra di loro. TRASFORMAZIONI NOTEVOLI - Tr. Isoterma T = cost U = 0  Q = L - Tr. Isobara p = cost L = p(Vf – Vi)  Q = U + L - Tr. Isocora V = cost L = 0  U = Q - Tr. Adiabatica q = 0 Q = 0  U = -L - Tr. Ciclica U = 0  Q = L CAMBIAMENTI DI STATO Consideriamo il processo di evaporazione. Le molecole del liquido sono tenute unite tra di loro dalle forze di coesione: affinché una molecola evapori è necessario che essa compia un lavoro contro le forze di coesione. Per compiere lavoro ha bisogno di energia! Il calore latente di evaporazione e di fusione è l’energia  che bisogna fornire a ciascuna molecola affinché essa compia il lavoro di evaporazione. Analogamente il calore latente di fusione è l’energia  che bisogna fornire a ciascuna molecola affinché essa compia il lavoro di fusione. L’energia necessaria per provocare un passaggio di stato può essere fornita sotto forma di lavoro meccanico che viene “dissipato” nel corpo (frullare del ghiaccio) oppure, come cedendo al corpo calore. L’energia assorbita non aumenta l’energia cinetica delle molecole ma viene usata solo contro le forze di coesione e quindi per cambiare l’energia potenziale.

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