Economia dell'Innovazione, dell'Ambiente e della Società - Settimana 3 PDF
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LUISS Guido Carli
2024
Fabrizio Pompei
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Questo documento descrive gli incentivi all'innovazione e la struttura di mercato, partendo dalle teorie di Schumpeter e Arrow. Sono approfonditi i concetti di innovazione radicale e non drastica e la relazione tra struttura di mercato e incentivi all'innovazione.
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A.A. 2024-2025 ECONOMIA DELL’INNOVAZIONE, DELL’AMBIENTE E DELLA SOCIETA’ SETTIMANA 3 INCENTIVI ALL’INNOVAZIONE STRUTTURA DI MERCATO E INNOVAZIONE (EI, CAP. 5; 5.1-5.3) (B.H. Hall; C. Helmers; Economics of Innovation and...
A.A. 2024-2025 ECONOMIA DELL’INNOVAZIONE, DELL’AMBIENTE E DELLA SOCIETA’ SETTIMANA 3 INCENTIVI ALL’INNOVAZIONE STRUTTURA DI MERCATO E INNOVAZIONE (EI, CAP. 5; 5.1-5.3) (B.H. Hall; C. Helmers; Economics of Innovation and Intellectual Property, ch.5.3) Prof. Fabrizio Pompei ([email protected]) Struttura di mercato e incentivi all’innovazione: le origini del dibattito Il rapporto tra attività innovativa e struttura di mercato ha una lunga storia, risalente almeno a Schumpeter (1942). Schumpeter nello studiare il capitalismo americano della prima metà del 1900 ha sostenuto che le grandi imprese, compresi i monopoli industriali, erano importanti fonti di innovazione, in particolare innovazioni "radicali". Il processo della distruzione creativa, dove una forma di concorrenza dinamica permette ad un monopolista nuovo entrante di scalzare un monopolista insediato, valeva, come molti suoi epigoni hanno fatto notare, per monopolisti piccoli. In alcuni casi però le imprese si ingrandivano mantenendo una posizione monopolistica di lungo periodo. Se nel contempo queste imprese rimanevano capaci di innovare bisognava tenere conto di questo aspetto prima di condannarle per abuso di potere monopolistico. Le sue argomentazioni sono di grande rilevanza per la politica antitrust e delle concentrazioni, in quanto suggeriscono che l’impatto del comportamento delle imprese e delle fusioni sul futuro dell'innovazione, dovrebbe essere ponderato tanto quanto il loro impatto sui prezzi. Innovazione e grandi imprese nel nuovo Piano Draghi per la competitività The future of European competitiveness (September 2024) Draghi evidenzia che nella UE non c’è nessuna grande impresa nata negli ultimi 50 anni con una capitalizzazione di mercato sopra i 100 miliardi di euro, negli US ce ne sono ben 6 in questa situazione con una capitalizzazione di mercato sopra i 1.000 miliardi di euro Tra le tante cose del piano Draghi per la competitività della UE, 2 sono in particolare di nostro interesse per legare la teoria alla politica industriale: 1) Viene ripresa l’idea schumpeteriana di usare cautela nei confronti delle imprese oligopolistiche e/o con posizioni monopolistiche. Un mercato concentrato non è sempre disincentivante riguardo alla creazione di innovazioni, anzi a volte, come in questa fase storica, e in alcune industrie, come quelle del digitale, le grandi imprese sono cruciali per ottenere disruptive technologies. Questo comporta una rivisitazione delle politiche per la concorrenza, di quelle antitrust e quelle contro le grandi fusioni e concentrazioni. 2) La necessità di un consistente intervento dello Stato con investimenti pubblici nei settori delle breakthrough innovations. Struttura di mercato e incentivi all’innovazione: le origini del dibattito (2) Chiudendo la parentesi della fase odierna sul piano Draghi e ritornando al dibattito sul pensiero economico dopo la morte di Schumpeter, gli sviluppi dell’economia neoclassica con le teorie sull’equilibrio economico generale di Arrow-Debreu (1959), avevano riaperto il dibattito Se le teorie sull’equilibrio economico generale mostravano che la migliore allocazione delle risorse per la massima efficienza si ha nel mercato concorrenziale Ci si chiedeva cosa succede nell’abito dell’innovazione Quale struttura di mercato fornisce gli incentivi migliori per fare R&S e quindi produrre innovazioni? Struttura di mercato e incentivi all’innovazione: le origini del dibattito (3) Il primo modello formale sugli incentivi all'innovazione in diverse strutture di mercato è quello di Arrow (1962), che è un modello sostanzialmente statico. Arrow si concentra sugli incentivi alle innovazioni di processo, che comportano quindi un risparmio sui costi di produzione delle imprese. Il caso più chiaro sugli effetti che la struttura di mercato può avere sull’innovazione è quello delle innovazioni di processo drastiche (importanti o radicali). Quando un’impresa riesce ad introdurre una innovazione di processo radicale, essa può rimanere monopolista sul mercato, Questo perché grazie alla nuova tecnologia di processo, l’impresa innovativa può massimizzare il suo profitto fissando un prezzo di monopolio inferiore al costo marginale della tecnologia precedente Al contrario, un'innovazione non drastica è una tecnologia che consente la coesistenza della tecnologia precedente con quella nuova, anche se quest’ultima potrà avere un prezzo più basso (non vedremo questo caso). IL MODELLO DI ARROW (1962) (Economic Welfare and the Allocation of Resources for Inventions) Il modello di Arrow presenta molti spunti di riflessione Il punto di vista che usiamo qui è quello di studiarne le implicazioni di politica economica riguardanti la correzione dei fallimenti del mercato della conoscenza* IPOTESI DI BASE Si assume che una sola impresa abbia successo e adotti l’innovazione, pur operando in diverse strutture di mercato (concorrenza, monopolio, oligopolio) Innovazione protetta da un brevetto di durata infinita La conoscenza è un bene pubblico La produzione di innovazione è caratterizzata da indivisibilità ed incertezza *Nel libro di testo Hall&Helmers (cap.5), ci si concentra invece sulla distinzione tra innovazione drastica e non drastica. IL MODELLO DI ARROW (1962; 2) (Economic Welfare and the Allocation of Resources for Inventions) Il fatto che la conoscenza sia un bene pubblico causa fallimenti del mercato della conoscenza e sotto-investimenti in ricerca e sviluppo, se ci si aspetta che solo i privati investano. L’ipotesi cruciale di Arrow considera una innovazione di processo basata su una conoscenza scientifica codificata di cui tutti si possono appropriare. Inoltre l’attività di ricerca e sviluppo è caratterizzata da incertezza (non si conoscono le probabilità di successo) e indivisibilità (non posso modulare le risorse da spendere, es., non posso spendere la metà del necessario perché voglio la «metà» dell’innovazione, devo spendere l’intero ammontare necessario) L’impresa che per prima investe soldi in ricerca e sviluppo e avrà successo per applicare un principio scientifico ad una cosa pratica, riuscirà ad abbassare i costi, ma il suo vantaggio competitivo sarà effimero. Le altre imprese riusciranno in breve tempo a «rubare l’idea» senza dover spendere i soldi investiti dalla prima impresa e quindi anche loro avranno un vantaggio sui costi di produzione (fenomeno del free riding, che emerge in presenza di beni pubblici) A queste condizioni, nessun imprenditore, che è un agente razionale, vorrà più investire per primo in R&S per ottenere una innovazione di processo. Aspetta che sia qualcun altro a farlo, per poi potersene avvantaggiare (free rider). Tutto questo genera fallimento del mercato e sotto-investimento in R&S IL MODELLO DI ARROW (1962; 3) (Economic Welfare and the Allocation of Resources for Inventions) Questo ragionamento su conoscenza/innovazione come bene pubblico e sulla R&S come attività caratterizzata da incertezza e indivisibilità sono le premesse della dimostrazione di Arrow. Il fallimento del mercato della conoscenza spiega la necessità dell’esistenza dei brevetti come mezzi per fornire incentivi alle imprese ad investire in R&S Se l’innovazione di processo è protetta da un brevetto, nessuno può più copiare l’impresa che ha fatto lo sforzo iniziale, questo è quindi un incentivo ad investire in R&S Per questo nelle ipotesi si chiarisce che se l’impresa ottiene l’innovazione può proteggerla con un brevetto di durata infinita. Questo serve per rendere coerente la dimostrazione di quali incentivi sono più alti. Il problema è che se l’innovazione è drastica e viene protetta da un brevetto, un solo monopolista rimarrà sul mercato e questa non è una soluzione efficiente dal punto di vista sociale, come è noto dalla microeconomia e dall’economia industriale. Arrow dimostra inoltre che il monopolio non è la forma di mercato che fornisce gli incentivi più alti L’intervento di un pianificatore sociale che favorisce il finanziamento della ricerca e sviluppo e la diffusione dell’innovazione per tutte le imprese, garantendo la permanenza di un mercato concorrenziale, è la soluzione che garantisce il massimo benessere sociale IL MODELLO DI ARROW (1962; 4) (Economic Welfare and the Allocation of Resources for Inventions) Procediamo quindi nel seguito ad una dimostrazione grafica degli incentivi tecnologici, l’incentivo tecnologico (o incentivo ad innovare) viene misurato come differenza tra i profitti dell’impresa prima e dopo l’introduzione dell’innovazione: Vedremo questi incentivi per: Monopolista Mercato Concorrenziale Pianificatore sociale (intervento pubblico dello Stato) and sostene de Il prim du innova sarà facilmente copiato e questo fenomeno rende effimero l'investimento in Res poiché la conoscenza i un love pubblico dicui tutt possono appropioni. Lì intervento della stato è dunque fondamentale per garantire il massimo benessere socide Unico modo ner protegge l'innovazione è il brevetto se usa evelto) Mornalis Il MODELLO DI ARROW: INCENTIVO TECNOLOGICO DEL MONOPOLISTA E’ dato dal profitto post-innovazione da cui si detrae il profitto pre- innovazione In un primo stadio il monopolista ha costi marginali pari a c ed impone un prezzo di monopolio pari a a Pm b Pm Dopo l’innovazione drastica, il suo costo marginale g d scende a c’ e può imporre un nuovo prezzo di Pc = c P’m e monopolio P’m, che è più basso del suo costo marginale precedente (c). Incentivo Monopolista: P’m e h c’ – Pm b g c h f c’ Xm Xc X’m X’c Il MODELLO DI ARROW: INCENTIVO TECNOLOGICO DEL MERCATO CONCORRENZIALE Condizioni identiche alle precedenti, solo che ora ci sono inizialmente tante imprese concorrenziali che vendono ad un prezzo di concorrenza Pc=c Una sola impresa introduce l’innovazione e, potendo vendere ad un prezzo più basso delle concorrenti, a diventa monopolista applicando un prezzo molto più b basso di quello precedente Pm g d Concorrenza perfetta: all’inizio non ha profitti Pc = c P’m e Pc =c Quindi l’incentivo è P’m e h c’ – 0 Quindi l’incentivo è più grande h f perché l’intero rettangolo c’ ombreggiato del nuovo profitto non è ridotto dalla sottrazione di nessun profitto precedente. Xm Xc X’m X’c Il MODELLO DI ARROW: INCENTIVO TECNOLOGICO DEL PIANIFICATORE SOCIALE Un pianificatore sociale ha come obiettivo la massimizzazione del benessere complessivo Se è lo stato a finanziare l’innovazione le imprese a rimangono in una situazione di concorrenza perfetta b con prezzi bassi e vantaggi massimi per la società nel Pm complesso g d Pc = c P’m e Incentivo per il Pianificatore sociale: c’ f a – c d a Incentivo per il pianificatore è il h f trapezio P’c = c’ c’ f d c Xm Xc X’m X’c P’c= nuovo prezzo di mercato concorrenziale dopo l’innovazione di processo drastica favorita dal pianificatore sociale a tutte le imprese PRINCIPALI RISULTATI E CONDIZIONI DI VALIDITA’ DEL MODELLO DI ARROW Nel modello di Arrow l’impresa concorrenziale ha più incentivi della monopolista, ma diventa essa stessa monopolista se usa i brevetti per proteggere l’innovazione. Per questo motivo la conoscenza che sottende l’innovazione deve essere prodotta con il sostegno pubblico (politica pubblica per la ricerca e sviluppo, sostegno finanziario pubblico alle università e ai centri di ricerca, ecc) In questo modo tramite l’intervento dello stato si mette l’innovazione drastica a disposizione di tutte le imprese e si mantiene una struttura di mercato concorrenziale, che garantisce il massimo benessere sociale Questo presuppone però una concezione dell’innovazione come esogena al sistema economico. In realtà sia Schumpeter che i neo-Schumpeteriani parlano di una innovazione che è endogena al sistema economico e di una conoscenza, che sottende le innovazioni, che non è un bene pubblico, ma è appropriabile. IL DIBATTITO SU STRUTTURA DI MERCATO E INNOVAZIONE DOPO IL MODELLO DI ARROW Arrow propone un modello di statica comparata: equilibrio e max profitto prima dell’innovazione confrontato con equilibrio e max profitto dopo l’innovazione Glibert e Newbery (1982) propongono un modello dinamico che consente l’entrata di nuove imprese con una innovazione però non drastica, e dimostrano che in questo caso il monopolista ha un incentivo a rimanere sul mercato e permane quindi un mercato di monopolio e non concorrenziale Dasgupta e Stiglitz (1980) studiano il rapporto tra struttura di mercato e innovazione considerando anche l’elasticità della domanda del prodotto rispetto al prezzo e l’elasticità della riduzione dei costi unitari rispetto alle spese in R&D. Nei mercati più concentrati (oligopolistici), investire in R&S ha ritorni più alti in termini di abbassamento dei costi di produzione, quindi ci sono incentivi più alti. E’ in questo studio che si dimostra inoltre una relazione endogena: la struttura di mercato influenza l’innovazione, ma anche il tipo di innovazione influenza la struttura di mercato. Vale a dire che dove i ritorni sulla spesa in R&S sono più elevati le imprese crescono di dimensione ed il mercato diviene più concentrato IL DIBATTITO SU STRUTTURA DI MERCATO E INNOVAZIONE DOPO IL MODELLO DI ARROW (2) Aghion, P., Bloom, N., Blundell, R., Griffith, R., & Howitt, P. (2005). Competition and innovation: An inverted-U relationship. The quarterly journal of economics, 120(2), 701-728. In questo articolo gli autori studiano la dinamica della concorrenza tra le imprese per le spese in R&S e l’innovazione, ricavando da qui le implicazioni per il rapporto tra innovazione e struttura del mercato. Essi partono da un’evidenza empirica dove mettono in relazione un indicatore del livello di competizione del settore industriale (1 – Margine di Profitto Medio) ed il tasso di innovazione misurato come i brevetti pesati per il livello di citazioni. La relazione che trovano è di tipo non lineare Il Modello di Aghion et al. (2005) Competition and innovation: An inverted-U relationship. Il modello che formulano cerca di spiegare questa evidenza empirica. Il modello è molto complesso, è un modello dinamico con incertezza, e qui viene riportato a grandi linee. Le imprese si fanno concorrenza investendo in R&S per ottenere brevetti di valore e questo le fa salire lungo una scala di qualità del prodotto riconosciuto dal mercato. Esistono industrie dove le imprese sono allo stesso livello (le neck-and-neck firms, sullo stesso gradino della scala di qualità) e industrie dove invece ci sono pochi leader (posizionati su un gradino alto della scala di qualità) e molti followers che si trovano molto più in basso. Il Modello di Aghion et al. (2005) Competition and innovation: An inverted-U relationship (2) I principali risultati sono che la competizione favorisce una maggiore intensità nelle spese in R&S (a livello aggregato) se le imprese sono tutte allo stesso livello, quindi nei mercati concentrati e oligopolistici un aumento di competizione aumenta la propensione ad investire in R&S e fare innovazione per non perdere quote di mercato nei confronti dei concorrenti. Quando invece le imprese sono molto eterogenee, troppa competizione induce chi sta dietro a rinunciare, quindi a livello aggregato le spese in R&S si riducono Aghion et al. (2005) spiegano così la relazione non lineare del grafico, nella parte crescente della curva ci sono i settori industriali con le imprese che si trovano allo stesso livello (settori con alta concentrazione di mercato), qui un aumento delle concorrenza aumenta le spese R&S mentre nella parte decrescente si trovano i settori con leaders e followers, dove la spesa in R&S diminuisce all’aumentare della pressione competitiva IL DIBATTITO SU STRUTTURA DI MERCATO E INNOVAZIONE DOPO IL MODELLO DI ARROW (3) I modelli della scuola di pensiero evoluzionista Negli anni 1980 diversi autori della nascente scuola di pensiero evoluzionista criticano una delle assunzioni cruciali del modello di Arrow (1962): la conoscenza che sottende l’innovazione è un bene pubblico, quindi non appropriabile. Nel libro di Nelson, Richard R. and Winter, Sidney G. (1982), An Evolutionary Theory of Economic Change, Cambridge, ma: Harvard University Press. e nell’articolo di Dosi, G. (1988). Sources, procedures, and microeconomic effects of innovation. Journal of economic literature, 1120-1171. Si rileva come la conoscenza utile all’impresa è in realtà caratterizzata da un alto grado di appropriabilità, a prescindere dai brevetti. Questo perché la conoscenza per usi industriali dipende in gran parte da abilità tacite, processi di apprendimento e routine organizzative. Questi fattori rendono la conoscenza firm-specific e difficilmente trasferibile da un’impresa all’altra. Questi temi verranno ripresi quando tratteremo la teoria dell’impresa innovativa. A.A. 2024-2025 ECONOMIA DELL’INNOVAZIONE, DELL’AMBIENTE E DELLA SOCIETA’ SETTIMANA 4&5 TEORIA DELL’IMPRESA INNOVATIVA DINAMICA INDUSTRIALE E REGIMI TECNOLOGICI (EI, CAP. 6 & CAP. 8) Articoli: Klepper (1996), Pavitt (1984), Malerba & Orsenigo (1997) Prof. Fabrizio Pompei ([email protected]) TEORIA DELL’IMPRESA INNOVATIVA ED ECONOMIA DELLA CONOSCENZA Nel tentativo di superare la concezione neoclassica dell’impresa, nascono a partire dagli anni 1970 numerose teorie che cercano di descrivere il comportamento delle imprese in vari contesti e la loro eterogeneità, ad esempio: Alchian e Demsetz, (1972) concepiscono l’impresa come attività di produzione di squadra e si concentrano sugli incentivi e sul problema del monitoraggio Teoria contrattuale dell’impresa: modello principale agente La teoria dei costi di transazione studia l’impresa mettendo al centro le transazioni che questa effettua ed i costi che deve sopportare (Williamson, 1985) La teoria dell’impresa innovativa si contrappone alla teoria neoclassica dell’impresa “ottimizzatrice” in quanto non dà per scontati quelli che da quest’ultima sono considerati vincoli: la tecnologia e le competenze necessarie ad ottenerla. La teoria dell’impresa innovativa si occupa proprio di come questi vincoli vengono trasformati dalle imprese, per ottenere prodotti di maggiore qualità che costino meno e per differenziarsi dalle imprese concorrenti nello stesso settore TEORIA DELL’IMPRESA INNOVATIVA Secondo la teoria dell’impresa innovativa una persistente differenza nelle performances tra imprese che operano nello stesso settore si spiega attraverso l’analisi e l’evoluzione delle conoscenze, dell’apprendimento e delle competenze che sottendono l’innovazione tecnologica Elementi chiave delle teoria dell’impresa innovativa sono i) le conoscenze; ii) l’apprendimento; iii) le competenze distintive Secondo questa teoria le imprese sono trattate alla stregua di assorbitori, processori e generatori di conoscenza Le imprese sono depositarie di conoscenze incorporate in routines e sono portatrici di competenze specifiche (o distintive) Le routines sono modelli di comportamento ripetitivo che l’impresa usa in specifiche circostanze, sono la memoria dell’impresa, l’elemento basilare delle competenze organizzative Le competenze organizzative (insieme a risorse e capacità specifiche) si basano su: conoscenza tacita, fortemente legata ad un contesto e difficilmente trasferibile ad altre imprese Conoscenza e innovazione Come abbiamo visto, la teoria neoclassica, vedi Arrow, K. 'Economic Welfare and the Allocation of Resources for Invention’ (1962), intendeva la conoscenza che sottende l’innovazione come pura informazione, quindi come un bene pubblico soggetto a problemi di free riding e fallimento del mercato Successivamente la scuola di pensiero evoluzionista ha precisato che la conoscenza che sottende l’innovazione è diversa dall’informazione pura, in particolare la conoscenza tecnologica può avere due componenti: – la componente esplicita o codificata, che si avvicina più al concetto di informazione, è una conoscenza espressa in un linguaggio verbale, matematico o comunque in un codice e quindi può essere oggettivizata, diffusa e trasferita, anche con il computer e per via internet – la componente tacita, che non è oggettivizzabile perché è radicata nell’azione è sapere pratico (know-how) e quindi non è facilmente diffondibile, né trasferibile, ma è localizzata in maniera molto difforme nel patrimonio di conoscenze e di esperienze delle singole risorse umane dell’impresa COSA CI PERMETTE DI SPIEGARE UNA TEORIA DELL’IMPRESA BASATA SU CONOSCENZE E COMPETENZE 1. Analizzare persistenti differenze in termini di profittabilità 2. Analizzare specifici aspetti organizzativi (meccanismi di apprendimento, schemi di azione condivisi) 3. Analizzare specifici aspetti comportamentali (inerzia, trappola da competenze, capacità dinamiche) 4. Analizzare il ruolo che alcuni contesti svolgono sulle forme di comportamento delle imprese (regimi tecnologici, sistemi innovativi regionali e nazionali) 5. Esaminare il modificarsi dei confini tra imprese (integrazione verticale dove ci si ingrandisce anche tramite fusioni e acquisizioni, es. Google che acquisisce Android nel 2005 e Youtube nel 2006) 6. Comprendere l’emergere ed il costituirsi di network tra imprese (quando la conoscenza e complessa e articolata e ogni impresa ne condivide una parte) LA FOCALIZZAZIONE SULLE RISORSE INTERNE ALL’IMPRESA Tradizionalmente, le strategie per guadagnare competitività si sono basate su: i) comprimere i costi del lavoro; ii) migliorare la qualità del prodotto; iii) guardare alle opportunità offerte dal mercato, posizionandosi nel settore, o sub-settore, che fornisce maggiori garanzie di crescita (quindi in quest’ultimo punto ci sono le opportunità esterne) Nel libro “The growth of the firm”, scritto nel 1959, Edith Penrose considera la grande impresa come un’organizzazione che amministra un insieme di risorse, umane e materiali Queste risorse, in base al contesto d’impresa ed alle capacità organizzative si combinano tra loro in modo diverso Da almeno un cinquantennio, riprendendo le idee di Penrose, alcune teorie manageriali suggeriscono di dare maggiore importanza alle risorse e competenze presenti all’interno dell’impresa (guardare alle opportunità interne) La Resource Based View pone il punto di partenza della propria analisi nella risposta che deve essere data alla seguente domanda: “Che cosa sa fare meglio questa impresa?” La convinzione di questa visione è che bisogna indagare meglio su quelle risorse che l’impresa controlla e su quelle competenze che maggiormente contribuiscono a creare valore nell’impresa RISORSE E COMPETENZE SPECIFICHE NELLA RESOURCE BASED VIEW RISORSE TANGIBILI RISORSE INTANGIBILI Fisiche e finanziarie Non completamente rilevate nei documenti di bilancio Dimensione e localizzazione impianti, macchine, materie prime Marchi, brevetti, licenze Livello di indebitamento, capacità di autofinanziamento Capitale umano, reputazione COMBINAZIONE DELLE RISORSE NELL'IMPRESA Schemi organizzativi Peculiarità nell'organizzazione delle risorse FORMAZIONE DELLE COMPETENZE Modalità d'uso delle risorse controllate Interazione tra imprenditore e risorse Interazione tra risorse e lavoratori POSIZIONE VANTAGGIOSA DI LUNGO PERIODO Esplicazione del potenziale di esistenza Profitti Aumento di valore e crescita dell'impresa L’ANALISI DELLE COMPETENZE LUNGO LA CATENA DEL VALORE Attività di supporto Pianificazione, finanza, servizi legali R&S, sviluppo, design Gestione e sviluppo risorse umane Approvv., Logistica Vendite Ass. vendita Gest.ne scorte Produzione in Uscita marketing Servizio clienti magazzino Attività primarie Ogni impresa, in base alla propria esperienza ed alla capacità di apprendimento, può organizzare le proprie risorse in modo differente per svolgere le attività primarie e di supporto Il riconoscimento di competenze distintive è il primo stadio per poter costruire strategie Le nuove applicazioni della Resource-Based View (RBV) Per quanto sia stata spesso criticata per non saputo fornire una spiegazione chiara e conclusiva sul nesso causale tra risorse e competenze specifiche e il vantaggio competitivo nelle imprese La RBV può ancora essere utile a fornire un framework concettuale per spiegare se l’intelligenza artificiale (AI) sostituirà completamente le competenze e capacità umane e sarà il solo fattore a contribuire al vantaggio competitivo delle imprese oppure è necessaria una complementarietà tra AI e competenze umane specifiche dell’impresa Recentemente è uscito uno studio su tale questione in una delle più importanti riviste di management: Krakowski, S., Luger, J., & Raisch, S. (2023). Artificial intelligence and the changing sources of competitive advantage. Strategic Management Journal, 44(6), 1425-1452. La domanda di ricerca è: se l’AI sarà la sola fonte di vantaggio competitivo e tutte le imprese potranno introdurla acquistandola sul mercato, le imprese non potranno più godere di rendite legata a fattori specifici e distintivi e ci sarà solo una forte competizione? Le nuove applicazioni della RBV (2) Krakowski, Luger, & Raisch (2023) applicano i concetti della RBV sulle capacità cognitive umane di carattere generale applicabili in vari ambiti ma proprio per questo soggette a competizione e generatrici di bassi vantaggi competitivi e le capacità cognitive umane dipendenti da un contesto (domain-specific) che sono quelle più legate a rendite e vantaggio competitivo. Attualmente, l’AI è utilizzata per automatizzare ampiamente le previsioni relative al processo decisionale strategico e alle attività di risoluzione dei problemi che, tradizionalmente, solo gli esseri umani potevano fare affidandosi alle loro capacità cognitive A differenza degli esseri umani, le macchine hanno una potenza quasi illimitata nelle capacità di elaborazione delle informazioni, e spesso forniscono previsioni migliori rispetto a quelle degli esseri umani Ad esempio, le macchine basate su AI possono superare i medici nelle diagnosi del cancro e raccomandazioni di trattamento, o fanno meglio nella previsione degli esperti delle risorse umane sulle future prestazioni di lavoro dei candidati Le nuove applicazioni della RBV (3) Tuttavia Krakowski, Luger, & Raisch (2023) fanno notare che la previsione è solo una componente delle decisioni, poi ci sono altri compiti come la i) definizione di obiettivi; ii) selezionare i dati, iii) esercitare il giudizio e iv) agire sulla base di queste informazioni. Questi compiti si devono complementare con la previsione e possono essere svolti dalle capacità cognitive umane. L’utilità della RBV sta nel rilevare che il vantaggio competitivo più importante dipende dalla combinazione unica di diverse risorse. In quanto macchina e/o algoritmi l’AI può sostituire alcune mansioni, ma se viene acquistata sul mercato è disponibile a tutti e quindi da sola non è sufficiente a garantire un vantaggio competitivo per le imprese. L’idea della RBV, che è quella risalente a Penrose (1959), è che solo se l’AI si complementa con nuove capacità cognitive dipendenti dallo specifico contesto è fonte di vantaggi competitivi, perché si crea una combinazione unica delle risorse nell’impresa Tornando ad esempio al caso dell’ufficio risorse umane che deve valutare possibili candidati da assumere in una impresa, l’AI può aiutare nella selezione dei curriculum, ma deve essere un esperto con specifica capacità e intelligenza emotiva a convincere il potenziale lavoratore che lavorare in quella impresa è la cosa migliore ALCUNE PROPRIETA’ DELLE RISORSE E COMPETENZE DISTINTIVE SECONDO LA RBV ACQUISIBILITA’: non è ottenuta sempre attraverso i diritti di proprietà, si pensi alla reputazione o alle conoscenze disperse tra i soggetti che lavorano all’interno DUREVOLEZZA: relativa alla durata delle risorse che si possiedono ed al tasso di obsolescenza delle competenze TRASFERIBILITA’: dipende dal grado di standardizzazione e dalla facilità di reperimento sul mercato delle risorse usate RIPRODUCIBILITA’: riguarda la facilità con cui la concorrenza riesce a riprodurre le risorse specifiche e le competenze che l’impresa ha costruito Le ultime due proprietà rivestono un’importanza cruciale in un contesto globalizzato LE CAPACITA’ DINAMICHE DELL’IMPRESA Affinché l’impresa si mantenga vitale nel lungo periodo è necessario che le competenze distintive vengano continuamente rinnovate (aumentare la durevolezza) Inoltre lo stesso tasso di trasferibilità e riproducibilità delle risorse e competenze distintive, oltre il confine dell’impresa o del territorio nel quale si trova integrata, deve essere mantenuto basso Le capacità dinamiche, intese come abilità nel riconfigurare, orientare, trasformare ed integrare le competenze dell’impresa con quelle di altri soggetti esterni, rispondono a questi obiettivi CONTESTO INTERNO ED ESTERNO ALL’IMPRESA COME FATTORI CHE INFLUENZANO IL TIPO DI ATTIVITA’ INNOVATIVE La RBV vede sia l’innovazione di prodotto che la business process innovation come strettamente legate alla possibilità di mantenere combinazioni uniche e distintive di risorse e competenze dentro l’impresa. Queste combinazioni uniche e distintive sono fonte di vantaggi competitivi. Altri studi vedono invece nei fattori esterni che accomunano una data industria, e quindi tutte le imprese che appartengono ad una data industria, quei fattori cruciali che influenzano le attività innovative. 1. Ad esempio la predominanza delle innovazioni di prodotto o di processo e la struttura di mercato (o livello di concentrazione di un’industria) può dipendere dalla fase del ciclo di vita di ciascuna industria (Klepper, 1996). 2. Possiamo trovare piccole o grandi imprese innovative, industrie più o meno concentrate, in base alla provenienza delle innovazioni e al loro grado di appropriabilità (Pavitt, 1984) 3. Possiamo trovare un diverso modo di organizzare le attività innovative con industrie più o meno turbolente, in base ai livelli di opportunità tecnologica, all’appropriabilità, alla cumulatività della conoscenza e caratteristiche della conoscenza di base (Audretsch, 1995; Malerba e Orsenigo, 1997). In questi 3 casi le innovazioni e la struttura di mercato possono dipendere dal ciclo di vita specifico di una industria o dai regimi tecnologici. Le teorie del ciclo di vita dell’industria Quando in una particolare industria emerge un design dominante (cioè l’insieme delle caratteristiche tecniche e merceologiche del prodotto venduto che lo rendono di fatto uno standard a cui tutte le imprese si devono uniformare), un prodotto si può identificare con un’industria Possiamo parlare allora indistintamente di ciclo di vita del prodotto o dell’industria Studiare il ciclo di vita ci permette di cogliere alcune regolarità che possiamo ascrivere ad alcune industrie Otteniamo informazioni importanti sul tipo di innovazioni predominanti e sul modo con cui variano nel tempo le imprese che entrano ed escono da un settore (dinamica industriale) Regolarità Osservate Principalmente due plausibili percorsi di entrata delle imprese in una nuova industria emergono dagli studi empirici: In uno il numero degli entranti raggiunge il massimo livello all’inizio dell’evoluzione dell’industria e quindi cala (come è accaduto nell’industria dei televisori); vedi entry path 2 nella Figura 1 Nell’altro il numero degli entranti in primo luogo cresce nel tempo e quindi diminuisce (come rilevato nell’industria automobilistica e dei pneumatici); vedi entry path 1 nella Figura 1 In entrambe le situazioni, tuttavia, il numero dei nuovi entranti diviene piccolo col passare del tempo (Figura 1). Tutti questi fenomeni sono legati alle capacità innovative delle imprese e non solo alla ricerca del massimo profitto. Regolarità nel ciclo di vita (Klepper, 1996) Figura 1 Industria automobilistica telerisa Il numero di produttori, in entrambi i paths prima aumenta e poi diminuisce nel tempo Il modello di Klepper (1996) Le tre fasi del ciclo di vita dell’industria ✓ In conformità con il ciclo di vita del prodotto, le caratteristiche dell’industria seguono varie fasi evolutive: ✓ La fase iniziale è caratterizzata da un’innovazione radicale che dà inizio all’evoluzione dell’industria: il volume totale prodotto è molto basso, le innovazioni di prodotto sono frequenti, le quote di mercato cambiano continuamente e le barriere all’entrata sono irrilevanti. In questo stadio, molti nuovi entranti entrano nel mercato ed il numero di imprese cresce rapidamente. ✓ Nella fase di crescita dell’industria, il prodotto cresce notevolmente, il numero di versioni esistenti del prodotto diminuisce, e gli investimenti in innovazioni di processo crescono considerevolmente. Le barriere all’entrata diventano significative, i tassi di entrata rallentano e di solito gli elevati tassi di uscita conducono ad un fenomeno di “shakeout”, ossia ad un rapido declino nel numero di produttori. ✓ Nello stadio di maturità, la crescita del prodotto rallenta, le quote di mercato si stabilizzano, il grado di concentrazione dell’industria e le barriere all’entrata sono elevati. Le innovazioni tendono ad essere sempre meno e riguardano principalmente il processo di produzione. In tale contesto, i tassi di entrata sono bassi ed i nuovi entranti trovano molto difficile competere con le imprese esistenti. Regolarità nel ciclo di vita (Klepper, 1996) 1. Nelle fasi iniziali del ciclo di vita di un prodotto gli ingressi di nuove imprese raggiungono il valore massimo o continuano a crescere, per poi iniziare a diminuire nel corso del tempo, nonostante l’output Nella figura: Ingressi, uscite e numero di produttori di complessivo del settore automobili negli Stati Uniti, 1893-1958 continui a crescere. 2. La variabilità delle quote di mercato detenute dalle principali imprese del settore tende a ridursi mano a mano che il settore evolve dalla fase iniziale a quella di maturità. Regolarità nel ciclo di vita (Klepper, 1996) 3. Le varianti di prodotto disponibili sul mercato e l’innovazione di prodotto raggiungono un picco durante la fase di crescita del numero di produttori, per poi ridursi notevolmente nel corso del tempo. 4. Spostandosi nelle fasi più avanzate del ciclo di vita di un settore, l’attività di ricerca effettuata dalle imprese è sempre più finalizzata all’innovazione di processo e sempre meno all’innovazione di prodotto. 5. L’esaurirsi delle opportunità di entrata e una sorta di «lock in» dell’industria intorno ad un design dominante determina una diminuzione dell’importanza del ruolo svolto dall’innovazione di prodotto, solo l’innovazione di processo conta. Una parentesi sul disegno dominante Abernathy e Utterback (1978) introducono il concetto di dominant design per spiegare il ciclo di vita del prodotto. Quando un prodotto è introdotto sul mercato c’è grande incertezza sulle preferenze del consumatore (anche da parte del consumatore stesso) quindi molte imprese entrano e producono differenti varianti del prodotto. Successivamente i produttori apprendono come migliorare il prodotto ed emerge uno standard o “dominant design”. Le imprese che non sono in grado di produrre efficientemente il disegno dominante escono contribuendo allo shakeout (drastica riduzione del numero delle imprese nel settore). L’esaurirsi delle opportunità di miglioramento del prodotto porta a una diminuzione dell’innovazione di prodotto. Le imprese accrescono la loro attenzione all’innovazione di processo e investono di più in metodi di produzione ad alta intensità di capitale con un aumento nella scala minima efficiente e ulteriori uscite. Il modello di Klepper (1996) Klepper (1996) propone un modello formale del ciclo di vita dell’industria dove più che il design dominante …. …il modello trova i) nelle diverse capacità innovative delle imprese e nel ii) ruolo della loro dimensione nell’influire sulle decisioni di investimento in R&S gli elementi chiave che determinano l’evoluzione della struttura del mercato. Le imprese sono eterogenee, solo le più capaci riusciranno a crescere in dimensione e la dimensione aumenta la probabilità di ottenere innovazioni di processo, che a loro volta permettono di abbassare i costi in un contesto dove i prezzi diminuiscono a causa della competizione L’emergere del design dominante non è la causa dello shakeout, ne è piuttosto un risultato La i) diversità delle imprese, esplicitata attraverso diversi livelli di expertise iniziale, che insieme alla R&S di prodotto serve ad entrare nel mercato e ii) la capacità di appropriarsi dei rendimenti della R&S di processo, che è proporzionale alla dimensione di impresa, sono le due principali forze che guidano l’evoluzione dell’industria nel tempo Il modello di Klepper (1996) La forza che guida la dinamica del modello consiste nella dipendenza dei rendimenti degli investimenti nella R&S di processo dalla dimensione dell’impresa: le imprese più grandi hanno più incentivo a investire in R&S di processo perché beneficiano di una riduzione di costo su un volume di output maggiore. Finché l’output di mercato si espande, tale processo induce le imprese meno innovative ed efficienti ad uscire dal mercato dato che il prezzo diminuisce col passare del tempo a causa della pressione competitiva. Questo significa che più tardi i nuovi entranti entrano nel mercato maggiore è la necessità di essere relativamente più efficienti nelle innovazioni di prodotto affinché l’entrata possa essere vantaggiosa. Tuttavia, ad un certo punto il processo di entrata si arresta, dato che i potenziali entranti hanno uno svantaggio cumulato sempre più grande rispetto alle imprese incumbent. Il modello di Klepper (1996) Un ruolo fondamentale nella spiegazione dell’entrata è giocato dagli investimenti in R&S, sia di prodotto che soprattutto di processo e dall’eterogeneità delle imprese. Il riconoscimento che il fenomeno dell’entrata sia un processo dinamico che segue un determinato ciclo a seconda della fase di evoluzione del settore rappresenta un risultato importante nella modellizzazione di un fenomeno così complesso. Tale modello si è rivelato utile a spiegare quanto successo nell’industria automobilistica e dei pneumatici e nell’industria degli elettrodomestici (televisori in particolare). Tuttavia non in tutte le industrie: 1) si evidenzia l’emergere di un design dominante ed i prodotti rimangono eterogenei (si pensi ad esempio all’industria dei laser, dove questa tecnologie ha moltissime applicazioni e quindi molte versioni) 2) Si evidenzia una sequenza temporale tra innovazioni di prodotto e poi innovazioni di processo. Es nell’industria chimica, della plastica, delle fibre sintetiche o petrolchimica prevalgono e sono stabili le innovazioni di processo. Nell’industri dei macchinari prevalgono e sono stabili le innovazioni di prodotto. Nei casi 1) e 2) il modello di Klepper non spiega bene le attività innovative delle imprese. La tassonomia di Pavitt Nel suo articolo ‘Sectoral patterns of technical change: towards a taxonomy and a theory’ (1984), Pavitt propone una tassonomia (classificazione) delle industrie sulla base dei “modelli” di cambiamento e dei flussi tecnologici Le innovazioni che determinano le differenze settoriali si distinguono per i diversi input di conoscenza E’ una tassonomia diffusamente utilizzata, sia negli studi scientifici che nelle statistiche ufficiali, dove i dati vengono classificati non solo per settori industriali (SIC*, ISIC**, NACE), ma anche per “gruppi Pavitt” Il limite è che considera solo i settori manifatturieri, anche se recentemente tale tassonomia è stata aggiornata ai settori dei servizi *Standard Industry Classification (SIC), sistema di classificazione dei settori usato negli Stati Uniti e nel Regno Unito **International Standard Industrial Classification (ISIC) sistema di classificazione dei settori usato dall’Ufficio statistico delle Nazioni Unite I dati Pavitt (1984) si propone di spiegare le similitudini e le differenze tra industrie nelle fonti, nella natura, nelle caratteristiche delle imprese e nell’impatto delle innovazioni A tal fine utilizza una banca dati su circa 2.000 innovazioni introdotte da imprese del Regno Unito tra il 1945 e il 1979 Ad ogni innovazione vengono attribuiti tre codici SIC (1) il settore di produzione dell’innovazione; (2) il settore di utilizzo dell’innovazione; (3) il settore dell’attività principale dell’impresa che ha innovato Es1: un’impresa produce una nuova macchina tessile (innovazione del settore meccanico, MLH335), la sua attività principale è il design di macchine tessili (settore attività principale meccanico, MLH335), questa innovazione è usata dall’industria tessile (settore d’utilizzo industria tessile (MLH411) Es2: un’impresa opera nei materiali elettrici ed elettronici (attività principale dell’impresa, MLH367), inventa un nuovo strumento di misura, es. contachilometri digitale (settore di produzione dell’innovazione è strumenti di misurazione, MLH354.2), che viene usato nel settore automobilistico (MLH381) Procedendo in questo modo e considerando le possibili combinazioni si individuano dei criteri per classificare i settori La tassonomia di Pavitt E’ possibile pertanto paragonare i settori sulla base di: (1) Le fonti settoriali di tecnologia per ogni settore: l’importanza relativa di fonti interne e esterne (e.g. fornitori, utilizzatori, università, ecc.); (2) La natura della tecnologia prodotta in ogni settore: innovazione di prodotto e processo; (3) Le caratteristiche dell’impresa che innova, in particolare la dimensione e l’attività principale Gli “ingredienti” della tassonomia Ogni raggruppamento si ritiene caratterizzato da regolarità interne riguardo: – Le fonti potenziali dell’innovazione (interne o esterne) – La tipologia delle innovazioni – Il loro grado di appropriabilità – L’altezza delle barriere all’entrata – La grandezza media delle imprese In base a questi 5 criteri si individuano 4 categorie che corrispondono a 4 diversi sistemi settoriali dell’innovazione o regimi tecnologici di Pavitt. Tali categorie ambiscono a dare una rappresentazione dinamica del tasso e della direzione del cambiamento tecnologico. Le diverse traiettorie individuate dipendono dalle fonti dell’innovazione, dai bisogni dell’utilizzatore e dall’appropriabilità dell’innovazione stessa Tassonomia di Pavitt Principale Principale Dimensione fonte Natura fonte interna di Barriere media delle Appropriabilità Innovazione esterna di innovazione all’entrata imprese innovazione Media Innovazioni Supplier Economie di Processo incorporate Bassa Basse dominated /Piccola appren.to negli input Scale Relazioni con Grande Processo R&S Media Alte intensive i fornitori Innovazione Specialized Relazioni con Economie di Medio- Piccola prodotto Medio-Bassa suppliers gli acquirenti appren.to basse Relazioni con Science Mista centri di Grande R&S Alta Molto alte based ricerca- università 29 Tassonomia di Pavitt: esempi di settori 1. Supplier dominated: settori “dominati dai fornitori” – Tessile – Calzature – Alimentare e bevande – Carta e stampa – Legname 2. Scale intensive: settori ad “alta intensità di scala” – Metalli di base – Autoveicoli e relativi motori 3. Specialized suppliers: “fornitori specializzati” – Macchine agricole e industriali – Macchine per ufficio – Strumenti ottici, di precisione e medici 4. Science based: settori “basati sulla scienza” – Chimica – Farmaceutica – Elettronica 30 Implicazioni per il legame tra struttura di mercato e innovazione Esistono settori dove le innovazioni permettono alle imprese di crescere e diventare grandi, la conoscenza si accumula dentro le imprese, la ricerca e sviluppo e l’appropriabilità delle innovazioni, che sono sia di processo che di prodotto, è cruciale e troviamo industrie molto concentrate come l’elettronica e la chimica (Science-Based sectors). Troviamo industrie molto concentrate anche dove l’innovazione prevalente è di processo, gli investimenti in R&S sono importanti, anche se meno dei settori science-based e si realizzano prevalentemente economie di scala che fanno crescere le imprese, vedi automotive e siderurgia/metallurgia (Intensive-scale sectors). Esistono però altri settori dove malgrado l’innovazione, prevalentemente di prodotto, le imprese rimangono piccole e l’industria risulta poco concentrata. Si tratta della meccanica e degli strumenti di misurazione (Specialized Suppliers). Le fonti dell’innovazione di tipo informale ed il rapporto con gli utilizzatori rendono le innovazioni stesse meno appropriabili. Infine le imprese rimangono piccole anche nei settori dove le innovazioni non vengono sviluppate in proprio, ma sono innovazioni di processo incorporate in macchine e tecnologia che proviene dall’esterno (Supplier Dominated). Quindi le fonti, si combinano con la natura delle innovazioni e con l’appropriabilità ed influiscono sulla crescita delle imprese e sulla concentrazione delle industrie. La tassonomia di Pavitt rivisitata Bogliacino e Pianta pubblicano un articolo nel 2016 ‘The Pavitt Taxonomy, revisited: patterns of innovation in manufacturing and services, Economia Politica, 33, p153-180’ in cui oltre a riadattare la tassonomia di Pavitt ai settori NACE rev.2, cercano di includere anche i servizi nelle 4 categorie La tassonomia di Pavitt rivisitata Scale and information Scale and information intensity intensity Tra i servizi troviamo servizi finanziari e assicurazioni come scale-intensive mentre commercio, trasporti, hotel&ristoranti; agenzie di viaggio &tour-operators come suppliers dominated ESERCITAZIONE SULLA TASSONOMIA DI PAVITT Utilizzando i dati Eurostat sulla Community Innovation Survey del 2020 Verifichiamo la natura delle innovazioni, la dimensione media delle imprese innovative e l’appropriabilità delle innovazioni, nelle diverse industrie classificate secondo i 4 regimi tecnologici di Pavitt (1984) Le domande che ci poniamo sono: 1) Sono confermati i regimi tecnologici di Pavitt nelle industrie italiane del 2020? 2) Troviamo risultati simili anche per gli altri paesi europei? In primo luogo bisogna andare nello stesso sito Eurostat già esplorato la volta scorsa https://ec.europa.eu/eurostat/data/database?node_code=ilc_mdes03 Entrare di nuovo nella cartella Science, Tecnology and Digital Society, Community Innovation Survey → Community Innovation Survey 2020 Il seguito lo treverete nella guida Eurostat2_Pavitt Pattern di innovazione schumpeteriani, regimi tecnologici e Sistemi settoriali di innovazione I contributi di Audretsch (1995) Malerba e Orsenigo (1997) e Malerba (2004) “Schumpeter Mark I” In “The Theory of Economic Development” (1934, pubblicato originariamente nel 1911) Schumpeter descrive il processo di cambiamento economico come una continua introduzione di nuovi prodotti ed innovazioni, che soppiantano quelli esistenti, per mano di imprenditori- innovatori e nuove imprese. Questo è il famoso concetto di “distruzione creatrice”. Winter (1984) ha definito questa situazione “regime imprenditoriale” “Schumpeter Mark II” In “Capitalism, Socialism and Democracy” (1942), il processo innovativo descritto da Schumpeter si caratterizza per le condizioni innovative favorevoli alle imprese incumbent, che quindi rappresentano la principale fonte di innovazione Winter (1984) ha definito questa situazione “regime routinario” Technological Regimes and Sectoral Patterns of Innovative Activities Malerba e Orsenigo (1997) Settori Schumpeter Mark I (SMI) ✓ Il pattern dell’attività innovativa è caratterizzato da facilità di entrata in un’industria ✓ Presenza massiccia di nuove imprese: i nuovi imprenditori entrano nel settore con idee innovative, nuovi prodotti e processi, avviano nuove imprese che concorrono con quelle esistenti ✓ le nuove imprese distruggono le rendite associate alle precedenti innovazioni ✓ Settori di riferimento: meccanica strumentale e biotecnologie Settori Schumpeter Mark II (SMII) ✓ Regime caratterizzato dalla predominanza di grandi imprese che investono molto in R&S ✓ Presenza di barriere all’entrata: le grandi imprese, grazie allo stock di conoscenze accumulate in specifiche aree tecnologiche, alle elevate competenze professionali e risorse finanziarie, ostacolano l’entrata di nuove imprese ✓ Settori di riferimento: industria dei semiconduttori e dei mainframe Technological Regimes and Sectoral Patterns of Innovative Activities (2) Malerba e Orsenigo (1997) Schumpeter mark I può essere anche definito come un modello di innovazione “widening”: base innovativa che si espande attraverso la continua entrata di nuovi innovatori Schumpeter mark II può essere anche definito come un modello “deepening” con la dominanza di poche imprese che innovano continuamente in un processo cumulativo Nel ciclo di vita del prodotto i settori possono sperimentare diversi modelli di innovazione. Vi ricordate il modello di Klepper? In questo caso Malerba e Orsenigo non escludono che nel tempo si possa passare da SMI a SMII, come di fatto vediamo nel modello di Klepper, ma sono più interessati ad approfondire le caratteristiche della conoscenza che sottende l’innovazione e che può determinare caratteristiche che persistono nel tempo e lasciano settori per molto tempo come settori SMI o SMII. Technological Regimes and Sectoral Patterns of Innovative Activities (3) Malerba e Orsenigo (1997)* Raccogliendo dati sui brevetti prodotti in 49 macro-classi tecnologiche nei 6 paesi più innovativi all’epoca (vedi slide successiva) si sono costruiti 4 indicatori: 1) Concentrazione delle attività innovative (rapporto di concentrazione dei brevetti dei primi 4 innovatori, C4, sul totale brevetti di una data classe tecnologica, Herfindhal) 2) Dimensione imprese innovative (quota delle domande totali per brevetto presentata da imprese con più di 500 addetti) 3) Stabilità della gerarchia degli innovatori (misurata da un indice di correlazione tra le imprese che erano prime nel 1978-85 e quelle che lo erano nel 1986-1991) 4) Entrata tecnologica (quota di domanda di brevetto richieste per la prima volta dai nuovi innovatori) Technological Regimes and Sectoral Patterns of Innovative Activities (4) Malerba e Orsenigo (1997) I primi due indicatori riguardano direttamente le ipotesi schumpeteriane sulla relazione tra innovazione e dimensione delle imprese I secondi riguardano il grado di mobilità: “accumulazione creativa” contro “distruzione creativa” Si riportano di seguito il totale delle classi tecnologiche considerate (ripreso da un altro paper di Marlerba e Orsenigo) Poi si riportano i settori/classi tecnologiche per i quali i pattern innovativi sono i medesimi per ogni indicatore preso singolarmente nei 6 paesi considerati dallo studio (Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Giappone e USA) Le 49 classi tecnologiche in cui si classificano i brevetti Settori poco e molto concentrati Technological Regimes and Sectoral Patterns of Innovative Activities (5) Malerba e Orsenigo (1997) Settori con alta e bassa asimmetria/concentrazione nelle attività innovative Technological Regimes and Sectoral Patterns of Innovative Activities (6) Malerba e Orsenigo (1997) La dimensione delle imprese innovative Quando la gran parte dei brevetti si distribuisce tra grandi imprese avremo High size, quando invece, come nel caso di abbigliamento, mobili, agricoltura, attrezzature sportive, la gran parte dei brevetti è richiesta da piccole imprese avremo Low Size. Technological Regimes and Sectoral Patterns of Innovative Activities (7) Malerba e Orsenigo (1997) Settori con alta e bassa stabilità nella gerarchia delle imprese innovative Technological Regimes and Sectoral Patterns of Innovative Activities (8) Malerba e Orsenigo (1997) Settori con alta e bassa entrata di innovatori Le correlazioni tra indicatori In quasi tutti e 6 i paesi abbiamo gli stessi pattern delle attività innovative: Se le attività innovative si concentrano nelle grandi imprese (C4 e HERF), allora c’è stabilità nella gerarchia degli innovatori (SPEATOT e SPEACORE) e basso tasso di entrata di imprese innovatrici, Modello SMII Se invece l’entrata di imprese innovatrici è alta (es. guardare la colonna ENTRY) allora c’è basso HERF, C4, SPEATOT e SPEACORE, Quindi significa che l’entrata è correlata alle piccole imprese, modello SMI Technological Regimes and Sectoral Patterns of Innovative Activities (9) Malerba e Orsenigo (1997) I RISULTATI Un importante risultato dello studio consiste nelle similitudini tra paesi e differenze tra settori, quindi esistono diversi modi di organizzare le attività innovative che variano tra gruppi di settori e valgono per tutti i paesi Modello SMI È stato rinvenuto nelle classi tecnologiche dei settori tradizionali (Abbigliamento e calzature, mobili, chimica per l’agricoltura, meccanica, macchine industriali, macchine elettriche, processi chimici per le industrie agro-alimentari) Modello SMII E’ stato rinvenuto nei settori con economie di scala ed hi-tech (Chimica organica, bio-chimica, ingegneria genetica, computers, tecnologie laser, aereospazio, telecomunicazioni, armamenti, tecnologia nucleare) Su 49 classi, 20 classi tecnologiche sono del tipo 1 e 14 del tipo 2 in maniera coerente in tutti i paesi Technological Regimes and Sectoral Patterns of Innovative Activities (10) Malerba e Orsenigo (1997) IL CONCETTO DI REGIME TECNOLOGICO Il modo di organizzare le attività innovative può essere diverso da un settore all’altro perché diverso è il regime tecnologico Per regime tecnologico si intende il diverso ambiente tecnologico che caratterizza i settori e che a sua volta è costituito dalla combinazione di 4 fattori: 1. Condizioni di opportunità 2. Appropriabilità 3. Cumulatività dell’avanzamento tecnologico 4. Caratteristiche delle conoscenze di base CONDIZIONI DI OPPORTUNITA’ Dipendono dalla facilità di innovare dato un certo ammontare di risorse investite in R&S e dipendono a loro volta da 4 dimensioni: Livello (Alto o basso), quando il livello delle opportunità tecnologiche è alto vuol dire che investendo più risorse si ottengono più rapidamente innovazioni. Esistono quindi incentivi per i nuovi entranti, si registra maggiore turbolenza Varietà, alto livello di opportunità è spesso legato ad alta varietà, nel senso che diverse imprese esplorano diversi sentieri tecnologici (soprattutto in una fase pre-paradigmatica, prima che compaiano specifiche traiettorie ed un design dominante) Pervasività, se c’è alta pervasività, le conoscenze si applicano a più tecnologie, più prodotti e mercati Fonti, le fonti delle opportunità tecnologiche possono differire da settore a settore. In alcuni settori le opportunità tecnologiche dipendono dagli avanzamenti della ricerca scientifica svolta nelle università, oppure dai rapporti con i fornitori/utilizzatori (fonti esterne all’impresa). In altri settori le opportunità dipendono dall’attività di R&S interna, oppure dall’apprendimento ed accumulazione di conoscenza tacita dentro l’impresa (fonti interne). CONDIZIONI DI APPROPRIABILITA’ Si riferiscono alla possibilità di proteggere le innovazioni e dipendono dal Livello, può essere alto o basso a seconda dei settori. Dove questo è basso si possono avere esternalità di conoscenza Mezzi di appropriabilità, si possono avere diversi strumenti la cui efficacia dipende dalla natura del settore: Brevetto, contratto tra lo stato ed il privato dove il primo concede lo sfruttamento esclusivo della tecnologia per un certo periodo di tempo, mentre il secondo si impegna a rendere pubblico il contenuto dell’invenzione. Nelle varie legislazioni è richiesto che l’invenzione sia originale (abbia carattere distintivi rispetto ad opere esistenti) ed utile (possibile applicazione industriale). Lo stato tutela gli inventori dai contravventori del brevetto, attraverso azioni cautelari e ingiunzioni di risarcimento. Segretezza, relativa a formule, modelli, progetti o insiemi di informazioni utilizzati nell’azienda, che forniscono vantaggi rispetto ai concorrenti. L’informazione non è pubblica. La tutela statale è concessa ogni qualvolta si acceda in modo improprio a questa informazione (spionaggio industriale). Ma non quando i concorrenti approdano alle stesse conoscenze attraverso il reverse enginering. Può essere un’alternativa al brevetto nel caso di invenzioni soggette all’inventing around ALTRI STRUMENTI DI APPROPRIABILITA’ DELLE INNOVAZIONI Vantaggio temporale, capacità dell’impresa di arrivare prima sul mercato dei prodotti, conserva quindi il vantaggio della prima mossa Vantaggio in termini di competenze, permette di mantenere posizione concorrenziale che per altre imprese di altri settori risulta difficile e costosa (risorse e competenze specifiche che vengono favorite dallo specifico settore) Innovazione continua, perseveranza nel mantenere vantaggio della prima mossa (creazione e gestione della conoscenza, capacità dinamiche) Servizi postvendita e assets complementari, si riesce a proteggere l’innovazione attraverso servizi alla clientela, assistenza ai consumatori, che altri non riescono a fare CONDIZIONI DI CUMULATIVITA’ Innovazioni e attività innovativa di oggi costituisce il punto di partenza per quella di domani. Le imprese che innovano oggi, innovano anche in futuro in determinate tecnologie e lungo determinate traiettorie Esistono 4 livelli di cumulatività Livello tecnologico, la cumulatività si riferisce alla dimensione cognitiva dell’apprendimento (es. nel settore calzaturiero ed in quello farmaceutico può esistere una diversa struttura cognitiva dell’apprendimento) Livello d’impresa, la continuità dell’attività innovativa dipende dalle competenze specifiche delle singole imprese Livello settoriale, la cumulatività a livello di industria può essere presente se esistono basse condizioni di appropriabilità e se la conoscenza di base per l’innovazione si diffonde ampliamente tra le imprese in un dato settore Livello locale, la cumulatività è collegata a competenze tecnologiche e capacità innovative di imprese collocate in una specifica area geografica CONOSCENZA DI BASE Si riferisce alle proprietà della conoscenza su cui si basano le innovazioni: Natura della conoscenza Generica vs specifica rispetto ai domini di applicazione Tacita vs codificata Complessa vs semplice, è complessa quando per essere efficace nelle innovazioni deve essere integrata con altra conoscenza proveniente da altri soggetti od altre fonti Mezzi di trasmissione della conoscenza La natura della conoscenza influenza anche i modi in cui le imprese possono accedervi Quanto più la conoscenza è soggetta a cambiamento, tanto più sono importanti i mezzi informali di trasmissione (“faccia a faccia”; insegnamenti personali, mobilità) Quanto più la conoscenza è codificata, standardizzata, semplice e indipendente, tanto più sono importanti i mezzi di comunicazione formali (pubblicazioni, licenze, brevetti)