Appunti Economia dell'Innovazione PDF

Summary

Questi appunti analizzano l'influenza del progresso tecnologico e dell'innovazione sul sistema economico, considerando le dinamiche interne e i cambiamenti strutturali. Vengono discusse diverse teorie, come quelle di Schumpeter, Smith, Ricardo e Marx, riguardo al ruolo dell'innovazione nell'ambito del cambiamento tecnologico e economico.

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ECONOMIA DELL’INNOVAZIONE Analizza come il progresso tecnologico e l’innovazione influenzano il sistema economico, considerando sia le dinamiche interne all’economia sia i cambiamenti strutturali. L’innovazione ha un ruolo rilevante per: - le imprese - la crescita delle economie moderne e dei paesi...

ECONOMIA DELL’INNOVAZIONE Analizza come il progresso tecnologico e l’innovazione influenzano il sistema economico, considerando sia le dinamiche interne all’economia sia i cambiamenti strutturali. L’innovazione ha un ruolo rilevante per: - le imprese - la crescita delle economie moderne e dei paesi in via di sviluppo (e delle città) - la nascita e il declino dei settori e delle tecnologie Cos’è un’innovazione? L’innovazione rappresenta la concretizzazione di un’invenzione, trasformandola in un prodotto o processo produttivo, con il fine ultimo del suo utilizzo commerciale. Per realizzare questa trasformazione, l’innovazione richiede diverse fasi, come la progettazione, la costruzione materiale e la successiva commercializzazione dell’invenzione. Da non confondere con l’invenzione, ovvero “una nuova idea, un avanzamento scientifico o una novità tecnologica che non è ancora stata realizzata in modo concreto e tangibile. La nascita di un’invenzione avviene in modo casuale e non è necessariamente motivata da interessi economici o competitivi”. Le aziende, per trasformare un’invenzione in innovazione, devono integrare vari tipi di conoscenze, competenze, capacità e risorse. Questo implica che la figura dell’innovatore non coincida necessariamente con quella dell’inventore. Non tutte le invenzioni si trasformano in innovazioni, e molte innovazioni possono nascere indipendentemente da invenzioni precedenti. La mancata trasformazione di un’invenzione in innovazione è spesso legata a una mancanza di condizioni adeguate alla sua commercializzazione, come assenza di domanda, mancanza di risorse essenziali o input complementari fondamentali. Le innovazioni si possono classificare in: 1. Innovazioni incrementali: Si tratta di miglioramenti apportati a processi o servizi esistenti, come modifiche al design, ai processi produttivi o alle richieste di mercato già consolidate. Sebbene siano più numerose rispetto ad altre forme di innovazione, il loro impatto complessivo può risultare altrettanto significativo di quello delle innovazioni radicali. Spesso, il pieno beneficio economico di un’innovazione radicale può essere raggiunto solo attraverso una serie di innovazioni incrementali. 2. Innovazioni radicali: Sono caratterizzate da una rottura rispetto ai prodotti o processi preesistenti. Queste innovazioni danno origine a nuovi settori industriali o segmenti di mercato e sono meno comuni rispetto a quelle incrementali. 3. Rivoluzioni tecnologiche: Si riferiscono a un insieme di innovazioni che, prese nel loro complesso, generano un impatto significativo sull’intero sistema economico. Possono riguardare sia i prodotti che i processi produttivi, e spesso sono strettamente collegate. La distinzione tra le due dipende dagli effetti economici e sociali che producono: i prodotti hanno solitamente impatti più diretti su occupazione e redditi, mentre i processi possono avere conseguenze più ambigue. Alcuni studiosi propongono di suddividere ulteriormente le innovazioni di processo in due categorie: 1) Innovazioni tecnologiche di processo, come l’introduzione di nuovi macchinari; 2) Innovazioni organizzative di processo, che introducono nuovi modi di organizzare il lavoro, spesso con impatti che vanno oltre la singola impresa, coinvolgendo interi settori produttivi. Nella storia del pensiero economico, l’innovazione e il cambiamento tecnologico hanno occupato una posizione di crescente importanza con contributi distinti di diversi autori che hanno affrontato il tema sotto prospettive differenti: Adam Smith Nel suo lavoro del 1776, La ricchezza delle nazioni, Smith analizza il rapporto tra cambiamento tecnologico, divisione del lavoro e mutamento strutturale dell’economia. - Non parla esplicitamente di innovazione, ma di incorporazione del progresso tecnologico nei beni capitali. Questo progresso porta a un aumento della produttività del lavoro, maggiore specializzazione e crescita dell’occupazione. - Evidenzia come la divisione del lavoro sia limitata dall’ampiezza del mercato. Tale divisione, però, aumenta significativamente la produttività grazie alla specializzazione e ai processi di apprendimento per esperienza (learning by doing). David Ricardo Approfondisce le conseguenze del progresso tecnologico, distinguendolo dal progresso tecnico incorporato e i suoi effetti sull’occupazione. Analizza i meccanismi di natura: - Endogena: Un aumento della domanda e la riduzione dei prezzi grazie al progresso tecnico. - Esogena: La produzione di nuove macchine -> attraverso i quali il cambiamento tecnologico ha effetti sull’occupazione -> da questa analisi nasce la teoria della compensazione, secondo cui gli effetti di risparmio di lavoro (labour-saving) derivanti dall’introduzione di nuove macchine sono bilanciati da: 1. L’impiego di forza lavoro per produrre le nuove macchine. 2. L’aumento della domanda generato dalla diminuzione dei prezzi. Karl Marx Introduce una visione sociale del cambiamento tecnologico: - Le innovazioni non sono atti individuali, ma fenomeni legati alle relazioni e ai conflitti tra gruppi e classi sociali, ovvero la lotta di classe. - L’innovazione deriva dalla competizione capitalistica e dall’espansione dei mercati, che genera tensioni sulla distribuzione di risorse e benefici. Charles Babbage L’inventore-manager Babbage propone un contributo organizzativo al progresso tecnologico: - Distinzione tra "fare" e "manifattura": Il “fare” riguarda la produzione di un singolo pezzo, mentre la manifattura si occupa della produzione su larga scala di pezzi identici. - Riprendendo Smith, Babbage vede nella specializzazione e nell’apprendimento un motore per l’avanzamento tecnico, ponendo enfasi sugli aspetti organizzativi. Edward Usher Il tecnologo Usher considera l’innovazione come il risultato di un processo strutturato e cumulativo. Fasi del processo innovativo: 1. Percezione del problema. 2. Atto iniziale di intuizione e comprensione del problema. 3. Modifica e miglioramento progressivo dell’innovazione. 4. Adattamento dell’innovazione al contesto economico, tecnologico e settoriale. SCHUMPETER (1883-1950) Joseph Schumpeter (1883-1950) è stato il primo economista a riconoscere e teorizzare il ruolo centrale dell’innovazione nelle moderne economie industriali, attribuendo ad essa il potenziale per generare extraprofitto e per consentire alle imprese di uscire dalla concorrenza perfetta. Il suo contributo ha gettato le basi per l’economia dell’innovazione, ispirando generazioni di studiosi. Le due fasi del pensiero di Schumpeter 1. Mark I – Teoria dello sviluppo economico: - Schumpeter si concentra sulle piccole e medie imprese (PMI) europee dopo la Seconda Rivoluzione Industriale. - L’imprenditore è la figura centrale del processo innovativo, e l’innovazione è il frutto di una continua competizione tra singoli imprenditori che propongono soluzioni nuove a problemi specifici. - L’innovazione è vista come un fenomeno dinamico e decentralizzato. 2. Mark II – Capitalismo, socialismo e democrazia: - L’attenzione si sposta sulle grandi imprese burocratizzate statunitensi. - L’innovazione nasce come risultato di processi cooperativi e di squadra all’interno di grandi organizzazioni. - Le grandi imprese tendono a dominare il panorama dell’innovazione grazie a risorse superiori e a strutture organizzative in grado di sostenere attività di ricerca e sviluppo (R&D). Lo sviluppo economico è inteso come un processo che porta ad un cambiamento qualitativo attraverso: - Nuovi beni - Nuovi metodi di produzione - Nuove forme organizzative - La creazione di nuovi mercati - Nuove fonti di approvvigionamento L’innovazione è distinta dall’invenzione -> non tutte le invenzioni diventano innovazioni -> queste ultime richiedono un’applicazione pratica. - vista come risposta creativa: che si verifica “ogni qualvolta l’economia o un settore, o alcune aziende di un settore fanno qualcosa di diverso, qualcosa che è al di fuori della pratica esistente” (da distinguere con la risposta adattiva, ovvero un adeguamento ai cambiamenti senza introdurre novità sostanziali). - è un processo ad esito incerto: L’innovazione è rischiosa e imprevedibile, né può essere compresa o calcolata ex ante. L’incertezza è particolarmente marcata per le innovazioni radicali, meno per quelle incrementali. - ha un profitto temporaneo: L’innovazione genera profitti iniziali (extraprofitto), che possono perdurare se l’attività innovativa dell’impresa rimane sostenuta -> al contrario, si riducono con il tempo a causa dell’imitazione da parte della concorrenza. Gli imitatori spesso migliorano l’idea originale, diventando a loro volta innovatori. - si concentra nel tempo e nei settori: Le innovazioni non sono eventi isolati -> tendono a concentrarsi in determinati periodi storici e settori economici, seguendo un modello di storicità e irregolarità (es. tessile nella Prima Rivoluzione Industriale, acciaio e ferrovie nella Seconda, elettricità e chimica nel Novecento). Comportamento innovativo diverso per dimensioni e per età delle imprese: DIMENSIONE -> l’innovazione può avere luogo sia in imprese di ridotte sia di grandi dimensioni, ma non è una condizione né necessaria né sufficiente per innovare. Nel primo caso sarà l’imprenditore ad esserne il protagonista e sarà la situazione del capitalismo concorrenziale (Mark I), nel secondo caso la sede dell’innovazione sarà la grande impresa burocratizzata e sarà la situazione del capitalismo trustificato (Mark II). ETÀ -> le innovazioni emergono prima nelle imprese giovani, mentre quelle vecchie si caratterizzano per un certo conservatorismo, per cui cercheranno di sopravvivere tramite l’imitazione (si adeguano progressivamente alle pressioni della concorrenza) e l’introduzione di innovazioni incrementali. Ruolo dell’imprenditore: A differenza di Adam Smith, Schumpeter vede l’imprenditore come un attore a razionalità limitata -> le sue decisioni sono vincolate da risorse e tempo limitati, impedendogli di calcolare un’ottimizzazione perfetta. Limiti del pensiero di Schumpeter 1. Non approfondisce il ruolo della tecnologia e della scienza nello sviluppo dell’innovazione -> considerati, insieme all’invenzione, come fattori esogeni 2. Minimizza l’impatto delle innovazioni incrementali, concentrandosi sulle innovazioni radicali come casi speciali -> in realtà, le innovazioni incrementali e minori influiscono sul mutamento tecnologico -> non approfondisce la continuità del mutamento tecnologico -> enfatizza la radicalità del cambiamento tecnologico, associandolo a grandi trasformazioni nel sistema economico -> tuttavia, la realtà del mutamento tecnologico include anche una dimensione di continuità, in cui piccoli miglioramenti (innovazioni incrementali) giocano un ruolo altrettanto importante nel lungo periodo (il lavoro di Schumpeter è più una descrizione del processo innovativo e un’analisi delle sue conseguenze sul sistema economico più che un’analisi delle sue determinanti -> di conseguenza, aspetti di discontinuità e radicalità del mutamento tecnologico vengono privilegiati rispetto a quelli di continuità e incrementalismo) 3. Non analizza a fondo la diffusione delle innovazioni -> ammette però che la diffusione delle innovazioni può essere ostacolata da resistenze da parte delle imprese esistenti verso nuovi prodotti o processi, perché ‘’i nuovi prodotti e processi sono in generale insoddisfacenti’’ -> resistenza al nuovo e inerzia in tutti i settori della società. NEOCLASSICI VS. EVOLUTIVI DIFFERENZE: SIMILARITA’: Le opportunità scientifiche e tecnologiche di un’industria influiscono sul tasso di progresso tecnologico. Elevate opportunità generano maggiori innovazioni. Gli incentivi economici giocano un ruolo chiave per stimolare l’innovazione. L’appropriabilità stimola la spesa in R&S, in quanto l’innovatore è in grado di ottenere profitti e bloccare l’imitazione. Un livello però troppo alto di appropriabilità finisce per bloccare la diffusione e lo scambio di informazioni e conoscenza tra imprese e quindi limita la diffusione dell’innovazione nel settore. Le condizioni di domanda influiscono sul tasso di innovazione. Una domanda di elevate dimensioni incentiva le imprese a spendere maggiormente in R-S. Relazione di endogeneità tra innovazione e struttura del mercato -> A partire da quanto teorizzato da Schumpeter, concordano sul fatto che una struttura di mercato più concentrata genera un tasso di innovazione più elevato e viceversa. Ugualmente un elevato tasso di progresso tecnologico modifica significativamente la struttura del mercato. Partendo dalla funzione di produzione neoclassica -> Q= f (K,L,t) -> … (Dove: K= capitale, L= lavoro, t = è una funzione del tempo che cattura i miglioramenti tecnologici -> il fattore moltiplicativo che identifica gli spostamenti cumulati della funzione di produzione nel tempo -> Solow riconosceva che t denotava l’insieme di tutti i fattori, incluso il progresso tecnico) … per cui la quantità prodotta è funzione degli input: K, L e t (mutamento tecnologico nel tempo), definiamo: Tecnica -> rappresentata da un singolo punto su un isoquanto -> (insieme delle combinazioni efficienti di input K e L che forniscono lo stesso livello di produzione) -> (isoquanto = curva che mostra tutte le combinazioni di input (capitale e lavoro) che producono lo stesso livello di output -> ogni punto rappresenta una specifica combinazione di input) Tecnologia -> rappresentata dall’intero isoquanto, ovvero dall'insieme di tutte le possibili tecniche che permettono di produrre un certo livello di output. Cambiamento tecnologico -> è lo spostamento della funzione di produzione nel tempo, cioè lo spostamento dell’isoquanto verso l’origine. Può essere di 2 tipi: Incorporato -> legato all’introduzione di nuovi beni capitali o di capitale umano L. Disincorporato -> legato a t e indipendente dall’investimento di nuovo K o L. Se a parità di K ed L (ceteris paribus) aumenta t, migliora la tecnologia, l’isoquanto si sposta verso destra e si ottiene maggiore prodotto. A parità di quantità prodotta, quando cambia il rapporto tra K e L l’isoquanto si inclina, si parlerà di tecnica di labour saving se la quota di L si riduce, mentre si parlerà di capital saving quando la quota di K si riduce -> ad esempio, se il lavoro diventa più costoso rispetto al capitale, significa che le imprese stanno adottando tecnologie Labour Saving. FONTI DELL’INNOVAZIONE: 1. Ricerca e Sviluppo (R-S) La R-S rappresenta un’attività organizzata e formalizzata svolta da imprese, università e centri di ricerca, finalizzata all’introduzione di innovazioni. Secondo il Manuale di Frascati dell’OCSE, si tratta di un lavoro creativo volto ad aumentare il patrimonio di conoscenze scientifiche e tecniche, utilizzandole per nuove applicazioni. Le attività di R-S si articolano in tre fasi principali, non necessariamente sequenziali: 1. Ricerca di base: mira ad ampliare la conoscenza scientifica, senza un obiettivo specifico o legami diretti con prodotti o processi produttivi. 2. Ricerca applicata: utilizza le conoscenze scientifiche o ne genera di nuove, per creare prodotti o processi produttivi innovativi. 3. Sviluppo: consiste nella realizzazione concreta di un nuovo prodotto o processo, partendo dai risultati della ricerca. L'importanza di ciascuna fase varia a seconda del settore industriale, così come le competenze degli operatori coinvolti. 2.Apprendimento esperienziale (learning by doing) Questo tipo di apprendimento avviene con l’esperienza diretta, spesso durante la produzione. A lungo considerato un processo automatico e privo di costi, l’apprendimento esperienziale si manifesta attraverso la riduzione dei costi medi di produzione in relazione all’aumento dell’output o al passare del tempo. In questo contesto, le imprese più longeve beneficiano di un bagaglio di esperienza maggiore, acquisito sul campo. L’innovazione può essere definita come il processo di creazione di nuovi prodotti o processi produttivi. Esistono due principali modelli teorici per descrivere questo processo: 1. Modello lineare In passato, l’innovazione era vista come un processo lineare basato su una sequenza ben definita di fasi: ricerca, sviluppo, produzione e commercializzazione. Questo modello presuppone una direzione unica e un rapporto di causa-effetto tra le fasi. Tuttavia, sebbene molte innovazioni nascano da scoperte scientifiche, nella maggior parte dei casi le imprese innovano per rispondere a bisogni commerciali, combinando conoscenze preesistenti. Solo in mancanza di soluzioni soddisfacenti ricorrono a investimenti in ricerca. Inoltre, in molti contesti, è l’esperienza degli utenti, più che la scienza, a rappresentare la principale fonte di innovazione. 2. Modello a catena Proposto nel 1988 da Kline e Rosenberg, questo modello descrive l’innovazione come un processo bidirezionale, caratterizzato da feedback continui tra le varie fasi e tra innovazione e scienza. Il processo inizia dall’identificazione di un bisogno di mercato, seguito da: - Design analitico (combinazione di conoscenze o componenti esistenti). - Test e modifiche del design. - Commercializzazione del prodotto finito. A differenza del modello lineare, l’innovazione qui non è sempre una creazione ex novo, ma spesso una ricombinazione intelligente dell’esistente. I flussi di conoscenza collegano le fasi tra loro e con le attività di ricerca, rendendo cruciale il ruolo dell’apprendimento per un utilizzo efficace di queste conoscenze, che possono essere sia interne che esterne all’impresa. Inoltre, contrariamente all’idea che la scienza preceda sempre l’innovazione, il modello a catena riconosce che le innovazioni tecnologiche possono anticipare e stimolare nuovi avanzamenti scientifici. Ad esempio, Rosenberg, nel suo libro Inside the Black Box, evidenzia come il telescopio di Galileo abbia aperto la strada alla moderna astronomia. MISURAZIONE DEL FENOMENO INNOVATIVO La misurazione dell’innovazione avviene tramite indicatori proxy, ovvero dati approssimativi che cercano di rappresentare il fenomeno. I principali indicatori si distinguono in input e output: Indicatori di input 1. Spesa in R-S: Misura gli investimenti destinati alla Ricerca e Sviluppo, un parametro utile per confronti internazionali (es. rapporto rispetto al PIL) o per grandi imprese, ma meno significativo per le PMI. 2. Numero di addetti alla R-S: Rappresenta la forza lavoro dedicata alla Ricerca e Sviluppo. Anche questo indicatore è più rilevante per contesti macro (nazioni, grandi imprese) che per le PMI. Indicatori di output 1. Numero di brevetti: Misurano l’output inventivo (non sempre innovativo) e rappresentano un incentivo all’innovazione grazie alla protezione garantita. Tuttavia, non è detto che un brevetto si traduca in un successo commerciale. o I brevetti possono essere considerati anche un indicatore di input innovativo, in quanto segnali della capacità tecnologica di un’impresa in un determinato settore. o Le analisi brevettuali hanno il vantaggio di essere disponibili a livello globale per tutti i paesi e le tecnologie, consentendo indagini quantitative dettagliate. o Esistono due approcci principali nell’analisi brevettuale: ▪ Domande di brevetto: più aggiornate ma meno rigorose. ▪ Brevetti concessi: indicano una maggiore qualità e novità grazie a criteri di concessione più stringenti. o Fonti principali: Ufficio Brevetti Europeo (EPO) e Ufficio Brevetti Statunitense (USPO). Altri indicatori complementari 1. Pubblicazioni e citazioni scientifiche: Indicativi dell’output scientifico di un paese o istituzione. Questi dati, suddivisibili per area scientifica, paese o istituzione, sono però costosi e complessi da raccogliere e generalmente in lingua inglese. 2. Commercio internazionale: Nei flussi di beni e servizi si può analizzare il contenuto tecnologico (es. statistiche sul commercio di prodotti ad alta tecnologia). 3. Bilancia tecnologica dei pagamenti: Misura gli scambi internazionali di beni intangibili e il trasferimento tecnologico tra paesi, registrando flussi finanziari legati a diritti di proprietà industriale (brevetti, licenze, assistenza tecnica, formazione). Strumenti istituzionali europei A livello europeo, esistono due strumenti principali, tra loro collegati, per misurare le performance innovative nazionali: 1. Community Innovation Surveys (CIS): Raccoglie dati a livello di impresa per valutare l’innovazione. 2. European Innovation Scoreboard (EIS): Basato sui dati raccolti dalle CIS, fornisce una misura sintetica delle performance innovative, confrontando gli EU-25 con Giappone e Stati Uniti. o L’EIS calcola un Indice sintetico di innovazione, utilizzato per valutare la performance dei paesi e delle singole regioni europee. o Dal 2017 al 2024 l’indice è cresciuto, permettendo di classificare paesi e regioni in: ▪ Leader dell’innovazione ▪ Strong innovators ▪ Emerging innovators ▪ Moderate innovators Indicatori generali dell’EIS Tra gli indicatori principali che contribuiscono all’Indice sintetico di innovazione troviamo: Risorse umane: Proxy come numero di dottorandi, persone con istruzione universitaria, o coinvolte in programmi di apprendimento continuo. Attrattività della ricerca scientifica: Proxy come co-pubblicazioni con autori internazionali, percentuale di studenti stranieri dottorandi, o pubblicazioni tra il 10% più citato a livello mondiale. Tasso di digitalizzazione: Diffusione della banda larga e competenze digitali. Oltre a questi strumenti, si utilizzano anche i dati OCSE, secondo le raccomandazioni del Manuale di Oslo, che offre linee guida per la raccolta e l’interpretazione di dati sull’innovazione. LA TEORIA EVOLUTIVA e L’IMPRESA INNOVATIVA La teoria evolutiva dell'impresa, introdotta da Nelson e Winter nel 1982, considera le imprese come attori centrali in ambienti incerti e in continuo cambiamento. In passato, l'analisi delle imprese si limitava a considerarle come "scatole nere" o alternative al mercato (teoria dei costi di transazione). Un approccio evolutivo evidenzia invece quattro funzioni chiave nella struttura organizzativa: 1. Incentivi: Orientano le azioni attraverso premi e penalità. 2. Controllo: Monitorano le attività per assicurare conformità. 3. Potere: Gestiscono la distribuzione delle decisioni. 4. Conoscenza: Favoriscono il coordinamento e la condivisione di informazioni. Questa teoria si distingue dall'approccio neoclassico tradizionale perché pone al centro: la conoscenza, l'apprendimento e l'innovazione. Inoltre, l’impresa è vista come il soggetto centrale che ricerca, innova e produce in ambienti incerti ed in continuo cambiamento. Esse sono depositarie di conoscenza specifica incorporata in routine organizzative. Per la teoria evolutiva alcuni fattori chiave influiscono sull’intensità, direzione e rilevanza economica della ricerca e dell’innovazione delle imprese: 1. Opportunità scientifiche e tecnologiche: - Derivano da fonti sia interne che esterne (R-S, fornitori, utilizzatori, altre imprese). - Ogni settore presenta peculiarità che influenzano la disponibilità di tali opportunità. - Esiste una complementarietà tra fonti interne ed esterne, che devono essere sfruttate in modo integrato. 2. Organizzazione e procedure di ricerca: - La R-S e l'apprendimento per esperienza non sono automatici, ma richiedono la risoluzione di problemi specifici (tecnologici, produttivi, ecc.). - La capacità di organizzare e strutturare le procedure di ricerca incide significativamente sull'efficacia dell'innovazione. 3. Conoscenza accumulata e competenze: - Le imprese operano in contesti incerti e mutevoli, basandosi su competenze e conoscenze preesistenti. - La relazione dinamica tra ricerca e competenze crea un circolo virtuoso: la ricerca migliora le competenze e queste, a loro volta, facilitano l'assimilazione di nuova conoscenza. 4. Relazioni e complementarietà: - Innovazione e ricerca sono processi collettivi e interattivi. - Il modello a catena dimostra che le diverse fasi della ricerca e sviluppo richiedono interazioni sia interne (tra reparti aziendali) sia esterne (con partner complementari). TECNOLOGIA Vista sia come informazione (pubblica, facilmente replicabile ma con rischi di perdita di valore economico, come descritto dal paradosso di Arrow) sia come conoscenza (cognitiva, specifica, che include aspetti taciti e codificati). COME INFORMAZIONE -> La tecnologia è vista come un bene pubblico, caratterizzato da non rivalità (può essere utilizzata simultaneamente da più imprese) e non escludibilità (una volta resa nota, è difficile limitarne l’uso). Sfida principale: Paradosso di Arrow → Quando l’informazione è rivelata, perde il suo valore economico, riducendo gli incentivi all’innovazione. Soluzione: sistema dei brevetti. Visione estrema: tutta la conoscenza potrebbe essere acquisita esternamente, senza necessità di sviluppare capacità interne. COME CONOSCENZA -> La tecnologia non è solo informazione ma include una componente cognitiva: comprensione, elaborazione e assimilazione. Distinzione tra conoscenza tacita (non codificabile, legata all’esperienza e difficile da trasferire) e codificata. La conoscenza tacita, non codificabile, è fondamentale per l’innovazione ed è strettamente legata all’esperienza personale e all’interazione sociale. Nonaka ha proposto un modello di creazione di nuova conoscenza e di conversione di conoscenza: 1. Socializzazione: Da tacita a tacita, grazie alla cultura organizzativa. 2. Esternalizzazione: Da tacita a esplicita, tramite metafore e analogie. 3. Combinazione: Da esplicita a esplicita, integrando diverse fonti di conoscenza. 4. Internalizzazione: Da esplicita a tacita, sviluppando apprendimento organizzativo. APPRENDIMENTO L'apprendimento è un processo cumulativo e contestuale in grado di consentire alle imprese di sfruttare le opportunità che l’ambiente gli offre. È locale e contestuale e le fonti perché legato alla conoscenza passata e ne genera di nuova. Tipi di apprendimento: - Learning by doing: miglioramenti attraverso l’esperienza produttiva. - Learning by using: feedback dall’utilizzo dei prodotti. - Learning by searching: ricerca e sviluppo interni. - Learning by interacting: collaborazioni con altre imprese e utilizzatori. Questi processi generano miglioramenti continui e consentono di creare vantaggi competitivi duraturi L’apprendimento è legato sia alla conoscenza che alle competenze: - LEGAME CON LA CONOSCENZA È legato alla conoscenza passata e ne genera di nuova -> Più la conoscenza esterna è complessa, più un'impresa deve sviluppare competenze per identificarla e integrarla. La R-S diventa uno strumento essenziale per affrontare questa complessità. La conoscenza interna non solo sostiene i processi innovativi, ma abilita alleanze strategiche con altre imprese. Questo scambio consente di mettere in comune capacità e conoscenze, aumentando le opportunità di innovazione collaborativa. - LEGAME CON LE COMPETENZE Sono il risultato dei processi di apprendimento ed accumulazione delle conoscenze da parte delle imprese. Sono strettamente legate alla capacità innovativa e alla performance delle aziende. Questo concetto si collega alla visione di Penrose, che considera l'azienda come un insieme di risorse produttive, e alla "resource-based view" (RBV), che vede l'impresa come un sistema di risorse tangibili e intangibili. Caratteristiche delle competenze: - Specificità: Le competenze sono difficili da imitare e fortemente influenzate dal contesto in cui operano le imprese. - Identità aziendale: Definiscono ciò che un'azienda può produrre e innovare. - Core Competences: Sono capacità distintive basate su conoscenze tacite, routine e beni complementari, difficilmente trasferibili, che offrono un vantaggio competitivo sostenibile. Le tre dimensioni fondamentali delle competenze: 1. Dimensione inerziale Rigidità e trappole da competenze: Le aziende tendono a concentrarsi su ciò che già sanno fare bene, applicando vecchie metodologie anche a nuove sfide -> però questo può causare fallimenti quando il contesto cambia rapidamente -> per superare l'inerzia, le imprese devono sviluppare una "meta-competenza", cioè la capacità di adattarsi e innovare continuamente, fondamentale per la sopravvivenza a lungo termine (capacità dinamica). 2. Dimensione contestuale -> le competenze si sviluppano in determinati contesti tecnologici, produttivi e di domanda: Contesto tecnologico, può essere: o Distruttore di competenze -> nuove tecnologie possono rendere obsolete le competenze esistenti, favorendo l'ingresso di nuovi attori. o Rafforzatore di competenze -> alcune innovazioni consolidano le competenze esistenti, aumentando il vantaggio competitivo. Contesto di domanda: i consumatori possono stimolare l'innovazione o, al contrario, rafforzare l'inerzia delle imprese. Contesto dell’architettura del prodotto: a distruzione delle competenze può dipendere non tanto dall’introduzione di innovazioni radicali, ma da innovazioni che riguardano l’architettura del prodotto (cambiamenti nelle relazioni e nelle gerarchie tra componenti e parti di uno stesso prodotto senza cambiamenti alla tecnologia di base). 3. Dimensione organizzativa Le competenze si basano sulla complementarietà tra attività innovative e produttive, e si articolano su quattro livelli: Funzionali: Operative, legate ai reparti tecnici. Organizzative: Coordinamento e gestione interna. Strategiche: Sfruttamento di opportunità economiche. Adattive: Capacità di apprendere dal passato e rispondere ai cambiamenti. Le competenze adattive attraversano tutti i livelli aziendali, mentre quelle strategiche appartengono al top management, quelle organizzative al middle management e quelle funzionali alle unità operative. Un ulteriore aspetto fondamentale è la capacità delle imprese di combinare competenze interne (tecnologiche) con conoscenze esterne (scientifiche, ad esempio attraverso collaborazioni con Università), soprattutto in contesti complessi e incerti. Questo approccio migliora la capacità di innovazione e le performance complessive. ROUTINE Le imprese si basano su routine -> schemi di comportamento ripetitivi utilizzati dall’impresa in specifiche circostanze. Si tratta di procedure meccaniche e standardizzate, fortemente legate al contesto e all’organizzazione. Esse rappresentano: - Ciò che l’azienda sa fare per affrontare problemi ricorrenti. - Regole decisionali e operative, non scelte deliberate. Hanno sia una dimensione cognitiva, che organizzativa in quanto rappresentano le capacità di base e la memoria delle imprese. Le routine governano 3 aspetti principali dell’impresa: 1) Le procedure operative standard legate alle decisioni di produzione e di determinazione dei prezzi 2) Le politiche di investimento e di crescita 3) Ricerca e sviluppo (generano il cambiamento delle routine esistenti) Sebbene la loro compatibilità con altre imprese possa facilitarne il trasferimento, il paradosso delle routine sta nella loro stretta connessione con il contesto in cui si sviluppano. Questo implica difficoltà sia nella loro riproduzione all'interno della stessa azienda sia nell'imitazione da parte di altre imprese. Le routine, basandosi su conoscenze tacite e specifiche al contesto, possono risultare difficili da replicare anche in diverse parti della stessa organizzazione. Per superare questo limite, è utile aumentare la mobilità del personale e migliorare la codificazione della conoscenza, bilanciando però l'efficienza interna con il rischio di facilitare l'imitazione da parte di concorrenti. DECENTRAMENTO E CENTRALIZZAZIONE DELL’APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO Decentramento -> Favorisce l’apprendimento delle singole unità -> questo approccio porta a una maggiore specializzazione e diversificazione delle conoscenze locali, stimolando la creatività e l’innovazione su scala ridotta -> ma disperde le conoscenze rendendo difficile la condivisione e l’integrazione delle informazioni a livello organizzativo. Centralizzazione -> Consente di integrare e condividere conoscenze -> consente all’organizzazione di condividere le informazioni e creare una base di conoscenza comune, utile per affrontare sfide complesse -> Un eccesso di centralizzazione, però, può limitare l’autonomia delle singole unità, riducendo la capacità di innovare e reagire rapidamente ai cambiamenti. Equilibrio necessario -> un mix tra centralizzazione e decentramento è cruciale, come dimostrato dal modello di Marengo (descrive come questo equilibrio varia in base al contesto ambientale): - In un ambiente stabile, strutture completamente centralizzate o decentralizzate funzionano meglio. - In ambienti regolarmente mutevoli, una centralizzazione strategica con visione decentrata funziona meglio. - In contesti imprevedibili, una centralizzazione delle informazioni con decentramento operativo è ideale. Caso USA: Un esempio pratico citato è il passaggio del modello organizzativo statunitense da strutture funzionali centralizzate (a forma di U) a strutture multidivisionali (M-form). Queste ultime decentralizzavano sviluppo e produzione, mantenendo la centralizzazione della direzione strategica, per gestire meglio la complessità e diversificazione del mercato. COERENZA DI IMPRESA Riguarda la stabilità e la logica delle attività dell’impresa nel tempo. Questo concetto è legato alla capacità dell'impresa di sviluppare e sfruttare competenze, conoscenze e risorse in modo integrato e consistente, pur adattandosi ai cambiamenti del mercato e delle tecnologie. Caratteristiche delle imprese moderne: - sono multiprodotto: cioè tendono a diversificarsi, passando da una produzione inizialmente specializzata a una multiprodotto. Tuttavia, questa diversificazione è coerente quando le linee produttive condividono caratteristiche comuni in termini di mercato, conoscenze e tecnologie. - hanno una distribuzione non casuale delle attività -> le attività di un’impresa non si sviluppano casualmente, ma seguono una logica di continuità che riflette il suo percorso storico e le sue competenze accumulate -> ed è stabile nel tempo -> la coerenza si manifesta nella capacità di mantenere un nucleo stabile di attività produttive, evitando dispersioni strategiche o eccessiva dipendenza da settori non collegati. Fattori che determinano la coerenza -> le imprese nascono spesso specializzate e si diversificano successivamente grazie ad apprendimento, opportunità tecnologiche, path dependency (le conoscenze di oggi dipendono da quelle di ieri) e selezione competitiva. Sulla base di queste variabili è possibile classificare le principali forme di organizzazione d’impresa: 1. Integrazione verticale -> le imprese si integrano verticalmente per coordinare competenze e proteggere innovazioni in contesti con basse competenze esterne o elevati costi di transazione. o Utile per coordinare competenze complementari, ridurre i costi di transazione o proteggere innovazioni. o Preferibile in caso di innovazioni sistemiche o domanda stabile, ma può limitare la varietà e l'esplorazione di nuove soluzioni. o Con il tempo, la diffusione delle competenze e degli standard può portare alla disintegrazione delle attività integrate. 2. Diversificazione o Le imprese diversificano in settori vicini a livello di conoscenze e risorse. o La diversificazione tecnologica precede spesso quella di prodotto, specialmente nelle industrie multitecnologiche. 3. Network o Rappresentano un compromesso tra centralizzazione e decentralizzazione, facilitando il coordinamento e la condivisione di conoscenze complesse. o Sono utili in contesti di elevata appropriabilità tecnologica, riducendo i costi e inefficienze dell’integrazione totale. o Esempi di network: ▪ Distretti industriali marshalliani (bassa cooperazione). ▪ Network coordinati (es. Terza Italia). ▪ Network innovativi (es. Silicon Valley). ▪ Network con grandi imprese "core" (es. settore auto). I network evolvono durante il ciclo di vita industriale e possono essere temporanei (per apprendimento e adattamento) o permanenti (grazie alla maggiore codificabilità della conoscenza). REGIMI TECNOLOGICI E PATTERN SETTORIALI DI INNOVAZIONE Sono i modelli e le dinamiche attraverso cui le innovazioni si sviluppano e si diffondono all'interno di un sistema economico. Questi pattern sono influenzati da vari fattori, tra cui la storia economica, le strutture di mercato, e le caratteristiche delle imprese. Schumpeter ha elaborato due modelli (o pattern): 1. Mark I (distruzione creativa): - Le innovazioni sono introdotte da nuovi imprenditori con idee radicali, nuovi prodotti e processi. - Le piccole imprese sfidano le aziende consolidate, creando instabilità nel mercato. - Alta concorrenza e facilità di ingresso, ma anche alta instabilità. 2. Mark II (accumulazione creativa): - Grandi imprese consolidate dominano il mercato grazie a risorse, conoscenze e barriere all'ingresso. - L'innovazione è più incrementale, concentrata nelle grandi aziende. - Minori opportunità per nuovi imprenditori, con un mercato più stabile. L'Italia tende a seguire il modello Mark I, mentre paesi come la Germania, gli USA e il Giappone sono più orientati verso il modello Mark II. I settori ad alta tecnologia come l'elettronica seguono il modello Mark II, mentre settori come le start-up tecnologiche si avvicinano al Mark I. I pattern dell’attività innovativa dipendono dal REGIME TECNOLOGICO -> definiti come combinazioni di alcune proprietà fondamentali delle tecnologie, secondo Malerba e Orsenigo. Le proprietà sono: Opportunità tecnologiche -> ovvero la facilità di innovare in relazione alle risorse investite in ricerca. Le opportunità sono maggiori nelle fasi iniziali di un'industria, quando le tecnologie non sono ancora stabilite (stadio pre-paradigmatico). Le fonti di opportunità includono scoperte scientifiche, ricerca e sviluppo (R&D), miglioramenti delle attrezzature e processi di apprendimento aziendale. Condizioni di appropriabilità: La capacità di proteggere le innovazioni dall'imitazione e di ottenere profitti. Si distingue tra: Brevetto: Protegge legalmente l'innovazione, ma può essere aggirato con novità incrementali. Segretezza: L'azienda non rende pubblica l'innovazione, ma è vulnerabile a imitazioni indipendenti. Vantaggio temporale: Essere il primo a entrare nel mercato. Vantaggio in termini di competenze: Maggiori competenze tecnologiche e know-how. Innovazione continua: L'azienda mantiene il suo vantaggio grazie a innovazioni successive. Servizi post-vendita: L'azienda si appropria di profitti grazie a risorse complementari difficili da replicare dai concorrenti. Cumulatività dell’avanzamento tecnologico: Le imprese che innovano tendono a continuare a innovare. La cumulatività può essere: 1. Tecnologica: Legata ai processi di apprendimento. 2. Settoriale: Maggiore in settori con bassa appropriabilità. 3. D’impresa: Più alta per le imprese con maggiori risorse e capacità di R&D. 4. Locale: Si sviluppa in aree geografiche con alta concentrazione di imprese innovative. Caratteristiche della conoscenza di base: La conoscenza che genera innovazione può essere: specifica o generica, tacita o codificata, complessa o indipendente. Relazione con i modelli Schumpeter: - Schumpeter Mark I: Caratterizzato da alta opportunità, bassa appropriabilità e bassa cumulatività. Le innovazioni sono diffuse e provengono da piccole imprese. - Schumpeter Mark II: Caratterizzato da alta appropriabilità e cumulatività a livello d’impresa, con innovazioni provenienti principalmente da grandi imprese. Diversi sono i metodi attraverso cui un’impresa può venire a conoscenza o ottenere le invenzioni di altre imprese: - Licenza di tecnologia: Concedere in licenza l'innovazione. - Rivelazioni da brevetto: Sviluppare innovazioni simili ma leggermente diverse. - Pubblicazioni e incontri tecnici: Monitorare le ricerche delle imprese innovative. - Conversazioni informali: Scambio di know-how. - Assunzioni di addetti: Reclutare esperti da imprese innovative. - Reverse engineering: Analizzare i prodotti dei concorrenti. - R-S indipendenti: Svolgere ricerca per mantenersi competitivi. CLASSIFICAZIONE DEI SETTORI INDUSTRIALI TASSONOMIA DI PAVITT è un modello che descrive le diverse tipologie di imprese in base alla loro strategia tecnologica e alla loro capacità di innovazione. È stata sviluppata dal ricercatore britannico Keith Pavitt nel 1984 ed è utilizzata per analizzare come le imprese interagiscono con la tecnologia e come affrontano l'innovazione. Pavitt ha classificato le imprese in quattro principali categorie, ognuna basata sul tipo di strategia tecnologica adottata: 1. Settori fornitori-dominati, imprese attive in comparti tradizionali (per es. il tessile e l’agricoltura), in cui l’innovazione è di origine esterna all’impresa. 2. Settori basati sulla produzione di scala, aziende prevalentemente di grande dimensione, produttrici di materie prime e di beni di consumo durevoli (per es., automobili). Le fonti dell’innovazione sono sia interne sia esterne e il grado di appropriabilità è medio. 3. Settori specializzati nei fornitori di tecnologia, società di più piccola dimensione, specializzate nel produrre tecnologie utilizzate da altre imprese (macchinari specializzati e strumenti ad alta tecnologia). Il grado di appropriabilità dell’innovazione è alto, per la natura stessa della conoscenza necessaria allo sviluppo di tali tecnologie. 4. Settori basati sulla scienza, come ditte ad alta tecnologia, che attingono a ricerca e sviluppo di fonte sia interna sia universitaria, in settori quali la farmaceutica o l’elettronica o l’ICT (➔). Tali imprese/settori sviluppano le innovazioni di prodotto e di processo (➔ innovazione) di maggiore valore e godono di alto grado di appropriabilità. LA DINAMICA INDUSTRIALE E LE RELAZIONI TRA IMPRESE La teoria evolutiva applicata all'analisi industriale si concentra sull'evoluzione delle industrie e su come esse si trasformano nel tempo, influenzando la dinamica industriale, l'innovazione e le strutture aziendali. In particolare, la teoria si concentra su tre livelli principali che interagiscono tra loro: dinamica industriale, dinamica strutturale e evoluzione strutturale. 1. Dinamiche industriali Questa riguarda l'analisi del comportamento delle imprese all'interno di un'industria. Si studiano aspetti come la demografia industriale (ingresso, uscita, crescita delle imprese), la loro sopravvivenza e l'evoluzione dei mercati. Gli studi empirici hanno mostrato che: Le imprese differiscono in termini di competenze, organizzazione e strategie, il che si riflette su variabili come costi, produttività, profittabilità e innovazione. L'industria è caratterizzata da turbolenza, con un flusso costante di imprese che entrano, escono e cambiano dimensione. La sopravvivenza tende a migliorare con l'età e la dimensione dell'impresa, ma la crescita è generalmente inversamente correlata con l'età. Le dimensioni delle imprese in un'industria tendono a seguire una distribuzione asimmetrica, che si spiega con la Legge di Gibrat, secondo cui le imprese crescono indipendentemente dalla loro dimensione iniziale, seguendo un percorso simile e con una distribuzione log-normale delle dimensioni. L'evoluzione di un'industria è fortemente influenzata dal cambiamento tecnologico e dalle relazioni tra le imprese(collaborazioni, divisione del lavoro, accordi di ricerca e sviluppo, ecc.). Ad esempio, nell'industria farmaceutica e biotecnologica, è emerso un modello di rete di imprese con forti interazioni collaborative. 2. Dinamica strutturale La dinamica strutturale riguarda le variabili strutturali di un'industria (come dimensioni delle imprese, concentrazione industriale), e come queste si interconnettono con le innovazioni di prodotto e processo. Un importante modello teorico per spiegare questa evoluzione è il ciclo di vita dell'industria, che prevede tre fasi principali: Fase I (Nascita): Si inizia con una innovazione radicale che porta a un flusso di innovazioni di prodotto. In questa fase, la competizione è elevata e le barriere all'entrata sono basse. Molte piccole imprese entrano sul mercato, ma la produzione è inefficiente. Fase II (Crescita e Consolidamento): Con il tempo emerge un design dominante e le innovazioni diventano più di processo, aumentando l'efficienza produttiva. La competizione si sposta sul prezzo e sulla differenziazione del prodotto. In questa fase, l'industria tende a concentrarsi e le barriere all'entrata aumentano. Fase III (Maturità): L'industria raggiunge la sua maturità, con poche innovazioni e una concentrazione molto alta. Le innovazioni sono prevalentemente incrementali e l'industria può essere caratterizzata da collusione tra i produttori. Il modello di Klepper (1996) formalizza ulteriormente questo ciclo, mostrando come le imprese di successo possano ridurre i costi attraverso processi di R&S, portando all'eliminazione delle imprese meno innovative. Tuttavia, ci sono alcune eccezioni, poiché la dinamica industriale può variare a seconda del settore (ad esempio, le industrie ad alta intensità di capitale, come la chimica, hanno una predominanza di innovazioni di processo). 3. Evoluzione strutturale Questo livello si concentra su come le industrie si evolvono nel lungo periodo, tenendo conto della trasformazione di prodotti e processi, della generazione di nuove industrie, del ruolo delle istituzioni e delle politiche pubbliche. L'evoluzione strutturale di un'industria include: Specializzazione, integrazione verticale e orizzontale, e la divisione del lavoro, che caratterizzano l’evoluzione delle industrie. L'ingresso di nuove imprese può avvenire anche in fasi più mature, non necessariamente legato a discontinuità o innovazioni radicali. La trasformazione dell'industria è influenzata dalle politiche governative e dalle università, che possono stimolare la crescita attraverso la ricerca e l'innovazione. Le differenze strutturali tra industrie in paesi diversi sono significative, dovute a differenze istituzionali e organizzative. In sintesi, l'evoluzione strutturale delle industrie si basa su un continuo cambio tecnologico, alternando innovazioni radicali e progressi incrementali, e su un crescente interesse per le relazioni interaziendali che stimolano la collaborazione e l'integrazione tra le imprese. Due concetti avanzati nell'analisi dell'evoluzione delle industrie: 1. Coevoluzione La coevoluzione si riferisce al mutamento congiunto e interdipendente di vari fattori che influenzano l'evoluzione di un'industria, tra cui tecnologie, competenze, strategie aziendali, domanda, struttura di mercato e istituzioni. In altre parole, i cambiamenti in un elemento (ad esempio, una nuova tecnologia) influenzano e sono influenzati da altri fattori (come le competenze aziendali o le politiche istituzionali). Due aspetti fondamentali della coevoluzione sono: Relazione tra tecnologia, innovazione e struttura di mercato: o Quando si introducono prodotti sistemici (prodotti che dipendono da una rete di componenti e da una domanda di consumatori simili), si crea una nuova industria. Durante la fase iniziale, nuove imprese entrano nel mercato e ci sono continui miglioramenti nei prodotti. o Con il tempo, emerge un design dominante, cioè un tipo di prodotto o tecnologia che diventa la norma. A questo punto, le innovazioni si concentrano maggiormente sul miglioramento del processo produttivo, rendendo le aziende più efficienti e aumentando la concentrazione del mercato. o In presenza di tecnologie concorrenti, un vantaggio iniziale di una delle due può portarla a dominare il mercato, a volte portando a un fenomeno chiamato lock-in tecnologico. In queste situazioni, le imprese si trovano costrette a continuare ad utilizzare una tecnologia che si è rivelata inferiore, semplicemente perché hanno investito in essa e abbandonarla sarebbe troppo costoso. Processi di path dependency (dipendenza del sentiero): o Durante l'evoluzione di un'industria, la competizione tecnologica tra le imprese può portare a processi di diffusione dell'innovazione, che si basano sull'esperienza accumulata nel tempo. Questi processi creano interdipendenze tra gli agenti economici e esternalità di rete, che generano rendimenti crescenti e irreversibilità nelle scelte tecnologiche. In pratica, ciò porta a una sorta di inerzia nelle decisioni, dove le imprese continuano su una determinata strada tecnologica anche quando potrebbero esserci alternative migliori, semplicemente perché sono vincolate dagli investimenti fatti in precedenza. 2. Modelli History-Friendly I modelli history-friendly sono una tipologia di modelli economici evolutivi che cercano di riprodurre l’evoluzione storica di un settore specifico, tenendo conto della complessità tecnologica, economica e istituzionale. A differenza dei modelli tradizionali che tendono a semplificare il processo evolutivo, i modelli history- friendly mantengono la specificità di ciascun settore e la eterogeneità degli attori che partecipano a tale evoluzione. Due esempi di modelli history-friendly si riferiscono all'industria dei computer, e in particolare alla transizione tra i mainframe e i personal computer: 1. Relazione tra struttura di mercato e progresso tecnico: o In un settore in evoluzione, come quello dei mainframe prima e dei personal computer poi, ogni discontinuità tecnologica (ad esempio l'introduzione dei PC) può aprire nuovi mercati e creare nuove opportunità per l'ingresso di nuove imprese. o A ogni discontinuità, le imprese esistenti devono adottare nuove tecnologie e, in alcuni casi, prendere decisioni sulla diversificazione in nuovi mercati (come passare dalla produzione di mainframe a quella di PC). Questo genera un fenomeno di competizione tra le imprese già presenti e le nuove entranti. 2. Integrazione verticale e specializzazione in componenti e sistemi: o Il modello esamina come le dimensioni delle imprese e le competenze influenzano l'integrazione verticale(cioè la decisione delle imprese di controllare tutta la catena produttiva) o la specializzazione in determinate componenti e sistemi. o A seconda dei benefici derivanti dalla combinazione di componenti o dalla domanda interna di componenti, le imprese possono scegliere di integrare verticalmente le operazioni, oppure di esternalizzare la produzione di componenti a fornitori specializzati. o Questo processo di integrazione o disintegrazione è spesso guidato dalla coevoluzione tra le industrie che producono componenti e quelle che assemblano i sistemi. INNOVAZIONE E DIFFUSIONE Processo che descrive come una nuova tecnologia o innovazione viene adottata da singoli individui o imprese all'interno di una società o economia. (Diffusione -> processo di adozione di un’innovazione da parte delle imprese o dei consumatori e si riferisce alla rilevanza economica che l’innovazione acquista nel tempo nel sistema economico) In generale, questo fenomeno può essere spiegato da quattro punti chiave: 1. Diffusione lenta e graduale: Le nuove tecnologie tendono a diffondersi in modo relativamente lento. Questo ritardo può essere dovuto a vari fattori, come la necessità di adattarsi a nuove pratiche, la mancanza di conoscenze, o i costi iniziali di adozione. 2. Andamento sigmoide dei sentieri di diffusione: La maggior parte dei "sentieri di diffusione" delle innovazioni segue una curva sigmoide (una curva a “S”) -> con una fase iniziale di lenta adozione, seguita da un'accelerazione, un picco di velocità massima e una successiva decelerazione. Il rallentamento avviene quando i cosiddetti costi sommersi (come l'apprendimento e l'adattamento) sono stati assorbiti e il numero di nuovi utenti diminuisce. o In alcuni casi, la velocità massima di diffusione viene raggiunta verso la metà del processo, il che porta a un "sentiero simmetrico". o In altri casi, il massimo della velocità si raggiunge più presto, spesso subito dopo i primi successi dell'innovazione, portando a un "sentiero asimmetrico". 3. Variabilità nella velocità di diffusione: Innovazioni diverse si diffondono a velocità differenti, così come la stessa innovazione può avere ritmi di diffusione diversi in settori o paesi differenti -> questo dipende da fattori come la natura del settore, le caratteristiche culturali di un paese, o la tipologia del prodotto. Per esempio, un'innovazione tecnologica adottata in un paese avanzato potrebbe diffondersi più velocemente rispetto a uno in via di sviluppo, a causa di differenze nelle infrastrutture e nell'accesso a risorse. 4. Interazione con il processo di innovazione: La diffusione delle innovazioni non è solo un processo di adozione passiva, ma è anche strettamente legata al feedback. Ogni volta che una nuova tecnologia viene adottata, i feedback degli utenti contribuiscono a migliorare l'innovazione originale. Questo crea un ciclo di retroazione che rende l'innovazione più efficiente e attraente per i nuovi adottanti. Questo legame tra diffusione e feedback è importante per migliorare continuamente l'innovazione e favorire una rapida espansione del suo utilizzo. La diffusione avviene tramite due fenomeni che, pur essendo distinti, si verificano contemporaneamente nella maggior parte dei casi: 1. Selezione operata dal mercato -> il mercato agisce come un filtro naturale, favorendo le imprese innovative a discapito di quelle ritardatarie. Le imprese che non adottano tempestivamente le nuove tecnologie rischiano di essere marginalizzate o addirittura eliminate dal mercato. Le imprese innovative, infatti, acquisiscono un vantaggio competitivo, grazie all’adozione delle nuove tecnologie che permettono loro di migliorare la produttività, ridurre i costi o offrire nuovi prodotti/servizi. 2. Imitazione delle imprese innovative da parte delle imprese ritardatarie -> le imprese ritardatarie, che inizialmente non adottano una nuova tecnologia, imitano quelle innovative adottando la nuova tecnologia, soprattutto quando essa è liberamente disponibile sul mercato o offerta da fornitori specializzati. 3. Entrata di nuove imprese già dotate della nuova tecnologia -> nuove imprese entrano nel mercato già dotate della nuova tecnologia o con l'intenzione di adottarla rapidamente, contribuendo all'erosione delle quote di mercato delle imprese ritardatarie e rappresentando un atto imitativo nei confronti dei primi adottatori. 4. Diffusione intra-firm -> si riferisce al processo attraverso il quale all'interno di una singola impresa viene adottata la nuova tecnologia in tutte le sue componenti produttive. Questo fenomeno misura il tempo che un’impresa impiega per convertire completamente il proprio apparato produttivo all’utilizzo della nuova tecnologia. L'adozione di una tecnologia non è sempre immediata in tutta l’impresa, e può richiedere tempi di adattamento, formazione del personale e riorganizzazione dei processi produttivi. La diffusione delle innovazioni è stata studiata da diverse prospettive: 1. Prospettiva sociologica (Rogers, 1995): Si concentra su fattori esterni che influenzano l'adozione dell'innovazione a livello individuale, come il vantaggio relativo, la compatibilità, la complessità, la sperimentabilità e l'osservabilità dell'innovazione. Inoltre, Rogers evidenzia l'influenza di fattori sociali come la decisione collettiva, i canali di comunicazione e gli sforzi di promozione. Un limite del suo approccio è che presuppone che l'innovazione e la tecnologia sostituita non cambino durante il processo di diffusione. 2. Prospettiva economica: Si concentra sulla valutazione dei benefici e dei costi dell'adozione di nuove tecnologie, considerando fattori come l'incertezza e l'informazione limitata. Gli economisti sottolineano l'importanza dei fornitori nel condizionare le decisioni degli utilizzatori. Un esempio è lo studio di Griliches sulla diffusione del granturco ibrido, che evidenziava l'importanza di fattori economici come i profitti e gli effetti di scala. 3. Prospettiva di marketing: Si concentra su come incentivare i consumatori ad acquistare nuove tecnologie e prevedere il loro successo. Un modello noto è quello di Bass (1969), che evidenzia come inizialmente i mass media siano cruciali per la diffusione, ma successivamente la comunicazione interpersonale diventi più rilevante. 4. Prospettiva costi/benefici: L'adozione di una nuova tecnologia è vista come un processo di assorbimento, in cui i benefici permangono durante tutto il ciclo di vita, ma i costi iniziali, specialmente quelli legati all'apprendimento, sono "sommersi" e non recuperabili. Ciò rende difficile tornare alla vecchia tecnologia una volta adottata una nuova, poiché si rinuncerebbe ai benefici senza recuperare i costi sostenuti. Tuttavia, esistono eccezioni, come le mode, che si diffondono rapidamente ma scompaiono presto. I fattori che influenzano la diffusione delle innovazioni possono essere suddivisi in quattro gruppi principali: 1. Fattori legati ai benefici ricevuti: o Miglioramento della nuova tecnologia: Il grado in cui la nuova tecnologia migliora rispetto alla precedente è cruciale. La sostituibilità della vecchia tecnologia e i benefici che crescono nel tempo aumentano l'attrattività per nuovi adottatori. o Apprendimento e adattamento: L'apprendimento sull'uso della tecnologia e la sua adattabilità a contesti differenti rendono l'innovazione sempre più interessante per un numero crescente di adottatori. 2. Fattori legati ai costi di adozione: o Costi di acquisizione e complementari: I costi non riguardano solo l'acquisto, ma anche gli investimenti necessari in attrezzature e formazione. In alcuni casi, è necessaria una riorganizzazione produttiva che comporta ulteriori costi e rallentamenti nel processo di diffusione. o Capacità di assorbimento dell'impresa: Le imprese devono essere in grado di gestire e assorbire i costi, inclusi quelli legati all'apprendimento. 3. Fattori legati al contesto e al settore: o Dimensione dell'impresa: Le imprese grandi possono assorbire meglio i costi di adozione e introdurre innovazioni prima delle piccole imprese. o Struttura di mercato: La concentrazione del mercato influisce sulla diffusione. Un mercato oligopolistico può accelerare l'adozione tramite competizione per stabilire standard. o Regolamentazione: Le aree con normative più lente o normative chiare sui nuovi standard tecnologici vedono tassi di adozione diversi. o Determinanti sociali e culturali: Differenze culturali e atteggiamenti verso il rischio e la novità influenzano l'adozione, così come la compatibilità con le norme sociali e culturali. 4. Fattori legati all’incertezza e alla disponibilità di informazioni: o Accesso alle informazioni: Una buona informazione, proveniente da fornitori, pubblicità o feedback da altri utenti, è cruciale per velocizzare la diffusione. o Incertezze sui costi e benefici: Le incertezze riguardo ai costi immediati, ai benefici potenziali e alla vita utile della tecnologia rallentano il processo di adozione. o Beni di rete: Tecnologie che diventano più preziose con l'aumento del numero di utenti (es. Internet, software) presentano vantaggi diretti (comunicazione tra utenti) e indiretti (miglioramento della compatibilità e dei beni complementari). La scelta di uno standard tecnologico di successo può spingere maggiori adozioni, aumentando il mercato potenziale e facilitando l’apprendimento tra gli utenti. MODELLI DI DIFFUSIONE Esistono due categorie fondamentali di modelli di diffusione tramite adozione: 1. I modelli “a soglia” -> studiano il comportamento individuale delle imprese, ricavandone le condizioni sotto cui queste ultime decidono di adottare -> si basano sulla dimensione dell’impresa e sulla integrazione strategica 2. I modelli aggregati, o “ a massa critica” -> studiano il processo di diffusione nel suo complesso (pur sempre immaginandolo come guidato dalla sola adozione), sulla base di alcune proprietà generali della popolazione degli adottatori e del tipo di innovazione studiata -> epidemici e di selezione 1.MODELLI A SOGLIA 1.1 Basati sulla dimensione d’impresa Le idee fondamentali dei modelli di adozione a soglia possono essere ricavate dallo studio di David (1966, 1969) sulla diffusione della mietitrice meccanica negli Stati Uniti. Il contributo di David mirava ad illustrare le determinanti economiche del processo di diffusione. Il modello di diffusione studiato da David (1966, 1969) per la mietitrice meccanica negli Stati Uniti rappresenta un'applicazione fondamentale di questi modelli a soglia. In questo contesto, David si concentrò sul comportamento degli agricoltori che dovevano decidere se adottare la mietitrice meccanica, basandosi esclusivamente su una valutazione economica, senza considerare fattori psicologici o sociologici. Ipotesi principali del modello: Assenza di qualunque problema informativo: Gli agricoltori conoscono perfettamente le caratteristiche della mietitrice e i suoi benefici economici (riduzione dei costi di lavoro) -> tutti i potenziali adottatori (cioè gli agricoltori) conoscono la mietitrice prima della sua adozione e sono in grado di valutarne correttamente la produttività (sanno che non è in grado di aumentare la p. del terreno ma consente di risparmiare sul lavoro). Decisione di adozione: Un agricoltore adotta la mietitrice se il prezzo dell'innovazione è < al risparmio sui costi del lavoro che essa consente. La decisione dipende da fattori come il prezzo dell'innovazione, i salari e il tasso di interesse, ma non tiene conto dei cambiamenti nel tempo di queste variabili -> ad un dato istante t successivo all'introduzione dell'innovazione, soltanto le fattorie con una dimensione superiore alla soglia dimensionale critica S* risulteranno in possesso della mietitrice, tutte le altre avranno deciso di non adottare. Soglia dimensionale critica (S)**: La dimensione dell’impresa è cruciale per l’adozione. Le fattorie con una dimensione superiore a una soglia critica (S) adotteranno la mietitrice, mentre le fattorie più piccole non lo faranno. S* è = al rapporto tra il prezzo dell’innovazione x il tasso di interesse/ il salario per la differenza tra la quantità di lavoro necessaria a mietere il terreno senza mietitrice e la quantità di lavoro necessaria per mietere il terreno con la mietitrice. Nell'istante t successivo all'introduzione dell'innovazione, la distribuzione dimensionale delle fattorie è approssimabile da una curva normale (a campana). Le imprese con dimensioni superiori alla soglia S* adotteranno la mietitrice, mentre quelle con dimensioni inferiori alla soglia non lo faranno. S*(t0) (al tempo t0): È la soglia critica iniziale. Al tempo t0, solo le imprese con una dimensione maggiore o uguale a S*(t0) hanno adottato l'innovazione. Imprese più piccole di S*(t0) non sono ancora in grado o non hanno scelto di adottare. S*(t1) (al tempo t1, con t1 > t0): È la soglia critica successiva. Al tempo t1, la soglia si è spostata verso sinistra, indicando che ora anche le imprese con dimensioni più piccole possono o scelgono di adottare l'innovazione. Questo spostamento riflette l'effetto di vari fattori, come la diminuzione dei costi della tecnologia, un miglioramento dell'accessibilità, o una maggiore pressione competitiva. Differenza chiave: Dimensione delle imprese: S*(t1) < S*(t0) -> significa che col tempo la soglia si abbassa e le imprese più piccole iniziano ad adottare l'innovazione. Diffusione temporale -> il numero totale di imprese che hanno adottato la tecnologia cresce nel tempo, come mostrato dalla curva cumulativa nella parte destra del grafico. Per innescare un processo di diffusione e superare l’inerzia iniziale, è quindi necessario che: La soglia critica diminuisca nel tempo (ad esempio, grazie a una riduzione dei costi dell'innovazione). La distribuzione dimensionale delle imprese si sposti gradualmente verso destra, con un aumento della dimensione media delle imprese. Queste condizioni permetteranno una diffusione sigmoide, dove le imprese più grandi adotteranno l'innovazione prima delle più piccole. Per illustrare il caso della mietitrice, David si concentra sul progressivo aumento del livello dei salari agricoli negli Stati Uniti, che crebbero per tutto il secolo, costringendo anche le imprese più piccole a sostituire il lavoro con il capitale. In questo modo David ipotizza che un incremento dei salari agricoli (ovvero una forza esogena, cioè una variabile influenzata dallo scorrere del tempo e non dall’adozione degli adottatori) ha spinto anche le imprese più piccole ad adottare la mietitrice, dato che esse non potevano più permettersi di mantenere costosi lavoratori manuali. Anche il tasso di interesse e la distribuzione dimensionale delle imprese sono variabili esogene: il tasso di interesse potrebbe diminuire per effetto di politiche macroeconomiche, mentre la dimensione delle imprese potrebbe aumentare in modo generalizzato grazie all' aumento progressivo della domanda per il bene prodotto (grano) con l'ausilio dell'innovazione studiata. Per quanto riguarda le forze endogene: - Prezzo dell'innovazione: Se l'innovazione è relativamente economica e non richiede altri macchinari complementari o riorganizzazioni radicali, il costo di adozione si concentra principalmente sul prezzo dell'innovazione stessa. - Apprendimento tramite esperienza (learning by doing): Ogni nuovo adottante contribuisce a ridurre i costi di produzione per i fornitori, grazie all'apprendimento che abbassa il prezzo dell'innovazione per i successivi adottanti -> (Acquistando l'innovazione, infatti, ogni adottatore incrementa le vendite del fornitore presso cui si è servito, consentendo a quest'ultimo di diminuire i propri costi medi di produzione, così da poter offrire l'innovazione a prezzi più bassi agli adottatori successivi. Le imprese più grandi adottano prima, stimolando l'apprendimento da parte dei fornitori e riducendo i costi per i successivi adottanti, favorendo la diffusione dell'innovazione). La velocità di diffusione dell'innovazione, ovvero la velocità con cui i fornitori dell'innovazione trasferiscono la riduzione dei propri costi sul prezzo dell'innovazione, dipende da due fattori principali: 1. Aspettative sul prezzo: Se gli adottatori potenziali credono che il prezzo dell'innovazione scenderà nel tempo, potrebbero decidere di rimandare l'adozione, rallentando la diffusione. 2. Potere di mercato dei fornitori: I fornitori con potere di mercato possono manipolare il prezzo e controllare la diffusione, decidendo se favorirla o ritardarla per massimizzare i propri profitti. Limiti del modello: - Aspettative e potere di mercato - Vincoli all’espansione Il principale limite di questi modelli è legato a complicazioni nel panorama dell’offerta e della domanda dovuti all’esistenza di aspettative e potere di mercato. L’ipotesi originale del modello di David richiede che i primi adottatori non possano aumentare significativamente la propria produzione e dunque non siano in grado: né di far diminuire significativamente il prezzo del bene cui l'innovazione si applica; né di sottrarre quote di mercato alle imprese ritardatarie. Inoltre, dopo l’adozione, la distribuzione dimensionale di tutte le imprese risulta inalterata. Questa ipotesi risulta credibile solo nel caso in cui le imprese siano soggette a severi vincoli all’espansione della capacità produttiva e/o solo nel caso di innovazioni di scarso rilievo. 1.2 Di integrazione strategica In questi modelli si ipotizza che i rendimenti dell’adozione siano decrescenti nel tempo (differenza principale con quelli precedenti). Le imprese che adottano per prime hanno vantaggi maggiori rispetto le ritardatarie. I potenziali adottatori devono decidere se adottare prima di tutti per evitare che il prezzo finale del prodotto dell’innovazione diminuisca o aspettare la caduta del prezzo dell’innovazione stessa. Fondamentale è il Modello di Reinganum che prende in considerazione due imprese identiche. L’innovazione consente la riduzione dei costi di produzione e la sua adozione precoce aumenta la produzione. L’adozione si presenta come un gioco alla Cournot -> nel momento stesso in cui l’innovazione compare, le imprese decidono la data di adozione senza alcune revisioni. Le due imprese avranno interesse ad adottare il più tardi possibile visto i costi decrescenti. La data non potendo coincidere darà luogo ad una adozione precoce ad un lungo ritardo quindi una delle due imprese avrà profitti inferiori rispetto alla rivale. CRITICHE A REINGANUM - Essendo le due imprese identiche il modello non è in grado di indicare quale delle due adotterà per prima - Considerano inaccettabile l’ipotesi secondo la quale le imprese, una volta fissata la data di adozione, non possano rivedere le proprie scelte - Essi dimostrano che le conclusioni di Reinganum non sono garantite perché l’adozione da parte del rivale non scoraggia, ma al contrario sollecita l’imitazione→ La possibilità di rapida imitazione può quindi consentire alle imprese di attendere a lungo prima di adottare Reinganum prova a difendere il suo modello suggerendo che l’innovazione considerata nei modelli di interazione strategica è di grande rilievo e necessita di lunghi tempi di implementazione ed elevati costi di pianificazione; questa affermazione appare però in forte contrasto con l’assunzione di costi decrescenti nel tempo. 2.MODELLI AGGREGATI/A MASSA CRITICA I modelli di diffusione "a massa critica" sono stati i primi ad essere utilizzati nelle scienze sociali e tuttora sono i più comuni, anche se in discipline diverse dall' economia politica. I primi studi sulla diffusione delle innovazioni, infatti, sono attribuibili non ad economisti, ma a sociologi e geografi, a cui vanno aggiunti antropologi e psicologi. Le innovazioni studiate da questi modelli erano principalmente innovazioni agricole, mediche o genericamente culturali. La diffusione veniva necessariamente considerata un processo di imitazione, a cui dare una spiegazione principalmente sociologica e psicologica. In contrasto con i modelli visti finora, le ipotesi di fondo sono: Tutti i soggetti osservati potrebbero trarre vantaggi dall'adozione dell'innovazione in ogni momento. Ostacolo principale -> la diffusione lenta -> attribuita alla carenza di informazioni: o Non tutti sono consapevoli dell'esistenza dell'innovazione. o Non tutti sono convinti della sua superiorità rispetto alle tecnologie esistenti. La percezione del rischio nell'abbandonare la vecchia tecnologia costituisce un freno. Ruolo dell’informazione - Affinché un'innovazione si diffonda, è necessario che si diffonda l'informazione ad essa relativa: una volta accertati i meriti dell’innovazione, ogni agente non mancherà di adottare. - Una volta superate le incertezze, l'adozione avviene automaticamente. - La trasmissione delle informazioni può seguire approcci diversi: Fonti esterne: Promotori ufficiali dell'innovazione (fornitori, agenzie). Fonti interne: Adottatori esistenti che condividono informazioni con potenziali nuovi utenti. 2.1 Modelli Epidemici Nei modelli più comuni si assume che l’informazione utile per la valutazione dell’innovazione arrivi principalmente da reti interpersonali in cui viene condiviso lo stesso linguaggio e le stesse necessità o timori (ovvero da agenti che hanno già fatto uso dell’innovazione stessa e ne conoscono i pregi e i difetti dal punto di vista privilegiato dell’utilizzatore) -> quindi da Fonti interne. Poiché il processo di disseminazione di questo genere di informazioni può essere assimilato a quello di trasmissione di una malattia contagiosa, i modelli di questo tipo sono spesso definiti “Modelli Epidemici”. L’epidemia ha luogo entro una popolazione di dimensioni date (N individui). La probabilità 𝑞𝑡 che un agente contragga il virus al tempo t, ovvero ottenga informazioni sufficienti per indurlo ad adottare, cresce con il numero di adottatori nella popolazione e dipende dall’intensità della comunicazione fra agenti, sia dall’entità del vantaggio attribuito dagli utilizzatori all’innovazione. Essa può, quindi, essere espressa come: 𝑛𝑡 𝑞𝑡 = 𝛽 𝑁 Dove: - 𝑛𝑡 = numero di adottatori - β = parametro che riassume due elementi cruciali: 1. L'intensità della comunicazione tra agenti. 2. L'entità del vantaggio attribuito a quella innovazione rispetto alle rivali. La variazione degli adottatori d𝑛𝑡 , nell’intervallo dt, è dato dal prodotto della probabilità 𝑞𝑡 per il numero di agenti ancora privi dell’innovazione, ovvero (N - 𝑛𝑡 ): 𝑛𝑡 𝑑𝑛𝑡 /dt = 𝛽 (N - 𝑛𝑡 ) 𝑁 La soluzione di questa equazione è la funzione logistica. Una peculiarità delle distribuzioni logistiche è quella di generare percorsi di diffusione simmetrici: il punto di flesso della curva a S è cioè collocato esattamente a metà della diffusione. È stato però osservato più volte che curve sigmoidi alternative, come quelle asimmetriche (con il punto di inflessione spostato verso l’origine), spesso spiegano meglio i dati reali, suggerendo di affiancare una riflessione sui fondamenti microeconomici degli studi di diffusione. L’esistenza di sentieri di diffusione asimmetrici può essere spiegata: - dalla presenza di fonti di informazione esterne - o dalla compresenza di gruppi eterogenei entro la popolazione osservata Costituiscono fonti di informazione esterne tutte quelle fonti non dipendenti dal numero di adottatori (fornitori dell’innovazione, media (TV, radio, giornali) e agenzie pubbliche di promozione dell’innovazione). Questi riversano sulle imprese una quantità di informazioni non strettamente dipendenti dall' esperienza acquisita dagli utilizzatori e raggiungono in modo uniforme tutti gli adottatori potenziali. Un processo di diffusione trainato dalle sole informazioni di questa natura può essere utilmente rappresentato dalla seguente equazione differenziale: 𝑑𝑛𝑡 β = N(N - 𝑛𝑡 ) -> denominata esponenziale modificata e risultante in una curva di diffusione asimmetrica. 𝑑𝑡 Questa espressione suggerisce che ad ogni istante t una proporzione fissa (β) dei non adottatori venga persuasa ad adottare, in dipendenza dell'intensità dell'informazione ricevuta e dell'attrattività dell'innovazione. Poiché questa proporzione è, come detto, fissa, essa non può in alcun modo dipendere dal livello di diffusione corrente e pertanto va fatta risalire a fonti di informazione esterne. Lekvall e Wahlbin (1972) mostrano che semplicemente sommando una esponenziale modificata e una logistica si ottiene un modello generale, cioè in grado di accogliere fonti di informazione sia esterne che interne. Il sentiero di diffusione così ottenuto ha un grado di asimmetricità variabile, tanto maggiore quanto più grande risulta essere il peso relativo delle informazioni di fonte esterna. Un altro modo per raffinare la descrizione dell'informazione e delle sue modalità di trasmissione rispetto ai più semplici modelli epidemici è quello di osservare che questi ultimi ipotizzano che ciascun adottatore comunichi la medesima quantità di informazione e che il beneficio derivante dall'adozione sia il medesimo per ogni membro del campione. È però possibile che il campione sia composto da due o più sottogruppi, non comunicanti fra loro, ciascuno caratterizzato da un valore particolare di β , ovvero da una diversa intensità di comunicazione interna. In questo caso è possibile riscrivere l'equazione differenziale per la diffusione come la somma di due (o più) logistiche, che risulterà in un sentiero di diffusione asimmetrico (Davies, 1979). Va ricordato che i modelli basati sulla massa critica si adattano anche a spiegazioni del percorso di diffusione non basate sulla sola diffusione dell'informazione. La loro peculiarità è semplicemente quella di non tentare di spiegare le scelte di adozione individuale sulla base dei postulati di razionalità economica, ma al contrario di fare delle ipotesi sui criteri alla base di queste scelte (fondandole possibilmente su un’analisi qualitativa dei comportamenti individuali) e da queste derivare le dinamiche aggregate del processo di diffusione. 2.2 Di Selezione Non appena si studiano innovazioni più sofisticate e rilevanti, si deve ammettere l’esistenza di: - Le modalità di adozione differiscono da impresa a impresa - Elementi di incertezza radicale, a cui le imprese fanno fronte con aspettative tecnologiche e routine derivanti dal proprio passato piuttosto che dalle poche informazioni liberamente disponibili sulla nuova tecnologia I modelli di diffusione di tipo evolutivo sono complessi. Una versione semplificata ipotizza che: - Tutte le imprese producono lo stesso bene omogeneo, ma ogni impresa possiede una diversa tecnologia di processo, tale da garantirle costi medi costanti. - Tuttavia, le imprese hanno la stessa propensione al reinvestimento dei profitti. Ciò significa che esistono 2 fonti distinte di eterogeneità tra le imprese: 1. Tecnologia, riferita ai costi di produzione 2. Comportamentale, riferita alla propensione all’investimento - Ogni impresa è caratterizzata da una diversa coppia (ogni impresa ha una combinazione unica di due variabili: tecnologia e propensione all’investimento) -> non tutte le imprese con tecnologie avanzate sono anche le più disposte a investire. - Le imprese operano sempre a piena capacità produttiva cosicché la crescita dell'output della singola impresa coinciderà con gli investimenti effettuati. Una caratteristica fondamentale del modello è quella relativa alle condizioni di domanda: - Se la domanda è statica, l’impresa con la tecnologia migliore tende a dominare il mercato. - Se invece la domanda cresce nel tempo, anche un’impresa con tecnologia inferiore (ma con elevata propensione all’investimento) può arrivare a dominare il mercato. Ogni impresa però cresce a tassi diversi in funzione dei diversi profitti realizzati. Ciò conduce ad una continua variazione delle quote di mercato detenute dalle singole imprese. In particolare, ad ogni tempo, possiamo distinguere 5 tipi di imprese, in funzione dell'andamento della loro quota di mercato: 1 Le imprese che difendono la propria quota ovvero, aumentano la propria capacità produttiva nella stessa misura dell'incremento di domanda; 2 Le imprese "marginali", che non possono aumentare la propria dimensione, avendo costi medi uguali al prezzo e dunque crescita zero; 3 Le imprese in espansione; 4 Le imprese in declino; 5 Le imprese con costi medi superiori al prezzo e dunque fuori mercato. Ci aspettiamo che le imprese in grado di accrescere la propria quota di mercato, siano quelle con elevato margini di profitto o elevata propensione all'investimento. Questo è il risultato dato per scontato dai modelli di diffusione mediante adozione. Nei modelli di selezione, un movimento univoco verso la frontiera (ovvero l’arrivo alla tecnologia più avanzata) risulta possibile solo in assenza di significativi cambiamenti della domanda, ovvero per innovazioni puramente di processo, riferito a prodotti il cui mercato non è in crescita. Esaminando le proprietà del modello, è possibile anche dimostrare che l'impresa in possesso della tecnologia arriva a dominare il mercato gradualmente, grazie alla quota di mercato che tende a seguire un percorso sigmoide. LA GEOGRAFIA DELLE INNOVAZIONI A partire dagli anni ’80, l’attenzione si è concentrata sulla distribuzione geografica dell’innovazione tecnologica, osservando che le attività innovative tendono a concentrarsi in specifiche aree geografiche. Questo fenomeno riprende l’idea di Alfred Marshall, secondo cui le economie di agglomerazione favoriscono la concentrazione geografica di imprese, riducendo i costi e stimolando innovazione. Le economie di agglomerazione derivano da 3 fonti: 1. Indivisibilità nella fornitura di alcuni beni e servizi -> condivisione di risorse comuni -> come manodopera specializzata e competenze tecniche. 2. Sfruttamento delle infrastrutture condivise -> aumentano la produttività delle imprese. 3. Collaborazione e sinergie locali -> riduzione dei costi di transizione all’interno dell’area -> migliorano l’efficienza e favoriscono lo scambio di conoscenze. In effetti, la dimensione spaziale è importante per l’innovazione, posto che: l’introduzione di nuovi prodotti e processi produttivi implica l’interazione tra una pluralità di attori (università, centri di ricerca, servizi avanzati ecc.), la quale risulta agevolata dalla prossimità territoriale; la circolazione, più o meno volontaria, delle informazioni e della conoscenza (spillover) producono esternalità positive di cui beneficiano anche gli attori che non hanno contribuito a produrre le conoscenze, ma che si trovano vicini alla sorgente. Da quanto sopra, si evince che alcuni territori forniscono specifici vantaggi localizzativi che facilitano i processi di innovazione e la competitività delle imprese. Le attività innovative tendono infatti ad essere radicate all’interno di reti interpersonali e interorganizzative che implicano una relazione di prossimità. La rilevanza dei luoghi, tuttavia, non deve oscurare il carattere multidimensionale dello stesso concetto di «prossimità». La creazione di una cultura industriale diffusa (per Marshall “industrial atmosphere”), la presenza di servizi specializzati, di infrastrutture avanzate di ricerca, di legami e collaborazioni fanno delle concentrazioni industriali le principali sedi di intensi processi innovativi e di una rapida diffusione delle innovazioni tecnologiche. Le economie esterne o di agglomerazione operano come “economie dinamiche” cioè non solo come strumenti per ridurre i costi di produzione ma soprattutto come fonti di creatività imprenditoriale e di innovazione -> per cui le concentrazioni geografiche facilitano la diffusione di idee e conoscenze scientifiche (knowledge spillovers). Due modelli principali spiegano come si formano le concentrazioni innovative: 1. Modello di Arthur (1990): Considera un’industria ad alta tecnologia in cui le imprese operanti debbano scegliere se collocarsi tra due regioni/località: Silicon Valley e Paris. Assunzioni preliminari: - Ogni impresa sceglierà di localizzarsi nella regione che presenta il maggior rendimento netto e si muoverà una ed una sola volta. - Le imprese effettueranno la propria scelta in modo sequenziale (in un istante di tempo, una ed una sola impresa effettuerà la propria scelta di localizzazione avendo in precedenza osservato la scelta delle altre imprese) e facendo riferimento al massimo rendimento presente. - Le imprese possano essere ripartite in due gruppi, che differiscono per tecniche utilizzate nella produzione o a caratteristiche del prodotto. - Supponiamo che i due gruppi di imprese abbiano preferenze “naturali” diverse per le due localizzazioni: il gruppo S preferisce la Silicon Valley e il gruppo P preferisce naturalmente Paris. La funzione che esprime il beneficio netto di ciascun impresa appartenente a qualsivoglia gruppo è data dalla seguente espressione: rji = qji + gnj -> i = P, S ; j = Silicon Valley, Paris ➔ le scelte di localizzazione delle imprese sono influenzate sia da fattori intrinseci (benefici geografici qji) sia da fattori esterni legati alla presenza di altre imprese nella stessa regione (benefici di agglomerazione gnj). All’aumentare delle n imprese localizzate in una regione, cresce il beneficio netto per un’impresa derivante dal localizzarsi nella medesima regione→ implica che una delle due località assumerà il monopolio dell’industria -> ovvero, le imprese si localizzeranno indipendentemente dal gruppo a cui appartengono. Quale tra esse venga selezionata dipende dalla sequenza storica delle scelte e non è prevedibile in anticipo. Se per qualche accidente storico la sequenza di scelta implicasse una lunga serie di imprese tutte dello stesso gruppo ad esempio S, ne deriverebbe un incremento rilevante nel rendimento gnj associato alla Silicon Valley maggiore rispetto a quello di localizzarsi in Paris, di conseguenza i benefici da agglomerazione di localizzarsi in Silicon Valley supererebbero ogni eventuale preferenza naturale per l’altra regione (se, per esempio, un gruppo S inizia a localizzarsi in massa in Silicon Valley, questa località diventa via via più attraente per tutte le imprese). 2. Modello di Swann (1996) Descrive il ciclo di vita delle concentrazioni (cluster) geografico-industriali. All’inizio del ciclo di vita di un’industria (tecnologia) le imprese si localizzeranno in modo casuale all’interno dello spazio geografico -> solo in seguito (a causa di fattori accidentali) alcuni cluster geografici riusciranno a emergere rispetto ad altre aree geografiche, raggiungendo una massa critica di imprese -> avvia un circolo virtuoso di crescita che rafforzerà la posizione del cluster in un processo cumulativo e di auto-rafforzamento. La concentrazione spaziale delle imprese genera benefici da agglomerazione che attraggono l’entrata di nuove imprese che preferiscono localizzarsi in quell’area e non in un’altra. In più, la forza del cluster viene rafforzata dalla base scientifica e dalla dotazione infrastrutturale (di trasporto, energia, comunicazione) del cluster. Questa tendenza non prosegue all’infinito per 2 motivi: 1. All’aumentare delle dimensioni di un cluster si manifesteranno gli “effetti di congestione” che causano un aumento dei costi di localizzazione rallentando l’entrata di nuove imprese all’interno di esso stesso e la crescita della tecnologia delle imprese già insediate. 2. A mano a mano che la tecnologia entra nella fase di maturità e declino i benefici dell’agglomerazione si riducono e sempre meno aziende entreranno nel cluster -> il declino di un cluster non è inevitabile -> dipende dalla sua capacità di attrarre nuove imprese entranti nelle industrie emergenti. Tale capacità dipende a sua volta dalla specializzazione settoriale ereditata in passato: regioni specializzate in industrie mature che non esercitano alcuna esternalità positiva nei confronti dei settori emergenti, hanno scarsa probabilità di uscire dalla fase di declino; invece, regioni specializzate in industrie mature che presentano una base tecnologica convergente con quella di industrie emergenti, presentano una più elevata possibilità di superare la fase di declino. Limiti dei modelli -> non spiegano il perché le imprese localizzate in concentrazioni industriali tendono a far registrare prestazioni innovative superiori e perché le conoscenze scientifiche e tecnologiche si diffondono in maggior modo all’interno di aree geografiche delimitate -> 2 approcci nello spiegare la diversa performance tecnologica tra diverse aree territoriali: ➔ Contributi che sottolineano il ruolo dei fattori strutturali, cioè la differente dotazione di imprese innovative di laboratori di R-S di grandi imprese e di altri input innovativi. Malecki sostiene che le attività di R-S delle imprese, tendono a concentrarsi nelle regioni centrali e nelle aree urbane e metropolitane di un paese. L’ubicazione dei centri di R-S varia sulla base della loro natura pubblica o privata: l’ubicazione dei primi risente di fattori ambientali (presenza di università, qualità di vita offerta dal territorio ai ricercatori…); l’ubicazione dei secondi dipende dall’organizzazione funzionale delle imprese→ in quanto la maggior parte delle attività tecnologiche viene svolta da grandi imprese multi-divisionali e multi-impianto. Se l‘attività di ricerca è di base e applicata -> dato che sono attività lunghe e strategiche, per essere efficienti richiedono un’organizzazione di tipo centralizzato. Sono condotte da poche imprese in un numero limitato di centri di ricerca localizzati in prossimità delle sedi centrali delle imprese. Questo permette di avere vantaggi in termini di conseguimento di economie di scala e di scopo e migliori flussi informativi interni. Dato che si basano sulla raccolta e valutazione di informazione esterna all’impresa, beneficiano nel localizzarsi in aree urbane e metropolitane. Se l’attività è di sviluppo -> richiedono una struttura decentrata per garantire un miglior coordinamento tra lo sviluppo di progetti innovativi, il marketing e la produzione e si basano sullo scambio di informazioni interne all’impresa e con altre imprese concorrenti (fornitori, clienti…). ➔ Filone di ricerca che sottolinea l’importanza dell’ambiente innovativo, ovvero l’insieme di fattori istituzionali, ambientali e strutturali specifici di una determinata area. Faremo riferimento a due differenti scuole di pensiero: Milieux Innovateur (Aydalot, 1984) Aydalot pone l'accento sulle condizioni esterne all'impresa che favoriscono l'innovazione, considerando l'ambiente come il vero motore dell'innovazione. L'impresa non è vista come un'entità isolata, ma come parte integrante di un sistema più ampio, che influenza le sue azioni e capacità innovative. Aydalot identifica tre traiettorie di sviluppo tecnologico, ognuna caratterizzata da un diverso tipo di "ambiente incubatore": 1. Innovazioni Incrementali Origine: Derivano dal tessuto industriale esistente. Caratteristiche: Fortemente legate alle esperienze pregresse, si sviluppano in continuità con le competenze già accumulate. Contesto: Regioni industriali mature, ricche di PMI che collaborano attivamente attraverso scambi di conoscenza, specializzate soprattutto nella meccanica strumentale. 2. Innovazioni di Prodotto (anche radicali) Origine: Provengono dai laboratori di ricerca e sviluppo delle grandi imprese, specialmente nei settori chimico ed elettronico. Caratteristiche: Innovazioni più radicali rispetto al primo tipo, ma ancora connesse alle competenze precedenti. Contesto: Ambienti urbani e metropolitani, caratterizzati da personale altamente qualificato e da un’abbondante disponibilità di informazioni. 3. Innovazioni Radicali e Nuovi Settori Industriali Origine: Generati dalla conoscenza sviluppata in università e laboratori pubblici di ricerca. Caratteristiche: Non hanno legami con tecniche produttive o esperienze passate; danno vita a nuovi settori industriali. Contesto: Richiedono ambienti con sinergie avanzate (infrastrutture di ricerca, trasporto e comunicazione efficienti, mobilità del personale, disponibilità di capitale di rischio). Aydalot sottolinea che ogni regione innova secondo le caratteristiche del proprio ambiente prevalente, grazie a un’interazione funzionale tra fattori come grandi imprese, istituzioni pubbliche e associazioni industriali. Distretti Tecnologici (Storper, 1992) Identifica nelle mutate caratteristiche del paradigma tecno-economico, le condizioni per lo sviluppo di un nuovo ordine industriale. Le mutate condizioni competitive caratterizzate da una domanda fluttuante e da una crescente competizione internazionale, impongono processi di disintegrazione verticale e di specializzazione flessibile nell’organizzazione del processo produttivo. Vi è una tendenza alla riagglomerazione della produzione in aree dominate da una diffusa rete di piccole e medie imprese, flessibili, specializzate e connesse da una fitta rete di interazioni. L’agglomerazione in distretti è la forma geografica più efficace per combinare le esigenze contrastanti di specializzazione e flessibilità: la prima implica per le imprese lo sviluppo di competenze specifiche per la produzione di un determinato prodotto secondo una logica di minimizzazione dei costi e con rischi di lock in; la flessibilità invece, impone una rapida reversibilità nel processo produttivo -> La soluzione sta in una divisione del lavoro che combini elementi di competizione ad elementi di collaborazione -> forma “dell’organizzazione a rete” (network). La prossimità geografica e culturale gioca un ruolo fondamentale per lo sviluppo di canali di comunicazione, codici di comportamento e convenzioni che organizzino i comportamenti e le relazioni reciproche fra agenti. Le attività economiche all’interno dei distretti sono secondo Granovetter “embedded”, cioè immerse nella struttura sociale cioè che le aspettative, razionalità e comportamenti degli attori economici sono definiti dalle specifiche norme che caratterizzano l’ambiente. Per cui le differenti capacità tecnologiche delle aree geografiche è da imputare nella specificità delle norme, regole e istituzioni che governano le attività produttive e innovative. PROSSIMITÀ GEOGRAFICA e il suo impatto sulla trasmissione e sull'innovazione della conoscenza scientifica e tecnologica: 1. Facilita la trasmissione e lo scambio della conoscenza scientifica e tecnologica fra i diversi attori che partecipano al processo innovativo: La conoscenza scientifica e tecnologica ha natura tacita, complessa e sistemica, difficile da trasferire con mezzi formali (manuali, libri, licenze, know-how). La trasmissione efficace avviene tramite meccanismi non convenzionali, come: o Interazione personale (face to face); o Addestramento sul lavoro; o Mobilità del personale. Quando la conoscenza è standardizzata e stabile, può essere trasferita su lunghe distanze con strumenti convenzionali. Tuttavia, con l'aumento della complessità tecnologica, ciò non è più possibile. 2. Riduce l’incertezza dell’innovazione: Garantendo: o Flusso tempestivo di informazioni su avanzamenti scientifici e tecnologici. Condivisione di norme e codici di comunicazione con altre imprese per lo scambio di conoscenze complesse e non codificate. 3. Riduce i costi di ricerca di informazioni e conoscenze rilevanti all’esterno dell’impresa 4. Facilita l’accesso ai servizi avanzati/complementari -> Imprese localizzate in aree territoriali con una elevata densità di competenze e servizi diversi hanno una maggiore probabilità di trovare in tempi più rapidi i servizi richiesti per un efficace e ordinato fluire del processo innovativo. Come misurare i benefici generati dalla prossimità geografica in termini di spillovers di conoscenza? Cioè le esternalità positive di conoscenza generate dalla ricerca condotta da qualche soggetto (impresa o università) sul processo innovativo di altri soggetti localizzati ad una certa distanza dalla fonte originaria della conoscenza? PROBLEMA Misurare le esternalità positive della conoscenza è complesso, poiché i flussi di conoscenza: - Sono indivisibili; - Non lasciano tracce evidenti di provenienza e destinazione. SOLUZIONI - Utilizzo dei dati relativi alle citazioni di brevetto, in quanto ogni documento brevettuale include il riferimento a uno o più brevetti anteriori, rispetto ai quali il brevetto in questione fornisce un contributo nuovo ed originale all’avanzamento dello stato delle conoscenze. Combinando queste informazioni con le altre informazioni contenute in ciascun documento brevettuale (anno di rilascio, nome, indirizzo geografico…) sarà possibile effettuare un analisi dettagliata della diffusione della conoscenza tecnologica nel tempo e nello spazio -> le esternalità di conoscenza tendono a essere geograficamente localizzate→ Utilizzando un campione di brevetti rilasciati da università e imprese statunitensi, le citazioni degli stessi provengono dalla stessa area geografica. - Approccio di econometria spaziale -> Effetti che le spese in R-S delle università hanno sulla produzione di innovazioni commercialmente rilevanti a livello di contee USA (data set di 4000 innovazioni) -> gli spillover localizzati, esercitano una influenza significativa sul tasso regionale di innovazione e che tali esternalità conoscitive sono particolarmente forti nei setto

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