Diritto Romano, Definizione PDF
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Questo documento presenta un'introduzione al Diritto Romano, distinguendo tra diritto pubblico e privato. Espone le concezioni normative e istituzionali del diritto, e descrive l'elaborazione del diritto romano, in particolare nell'età classica. Si analizzano poi i diversi periodi della storia del diritto romano e le fonti legislative, nonché il ruolo della giurisprudenza e del pretore. Infine, vengono trattati i concetti di ius publicum e ius privatum.
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Diritto privato romano Quando parliamo di diritto pubblico ci riferiamo alle Istituzioni pubbliche e al rapporto con i cittadini. Il termine “Istituzioni” deriva dal latino “Institutiones”, manuali dove la materia viene esposta in maniera ordinata, sistematica e sintetica. Il diritto privato invece...
Diritto privato romano Quando parliamo di diritto pubblico ci riferiamo alle Istituzioni pubbliche e al rapporto con i cittadini. Il termine “Istituzioni” deriva dal latino “Institutiones”, manuali dove la materia viene esposta in maniera ordinata, sistematica e sintetica. Il diritto privato invece riguarda le relazioni tra privati. Un giurista del III secolo definiva già la differenza: il pubblico si occupa dello Stato (siamo in età imperiale) e del funzionamento della collettività, il diritto privato riguarda gli interessi dei privati che devono essere presi in considerazione dal diritto. Elaborazione del diritto: -ricavare soluzioni dai casi concreti -elaborazione di concetti -costruire istituti -adozione di un vocabolario tecnico La visione romana, soprattutto dell’età classica, è inversa a quella odierna: si riconosce un diritto in quanto chi ritiene di non averne uno chiede al magistrato uno strumento processuale, unaactio. Quando parliamo di diritto romano facciamo riferimento a quel diritto che appartiene alla collettività politica dell’Antica Roma, si svolse dal 754 a.C. (origini di Roma) al 565 d.C. (morte di Giustiniano), proprio Giustiniano fu il creatore del CORPUS IURIS CIVILIS, con cui termina la storia del diritto privato. I sistemi giuridici attuali che derivano dalla tradizione romana sono chiamati “Civil Law”, quelli di tradizioni diverse “Common Law”. CAPITOLO I: DIRITTO E IUS 1. Diritto Vi sono due correnti di pensiero per quanto riguarda la definizione di diritto: 1. Concezione normativa: il diritto è norma, regola di condotta, complesso organico di norme. 2. Concezione istituzionale: il diritto si identifica con l’ordinamento giuridico, è l’organizzazione sociale, il modo di essere di una società. Non tutte le norme sono giuridiche, la norma infatti deve essere generale e astratta, ovvero indirizzata genericamente a tutti i componenti della collettività e che possa regolare qualsiasi situazione astratta. Inoltre, deve essere coattiva = suscettibile di essere imposta con la forza. 2. Diritto oggettivo e diritti soggettivi Facciamo riferimento a una duplice accezione del concetto di diritto: - Il diritto in senso oggettivo (norma agendi) che è il complesso delle norme che vanno a costituire un ordinamento, come ius civile o ius gentium. - Ius è anche un diritto di tipo soggettivo (facultas agendi), la pretesa di un soggetto tutelata dal diritto oggettivo, come il diritto alla libertà o all’istruzione. I due concetti sono correlati poiché il diritto soggettivo trova il suo fondamento nel diritto oggettivo. Al diritto soggettivo (posizione giuridica soggettiva attiva) di qualcuno fa riscontro il dovere giuridico di un altro (posizione giuridica soggettiva passiva). Nozioni importanti: - Obbligo: dovere di fare o non fare in relazione al diritto soggettivo altrui. - Soggezione: situazione in cui taluno deve sottostare alle condizioni di un altro - Facoltà: possibilità riconosciute e garantite dal diritto soggettivo al possesso. - Potestà: posizioni giuridiche attive per cui il titolare esercita un potere su altri soggetti. - Onere: sacrificio che il diritto oggettivo addossa a un soggetto affinché possa conseguire un risultato utile o evitare un pregiudizio. 3. Diritto romano e ius La stessa duplice accezione la troviamo nel diritto romano dove il termine è ius, che ha un’accezione di carattere oggettivo, ma anche di carattere soggettivo. Ad esempio, lo ius civile sono le norme che riguardano il civis romanus, lo ius gentium è il complesso di norme che riguarda le gentes, cioè tutte le comunità del mondo antico che sono quelle che si affacciano sul Mar Mediterraneo, il mondo di riferimento del tempo. Ius può essere usato anche per indicare il luogo del giudizio. Diverso è il discorso di ius in contesti differenti: ad esempio lo ius servitutis, una posizione soggettiva che viene assunta da quello che è il proprietario del terreno. Ma il significato di ius più largamente testimoniato è quello di situazione giuridica soggettiva, con il corrispondente obbligo. Dunque, stabilire un significato unitario non è possibile. L’unica definizione di ius che troviamo nelle fonti romane risale al giurista Celso, della prima età classica, II secolo d.C.: Ius est ars boni et aequi, il diritto è l'arte di ciò che è buono ed equo Questa definizione è dirompente rispetto ai nostri schemi, in cui si presuppone che vi sia un’autorità legittimata, una visione positivistica del diritto, che è la visione che si trova anche nel diritto romano ma tardo, quello giustinianeo. Nel I secolo d.C. il mondo giuridico aveva altre regole: vi erano autorità, ma nella definizione è chiaro che il diritto si crea sul caso concreto, perché ogni volta il giurista deve trovare la soluzione considerando tutti gli elementi del caso concreto. Al giurista si lascia molto spazio, che nasce dall’interpretazione1, la quale poteva essere un libero atto di creazione sulla base di conoscenze e regole date dalle mores maiorum. Giurisprudenza: iuris prudentes, facciamo riferimento a esperti del diritto e non ci riferiamo a dei giudici, coloro che esprimono una opinione personale richiesta anche dai privati. Va anche sottolineato che nel mondo antico questa attività è tipica solo del mondo romano, perché in Grecia non assistiamo ad attività simili. Quando parliamo di diritto romano il discorso è complesso: convenzionalmente, l’esperienza giuridica romana copre 1300 anni. Il periodo va dal 753 a.C. con la monarchia di Romolo, fino alla morte di Giustiniano nel 565 d.C. In questi 1300 anni le cose cambiano molto anche per i cambiamenti economici e le evoluzioni della società a cui il diritto si adatta. Si nota quando la società romana si trasforma da agricolo-pastorale, quando le famiglie erano autosufficienti, a commerciale, poiché ci si relaziona a persone che non fanno parte della tua stessa società. Il diritto dà delle risposte, si crea il praetor peregrinus, ovvero il pretore degli stranieri, una figura importante perché è chiamato a compiere un’attività giurisdizionale. La iurisdictio2 è la prima fase, l’impostazione della causa svolta da un magistrato. La pace dei cittadini è anche pace tra la comunità e la divinità: questo è il compito del magistrato, che garantisce l’ordine pubblico, imposta la causa ma non decide la sentenza. Il praetor peregrinus è un magistrato, in epoca repubblicana (III sec a.C.), che deve compiere attività di iurisdictio in senso romano tra i cittadini romani stranieri e tra gli stranieri: ecco la spinta data dallo sviluppo commerciale e i 1 Interpretatio 2 Non è sinonimo di giurisdizione che per noi significa l’atto giudiziario. 1 conseguenti nuovi rapporti. In precedenza, le famiglie erano tutte autosufficienti, poi i pater familias devono rivolgersi a famiglie esterne per procurarsi beni che non possiedono. Inoltre, vi è un cambio di governo: passiamo dall’età monarchica in cui vi è un rex, un sistema accentrato, all’età repubblicana. Rousseau: la democrazia partecipativa che prevede la partecipazione compatta può funzionare in piccole società. Lo stesso accade nella comunità romana nel primo periodo, in cui vi è una coesione di valori ed abitudini che vengono rilevate e comunicate esternamente dai giuristi che all’epoca sono sacerdoti saggi. Al cittadino privato che ha un problema di natura giuridica dicono qual è la regola secondo le consuetudini. Le 12 tavole, ci dice Cicerone, venivano insegnate a scuola e gli studenti le sapevano a memoria. 4. Diritto privato e diritto pubblico - Privato: il settore del diritto che regola i rapporti tra individui, tutela gli interessi privati. - Pubblico: regola l’organizzazione ed il funzionamento della collettività e tutela gli interessi pubblici. Nei testi di diritto romano si parla di ius publicum e ius privatum. Ius commune: istituto di applicazione generale Ius singolare: norma giuridica eccezionale, che non doveva essere applicata oltre quel caso giuridico. 5. Periodi della storia del diritto romano Il cambiamento di periodo implica il cambiamento delle fonti. ETÀ ARCAICA - dalle origini del 753 a.C. a metà del III secolo. Si divide in: 1. Fase monarchica che termina nel 509 a.C. con la cacciata di Tarquinio il Superbo, della dinastia etrusca. Tra le fonti di produzione del diritto: la consuetudine la troviamo verso il fondo. Il motivo è ideologico perché la consuetudine implica una partecipazione popolare. La consuetudine poi diventa prassi e poi diventa regola. Una soluzione proposta dal giurista piace al popolo e diventa così regola perché viene ripetuta. Il diritto di questo periodo è povero di strutture e formalistico, gli strumenti giudiziari (le actiones) sono poche ma adatte alla ruralità della società; infatti, la popolazione era formata prevalentemente da agricoltori e contadini, perciò il commercio l’artigianato non erano sviluppati, da ciò deriva una struttura rigida e patriarcale della famiglia. Un’altra caratteristica del diritto romano era la personalità, infatti riguardava solo i cittadini romani, poiché era diffusa una mentalità di diffidenza verso gli estranei. Povertà di strutture e formalismo si comprendono bene in una società dominata da concezioni magico-sacrali, molto rilevante, infatti, era l’elemento della sacralità, che impregnava la sfera dello ius. Consuetudine → prassi → regola 2. Fase repubblicana: in età repubblicana la consuetudine è affiancata dalla lex, che viene dall’approvazione dell'assemblea di popolo su sollecitazione di un progetto di legge che arriva da un magistrato che può essere un console o un pretore. La lex è fondata sui mores. La più famosa tra le leges publicae fu la Legge delle 12 tavole (451-450 a.C.). Si pensa che siano leges datae, cioè trasmesse direttamente al popolo senza che potesse esprimere l’opinione, invece furono emanate dai decemviri, cioè magistrati straordinari appositamente eletti. Furono scritte su tavole di bronzo che furono distrutte nell’incendio del 387 a.C. ma i Romani ne tramandarono i precetti di generazione in generazione. 2 Abbiamo poi le leges rogatae, approvate dall’assemblea di popolo sulla base della proposta di un magistrato. In caso di approvazione, la proposta diveniva lex. Nei rapporti tra privati, lex diventa un contratto tra privati. Queste leggi erano vincolanti per patrizi e plebei. Si dà più spazio al popolo attraverso l’approvazione di una legge, la lex aquilia de damno, lo stesso vale per i plebisciti. La legge non è approvata dai comizi a cui partecipava tutto il popolo, ma solo dai plebei. Nel 286 si approva la Lex Hortensia con la quale si dice che i plebisciti siano equiparati ai comizi: se prima vincolavano solamente i plebei, da quel momento anche un plebiscito vincola tutta la popolazione, compresi i patrizi. Gli interventi legislativi con la lex rogata sono tanti? No, perché l’ordinamento romano preferisce che il diritto privato si sviluppi in modo autonomo. Quando interviene la lex è perché si vuole una risposta immediata, è più frequente nel diritto pubblico. Abbiamo in questa fase repubblicana un diritto dove l’ordinamento è costituito dai mores maiorum che permangono, ma che richiedono l’interpretatio di una giurisprudenza che sta diventando laica, abbiamo infatti un’elaborazione scientifica del diritto (passaggio che possiamo datare nel III secolo da una giurisprudenza pontificale a laica, non sono più sacerdoti). I giuristi laici iniziano a scrivere opere, un’attività non remunerata che richiedeva uno studio approfondito. Inoltre, era formato da qualche lex ma non molte. Qui si pone il problema: la lex può modificare lo ius? Gli studiosi dicono di no perché il mos maiorum rappresentava un nucleo fondamentale e i romani erano molto tradizionalisti. L’età repubblicana dura fino all’età augustea, considerando anche la crisi della Repubblica e il periodo della riforma agraria. Dunque, abbiamo un’evoluzione che muove dai mores maiorum a cui si affiancano poi le leges, quelle rogatae di un magistrato che le propone. In questa fase il popolo può accettare o no, ma non può emanare. ETÀ PRECLASSICA - metà del III secolo fino alla crisi della repubblica Hanno inizio le guerre puniche (264 a.C.), Roma diventa una potenza egemone e la società romana si evolve. Vennero riconosciute e tutelate altre posizioni giuridiche soggettive. Il diritto romano perde uno dei caratteri delle origini: la povertà di strutture, diventa fruibile anche ai non-cittadini. Progredisce un’altra fonte che è l’editto del pretore: chi è il pretore? È il detentore dello iuris dictio, ovvero la funzione giurisdizionale, era l’organo giurisdizionale della civitas. A partire dal 367 a.C. (Leges Liciniae Sextiae), in pieno conflitto tra patrizi e plebei, i patrizi cedono ai plebei il consolato. Iniziano ad entrare nel consolato dei plebei, ma i patrizi pretendono una nuova magistratura, il praetor urbano, che si occupa proprio di iuris dictio con editti destinati a durare un anno. Si occupa di interrompere una controversia per canalizzare il conflitto in forme processuali più evolute. Questa pacificazione giova anche a un corretto rapporto tra la civitas e le divinità pagane. Poi viene istituito il prater peregrinus (242 a.C.) che aveva il compito di dicere ius tra romani e stranieri. Quando parliamo di magistrati coinvolti nella iurisdictio, e quindi ius honorarium, noi abbiamo queste figure coinvolte: i pretori (urbano e peregrino), i governatori provinciali, i quali controllavano le provincie in cui erano suddivisi i territori da Roma assoggettati. Il diritto onorario si contrapponeva allo ius civile, poiché le pretese non erano protette da azioni civili ma da azioni pretorie. Lo ius honorarium è quello risultante dall’attività creativa di queste figure. Il pretore contemplava i modelli dello ius civile, non potendo eliminarlo concedeva gli strumenti per paralizzarlo. L’intervento pretorio si manifestava in tre forme: - Agevolare l’applicazione del ius civile, laddove i mezzi apparissero insufficienti o poco idonei; - Colmare le lacune, tutelando nuovi rapporti e sanzionando nuovi illeciti; - Correggerlo; Perché possiamo dire che questi magistrati quando svolgevano compiti erano produttori di norme? Lo erano nella misura in cui nell’editto, che quindi era un programma della propria attività che auto vincolava il magistrato stesso, veniva 3 applicato per risolvere le controversie di un cittadino. Nel concreto, il cittadino romano lamentando un torto andava a vedere nell’editto del pretore che veniva esposto se ci fossero delle azioni che facessero al caso suo. A Roma si parla di azioni. In una fase avanzata dell’età repubblicana, alcune azioni erano basate sullo ius civile. Ius quiritium e ius civile, ius gentium, ius naturale Il ius civile, nella sua fase più remota, viene chiamato ius quiritium, ossia complesso di norme dei quirites (i primi romani), esso fu di formazione consuetudinaria, e vi erano riconosciute posizioni di potere su persone o cose. Dopodiché diventa ius civile che nasce da lì ma aggiunge qualcosa → lo ius civile riguarda i cittadini romani, il diritto progredisce quando cambiano le economie e ci sono delle spinte dal basso per il cambiamento, filtrate dall’interpretatio dei giuristi. Tutte le posizioni giuridiche riconosciute dallo ius civile erano tutelate in sede giudiziaria da azioni civili, tra cui le obbligazioni (obbligo del debitore di ripagare il debito -> oportere). Dunque, lo ius civile era sia il diritto riservato ai cives romani, sia ex iure Quiritium, oportere norme che riguardano proprietà e usufrutto. Se vediamo gli istituti dello ius quiritium, degli inizi, quali sono? - La potestas, ovvero il potere sulla moglie e figli - Dominium ex iure quiritium, dominio su cose e persone - Mancipium, un potere differenziato su cose e persone - Proprietà: quello che contava in quell’economia pastorale era la terra. Il problema con altri in questa fase è perlopiù difensivo. Se vediamo gli istituti dello ius civile troviamo: - La sponsio: è una promessa di fare un’azione, fuori dalla mia famiglia, ciò significa che le esigenze soggettive sono aumentate. Durante l’età preclassica avviene il riconoscimento di altri negozi giuridici: iudiciae bonae fidei, il giudice doveva decidere secondo buona fede i doveri del debitore, in questo caso i giuristi facevano le veci dei legislatori. Questi negozi giuridici appartengono sia al ius civile antico sia allo ius gentium, che tutelava anche i non cittadini. La più grande differenza tra ius civile e ius gentium è proprio il fatto che quest’ultimo era patrimonio di tutti i popoli, l’altro era riservato solo ai romani; lo ius naturale invece è il diritto conforme a natura e comune a tutti gli esseri umani, è un diritto ideale. Torniamo all’editto del pretore dopo questa premessa: gli viene riconosciuto lo ius dicendi e ciascun pretore ogni anno può inserire delle novità, delle azioni che noi chiamiamo pretorie, quando la società lo spinge in una qualche misura a intraprendere simili iniziative. → Azioni pretorie Se l’editto fosse scaduto alla fine dell’anno di carica del pretore, i pretori sarebbero andati a migliorare l’editto precedentemente accettato: si creò così un nucleo edittale che si trasmetteva da pretore in pretore: edictum tralaticium. Può essere a vantaggio anche del convenuto, ovvero colui che viene chiamato in giudizio. Facciamo un esempio: secondo l’antico diritto civile prevalgono le forme verbali, la voluntas conta poco. Dunque, se qualcuno ha espresso un impegno a parole, deve onorare la sua promessa. Se poi al di là vi sia la volontà, al diritto civile non interessa. Se si sono rispettate le forme della sponsio l’atteggiamento del diritto civile è positivo. Arriva il diritto pretorio. Se quella promessa è stata estorta con il dolo, il pretore dà un mezzo di difesa al convenuto. Qui abbiamo un centro di produzione del diritto formidabile perché ogni anno si può evolvere e modificare. Ogni 5 anni si faceva una sorta di “dichiarazione dei redditi” e alcuni servi diventavano cittadini, la manumissio. Successivamente i domini iniziano a liberare alcuni servi in modo informale: è una manumissio secondo il diritto civile? No. 4 In altri casi succedeva per epistulam, il dominus lo metteva per iscritto. Il dominus poteva fare una vindicatio se non aveva fatto una manumissio ufficiale e se vedeva che il servo iniziava a vivere da uomo libero dopo alcuni segnali di possibile volontà di liberarlo → vindicatio ex libertate in servitutem. Il servo, attraverso il suo “legale”, poteva far notare una manifestazione di volontà tramite delle prove. Questo dialogo si fa processuale davanti al pretore. Egli comincia a ragionare: anche se non sono state seguite le forme, vi è stata una volontà che ha creato delle illusioni nel servo. Dunque, il pretore fa la denegatio actionis: a questo rivendicante che rivuole il suo servo nega l’azione, adotta un provvedimento di carattere equitativo. Dal punto di vista della storia del diritto, questo istituto è importantissimo perché i Romani concepiscono la possibilità che una questione che dovrebbe essere risolta alla luce di regole possa essere decisa disapplicando queste regole, laddove l'aequitas lo richieda. Per il pensiero giuridico è un punto sconvolgente. Lo ius civile, i mores, le leges, se avessero presentato un’applicazione contraria all’aequitas, avrebbero potuto essere disattese. Aequitas: equità, giustizia del caso concreto. Nel 39 a.C. alla pretura, alle votazioni, si presenta un servo: Barbarius Philippus. Egli, in quanto servo, non ha i requisiti per essere magistrato ma nasconde la sua condizione. Si presenta alle elezioni e viene votato. Ulpiano nelle fonti si pone un problema: viene eletto senza requisiti e inizia a presentare programmi, compie la iurisdictio. Ma queste sue azioni sono valide? Sono legittime? Chi si è rivolto a lui di certo non sapeva della mancanza di requisiti. L’aequitas si mischia con l’humanitas, l’immedesimazione e la comprensione. Lo ius honorarium non è solo del pretore, è anche del governatore provinciale. Chi erano i governatori provinciali? Con le conquiste territoriali Roma si rende conto che l’allargamento del confine non è più sufficiente e quando conquista la Sicilia e la Corsica decide di istituire un governatore che può esercitare la iurisdictio nel suo territorio. L’editto degli edili comuni: magistratura che si occupa della gestione degli spettacoli, dell’annona. Nell’ambito dei controlli dei mercati cittadini avevano uno ius dicendi che riguardava le compravendite più diffuse, quelle degli schiavi e degli animali. Nell’ambito di questa iurisdictio potevano concedere un’azione: actio redhibitoria. Essa aveva uno scopo preciso, quello di proteggere il compratore che compra una merce viziata da un vizio occulto che non si vedeva in fase di acquisto. Ad esempio, per gli schiavi era un vitium animi che a volte non era denunciato dal venditore. La condanna del venditore è la restituzione. ETÀ CLASSICA - del principato Coincide con l’avvento del principato di Ottaviano Augusto, nel 27 a.C., e dunque la fine della Repubblica, benché vi fossero già sintomi precedentemente. Il regime costituzionale è ibrido: non più repubblicano ma non ancora monarchico. Sopravvivono gli organi repubblicani a cui si sovrappongono il princeps e i suoi funzionari, il dominio di Roma si ingrandisce. Iniziano a lavorare una serie di giuristi che poi ritroviamo nel Corpus di epoca giustinianea. La chiamano età classica perché si raggiunge il vertice della produzione giurisprudenziale con Ulpiano, livelli di raffinatezza mai raggiunti. Questo perché abbiamo testi nel Digesto giustinianeo che in certi casi possono non essere corrispondenti e grazie a questi frammenti possiamo capire come certe argomentazioni giuridiche riflettano una superiorità di livello che poi decade. Il diritto privato si sviluppa e ha nuove fonti: senatoconsulti e costituzioni imperiali (emanazioni del Senato e del principe). Si estingue l’attività legislativa del popolo, l’ultima lex comiziale è dell’età di Nerva (96-98 d.C.) ETÀ POSTCLASSICA - prima metà del III sec. d.C. Dopo il III secolo vi è una fase di volgarizzazione del diritto. Tuttavia, si parla di età classica ancora per tutto il principato di Diocleziano. Si parla di età postclassica in riferimento al periodo che inizia con Costantino e che vede la crisi 5 dell’Impero fino alla caduta di quello d’Occidente. Dopo Diocleziano si consolida un sistema di governo assoluto e dispotico, l’impero viene diviso in due parti: pars occidentis con capitale Roma e pars orientis con capitale Bisanzio. Tuttavia, fattori interni come la disgregazione territoriale portano al crollo dell’Impero romano d’Occidente nel 476. Questa età a livello di diritto è un’età di decadenza poiché l’unica fonte del diritto è l’imperatore, e notiamo un progressivo scadimento di livello tecnico e stilistico. Nonostante questo, lo studio del diritto sopravvive: carattere ufficiale ebbe il codice teodosiano, una compilazione di costituzioni imperiali da Costantino a Teodosio II, e nel VI secolo Giustiniano potè concepire il Corpus Iuris Civilis. CAPITOLO II: LE FONTI 1. Fonti di produzione Le fonti di produzione sono ogni atto o fatto da cui scaturisce il diritto (oggettivo), furono la giurisprudenza e gli editti del pretore, i mores, le leges, i plebisciti, i senatoconsulti e le costituzioni imperiali. Il senatoconsulto è una nuova fonte del diritto di età classica: era l’espressione della volontà del principe, l’oratio principis → in sostanza il principe faceva una proposta al Senato, e non accadeva mai che il Senato negasse. Il senato consulto non è una fonte del diritto che opera in via autonoma, ma opera in via indiretta. In che senso? Nel senso che la norma di origine senatoria è operante perché è recepita in una norma che è contenuta nell’editto del pretore. Per operare deve avere un’accoglienza nell’editto del pretore. L’attività legislativa del senato si estinse durante l’età classica. Mores maiorum e consuetudo Alle leges vengono equiparate le consuetudini intese come il risultato di un “tacito accordo tra cittadini”, l’osservanza generale e costante da tempo immemore di un comportamento da parte di una collettività, con la convinzione di obbedire a una norma giuridica. Erano un fenomeno simile a quello dei mores, anche se quest’ultimi erano più antichi e hanno avuto più rilievo; i mores, infatti, erano i costumi dei maiores, gli antenati dei Romani, e formavano il ius Quiritium, anche se non avevano più ragion d’essere, non vennero mai messe in discussione. La consuetudo riguardò soprattutto le popolazioni principali, ne veniva riconosciuta l’efficacia al di fuori della legge, ed era la manifestazione tacita della realtà popolare. Le leges privatae sono manifestazioni di volontà dei privati, le leges publicae sono leges datae o rogatae e nascono nell’età repubblicana. Sono collegate alla realtà popolare, infatti le leges datae venivano pronunciate dinanzi al popolo poiché quest’ultimo lo aveva delegato a legiferare. Le leges rogatae invece venivano soltanto proposte dal magistrato, che interrogava il popolo riunito in assemblea per decidere se approvarla o meno. I plebesciti che erano votati solo dalla plebe erano vincolanti solo per i plebei, fino al 286 a.C. in cui fu emanata la lex Hortensia che rese i plebisciti obbligatori per tutti, patrizi compresi: per questo motivo plebisciti e lex rogatae continuarono a essere emanati anche oltre l’eta repubblicana. Costituzioni imperiali Le costituziotiones principum erano i provvedimenti imperiali, faceva parte dello ius civile e riguardavano tutto il popolo. Norme generali: Editti: norme emesse dal principe che si rivolgono alla popolazione o a un gruppo di popolazione. Esempio: editto di Caracalla nel 212, rivolto alla generalità dei sudditi che da quel momento diventano tutti cittadini romani. La motivazione è fiscale per aumentare le imposte. Mandata: istruzioni date dall’imperatore ai funzionari, governatori provinciali. Avevano una validità interna e servivano a orientare i funzionari imperiali, quasi delle circolari amministrative. 6 Norme particolari: Decreta: sentenze che l’imperatore emanava su istanza di privati durante una lite, assume la figura di funzionario/giudice per la prima volta, prima era un cittadino che decideva l’esito. Nasce l'istituto dell’appello. Decretum quando si presenta un caso davanti al pretore che non può essere sussunto all’interno di un’azione di origine civilistica o pretoria, allora viene data una nuova azione. Sono le vere e proprie sentenze. Rescriptum principis: risposte date dall’imperatore rispetto a casi concreti, il dubbio in questo caso non era posto dal funzionario, bensì da un cittadino privato ed erano scritti in calce. Ma, beninteso, non è una sentenza. Epistulae: risposte date dall’imperatore a dubbi che gli venivano posti dai suoi funzionari, sono anch’esse leggi su sollecitazione di un individuo che è un funzionario imperiale in questo caso. Nell’emettere queste norme particolari l’imperatore si atteneva al diritto vigente; nonostante avessero durata limitata spesso venivano riapplicate in casi simili: questo insieme di norme venne chiamato ius novum o ius extraordinarium; dunque, anche la prassi giudiziaria della cognitio extra ordinem si unisce alle fonti del diritto romano. Sul finire dell’età classica, il ruolo del Senato si estinse e la fonte di produzione più importante rimasero gli edicta, mentre le altre decaddero. La giurisprudenza Oggi il giurista è colui che non emana le norme, ma le interpreta, e la sua interpretazione rappresenta l’opinione di un esperto. A Roma i primi giuristi furono i pontefici, essi accrebbero lo ius civile dandogli un’interpretazione creativa. Con la fine dell’età arcaica la giurisprudenza diventa laica, i giuristi laici davano gratuitamente pareri, mentre la fama dei giuristi qualificati andò crescendo: Augusto infatti ritenne che il loro responso dovesse avere una maggiore auctoritas, perciò, era vincolante per il giudice e continuava ad essere applicato in casi simili. Con la creazione dello ius honorarium venne meno il problema della povertà di strutture e di formalismo e perciò non si avvertì più l’esigenza di un’interpretazione creativa, ma si sviluppò un’interpretazione razionale delle norme, un’interpretazione analogica. In età post-classica venivano utilizzati i manuali classici di giurisprudenza in tribunale: ciò portò a una regolamentazione della fonti, infatti nel 426 venne introdotta la legge delle citazioni con cui si stabiliva che i giudici dovessero attanersi solo alle soluzioni di Ulpiano, Papiniano, Modestino, Gaio e Paolo. Giustiniano poi raccolse tutte queste fonti nel Digesta, che divenne una vera e propria fonte di produzione del diritto. 2. Fonti di cognizione Le fonti di cognizione sono i materiali che ci consentono di conoscere forme e contenuti. Una fonte fondamentale: le Institutiones di Gaio che si occupano di diritto privato, un’opera in quattro libri fondamentali che abbiamo conservato della metà del II secolo d.C., ben prima di Giustiniano. È stato un colpo di fortuna, scoperto nel 1800 in maniera quasi integrale. Il Digesto invece ci dà informazioni per il diritto in età giustinianea. - Per l’età classica: Gaio - Per l’età giustinianea: Digesto Augusto decide di dividere i giuristi, i più accettabili sono quelli che hanno lo ius respondendi ex auctoritate principis, e poi ci sono quelli che possono dare responso ma non hanno questo permesso di autorevolezza, e ciò poteva influenzare poi la scelta del giudice. I giuristi di serie A entrano a corte e diventano consiglieri del principe. Nel II secolo d.C, 130 d.C, periodo di Adriano: Salvo Giuliano, un giurista di corte, viene incaricato da Adriano di fare un testo definitivo elaborato a partire dall'editto del pretore → editto perpetuo. Si parla di codificazione dell’editto, affinché rimanga fisso. 7 Chi può cambiare l’editto? L’imperatore e il Senato controllato dall’imperatore. Questo anno indica la morte del diritto pretorio. 130 d.C. → fine diritto pretorio. 438 d.C.: si approva il Codice Teodosiano3, è il primo codice ufficiale, sia per l’Oriente sia per l’Occidente. Quando nell’esperienza giuridica umana si arriva al punto di dire che c’è bisogno di un codice, significa che il caos normativo non è più sopportabile, serve un testo in cui si possano trovare le norme. Risolve i problemi? No. Al di là dei 100 anni4 che il codice teodosiano copre di Costituzioni imperiali, poi esse andavano armonizzate con Costituzioni precedenti e con iura, materiale di origine giurisprudenziale. La fonte principale è il Corpus iuris civilis, formato da quattro parti: Istititutiones, Digesta, Codex, Novellae. Giustiniano ci dice che i processi non funzionavano più, bisognava mettere cosmos nel caos. Forte anche dell’aiuto di un personaggio notevole, un grandissimo giurista, Triboniano, forma il Codice. Nel 529, salito al trono da poco, si rende conto che il Codice di Teodosio è superato: ordina ad una commissione di fare un primo codice di costituzioni imperiali che però resta in vigore solo per qualche anno, poi superato dal secondo. Del primo non abbiamo più traccia. La raccolta delle leges importante è quella del secondo Codex del 534, diviso in 12 libri, a loro volta divisi in titoli, al cui interno troviamo le costituzioni raccolte. Poi mette mano agli iura attraverso sempre la Commissione che lavora per tre anni e poi pubblica il Digesto nel 533, formato da 50 libri, è un’antologia giuridica che contiene frammenti di opere della giurisprudenza classica riordinate sistematicamente secondo le indicazioni di Triboniano, ai Digesta fu data forza di legge. I brani dei giuristi classici furono spesso modificati anche per renderli compatibili al diritto di Giustiniano. Nella mentalità di Giustiniano è importante citare il passato, ma si appropria dei frammenti e questo ha un rilievo anche nel peso di una fonte. Noi quel frammento, nella sua logica, dobbiamo considerarlo come se fosse una lex, un provvedimento imperiale. Poi abbiamo le Institutiones di Giustiniano (533): per gli studenti del VI secolo che superano l’altro fondamentale manuale, quello di Gaio, pur basandosi su esso. È diviso in quattro libri, scritto in forma di discorso diretto che l’imperatore tiene ai giovani che si avviano agli studi giuridici, ha dunque funzione didattica. → Vi è un’importante differenza: le Institutiones di Giustiniano hanno anche valore di legge, quelle di Gaio no. Mancipatio: atto traslativo della proprietà riservato alle cose che Gaio nomina le più preziose per un'economia agricolo pastorale. I pensatori dell’ordinamento giuridico si rendono conto che nei movimenti patrimoniali ci sono cose più importanti. La troviamo ben trattata in Gaio e nelle fonti, poche, che non sono confluite nella compilazione giustinianea, ma non più nel Digesto, perché nel suo periodo (VI secolo) la distinzione tra le cose più importanti e meno importanti è saltata. Altro elemento della logica giustinianea in merito alla compilazione: le tre opere (seconda edizione del Codex, il Digesto, le Institutiones) per lui sono un sistema e devo cercare al loro interno la regola e se devo interpretare sono autorizzato a leggere alla luce di un frammento classico perché ora è una lex in quanto facente parte del Digesto. Sono un sistema coerente ed organico che facilita l’interpretazione. Abbiamo poi le Novellae: sono le Novellae Constitutiones, emanate dopo la pubblicazione del secondo Codex, quindi sono le novità normative che seguono il perfezionarsi della compilazione, raccolte dopo la morte dell’imperatore. CAPITOLO III: 3 Teodosio II, Teodosio I ha fatto l’editto di Tessalonica per la religione cristiana come religione di Stato 4 Da Costantino fino a Teodosio II. 8 IL PROCESSO 1. Processo privato e diritto sostanziale Con l’espressione processo privato si intende il complesso delle attività volte all’accertamento e alla realizzazione di diritti soggettivi, il cui impulso viene dato dal singolo, il soggetto privato, e successivamente interviene un organo pubblico, cioè quello giudiziario. Il diritto sostanziale rappresenta invece l’insieme delle norme primarie che regolano i rapporti tra gli uomini; in questo diritto si trovano i diritti soggettivi o le posizioni giuridiche soggettive attive. Il diritto sostanziale fissa quindi le condizioni in cui trova riconoscimento un diritto soggettivo. Dopo il riconoscimento e la tutela giudiziaria, il soggetto potrà far valere le proprie ragioni in giudizio, con un potere chiamato azione. Il diritto soggettivo è quindi un prius, l’azione che ne discende un posterius → a ogni diritto soggettivo corrisponde un’actio. Nel diritto romano le actiones erano tipiche: erano actiones solo quelle riconosciute espressamente e singolarmente; vi era dunque un elenco di azioni, ognuna con la propria struttura: una ragione era tutelabile solo se vi era un’apposita actio: oggi l’azione presuppone il diritto soggettivo, per il diritto romano era il diritto soggettivo che presupponeva l’azione. Abbiamo la conoscenza del processo fino al processo di Gaio grazie alle Institutiones, determinante per comprendere le fonti. Nel IV libro ci parla del processo con sensibilità storica. Nella storia romana abbiamo tre tipi di processo: 1. Processo per legis actiones 2. Processo formulare 3. Processo cognitio extra ordinem Seguiti poi dal processo postclassico e dal processo giustinianeo. 2. Il processo per legis actiones È l’unico processo privati fruibile dai cittadini romani durante l’età arcaica. Termina con Augusto con un paio di eccezioni. Abbiamo la fine di un modo di risolvere le controversie. Ne parla Gaio nelle sue Istitutiones. Il genitivo legis si riferisce ad actiones. Lex rinvia alle leggi rogatae o alle 12 tavole, in cui il processo veniva trattato all’inizio, la base normativa che permette di sviluppare in modo valido una vicenda processuale. Ci parla di modus procedendi, ovvero azioni che si sviluppavano attraverso la pronuncia di certa verba, in caso contrario non si arriva proprio al processo e alla sentenza, comune a tutte le legis actiones era l’oralità. C’era questo formalismo che connotava la prima fase del processo civile, anche la ritualità era rigorosa: occorreva pronunciare le parole previste, pena la nullità del processo. Era richiesta la partecipazione attiva da parte di ambedue i litiganti e di un magistrato, l’attore era autorizzato ad usare la forza per portare il convenuto in tribunale. Il processo può avere duplice obiettivo: carattere dichiarativo lo hanno le azioni volte all’accertamento di situazioni giuridiche incerte; vi sono poi azioni di carattere esecutivo, in questo caso parliamo di situazioni giuridiche certe. → manus iniectio. La litis aestimatio è la stima della lite. Solitamente si parla di legis actiones come un unico tipo di processo ma in realtà si distinguono cinque riti processuali diversi per origine, natura e struttura. Troviamo 3 legis actiones dichiarative = volte all’accertamento di situazioni giuridiche incerte o controverse: - Legis actio sacramenti - Legis actio per iudicis arbitrive postulationem - Legis actio per condictionem La loro caratteristica principale e comune era il fatto che il procedimento era diviso in due fasi: a. In iure → davanti al magistrato e serviva per fissare i termini giuridici della lite. In questa fase il pretore nominava un giudice, e le parti compivano un atto solenne in cui invocavano i testimoni perché attestassero il rito compiuto (litis contestatio) 9 b. Apud iudicem → davanti al giudice nominato dal pretore; solitamente era un privato cittadino che poteva rivestire il ruolo di arbitro nelle controversie in cui erano richieste particolari competenze tecniche o valutazioni per la decisione, mentre rivestiva il ruolo di giudice nelle altre. Nelle liti di eredità venivano chiamati organi collegiali pubblici. In questa fase, non essendo presente il magistrato, non veniva utilizzato né il formalismo né era necessaria la presenza di entrambe le parti. Vi sono poi due legis actiones esecutive = volte alla realizzazione di posizioni giuridiche certe. - Legis actio per manus iniectionem - Legis actio per pignoris capionem 2.1. Legis actio sacramenti La legis actio sacramenti poteva essere di due tipi: - In rem: è la più antica e rappresenta il tipico caso di rivendicazione, per il riconoscimento e la tutela di posizioni giuridiche soggettive per le quali si parlava di vindicationes: uno dichiara di possedere qualcosa ex iure quiritium e l’altro nega. Dunque, il caso principe è quello di perseguimento di cosa propria. Bisognava fare in modo che le due parti si presentassero davanti al giudice nel giorno fissato per l’udienza secondo il pretore. Per fare questo c’è bisogno di un atto, la chiamata in ius: ha una sua disciplina che si evolve e ci segnala una progressiva civilizzazione nei rapporti processuali. Secondo le 12 Tavole la ius vocatio prevedeva che venisse mandato qualcuno a chiamare in convenuto e in caso di reticenza era legittimato l’uso della forza. Il processo in contumacia non era previsto: occorreva che ci fossero entrambe le parti per i Romani. Successivamente, davanti al pretore, l’attore e il convenuto mettono la mano sulla rem che si contendono con la festuca, una bacchetta. Il giudice li esorta a togliere le mani e utilizzare il processo per risolvere. Creata questa pace sociale, è il momento della vindicatio e la contravindicatio: dico che la cosa è mia secondo lo ius quiritium e il convenuto a sua volta rivendicava l’appartenenza. Il pretore si trova quindi di fronte a due affermazioni contrastanti: chi afferma deve provare cosa afferma; a questo punto il pretore interveniva ingiungendo ai litiganti di deporre la cosa, questi obbeddivano e subito dopo si sfidavano al sacramentum, un giuramento rivolto prima alle divinità e poi una scommessa giurata di pagare una somma di denaro all’erario. C’è un duplice onere della prova che grava sia sull’attore che sul convenuto. Il processo in rem viene prima del processo in personam perché in una società con economia agricolo-pastorale l’esigenza più elementare è quella di difendere i propri beni. Il pretore sente l’attore e il convenuto e chiede che garanti offrono per la restituzione della cosa ed eventualmente i suoi frutti: valuta chi dei due offre i migliori praedes, solitamente famigliari o amici che si davano disponibili a rispondere in caso di inadempienza. Vi erano dei testimoni che venivano esortati a ricordare ciò che avevano sentito. A questo punto cessa la fase in iure con la litis contestatio, importante perché segna l’inizio della fase apud iudicem. Il giudice è un privato cittadino. Entrambi devono provare la loro proprietà. Il giudice allora, sentiti i retori in qualità di avvocati che devono valorizzare le prove a favore e demolire quelle a sfavore, dovrà dire non di chi è la proprietà ex iure quiritium ma quale dei due sacramenta (giuramenti) pronunciati in iure sia quello giusto e quale dei due sia ingiusto → qui entra in gioco la religiosità della procedura. Alla fine della fase in iure i due si sfidavano con sacramenta: se la mia rivelazione si mostrerà fondata, giuro che pagherò gli dèi tramite poi soldi. Condanna chi ha pronunciato il sacramento non fondato al pagamento di una somma di denaro all’Erario. Qui entrano in gioco i praedes, la possibilità dell’attore vincitore che non ottiene ancora soddisfazione di chiamarli per la restituzione del bene o usare la forza per riprendere il bene. Non si gioca sulla titolarità ma sul sacramentum. - In personam: in fase più evoluta. Dobbiamo pensare a un’obbligazione. Con quest’azione si agiva per la tutela di posizioni giuridiche soggettive relative, cioè si perseguivano crediti. Il creditore insoddisfatto agiva contro il debitore affermando in iure che egli era tenuto a pagare una somma e gli chiedeva di ammettere o negare. Debitore ammette → confessio in iure, il rito veniva interrotto; debitore nega → rito proseguiva e le parti si sfidavano al sacramentum e l’atto procedeva come nella legis actio sacramenti in rem. Se quindi il 10 soccombente veniva riconosciuto debitore di una somma di denaro, il creditore poteva esercitare la legis actio per manus iniectionem. 2.2. Legis actio per manus iniectionem Aveva carattere esecutivo come già detto. Poteva essere usata per realizzare posizioni giuridiche soggettive per le quali una legge vi avesse fatto rinvio. Poteva essere usata, secondo le 12 Tavole, per l’esecuzione di un giudicato. Si parla, infatti, di manus iniectio iudicati, aperta al creditore in favore del quale fosse stata emessa una sentenza per cui l'avversario fosse stato riconosciuto debitore di una somma di denaro. Si procedeva con quest’azione se il debitore, dopo 30 giorni dalla sentenza, non avesse ancora pagato. Con quest’azione si procedeva anche in difetto di iudicatum in situazioni riconosciute come certe. Per alcune di esse con manus iniectio pro iudicato, per altre con manus iniectio pura. La manus iniectio pro iudicato si dava in forza di una Lex Publilia, obbligazioni: c’è un soggetto che può essere un famigliare, un socio... che si affianca a un debitore principale e promette la prestazione che deve rendere il debitore principale. Se ad un certo punto il garante si offre di garantire, a fianco del debitore principale, nella logica romana significa che questo debitore principale deve fare di tutto per adempiere alla propria obbligazione, ha una fides forte nei confronti anche dello sponsor che quindi quando promette è quasi sicuro che poi il debitore principale adempierà. Lo sponsor (il garante) che avesse prestato garanzia e quindi pagato un debito al posto di un altro ma che non fosse stato rimborsato entro sei mesi dal debitore principale. La manus iniectio pura era invece stata stabilita dalla lex Furia testamentaria e con essa l’erede (colui che subentra nell’intero patrimonio) poteva agire direttamente contro il legatario (colui a cui spettavano alcuni beni) che avesse percepito dall’eredità più di mille assi. Il procedimento si svolgeva davanti al magistrato assieme a creditore e debitore. Il creditore si rivolgeva all’avversario con certa verba, enunciando la causa del credito che pretendeva spettargli, indicando l’importo ed afferrando il debitore. Quest’ultimo poteva indicare un vindex (garante) che, se fosse intervenuto, avrebbe potuto sottrarlo alla manus. Il vindex poteva negare il debito e contestare il diritto all’attore di procedere alla manus. Si istituiva quindi un’altra legis actio dichiarativa con cui il vindex veniva condannato al doppio dell’importo del debito, in caso di sconfitta. Se non si fosse presentato alcun vindex, il pretore pronunciava l’addictio del debitore in favore dell’altra parte, che avrebbe potuto quindi trascinare l’addictus con sé e tenerlo per 60 giorni. In questi giorni, il creditore avrebbe potuto condurre il debitore in 3 mercati consecutivi per 24 giorni e proclamare l’importo del debito perché qualcuno potesse riscattare il debitore. Se non fosse avvenuto, il debitore avrebbe potuto essere venduto come schiavo fuori Roma o ucciso. 2.3. Legis actio per pignoris capionem Ce ne parla Gaio. Sottostante vi è sempre un interesse pubblico. Azione esecutiva che non richiedeva la presenza né del magistrato, né dell’avversario, e poteva svolgersi anche nei dies nefasti4. Il creditore doveva pronunciare certa verba e prendere possesso di cose del debitore, per tenerle in pegno (pignus); al debitore era consentito di riscattare le cose. 2.4. Legis actio per iudicis arbitrive postulationem Legis actio che prevede la postulatio (in latino significa “domanda”) di un giudice o di un arbitro. Questo processo è utilizzato per i crediti ex stipulatione (la stipulatio è la sponsio fruibile da tutti quanti i cittadini e non cittadini) e implica una desacralizzazione del processo, non c’è più un sacramentum. 4 Dies nefasti: giorni in cui di norma non era consentito al magistrato l’esercizio della iuris dictio. 11 È un’azione dichiarativa, esperibile per crediti nascenti da stipulatio e per dividere l’eredità; grazie alla Lex Licinnia si poteva usare anche per dividere beni comuni. Le parti dovevano far riferimento alla fonte dei diritti vantati e chiedere al pretore la nomina di un giudice o di un arbitro, che si sarebbe pronunziato sulle ragioni fatte valere. L’arbiter è un soggetto che interviene in una situazione conflittuale ma interviene quando si tratta di dividere dei beni, è un soggetto quindi che non condanna solamente, ma assegna anche dei beni alla luce di un progetto divisorio. Il giudice, al contrario della legis actio sacramenti si pronunziava direttamente. 2.5. Legis actio per condictionem Azione dichiarativa, introdotta da una legge Silia del III secolo a.C. per crediti con oggetto una somma determinata di denaro (certa pecunia); fu poi estesa ai crediti aventi ad oggetto cose determinate (certa res). Per quanto riguarda il procedimento, si sa che l’attore, di fronte al pretore, utilizzando certa verba affermava il proprio credito; la necessità di adempiere da parte del presunto debitore era affermata dall’attore in termini di oportere. Se il convenuto avesse negato, l’attore lo sarebbe invitato a ripresentarsi davanti al pretore dopo 30 giorni per la nomina del giudice che si sarebbe poi pronunziato sulla lite. Agere in rem per sponsionem → con riguardo a vindicationes, in particolare rei vindicatio e azione ereditaria (azioni per cui era possibile procedere per legis actio sacramenti in rem). Si fece ricorso ad un espediente processuale per cui la posizione delle parti poteva risultare meno gravosa e il procedimento più snello. In iure aveva luogo una sponsio praeiudicialis, nella quale il convenuto prometteva all'attore una somma di denaro, di importo simbolico (minimo), per l'ipotesi in cui la cosa controversa risultasse appartenere all'attore. Con un'altra sponsio, sponsio pro praede litis et vindiciarum (funzione dei praedes), il convenuto prometteva all'attore che, una volta riconosciuto debitore in virtù della sponsio praeiudicialis, avrebbe restituito la cosa controversa con i frutti maturati nel periodo processuale. Per il resto la procedura seguiva il suo corso normale: l'attore proponeva l'azione in personam, nascente dalla sponsio praeiudicialis, nella quale il giudice condannava il convenuto al relativo importo, se accertava che la res controversa era dell'attore. Il giudice si pronunciava sul debito nascente della sponsio praeiudicialis, indirettamente sull'appartenenza della cosa. In caso di accertamento positivo, la somma dovuta non veniva neanche esatta: il convenuto avrebbe restituito cosa e frutti; se non l'avesse fatto l'attore avrebbe esercitato l'azione nascente dall'altra sponsio, in essa il convenuto, già soccombente nell'azione relativa alla prima sponsio, non avrebbe avuto difesa. Vantaggi: a. No presenza della cosa; b. No provvedimento del pretore di assegnazione del possesso provvisorio della res controversa, che rimaneva presso il convenuto; c. L'attore agiva senza rischio in caso di soccombenza o il suo rischio era limitato al sacramentum di minore importo; d. L’onere della prova gravava solo sull'attore che doveva dimostrare di essere proprietario; e. Contenuto della sentenza: il giudice era chiamato a decidere (indirettamente) soltanto sulla questione se la res appartenesse all'attore cosicché al convenuto bastava solo contestare ciò, non anche provare di essere lui proprietario. La sentenza quando non era di accoglimento era di semplice rigetto; il giudice esclude la titolarità dell'attore, ma non dice nulla rispetto a quella del convenuto. 3. Il processo formulare: genesi, caratteri, chiamata in giudizio Il processo formulare è più evoluto e ne parleremo maggiormente, fino al IV secolo nel 349. Dato che il processo per legis actiones era solo per i romani e per le situazioni riconosciute dall’antico ius civile, nel III secolo a.C., grazie all’intensificarsi delle relazioni tra Romani e stranieri, venne creato il processo formulare, per mano del pretore urbano. Dinanzi a questo pretore si poté litigare quindi in entrambi i modi, sia per legis actiones che per formulas. Ma presto 12 venne istituito un altro pretore, il praetor peregrinus, che aveva il compito di dicere ius tra cittadini e stranieri, o tra stranieri. Le legis actiones erano sempre più inadeguate rispetto alla nuova realtà ed al nuovo contesto culturale, poiché eccessivamente formali. Intorno al 130 a.C. una lex Aebutia abolì la legis actio per condictionem; più tardi una lex Iulia iudiciaria abolì le altre. Quindi il processo formulare andò sostituendo le legis actiones, e gli furono attribuiti effetti anche per il ius civile. Con la Lex Iulia iudiciaria esso divenne il processo privato ordinario, e fu applicato anche nel resto del territorio italico e in buona parte delle province. Il processo formulare aveva carattere unitario, cioè un solo procedimento che si poteva impiegare per l’esercizio delle varie azioni. Per ciascuna era prevista una diversa formula nell’editto: le azioni erano quindi tipiche, ma in numero molto alto. Il procedimento era comunque diviso sempre in due fasi: in iure e apud iudicem, ognuna delle quali aveva funzioni uguali a quelle dei rispettivi stadi del processo per legis actiones; l’unica differenza è che anche in iure le parti potevano esprimere le loro ragioni, non c’era quindi il formalismo che c’era prima. Inoltre, le formule erano qui redatte per iscritto e il magistrato aveva un ruolo più attivo. Ius vocatio e vadimonium Per assicurare la presenza in iure dell’avversario si provvedeva con in ius vocatio: questo era un atto privato compiuto dall’attore senza un organo pubblico con cui egli invitava l’altra parte davanti al magistrato. Con il passare del tempo però non ci fu più alcuna solennità orale, e soprattutto se il convenuto non avesse voluto presentarsi in giudizio, l’attore non avrebbe potuto far ricorso alla forza. Alla in ius vocatio si affiancò in età preclassica il vadimonium, che fece sparire sempre di più la prima. La struttura del vadimonium ci è sconosciuta in gran parte: si pensa che comportasse che il convenuto, mediante stipulatio, promettesse all’avversario di comparire dal magistrato nel giorno concordato; così il convenuto si sottraeva all’obbligo di seguire immediatamente l’attore in iure. 3.1. La fase in iure del processo formulare In questa fase venivano fissati i termini della lite, ed era necessaria la presenza di entrambe le parti. Il magistrato che presiedeva la fase aveva iuris dictio, ed il suo potere si esplicava nella datio actionis, cioè la formula con cui il magistrato, approvato il testo della formula concordata tra le parti, concedeva l’azione richiesta. In questo modo egli dava via libera per l’ulteriore procedimento, per far sì che la lite venisse decisa con sentenza. Ricordiamo che in questa fase, parlando di magistrati, ci riferiamo ai due pretori urbano e peregrino, l’edile curule e i governatori provinciali, i quali esercitavano giurisdizione sulla base di un editto. In particolare, ci riferiamo in generale al pretore. In questa fase quindi l’attore indicava all’avversario la formula dell’azione che intendeva promuovere facendo riferimento all’albo pretorio che riproduceva l’editto, in cui erano contemplati i modelli delle diverse formule (iudicia). All’editto seguiva la postulatio actionis, rivolta al pretore da parte dell’attore, che chiedeva che si procedesse con l’azione indicata, quindi illustrava le sue pretese. Se il convenuto non le avesse ammesse, si sarebbe svolto un dibattito informale nel corso del quale le parti sostenevano i propri punti di vista. 3.1.2. Denegatio actionis Il pretore poteva denegare l’azione, cosicché il giudizio non avrebbe avuto seguito; in questo caso la pretesa dell’attore sarebbe rimasta impregiudicata perché la denegatio non era una sentenza, e quindi non produceva effetti. La pretesa, quindi, non poteva essere perseguita perché il pretore non aveva “dato” l’azione. 3.1.3. Formula e datio actionis Con questa, il pretore dava il via all’ulteriore procedimento. Essa presupponeva che le parti avessero concordato il testo della formula da adottare nella specie concreta, con l’approvazione del pretore. La formula era un documento scritto in cui sono sintetizzati i termini della controversia. 13 3.1.4 La litis contestatio Dopo aver confermato il testo della formula, il pretore compiva la datio actionis, cioè dava la formula ed autorizzava il procedimento sulla base della formula. L’attore recitava “iudicium dictabat”, mentre il convenuto l’accettava: “iudicium accipiebat”. Questo costituisce essenzialmente la litis contestatio, presupposto fondamentale perché si potesse avere una decisione giudiziale sulla questione controversa. Era anche l’atto costitutivo del giudizio senza il quale non si poteva arrivare a una sentenza, perché con essa si fissavano i termini della lite, come espressi dalla formula, che non poteva più essere mutata. L’azione non poteva essere ripetuta. Gli effetti della litis contestatio Domanda da esame: quali sono gli effetti della litis contestatio? La litis contestatio è il momento di spartiacque. → Effetto esclusorio o preclusivo: per economia processuale a partire da quel momento (non quello della sentenza) non si potrà riproporre la stessa questione per un certo tempo. → Effetto conservativo: la pretesa dell’autore valeva indipendentemente da ciò che fosse successo dopo la litis contestatio. Il rapporto controverso portato nella fase in iure e rimbalzato nella formula diventa insensibile alle sue evoluzioni successive alla litis contestatio arrivando a dei paradossi che verranno corretti nel tempo. Se il debitore di una somma di denaro che ha concluso una formula con un creditore attore paga dopo la litis, questo pagamento non lo libera perché il giudice deve guardare il rapporto controverso così come si è cristallizzato durante la prima fase. 3.1.5. Defensio e indefensio – accenni La litis contestatio presupponeva la presenza di entrambe le parti, quindi, senza la collaborazione del convenuto, cioè senza la sua defensio, non ci sarebbe potuto essere un giudizio, e l’attore non avrebbe potuto ottenere alcuna sentenza. Ciò però non vuol dire che il convenuto avrebbe potuto rifiutare di difendersi: contro il convenuto che assumesse in iure un atteggiamento di non collaborazione all’istituzione della lite (indefensio), il pretore minacciava sanzioni che erano più gravi nel caso di azioni in personam e meno gravi in caso di azioni reali. Nel trattare il processo formulare dobbiamo considerare delle categorie che guardano alle caratteristiche e alle finalità delle azioni. 1. Azioni reali: pretesa nei confronti di tutti. 2. Azioni personali: pretesa nei confronti di un debitore individuato. Hanno un regime diverso. 3.2. La fase apud iudicem del processo formulare Con la litis contestatio si chiudeva la fase in iure. Aveva luogo davanti al giudice, un privato cittadino che avrebbe risolto la controversia. Il giudice era scelto dalle parti, d’accordo col magistrato, ed il suo nome figurava all’inizio della formula (esempio: Titius iudex esto = Tizio sia giudice). Il giudice poteva essere singolo, come ci potevano essere degli organi giudicanti collegiali. Per la scelta dei giudici erano predisposte speciali liste compilate sulla base di criteri politici. Anche nel processo formulare valeva il principio stabilito dalla legge delle XII Tavole per cui, assente una parte oltre mezzogiorno del giorno fissato per l’udienza, il giudice avrebbe dovuto decidere in favore della parte presente. Se fossero stati invece presenti entrambe le parti, il procedimento si sarebbe svolto senza alcuna formalità: ogni parte esponeva le proprie ragioni e adduceva le prove che riteneva utili; l’attore aveva l’onere di provare la propria pretesa, mentre il convenuto quello relativo alle eccezioni. Non c’erano regole sui mezzi di prova da presentare. Il giudice era rigorosamente vincolato ai termini della formula, poiché a ogni azione corrisponde una formula. Essi andavano interpretati e taluni diedero luogo, sotto questo profilo, a complessi problemi. 14 La fase apud iudicem si concludeva con la sentenza di condanna o assoluzione del convenuto, non dell’attore. Essa era definitiva e non poteva essere appellata, poiché non esisteva un organo superiore; inoltre, veniva espressa in denaro e dava luogo alla obligatio iudicati. 3.3. Le parti della formula Parti necessarie: - Iudicis nominatio: nel documento era innanzitutto indicato il nome del giudice. - Intentio: la pretesa dell’attore, ad esempio quando afferma di essere dominus ex iure quiritium. Non figurava una persona verso cui si rivolgeva questa affermazione, il petitum. Questa pretesa è rivolta erga omnes quando in rem, e rivolta ad personam in caso di in personam e consente di stabilire il tipo dell’azione. a. Certa: la pretesa attrice era determinata. In questi casi, l’attore avrebbe potuto incorrere in pluris petitio, cioè la “domanda di qualcosa in più”, ed avrebbe perso la lite. Ad esempio, se l’attore in una lite avesse chiesto più del dovuto, sarebbe caduto in pluris petitio, e questo per lui sarebbe stato dannoso perché appunto avrebbe perso la lite ma, soprattutto, per il suo effetto preclusivo, non avrebbe più potuto ripeterla. b. Incerta: la pretesa dell’attore non era in quel momento quantificata e quantificabile. Normalmente ad un’intentio incerta si accompagnava un’altra parte della formula, solo eventuale, la demonstratio → esempio con formula di compravendita. Il litigio in questo caso riguarda il compratore che non ha pagato il prezzo o il venditore non ha trasmesso la merce. il debito del compratore in tanti casi non è certo nella fase in iure quando si scrive la formula ma richiede una determinazione nella fase apud iudicem tant’è che in una formula di questo tipo si usa “qualunque cosa risulti che il creditore debba al venditore” con quidquid quindi inserisce un’incertezza. Parti eventuali: - Demonstratio: se l’intentio esprimeva la pretesa vantata dall’attore, la demonstratio ne indicava la causa, la fonte → la causa petendi. Non tutte le formule avevano una demonstratio, si davano anche formule astratte dove la causa non era espressa. Figurava comunque in molte formule, ad esempio in quelle dei giudizi di buona fede, dove era collocata prima dell’intentio e iniziava con la parola quod. N.B. Se la formula era con demonstratio, l’intentio era sempre incerta. - Condemnatio: la parte della formula a cui si invita il giudice di o condannare o di assolvere il convenuto. Questa parte si trova nella generalità delle formule, ed è bene sapere che era diversa dalla sentenza di condanna, anche se anch’essa si chiamava condemnatio. Le due erano comunque collegate per il fatto che la sentenza sarebbe stata possibile solo se al giudice fossero stati conferiti i relativi poteri dalla condemnatio della formula. Quest’ultima, doveva precisare l’oggetto della sentenza di condanna. I termini della condemnatio della formula erano tali che la sentenza di condanna si sarebbe potuta esprimere solo in denaro. Quando si voleva che la condanna pecuniaria non superasse certi limiti, la condemnatio veniva integrata con una taxatio. Un esempio di formula con taxatio era quella dell’actio de peculio; - Adiudicatio: si trovava solo nelle formule delle azioni divisorie (actio finium regundorum) ed autorizzava il giudice ad aggiudicare ai partecipanti alla comunione o ai confinanti parti definite dell’oggetto totale della divisione, o parti di terreno a confine. Parti eventuali che possono giovare al convenuto: - Exceptio formulare: inserita dopo l’intentio e prima della condemnatio. Nella mentalità negoziale antica romana le forme prevalevano sulla volontà quindi quando nella conclusione di una stipulatio, contratto verbale dove c’è un soggetto che usa un termine simile a sponsio, prometto di dare 100, una promessa di questo tipo mi vincolava a prescindere da una convinta adesione della mia volontà. Quindi anticamente i Romani non andavano a vedere 15 se dietro quella pronuncia ci fosse stato un raggiro o meno, può capitare di promettere per inganno. Cosa succede a partire dal processo formulare dove entrano in gioco anche valori come l’aequitas di cui è custode il pretore che ogni anno propone non solo le azioni ma anche le eccezioni? Il convenuto può dire che è vero, ha promesso, però ha promesso essendo vittima di un raggiro, quindi può chiedere al giudice un’exceptio doli. Non tolgo la prova ma aggiungo un altro elemento che dovrà essere considerato dal giudice. Se metto nella formula un exceptio poi devo aggiungere qualcosa di nuovo. Era una condizione negativa della condanna, che implicava che il giudice avrebbe potuto e dovuto condannare il convenuto solo se le circostanze dedotte dall’exceptio non fossero risultate vere. Poteva essere inserita su richiesta del convenuto, quindi non era obbligatoria. Essa era però necessaria quando, senza di essa, il giudice non avrebbe potuto tener conto di fatti che si voleva che venissero presi in considerazione. Esempio: azione nascente da stipulatio, con cui il promittente si impegna a pagare cento ma a cui lo stesso promittente oppone l’exceptio doli. La formula sarebbe quindi stata “Tizio sarà giudice. Se risulta che Numerio Negidio è obbligato a dare 100 ad Aulo Agerio, e se al riguardo non v’è stato dolo di Aulo Agerio, giudice condannerai Numerio Negidio a dar 100 ad Aulo. Se non risulta, assolverai.”. Il giudice, quindi, avrebbe condannato il convenuto solo se avesse verificato 2 condizioni: a. Condizione negativa: riguarda la circostanza dedotta dall’exceptio, doveva verificare che Aulo non avesse tratto in inganno né fosse in dolo nei confronti di Numerio. In tal caso, avrebbe potuto assolvere Numerio. b. Condizione positiva: riguarda l’intentio doveva verificare se Numerio fosse effettivamente tenuto a dare 100. Ovviamente, non ogni difesa del convenuto era exceptio: il convenuto che di fronte alla pretesa dell’attore avesse detto “non è vero” non opponeva exceptio, ma semplicemente negava l’intentio. Possiamo ora chiarire il senso dell’espressione ipso iure contrapposta all’espressione ope exceptionis: - L’effetto ipso iure era un effetto automatico che escludeva l’intentio di cui il giudice doveva tener conto anche se non fosse stata presentata un exceptio. - L’effetto ope exceptionis avviene invece quando, per far valere l’effetto, si doveva opporre una exceptio. Finora abbiamo parlato di exceptio come parte della formula, condizione negativa della condanna, e questo riguarda l’aspetto formale. Sotto l’aspetto sostanziale però l’exceptio era un rimedio pretorio, perché appunto escogitato dal pretore, ed era volto a correggere il ius civile quando la sua applicazione al caso concreto appariva iniqua. Capitava che l’attore opponesse circostanze che avrebbero fatto apparire iniquo dare corso all’exceptio, allora nella formula si inseriva una replicatio. Parti eventuali che possono giovare all’attore: - Praescriptio pro actore: parte della formula prima della iudicis nominatio. quando l’attore ha dei crediti frazionati e quindi il debitore deve 100 tra un mese, 100 tra sei mesi, altri 100 tra 12. L’attore deve stare attento a inserire questa parte nella formula laddove non può pretendere tutto subito e quindi deve inserire questa formula chiedendo solo quello che è previsto per quel momento. Se chiede anche le somme successive perdo la causa perché chiedo più di quanto mi spetta in quel momento. La praescriptio operava nelle azioni per cui si procedeva con formula con intentio incerta, e serviva per far sì che l’oggetto dell’azione venisse limitato a quanto l’attore volesse o potesse intanto perseguire. La praescriptio serviva quindi come rimedio per l’attore. Un esempio potrebbe aversi in una formula con intentio incerta, in cui il creditore deduce in giudizio “tutto ciò che gli era dovuto con dipendenza di quanto specificato nella demonstratio”. Per l’effetto preclusivo della litis, l’attore (creditore) non avrebbe più potuto riprendere l’azione per lo stesso credito, la prestazione dovuta poteva essere frazionabile, ma perseguibile con un’unica soluzione. Quindi, se alla prima scadenza il creditore avesse proposto l’azione puramente e semplicemente avrebbe ottenuto la condanna del debitore a pagare la rata scaduta, ma non avrebbe potuto poi ricevere le altre; quindi, con la praescriptio si può limitare l’oggetto dell’azione. - Arbitrato restituendo 16 Le classicazioni delle azioni 1. AZIONI CIVILI (A) E AZIONI PRETORIE (B) Le actiones erano tipiche e tuttavia, per comuni peculiarità, classificabili in categorie. - Azioni civili: azioni fondate sul ius civile, come le pretese che si risolvevano in affermazioni: a. Di appartenenza ex iure Quiritium b. Di spettanza di ius c. Di obbligazioni a carico del convenuto espresso con verbo oportere - Azioni pretorie/ onorarie: fondate sul ius onorario, ogni altra pretesa al di fuori di quelle citate. L’appartenenza all’una o all’altra categoria si stabiliva agevolmente dall’intentio della formula, a seconda che in essa la pretesa attrice apparisse o non fondata sul ius civile. Il pretore riproduceva nell’editto i modelli delle formule-tipo, sia delle azioni civili sia di quelle pretorie: le prime erano fondate nei ius civile e bastava che l’editto le contemplasse; le azioni pretorie avevano fondamento in apposite clausole contenute nello stesso editto dove il pretore indicava le circostanze in presenza delle quali egli avrebbe concesso l’azione. Questo vuol dire che ogni azione pretoria presupponeva una promessa edittale talché nell’editto la relativa formula compariva dopo di questa. A) Iudicia bona fidei e iudicia stricta Iudicia bona fidei → tra le azioni civili; il dovere giuridico di adempiere da parte del debitore fu in essi espresso in termini di oportere ex fide bona e si diede tutela anche ai non cittadini. Si trattava di azioni civili in personam che avevano formula con demonstratio, intentio (incerta, esprimeva l’obbligazione del convenuto) e condemnatio. Il giudice era invitato a stabilire secondo i criteri di buona fede gli obblighi a carico del convenuto. Buona fede = correttezza nella vita di relazione. Pacta sunt servanda. Iudicia stricta → azioni civili in personam nelle quali il dovere giuridico di adempiere da parte del debitore era espresso nell’intentio con un oportere semplice. Eventuali patti aggiunti rispetto al contratto della stipulatio si possono considerare però è onere di chi vi ha interesse di inserire un’apposita clausola nella formula → se un creditore, dopo una stipulatio in cui è stato promesso di dare 100 che ha determinato il nascere di un’obbligazione, rinuncia a chiedere 100 al suo debitore, il debitore ha la possibilità di far valere questo patto alla condizione processuale che inserisca un exceptio. I patti possono essere apprezzati ma con un onere che grava sul convenuto di evidenziarli nella formula scritta. Ancora azioni di buona fede Azioni di buona fede erano quelli nascenti dai quattro contratti consensuali (compravendita, locazione, società, mandato) e molte altre ancora. Qui preme rilevare che la giurisprudenza si preoccupò di indicare ai giudici quali fossero i riflessi di un’interpretazione con i criteri di buona fede dell’oportere formulare, ne risultarono principi per molti aspetti rivoluzionari a quelli dello ius civile antiquum, più tardi anche estesi al di fuori dell’ambito dei iudicia bona fidei. Il venditore può chiedere anche le usure per il ritardo del pagamento → la mora del debitore che poi diventa un istituto fondamentale anche oggi. Qui il giudice dovendo quantificare la condanna considera anche la sofferenza del creditore insoddisfatto per il ritardo, dunque, si calcolano anche gli interessi di mora che poi sono stati disciplinati. La condanna prevederà prezzo + qualcosa in più che rappresenta il ritardo. Distinzione importante che si apprezza nei poteri del giudice che è figura distinta dal magistrato giurisdizionale. Errore di sbarramento negli esami: il pretore giudica: NO, il pretore può emettere provvedimenti ed ordinare al giudice partecipando alla formulazione della formula ma non giudica. 17 B) Azioni utili e in factum Si trattava di rimedi volti a colmare lacune del ius civile. Se la funzione era uguale, diversa era la struttura delle rispettive formule. Nell’intentio delle azioni utili e di quelle delle azioni con trasposizione di soggetti non mancava il riferimento al ius civile: si operava con esse un’estensione di azioni civili a situazioni iure civili non contemplate. Nelle azioni in factum, invece, si prescindeva del tutto dal ius civile e pertanto, nelle formule relative, si invitava il giudice a condannare o assolvere a seconda che si verificasse o non che certi eventi avevano avuto luogo. Mancava ogni riferimento a ius Quiritium, a ius, a oportere, erano date su presupposto di fatto. Le azioni utili non sono altro che un meccanismo di estensione analogica. Quando il pretore vede per equità un’azione così per come è nel civile e ritiene che debba essere estesa: l’azione legata alla lex aquilia (azione penale), uccisione del servo altrui quindi danno patrimoniale. La lex diceva che il danneggiato, il dominus che avesse perso il servo, poteva aspirare alla vittoria processuale a una condizione fissata nella lex per cui l’uccisione doveva essere data corpore corpori = con la forza fisica. Si tratta di una condizione che lascia fuori un ben ventaglio di possibilità, rimaneva fuori per esempio l’istigazione al suicidio perché non uso la forza, convinco il servo a farlo. In un primo tempo, siccome l’unica azione era quella civilistica, casi di questo tipo esulavano dalla lex aquilia e il padrone del servo che si era suicidato poteva iniziare l’actio ex legi aquilia ma l’istigatore sarebbe stato assolto. Arriva però l’aequitas e la sensibilità del pretore che si rende conto della possibilità di paragonare le situazioni. Aggiunge dunque una nuova actio: actio utile ex lege, quindi un’estensione dell’actio a un’actio simile. Actiones ficticiae La fictio iuris è un espediente, è la finzione che il giurista inventa qualcosa per far rientrare delle condizioni concrete in una normativa che non avrebbe previsto quella condizione. Esempio: actio publiciana (arriva dal I secolo a.C.). Un soggetto che si crede proprietario ma non lo è perché non ha dalla sua un atto traslativo della proprietà idoneo: la res acquistata (non sono a titolo di compravendita) non è stata acquistata in modo formale oppure se viene spossessato di un bene che non era ufficialmente suo per un vizio dell’atto traslativo. Si presenta dal pretore con il consulente e chiede la revendicatio, ma il pretore non può perché non ha titolo per chiederla ma a partire dall’actio publiciana il pretore poteva proporre un’altra soluzione: si trattava processualmente questo possessore che si credeva proprietario ed era stato spossessato ed aspirava a ottenere di nuovo la cosa, COME SE fosse proprietario civilistico. La finzione dove sta? La formula dell’actio publiciana diceva di trattare l’attore come se avesse già maturato i tempi dell’usucapione che l’avrebbe reso proprietario nonostante il vizio dell’atto traslativo e gli si concede l’azione fingendo che fosse decorso il tempo utile per ufficializzare il possesso. Se ha tutti i titoli utili per usucapire → il giudice è invitato a giudicare sulla base di una finzione giuridica, a giudicare cioè come se esistesse un elemento o una circostanza in effetti mancanti. Azioni c.d. con trasposizione di soggetti Nelle azioni c.d. con trasposizione di soggetti il meccanismo era diverso. Per dare modo al giudice di condannare il convenuto nonostante il difetto, nell’attore, di legittimazione attiva – o viceversa, nonostante il difetto nel convenuto di legittimazione passiva – si indicava nell’intentio il nome del soggetto effettivamente legittimato e nella condemnatio il nome della parte che stava effettivamente in giudizio al posto del legittimato. Azioni con trasposizione di soggetti erano, ad esempio, l’azione Rutiliana, che si dava al bonorum emptor per la tutela di pretese per le quali era rimasto titolare il debitore insolvente; le azioni c.d. adiettizie, che si davano contro il dominus o il pater familias per debiti contratti da servi o filii familias; ecc.; si procedeva con formule con trasposizione di soggetti anche quando interveniva un cognitor, un procurator ad litem o altro sostituto processuale. 18 2. AZIONI IN REM E AZIONI IN PERSONAM La classificazione delle azioni in rem e in personam era presupposta nel regime dell’antica legis actio sacramenti, ma solo nel processo formulare ebbe luogo la piena caratterizzazione. Da essa deriva la distinzione dei diritti soggettivi patrimoniali in diritti reali e diritti di credito (= lato attivo dell’obbligazione). - Azioni reali → la pretesa dell’attore è erga omnes (nei confronti di tutti), affida al giudice il compito di accertare la spettanza dell’attore di un potere assoluto sulla cosa per cui si controverte: non quindi un diritto verso Tizio o verso Caio, persone determinate. Sicché nell’intentio figurava solo il nome dell’attore; quello del convenuto, e di nuovo quello dell’attore, comparivano nella condemnatio. Risulta connesso che la persona del convenibile con azioni reali non era determinata a priori ma si determinava al momento dell’azione → l’azione reale segue la cosa. Essa è pertanto proponibile contro chi possieda la cosa stessa o chi abbia con essa una certa relazione al tempo dell’esercizio dell’azione. - Azioni in personam → l’attore si afferma creditore ed assume che l’avversario, suo debitore, è tenuto verso di lui a un certo comportamento. La pretesa dell’attore è specifica verso un soggetto determinato, ha pertanto carattere relativo, non assoluto, talché il nome del convenuto figurava, insieme con quello dell’attore già nell’intentio. Il debitore è certo e determinato sin da prima dell’esercizio dell’azione perché il creditore si pretende tale nei confronti dell'avversario sin dal momento precedente al giudizio, in cui è sorta la relativa obbligazione → tra le parti di un’azione in personam preesiste un rapporto, l’obbligazione. Defensio e indefensio S’è già fatto cenno all’indefensio, le cui conseguenze erano più gravi per le actiones in personam. Contro il convenuto, infatti, che rifiutasse di se difendere, rifiutasse cioè la defensio di fronte ad un’azione in personam, ed insistesse nell’indefensio, il pretore poteva – come contro il debitore insolvente – o dare corso all’esecuzione sulla persona autorizzando l’attore a trascinare presso di sé l’avversario e tenervelo in stato di assoggettamento, oppure dare corso all’esecuzione patrimoniale e pertanto, come primo provvedimento, autorizzare l’attore ad immettersi nel possesso di tutti i beni dell’indefensus (missio in bona). Di fronte a sanzioni così gravi i giureconsulti romani parlarono di una coazione alla defensio del convenuto con le azioni in personam, di una sua impossibilità di sottrarvisi. E gli contrapposero il convenuto con azioni reali, libero di defendere o non defendere in rem. Più precisamente, il convenuto con azioni reali avrebbe potuto sì rem non defendere, ma avrebbe dovuto, in tal caso consentire all’avversario l’esercizio di fatto del diritto che questi reclamava. Si parla al riguardo di translatio possessionis. Contro il convenuto che, non avendo assunto la defensio, nemmeno avesse soddisfatto l’onere del “trasferimento del possesso” si davano sanzioni che erano volte appunto alla translatio possessionis: e che erano l’actio ad exhibendum quando si trattava di beni mobili, l’interdictum quem fundum o interdicta analoghi quando si trattava di beni immobili. Effetti preclusivi della litis contestatio Azioni reali e azioni in personam avevano diverso regime anche per quanto riguarda gli effetti preclusivi della litis contestatio. Sappiamo che per effetto della litis contestatio la lite de esdem re non era ripetibile. Ebbene, se una prima volta si era agito con actio in personam, iudicium legitimum la cui formula avesse intentio in ius concepta, la lite non era ripetibile ipso iure. In difetto di uno solo di questi requisiti – pure nel caso, pertanto di azioni reali- l’azione era ipso iure ripetibile ma il convenuto avrebbe opposto validamente l’exceptio rei iudicatae vel in iudicium deductae. 3. AZIONI ARBITRARIE Sono le azioni la cui formula conteneva una particolare clausola - la clausola restitutoria o arbitraria - per cui il giudice, verificata l’intentio, prima di procedere alla condanna pecuniaria avrebbe dovuto invitare il convenuto a restituire, e condannarlo solo in caso di mancata restituzione. 19 Il ricorso a questa clausola va messo in relazione con il principio per cui la condanna nel processo formulare doveva essere sempre pecuniaria. In caso di mancata restituzione da parte del convenuto, l’ammontare della sanzione pecuniaria era deciso dall’attore seppur sotto vincolo di giuramento estimatorio. Prevalso l’attore, la lite si concludeva con la restituzione e conseguenze assoluzione del convenuto. La clausola avrebbe dunque avuto senso in tutte le azioni in cui l’attore avanzava una pretesa che non fosse in denaro. N.B. Ad avere la clausola restitutoria erano solo le azioni reali e poche altre azioni in cui non veniva richiesta una restituzione in denaro. Quando la clausola restitutoria mancava il giudice avrebbe dovuto condannare il convenuto pure se questi dopo la litis contestatio avesse soddisfatto le giuste pretese dell’avversario: ciò perché, secondo i termini della formula, per la decisione bisognava fare riferimento alla situazione giuridica qual era al tempo della litis contestatio. Riguardo ai iudicia bonae fidei si giunse presto ad ammettere che, se dopo la litis contestatio il convenuto avesse adempiuto ogni suo obbligo, il giudice avrebbe dovuto assolverlo. Furono i giuristi di scuola sabiniana che, avversati dai proculiani, affermarono per primi la diversa dottrina che, nel caso ipotizzato, contro i termini letterali della formula, consentiva l’assoluzione. Tesi sabiniana → espressa con le parole omnia iudicia absolutoria esse - prevalse nel corso dell’età classica. Si deve pertanto ritenere che il principio formulare della condanna necessariamente pecuniaria non desse luogo, in pratica, a inconvenienti rilevanti, avendo subito tanto di quei temperamenti che, nei casi in cui la pretesa dell’attore non fosse in denaro, il convenuto soccombente avrebbe preferito più spesso restituire o comunque soddisfare le pretese attrici prima della sentenza così da essere assolto. 4. AZIONI PENALI, REIPERSECUTORIE e miste La classificazione delle azioni in penali e reipersecutorie si colloca nell’ambito del diritto privato, diversamente da come si potrebbe pensare. - Azioni penali → in ogni caso in personam; poenam persequimur: il privato, vittima di illecito, perseguiva dall’autore di esso una pena, che aveva funzione afflittiva e punitiva. La pena poteva essere corporale (inflitta dalla vittima) o pecuniaria (percepita dalla stessa vittima). Nel processo formulare era sempre pecuniaria. - Azioni reipersecutorie → rem persequimur; si perseguiva la res, funzione risarcitoria. Lo scopo è quello di reintegrare il patrimonio, regina è la rivendica. La massima aspirazione è quella di avere di nuovo la cosa. Non per forza è così perché sappiamo che c’è un principio della sanzione solo pecuniaria, solo con la clausola arbitraria si può riavere la cosa. Il termine res qui intende ogni interesse patrimoniale che si assumeva leso. In questo caso la punizione può gravare anche sugli eredi perché a loro non rimprovero un comportamento ma contesto che si sono trovati per successione con un patrimonio arricchito con la diminuzione di quello di un altro non giustificato. Le azioni reali = tutte reipersecutorie, quelle in personam no, ma potevano esserlo. Se la legge stabiliva pene fisse, erano certamente penali. Penali erano anche le azioni condannate in un multiplo del valore della cosa sottratta, infatti il risarcimento si realizza assicurando sia il valore della cosa sia quello del pregiudizio. Come distinguere tra azioni reipersecutorie e penali? Il regime giuridico Emerge in primo luogo un discorso molto chiaro: posso punire un autore dell’illecito in quanto ravviso nel suo comportamento una responsabilità, già considerata personale. L’azione penale è esperita solo nei confronti di chi ha commesso l’illecito e non grava sulla famiglia o sui successori, a differenza dell’azione reipersecutorie, al contrario di quella reipersecutoria che poteva essere esperita anche dopo la morte del responsabile. Inoltre, l’azione penale poteva cumularsi contro più responsabili. 20 Effetti della litis contestatio: abbiamo detto che cristallizza la situazione e quindi tutto ciò che avviene dopo è in larga misura irrilevante. Se dopo la litis il ladro muore, l’azione può essere perseguita nei confronti dell’erede? Sì, perché bisogna valutare alla luce del rapporto processuale così come si era detto durante la litis → in questo caso si può gravare sull’erede che non è assolutamente responsabile del furto, quindi lede un po’ al principio della responsabilità individuale ma è necessario perché ciò che è importante è ciò che è stato consolidato nella litis. Azioni penali → intrasmissibili perché la pena è personale + cumulabili: ad un furto possono partecipare più persone: a questo punto più sono i co debitori ex delicto e se l’ipotesi tratta un’azione di furto che condanna al triplo del valore, io derubato posso chiedere il triplo della cosa a tutti i complici perché lo scopo della penale è punire: vado a punire tutti i partecipanti. Azioni reipersecutorie → trasmissibili - cumulo escluso: ricevuto una volta il risarcimento deve ritenersi soddisfatto. La pena e il risarcimento non si escludono l’un l’altra → posso pretendere entrambe le azioni. Le azioni penali potevano essere: - Civili - Pretorie: annuali, esercitate non oltre l’anno dalla commissione dell’illecito Un modo per esperire le azioni penali: la nossalità Ci porta a contatto con un problema più articolato. Si tratta di quando l’atto illecito che genera la possibilità di intentare un’azione penale non è commesso da un pater familias, il detentore del patrimonio e dunque colui che può essere convenuto, ma è commesso da un filius o un servus. Il derubato cita in giudizio non il filius ma il pater, colui che ha una potestas sul filius ed è per qualche misura responsabile a livello patrimoniale. L’azione penale è anche nossale, cosa vuol dire? Significa che il pater familias dell’autore dell’illecito in occasione della condanna ha una duplice possibilità: 1. Paga la pena. 2. Dà a nossa l’autore dell’illecito, noxae deditio tramite mancipatio: per il servo trasferisce la proprietà e quindi entra nel patrimonio del derubato; nel caso del filius si ha una mancipatio del figlio ed entra nella condizione di persona in causa mancipi (persone libere sottoposte ad un pater familias) mantiene la libertà presso il vincitore del processo ma è in una condizione di assoggettamento personale. Nel caso in cui il dominus del servus ladro abbia nel frattempo alienato questo servo5 autore del furto sarà onere del derubato citare in giudizio l’attuale proprietario → vige un principio noxa caput sequitur6. Uno dei vizi dello schiavo è proprio la nossalità, che va dichiarata in caso di vendita. Se un dominus compra uno schiavo viziato da un furto può incorrere nella nossalità nel caso in cui il derubato intenta un actio furtis e dovrà pagare lui la pena anche se non era il dominus nel momento del furto. Posso poi lamentarmi con il venditore dello schiavo viziato con l’actio redhibitoria. Unica eccezione Actio de pauperie: il danno è creato da un animale che in modo inaspettato provoca un danno al patrimonio di un soggetto, ad esempio un cavallo imbizzarrito che uccide un servo altrui, quindi, causa una diminuzione patrimoniale. Ha un carattere reipersecutorio e non penale (abbiamo detto che solo le azioni penali possono essere esperite con nossalità) ma ammette il dare a nossa. 1. Risarcire il danno → pagare il valore del servo 5 Bene patrimoniale. 6 “La responsabilità penale per i delitti segue la persona del colpevole”. 21 2. Dare a nossa il cavallo al dominus del servo morto → L’unico caso di nossalità che si lega a reipersecutoria. Depenalizzazione del diritto privato Dagli inizi del principato, le azioni penali restano poche, le altre smarriscono la loro condizione di penale private pur essendo ancora sanzionate perché diventano di altri tipi. Il regime giuridico delle azioni penali subì cambiamenti circa: - L’intrasmissibilità passiva: acquista valore generale il principio per cui, contro gli eredi del colpevole, può essere proposta azione non penale nei limiti dell’arricchimento, facendo sì che essi rispondano nella misura in cui abbiano tratto vantaggio dall’illecito commesso dal loro erede colpevole (erede che gode del furto commesso dal padre) - Si ammettono deroghe sempre più ampie al principio del cumulo tra azione penale e azione reipersecutoria. Alcune azioni penali finiscono addirittura per essere attratte tra le reipersecutorie, e tante diventano mixtae, penali e reipersecutorie insieme. - Il criterio della nossalità cade in desuetudine durante l’età postclassica rispetto ai filii familias (che risponderanno direttamente degli illeciti commessi), e viene mantenuto solo per gli schiavi. In merito alle azioni miste si parla nelle fonti giustinianee. Si trattava di azioni dapprima solo penali nelle quali la pena era in un multiplo del pregiudizio subito dalla vittima e per cui si procedette all’analisi della condemnatio distinguendosi una parte il simplum corrispondente al pregiudizio patito dall’attore, che venne considerato a titolo di risarcimento, dal resto che fu considerato a titolo di pena. Un caso è quello dell’actio vi bonorum raptorum, che si dava contro l’autore di una rapina nella misura del quadruplo del valore della cosa sottratta: l’azione si disse mista perché si considerò il semplice valore della cosa (simplum) alla stregua di risarcimento e il residuo triplo a titolo di pena. Gli ultimi residui di penalità scompariranno dal diritto privato nell’età intermedia: medievale e moderna; e sarà allora che si affermerà il principio per cui gli atti illeciti extracontrattuali possono dar luogo, nell’ambito del diritto privato, solo a risarcimento dei danni. Il “penale” esce fuori dal diritto privato e resta materia di diritto pubblico soltanto. Procedure esecutive Actio iudicati → un’actio in personam che aveva come presupposto una condanna espressa in denaro con conseguente obligatio iudicati non rispettata dal convenuto entro 30 giorni. Una volta avviata la fase in iure dell’actio iudicati, se il convenuto avesse riconosciuto di esservi tenuto, il pretore avrebbe dato corso all’esecuzione. Ma il convenuto avrebbe potuto negare che esistessero i presupposti dell’actio iudicati: si procedeva allora come in ogni azione di accertamento (con formula, litis contestatio, dibattimento apud iudicem e sentenza). L’atteggiamento del convenuto che si fosse opposto negando i presupposti dell’azione costitutiva infitiatio e comportava, nell’actio iudicati, la condanna al doppio in caso di contestazione infondata. Evidentemente da questa nuova sentenza di condanna non nasceva altra actio iudicati ma il pretore, come nel caso che il convenuto avesse subito ammesso, dava corso all’esecuzione. Esecuzione personale → ricalcata sulla legis actio per manus iniectionem ma con notevoli semplificazioni ed esiti alleggeriti. Il pretore pronunciava addictio del debitore a vantaggio del creditore che aveva così autorità a condurre l’addictus (il debitore) nelle proprie carceri private e tenerlo in assoggettamento fino al riscatto del debito. 22 Esecuzione patrimoniale → il pretore introdusse un tipo di esecuzione patrimoniale che culminava nella bonorum Venditio, consentiva al creditore di soddisfare il suo credito mediante l’appropriazione dei beni del debitore. 1. Missio in bona: mediante questa, il pretore donava al , che di seguito all’actio iudicati ne avesse fatto istanza, il possesso di tutti quanti i beni del debitore → funzione di custodia e conservazione. 2. Proscriptio: contemporaneamente alla missio in bona, il pretore disponeva la proscriptio mediante la quale si dava notizia della procedura in corso a tutti gli altri eventuali creditori in modo da dar loro l'opportunità di intervenire. La procedura a questo punto era concorsuale. Trascorsi 30 giorni senza che il debitore avesse soddisfatto il creditore, egli diventava infamis con le conseguenze negative dell’infamia sulla capacità di una persona. 3. Nomina di curator bonorum (da parte del pretore) e di magister bonorum (da parte dei creditori): nomine per gestire in via provvisoria il patrimonio del debitore e per preparare la vendita all’asta dello stesso patrimonio stabilendone le condizioni. 4. Bonorum venditio = vendita; vinceva la gara chi offriva di pagare la più alta percentuale sui debiti. → Bonorum emptor (acquirente), il quale avrebbe pagato subito la percentuale offerta al creditore che aveva promosso l’actio iudicati. Avrebbe pagato pure, nella stessa percentuale, quanto preteso dagli altri creditori. Per gli altri debiti egli poteva essere convenuto in giudizio con azioni nella cui formula la condemnatio veniva limitata, con taxatio, alla percentuale offerta. In sostanza, il bonorum emptor subentrava, dal lato attivo e da quello passivo, nella situazione giuridica patrimoniale del debitore che aveva subito la bonorum venditio alla stregua di un successore universale. Il bonorum emptor non diventava proprietario iure civili dei beni del debitore, né diventava iure civili creditore o debitore al suo posto. Poté tuttavia essere considerato successore universale del debitore (successore iure praetorio) perché il pretore dava in favore e contro il bonorum emptor le azioni che spettavano in favore e contro il debitore, adattandole al caso. L’adattamento si realizzava o attraverso la fictio, con una formula nella quale si invitava il giudice a giudicare come se il bonorum emptor fosse l’erede del debitore (in qual caso l’azione ficticia era detta actio Serviana) o per mezzo di una formula con traspos