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CHIRURGIA VASCOLARE C.I. Malattie cardiovascolari e dell’apparato respiratorio Prof. Enrico Gallito Anno accademico 2023 Anno accademico 2023 Uni...

CHIRURGIA VASCOLARE C.I. Malattie cardiovascolari e dell’apparato respiratorio Prof. Enrico Gallito Anno accademico 2023 Anno accademico 2023 Università di Bologna – Campus Ravenna 1.ANEURISMI DELL’AORTA ADDOMINALE Aneurisma: è una dilatazione permanente di un’arteria, che supera il 50 % del lume nativo del vaso Ectasia: è una dilatazione pre-aneurismatica vasale, minore del 50% del lume normale. Normalmente l’Aorta Addominale ha dimensioni: Maschio: 2,1 – 2,4 cm Femmina: 1,5 – 2,0 cm Quindi si ha aneurisma oltre i 3 cm di dilatazione. EPIDEMIOLOGIA È una patologia che colpisce maggiormente gli adulti ed anziani di sesso maschile. Per quanto riguarda gli studi autoptici (soggetti morti): Maschi: la prevalenza oscilla tra 1% e 4/5%. Femminili: oscilla tra 0,5 % e 2%. Per quanto riguarda invece studi su screening ultrasonografici la prevalenza aumenta: Maschi: fino all’8 % Femmine: fino al 3 % Relativamente agli studi su popolazioni a rischio: Pz. con AOCP (Arteriopatia Obliterante Cronica Periferica): pazienti adulti aterosclerotici, l’incidenza aumenta ed è tra l’8% e il 12% Pz. con ICV (Ischemia Cerebro Vascolare): tra 7,7 % e 14% MORFOLOGIA In base alla morfologia, si distinguono 2 tipi di aneurisma: Aneurisma Fusiforme: si tratta di una dilatazione simmetrica con una probabilità di rottura minore. Le pareti sono più deboli in maniera generalizzata. Aneurisma Sacciforme: l’aorta è regolare e presenta ad una determinata altezza un’estroflessione asimmetrica. Presentano un rischio aumentato di rottura. SEDE Si considera Aorta Addominale quando essa supera i pilastri del diaframma. I rami che si distaccano da questa sono: Tripode Celiaco: o Arteria gastrica di sinistra o Arteria epatica o Arteria splenica Arteria Mesenterica superiore Arterie Renali Arteria Mesenterica inferiore 1 Biforcazione Arterie Iliache comuni Il 90 % degli aneurismi dell'Aorta Addominale interessa la porzione al di sotto delle Arterie Renali, e prendono il nome di Aneurismi Sottorenali. In questo caso l’Aorta è più semplice da ricostruire. Il 10 % degli aneurismi coinvolge la porzione di Aorta Addominale superiore alle Arterie Renali, e prendono il nome di Aneurismi Sovrarenali. Classificare gli Aneurismi in base alla sede è fondamentale per il trattamento. Gli aneurismi Sottorenali sono semplici da ricostruire, in quanto l’Aorta è una specie di “tubo”. Se invece l’Aneurisma coinvolge le arterie renali o è posizionato al di sopra, è importante vascolarizzare i vasi splancnici per evitare ischemia intestinale e ischemia renale. Aneurisma Iuxtarenale: è un aneurisma inferiore alle Arterie Renali, che non le coinvolge. (da Dispensa) Tutti gli aneurismi che originano e si estendono al di sotto delle arterie renali prendono il nome di sottorenali e presentano un colletto prossimale, ovvero il tratto di aorta di calibro normale compreso tra le arterie renali e l’inizio dell’aneurisma, e un colletto distale, che coincide con il tratto di aorta di calibro normale compreso tra la fine dell’aneurisma e la biforcazione aortica. Quando il colletto prossimale ha lunghezza inferiore ai 5 mm si parla di aneurismi juxtarenali. Aneurisma Pararenale: coinvolge le Arterie Renali, la dilatazione è posizionata sull’ostio di queste. Se si porta più superiormente diventa Aneurisma Sovrarenale, di base non raggiunge la Mesenterica Superiore. Il paziente che presenta Aneurisma dell’Aorta Addominale ha una predisposizione (es. alterazioni del collagene) a sviluppare Aneurismi Associati (di base tali dilatazioni si presentano spesso in coppia). Degli esempi di Aneurismi Associati sono: Aneurismi Iliaci Aneurisma Popliteo: 1/3 pz con AAA manifesterà anche un Aneurisma popliteo. Si percepisce un polso popliteo forte. Gli aneurismi agli arti inferiori tendono a trombizzare, manifestando segni di ischemia, diversamente da altre dilatazioni che tendono alla rottura. Aneurisma Viscerale EZIOPATOGENESI Gli Aneurismi devono essere ricercati in pazienti che presentano fattori di rischio aterosclerotici. Le cause sono molteplici (in ordine dal più comune al più raro): Aneurismi Degenerativi: la maggior parte, si trovano nel paziente aterosclerotico (solitamente uomo, occidentale, >65 anni). Aneurismi Congeniti: il paziente presenta una predisposizione allo sviluppo di una patologia vascolare: 2 o Sindrome di Marfan (malattia genetica del tessuto connettivo, coinvolge il gene della fibrillina) o Sindrome di Ehlers-Danlos (malattia genetica del tessuto connettivo, in particolar modo del collagene) In questo caso si possono sviluppare aneurismi anche in soggetti più giovani. Aneurismi Micotici: si sviluppano conseguentemente ad un’infezione. In questo caso possono essere colpiti pazienti immunodepressi, tossicodipendenti (per sostanze che vengono introdotte per via vascolare), con una storia di endocardite infettiva. Aneurismi Traumatici (meno presenti in Aorta Addominale) e Infiammatori (vasculiti). In questo caso da una piccola lesione si può sviluppare un aneurisma sacciforme. Aneurismi Infiammatori (arteriti) Aneurismi Degenerativi La classificazione di un aneurisma come degenerativo deriva dall’esecuzione di studi istologici e biochimici. In particolare, ciò che viene rilevato in questi casi sono:  Evidenze istologiche: o Riduzione complessiva dello spessore parietale; o Tonaca media: riduzione o assenza di fibre elastiche con infiltrato linfo- monoplasmacellulare; o Tonaca intima: frequentemente lesioni ateromasiche (reperti associati).  Evidenze biochimiche: o Sovversione della biochimica di parete:  Riduzione contenuto di elastina;  Incremento peptidi derivati dall’elastina;  Incremento collagene solubile. Le alterazioni biochimiche possono essere promosse da modificazioni enzimatiche che sovvertono la fisiologia della parete arteriosa, riducendone la quantità di fibre elastiche. Si tratta di enzimi che normalmente promuovono il turnover della parete aortica, che però, in questo caso, influiscono negativamente sulla robustezza della parete stessa: Elastasi: o Incrementa la concentrazione in parete aortica; o Incrementa la concentrazione a livello ematico; o Prodotta da cellule infiammatorie (macrofagi) che possono infiltrare la parete danneggiate; Aumento del rapporto Metalloproteinasi (MMP)/ Inibitori delle metalloproteinasi (TIMP). Questi parametri legati agli enzimi possono essere ascritti sempre tra i marker delle evidenze biochimiche. Altre caratteristiche che possono essere correlate agli aneurismi degenerativi sono: Difetti genetici, come l’alterazione del braccio lungo del cromosoma 16; 3 Elevata familiarità: 13-29% dei fratelli maschi di un paziente con AAA presenta un AAA, dovuta al contribuito genetico ora analizzato. [RR di AAA per i parenti di un paziente con AAA è: o 3.97 padre; o 4.03 madre; o 9.92 fratello; o 22.93 sorella.] Nella familiarità, è presente una predisposizione più frequente nei soggetti di sesso femminile, nello sviluppo di aneurismi, legata al cromosoma 16. STORIA NATURALE Per storia naturale si intende l’evoluzione dell’aneurisma, la progressione e la rottura. Essendo una dilatazione permanente, non può ritornare spontaneamente alle dimensioni fisiologiche. Per la legge di Laplace, se in un tubo inizia una dilatazione, le pareti iniziano ad assottigliarsi progressivamente, aumentando la Pressione sulle pareti, questo porterà a un ulteriore assottigliamento che esiterà in una rottura. Esempio: In ambulatorio si presenta un pz di 65 anni con aneurisma di 3 cm, vengono quindi fatti controlli annuali per studiarne l’andamento. Nel corso di 10 anni arriva ad una dilatazione di 5,5 cm, con aumento del rischio di rottura, che indica quindi una preferenza verso interventi di tipo preventivo. Se un aneurisma viene trattato in elezione, si hanno risultati migliori rispetto a quanto viene trattato in emergenza, dopo la rottura. Essendo una patologia asintomatica, è difficile rintracciarne la presenza e i pazienti tendono a sottovalutarla. L’aneurisma è caratterizzato da una crescita imprevedibile con un incremento medio della dilatazione di 0,5 cm l’anno circa. Se questo si rompe, si ha un’emorragia massiva che porta alla morte del paziente. Il paziente va sensibilizzato sulla possibilità di crescita dello stesso e sul rischio di rottura. Per quanto riguardo la frequenza dell’evento rottura: An. 7cm: è del 75% In caso di rottura la mortalità globale durante l’intervento è tra 75% e l’80%. In elezione la probabilità di morte diminuisce molto. Altri fattori che incrementano il rischio di rottura: La morfologia, come la presenza di Blister: un’estroflessione dell’aneurisma, che porta a un aumento della pressione in un solo punto della parete, determinandone un aumento del rischio di rottura. Picchi ipertensivi Fumo e Insufficienza Respiratoria: i colpi di tosse vanno a determinare un aumento della Pressione addominale, aumentando il rischio di rottura. 4 CLINICA La clinica è asintomatica. La sintomatologia è presente in caso di rottura, in modo aspecifico, si può presentare come: Dolore epigastrico Dolore lombare: in quanto l’aneurisma cresce in avanti, ma può crescere anche dietro, andando a erodere le vertebre. Sindrome da compressione delle vie urinarie con disturbi escretori e ritenzione urinaria. Gli aneurismi infiammatori, in particolare, saranno attorniati una zona infiammatoria o fibrotica, che può comprimere gli ureteri, dando sintomatologia urinaria. Sindrome da compressione del tubo gastroenterico Segni di Ischemia Acuta Periferica: a livello dell’aneurisma si può avere la formazione di un trombo, creatosi grazie al flusso turbolento, con possibile sviluppo di Embolia distale. Quindi, il pz presenterà dolore per l’embolia distale. Un pz con embolia distale presenterà segni di ischemia distale e, palpandone l’addome, sarà percepibile l’aneurisma dell’orta addominale (come una massa pulsante). Sindrome del dito blu: il pz ha tutti i polsi periferici, ma si osserva un dito del piede cianotico, che evolverà in gangrena, dovuto a una embolia distale. ROTTURA Nel momento in cui l’aneurisma si rompe, il paziente riferisce un dolore acuto a livello lombare, in particolare posteriormente, in quanto l’aorta è retroperitoneale. Inoltre, il paziente può andare incontro a shock emodinamico, ipotensione e tachipnea. Vi sono differenti tipi di rotture:  Rotture tamponate: l’aorta si buca, in corrispondenza dei pilastri del diaframma o posteriormente, sulla colonna vertebrale, e, quindi, si ha una prima fuoriuscita di sangue tamponata poi da una struttura posta dietro. Un paziente con una rottura tamponata avverte un forte dolore, ha un’ipotensione importante e, successivamente, più o meno si stabilizza. In casi di rottura tamponata il paziente non andrà incontro a shock emorragico. Se il paziente è già ricoverato, o è già in P.S., sarà tutto più veloce rispetto ad un paziente proveniente da zone limitrofe con tanta strada prima di poter raggiungere il P.S. Generalmente, però, i pazienti che si salvano sono solitamente coloro che presentano una rottura tamponata. Più aumenta il tempo che intercorre tra il primo sintomo e la sala operatoria più la mortalità aumenta.  Rottura franca in peritoneo: in questo caso la rottura è anteriore e il sangue diffonde in cavità peritoneale. La sintomatologia prevede un improvviso e violento dolore a pugnalata e lo sviluppo di shock emorragico/ipovolemico. L’emorragia sarà più consistente e, dunque, la mortalità aumenterà notevolmente.  Rottura con fistolizzazione all’intestino: Non particolarmente frequente, legata alla posizione anatomica del duodeno rispetto all’aorta. In seguito alla rottura della parete si forma una fistola aorto- enterica con svuotamento dell’aneurisma nel duodeno. Il paziente presenterà dolore, shock emorragico e sintomi tipici di sanguinamento intestinale: ematemesi importante e/o melena. 5  Rottura in vena cava: Altra condizione piuttosto rara, in cui non si verifica shock emorragico, perché il sangue rimane in circolo. In questo caso si viene a formare una fistola aorto-cavale, che porta il sangue aortico a fluire nella vena cava inferiore; l’entità del ritorno venoso determina scompenso cardiaco e edema agli arti inferiori. Se si pone il fonendoscopio a livello addominale si può avvertire un “trill” importante. D:in questo caso la fistolizzazione può essere più piccola e dare meno sintomi? R: Si, è possibile; però, se accade, è pur sempre un evento eclatante: si ha una piccola fistola la quale, in un primo momento non da una clinica da rottura ma, a lungo andare, il paziente si scompensa notevolmente. D: in caso di fistolizzazione si ha sempre dolore lombare o cambia? R: il dolore è sempre presente. Gli aneurismi, dunque, sono asintomatici e, se sintomatici, sono sintomi aspecifici (es: Sindrome del dito blu); la clinica della rottura, invece, è eclatante e specifica: dolore, massa pulsante in addome e ipotensione. DIAGNOSTICA Prima di prescrivere esami strumentali, si effettua l’esame obiettivo. Da tenere presente che, nel paziente magro e/o cachettico si può notare la presenza di una massa pulsante a livello addominale. In un paziente normopeso, se si attua una palpazione approfondandosi in regione periombelicale, è possibile comunque fare diagnosi di aneurisma. Siccome gli AAA sono, nella maggior parte dei casi, asintomatici, la diagnosi avviene spesso in maniera incidentale, occasionale, tramite uno screening ultrasonografico o altri esami eseguiti per altri scopi (ernie, patologie prostatiche, calcoli renali, dolori di altra natura, pielonefriti...). Tuttavia, è possibile rilevare un aneurisma anche durante l’esame obiettivo: ispezionando l’addome si può riconoscere la presenza di una massa pulsante; è però estremamente raro scoprire l’aneurisma in questo modo. Inoltre, prima di giungere a tale conclusione, è opportuno valutare diversi elementi, come la sede della massa, le dimensioni e anche la conformazione del paziente [fare diagnosi differenziale con neoformazioni e lordosi]. Una volta identificato l’aneurisma o, comunque, sospettata la sua presenza, si può procedere con una serie di esami strumentali, di primo e secondo livello, per: Confermare la presenza dell’AAA; Definire diametri e morfologia; Valutare l’estensione prossimale e distale; Definire i rapporti con le strutture circostanti. Gli esami strumentali comprendono:  Ecografia ed Ecodoppler: esami di primo livello che permettono di confermare o meno la presenza effettiva dell’aneurisma e le dimensioni di quest’ultimo. Non permette di osservare l’aorta toracica. In base ai risultati ottenuti dagli esami di primo livello, si eseguono poi esami di secondo livello: 6  Angiotc: rappresenta il “gold standard” per l’aneurisma dell’aorta, in quanto ci permette di ottenere dettagli anatomici riguardanti l’estensione, la forma e la localizzazione dell’aneurisma al fine di pianificare il trattamento chirurgico. Caso clinico: si presenta in ambulatorio un paziente con AAA di 5cm evidenziato tramite ecografia; si chiede TC con mezzo di contrasto dell’aorta toraco-addominale (viaggiano in coppia). In base alle dimensioni/diametro dell’aneurisma si modifica poi l’iter diagnostico. Nell’ecografia è possibile osservare l’aneurisma identificando una porzione interna ipoecogena, pervia, ossia la porzione di lume, ed una porzione centrale iperecogena rappresentante il trombo. L’ecocolordoppler, invece, da informazioni riguardanti l’emodinamica in quanto permette di evidenziare tramite colorazione la porzione interna, ossia il lume pervio che prende colore ed una porzione incolore ossia il trombo. Questo vale pe l’80% della chirurgia vascolare.  Arteriografia: Canonicamente, l’angiografia si esegue in seguito all’ecografia, ma oggigiorno non è più utilizzata a scopo diagnostico per via della sua invasività (prevede l’inserimento del catetere all’interno dell’arteria da esaminare e la successiva iniezione attraverso tale catetere di un mezzo si contrasto per ottenere l’immagine radiologica) e dei falsi negativi che può dare in presenza di trombi (il lume risulta normale). [non bisogna nominare questo esame come esame diagnostico all’esame; spesso viene chiesto e gli studenti sbagliano]. Infatti, ad oggi, prende parte al processo terapeutico/trattamento tant’è che l’80% degli AAA ha delle caratteristiche anatomiche tali per cui può essere trattato per via endovascolare. La piattaforma endovascolare ha ridotto in maniera importante la morbilità e la mortalità dopo gli interventi. Oggi, dunque, è divenuta la prima scelta terapeutica in presenza di particolari caratteristiche anatomiche. Viene effettuata in sala operatoria. L’esame diagnostico GOLD STANDARD è l’ANGIOTC, in quanto ci permette di ottenere informazioni riguardanti l’estensione, l’eventuale coinvolgimento e rapporto con gli organi limitrofi, quali reni ed intestino, ed aspetti morfologici alterati. La TC ci permette, inoltre, di valutare la morfologia del colletto prossimale e del colletto distale, ossia le zone sopra e sotto l’aneurisma non malate, importanti per eseguire il trattamento.  RSM: può avere utilità in pazienti a cui non è possibile somministrare un MDC a causa di allergie o in pazienti che non possono essere sottoposti a una TC. Inoltre, si tratta di un esame più lungo e più costoso. Ricapitolando: in primis si effettua l’esame obiettivo, successivamente si passa all’ecografia – ecodoppler e, infine, si effettua l’AngioTC (Gold Standard diagnostico). 7 TERAPIA Storia della terapia 1550 a.C.: Papiro Ebers: “...Solo la magia può curare i tumori delle arterie più grandi”, “Trattalo con il coltello e brucialo con il fuoco in modo che non sanguini troppo”. Già gli Egizi avevano individuato la pericolosità di questa patologia. 200 a.C.: Galeno: “...rigonfiamento pulsante localizzato “, “...se l’aneurisma viene inciso il sangue viene espulso con tale violenza che non può essere arrestato”. La seconda massima è vera ancora oggi: senza il clampaggio corretto durante l’intervento, incidere un aneurisma significa provocare un’emorragia mortale nel paziente. 200 d.C. Antillo: “Il metodo di Antillo” - Legatura prossimale e distale dell’aneurisma, apertura della sacca ed evacuazione del materiale trombotico. 600 d.C. Aezio di Amida: “De vasorum dilatatione”. Nessun taglio sull’aorta guarisce senza formazione di pus, per questo la sacca aneurismatica è da impacchettare con l’incenso. 1817 – Sir Astley Cooper: primo trattamento reale di un paziente di 38 anni in urgenze con aneurisma rotto dell’arteria iliaca esterna, legando l’aorta distale con un filo di seta. Il paziente sopravvive 48 ore. 1865 – Murchinson C e Moore C: “Trombosi della sacca aneurismatica”. Tramite una puntura diretta della sacca, vengono rilasciate 26 iarde di spirali in un voluminoso aneurisma toracico. Il principio può essere ancora considerato valido. 1923 – Rudolf Matas: “Endoaneurismorraffia” con sopravvivenza del paziente per 18 mesi dopo l’intervento 1949 – Einstein subisce un intervento per AAA con “wrapping con cellophane” per indurre fibrosi nell’aneurisma e impedirne la rottura. Morirà nel 1955 per la rottura dell’aneurisma. 1951 – Charlse Dubost: primo innesto aorto-aortico, utilizzando un tratto di aorta prelevata da cadavere. Terapie chirurgiche In particolare, si deve distinguere tra:  una situazione in cui si ha un aneurisma rotto e, dunque, si attua un trattamento chirurgico in urgenza;  una situazione in cui si ha un aneurisma asintomatico, per il quale si andrà ad attuare un’indagine morfologica per identificare il diametro dell’aneurisma e definire se, tale aneurisma, sia in rapido accrescimento, per eseguire un trattamento in elezione. Se l’aneurisma ha un diametro superiore a 5 cm /5,5 cm o l’aneurisma è in rapida crescita, ossia più di 0,5cm annui, si consiglia un trattamento chirurgico. (Da Dispensa)  Si esegue trattamento in elezione anche se il diametro < 5 cm in pazienti con rottura tamponata o blister, BPCO, accrescimento aneurismatico > 0.5cm/anno. [Inoltre, in questo caso, è possibile procedere anche per pazienti giovani con basso rischio chirurgico, soprattutto se di sesso femminile, e pazienti portatori di aneurismi sacciformi o con morfologia “a rischio” (disomogeneità e colliquazione del trombo, parete particolarmente sottile per scarsità di apposizione trombotica, dissezione parietale). Da Dionigi  in genere è accettato il principio di non trattare aneurismi fusiformi con diametro massimo ≤ 40 mm. Da Dionigi Dopo un’attenta valutazione specialistica del rischio chirurgico del paziente, per il trattamento dell’AAA si può optare tra due possibili procedure chirurgiche: 8  intervento chirurgico tradizionale (aneurismectomia);  intervento endovascolare (EVAR). In particolare, il trattamento chirurgico tradizionale, nato con Dubost negli anni ’50, si attua in caso in cui si abbia un paziente fit, giovane in grado di sopportare l’intervento (prevede un taglio) mentre, l’intervento endovascolare, nato negli anni ’90, permette di effettuare interventi sempre meno invasivi in pazienti anziani con la stessa efficacia. Il trattamento endovascolare risulta efficace e sicuro nel tempo, per cui, oggigiorno, copre circa l’80% degli interventi. Chirurgia tradizionale (aneurismectomia) L’aneurismectomia prevede la sostituzione del tratto aortico dilatato con protesi tubolare di materiale sintetico, che viene ancorata con una sutura alla parete arteriosa sana (ai colletti). La tecnica chirurgica convenzionale prevede in sequenza: 1) Si attua una laparotomia mediana xifo-pubica (alternative sono approcci sottocostali bilaterali); 2) Apertura del peritoneo con eviscerazione del piccolo intestino, essendo l’aorta retroperitoneale (via transperitoneale); 3) Riconoscimento nello spazio retroperitoneale prevertebrale del cosiddetto colletto aortico sottorenale sano, a circa 2 cm sotto l’emergenza delle arterie renali, adeguato all’ancoraggio della protesi; 4) Eparinizzazione generale; 5) Clampaggio dell’aorta sottorenale (via di afflusso) e delle due arterie iliache (vie di efflusso), così da escludere l’aorta dal circolo. Il clampaggio si esegue nelle zone di colletto per aprire l’aorta in sicurezza; 6) Incisione anteriore della sacca aneurismatica, rimozione del materiale trombotico interno e sostituzione dell’aorta con una protesi sintetica. Vengono considerati innesti. La protesi sintetica è una protesi semiporosa in Dacron, il che permette l’infiltrazione delle cellule della parete, ma non del sangue. La protesi può essere, in relazione all’estensione distale della patologia, o un innesto aorto-aortico, oppure un innesto aorto-bisiliaco biforcato nell’estremità inferiore. (precisazione: la protesi è inserita all’interno dell’incisione, la parete aortica rimane esterna a circondarla “a cappotto”); 7) Ricostruzione della sacca aneurismatica attorno alla protesi, per proteggere sia la protesi stessa, sia le anse intestinali dalla possibilità di formazione di una fistola; 8) Rimozione delle clamp (solitamente il clampaggio non supera il tempo di ischemia periferica e pertanto l’intervento può essere eseguito anche in assenza di circolazione extracorporea) e osservazione della tenuta dell’anastomosi; 9) Riposizionamento e visualizzazione delle anse intestinali precedentemente spostate, per escludere potenziali ischemie; 10) Ricostruzione del peritoneo e di tutti gli strati della parete addominale fino alla cute. Durante l’intervento chirurgico vengono suturati anche tutti i rami emergenti dalla sacca aneurismatica, come le arterie lombari, che altrimenti continuerebbero a gettare sangue nella dilatazione. 9 In un intervento di sostituzione di un aneurisma sottorenale, il clampaggio non pone problemi di ischemia agli arti inferiori (gli interventi durano solitamente meno di due ore, ma potrebbero anche richiedere più tempo; tutto dipende dalla situazione e dal chirurgo); il vero problema è la possibilità che si formi un trombo a valle del clampaggio, per via del ristagno di sangue. Per evitare questa evenienza si somministra eparina. Il rischio che insorga ischemia si fa più concreto quando l’aneurisma è sovrarenale (10% di tutti gli AAA), poiché i reni sono molto sensibili alla deprivazione di sangue, ma in questo caso è possibile costruire delle anastomosi per assicurare ai due organi un sufficiente apporto ematico collaterale. Quindi, se si interviene sotto le arterie renali si ha più tempo prima che insorga l’ischemia. È molto importante che venga scelta una protesi con appropriato calibro durante l’intervento, perché qualora risultasse troppo corta andrebbe a tirare l’arteria, qualora fosse troppo lunga, rischierebbe di chiudersi verso l’interno poiché la parete rimane lassa. Ulteriori accorgimenti dovrebbero essere presi nei confronti dell’uretere, il quale passa a cavallo della biforcazione iliaca, dunque, con la protesi si deve prestare attenzione a passare sotto ad esso, perché nel caso ci si dovesse passare sopra, l’uretere verrebbe schiacciato. Il trattamento degli AAA ha una mortalità che in elezione va dallo 0 al 3%, mentre in urgenza si raggiungono valori tra il 33 e il 75%. La sopravvivenza a 5 anni è del 60%. Tra le complicanze si annoverano l’ischemia midollare (0-11%), l’insufficienza respiratoria (8-27%) e l’insufficienza renale (0-9%). Chirurgia endovascolare (endoaneurismectomia) Il trattamento endoaortico o endovascolare (endovascular aneurysm repair, EVAR) è stato inventato dal chirurgo Juan Parodi nel 1991. Questa tecnica è molto meno invasiva di quella chirurgica, visto che richiede solo due incisioni a livello inguinale e l’anestesia locale, mentre l’intervento in laparotomia si fa sotto anestesia generale. Inoltre, dopo l’EVAR il paziente può essere dimesso nel giro di un paio di giorni, mentre con l’intervento tradizionale bisogna attendere almeno una settimana, velocizzando i tempi di recupero del paziente e allo stesso tempo riducendo la durata dell’ospedalizzazione. La tecnica endovascolare ha inoltre tassi di morbilità e mortalità inferiori rispetto alla tecnica tradizionale. Con la tecnica endovascolare dalle arterie femorali, per via retrograda con guida e cateteri, si porta una endoprotesi nei vasi, che tramite sistemi di adesione e aggancio, legherà le zone di colletto. Per questo è necessario avere prima una TC: per poter avere le misure della protesi da utilizzare. Esistono delle endoprotesi fenestrate che permettono di ricostruire parzialmente anche le arterie renali, qualora queste fossero coinvolte. La metodica si basa sulla possibilità di inserire all’interno dell’aneurisma, tipicamente attraverso un approccio combinato bilaterale, i due o più componenti dell’endoprotesi che si trovano compressi all’interno 10 di una guaina e che possono essere espansi fino alle loro dimensioni nominali una volta fatti risalire nella posizione pianificata all’interno dell’aneurisma: l’espansione può avvenire o automaticamente, sfruttando specifiche leghe metalliche, oppure mediante “pallonamento”, tecnica che consiste nel gonfiare un palloncino collegato al catetere, fino a 20 atmosfere circa. L’endoprotesi è una impalcatura di metallo con un rivestimento impermeabile (stent graft), in modo che il sangue passi all’interno della aorta, spingendo sulla protesi, ma non sulla parete dell’aneurisma, impedendone la crescita. (Da dispensa) In fase preoperatoria il paziente viene posizionamento supino. Dopodiché: 1. Viene inserita una guida all’interno dell’aorta, fin dentro l’arco aortico (serve solamente per stabilizzare la struttura, non dobbiamo intervenire sull’aorta toracica); 2. Si inserisce un introduttore a partire dall’incisione percutanea praticata in una delle due arterie femorali. Esso permette prima ad un filo guida di raggiungere il sito di rilascio, e poi, allargando il foro d’ingresso, al catetere dotato di protesi di raggiungere la stessa posizione sfruttando il precedente; 3. L’endoprotesi, ancora non espansa e avvolta nel suo involucro, viene quindi inserita, in senso retrogrado, nell’arteria e fatta “navigare” lungo l’arteria iliaca, spinta nell’aorta, e posizionata dove, all’incirca, si ritiene ci sia l’aneurisma (questo viene stabilito prima con una TC per mezzo della quale è possibile definire la grandezza della protesi, si parla di protesi fenestrate, non standard, se l’aneurisma coinvolge biforcazioni, come per es. le arterie renali); 4. Viene eseguita una angiografia per verificare che tutto sia andato a buon fine, che la protesi sia correttamente in situ, e che le pareti non siano state lesionate dalla procedura. Molto importante è anche osservare che la protesi non vada ad occludere, una volta aperta, le due arterie renali che si sviluppano in posizione limitrofa all’aneurisma: altrimenti si rischia di bloccare l’afflusso ai reni e conseguente insufficienza renale; 5. Il primo componente della protesi modulare è quindi in situ, viene fatto espandere e aderire alla parete aortica mediante dei piccoli uncini. La procedura per un lato è completata; 6. A questo punto si incanala, mediante la stessa procedura, la restante componente di protesi dall’arteria femorale controlaterale. Questo catetere è dotato di curve adattate all’anatomia vascolare del paziente, inoltre evidenzia dove è posizionato l’altro pezzo della protesi; 11 7. Si fa arrivare in situ il modulo controlaterale facendo attenzione che la sua porzione distale arrivi appena al di sopra dell’arteria iliaca interna omolaterale, viene fatto espandere e aderire alla parete arteriosa, agganciandolo a quello precedentemente inserito. Vi sono tutta una serie di marker atti a consentire il perfetto combaciamento delle parti; 8. Viene completata l’apertura del primo modulo inserito, in modo tale che anche questo arrivi a combaciare con l’inizio dell’arteria iliaca interna. La protesi è dotata di una parte comune, una parte sub- iliaca ed una parte definita cancello, la controlaterale appunto; 9. Infine, si procede al gonfiaggio di un palloncino nei punti in cui la protesi viene a contatto con le pareti aortiche ed iliache, in modo tale da garantire una perfetta adesione alle pareti, e quindi una tenuta stagna, evitando che il sangue possa reimmettersi all’interno della sacca aneurismatica. Quella appena descritta è la versione odierna del trattamento. D: non c’è il rischio che si muova l’endoprotesi? R: si, per questo, è importante ottenere una TC preoperatoria, per valutare i colletti sui quali la protesi dovrà rimanere ancorata per limitarne i movimenti. Nel caso in cui la protesi non fosse adesa a zone adatte per mantenerla fissa, questa potrebbe staccarsi e migrare. Se i colletti non dovessero andare bene, si creano delle endoprotesi personalizzate che permettano di coinvolgere una porzione sana maggiore. Non esiste un trattamento migliore dell’altra, ma esiste un trattamento migliore dell’altro per il paziente. Globalmente però si è osservato che il trattamento endovascolare porta a una riduzione della mortalità e morbilità peri operatoria. 2.ANEURISMA DELL’AORTA TORACICA (AAT) DEFINIZIONE: Dilatazione permanente dell’arteria che supera il 50% del suo diametro normale. Si parla di aneurisma se il diametro dell’aorta toracica supera i 4cm, mentre nell’aorta addominale deve superare i 3,5 cm di diametro. EPIDEMIOLOGIA:  aneurismi aorta sottorenale (addominale) 75% dei casi, è l’aneurisma più frequente;  aorta toracica 20% degli aneurismi;  aorta toraco-addominale 5%. DISTRIBUZIONE  aorta ascendente coinvolta nel 50% dei casi (associata di solito ad un’insufficienza della valvola aortica);  arco aortico 10%, (dalla succlavia di sx in giù) zona grigia, in cui viene eseguito il trattamento cardiochirurgico o chirurgico vascolare in base al profilo di rischio del pz.;  aorta toracica discendente nel 40%. EZIOPATOGENESI:  Patologia degenerativa nella maggioranza dei casi: aterosclerosi, medionecrosi 12  Sindromi congenite associate a degenerazioni del collagene: Marfan, Ehler-Danlos. Spesso i pz. che soffrono di queste sindromi sono molto giovani e possono presentare anche una dissecazione aortica (lesione della parete aortica in cui si forma un falso lume, oltre al vero lume) che può portare ad ischemia acuta/ degenerazione aneurismatica acuta o rottura dell’aorta; le dissecazioni sono classificate in base alla sede della lesione.  Patologie infiammatorie: Aortite a cellule giganti (più frequenti nelle donne e nelle popolazioni orientali), Takayasu  Patologie infettive (sempre più rare): sifilide, tubercolosi  Traumi: sono frequenti le “lesioni da cintura di sicurezza” (negli incidenti stradali si ha importante accelerazione associata ad una decelerazione improvvisa, l’aorta solitamente si rompe a livello dell’istmo dell’aorta, zona di passaggio tra l’arco aortico e aorta toracica) Classificazione anatomo-patologica dissecazione aortica: Secondo Stanford University:  Tipo A (origine dissecazione AT ascendente) trattamento cardiochirurgico  Tipo B (origine AT discendente) trattamento chirurgico vascolare Altra classificazione non citata dal prof, classificazione Di Bakey:  Tipo I (AT ascendente, arco AT discendente, addominale) (26%)  Tipo II (AT ascendente) (11%)  Tipo III (a: AT discendente, b: AT discendente, aorta addominale) TC aneurisma aorta toracica: ricostruzione coronale della TC, aorta toracica discendente molto dilatata Morfologia: sacciforme/ fusiforme Sede: aorta ascendente/ arco aortico/ aorta toracica discendente STORIA NATURALE Crescita irreversibile con un incremento medio: 0,3 – 0,5 cm per anno, più grande è l’aneurisma tanto maggiore sarà l’incremento dimensionale annuo e quindi il rischio di rottura (proporzionale, quindi, al diametro di partenza dell’aneurisma).  Aneurisma < 5 cm: rischio di rottura basso  Aneurisma > 6 cm: rischio di rottura alto (31%) ed è indicato l’intervento chirurgico 13  Aneurisma > 7cm: incremento verticale del rischio (grafico)  Aneurisma 8 cm: 50% rischio di rottura nel corso di un anno e morte CLINICA  Asintomatici nella maggior parte dei casi  Sintomatici: nel caso di complicazione dell’aneurisma, sintomi aspecifici o Dolore nel caso di rottura (i dolori aortici hanno un quadro di dolore acuto toracico/addominale posteriore) o Tosse o Disfonia (se irrita il nervo ricorrente) o Disfagia (se comprime l’esofago) o Compressione bronchiale e dispnea (ad esempio per neoplasie del torace) DIAGNOSTICA Esami strumentali: Uno dei pochi casi in cui non si fa eco-color-doppler (si basa sugli ultrasuoni e le ossa e le calcificazioni schermano le onde)  RX diretto del torace (non si vede l’aneurisma, ma un’area più opaca, calcificazioni nell’aorta, un adattamento del mediastino o un’ombra cardiaca grande e quindi si sospetta l’aneurisma)  Angio TC è il gold standard per l’aneurisma (si usa il mezzo di contrasto nella TC toraco-addominale)  Angio RMN, più costosa e necessita tempi più lunghi (1h e mezza)  Arteriografia (si punge l’arteria e si inietta il mezzo di contrasto e grazie alle radiazioni si vede il calco negativo dell’arteria, quindi il vero lume) è un esame intraprocedurale, usato durante l’operazione, non è più usato a scopo diagnostico  Eco transesofageo, esame intraoperatorio (si inserisce una sonda in esofago per osservare l’aorta) TERAPIA La prima cosa da fare è capire quando fare il trattamento  AAT rotto si interviene in emergenza  in elezione si fa una valutazione morfologica dell’aneurisma, indicazione al trattamento se o diametro > 6 cm o diametro < 6 cm solo se l’aneurisma:  cresce rapidamente (accrescimento annuo > 1 cm),  se si ha dissecazione/Marfan,  se si ha una rottura tamponata o blister,  se il pz. ha sintomi (tosse/disfagia). Chirurgia convenzionale: TORACOTOMIA 1. Il pz si trova in decubito laterale dx, 2. si apre il torace, 14 3. si esclude il polmone sx dalla ventilazione (intubando selettivamente il polmone dx), 4. si sgonfia il polmone e si apre la pleura parietale per raggiungere l’aorta toracica. 5. Si mettono clamp sopra e sotto l’aneurisma, chiudendo la circolazione toracica a questo livello 6. si sutura una protesi sintetica che andrà a sostituire il tratto di aorta malato a livello dell’aneurisma. Complicazioni Si avrà:  stress cardiopolmonare perché clampando l’aorta il cuore pompa solo sui tronchi sovraortici; quindi, si avrà un aumento improvviso delle resistenze per il cuore.  Danno da ischemia/riperfusione di tutto ciò che si trova sotto al clamp. Per ovviare a questo stress si usano dei bypass come il bypass axillo-femorale (si prende il sangue a monte del clamp e lo si porta distalmente, incannulando ad esempio, un atrio o un’arteria ascellare e facendo un collegamento con l’arteria femorale, permettendo al sangue di raggiungere gli arti inferiori e gli organi splancnici). Il post-operatorio non sarà facile per il pz., dato che avrà dolore al torace e dovrà riprendere a respirare, il suo cuore inoltre avrà subito un sovraccarico. Slide:  Mortalità perioperatoria: 7 – 12%  Sopravvivenza a 5 anni: 60%  Complicanze: Ischemia midollare 0 – 11%, insuff. Respiratoria 8 – 27%, insuff. Renale 0 – 9% Endovascolare (mininvasivo) Tecnica che è nata come piano B in pz ad alto rischio, ma oggi è diventata la prima scelta terapeutica. Si inizia con la valutazione anatomica sulla base della TC, poi usando un accesso femorale per via retrograda, attraverso dei palloncini che si dilatano, si rilascia un’endoprotesi che si ancora dall’interno alle zone sane (colletti) dell’aorta sopra e sotto l’aneurisma. L’intervento può essere anche percutaneo (senza taglio chirurgico); prevede di risalire lungo il vaso attraverso dei cateteri e facendo un’arteriografia (mezzo di contrasto nell’aorta) si cerca la zona sana a monte dell’aneurisma (ovvero il colletto prossimale) e la zona a valle (colletto distale) e si inseriscono le protesi. A volte vengono usate più protesi se l’aneurisma è molto lungo (bisogna stare attenti a non occludere il tripode celiaco o la succlavia sx per non causare ischemie). Vantaggi: Ridotta invasività (anche in anestesia locale senza taglio chirurgico), riduzione tempi di ospedalizzazione, tempi di recupero più rapidi per il pz., minor morbilità/mortalità immediata. Risultati:  Successo tecnico: 95/100%  Mortalità perioperatoria:0-8% Complicanze:  Ischemia midollare: 2-4%  Endoleak: 0-25%  Migrazione dei graft:0-4% 15 Domanda: uso della tecnica Elephant Trunk nel trattamento dell’aneurisma dell’arco aortico. R: La tecnica Elephant Trunk è una tecnica impiegata nella sostituzione dell’arco aortico e del tratto toracico discendente. Per gli interventi agli aneurismi dell’arco aortico, nei pz. che non hanno la morfologia per essere trattati con terapia endovascolare e giovani si esegue una sostituzione chirurgica dello stesso. In un primo momento si fa una sostituzione dell’arco, ma essendo questa una operazione frontale, sarà difficile trattare anche la porzione toraco addominale inferiormente. Per questo motivo, la volta dopo, quando sarà necessario operare inferiormente, il chirurgo si troverà una protesi con una porzione “penzolante” inferiormente (che non sta escludendo l’aneurisma, che non è ancora considerato risolto) da sfruttare come colletto prossimale a cui agganciarsi. Ad oggi più che la tecnica Elephant Trunk, si usa la tecnica Frozen Elephant Trunk, appena descritta. 3.ANEURISMI TORACO-ADDOMINALI Coinvolgono contemporaneamente l’aorta toracica e l’aorta addominale, rappresentano gli aneurismi più estesi e richiedono interventi più invasivi (con problematiche post-operatorie più importanti). Sono il 5% di tutti gli aneurismi Classificazioni I chirurghi americani Safi e Coselli hanno classificato gli aneurismi toraco addominali in base all’estensione in 4 tipi, riportati nell’immagine (da non imparare).  Tipo 1= dalla succlavia all’arteria renale  Tipo 2= la più estesa e quindi associata a maggiore mortalità post-operatoria  Tipo 3 e 4 TRATTAMENTO Trattamento chirurgico: Il pz. si trova steso sul fianco dx per poter incidere a sx. Si effettua un unico taglio con apertura di torace, addome e diaframma (da sotto la scapola fino all’ombelico) ovvero una toraco-freno-laparotomia, con approccio retroperitoneale e non trans-peritoneale come nell’aorta addominale. Le complicazioni saranno: 16  Esteso trauma chirurgico e forte dolore toracico (il pz può faticare a respirare già che è stato aperto il torace e il diaframma).  Importante stress cardio-respiratorio (per il clampaggio dell’aorta toracica)  Elevato rischio di ischemia renale ed intestinale (coinvolgendo l’addome sarà necessario ricostruire anche le arterie splancniche tramite reimpianti, bypass, etc.)  Elevato rischio di ischemia midollare (ischemia del midollo spinale) perché dall’aorta partono le arterie segmentarie posteriormente, che irrorano la porzione anteriore del midollo spinale. Un trauma chirurgico o endovascolare così esteso può portare a un sacrificio vascolare nella porzione anteriore. Nella sostituzione di un aneurisma toraco addominale di tipo 2, il midollo spinale può perdere una serie di arterie semgmentarie, rischiando l’ischemia midollare, che 9 volte su 10 si associa alla morte del pz. e si può manifestare con vari gradi: o dalla perdita di forza e sensibilità di un arto o grado massimo, che è la paraplegia completa associata a turbe sfinteriali importanti che portano alla perdita di continenza fecale e della funzionalità escretiva della vescica (sedia a rotelle + catetere e incontinenza a vita). Prevenzione di ischemia midollare:  Drenaggio liquorale con un catetere nella schiena a livello midollare (tra gli spazi intervertebrali L3-L4) che misura la pressione endoliquorale. La pressione arteriosa nel midollo è data dalla pressione arteriosa meno la pressione endomidollare. Se il midollo ha una sofferenza schemica, la P endoliquorale sale e così il rapporto tra il sangue che arriva e la P endoliquorale (che sale) si riduce e di conseguenza si avrà ancora più ischemia.Il drenaggio endoliquorale permette di controllare la P, e quando si osserva che questa sta salendo, si aspirerà il liquor (per abbassare ) in modo che il rapporto tra sangue che ariva e P si rialzi.  Reimpianto arterie Intercostali (si esegue un opercolo posteriormente alla protesi e si attacca la parete posteriore dell’aorta con le emergenze delle intercostali alla protesi. Essendo questa parete aortica aneurismatica, e quindi malata, nel tempo potrà presentare rischi e problemi)  Clampaggi seriati  Perfusione distale  Ipotermia  Agenti farmacologici (prostaglandine) Storicamente il rischio ischemia midollare veniva riportato in seguito alla perdita dell’arteria di Adamkiewicz (reticolare magna). Il rischio in realtà aumenta in proporzione al numero di arterie perse. 17 Trattamento endovascolare ha abbattuto in maniera importante i rischi di complicazioni. Chirurgia tecnologicamente avanzata, trattamento totalmente percutaneo. Si effettuano solo 3 taglietti: due all’inguine e uno al braccio. Dopo qualche giorno dall’intervento il pz può già riprendere le sue attività quotidiane (col trattamento tradizionale si aveva una degenza anche di mesi).  No ischemia cardiaca  No ischemia intestinale  No paraplegia  Dimissione V giornata Procedura Si inserisce un tubo che si attacca alla zona superiore e alla zona inferiore rispetto all’aneurisma, escludendolo. Il problema è che l’aneurisma coinvolge le arterie che portano il sangue a milza/intestino/reni; quindi, bisogna usare un’endoprotesi che a livello dell’emergenza dei vasi viscerali abbia delle finestre o brecce (protuberanze, rami) ad esempio per il tripode/arteria mesenterica superiore/arterie renali, che permettano il passaggio del sangue agli organi. Le protesi sono progettate su misura per il pz osservando la TC. Queste protesi con finestre non vengono fatte per le arterie segmentarie per questione di grandezza (sono arterie troppo piccole, del diametro di 2mm)per cui è fisicamente impossibile farci uno stent; ma si può intervenire in più tempi, ovvero trattare l’aneurisma lasciando inizialmente una piccola perdita nella sacca, in modo tale da perfondere le arterie segmentarie per un po’ di tempo in maniera ridotta, in modo che il midollo si abitui ad una situazione di sofferenza ischemica e sviluppi dei circoli collaterali posteriori (dai muscoli posteriori/ dalla succlavia e dalle arterie ipogastriche). Il midollo spinale è infatti vascolarizzato sia anteriormente che posteriormente, eliminando la perfusione anteriore gradualmente, si avrà una maggiore attivazione di quella posteriore 4.INSUFFICIENZA CEREBRO-VASCOLARE Le patologie che interessano la chirurgia vascolare sono di 2 tipi: 1) dilatative: aneurismatiche 2) ostruttive: acute o croniche 18 DEFINIZIONE L’insufficienza cerebro vascolare è un quadro patologico caratterizzato da un ridotto (o assente) apporto del flusso ematico al parenchima cerebrale. EPIDEMIOLOGIA Così come l’arteriopatia ostruttiva periferica e gli aneurismi, si associa all’aterosclerosi, quindi il profilo di rischio del paziente è lo stesso. La base è arteriosclerotica e quindi l’incidenza, i fattori di rischio e la causa sono sovrapponibili in queste patologie. Tra le condizioni di insufficienza cerebro-vascolare vi è l’ictus, ovvero l’infarto cerebrale, che ha una prevalenza dello 0.2% annuo e rappresenta la terza causa di morte nei paesi occidentali. VASCOLARIZZAZIONE CEREBRALE Ci sono 2 vascolarizzazioni:  circolo carotideo (anteriormente): arco aortico  tronco brachiocefalico (solo a dx)  carotide comune  a C4 o carotide interna: ha una porzione extracranica e una porzione intracranica (ricordare che il primo ramo della carotide interna è l’arteria oftalmica, responsabile dei sintomi oculari) o carotide esterna: per il massiccio facciale  circolo vertebro-basilare (posteriormente): arco aortico  tronco brachiocefalico (a dx)  succlavia  vertebrale (prende questo nome perché decorre nei fori trasversi delle vertebre cervicali)  basilare I 2 circoli a livello del parenchima cerebrale sono in comunicazione tra di loro nel poligono di Willis, che permette di compensare eventuali ostruzioni o clampaggi (durante procedure chirurgiche). Ostruzioni dell’arteria basilare sono spesso fatali. Le patologie a carico del sistema vertebro-basilare sono più rare rispetto a quelle a carico del sistema carotideo. EZIOPATOGENESI L’eziopatogenesi è data:  nella maggior parte dei casi dalla patologia aterosclerotica, che crea un restringimento del vaso, quindi una lesione steno-ostruttiva a livello dei TSA (tronchi sovra-aortici, che sono carotidi e succlavia). La differenza tra stenosi e occlusione è che nella stenosi si ha solo un restringimento, invece nell’occlusione vi è assenza di flusso perché il lume non è più aperto. Dal punto di vista clinico e terapeutico, a livello cerebro-vascolare, sulle stenosi ci si può lavorare, invece sull’occlusione è molto difficile, perché indica qualcosa che ormai è successo. Le lesioni steno-ostruttive in genere si sviluppano a livello delle biforcazioni dei vasi, dando sintomi diversi. Quindi: o nel distretto carotideo, la lesione steno-ostruttiva sarà localizzata a livello della biforcazione carotidea; o a livello della succlavia, la lesione steno-ostruttiva è localizzata all’origine della succlavia o all’altezza della biforcazione tra succlavia e arteria vertebrale. Le altre cause sono:  lesioni aneurismatiche dei TSA = la crescita dell’aneurisma causa un’apposizione di materiale trombotico che può embolizzare e quindi provocare una riduzione del flusso a valle (in base a dove si fermerà l’embolo) 19  malattie embolizzanti = la principale causa di un ictus ischemico cerebrale è l’embolia di origine cardiaca (fibrillazione atriale  il cuore si contrae male  non si hanno eiezioni efficaci  ristagno di sangue nel ventricolo  trombosi; quando la fibrillazione atriale passa  fuoriesce il materiale trombotico (embolo)  si ferma a livello dei TSA  icuts ischemico di natura cardio-embolica)  coagulopatie, emopatie = chi ha il sangue più viscoso, avrà un rischio maggiore di avere dei coaguli  malattie metaboliche  ipotensione arteriosa = pazienti con stenosi valvolare aortica severa oppure con una turba del ritmo avranno una gittata cardiaca bassa e quindi al cervello arriverà meno sangue. Queste sono più rare rispetto alla patologia steno-ostruttiva. Immagine angiografica della biforcazione carotidea in cui è possibile osservare la carotide comune, l’esterna e l’interna; l’esterna si riconosce dal fatto che ha una serie di collaterali. Il m.d.c. riempie il lume del vaso e si nota molto bene la stenosi (lume molto ridotto). Cause delle lesioni steno ostruttive dei TSA:  aterosclerosi, una delle varie forme di arteriosclerosi, e una condizione patologica che vede la formazione di una placca ateromasica, a livello della tonaca intima di un vaso arterioso, elastico o muscolare. Si tratta una patologia polidistrettuale, perciò numerosi pazienti con placca carotidea hanno anche una placca coronarica e sono cardiopatici.  displasia  malattia di Takayasu (Da Dispensa: arterite che colpisci i grossi vasi; e una rara vasculite che interessa l'aorta e i suoi rami, in particolare le arterie delle braccia e del capo; l’infiammazione della parete arteriosa provoca una riduzione del lume di grado variabile (stenosi) fino all'occlusione e conseguente riduzione del flusso sanguigno; dal momento che colpisce anche i vasi delle braccia e detta “malattia senza polsi”, perché il restringimento (si pensi allo sfigmomanometro), a questo livello, potrebbe essere tale da far sì che nel paziente l’onda sfigmica non sia più rilevabile.)  arteriti  traumi  Kinking (tortuosità molto marcata della carotide interna o della carotide comune, dovuta ad un processo di inginocchiamento del vaso con formazione di una singola ansa) e Coiling (giro completo di tortuosità, con un aspetto spiraliforme, dovuto alla formazione di anse consecutive su più piani): due conformazioni congenite che in rari casi possono determinare insufficienza cerebro-vascolare a causa della creazione di stenosi (kinking), rallentamenti del flusso e ristagno di sangue. (Il prof nomina sono l’aterosclerosi dicendo che le altre sono estremamente rare) Questo è ciò che normalmente i chirurghi vascolari tolgono da una carotide: placca aterosclerotica che, aumentando di volume, riduce il lume del vaso. PLACCA ATEROSCLEROTICA: STORIA NATURALE Quando si forma una placca aterosclerotica non è reversibile; correggendo i fattori di rischio la placca si può stabilizzare, altrimenti la placca continua a crescere e crescendo: 1) si può staccare  embolia 2) può ostruire totalmente il lume  ostruzione 20 Quindi la placca, per tutti i fattori di rischio e per le modificazione istologiche che si vengono a formare all’interno del vaso, continua a crescere (anche per fenomeni di neoangiogenesi) e questa crescita può complicarsi: 1) rottura della placca stessa = ulcerazione  tromboemolismo 2) ulteriore crescita con ostruzione del vaso, dovuta a trombosi 3) entrambi i fenomeni Fotografie di placce aterosclerotiche. Quando un placca si rompe e si ha un’embolia o una trombosi, la placca dà segno di sé in maniera sintomatica. Si ha una placca a livello delle biforcazioni dei vasi (questo è dovuto al flusso turbolento  maggiore stress sull’endotelio  formazione della prima lesione  accrescimento della placca):  biforcazione carotidea  emergenza dell’a. succlavia  a. anonima  emergenza dell’a. vertebrale La causa nel 90% dei casi è aterosclerotica e quindi i fattori di rischio saranno comuni all’aterosclerosi:  fumo  ipertensione arteriosa  diabete  alterazioni del metabolismo lipidico  età > 70 anni  obesità Con un paziente con più di 70 anni, forte fumatore, obeso, diabetico, con colesterolo alto va quindi fatto uno studio eco-color-doppler dei TSA per screennare la presenza di una patologia che è asintomatica nella maggior parte dei casi, finchè non si rompe la placca. Arrivare prima dei sintomi sarà fondamentale per avere dei risultati migliori nel trattamento, perché una volta che i sintomi si manifestano, il paziente avrà un ictus o delle forme più blande clinicamente, che potranno essere trattate in urgenza. Sono presenti 2 teorie nell’insufficienza cerebro-vascolare: 1) teoria embolica = ateroemboli e tromboemboli che originano per rottura o ulcerazione della placca aterosclerotica. Eventi molto comuni. 2) teoria emodinamica = placca che riduce il flusso del sangue perché occupa il lume del vaso. CLINICA Si distinguono lesioni dei TSA asintomatiche (la maggior parte) e lesioni sintomatiche. LESIONI DEI TSA SINTOMATICHE Bisogna ricordarsi dei diversi distretti e della vascolarizzazione: 21  problema sul distretto carotideo  sintomi da ictus (paziente che perde la forza di un braccio, funzionalità della gamba, della parola, della vista, ecc… “non perché è rincoglionito”)  problema sul distretto vertebro-basilare  alterazioni di equilibrio, della postura, delle forme sincopate, ecc… I sintomi dipendono dalla localizzazione della stenosi, quindi ci saranno:  sintomi carotidei (emisferi cerebrali): o amaurosi fugax = perdita momentanea della vista (il paziente riferisce che in pieno benessere vede una tendina nera che non gli fa vedere da un occhio per 1/2/3 min dopodichè passa e ritorna normale  indirizzarlo subito verso un percorso diagnostico- terapeutico veloce, perché può essere pre-ictus). In generale se un sintomo “viene e va” non è fisiologico: potrebbe ripresentarsi in maniera più estrema. o emiplegia, emiparesi = se è presente un problema carotideo, ci sarà anche un problema a livello della corteccia cerebrale e quindi di tipo motorio e sensitivo (ricordare l’incrocio: lesione carotidea sinistra  emiparesi ed emiplegia nell’emisoma destro) o afasia, disartria = problematiche nel linguaggio (di solito si associa alla carotide di sinistra) o alterazione della sensibilità = parestesia, anestesia, ecc…  sintomi vertebro-basilari (cervelletto e zona occipitale): o vertigine o scotomi o ronzii, diplopia o drop- attacks = cadute importanti dovute alla ipo-vascolarizzazione della parte posteriore Una volta localizzata la lesione, quindi una volta discriminati i sintomi in base a regioni carotidee e regione posteriore, sarà estremamente importante dare una temporalità a questi sintomi perché ci possono essere:  manifestazioni cliniche transitorie: TIA (attacchi ischemici transitori) che a loro volta si possono dividere in: o TIA normali (1 episodio solo) o TIA ripetuti (più episodi) o TIA ripetuti nell’arco di breve tempo in crescendo = in questo caso c’è una placca molto instabile che embolizza 1 volta, 2 volte, sempre di più che sta per far venire uno stroke (paziente da trattare in urgenza)  manifestazioni permanenti: stroke (ictus vero e proprio), si divide in base all’entità e in base ai problemi che rimangono in: o minor o major N.B. i sintomi che riguardano il TIA sono transitori, quelli che riguardano uno stroke sono permanenti.  decesso (terza causa di morte nei paesi occidentali) Il TIA è un campanello d’allarme per uno stroke, infatti chi ha un TIA frequentemente avrà uno stroke se non si fa niente. Quindi il fatto che il sintomo se ne sia andato è un bene, ma è anche un segno di una placca estremamente instabile che va trattata tempestivamente. In particolare 30- 50% dei pazienti con TIA sviluppa uno stroke entro 5 anni e il 75% dei pazienti con stroke ha nell’anamnesi un TIA DIAGNOSTICA Esame obiettivo:  presenza di soffi (latero-cervicale o sovraclaveare) a causa della stenosi  assenza del polso (radiale) dal lato della stenosi (della succlavia) a monte  differenza pressioria tra le 2 braccia  esame neurologico Esami strumentali, devono dare 2 importanti informazioni: 22  a livello cervicale (localizzazione della stenosi, forma della stenosi): o eco-color-doppler (primo livello) a) informazioni morfologiche della stenosi, quantificandola e dandole anche una qualità (superfici regolari, irregolari, ulcere, estensione, composizione soft/hard) b) informazioni sulla velocità (unico esame che ci può dare questa informazione): riesce a farlo andando a prendere la velocità del sangue in carotide comune (a monte della stenosi) e in carotide interna (a valle della stenosi); se la placca è molto grande  restringimento molto importante  lume ristretto  sangue molto veloce (superficie e velocità sono inversamente proporzionali per la conservazione della portata) Nel momento in cui si visita un pz. con una stenosi a livello dei TSA, si percepisce un soffio; inoltre si misurano i polsi, se questi vengono a mancare, si può sospettare una patologia steno-ostruttiva a monte. Questo si può identificare anche misurando la Pressione arteriosa in entrambe le braccia. o angio-TC (con m.d.c.) = è più precisa e più oggettiva (secondo livello), ma espone il paziente a radiazioni ionizzanti  si fa solo quando l’eco sottolinea la presenza di una malattia; si fa per studiare i TSA, ma anche il parenchima cerebrale (vedere punto 2) o Arteriografia TSA o Angio RM  a livello del parenchima cerebrale (stato del parenchima): o TC  importante perché bisogna sapere come sta il cervello a valle della stenosi (magari la placca ha embolizzato e quindi si troveranno delle lesioni cerebrali ischemiche silenti oppure delle lesioni associate) o RMN Associare sempre a una indagine locale, una indagine del parenchima cerebrale. TERAPIA Importante nelle discipline chirurgiche non è tanto come trattare una patologia, ma quando trattarle perché ogni atto che il chirurgo farà avrà sempre dei rischi associati. Ci sono 2 grossi filoni di terapia:  medica  chirurgica o convenzionale o endovascolare Questi 2 punti andranno a impattare sul paziente in base al tipo di lesione, a quanto è grande la stenosi o a quanti sintomi dà (stenosi piccola  farmaci // stenosi grande  trattamento chirurgico). I fattori che andranno a condizionare la scelta sono:  Clinica (stenosi sintomatica o asintomatica)  Morfologia della placca  Morfologia del parenchima cerebrale  Morfologia dell’arco aortico L’indicazione al trattamento si basa innanzitutto sul tipo di stenosi, può essere:  asintomatica o < 49%  trattamento medico o > 70%  trattamento chirurgico o Vi è una zona grigia tra il 50% e il 69% in cui il tipo di trattamento può variare in base a:  morfologia della stenosi  sintomi che dà (stabile o instabile)  se la placca è stabile si preferisce una terapia medica 23  se la placca è instabile, si preferisce una terapia chirurgica QUINDI: Sotto il 70% si opera solo se la placca è ulcerata o la stenosi ha dato dei segni di sé (quindi se ci sono sintomi). Sotto il 50 invece solitamente non si opera mai.  sintomatica o < 50%  trattamento medico o > 50%  trattamento chirurgico Domanda: la placca può essere instabile anche se la stenosi è sotto il 50%? Risposta: sono delle evenienze estremamente rare, infatti se la stenosi è sotto il 50% raramente è instabile; inoltre bisogna tenere in considerazione che quello che viene fatto a livello chirugico ha dei rischi instrinseci di provocare una lesione cerebrale, quindi bisogna sempre fare un bilancio rischio-beneficio. Il rischio operatorio di avere un ictus è dell’1%, una stenosi inferiore al 50% ha un rischio di dare una lesione cerebrale estremamente più bassa (paradossalmente è più probabile che l’ictus avvenga per colpa del chirurgo che della malattia). Con una stenosi sopra al 70% il rischio inizia a crescere in maniera esponenziale e quindi l’1% del chirurgo in questo caso conviene. Per quanto riguarda la terapia medica, essa consiste nello stabilizzare i fattori di rischio (abolire il fumo, controllare il diabete) + terapia anti-aggregante (cardioaspirina) + terapia ipolipemizzante (statina). Anche se il colesterolo è nella norma, le statine vanno fatte perché hanno il compito di abbassare il colesterolo, ma hanno anche un effetto anti-infiammatoria sulle placche aterosclerotiche e quindi stabilizzante (stoppano l’infammazione della placca e riducono il rischio di complicazioni). Il trattamento chirurgico convenzionale va fatto se riesce a mantenere dei livelli di successo clinico sotto le percentuali di rischio della malattia. Se si va a trattare un paziente asintomatico, il rischio di lesioni cerebrali da chirurgia deve essere molto più basso rispetto a quello per un paziente sintomatico. ENDOARTERECTOMIA CAROTIDEA L’intervento chirurgico tradizionale che si fa è un endoarterectomia carotidea: si ripulisce la carotide. Procedura: 1) incisione latero-cervicale 2) isolare la biforcazione carotidea e le 2 diramazioni 3) chiudere la carotide momentaneamente con dei clamp (il rischio di avere delle lesioni cerebrali dipende dal tempo di ischemia cerebrale1) 4) apire la carotide 5) inserire lo shunt 6) staccare la placca 7) togliere lo shunt (permette di garantire l’afflusso di sangue al cervello durante l’intervento) 8) ricucire la carotide con un patch (toppa che permettere di chiudere l’arteria senza restringerla) o con una sutura diretta TRATTAMENTO ENDOVASCOLARE Il trattamento chirurgico endovascolare, invece, è un trattamento più recente che nasce per ridurre l’invasività al paziente, ma è molto selezionato. Se in interventi sull’aorta (come visto nelle scorse lezioni) il trattamento è endovascolare nell’80% dei casi, a livello carotideo sono intorno al 20%. 1Il tempo di ischemia cerebrale non può essere infinito, quindi ciò che si fa è inserire all’interno della carotide un tubicino tra la comune e l’interna, cioè uno shunt che permette a carotide aperta e clampata di garantire l’afflusso di sangue al cervello durante l’intervento. 24 Quello che si fa è mettere uno stent sulla stenosi in modo da non eliminare la placca, ma schiacciarla a parete, tuttavia questo è pericoloso, infatti la placca può rompersi e può essere il chirurgo stesso a creare delle embolie. Procedura: 1) accesso femorale 2) ripercorrere in maniera retrogada le iliache e l’aorta 3) incanulare i TSA 4) effettuare uno stenting della biforcazione carotidea Dato che la placca potrebbe frammentarsi e creare un’embolia, si protegge il parenchima cerebrale da embolie procedurali: prima ancora di mettere lo stent carotideo si scende a valle della stenosi con un filtro (tipo un ombrellino) in modo che i frammenti della placca vengano trattenuti dal filtro. Una volta effettutata la procedura: 5) chiudere il filtro (si rincappuccia) 6) estrarre il filtro chiuso: in modo da poter recupere i frammenti della placca 7) In questo caso si parla di stent nudi o stent a doppia maglia, in quanto questo stent viene messo a cavallo della biforcazione carotidea e quindi è necessario proteggere il flusso di sangue anche a livello della carotide esterna. Commento immagini: angiografia procedurale (non diagnostica) della biforcazione carotidea in cui si vede molto bene la stenosi sulla carotide interna, successivamente si rilascia lo stent e alla fine si avrà il lume pervio. Da ricordare: il cut-off morfologico del trattamento è il 70% anche se la stenosi è asintomatica! Da slides: Placca ateromasica omogenea a superficie regolare - Assenza di segni di emorragia intraplacca, ulcerazione, apposizione trombotica - Stenosi in paziente con pregressa chirurgia del collo (collo ostile) - Stenosi alta - Stenosi post-attinica - Stenosi da displasia fibromuscolare - Ristenosi 25 5.ISCHEMIA ACUTA PERIFERICA Nella trattazione di questo argomento è importante focalizzarsi sulla parola acuta perché consente di differenziare le ischemie da quelle croniche, che hanno una clinica diversa. L’ischemia acuta è un processo che avviene istantaneamente e per questo rientra nelle emergenze chirurgiche. L’ischemia acuta è un’improvvisa e immediata riduzione della perfusione periferica di un arto, con conseguente potenziale minaccia di sopravvivenza dell’arto. Dunque, se non si agisce tempestivamente il rischio è la perdita di un arto. EZIOPATOGENESI Le cause dell’ischemia acuta sono tre: Embolia, provoca un’occlusione totale di un vaso che si chiude in maniera acuta, immediata e tutto ciò che c’è a valle va in ischemia. Trombosi, che può essere conseguente ad una rottura della placca aterosclerotica che porta all’occlusione del vaso. Dissecazione aortica È importante differenziarle perché ad una determinata causa corrisponde un determinato trattamento. 1.EMBOLIA L’embolia è caratterizzata dalla frammentazione di un qualcosa da un sito d’origine e che va in circolo. In genere l’embolo si ferma in corrispondenza di una biforcazione dei vasi e crea un’ischemia a valle. La causa più frequente di embolia è cardiaca. Il tipico soggetto interessato da un processo embolico è un paziente anziano (con età superiore agli ottanta), fibrillante e al quale viene sospesa la terapia anticoagulante. È importante andare a leggere l’anamnesi del paziente per comprendere se è fibrillante, se ha interrotto la terapia anticoagulante, se presenta un ritmo sinusale. La causa principale di un’embolia è un problema cardiaco che nella maggior parte dei casi è dovuto ad una fibrillazione o ad una patologia valvolare. Altre cause di embolia, meno frequenti, possono essere: Ateroma aorto-iliaco-femorale Aneurisma aorto-iliaco-femorale 2.TROMBOSI La trombosi è un processo patologico che si instaura su una placca aterosclerotica. Dopo essersi formata, la placca può continuare a crescere e complicarsi, aprendosi e occludendo totalmente il vaso. A differenza di un’embolia, che è una massa che viaggia e si ferma in un punto dove le arterie sono sane, la trombosi si sviluppare in arterie malate: la placca aterosclerotica si apre e si complica inducendo lo sviluppo di trombosi in un vaso già malato. È importante distinguere l’embolia dalla trombosi perché il trattamento applicato è diverso. In quest’immagine è visibile un’arteriografia di un’arteria femorale in cui è si può visualizzare come le placche aterosclerotiche riducono il flusso nel vaso. Questi sono vasi malati che si complicano che si complicano in maniera acuta con una trombosi. 26 3.DISSECAZIONE AORTICA Nella dissecazione aortica si forma una breccia, una soluzione di continuo nella tonaca intima (le arterie sono costituite da tre tonache concentriche: tonaca intima, media e avventizia) che porta il sangue ad infiltrarsi, causando uno scollamento delle pareti del vaso. Nella dissecazione aortica si ha un lume vero, dove il sangue fluisce normalmente e un lume falso, ovvero una via parallela che si viene a formare a causa della breccia presente nella tonaca intima. Il sangue scorre sia nel lume vero che pure nel lume falso, che riempendosi pressurizza, portando a: Rottura del lume verso l’esterno causando la morte del paziente per emorragia Eccessivo aumento di volume del falso lume dovuto al continuo fluire del sangue nel falso lume. L’aumento delle dimensioni del falso lume porta all’occlusione del lume vero del vaso per schiacciamento, che porta a un’ischemia acuta periferica. Il lume falso continua a pressurizzare perché il sangue non ha modo di uscire da esso. Solitamente la dissecazione aortica si può sviluppare in quei distretti dove la pressione è elevata (es. arco aortico); in un paziente ipertensivo o un paziente predisposto geneticamente a connettivopatie. RECAP sulla dissecazione aortica La dissecazione aortica è caratterizzata dalla presenza di due lumi paralleli. Il falso lume presenta uno scarico residuo e dunque il suo continuo riempimento fa si che si pressurizzi e si rigonfi schiacciando il vero lume. 27 Lo schiacciamento del vero lume comporta una riduzione del flusso causando un’ischemia. EPIDEMIOLOGIA E EZIOPATOGENESI Sesso maschile, Razza nera, Età > 40 aa Cause: o ipertensione o malattie degenerative della parete aortica (ats, MNC) o gravidanza o aortiti o coartazione aortica o traumi CLINICA Il paziente con ischemia acuta si presenta con: dolore alterazione colorito cute (cute pallida che dopo un po’ diventa cianotica) cute ipotermica alterazioni della sensibilità periferica (far chiudere gli occhi al pz. Toccargli gli arti e chiedete se percepisce dove viene toccato) alterazioni della motilità periferica Queste sono manifestazioni cliniche eclatanti. L’alterazione della motilità (il pz. non muove bene gli arti)è indice del fatto che si è in presenza di un’ischemia avanzata e che potrebbe essere irreversibile. In quest’immagine si visualizza la presenza di un’ischemia di natura cronica, riconoscibile dalla gangrena (un’ischemia acuta non fa in tempo a sviluppare la gangrena). La seguente tabella mette in evidenza i diversi gradi di ischemia. Category Description Capillary Muscle Sensory return weakness Loss Viable Not immediately Intact None None Threatened Threatened Salvageable if promptly treated Intact, slow Mild, Mild, partial incomplete Irreversible Major tissue loss, Absent Profound, Profound, amputation regardless of (Marbling) Paralysis anesthetic treatment (rigor) DIAGNOSTICA L’ischemia acuta è caratterizzata da un quadro clinico eclatante e la diagnosi di questa patologia si fa clinicamente. Gli esami strumentali sono utili per indirizzare il quadro terapeutico, ma la diagnosi avviene 28 istantaneamente grazie alla visione dei sintomi e dei segni. La diagnosi è doppia: diagnosi ischemia diagnosi eziologica La prima serve a definire se si tratta di ischemia (acuta o cronica) e viene effettuata tramite lo svolgimento dell’esame obiettivo. La seconda serve a definire la causa dell’ischemia, fondamentale per capire quale trattamento terapeutico applicare. ESAME OBIETTIVO Viene richiesto al paziente di rimuovere gli abiti. Si misura la temperatura dell’arto in questione e la si confronta con quella controlaterale Si vanno a sentire i polsi: se manca un polso, il problema è a monte (Es. Se il paziente non ha il polso femorale, l’arteria occlusa è l’iliaca). È importante andare a ricercare delle masse pulsanti, perché può essere indice di un aneurisma (ad esempio un aneurisma a livello popliteo che ha embolizzato). Bisogna analizzare anche la sensibilità e motilità. ANAMNESI Bisogna raccogliere un’anamnesi accurata perché può essere utile a definire la causa dell’ischemia. In particolare, è importante capire se il paziente è seguito da un cardiologo, se presenta patologie cardiache emboligene (fibrillazione o patologia valvolare), se presenta una valvola meccanica, se assume anticoagulanti e li ha sospesi in vista di un intervento. È utile ai fini diagnostici indagare la presenza nel paziente di claudicatio intermittens, ovvero se il paziente riferisce dei dolori legati alla deambulazione. Questo è indice del fatto che è presente un’aterosclerosi. Il fatto che il paziente presenti dolore durante la deambulazione consente di capire che la causa di ischemia è una trombosi istauratasi su una placca aterosclerotica. Quindi c’è una base di malattia cronica che si è scompensata in maniera acuta. Se il pz non ha polsi in entrambi gli arti è indice di una patologia generalizzata. ESAMI STRUMENTALI La diagnosi è clinica, ma gli esami strumentali sono utili per ampliare e definire in modo più accurato le conoscenze sul processo patologico in atto.  L’ecodoppler è l’esame che più facilmente può venire effettuato in ambulatorio e permette di vedere dove si trova l’eventuale occlusione di un’arteria. Ad esempio, l’assenza del polso popliteo in un paziente induce a ritenere che l’occlusione sia a livello dell’arteria femorale superficiale. Con l’ecodoppler è possibile visualizzare lo stato di pervietà dell’arteria o l’eventuale presenza di una placca aterosclerotica (se ci sono placche, si pensa a una trombosi, altrimenti si pensa a una embolia).  Arteriografia, permette di identificare la sede dell’ostruzione, la causa, il run off  AngioRNM, AngioTC permette di identificare la causa. Sintomi dissezione aortica Un paziente con una dissecazione aortica avrà un dolore toracico importante che si irradia lungo la schiena e viene descritto come una coltellata, una pugnalata. Questo dolore è spesso attribuito ad un infarto del miocardio, ma a volte può essere dovuto ad una dissezione aortica (infatti ECG e curva delle troponine saranno inalterate). 29 Il dolore toracico associato ad ipotermia di un arto e ad assenza di polsi rientra nel quadro clinico di una dissecazione aortica; sospetto clinico confermato con una TC toraco-addominale. La maggior parte delle ischemie acute che interessano gli arti superiori sono di origine embolica perché le trombosi delle succlavie sono eventi rari e solitamente interessano maggiormente le arterie degli arti inferiori. TERAPIA La terapia varia il base alla causa dell’ischemia, ma c’è un aspetto terapeutico comune a tutte e tre le cause: terapia di eparina in vena. N.B. EPARIZZAZIONE SISTEMICA va SEMPRE fatta! La somministrazione di eparina consente di evitare un ulteriore peggioramento della situazione perché è un anticoagulante; quindi, serve a rendere il sangue più fluido ed evitare che si creino altri coaguli, infatti chiudendo un vaso, se questo non ha la possibilità di scaricare, si può formare una trombosi ascendente che peggiora la situazione. In base alla causa il trattamento varia. I trattamenti principalmente sono due: endovascolare chirurgico convenzionale  Se la causa è embolica, viene effettuato un trattamento chirurgico (è un’occlusione focale di un vaso) immediato che andrà ad eliminare il tappo focale (trombo-embolectomia).  Se la causa è una trombosi, bisogna prima agire per via medica per eliminare il trombo, attuando terapia fibrinolitica per sciogliere il trombo (urochinasi), e solo successivamente si può intervenire chirurgicamente. Il trattamento della trombosi è quindi dato dall’associazione di una terapia medica e di una chirurgica.  Se la causa è la dissecazione aortica, è necessario risolvere chirurgicamente la breccia originaria che si è formata nella parete del vaso e che ha portato alla formazione del falso lume, compromettendo il vero lume. RIMOZIONE DELL’EMBOLO L’intervento per la rimozione di un embolo è caratterizzato da un’incisione in corrispondenza delle biforcazioni, punto dove si origina solitamente un embolo. Es: arto inferiore. La prima biforcazione che si trova negli arti inferiori è la biforcazione femorale (femorale comune e profonda). 1. Si isola l’arteria femorale e si fa un taglio che ne consente l’apertura. 2. In corrispondenza dell’apertura si introduce una sonda morbida che presenta all’estremità distale un palloncino (catetere di Fogarty). 3. Quando si sente la resistenza dell’embolo, del tappo, si forza un po’ in modo tale da superare l’embolo e infilzarlo. 4. Successivamente si gonfia il palloncino e si estrare l’embolo per via meccanica. TROMBOLISI Quando si ha una trombosi si ha lo sviluppo di un trombo sulla placca aterosclerotica. Tramite un catetere si infonde dentro l’arteria l’urochinasi che consente lo scioglimento a livello locale dei coaguli e successivamente il chirurgo risolve la stenosi o facendo un’angioplastica o facendo un bypass. 30 Questo farmaco è in grado di sciogliere i coaguli in tutto il corpo, e per questo risulta pericoloso in pz. operati da poco, particolarmente anziani o oncologici. Si esegue un taglio a livello dell’arteria interessata, si infonde urochinasi e si scioglie il trombo. Successivamente si ricanalizzano le arterie e si osserva a che livello siano presenti delle stenosi, che verranno poi trattate chirurgicamente. Obiettivi:  Ricanalizzare l’arteria  Riconoscere la causa della trombosi  Trattamento della lesione primitiva RICOSTRUZIONE DELLA BRECCIA Un tempo si faceva chirurgicamente, mentre oggi la terapia scelta è endovascolare: tramite un accesso femorale si porta un’endoprotesi in corrispondenza del foro in modo tale da chiuderlo. I vantaggi sono: Accesso percutaneo No clampaggio Emotrasfusione ed ospedalizzazione Durata della procedura 6.ARTERIOPATIA OSTRUTTIVA CRONICA PERIFERICA (AOCP) DEFINIZIONE L’AOCP fa parte delle patologie ischemiche croniche.  Arteriopatia: malattia a carico delle arterie,  Ostruttiva (o obliterante): porta a occlusione delle arterie,  Cronica: l’esordio non è improvviso come nell’ischemia acuta  Periferica: interessa le arterie periferiche, nella maggior parte dei casi arti inferiori e superiori L’AOCP porta come risultato finale ad una riduzione del circolo arterioso a valle. L’immagine a fianco mostra un’arteriografia di un’arteria femorale superficiale ostruita a metà del suo decorso. È possibile osservare la presenza di circoli collaterali, già presenti fisiologicamente, ma che si potenziano nel momento in cui si ha una ostruzione. Questo avviene perché l’ostruzione essendo cronica, porterà col tempo il vaso a ridurre il proprio lume fino alla completa ostruzione, e l’organismo per compensare ciò potenzierà i circoli collaterali. È quindi un meccanismo di compensazione: ciò che differenzia ischemie acute da ischemie croniche è il fatto che l’ischemia cronica è un’ischemia compensata. Nell’ischemia acuta c’è infatti un rischio imminente di perdita di sopravvivenza dell’arto, nell’occlusione cronica invece l’organismo cerca di compensare l’ostruzione. Tutto ciò si osserva anche 31 in base alla diversa sintomatologia che differenzia i due tipi di ischemia. EZIOLOGIA L’immagine riassume l’insorgenza dell’ostruzione per aterosclerosi: si instaura una placca, nel tempo la placca si complica con trombosi fino alla totale occlusione dell’arteria. Nell’immagine è visibile anche un reperto anatomico di un’arteria femorale superficiale con trombosi totale su placca, che causava un’ostruzione totale del vaso. Di seguito sono riportate le cause di arteriopatia ostruttiva cronica periferica  Aterosclerosi: è la causa più frequente. La maggioranza dei casi di AOPC ha base aterosclerotica  Compressione ab estrinseco: presenza di masse, cisti (es. nel ginocchio), lesioni neoplastiche  Arteriti, forme infiammatorie  Altro (casi molto rari) o Cisti avventiziali o Endofibrosi delle arterie Ad ogni modo la causa principale di AOCP è una placca di origine aterosclerotica, che inizialmente non altera la funzione emodinamica del vaso. L’evoluzione della placca aterosclerotica la porta a crescere fino a determinare una stenosi del vaso, se questa stenosi si complica, ad esempio per una trombosi su placca, evolve a ostruzione, che è un evento che occlude totalmente il vaso. Nelle arterie si potrà osservare un calco completo del vaso. È importante differenziare i tre stadi della malattia aterosclerotica: placca, stenosi e ostruzione, in quanto diversi tipi di lesioni determinano quadri clinici diversi. FATTORI DI RISCHIO I fattori di rischio sono comuni a quelli per l’aterosclerosi, che può colpire coronarie, arti inferiori e distretto carotideo. Più fattori di rischio presenti contemporaneamente portano ad un maggiore rischio di sviluppare malattia aterosclerotica.  Fumo: AOCP 4 volte più frequente nei fumatori, si sviluppa più precocemente (circa 10 aa prima), la gravità dell’AOCP è “direttamente correlata al numero di sigarette”  Diabete mellito: AOCP 2-4 volte più frequente nei diabetici  Alterazioni metabolismo lipidico: AOCP 2 volte più frequente  Iperomocisteinemia2  Predisposizione genetica  Insufficienza renale cronica: età>40 aa AOCP 24%  Ipertensione arteriosa: AOCP 2.5 volte più frequente negli uomini, 3.9 volte nelle donne3 SEDE L’AOCP, come fa intuire il nome stesso, è una patologia a carico delle arterie periferiche 2 Da internet: L'iperomocisteinemia è una condizione caratterizzata dall'aumento dei livelli di omocisteina, un amminoacido che costituisce un intermedio della via metabolica della metionina, altro amminoacido essenziale. 3 Dati integrati da slide per completezza, il professore riferisce che solo i fattori di rischio, e non le percentuali saranno oggetto d’esame 32 Cenni anatomici Vascolarizzazione degli arti inferiori. L’aorta addominale si divide in due arterie, le arterie iliache destra e sinistra, che trasportano sangue a livello degli arti. A livello addominale l’arteria iliaca comune si divide in ipogastrica ed esterna, l’arteria iliaca esterna invece raggiunge l’arto inferiore passando al di sotto del legamento inguinale. Le arterie infrainguinali, cioè a valle dell’inguine, sono l’arteria femorale comune, l’arteria femorale superficiale e l’arteria poplitea. L’arteria poplitea a livello del ginocchio si suddivide in arteria poplitea sovrarticolare, articolare, sottoarticolare A valle dell’arteria poplitea, ci sono le tre arterie tibiali: anteriore, posteriore e interossea (o peroniera), che portano sangue direttamente a livello del piede. A livello del piede giungono in maniera diretta l’arteria dorsale del piede e le arterie plantari, che sono la prosecuzione dell’arteria tibiale posteriore. Le arterie plantari determinano il polso retromalleolare, mentre l’arteria dorsale del piede determina il polso dorsale del piede. Se si dovesse occludere in maniera cronica l’arteria femorale superficiale, i circoli collaterali che derivano dalla femorale profonda si potenziano e cercano di compensare l’ostruzione. Esempi di lesioni steno ostruttive in diversi distretti anatomici STENOSI E OSTRUZIONE A LIVELLO ADDOMINALE Angiografia e TAC di stenosi e ostruzione a livello renale Osservando l’immagine sono visibili due tipi di lesioni: lesioni stenosanti e lesioni occlusive totali. Le lesioni stenosanti sono rappresentate da stenosi a livello dell’aorta prima della biforcazione. Nelle lesioni occlusive totali possiamo osservare invece occlusioni dell’aorta addominale sottorenale oppure si possono verificare occlusioni a livello dell’arteria renale, che prendono il nome di iuxta-renali. STENOSI E OSTRUZIONI A LIVELLO ILIACO Anche in questo caso possono essere presenti delle lesioni stenosanti oppure delle lesioni occlusive totali, discriminate dal fatto che sia possibile o meno osservare il lume del vaso, o una porzione di esso con le immagini diagnostiche strumentali. Osservando il caso dell’ostruzione completa è possibile osservare la completa occlusione dell’arteria femorale superficiale e dell’arteria poplitea. Immagine di angiografia e TAC delle arterie iliache con vari gradi di occlusione Nell’immagine è anche possibile notare la presenza di circoli collaterali che cercano di compensare l’ostruzione. CLINICA Il principale sintomo che differenzia l’ischemia acuta da quella cronica è il dolore. Se nell’ischemia acuta il dolore sarà improvviso nell’ischemia cronica invece il dolore non è acuto e improvviso, ma compare invece sotto sforzo, dopo che la richiesta di apporto ematico agli arti inferiori è aumentata per sostenere il movimento. Agli esordi dell’AOCP il pz. non lamenta dolore a riposo, potrebbe essere anche quasi asintomatico, ma lamenta dolore sotto sforzo, questo porta alla claudicatio intermittens, conosciuta anche come malattia delle vetrine; ovvero il pz. cammina per un tratto, prova dolore agli arti inferiori quindi si ferma e riparte, fino a fermarsi di nuovo dopo un altro tratto. 33 Da un punto di vista fisiopatologico la lesione steno-ostruttiva determina una riduzione della perfusione periferica, che nel tempo porterà poi ad un’ischemia. L’ischemia periferica è una malattia con una grande variazione di presentazioni cliniche: dall’asintomaticità alla claudicatio, al dolore a riposo, fino alla lesione cutanea. Ischemia periferica asintomatica e claudicatio intermittens. Se il quadro di steno-ostruzione è agli esordi e non avanzato il pz. può essere asintomatico, determinando un quadro di ischemia periferica asintomatica o paucisintomatica. Il pz. tipo affetto da AOCP è un pz. anziano, sedentario, probabilmente sovrappeso, che non fa attività fisica, e non facendo quindi sforzo fisico potrebbe anche non accorgersi della claudicatio intermittens. Ischemia periferica critica: lesione trofica e dolore a riposo Se la situazione progredisce e la stenosi peggiora, può presentarsi la claudicatio anche con sforzi minimi. Il quadro può poi ulteriormente peggiorare a tal punto che i circoli collaterali potenziati potrebbero non essere più sufficienti a sopperire alle richieste dell’arto anche a riposo, determinando la comparsa di sintomatologia dolorosa anche a riposo. Si parla di dolore a riposo, ed è un segno inequivocabile del grave peggioramento del quadro clinico, che deve allarmare il medico e far accelerare il percorso terapeutico. Un dettaglio molto importante che può riferire un pz. con AOCP con dolore a riposo è il dolore durante la notte che disturba anche il sonno. Di solito questo dolore migliora se il pz. posiziona l’arto “giù dal letto”, quindi perpendicolare al suolo, oppure dormendo seduto4. Questo perché in clinostatismo l’ischemia si scompensa, mentre la posizione ortostatica coadiuva il flusso arterioso. Il pz. in questo caso apparirà stremato dalla mancanza di sonno, oppure potrà presentare dei lividi o gonfiori, dovuti a delle cadute notturne se dorme da seduto. Se l’ischemia progredisce ulteriormente si inizieranno ad avere delle alterazioni del trofismo degli arti inferiori, come ulcere, ferite che non guariscono, e che possono peggiorare fino a portare ad una gangrena degli arti inferiori. L’ultimo stadio di questa malattia è la perdita dell’arto. La definizione ischemia critica, quindi, significa che il quadro clinico è peggiorato fino a mettere a rischio la vitalità dell’arto, ed è uno stadio per cui è indicato il trattamento chirurgico. CLASSIFICAZIONE CLINICA DEI SINTOMI Classificazione di Fontaine (esame)  STADIO I: asintomatico. La malattia è organicamente presente ma non dà segni clinici.  STADIO II: claudicatio intermittens, a sua volta suddiviso in stadio IIA e IIB a seconda di quanto è lungo l’intervallo libero di marcia prima che il dolore all’arto si ripresenti.  STADIO III: pz. con dolore a riposo.  STADIO IV: pz. con lesione trofica. (gli stadi III e IV rappresentano l’ischemia critica) 4 “Grande classico, si addormentano seduti e poi cadono in avanti e si spaccano la faccia” cit. 34 Queste immagini rappresentano le tipiche lesioni trofiche dei pz. con AOCP. È possibile osservare un quadro di ischemia cronica complicato con infezione, molto frequente nei pz. diabetici. È molto importante non confondere ischemia acuta con ischemia critica, che invece è un’ischemia cronica. Ad una prima osservazione non si troverà un pz. con un arto pallido, ma un pz. con un arto di temperatura normale, e che all’osservazione delle estremità presenta ulcere e lesioni. Il quadro ischemico critico, soprattutto nei pz. diabetici, può complicarsi con un quadro infettivo (non essendo perfuso, il sangue non può trasportare gli antibiotici alla sede dell’infezione), determinando una gangrena umida con materiale secernente. D: Un pz. con questo tipo di ulcere presenta dolore oppure le sue terminazioni nervose risultano danneggiate? R: Il pz. ha molto dolore, ha un dolore di tipo ischemico, a meno che il pz. non sia diabetico, e non sia affetto da neuropatia diabetica. Texas wound classification system (di Rutherford) A differenza della classificazione precedente, questa aggiunge altri dettagli, come la tipologia di lesione, la loro estensione, e la presenza o meno di infezioni.  STADIO A: presenza di lesione. Classificata con un grado in base alla sua estensione e profondità.  STADIO B: presenza di infezioni.  STADIO C: presenza di ischemia.  STADIO D: con infezione ed ischemia. Una lesione Texas III-D sarà una lesione molto estesa, fino all’osso o all’articolazione, complicata con infezione ed ischemia. Sara quindi un pz. con un rischio molto elevato di perdita dell’arto. (Da Dispensa:  Stadio 0: Asintomaticità;  Stadi 1-3: Claudicatio intermittens, la progressione numerica indica il grado di severità crescente della condizione. Lo stadio 3 indica una claudicatio intermittens definita disabilitante;  Stadio 4: Dolore a riposo;  Stadi 5-6 la presenza di lesioni trofiche. Quelle dello stadio 5 sono lesioni minori superficiali o che, al massimo, possono arrivare a richiedere l’amputazione di un dito o due. Quelle dello stadio 6 sono invece maggiori e richiedono trattamenti che devono sacrificare almeno più parti del piede.) 35 EPIDEMIOLOGIA Il pz. tipo dell’AOCP è un pz. adulto e anziano, l’età media di presentazione di questa patologia può abbassarsi solo in caso di diabete. Al crescere dell’età cresce l’incidenza della malattia, soprattutto per il quadro asintomatico. Non è infrequente che in un pz. di 75-80 anni sia difficile rinvenire il polso tibiale, perché l’arteria si presenta occlusa; non sono presenti sintomi ma la malattia è comunque presente. All’aumento dell’età poi corrisponde un aumento dell’incidenza dei sintomi. Diagramma relativo ai sintomi: al crescere delle fasce d’età, cresce in maniera esponenziale la prevalenza dei sintomi L’AOCP è una malattia cronica e progressiva, e la sua storia naturale implica che il pz. debba confrontarsi con il rischio di amputazione d’arto. Gli interventi sono finalizzati al salvataggio dell’arto, ma le percentuali dimostrano che 1 pz. su 4 con questa patologia perderà l’arto. D: Il pz. va incontro ad amputazione d’arto nonostante l’intervento del medico? R: Sì, nonostante gli interventi medici 1 pz. su 4 con AOCP va incontro a perdita d’arto Secondo le percentuali il 50% dei pz. con AOCP andrà incontro a rivascolarizzazione; il 25 %dei pz. invece è mantenuto grazie ad una terapia medica negli stadi tra l’asintomaticità e la claudicatio, e un altro 25% di pz. perderà l’arto. È un rischio che va chiarito fin da subito al pz., anche per sensibilizzarlo a tenere sotto controllo i fattori di rischio, soprattutto nel caso di un pz. poco attento alla propria salute, che fuma e non fa esercizio fisico. Siccome la causa delle malattie ai vasi è quasi sempre la stessa, ovvero l’aterosclerosi, la malattia delle arterie è una malattia generalizzata. Se prendiamo il caso di un pz. che viene operato quando insorge dolore a riposo, non si esclude che dopo qualche anno possa tornare dal medico perché la malattia è comparsa nell’arto controlaterale, oppure per una stenosi carotidea, oppure

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