Biologia Cellulare Completo PDF
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Prof. Mara Biasin
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Questo documento fornisce una panoramica della biologia cellulare, concentrandosi sulle cellule eucariote e sui loro organelli. Viene spiegato il ruolo delle membrane cellulari nel compartimentalizzare funzioni e guidare il traffico di molecole, e vengono descritte tecniche di separazione degli organelli, come la centrifugazione differenziale e in gradiente di densità. Il documento esplora anche il nucleo e il trasporto nucleare di molecole, includendo i segnali di localizzazione nucleari (NLS) e la GTPasi Ran.
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BIOLOGIA CELLULARE Prof. Mara Biasin Ci occuperemo principalmente della cellula eucariote, che differisce da quella procariote soprattutto per la compartimentalizzazione delle sue diverse funzioni in spazi precisi all’interno del citoplasma – gli o...
BIOLOGIA CELLULARE Prof. Mara Biasin Ci occuperemo principalmente della cellula eucariote, che differisce da quella procariote soprattutto per la compartimentalizzazione delle sue diverse funzioni in spazi precisi all’interno del citoplasma – gli organelli e il nucleo – in quanto il suo motto è l’organizzazione del lavoro. Fondamentali in questo senso sono le membrane: simili a fogli di spessore di 6-10 nm, sono costituite da lipidi e proteine, non presentano legami covalenti tra le molecole che le compongono e sono per questo fluide, oltre che asimmetriche (hanno caratteristiche diverse a seconda dei domini). Sono superfici di separazione tra compartimenti che definiscono i confini esterni di cellule e organelli e regolano il traffico di molecole e ioni attraverso essi, di riconoscimento come recettori per ormoni e catalitiche per specifiche reazioni. La loro composizione proteica è più variabile di quella lipidica: in particolare le glicoproteine sono molto numerose sulle membrane plasmatiche, dove costituiscono il glicocalice, mentre sono raramente presenti sulle membrane degli organelli. Il citoplasma è la porzione interna della cellula che non è occupata dal nucleo (protoplasma – nucleoplasma) ed è costituita dagli organuli cellulari, ovvero strutture endocellulari rivestite da membrana e con specifiche funzioni, e dal citosol in cui essi sono dispersi, ovvero una sostanza semifluida permeata dal citoscheletro (intricata struttura tridimensionale di filamenti proteici interconnessi che conferisce proprietà meccaniche alla cellula) che ospita numerose reazioni come la sintesi di proteine e lipidi e le prime tappe della respirazione cellulare. Lo stesso corredo di organelli si osserva in cellule anche molto diverse fra loro, sia morfologicamente che funzionalmente, ma diversi tipi cellulari sono caratterizzati da diversa morfologia, dislocazione e relativa abbondanza dei diversi organelli. Per eseguire un saggio funzionale dei vari organelli bisogna in primo luogo separare le cellule: con la digestione enzimatica otteniamo frammenti di tessuto, ed eliminata la matrice ho le singole cellule, che posso rompere o con suoni ad alta frequenza o con solventi per costituire un omogenato di organelli. Questi vengono separati o per criteri dimensionali o per centrifugazione, distinta in: Centrifugazione differenziale ripetuta dell’omogenato con velocità crescente e tempi più lunghi: le particelle precipitano con una velocità funzione della loro densità e dimensione (+ grandi e dense sedimentano + in fretta). Si separa poi il surnatante che non si è depositato dal pellet sedimentato e lo si centrifuga nuovamente fino ad ottenere diverse frazioni con sedimenti diversi: precipitano infatti prima cellule intere, nuclei e citoscheletri, poi mitocondri, lisosomi e perossisomi, poi i microsomi (aggregati membranosi rappresentativi di Re, Golgi e membrana plasmatica) e altre vescicole e infine ribosomi, virus e grandi macromolecole. La costante di sedimentazione (misurata in Svedberg – 1S = 10-13 s) è una misura di quanto rapidamente sedimenti la particella quando viene centrifugata, tramite cui è possibile esprimere la dimensione relativa di un organello o di una macromolecola. Centrifugazione in gradiente di densità (sedimentazione all’equilibrio) dell’omogenato posto al di sopra di un gradiente di densità di saccarosio o cloruro di cesio con densità crescente verso il fondo della provetta: dopo la centrifugazione si hanno zone a densità crescente stratificate secondo gradiente in quanto gli organelli sedimentano in bande, posizionandosi dove la loro densità è la medesima del mezzo circostante sfruttando l’equilibrio tra forza di gravità e di Archimede. Tecnica utilizzata per separare le componenti del sangue in gradiente Ficoll-Paque PLUS (es. PDMC – Placenta-Derived Multipotent Cells; 3 strati con plasma, poi linfociti, monociti e piastrine e poi granulociti ed eritrociti). NUCLEO Occupa una parte cospicua della cellula e si pone in zone variabili a seconda della funzione. È la principale differenza tra procarioti ed eucarioti in quanto contiene e protegge il materiale genetico della cellula con la doppia membrana dell’involucro nucleare. Pori nucleari per consentire lo scambio di molecole indispensabili per il corretto funzionamento della cromatina/cromosomi (DNA associato a RNA e proteine) e della cellula. Lamina interna che sostiene la membrana interna con la sua rete di filamenti proteici. Nucleoli sede della produzione dei ribosomi (regioni dei cromosomi che sintetizzano rRNA + proteine ribosomiali importate dal citoplasma) PORI E TRASPORTO NUCLEARE Pori nucleari: membrane nucleari interne ed esterne spesse 7-8 nm cad. con interstizio di 20-40 nm, presentano pori sulla superficie (circa 3’000-4’000 in ogni cellula = 10-20 pori/μm2) che ogni minuto trasportano circa 60’000 molecole di proteine, 20-250 molecole di mRNA, 10-20 subunità ribosomiali, 1’000 tRNA e 100 molecole di istoni = imponente traffico finemente regolato. Ogni poro è in realtà un complesso proteico (NPC = complesso del poro nucleare) composto da due anelli (uno citoplasmatico e uno nucleare da cui sporgono fibrille proteiche, che sul lato nucleare convergono formando una struttura a canestro) di proteine canale con struttura ottagonale, uniti tra loro da raggi di nucleoporine: circa 30 diverse proteine disposte in coppie, tra cui le FG‐nucleoporine, ricche di fenilalanina e glicina, si estroflettono nel canale del poro formando una struttura gelificata flessibile che funge da filtro. Trasporto nucleare: Attraverso gli NPC si ha diffusione semplice per molecole fino a 5 kDa, le molecole fino a 60 kDa passano a una velocità inversamente proporzionale al peso molecolare mentre quelle superiori a 60 kDa (es. proteine, RNA e complessi macromolecolari) necessitano appostiti segnali di smistamento. I segnali di localizzazione nucleare (NLS) sono sequenze amminoacidiche di lunghezza variabile tra 8 e 30 amminoacidi, soprattutto carichi positivamente (lisina e arginina), che decretano il passaggio della proteina in ingresso nel nucleo attraverso gli NPC. Dell’esportazione delle proteine verso il citoplasma si occupano invece i segnali di esportazione nucleare (NES). NLS e NES sono specifici per diversi tipi di proteine e interagiscono con le carioferine, rispettivamente importine ed esportine: proteine solubili deputate al trasporto della molecola verso e dal nucleo che si legano sia ai NLS/NES della proteina che deve essere trasportata che alle ripetizioni di FG nei domini delle nucleoporine del canale che rivestono il poro centrale. Le carioferine sono strutturalmente correlate e per questo agiscono in modo simile ma in direzioni opposte grazie al controllo operato della GTPasi Ran: enzima che esiste in due stati conformazionali (Ran-GTP o Ran-GDP) e idrolizza la GTP 🡪 GDP + P fornendo così alle carioferine l’energia necessaria per il trasporto. Questo processo avviene grazie all’interazione della GTPasi Ran con Ran-GAP (GTPase Activator Protein), presente quasi esclusivamente nel citosol, che idrolizza il gruppo fosfato della GTP a GDP e Ran-GEF (Guanilic nucleotide Exchange Factor), presente quasi esclusivamente nel nucleo, che toglie GDP dalla GTPasi Ran e la sostituisce con GTP. Poiché la Ran-GDP è presente soprattutto nel citoplasma e la Ran-GTP nel nucleo, si viene a creare un gradiente di concentrazione che fornisce l’energia necessaria per il trasporto delle molecole. Ad esempio, una proteina cargo con NLS si complessa con l’importina e attraversa il poro nucleare per entrare nel nucleo, dove il suo legame con la Ran-GTP (passata da GDP a GTP grazie alla Ran-GEF) provoca un cambiamento conformazionale dell’importina che rilascia la proteina cargo. Il complesso Ran-GTP-importina ritorna poi nel citosol secondo gradiente, dove la Ran-GAP innesca l’idrolisi del GTP catalizzata dalla Ran: la Ran-GDP si dissocia quindi dall’importina, che è libera di legarsi a un’altra proteina destinata al nucleo. Un procedimento simile avviene nel ciclo di esportazione, anche se la maggior parte degli mRNA viene tuttavia esportato in modo Ran‐indipendente grazie alla loro associazione con proteine specifiche hnRNP (heterogeneus nuclear ribonucleoproteins) che forma un complesso mRNP (messenger ribonuclear protein complex) che è riconosciuto da un mRNP exporter che non richiede il legame con la GTPasi Ran per il trasporto degli mRNA nel citosol. Regolazione del trasporto attraverso gli NPC: può avvenire controllando l’accesso al macchinario di trasporto. Alcune proteine navetta come i fattori trascrizionali (proteine che legano il DNA in una regione specifica di un promotore o di un enhancer, da dove poi ne regolano la trascrizione) possono contenere sia segnali di localizzazione nucleare che di esportazione e possono pertanto transitare continuamente tra nucleo e citoplasma. Il loro passaggio è controllato in diversi modi, ad esempio tramite: Fosforilazione dei NLS - Es. controllo dell’importazione nucleare durante l’attivazione delle cellule T: i linfociti T sono normalmente quiescenti e si attivano solo quando incontrano l’antigene grazie a NFAT (Nuclear Factor of Activated T-cells), fattore di trascrizione che entra nel nucleo e favorisce la trascrizione di proteine che attivano il linfocita T. Nel citoplasma dei linfociti quiescenti NFAT è normalmente fosforilato con gruppi fosfati che creano ingombro impedendo il legame con l’importina. Se vengono captati segnali di pericolo dai recettori posti sulla superficie della cellula aumenta la concentrazione intracellulare di Ca2+ che attiva la proteina fosfatasi calcineurina che a sua volta defosforila NFAT e blocca NES. NFAT mostra la NLS, riconosciuta dall’importina, e entra nel nucleo dove attiva la trascrizione genica fattori che attivano il linfocita T, come l’interleuchina 2. Una volta terminata l’azione del linfocita T diminuisce [Ca2+], la calcineurina si dissocia liberando NES e NFAT, nuovamente fosforilato, torna nel citosol. Alcuni farmaci immunosoppressori es. ciclosporina A inibiscono la capacità della calcineurina di defosforilare NFAT, bloccando l’attivazione dei linfociti T (utilizzata x prevenire il rigetto nei trapiantati) Legame dei NLS a proteine che li tengono ancorati nel citosol o in organelli finché non è necessario il loro ingresso nel nucleo - Es. sintesi del colesterolo: SREBP è un fattore trascrizionale che regola la produzione di colesterolo e il suo trasporto. In presenza di alti livelli di colesterolo SREBP è inattivo e si trova nella membrana del RE, trattenuto dalla proteina SCAP che lega colesterolo (meccanismo di feedback negativo). In carenza di colesterolo invece si ha la gemmazione di vescicole di trasporto dalla membrana del RE dove c’è il complesso SREBP-SCAP, che viene trasportato fino al Golgi dove SREBP è clivato da proteasi di membrana e il suo frammento attivo può quindi entrare nel nucleo e svolgere la sua funzione di trascrizione. In immunologia: ”L’organizzazione della cromatina a livello dei pori nucleari favorisce la replicazione dell’HIV” (2014): l’HIV entra nel nucleo della cellula ospite per integrarsi nel suo genoma e replicarsi sfruttando gli stessi meccanismi di ingresso delle proteine: in particolare è la nucleoporina Nup153 a legare HIV e catalizzare il suo trasferimento all’interno del nucleo, per cui per evitare la diffusione di HIV si potrebbe trovare qualche proteina che leghi la Nup153 impedendo così l’ingresso di HIV nel nucleo. Inoltre a quanto pare la Tpr, proteina che contribuisce a formare i filamenti del basket nucleare, mantiene un’organizzazione della cromatina favorevole per la replicazione dell’HIV. C’è quindi una stretta correlazione tra il trasporto di HIV attraverso gli NPC e la sua integrazione nel genoma della cellula infettata. “Diversi componenti del NPC interagiscono con la porzione ammino-terminale di MX2 per facilitare la restrizione di HIV-1” (2018): MX2 è un inibitore dell’ingresso dell’HIV tipo 1 indotto da interferone localizzato nell’involucro nucleare, dove blocca l’ingresso nel nucleo di cDNA virali grazie alla sua sequenza ammino-terminale e all’interazione con diversi componenti degli NPC. In particolare, le sequenze ripetute di fenilalanina e glicina della nucleoporina NUP214 e il recettore di trasporto aiutano a posizionare MX2 sull’involucro nucleare per promuovere la restrizione di HIV-1 mediata da MX2 LAMINA NUCLEARE Intreccio di proteine fibrose della famiglia delle lamine (principalmente A, B e C) che formano una rete bidimensionale che aderisce alla superficie interna della membrana nucleare per dare sostegno all’involucro nucleare e interviene anche nel trasferimento delle sostanze attraverso i pori. Fosforilazione e defosforilazione delle lamine ad opera di proteina chinasi causano la disgregazione e la riassociazione della lamina e la conseguente dissoluzione e ricostituzione dell’intero nucleo, come nel caso della fosforilazione delle lamine che procede la scomparsa dell’involucro nucleare in prometafase. Laminopatie: almeno una dozzina di patologie umane derivano da mutazioni a carico di uno dei geni che codificano per le lamine; alcune sono incompatibili con la vita, altre hanno effetti +/- gravi. La Sindrome di Hutchinson-Gilford (HGPS) o progeria (mutazione lamina in progerina) è una malattia autosomica dominante caratterizzata da invecchiamento precoce dei soggetti affetti e da morte prima dei 13 anni per infarto o ictus a causa della deformazione del nucleo che influisce negativamente sui processi di trasporto. È molto rara (incidenza 1:8'000'000) e caratterizzata da cute secca, sottile, iperpigmentata, raggrinzita con vene prominenti, alopecia e calvizie, basso peso e statura e assenza di grasso sottocutaneo, micrognazia (ridotto sviluppo della mandibola rispetto alla mascella con malposizione dentale), occhi protundenti con sclere blu e opacità corneali, addome prominente e torace stretto. A livello molecolare è causata dalla mutazione nel gene che codifica la laminina A per la sostituzione nel codone 608 di GGC in GGT: un SNP (single nucleotide polymorphism) che causa una mutazione sinonima (silente) che porta però comunque alla malattia perché la timina attiva un sito criptico di splicing che porta alla sintesi di una proteina tronca con delezione di 50 amminoacidi. Nella lamina A modificazioni post-traduzionali comportano l’aggiunta di un gruppo farnesile alla porzione carbossiterminale che viene poi rimossa andando a costituire la proteina matura, ma la delezione dei 50 amminoacidi impedisce la corretta rimozione della parte carbossiterminale farnesilata a causa dell’assenza del sito di clivaggio endoproteolitico, che comporta l’adesione della lamina alla membrana nucleare sotto forma di aggregati disordinati che deformano il nucleo, danneggiando la stabilità del genoma, la regolazione dell’espressione genica, il metabolismo proteico ed energetico e il trasporto nucleo-citoplasma. Studi su topi dimostrano che l’HGPS non è dovuta alla mancanza della lamina A ma all’accumulo di progerina e che è possibile rimuovere il genere che codifica per la lamina A tramite la tecnica CRISPR-Cas9 garantendo ugualmente la sopravvivenza delle cellule, in quanto l’assenza di lamina A è compensata dalla lamina C (cfr. ridondanza codice genetico): questa tecnica potrebbe avere applicazioni in ambito medico per curare l’HGPS. (cfr. articolo) MATRICE NUCLEARE Simile al citoscheletro, composta da filamenti proteici che si estendono lungo tutto il nucleoplasma, attraversando il volume nucleare per organizzare le fibre di cromatina. Ogni singola fibra di cromatina ha il suo preciso alloggiamento in specifici territori all’interno del nucleo, in cui è mantenuta grazie alla matrice. L’interazione dei cromosomi con la matrice è dovuta a sequenze di DNA denominate S/MAR (Scaffold/Matrix Attachment Regions) che giocano un ruolo determinante nella regolazione dell’espressione genica in quanto regioni distanti sullo stesso cromosoma o su cromosomi diversi possono interagire influenzando la propria attività trascrizionale o condividendo un set di proteine coinvolte nella trascrizione. NUCLEOLO Struttura genericamente singola, sferica e priva di membrana (no vero e proprio organello) all’interno del nucleo con volume correlato all’attività di sintesi proteica della cellula, in cui si verificano la trascrizione del rRNA e l’assemblaggio delle subunità ribosomiali. È costituito da centri fibrillari (o Nuclear Organizing Region – NOR), regioni di DNA ripetute sui 5 cromosomi (aploide, con 200 copie di sequenze per rRNA) diversi contenenti i geni per rRNA, componenti fibrillari densi contenenti i pre-rRNA appena sintetizzati e la componente granulare costituita dalle subunità ribosomiali (circa 10 milioni di particelle ribosomiali), oltre ad altre 400 proteine, tra cui alcune a funzione sconosciuta e altre coinvolte soprattutto nella proliferazione e nella regolazione del ciclo cellulare. RIBOSOMI Grandi complessi costituiti da oltre 50 proteine ribosomiali diverse e svariati rRNA, deputati alla sintesi proteica (aggiungono 2 amminoacidi a una catena polipeptidica ogni secondo) e composti da due subunità: negli eucarioti la maggiore è di 60S, contiene circa 49 proteine e 3 rRNA e catalizza la formazione di legami peptidici (ribozima) e la minore è di 40S, contiene circa 33 proteine e 1 r RNA e accoppia i tRNA ai codoni dell’mRNA, per un totale di 80S. Le proteine ribosomiali vengono sintetizzate dagli stessi ribosomi nel citoplasma e vengono poi trasportate nel nucleo dove si assemblano con gli rRNA nel nucleolo: le due subunità vengono trasportate nel citoplasma separate (unite sono troppo grandi per i CPN) e si accoppiano all’inizio della traduzione all’arrivo dell’mRNA, per poi disassemblarsi a sintesi compiuta. La mutazione dei geni che codificano per le proteine ribosomiali può dare origine a diverse ribosomopatie teoricamente incompatibili con la vita in quanto dovrebbero teoricamente comportare un’efficienza ridotta nella sintesi di tutte le proteine sintetizzate da tutti i ribosomi che contengono le proteine mutate. In realtà ci sono alcune ribosomopatie piò o meno gravi compatibili con la vita, in cui l’effetto fenotipico si manifesta solo in certi distretti anatomici o tessuti, probabilmente a causa di certi meccanismi di traduzione selettiva presenti in alcuni ribosomi mutati. Studi recenti hanno infatti dimostrato l’esistenza di popolazioni eterogenee di ribosomi che differiscono nelle proteine ribosomiali che li compongono e dunque la possibilità per alcune proteine di essere tradotte in maniera diversa da diversi ribosomi. (cfr. articolo) Un esempio di ribosomopatia è l'anemia di Diamond-Blackfan (DBA): un'anemia cronica classificata come “malattia genetica rara" (in Italia l'incidenza della DBA e di circa 6,5 casi l'anno per milione di nati) che colpisce i bambini sin dai primi mesi di vita ed è associata a malformazioni congenite soprattutto cranio-facciali e del pollice e aumentato rischio di insorgenza di neoplasie. Le mutazioni delle proteine ribosomiali causano un difetto nella traduzione di GATA-1: fattore essenziale nell’eritropoiesi e nel differenziamento dei precursori eritroidi. La rarità, l'eterogeneità genetica e la variabilità delle caratteristiche cliniche rendono difficile lo studio e la diagnosi. SISTEMA DELLE ENDOMEMBRANE Insieme di strutture membranose che occupa gran parte del citoplasma, coinvolto nel trasporto all’interno della cellula. Comprende la membrana plasmatica e RE, Golgi, membrana nucleare, endosomi e lisosomi, che si sono probabilmente sviluppati con l’evoluzione dall’invaginazione della membrana plasmatica stessa (RE in particolare). Le parti interne di questi organelli (tranne il nucleo) sono in comunicazione tra loro e con l’esterno tramite piccole vescicole che gemmano da un organello per fondersi con un altro. Sistema fondamentale nello smistamento delle proteine sintetizzate dai ribosomi legati a membrane (REr) RETICOLO ENDOPLASMATICO Sistema di elementi tubulari e sacciformi tra loro connessi che costituiscono la principale sede cellulare per la sintesi di nuove membrane. È distinto in REr – reticolo endoplasmatico ruvido a causa di ribosomi aderenti alla faccia citosolica, e REl – reticolo endoplasmatico liscio privo di ribosomi, che differiscono anche per la loro composizione proteica e distribuzione nei diversi tipi cellulari. Reticolo endoplasmatico liscio: Metabolismo colesterolo e ormoni steroidei Sintesi fosfolipidi di membrana Detossificazione da agenti esogeni (xenobiotici) Immagazzinamento di Ca2+ Sintesi e immagazzinamento glicogeno Detossificazione: sistema presente soprattutto in organi e tessuti direttamente o indirettamente comunicanti con l’esterno come fegato, placenta, reni, testicolo e ovario, privo della capacità di distinguere tra self e non-self, per cui detossifica indiscriminatamente ogni tipo di sostanza potenzialmente dannosa. Gli enzimi detossificanti sono monoossigenasi che agiscono trasferendo un atomo di ossigeno sulle sostanze lipofile da detossificare, rendendole più facilmente idrolizzabili: sono ad esempio carbossil-esterasi, reduttasi, epossido idrolasi e soprattutto ossidasi a funzione mista della famiglia del citocromo P450 (CYP), molti dei quali possiedono alleli multipli, anche se ogni individuo porta solo due alleli, per cui si ha una grande differenza nella capacità di detossificazione nei vari individui. La loro nomenclatura, basata sui geni e priva di implicazioni funzionali, es. CYP2D6, indica famiglia (2), subfamiglia (D) e lo specifico isoenzima/gene (6) e nell’uomo gli enzimi P450-dipendenti appartengono almeno a 18 famiglie di CYP450 con 42 sottofamiglie e 57 geni codificanti. Ci sono quindi numerosissime varianti alleliche, e forme alleliche dello stesso enzima di detossificazione, gli isoenzimi, possono tutte inattivare lo stesso gruppo reattivo con un’efficienza diversa a seconda del substrato a cui è legato. Nel corso dell’evoluzione sono state selezionate positivamente varianti che consentivano a una forma allelica di legare uno xenobiotico molto meglio di un altro garantendo la sopravvivenza in specifiche aree del mondo, ma adesso a causa della globalizzazione veniamo esposti a sostanze a cui i nostri isoenzimi non rispondono nel modo più efficace. Probabilmente in futuro ci saranno processi di evoluzione delle monoossigenasi che le renderanno adatte a più substrati. Gli isoenzimi sono la base per lo sviluppo della farmacogenetica: un nuovo tipo di medicina personalizzata che in seguito alla definizione genotipica del paziente consente di somministrare il farmaco più adatto alle sue varianti alleliche. Nella detossificazione di xenobiotici e nella biosintesi degli steroidi è sfruttata l’idrossilazione, che coinvolge il citocromo P450: un sistema di trasporto di e- li trasferisce da NADPH al citocromo P450 e infine a O2 che viene così attivato per l’idrossilazione secondo la reazione finale RH + NADPH + H+ + O2 🡪 ROH + NADP+ + H2O. NADPH viene usato per detossificazione dei farmaci e sintesi steroidi e può essere utilizzato anche NADH nell’idrossilazione degli acidi grassi; gli enzimi che catalizzano la reazione sono le monoossigenasi. In caso di abuso di sostanze provenienti dall’esterno si ha un’espansione del volume del REl iperattivato a causa dell’aumento della produzione di enzimi: il suo metabolismo è dunque velocizzato e per ottenere lo stesso effetto bisogna introdurre quantità maggiori della sostanza detossificata dal REl come nel caso dell’assunzione di barbiturici. La loro eliminazione porta a un rapido incremento di enzimi nel REl e al fenomeno della tolleranza nei consumatori abituali, per cui sono necessarie dosi sempre più alte per ottenere effetto sedativo. Le ossidasi per la detossificazione dei barbiturici idrossilano anche altri farmaci come antibiotici, anticoagulanti e steroidi, la cui efficacia può quindi essere diminuita in caso di tolleranza. I barbiturici possono essere inoltre pericolosi quando assunti in combinazioni ad alcolici per un effetto sinergico: l’etanolo inibisce infatti l’idrossilazione dei barbiturici, la cui concentrazione tende ad aumentare con conseguente depressione del SNC e risultati potenzialmente letali. Accumulo di calcio: il Ca2+ è presente nel citosol ad una concentrazione molto più bassa (10-7 M) rispetto che nello spazio extracellulare e nel Rel (10-3 M) perché funge da attivatore cellulare, accumulato in specifiche zone per mantenere una concentrazione che poi viene sfruttata per rispondere a stimoli specifici che provocano l’apertura dei canali del calcio sulla membrana plasmatica, nel REl e nei mitocondri e il legame di Ca2+ a proteine calcio-dipendenti, che vengono così attivate. Un esempio è la calmodulina che regola la contrazione del citoscheletro e mette contemporaneamente in atto una risposta a feedback negativo, attivando le pompe che riportano il calcio nel REl e nello spazio extracellulare. Catabolismo del glicogeno epatico: il fegato mantiene costante il livello ematico del glucosio grazie all’enzima glucosio-6-fosfatasi presente sulla membrana del REl (di fegato, reni e cellule intestinali ma no in cellule muscolari e cervello che attingono energia dal glucosio), che idrolizza il glucosio-6-fosfato con creazione di un gruppo fosfato e glucosio libero, che può così attraversare la membrana plasmatica ed entrare nel circolo sanguigno. Reticolo endoplasmatico rugoso: Produzione componenti del sistema delle endomembrane Sintesi proteine (integrali di membrana, RE, Golgi, Lisosomi, endosomi, vescicole, secrezione) Glicosilazione proteine (fase iniziale) Corretto ripiegamento e assemblaggio proteine Controllo qualitativo delle proteine Prima tappa nello smistamento delle proteine destinate a Golgi, endosomi, lisosomi, vescicole ed esterno della cellula, che vengono sintetizzate dai ribosomi sulla membrana del REr (quelle destinate a nucleo, mitocondri, cloroplasti e perossisomi sono invece sintetizzate da ribosomi liberi). Per lo smistamento in generale è necessaria e sufficiente una sequenza segnale lineare di 15-60 amminoacidi che indica il percorso che deve compiere la proteina all’interno della cellula (se no sequenza = proteina del citosol, se si aggiunge una sequenza segnale ad una proteina del citosol, quella è indirizzata verso un organello); per il riconoscimento del segnale non è tanto l’esatta sequenza amminoacidica della sequenza segnale che conta quanto le sue proprietà fisiche. Le proteine destinate al sistema delle endomembrane vengono inizialmente sintetizzate dai ribosomi liberi ma la traduzione si interrompe non appena la sequenza ammino-terminale con la sequenza segnale fuoriesce dal ribosoma a causa del suo legame con la particella di riconoscimento del segnale (SRP, Signal Recognition Particle), proteina che riconosce la sequenza segnale e trasporta il ribosoma che sta sintetizzando quella proteina sulla superficie del REr. La sintesi proteica riprende quando il complesso SRP-ribosoma si lega a un recettore della SRP sulla superficie del REr: la SRP si dissocia e il ribosoma si unisce ad un traslocone/canale di traslocazione sulla membrana del REr, che interagisce con la catena polipeptidica in via di sintesi, inserendola nella membrana e avviandone il trasferimento all’interno del lume, dove termina la traduzione. La porzione ammino-terminale resta attaccata al traslocone e viene normalmente tagliata insieme alla sequenza segnale. L’inserimento di una proteina nello spessore della membrana del REr e il suo orientamento sono determinate dalla disposizione di sequenze segnale e sequenze di stop del trasferimento presenti nella sequenza amminoacidica della proteina stessa. Proteine che devono inserirsi nella membrana del REr contengono ad esempio una sequenza di arresto del trasferimento composta da amminoacidi idrofobi che non possono attraversare le code dei fosfolipidi di membrana e restano inclusi al suo interno (estremità NH2 dentro, COOH fuori); alcune proteine politopiche/multipass possiedono più sequenze di inizio e arresto che determinano tanti ripiegamenti quante sono. Glicosilazione: aggiunta covalente di catene laterali oligosaccaridiche (fondamentali x glicocalice) alla sequenza proteica sui residui di asparagina mentre viene trasferita attraverso i trasloconi all’interno del REr (circa ¼ delle proteine di mammifero sono glicosilate): processo di N-glicosilazione( ≠ O-glicosilazione nel Golgi con aggiunta zuccheri a serina o treonina). Si stima che ci siano almeno 7000 strutture con gruppi glucidici nelle cellule di mammifero: la complessità del glicoma dei mammiferi viene raggiunta con soli 10 monosaccaridi ma per la glicosilazione devono entrare in campo almeno 700 proteine diverse, tra cui circa 200 glicosil transferasi: enzimi sulla membrana del REr che trasferiscono uno specifico monosaccaride da uno zucchero all’estremità in crescita della proteina o catena carboidratica. Ciascuna glicosil transferasi aggiunge uno zucchero (N-acetilgalattosammina, mannosio e 3 glucosi) sul lipide di membrana dolicol fosfato verso l’esterno, poi a 7 zuccheri assemblati il dolicol fosfato inverte il suo senso sulla membrana grazie alla flippasi, trasportando gli zuccheri nel lume del REr, dove altri enzimi aggiungono altri zuccheri fino a costituire un oligosaccaride di 14 zuccheri con 3 glucosi terminali. La catena viene poi trasferita tramite l’oligosaccariltransferasi al gruppo amminico della catena laterale di un’asparagina, non appena emerge nel lume del REr durante la traslocazione. Tutte le proteine vengono N-glicosilate allo stesso modo. Se le glicosil transferasi non funzionano correttamente possono causare diverse gravi patologie note nel complesso come Congenital Diseases of Glycosylation (CDG), di cui la più frequente è la CDG1a (circa 70%): malattia autosomica recessiva, diagnosticata con elettroforesi delle proteine sieriche (esame del sangue) in base al peso – le proteine glicosilate sono più pesanti, per cui in caso di CDG si ha un profilo elettroforetico basso a causa delle proteine non glicosilate o solo parzialmente. Ha una frequenza tra 1/50’000 e 1/100’000 ed è caratterizzata da ritardo psicomotorio, anomalie scheletriche e lipocutanee (aspetto a buccia d’arancia), capezzoli retratti e fibrosi epatica. In generale le sindromi CDG si associano a diversi deficit enzimatici, il più comune dei quali è quello di fosfomannomutasi 2. Controllo qualitativo (ERAD – ER Associated Degradation) con cui il RER controlla se le proteine prodotte sono state sintetizzate correttamente, assicurandosi che le proteine aberranti e non correttamente ripiegate non siano trasportate ad altri siti della cellula. Al termine della traslocazione glucosidasi I e II in successione rimuovono gli ultimi due residui di glucosio, mentre il terzo rimanente permette l’interazione con chaperonine (es. calnexina e calcineurina) e con ERp57 che fa ripiegare la proteina. Se ripiegata correttamente, la glucosidasi II toglie anche il terzo glucosio, la proteina si stacca dalla calnexina e viene trasportata al Golgi tramite vescicole di trasporto che gemmano dal REr (COPII); se in invece non è ripiegata correttamente la proteina è trattenuta nel REr dal legame con proteine chaperon, permettendo così alla GT (glicosiltransferasi) di riattaccare il glucosio per provare a reindurre un ripiegamento corretto (grande dispendio energetico per arrivare a quel punto). Se dopo tanti tentativi di salvataggio si ha comunque ripiegamento scorretto la proteina difettosa è veicolata tramite ubiquitina al proteasoma, dove viene degradata. Talvolta l’ERAD può essere dannoso per l’organismo, come nel caso della fibrosi cistica: malattia genetica che provoca una grave degenerazione del tessuto polmonare producendo una proteina di trasporto della membrana con una conformazione leggermente difettosa ma che potrebbe comunque svolgere la sua funzione se raggiungesse la membrana plasmatica. Essa viene però trattenuta nel REr e degradata da ERAD. Traffico bidirezionale di proteine tra REr e Golgi: REr e Golgi sono in comunicazione tra loro grazie al trasporto vescicolare del sistema delle endomembrane. Per il movimento anterogrado REr-Golgi si ha la gemmazione di vescicole rivestite da COP II dalla membrana del REr, mentre per il movimento opposto retrogrado Golgi-REr si ha la gemmazione di vescicole rivestite da COP I dalla membrana del Golgi. I due flussi anterogrado e retrogrado sono interconnessi tra loro, per cui se uno viene bloccato con Brefeldina A si interrompe anche l’altro. Le vescicole da trasferire al Golgi hanno una sequenza segnale che viene riconosciuta dalle COP II, anche se in realtà vengono trasferite al Golgi in maniera casuale anche alcune proteine senza sequenza segnale senza un apparente motivo, tanto che poi tornano anche indietro al REr. COMPLESSO DI GOLGI Insieme di cisterne membranose impilate appiattite a forma di disco con bordi dilatati e interconnesse da tubuli. Suddiviso in Cis-Golgi Network (CGN, centro di smistamento vicino al RER/ERGIC), cisterne cis, cisterne mediali, cisterne trans e Trans-Golgi Network (TGN, centro di smistamento di vescicole x membrana plasmatica o altri organuli) 🡪 “impianto di lavorazione”. Funzioni: Completamento N-glicosilazione delle proteine O-Glicosilazione e sintesi polisaccaridi Sintesi glicolipidi e sfingomielina Sintesi lipoproteine a bassa e alta densità (LDL e HDL) Comunicazione/smistamento con altri organuli tramite: a. vescicole rivestite da COPII (RER-Golgi) b. vescicole rivestite da COPI (Golgi-RER) c. vescicole rivestite da clatrina (lisosomi o via di secrezione) O-glicosilazione ≠ N-glicosilazione: processo che avviene esclusivamente nel Golgi e specifico per ogni proteina, alla quale gli zuccheri (solitamente pochi residui) vengono legati direttamente a livello dell’atomo di ossigeno delle catene laterali di serina, treonina o idrossilisina 🡪 a seconda dei diversi gruppi aggiunti (es. fosfato, acetato, solfato e metilico) la stessa glicoproteina può avere più varianti nella sua porzione glucidica. Normalmente vengono aggiunti residui di acido sialico che vengono ionizzati conferendo una carica negativa alla proteina (🡪 attira acqua). Glicoproteine e glicolipidi costituiscono la maggior parte delle proteine della superficie cellulare (cfr. glicocalice) e della matrice extracellulare e partecipano a numerose funzioni biologiche: Sistema di difesa che impedisce a sostanze potenzialmente dannose di interagire con la membrana plasmatica (cfr. acido sialico che attira acqua 🡪 strato gelatinoso che funge da filtro) protezione proteine dall’attacco di proteasi Regolazione meccanismi di riconoscimento proteico e interazioni cellula-cellula e cellula-matrice Capacità di stabilizzare una proteina Facilita il ripiegamento corretto Fungono da molecole di adesione Aumenta la solubilità in ambiente acquoso Smistamento proteine dal trans-Golgi con gemmazione di 3 tipi di vescicole, tutte rivestite da clatrina: Secrezione costitutiva: meccanismo che avviene di continuo e in modo spontaneo Secrezione regolata di proteine che devono essere rilasciate solo se la cellula lo richiede in seguito alla ricezione di uno stimolo opportuno. Enzimi lisosomiali Esocitosi = processo che consente al Golgi di trasferire proteine (es. anticorpi) nell’ambiente extracellulare tramite gemmazione di vescicole dal TGN che si fondono poi con la membrana cellulare riversando il contenuto all’esterno. Distinta in: Secrezione costitutiva: processo continuo, spontaneo e non selettivo che riguarda soprattutto i lipidi e le proteine integrali di membrana, che hanno sequenze lipofile che le ancorano alla membrana plasmatica non appena la vescicola che le trasporta si fonde con essa. Porta inoltre all’esterno della cellula le proteine e i peptidoglicani della matrice extracellulare Secrezione regolata: processo specifico delle cellule specializzate (nervose, del sangue, ghiandolari) di esocitosi di proteine che vengono accumulate nelle vescicole e rilasciate solo in seguito alla ricezione di uno stimolo opportuno. Le vescicole possono fondersi tra loro in granuli secretori che si portano verso la membrana ma non fondono a causa della sinaptotagmina = proteina inibitoria sulla superficie delle vescicola che le impedisce di fondersi con la membrana plasmatica (accumulo proteine nelle vescicole, NO rilascio) 🡪 se ricezione segnale opportuno (potenziale d’azione, ormone o neurotrasmettitore 🡪 cascata di trasduzione 🡪 apertura canali del calcio) il calcio lega la sinaptotagmina 🡪 modificazione conformazionale della sinaptotagmina che si stacca dai granuli 🡪 degranulazione e fusione vescicole con la membrana plasmatica Le proteine lisosomiali devono essere opportunamente marcate con l’aggiunta di un gruppo fosfato sul carbonio in posizione 6 del mannosio = mannosio 6 fosfato (M6P). La marcatura avviene nel Golgi grazie a due enzimi e permette alla proteina di legare recettori transmembrana che permettono l’inclusione degli enzimi lisosomiali in vescicole di trasporto. I due enzimi sono una N‐acetilglucosammina (GlcNAc) fosfotrasferasi che trasferisce in modo specifico un gruppo GlcNAc fosforilato all’atomo di Carbonio 6 di uno o più residui di mannosio (solo gli enzimi lisosomiali possiedono sequenze riconosciute e legate da questo enzima) e una fosfodiesterasi che rimuove il gruppo GlcNAc, lasciando un residuo di mannosio fosforilato sull’enzima lisosomiale. Quando le vescicole raggiungono i lisosomi (endosomi tardivi), le pompe ATPasiche sulla membrana dei lisosomi trasferiscono ioni H all’interno abbassando il pH: i recettori per il M6P vanno incontro a modificazione conformazionale che ne diminuisce l’affinità per il mannosio, per cui gli enzimi lisosomiali si staccano dai loro recettori e vengono rilasciati nel lume dei lisosomi. I recettori scarichi sono poi riportati al Golgi, mentre viene attivata una fosfatasi acida che trasforma M6P in mannosio. Gli enzimi lisosomiali sono nel complesso idrolasi acide che funzionano solo a pH acido idrolizzando vari substrati (es. nucleasi, fosfatasi, proteasi ecc.) 🡪 digeriscono materiale di scarto. In presenza di opportuni stimoli i lisosomi si possono anche fondere con la membrana plasmatica, rilasciando le idrolasi a livello extracellulare = processo fondamentale in casi fisiologici, es. fecondazione, e patologici, es. in molte forme tumorali x favorire la degradazione della matrice extracellulare e la formazione di metastasi, oppure anche nell’attivazione dei linfociti t citotossici (CTL): cellule dell’immunità acquisita che riconoscono in maniera specifica un solo antigene e uccidono la cellula che lo presenta tramite il rilascio di lisosomi che contengono perforine e granzimi che inducono la lisi della cellula bersaglio = digestione extracellulare. LISOSOMI Organelli digestivi nella cellula animale che contengono circa 50 diversi enzimi idrolitici prodotti nel REr e poi indirizzati tramite il Trans-Golgi Network agli endosomi tardivi, dove si dissociano dai recettori per l’M6P a causa del pH acido (circa 4.6) degli endosomi. La perdita del gruppo fosfato del mannosio ad opera di una fosfatasi acida determina l’attivazione delle idrolasi le quali cominciano a degradare il materiale endocitato portato dagli endosomi precoci. Il pH è mantenuto stabile ad una concentrazione di H+ circa 100 volte più alta rispetto al citosol grazie all’attività della pompa ATPasica che richiede consumo di energia, fornita da idrolisi di ATP. Il meccanismo di digestione può essere sia extracellulare (vedi sopra) che intracellulare (di sostanze provenienti sia dall’esterno che dall’interno della cellula). La digestione intracellulare è distinta in: Pinocitosi: “atto del bere” = assunzione di goccioline di liquido con soluti e molecole che contengono Endocitosi: “atto di routine del mangiare” inglobando molecole di dimensioni intermedie in vescicole che confluiscono da endosomi precoci, che si evolvono in endosomi tardivi che poi si fondono con i lisosomi Fagocitosi: “atto sporadico e regolato del mangiare” che permette l’assunzione di particelle di d > 12 μm. Svolta da cellule specializzate (macrofagi) con recettori in grado di riconoscere le molecole da inglobare (es. tramite anticorpi che riconoscono le particelle estranee e le presentano ai fagociti), porta alla formazione di fagosomi che si fondono con lisosomi = fagolisosomi. È una forma specializzata nei macrofagi e neutrofili (1011 globuli rossi al giorno) Autofagia: formazione autofagosomi + lisosomi = autofagolisosomi x digerire materiali cellulari invecchiati cercando di recuperare + costituenti possibili per poi riutilizzarli (esocitati se inutili). Non tutte le materie riescono però ad essere degradate 🡪 formazione lipofuscine = residui dell’ossidazione di lipidi, metalli e molecole organiche (non degradabili causa peptidi legati a ponte da aldeidi in strutture ≈ materie plastiche) che in cellule mitoticamente attive si possono diluire nella popolazione cellulare grazie alla divisione cellulare ma in cellule perenni (es. neuroni) il loro progressivo accumulo con l’invecchiamento può portare a tutta una serie di patologie = lipofuscinosi che interferiscono tipicamente con la trasmissione degli impulsi nervosi Esistono numerose patologie lisosomiali spesso incompatibili con la vita, distinte in acquisite o ereditarie. Insufficienze lisosomiali acquisite: accumulo intracellulare reversibile di materiale indigesto in soggetti normali per insufficienze lisosomiali che possono originare a causa dell’assunzione di certi farmaci e sostanze che inibiscono gli enzimi digestivi lisosomiali (es. streptomicina, kanamicina e clorochina) o rendono certi substrati inerti o poco digeribili (es. lipidi resi difficilmente digeribili dagli psicofarmaci) o anche a causa di un eccesso di materiale rispetto alle capacità digestive della cellula. Malattie lisosomiali ereditarie/malattie d’accumulo lisosomiale (LSD = Lysosomal Storage Diseases): gruppo clinicamente eterogeneo di malattie causate da mutazioni a carico dei geni che codificano per enzimi e altre proteine lisosomiali. Sono malattie rare, anche se nel complesso hanno una frequenza di 1 su 8000 nati vivi, e hanno gravi conseguenze patologiche, più spesso nel sistema nervoso. La maggior parte si presentano nei primi anni di vita 🡪 necessaria diagnosi precoce x evitare un eccessivo accumulo di substrato non degradato. Ne sono stati riconosciuti circa 50 tipi diversi a causa dei diversi tipi di idrolasi acide 🡪 classificazione malattie in base alla deficienza di un determinato enzima (quantitativamente o qualitativamente insufficiente), e alle caratteristiche chimiche del substrato accumulato (non degradato/degradato parzialmente), es. mucopolisaccaridosi, sfingolipidosi, oligosaccaridosi… Nella maggior parte dei casi sono malattie monogeniche (causate da mutazioni in un unico gene che codifica per una singola proteina) e possono essere dovute anche ad attivatori dell’enzima o a complessi enzimatici alterati; l’accumulo di substrato innesca poi meccanismi secondari, es. influenzando il trasporto dell’enzima fuori dal RE o causando anomalie dell’autofagia. Hanno manifestazioni fenotipiche complesse e causano principalmente handicap fisici e neurologici. Mucopolisaccaridasi: blocco nella degradazione lisosomiale dei mucopolisaccaridi, molecole di grosse dimensioni che svolgono importanti funzioni nel tessuto connettivo. Un loro accumulo porta a patologie che si manifestano tardivamente con difetti della crescita, ritardi fisici e mentali, perdita di apprendimenti (parlare, camminare), irrigidimento delle articolazioni, disturbi uditivi, disturbi alla vista. Spesso causano la morte prima del raggiungimento dell’età adulta. Sfingolipidosi (glicolipidosi): assenza enzimi per la degradazione di sfingomieline, cerebrosidi e gangliosidi, tutti componenti delle cellule nervose. Sono in genere malattie monogeniche e vengono classificate in base al tipo di mutazione e quindi al tipo di danno che causano: alcune possono portare ad una riduzione funzionale totale, altre solo parziale. Tra queste: malattia di Tay-Sachs e di Fabry. Oligosaccaridosi: dovute al difetto nella degradazione degli oligosaccaridi e delle glicoproteine. Tra queste: fucosidosi, sialidosi, mucolipidosi, mannosidosi. Malattie dovute al mancato trasporto degli enzimi lisosomiali: casi più gravi, spesso incompatibili con la vita, sono dovute al mancato trasporto nei lisosomi degli enzimi lisosomiali, che non riescono quindi ad assolvere la loro funzione a causa del malfunzionamento degli enzimi deputati alla marcatura delle idrolasi acide con M6P. Es. mucolipidosi tipo II; polidistrofia pseudo-Hurler (mucolipidosi tipo III), malattia di Schindler. Scoperte recenti permettono di intervenire con diversi approcci terapeutici che mirano ad impedire che il livello dell’enzima residuo scenda al di sotto di una soglia critica del 10% del livello normale: Cellule staminali ematopoietiche (HSCT = Hematopoietic Stem Cell Transplantation): prelievo cellule staminali da midollo osseo o cordone ombelicale (+ rapido e facile) da donatore sano e inoculazione nel soggetto malato in modo che producano gli enzimi che mancano al paziente. Vantaggi: produzione effettiva di enzimi funzionali che possono essere rilasciati all’esterno delle cellule staminali e internalizzati da tutte le altre cellule (tutte le cellule umane hanno recettori per il M6P anche sulla membrana plasmatica), ripopolando tessuti specifici; possibile cross correction con secrezioni di idrolasi lisosomiali funzionali da parte delle cellule del donatore nello spazio extracellulare e nella circolazione sanguigna 🡪 internalizzate dalle altre cellule. Svantaggi: compatibilità delle cellule staminali causa MHC che le riconosce come non-self (scarsa disponibilità di donatori idonei); difficoltà della procedura (rischio di mortalità); difficoltà di attecchimento in alcuni tessuti (es. cuore, ossa); numero esiguo di patologie trattabili Terapia enzimatica sostitutiva (ERT = Enzyme Replacement Terapy): infusioni endovenose periodiche di enzimi lisosomiali ricombinanti umani deficitari nel paziente, prodotti in vitro con la tecnica del DNA ricombinante. Vantaggi: si può compiere per quasi tutti gli enzimi lisosomiali; gli enzimi vengono endocitati da recettori per M6P sulla membrana cellulare e poi indirizzati ai lisosomi x endocitosi. Svantaggi: costi elevati, limitata disponibilità di enzimi ricombinanti (difficoltà a produrre quantità elevate), grosse dimensioni degli enzimi che non diffondono liberamente attraverso la membrana plasmatica delle cellule (e delle cellule giuste); alcuni tessuti non sono raggiunti (cfr. barriera emato-encefalica) 🡪 tentativi di manipolazione chimica degli enzimi x far attraversare la barriera + sperimentazione terapia invasiva di somministrazione intratecale della ERT Terapia con chaperones farmacologici (PCT = Pharmacological Chaperone Therapy): piccole proteine ancillari che interagiscono con gli enzimi lisosomiali mutati x malattie da misfolding proteico favorendone il corretto ripiegamento (ne migliorano la stabilità fungendo da stampo). Vantaggi: possono essere assunti oralmente (non invasivi), non sono immunogenici, non devono essere captate dai recettori di M6P e diffondono liberamente attraverso le membrane (piccole dimensioni 🡪 raggiungono anche il SNC). Svantaggi: limitata disponibilità (terapia praticabile solo in pazienti con specifiche mutazioni responsive in specifici domini strutturali dell’enzima); a volte interferiscono con il ripiegamento stesso perché riconoscono il sito attivo dell’enzima 🡪 inibitori competitivi degli enzimi bersaglio. Un effetto simile a quello con PCT si può ottenere con farmaci regolatori della proteostasi, potenzialmente in grado di ripristinare il normale squilibrio tra sintesi e degradazione delle proteine. Effetto sinergico di ERT e PCT: effetto terapeutico diretto verso l’enzima esogeno normale usato x ERT (= indipendente dalla mutazione del paziente), sfruttabile in tutti i pazienti trattati con ERT (non solo in quelli con mutazioni specifiche) 🡪 notevoli aumenti di attività specifica con correzione completa o quasi del difetto enzimatico Terapia genica (GT = Gene Therapy): trasferimento di una copia normale del gene mutato (le LSD sono monogeniche) tramite un vettore virale in vitro (trapianto di cellule progenitrici ematopoietiche modificate) o in vivo (iniezione vettore di trasferimento genico nel tessuto o in circolo). Vantaggi: anche se penetrano un piccolo numero di copie tramite cross correction è possibile correggere le cellule adiacenti; espressione della proteina a lungo termine (non richiede somministrazioni periodiche); disponibile x pazienti con patologie molto rare. Svantaggi: i vettori si inseriscono casualmente nel genoma della cellula bersaglio, portando potenzialmente ad un’alterazione involontaria del genoma con conseguenze patologiche, es. carcinogenesi (vettori retrovirali); espressione di livelli sovra-fisiologici della proteina; possibile risposta immunitaria; difficile raggiungere SNC (iniezione intracerebrale) Terapia da riduzione del substrato (SRT = Substrate Reduction Therapy): riduzione dell’assunzione del substrato su cui agisce l’enzima lisosomiale malfunzionante tramite farmaci specifici che riducono la produzione di certe macromolecole da parte delle cellule stesse inibendo specifiche tappe delle loro vie biosintetiche 🡪 ristabiliscono un equilibrio tra sintesi e catabolismo. Vantaggi: inibitori di piccole dimensioni = facilmente biodisponibili in vari tessuti e organi (SNC compreso). Svantaggi: richiede farmaci specifici nei confronti di un substrato; la riduzione del substrato può causare scompensi fisiologici MITOCONDRI Organelli di forma bastoncellare adibiti alla respirazione aerobica di 0.5-1 μm di spessore e fino a 10 di lunghezza, secondo l’ipotesi endosimbiotica derivano dall’internalizzazione di un batterio aerobico all’interno di una cellula procariotica anaerobica. Funzioni: fosforilazione ossidativa, biosintesi ormoni steroidei e alcuni fosfolipidi, ciclo di Krebs, β-ossidazione degli acidi grassi, accumulo di fosfati di calcio con pompe sulla membrana x trasferimento Ca2+ nella matrice (i livelli nel citosol devono essere bassi) e rilascio in caso di opportuni stimoli, regolazione apoptosi. Morfologia variabile a seconda del citotipo: possono essere singoli o riuniti in un network mitocondriale = reticolo tubulare interconnesso in grado cambiare forma x fusione o fissione dei mitocondri a seconda delle necessità della cellula, in risposta a condizioni ambientali e stato di differenziamento 🡪 attività regolate dalle mitofusine, non si capisce ancora per quale fine specifico, probabilmente fusione x complementazione genetica (i mitocondri hanno il loro DNA e se uno ha un’alterazione si può fondere con un altro x rimediare i danni) e fissione x ridistribuzione dei mitocondri alle cellule figlie al momento della mitosi. Perturbazioni nell’equilibrio tra fissione e fusione possono portare a macroscopiche alterazioni della struttura e della funzione mitocondriale fino a sfociare eventualmente in diverse patologie neurologiche ereditarie es. Alzheimer (AD = Alzheimer Disease) con eccessiva frammentazione del DNA mitocondriale x riduzione proteine di fusione e aumento di fissione. In generale sono presenti in numero elevato per cellula (circa 2000 negli epatociti) e tendono a concentrarsi nei luoghi con maggiore fabbisogno energetico, es. attorno al flagello degli spermatozoi. Composti da: Membrana mitocondriale esterna (OMM): ricca di porine = proteine multipasso che ricordano le proteine delle membrane batteriche e permettono il passaggio di molecole di 1000-5000 dalton; si aprono e chiudono Spazio intermembrana: contiene proteine coinvolte dell’apoptosi, es. citocromo c Membrana mitocondriale interna (IMM): elevato rapporto proteine/lipidi (3:1), NO colesterolo, SÌ cardiolipina (importante x ridurre permeabilità ai protoni 🡪 gradiente elettrochimico tra spazio intermembrana e matrice) 🡪 altamente impermeabile. Ospita tre tipi principali di complessi proteici: o Componenti della catena di trasporto di elettroni: complessi I, II, II e IV. o ATP sintasi o Proteine di trasporto specifiche x trasporto di metaboliti da e verso la matrice mitocondriale Matrice: consistenza di gel causa elevata concentrazione di proteine idrosolubili, contiene diversi enzimi (in particolare quelli x le varie tappe del ciclo di Krebs), ribosomi e parecchie molecole di DNA mitocondriale a doppio filamento, di solito circolari. Creste: differiscono in lunghezza (direttamente proporzionale), numero e forma in base al fabbisogno energetico: o Cellule normali: creste corte che si allungano per metà della matrice causa bassa richiesta energetica o Cellule muscolari: creste che attraversano tutta la matrice, impacchettate molto strette o Cellule nervose: creste orientate lungo l’asse maggiore del mitocondrio DNA mitocondriale: a doppio filamento e di forma solitamente circolare, presente in più copie x produrre + proteine (2-10 molecole x mitocondrio), si replica in interfase indipendentemente dal DNA genomico, è relativamente piccolo (16500 coppie di basi), codifica x 13 subunità proteiche della catena respiratoria, 2 RNA ribosomiali e 22 tRNA. Originariamente genoma della cellula batterica endocitata dal procariote, poi probabilmente con l’evoluzione parti del genoma mitocondriale sono state inglobate da quello cellulare (es. non tutte le proteine della catena respiratoria sono prodotte dai mitocondri), con i mitocondri che non sono più in grado di sopravvivere indipendentemente dalla cellula. Tendenzialmente ereditato per via materna perché al momento della fecondazione i mitocondri dello spermatozoo vengono ubiquitinati e degradati prima dell’ingresso del suo nucleo nella cellula uovo, MA grazie a sequenziamento DNA pubblicazione di gennaio 2019 di Huang e colleghi con scoperta di 17 individui appartenenti a 3 famiglie non correlate con eteroplasmia = presenza di percentuali (dal 24 al 76%) di DNA mitocondriale ereditato per via paterna. Dalle prime stime sembra sia un tratto dominante presente in una persona su 5000 e l'anomalia potrebbe risiedere nella fase di ubiquitinazione dei mitocondri degli spermatozoi. Probabile significato biologico di complementarietà del genoma mitocondriale se quello materno ha qualche difetto (a livello del genoma mitocondriale insorgono patologie più frequentemente che nel DNA genomico) 🡪 possibile applicazione dell’eteroplasmia nella fecondazione assistita: se madre affetta da patologia mitocondriale normalmente prelievo suo ovulo, estrapolazione nucleo e trasferimento nell’ovulo di una donatrice con i suoi mitocondri con genoma sano; poi ovulo fecondato dallo spermatozoo del papà (DNA finale formato da 3 soggetti diversi) 🡪 grazie all’eteroplasmia si dovrebbero poter evitare patologie mitocondriali senza bisogno di una donatrice. Apoptosi: morte cellulare programmata decisa coscientemente dalla cellula e che richiede dispendio energetico (a differenza della necrosi che è invece un fenomeno imprevedibile). Ogni giorno circa 1010-11 cellule vanno in apoptosi per non “pesare” sulla comunità cellulare, eliminandosi se non funzionano più correttamente (isolamento dalle cellule adiacenti) per lasciare il posto alle nuove cellule. Può avere origine: Fisiologica: controllo del numero di cellule, sviluppo embrionale (es. formazione dita “in negativo”) e controllo della risposta immunitaria (maturazione di linfociti potenzialmente capaci di riconoscere qualsiasi tipo di antigene durante lo sviluppo embrionale: il sistema immunitario induce poi all’apoptosi i linfociti che potrebbero essere autoreattivi perché riconoscono gli antigeni che fanno parte del self 🡪 la loro mancata distruzione è legata all’insorgenza di malattie autoimmuni) Patologica: calore, radiazioni, sostanze tossiche, risposta immunitaria, processi infettivi, disfunzione mitocondriale Il mancato funzionamento dell’apoptosi è legato all’insorgenza di numerose patologie, derivate sia dall’incapacità di indurre apoptosi (tumori), sia dalla sua induzione eccessiva es. malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson + diabete di tipo 1 con apoptosi cellule delle isole pancreatiche. Repressione apoptosi a carico di fattori di crescita, segnali di adesione cellula-cellula e cellula-matrice extracellulare. Induzione apoptosi a carico di danni irreversibili al DNA (da non trasmettere alle cellule figlie), virus e altri fattori di morte che impediscono alla cellula di comunicare con le cellule adiacenti 🡪 inizio processo apoptotico con cambiamenti morfologici e fisiologici: Restrizione giunzioni cellulari che distaccano la cellula dalle cellule adiacenti (perdita adesione cellulare) Restringimento citoplasma Blebbing della membrana cellulare, che si estroflette a formare bolle (significato fisiologico: le bolle si distaccheranno costituendo i corpi apoptotici che verranno fagocitati da altre cellule specializzate) Ipercondensazione cromatina e suo addensamento verso la periferia del nucleo x bloccare trascrizione Frammentazione DNA (per azione di una DNAsi), nucleo e altri organelli Formazione corpi apoptotici per invaginazione della membrana plasmatica Aumento fosfatidil-serina sulla membrana esterna: proteina che grazie alla flippasi viene trasferita sul versante extracellulare dei corpi apoptotici, dove funge da recettore cellulare per il riconoscimento da parte dei macrofagi, che li fagocitano senza lasciare residui (qualsiasi residuo richiamerebbe il sistema immunitario ad attivare un processo infiammatorio 🡪 fenomeno tipico della necrosi). Caspasi = proteine chiave del processo apoptotico, sintetizzate come procaspasi: enzimi prodotti costitutivamente e inattivi a livello citoplasmatico con dominio ammino-terminale, subunità maggiore e subunità minore. Attivazione in seguito a segnali di morte con clivaggio dominio ammino-terminale e aggregazione due subunità maggiori e due minori in una molecola tetramerica attiva = caspasi: proteasi funzionali che operano normalmente tagliando il substrato a livello dei residui di aspartato (dette anche cistein-aspartasi), distinte in caspasi iniziatrici (2, 8, 9, 10, iniziano il processo) ed esecutrici (3, 6 e 7 che terminano il processo). Processo di attivazione a cascata di una singola caspasi iniziatrice che attiva altre caspasi fino ad avere un centinaio di caspasi attive in contemporanea grazie all’amplificazione del segnale. Attualmente identificati circa 300 substrati delle caspasi, tra cui proteine del citoscheletro, proteine regolative (es. β catenina), icad, proteine che controllano la traduzione, alcuni fattori trascrizionali, alcune chinasi, altre caspasi, proteine delle giunzioni cellulari, endonucleasi CAD, proteine della lamina nucleare (x completa distruzione nucleo) 🡪 cfr. icad (= inibitore della CAD) degradato dalle caspasi, libera l’endonucleasi CAD (Caspase-Activated Deoxyribonuclease) che espone NLS ed entra nel nucleo, dove taglia il DNA. Per avere la conferma dell’attivazione di un programma apoptotico in un certo tessuto si fa correre il DNA in un gel x elettroforesi: un DNA di una cellula normale è ben compatto, di una cellula in necrosi forma uno striscio continuo (smear), di una cellula apoptotica invece forma DNA laddering = frammenti di DNA separati perché tagliati in modo specifico dalla CAD (potrebbe però essere osservato anche nei primi stadi di necrosi) A livello molecolare, l’incomunicabilità della cellula si traduce in due possibili vie di attivazione dell’apoptosi: Via intrinseca (mediata dai mitocondri): (1h circa) attivazione dell’apoptosi da stimoli interni alla cellula, controllata dall’equilibrio di diverse proteine della grande famiglia Bcl-2 (hanno domini BH: Bcl-2 Homology domain) che comprende proteine anti-apoptotiche protettrici (es. Bcl-2, Bcl-xL, Bcl-w), pro-apoptotiche (Bax, e Bak) e Bcl-2-regolatrici (dette BH3-only perché condividono con le altre proteine solo il piccolo dominio BH3; comprendono Bid, Bad, Puma e Bim) che promuovono l’apoptosi o inibendo le proteine anti-apoptotiche o attivando le pro-. In una cellula regolarmente funzionale le anti-apoptotiche (Bcl-2 in particolare) sono prodotte in grande quantità 🡪 Bcl-2 impedisce a Bax e Bak di legarsi alla membrana mitocondriale. Se danno a carico del DNA, ipossia, alte concentrazioni di calcio citosolico, infezioni, stress ossidativo, mancanza segnali di sopravvivenza ecc. = segnali di morte 🡪 la cellula inizia a sintetizzare le BH3 only che legano le proteine anti-apoptotiche impedendo a Bcl-2 di svolgere la sua normale funzione 🡪 Bax e Bak si inseriscono nella membrana mitocondriale esterna, aumentandone la permeabilità e formando canali che provocano il rilascio di alcune proteine mitocondriali tra cui il citocromo c (“punto di non ritorno”), che si lega nel citoplasma a diverse proteine tra cui APAF-1, che cambia conformazione legando a sua volta la procaspasi-9 e dando così vita ad un apoptosoma 🡪 attivazione caspasi-9 iniziatrice 🡪 attivazione a cascata di altre caspasi e apoptosi. Perché i citocromi c e i mitocondri sono responsabili dell’apoptosi? Mistero, anche perché le cellule procariotiche (da cui derivano i mitocondri) non fanno apoptosi e non possiedono caspasi. Via estrinseca (mediata da recettori): attivazione apoptosi ad opera di segnali esterni alla cellula (ligandi di morte) prodotti in risposta a condizioni avverse es. infezioni virali, radiazioni o agenti chimici tossici (può accadere ad esempio se la cellula è infettata ma “non se ne accorge”, perché molti virus attivano meccanismi inibitori dell’apoptosi x potersi replicare) 🡪 segnali esterni attivano l’apoptosi, es. TNF (Tumor Necrosis Factor), che si legano a recettori di morte transmembrana (TNFR, FASL, TRAIL) causando cambiamenti di conformazione dei loro domini di morte, che si avvicinano tra loro consentendo il reclutamento di proteine adattatrici (FADD e TRADD) che reclutano procaspasi-8 che si tagliano reciprocamente 🡪 caspasi-8 iniziatrici che attivano una cascata di caspasi. Le due vie sono in realtà interconnesse e una via può attivarne un’altra: la caspasi-8 attivata per via estrinseca può ad esempio tagliare Bid che appartiene alle BH3-only (via estrinseca che ne attiva una intrinseca). Alla fine convergono attivando le stesse caspasi esecutrici che tagliano gli stessi bersagli cellulari. Malattie mitocondriali: dovute a mutazioni genetiche a carico del DNA mitocondriale, che causano ad esempio un blocco della catena respiratoria con deficit produzione ATP, e hanno un tasso di mutazione 10 volte superiore rispetto al DNA genomico causa assenza di istoni (DNA non compattato in cromatina, esposto ad agenti mutageni e radicali liberi di scarto della catena respiratoria = ROS), replicazione molto veloce, frequente (aumento errori macchina replicativa con meccanismi di riparazione meno efficienti) e indipendente dal DNA genomico. Normalmente se un papà ha malattie mitocondriali non la trasmette alla progenie, la madre invece sì (trasmissione mtDNA tipicamente materna). Malattie con un pedigree molto caratteristico (elevata variabilità clinica anche all’interno della stessa famiglia), legato all’eteroplasmia 🡪 più copie di DNA nello stesso mitocondrio e + mitocondri nella stessa cellula, non per forza tutti portatori della mutazione genetica del DNA mitocondriale: a seconda di come si divide la cellula progenitrice nelle cellule uovo si può avere una diversa distribuzione di mitocondri mutati. Eteroplasmia = coesistenza di diversi genomi mitocondriali all’interno dei mitocondri di cellule diverse (eteroplasmia intercellulare) o all’interno di una stessa cellula (eteroplasmia intracellulare). Effetto soglia: dato l’elevato numero di copie di mtDNA, le mutazioni non esercitano una grande influenza sul fenotipo fino a quando la proporzione di mtDNA mutato non supera una soglia critica di circa il 75% delle molecole totali presenti. Le malattie sono molto numerose e si manifestano normalmente nei distretti dell’organismo in cui è richiesta una più alta produzione di energia (sistema neuromuscolare, occhi, fegato…); il loro effetto è generalmente legato ad una perdita di energia causa ridotta produzione di ATP. Studi recenti dimostrano che dove i mitocondri presentano malattie l’effetto generale comporta un rapido invecchiamento dell’organismo affetto, es. topi mutanti polG (polimerasi che dovrebbe limitare le mutazioni a carico di mtDNA) accumulano mutazioni mtDNA, stress ossidativo, invecchiamento e danni neurologici. Il malfunzionamento dei mitocondri è legato anche al morbo di Parkinson. Trasporto di proteine destinate ai mitocondri: ci sono due possibili modalità di trasporto di una proteina mitocondriale nello spazio intermembrana: 1. La proteina ha due sequenze segnale: una di localizzazione nella matrice e una per lo spazio intermembrana. La proteina viene trasportata nella matrice, dove la prima sequenza segnale viene rimossa e viene esposta quella per lo spazio intermembrana, che è riconosciuta dal recettore-canale Oxa-1 che trasferisce la proteina nello spazio intermembrana, dove la sequenza segnale viene rimossa e la proteina assume la conformazione attiva. 2. La proteina inizia l’attraversamento della membrana interna, ma la sequenza di localizzazione nello spazio intermembrana, idrofobica, induce l’apertura laterale del traslocone per cui la proteina sporge nello spazio intermembrana con la sequenza segnale ancora inserita nella membrana che viene poi tagliata 🡪 la proteina si libera nello spazio intermembrana e assume la conformazione attiva I VIRUS “A piece of bad news enwrapped in a protein coat” Dal latino = veleno; agenti infettivi di piccole dimensioni e semplice composizione che si possono moltiplicare solo in cellule viventi di animali, piante e batteri. Per la propria replicazione si basano a diversi gradi sui processi metabolici della cellula ospite 🡪 organismi di difficile definizione dal punto di vista della vita/non vita perché non sono in grado di sopravvivere autonomamente = parassiti endocellulari obbligati che devono sfruttare gli enzimi della cellula infetta per produrre una progenie. Alcuni non li ritengono forme viventi perché vita = capacità di riprodursi, però è anche vero che “pensano” applicando strategie per eludere i meccanismi difensivi della cellula e si sviluppano in parallelo con le cellule che infettano 🡪 organismi tra la vita e la non vita. Composti da una capsula proteica = capside che protegge il genoma virale (DNA o RNA a singola o doppia elica) e ha forma estremamente variabile. Alcuni virus enveloped es. HIV presentano al loro esterno una membrana plasmatica che non deriva dal genoma virale ma dal processo di gemmazione (budding) dalla cellula bersaglio (membrana plasmatica della cellula bersaglio stessa). Noi attribuiamo solitamente ai virus un’accezione estremamente negativa, quando in realtà noi ogni giorno veniamo esposti a migliaia di virus, ma nella maggior parte dei casi il nostro organismo è in grado da solo di evitare infezione e replicazione 🡪 iceberg conception of infection: c’è una grande varietà della risposta cellulare dell’ospite all’infezione virale e solo raramente (la “punta” dell’iceberg) insorgono stati patologici che nel peggiore dei casi portano alla morte dell’organismo. La risposta dell’organismo al virus dipende da diversi fattori, tra cui la risposta immunitaria dell’ospite, una particolare costituzione genetica (background genetici diversi) e la capacità infettiva del virus 🡪 il risultato dell’incontro virus-ospite dipende da una combinazione di tutti questi fattori. In seguito alla prima esposizione ad un virus attivazione sistema immunitario che riconosce qualsiasi elemento non-self 🡪 immunità innata aspecifica comprende citochine (in particolare interferoni), cellule NK, proteine del sistema del complemento, monociti e macrofagi e avviene nell’arco di pochi minuti. Se l’immunità innata non è sufficiente a contenere l’ingresso di agenti patogeni, alcuni elementi dell’immunità innata attivano gli elementi dell’immunità acquisita specifica, coordinata dai linfociti B 🡪 anticorpi, e T (CD4 e CD8) 🡪 citochine o lisi cellule infettate. Se un antigene viene riconosciuto come pericoloso da un linfocita, quest’ultimo inizia a replicarsi in maniera esponenziale creando un esercito di cloni di linfociti tutti in grado di riconoscere lo stesso antigene. Bisogna però considerare i meccanismi molecolari messi in atto dai virus per evadere o bloccare il sistema immunitario, ad esempio bloccando i responsabili dell’immunità innata o acquisita e l’apoptosi 🡪 la cellula sopravvive nonostante l’apoptosi e si replica portando alla replicazione del virus stesso. L’altra grossa variabile è l’ospite: se è immunodepresso o ha mutazioni genetiche che coinvolgono il sistema immunitario, allora anche virus normalmente non critici possono causare gravi danni (il terreno di coltura è tutto, il microbo è niente – Pasteur) HIV Articoli recenti hanno dimostrato che le infezioni da HIV sono globalmente diminuite, ma nei giovani il livello è rimasto invariato. Recente aumento delle malattie sessualmente trasmissibili (es. sifilide) causa grande ignoranza. Dati dell’OMS sul 2016 riportano l’esistenza di 36.7 milioni di persone infette, con 1.8 milioni di nuovi infetti e 1 milione di morti correlate all’HIV. I casi di infezione stanno significativamente riducendosi grazie a terapie in grado di mantenere bassa la carica virale = minore possibilità di trasmettere l’infezione, anche con comportamenti a rischio, ma comunque il numero di persone che vivono con HIV è aumentato, anche grazie ad una migliore qualità della vita. Africa paese + colpito da HIV causa ridotta disponibilità della terapia (che funge anche come prevenzione) Virus enveloped semplice a forma sferica con capside e genoma con 2 molecole di RNA identiche ma non appaiate e spikes sulla superficie = proteine transmembrana gp120 (glicoproteina) che derivano dal genoma virale, alla base di tropismo (che cellule saranno infettate) e infettività del virus, si inseriscono sul capside grazie a gp41. 3 geni essenziali fondamentali x replicazione + geni accessori che distinguono diverse varianti 🡪 gene gag che codifica x proteine del capside virale (in particolare p24), env (envelope) x proteine involucro esterno – gp120) e pol x trascrittasi inversa, proteasi e replicasi. Gp120 lega CD4 🡪 HIV infetta tutte le cellule CD4+, soprattutto linfociti T CD4+ (helper) ma anche linfociti T CD8+, linfociti B, monociti-macrofagi, cellule dendritiche, fibroblasti, cellule gliali, cellule endoteliali, precursori emopoietici ecc. 🡪 soprattutto cellule del sistema immunitario = causa immunodepressione. La possibilità di trasmissione di HIV è legata alla quantità di materiale biologico a cui si è esposti, alla fase di malattia del soggetto fonte di esposizione, alla quantità di virus circolante nel paziente fonte e al fatto che il soggetto fonte sia o meno in terapia antiretrovirale Ciclo vitale: Fase afferente Gp120 si lega a CD4 (non sufficiente) e ad un co-recettore della famiglia delle chemochine (+ importante: CCR5, primo co-recettore identificato 🡪 esistono mutazioni del suo gene es. Δ32 = delezione 32 paia di basi, per cui non viene prodotto 🡪 soggetti omozigoti per mutazione di CCR5 non si infettano in vitro) Fusione del proprio envelope con la membrana cellulare e ingresso nella cellula Il capside si dissolve e rilascia il genoma virale a livello citoplasmatico Retrotrascrizione di HIV grazie a trascrittasi inversa di RNA in DNA virale che si complessa con altre proteine citoplasmatiche nel complesso di pre-integrazione che viene traferito nel nucleoplasma. Trascrittasi inversa = polimerasi molto veloce senza attività di proofreading che inserisce molti errori 🡪 numerose mutazioni che possono avvantaggiare il virus, alla base della difficoltà di eradicarlo Ingresso del genoma virale nel nucleo e Integrazione nel genoma della cellula bersaglio grazie all’integrasi virale, tradotta dal gene pol 🡪 il virus può rimanere silente a lungo, finché le cellule infettate non subiscono danni e attivano trascrizione che porta anche il genoma virale ad attivarsi Fase efferente Trascrizione provirus nelle cellule ospite attivate Assemblaggio genoma e proteine virali Fuoriuscita delle repliche del virus per gemmazione dalla cellula e maturazione Decorso dell’infezione se non viene trattata (monitoraggio condizioni del paziente tramite livelli di viremia e presenza CD4): Fase acuta di infezione primaria (1-12 settimane): periodo con sintomatologia specifica di tipo influenzale di tempo che intercorre tra il momento dell’infezione e l’esaurimento della sintomatologia, quando presente, o la completa sieroconversione. Fase molto pericolosa in cui il virus si replica in maniera incontrollata. Periodo ad alta viremia in cui è più facile trasmettere l’infezione e difficile riconoscerlo (solo HIV-RNA plasmatico, spesso non considerata dal medico specie nella classe di rischio eterosessuale). Crescita della viremia inversamente proporzionale al numero di CD4 bersaglio del virus. Fase asintomatica di latenza clinica (8-12 anni): produzione di anticorpi anti-HIV e attivazione linfociti T CD8+ che uccidono le cellule infettate da HIV bloccando la replicazione nel sangue periferico. Il sistema immunitario è parzialmente in grado di tenere sotto controllo l’infezione, con riduzione sensibile della viremia (a volte quasi a 0) e aumento CD4. In realtà il virus si nasconde in alcune nicchie in linfonodi e organi linfoidi in cui non è riconoscibile dai CD8 = organi reservoir da cui l’HIV lentamente infetta ed uccide i CD4 in circolo senza farsi riconoscere 🡪 progressivo depauperamento del sistema immunitario con diminuzione CD4 e rapporto CD4/CD8 oltre a difetti funzionali a carico degli stessi, dei linfociti B e della serie monocito-macrofagica Fase sintomatica o di AIDS conclamato (2-3 anni) in cui il numero di CD4 è talmente esiguo da non riuscire a contenere nessun tipo di patogeno = sindrome da immunodeficienza acquisita con sintomi iniziali modesti (perdita di peso, diarrea) e successivo incremento di tutti i marcatori della riproduzione virale con sviluppo tumori normalmente tenuti sotto controllo e morte per una serie di patologie correlate allo stato di immunodeficienza. [Sieropositività = presenza di proteine dell’ospite che riconoscono il virus, con anticorpi per HIV nel siero del paziente] Terapia antiretrovirale (ART): consente di rallentare, se non addirittura bloccare, il processo di replicazione virale e si basa sull’impiego di più farmaci che agiscono a diversi livelli del ciclo replicativo di HIV 🡪 sinergismo, ridotta tossicità e prevenzione resistenza (impedisce l’insorgenza di varianti virali). Ci sono 5 classi di farmaci principali in uso oggi = inibitori della trascrittasi inversa - sia nucleosidici che non nucleosidici -, della proteasi virale (fondamentale x processazione proteine del virus), dell’ingresso del virus (VS legame CD4-recettore) e dell’integrasi virale. Questa terapia, semplificata con poche pastiglie che concentrano più principi attivi, può permettere la convivenza con HIV a lungo grazie a riduzione morbilità e mortalità HIV-correlate, miglioramento qualità di vita, ripristino e preservazione funzione del sistema immunitario, soppressione duratura HIV-RNA, ma ad oggi sembra ancora impossibile eradicare il virus dall’organismo, che si nasconde finché non si sospende la terapia. La possibilità di contenere l’infezione ha fatto diminuire i fondi per la ricerca su HIV, che viene considerato quasi al pari di una malattia cronica 🡪 bisogna comunque continuare la ricerca perché esistono soggetti in cui la terapia è efficace ma il sistema immunitario non si riprende e soggetti in cui la terapia non è proprio efficace. Possono anche esserci effetti collaterali, per cui il paziente si vede costretto ad interrompere la terapia. Es. ipodistrofia con formazione placche aterosclerotiche nel sistema cardiocircolatorio, insorgenza diabete tipo I. Ad oggi obiettivo primario di arrivare nel 2020 con 90% dei soggetti esposti al virus che facciano un test per capire se sono stati infettati oppure no, 90% di pazienti infetti a cui viene somministrata la terapia e 90% di pazienti trattati con soppressione riproduzione virale. PrEP (pre-exposure Prophylaxis): somministrazione di antiretrovirali in persone non infette di categorie a rischio x prevenire infezione e replicazione del virus. Candidati: MSM (Men who have Sex with Men), individui transgender, uomini e donne eterosessuali, IDU (Injection Drug Users). NO vaccinazione ma utilizzo preventivo della terapia antiretrovirale Di fronte a ripetute esposizioni ad HIV, esistono 3 diversi gruppi di pazienti: Sieropositivi in cui la malattia progredisce 🡪 AIDS LTNP (Long-Term Non-Progressors) sieropositivi in cui la malattia non progredisce anche in assenza di terapia HESN (HIV-Exposed SeroNegatives) che sono venuti a contatto con HIV senza infettarsi (oggetti di studio della prof, che cerca proteine marker fondamentali per il ciclo di replicazione da HIV per poi utilizzarli a scopo terapeutico 🡪 perché gli HESN non si infettano?), es. coppie eterosessuali stabili con rapporti a rischio senza precauzioni, con partner sieropositivo e partner sieronegativo che però non si infetta; ritrovati in tutte le corti a rischio, es. operatori sanitari, figli di madri sieropositive, prostitute, IDU, MSM ecc. 🡪 stime riferiscono che il 15% dei soggetti venuti a contatto con il virus siano HESN. Come si fa a capire quando uno è venuto a contatto con HIV? Producono anticorpi anti-HIV che appartengono di un’altra classe anticorpale (IgA) rispetto ai sieropositivi (IgG) Attualmente è stata identificata la proteina ERAP, un’amminopeptidasi che taglia peptidi del virus ad una lunghezza di 9-10 amminoacidi consentendo il legame con MHC nel REr 🡪 complesso trasportato sulla superficie della cellula che viene poi riconosciuto da un linfocita 🡪 proliferazione di linfociti specifici per quella porzione di virus, poi un CD8 uccide la cellula infettata per evitare la proliferazione del virus. Esistono diverse varianti di ERAP in base alla sequenza nucleotidica con 2 aplotipi (varianti alleliche): se guanina ERAP2 completamente funzionale, se invece mutazione G 🡪 T scatta splicing alternativo con mRNA con 2 codoni di stop che genera una proteina non funzionante 🡪 soggetti omozigoti per questa mutazione non hanno ERAP2, ma esiste anche ERAP1 per cui anche omozigoti per la mutazione non sviluppano malattie. Frequenza allelica delle mutazioni al 50% - strano perché nel corso dell’evoluzione un allele non funzionale viene perso 🡪 probabilmente la proteina tronca ha una qualche funzione sconosciuta. Gli omozigoti per G sono più protetti da infezioni rispetto a TT o eterozigoti 🡪 in un qualche modo l’allele controlla indirettamente l’infezione. È già stato dimostrato che ERAP1 può essere rilasciata dalle cellule, attivando un’altra risposta immunitaria 🡪 si cerca di dimostrare che anche ERAP2 possa essere rilasciata, il che spiegherebbe il mantenimento di TT 🡪 dovrebbe avere effetto al di fuori della cellula. Solo due soggetti al mondo sono guariti da HIV, entrambi con la stessa strategia che sfrutta la mutazione di CCR5. Paziente di Berlino e di Londra (+ recente) infetti da HIV e affetti da una forma di leucemia mieloide acuta che ha reso indispensabile un trapianto di midollo 🡪 ricerca di un donatore compatibile anche omozigote per la delezione di CCR5 🡪 dopo il trapianto, anche a terapia sospesa, il virus non si è più ripresentato. Non è comunque una strategia perseguibile a causa della difficoltà a trovare donatori compatibili per il midollo con anche Δ32 di CCR5. COMUNICAZIONE CELLULARE La vita ed il comportamento di una cellula animale dipendono da numerosi segnali extracellulari a causa di una serie di recettori che rispondono a segnali per sopravvivere, dividersi, differenziarsi o morire 1. Invio del segnale: sintesi e rilascio di molecole segnale (primi messaggeri) 2. Ricezione dello stimolo da recettori transmembrana sulla superficie esterna della m. plasmatica di una cellula bersaglio 🡪 cambio conformazione recettore 3. Trasduzione del segnale dai recettori all’interno della cellula tramite secondi messaggeri 4. Risposte cellulari: modifiche metabolismo, espressione genica o forma/posizione (proteine del citoscheletro) 5. Cessazione della risposta in seguito all’eliminazione delle molecole segnale In base alla “riservatezza” del segnale (può essere secreto all’esterno della cellula o esposto sulla sua superficie): Segnali endocrini: ormoni secreti da cellule endocrine nel circolo sanguigno con azione a lunga gittata (es. ovaie e testicoli stimolati da ormoni prodotti nel cervello) Segnali paracrini: comunicazione a breve distanza attraverso lo spazio extracellulare tramite molecole segnale a vita breve che regolano il comportamento delle cellule vicine, soprattutto x infiammazione e cicatrizzazione Segnali juxtacrini: comunicazione contatto-dipendente tra cellule adiacenti con molecola segnale esposta sulla membrana e direttamente trasmessa senza essere rilasciata nello spazio extracellulare. Cfr. sistema immunitario: una cellula presentante l’antigene ne espone parti sulla superficie cellulare, che vengono poi legati dal TCR di un linfocita T che viene dunque attivato. Segnale fondamentale anche in embriogenesi soprattutto nelle prime fasi. Segnali autocrini: prodotti dalla stessa cellula che ne è bersaglio, tipici di cellule del sistema immunitario/tumori con fattori di crescita che innescano il differenziamento. Es. linfocita T CD4 vergine che incontra APC presentante l’antigene 🡪 produce IL2 ad azione paracrina ed autocrina x proliferazione clonale Segnali sinaptici: neurotrasmettitori (acetilcolina, dopamina, vari aminoacidi e peptidi) trasmessi tramite sinapsi x comunicazione neuronica = a lunga gittata ma più specifica rispetto alla comunicazione endocrina perché viaggia lungo gli assoni (+ placca neuromotrice). Quando il neurone viene raggiunto da uno stimolo, le vescicole sinaptiche si fondono per esocitosi con la membrana pre-sinaptica, riversando il proprio contenuto nello spazio sinaptico. I neurotrasmettitori rilasciati si legano a recettori o a canali ionici sulla membrana post-sinaptica, scatenando una risposta eccitatoria o inibitoria nel neurone post-sinaptico. La differenza principale tra classi di molecole segnale è la distanza percorsa dalla molecola prima di incontrare il bersaglio: molecole segnale autocrine e paracrine hanno vita breve (3h circa) o vengono degradate da enzimi per evitare di prendere strade troppo lunghe. Cfr. IFN gamma prodotto soprattutto da NK e linfociti T, che stimola loro stessi ma anche le altre cellule del sistema immunitario. I vari tipi di comunicazione cellulare dipendono dalla tipologia delle molecole segnale (i segnali più lenti sono in genere quelli che regolano l’espressione genica, es. fattori di crescita): Molecole grandi/idrofiliche (es. proteine, peptidi, amminoacidi, nucleotidi): sintetizzati come pre-ormoni e accumulati in vescicole con membrana, non attraversano la membrana e necessitano di un recettore sulla superficie cellulare 🡪 cambiamento conformazionale del recettore in seguito a legame ligando-recettore, che attiva cascate di segnali nella cellula 🡪 risposte rapide. Tipicamente eicosanoidi e leucotrieni contenenti lipidi con effetto autocrino e paracrino (cfr. prostaglandine, prostacicline, trombossani e leucotrieni), stimolano aggregazione piastrine, infiammazione, muscolatura basale ecc. e vengono inibiti dai FANS. Sono anche fattori di crescita = polipeptidi che possono agire su diversi tipi cellulari o solo su un tipo, promuovendo crescita e differenziamento, influenzando motilità e contrattilità cellulare e inducendo la proliferazione (modificano l’espressione genica), es TGF-β (cellule tumorali), citochine in risposta infiammatoria ecc. Molecole piccole/idrofobiche: attraversano la membrana plasmatica e legano un recettore intracellulare citoplasmatico/nucleare, modificando l’espressione genica della cellula 🡪 risposte lente e durature. Es. steroidi, derivati degli acidi grassi, gas disciolti come l’ossido nitrico (NO), prodotto secondario dall’arginina che attraversa facilmente le membrane agendo come regolatore locale es. rilasciato da cellule endoteliali dei vasi come messaggero per le cellule muscolari lisce 🡪 vasocostrizione. Anche piccoli ormoni steroidei idrofobici es. colesterolo, estradiolo, testosterone e ormoni tiroidei (cfr. malattia genetica di uomini con recettori x il testosterone malfunzionanti che non sviluppano i caratteri sessuali secondari) 🡪 molecole apolari derivate dal colesterolo, non accumulati nelle cellule endocrine e trasportati in circolo da SBP (Steroid Binding Protein) Recettore: caratteristiche necessarie x classificazione come recettore: Specificità: un recettore deve essere in grado di distinguere tra segnali spesso strettamente correlati Alta affinità: le molecole segnalatrici sono spesso presenti a basse concentrazioni – i recettori possono spesso captare concentrazioni tra nM e pM Saturabilità: una cellula ha un numero finito di recettori, per cui c’è un limite al numero di molecole di ligando che può legare Reversibilità: l’associazione ligando-recettore non è covalente: legami ad alta affinità ma reversibili 🡪 quando la concentrazione del ligando diminuisce il complesso può dissociarsi, interrompendo la trasduzione del segnale Accoppiamento: il recettore trasferisce un segnale dal ligando alla cellula Cellule diverse esprimono recettori diversi (es. linfociti T con TCR, cellule dendritiche con TOll-like receptors che riconoscono tutte le sostanze patogene) e la stessa cellula può sintetizzare recettori diversi in fasi diverse della sua vita. Gli stessi recettori in distretti anatomici diversi possono dare inoltre effetti diversi, es. surrene: l’adrenalina aumenta il battito cardiaco e nel fegato stimola la demolizione del glicogeno. I recettori possono essere: Accoppiati a canali ionici: conversione segnali chimici 🡪 elettrici. Presenti in cellule eccitabili elettricamente (neuroni, cellule muscolari e sensoriali) che coinvolgono un neurotrasmettitore che induce il canale ad aprirsi transientemente. Canali ionici detti anche canali a controllo di ligando perché il canale ionico si apre/chiude in risposta al legame con la molecola segnale (1° messaggero), es. trasmissione determinata dal potenziale di azione con rilascio neurotrasmettitore nella fessura sinaptica 🡪 accolto nell’ambiente post-sinaptico, dove colpisce canali ionici inizialmente aperti, che si chiudono al legame con il neurotrasmettitore, aprendosi però all’interno della cellula per permettere l’ingresso del neurotrasmettitore. Rilascio neurotrasmettitore grazie al potenziale d’azione (PA): fenomeno transitorio della durata di 1 msec con fase di depolarizzazione e fase di ripolarizzazione; insorge quando la membrana viene depolarizzata da uno stimolo fino al livello soglia del potenziale d’azione 🡪 assume un’ampiezza indipendente dai caratteri dello stimolo che lo hanno evocato (legge del tutto o nulla). Se dopo un primo stimolo ne viene applicato un secondo di uguale intensità = periodo di refrattarietà in cui la cellula non può generare un secondo PA. PA regolato dall’eccitabilità della cellula, che dipende principalmente dallo stato di attivazione dei canali del sodio e del calcio voltaggio-dipendenti 🡪 calcio = “messaggero universale”: mantenuto ad una concentrazione estremamente bassa nel citosol (tossico), ma alta fuori dalla cellula e in organelli es. REl e mitocondri. L’apertura rapida e transitoria di canali permette al calcio di fluire nel citosol seguendo il suo gradiente di concentrazione e costituisce la base di un sistema di signalling ubiquitario (es. quando uno spermatozoo feconda un uovo i canali del calcio si aprono e si avvia lo sviluppo embrionale); nel citosol l’aumento della concentrazione di Ca2+ lega la calmodulina che a sua volta cambia conformazione e lega numerose proteine bersaglio Accoppiati a proteine G (GPCR): GDP convertito a GTP per attivare le subunità funzionali (cAMP come secondo messaggero). I GPCR sono composti da una singola catena polipeptidica con 7 domini transmembrana ad α-elica: la parte esterna presenta un sito di legame per il ligando (GPCR con struttura simile ma diversa sequenza amminoacidica x il legame di molecole diverse), mentre il terzo lungo loop citoplasmatico si accoppia alle proteine G = proteine che legano il GTP formate in conformazione non attiva da tre subunità: i nucleotidi guaninici si legano alla subunità α, provvista di attività enzimatica, catalizzando la conversione del GTP in GDP e dissociandosi dalle subunità β e γ che rimangono associate in un unico complesso βγ 🡪 le subunità attivano o inibiscono proteine bersaglio che possono attivare diversi secondi messaggeri es. adenilato ciclasi x formazione cAMP, fosfolipasi C x inositolo fosfato e diacilglicerolo, canali ionici (in particolare di calcio e potassio) - dei circa 900 recettori accoppiati a proteine G circa 400 sono potenziali bersagli di trattamenti farmaceutici. Secondi messaggeri possono essere ioni o piccole molecole che non sono dotate di attività enzimatica ma vengono attivate da enzimi x veicolare segnali nella cellula, es. recettore per l’adrenalina = GPCR che attiva l’enzima adenilato ciclasi che attiva il secondo messaggero cAMP (adenosina monofosfato ciclico) Accoppiati ad enzimi: il ligando induce l’attivazione di un enzima all’altra estremità del recettore, es. chinasi, lipasi, ecc. Cfr. recettori tirosin-chinasi (RTK) composti da segmento transmembrana x legame con ligando (es. EGF) che determina la dimerizzazione della regione intracellulare ad attività tirosin-chinasica del recettore con fosforilazione incrociata di un certo numero di residui amminoacidici di tirosina, che crea siti di legame x proteine citosoliche con domini SH2. Questo tipo di recettore può attivare anche segnali nucleari. Recettori intracellulari: sono per lo più fattori trascrizionali che vengono legati da piccole molecole idrofobiche in grado di diffondere attraverso la membrana (es. ormoni steroidei, ossido nitrico) 🡪 segnale lento perché modifica l’espressione genica e deve essere quindi rigorosamente controllato. Trasduzione del segnale: catena di reazioni determinate dal legame ligando-recettore con modulazione, amplificazione e divergenza dei segnali dalla superficie cellulare verso bersagli intracellulari di vario tipo. Terminazione: una volta che un segnale ha svolto il suo compito deve essere terminato 🡪 grazie a reversibilità, recettore e fattori della cascata tornano in stato inattivo, es. viene defosforilato/GPCR legano GDP grazie alla GTPasi/cAMP disattivata da fosfodiesterasi in AMP. Un difetto nella terminazione può avere conseguenze drammatiche, es. colera con tossina che modifica la subunità α della proteina G impedendole di idrolizzare GTP 🡪 apertura canali del cloro con efflusso di cloro e acqua nel lume intestinale, che provoca diarrea e disidratazione. I recettori sono anche bersaglio di sostanze estranee che interferiscono con la fisiologia (nicotina, eroina, paprika, farmaci, veleni…) mimando il ligando naturale e bloccando o sovrastimolando lo specifico recettore. Es. caffeina = alcaloide che lega recettori delle cellule nervose del cervello competendo con l’adenosina (antagonista), che si accumula nel cervello di persone sottoposte a stress e legando uno specifico recettore riduce l’attività cerebrale e induce sonnolenza. IL CICLO CELLULARE Successione di eventi che portano alla formazione di due cellule figlie (