Il Vacuolo (Biologia Vegetale) PDF

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Università degli Studi di Torino

2020

Munaro Lorena / Perazzo Alice

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biologia vegetale cellula vegetale vacuolo scienze biologiche

Summary

Lezione di biologia vegetale sul vacuolo. L'articolo descrive la struttura e le funzioni del vacuolo nelle cellule vegetali, comprese le funzioni generali (crescita e omeostasi) e quelle particolari (riserva, difesa, litica e detossificazione). L'articolo mette in luce il ruolo del vacuolo nell'omeostasi ionica e idrica delle cellule vegetali, illustrando i meccanismi di trasporto e le pompe protoniche.

Full Transcript

Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 IL VACUOLO Il termine vacuolo deriva dal latino vacuum, che significa vuoto. Questo perché i primi botanici che osservarono le cellule vegetali videro, a...

Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 IL VACUOLO Il termine vacuolo deriva dal latino vacuum, che significa vuoto. Questo perché i primi botanici che osservarono le cellule vegetali videro, al centro, uno spazio apparentemente vuoto, dovuto alla natura acquosa del contenuto. Si tratta di un organulo, che è circondato da una membrana a doppio strato fosfolipidico, chiamata tonoplasto. All’interno è racchiusa una soluzione acquosa, detta succo vacuolare, in cui possono essere disciolte varie sostanze di tipo idrofilo. Nonostante nella cellula differenziata sia un grande e unico organulo, il vacuolo va incontro ad un certo dinamismo, sia nel momento della formazione, che durante le sue stesse funzioni. Si tratta di un comparto che svolge molte funzioni diverse all’interno della ce llula, che si distinguono in funzioni generali, presenti in tutte le cellule e funzioni particolari, che dipendono, invece, da cosa venga indirizzato a questo comparto. Nelle funzioni generali ritroviamo: Crescita cellulare per distensione; Omeostasi (ionica/idrica). Mentre, in quelle particolari: Funzione di riserva (Metaboliti I) Funzione di difesa (Metaboliti II) Funzione litica (autolisi/endocitosi) Funzione detossificante (Compartimentazione) Perché le cellule vegetali sono più grandi di quelle animali? Cellula animale Occorre riflettere su una 10-30 μm differenza presente tra cellula animale e cellula vegetale: se analizziamo le dimensioni medie dei due tipi di modello eucariotico, osserviamo che le cellule vegetali sono mediamente molto più grandi. Questo è dovuto proprio alla Cellula vegetale presenza, all’interno di tali 10-100 μ cellule, del vacuolo. 1 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 Se si ragiona sulle funzioni di tutte le cellule, sia animali che vegetali, si individua un fondamentale rapporto tra la superficie ed il volume. Attraverso le superfici avvengono gli scambi: infatti, la cellula acquisisce nutrienti (soprattutto la cellula animale, ma anche quella vegetale, che acquisisce sostanze inorganiche) e, soprattutto, avvengono gli scambi di gas. Queste molecole devono poter diffondere e raggiungere anche il centro della cellula, soprattutto se qui vi sono organuli importanti come i mitocondri, che utilizzeranno l’ossigeno nella respirazione. Quindi, un aumento, anche piccolo, delle dimensioni cellulari, porta ad u n rapido decremento del rapporto Sup/Vol, in quanto: La superficie aumenta con un rapporto al quadrato; Il volume aumenta con un rapporto al cubo. Di conseguenza, nella cellula animale, ci sono delle forti limitazioni all’aumento eccessivo delle dimensioni cellulari. In realtà, ciò non avviene per la cellula vegetale, a causa della presenza del vacuolo al centro della cellula, nel quale, dal punto di vista metabolico, non avviene granché. La diffusione dei gas, che è lo scambio più importante per le cellule vegetali, non riscontra alcun problema, neppure nelle Vacuolo cellule più grandi, poiché la diffusione interessa solamente la striscia di citoplasma (evidenziata nella figura a lato), dove ci sono gli organuli importanti. La diffusione dall’esterno è facilitata proprio dalla limitazione di tutto il citoplasma degli organelli a questa fascia periferica, esterna al tonoplasto. Dinamismo del vacuolo Possiamo osservare, nell’immagine, come il vacuolo sia molto diverso in una cellula meristematica e in una cellula differenziata. Se in una cellula differenziata vediamo il vacuolo come un grosso comparto che occupa la maggior parte del volume cellulare, in una cellula meristematica si presenta come delle piccole vescicole, dei sistemi tubulari di membrane, chiamati provacuoli. Tale aspetto è quindi totalmente diverso da quello che si ha in una cellula adulta. I provacuoli sono marcati, nell’immagine sottostante, con una colorazione di tipo citochimico particolare, che mette in evidenza l’attività fosfatasica, caratteristica del tonoplasto. Durante le prime tappe della vita della cellula, i provacuoli andranno a fondersi fra di loro per dare origine a sistemi vacuolari sempre più ampi, sino a giungere al gr ande vacuolo centrale. 2 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 Questo dinamismo può essere seguito, ad esempio in una radice, partendo dall’apice, dove si ha il meristema e quindi i provacuoli, e proseguendo lungo una linea che si allontana dal meristema, la quale rappresenta le varie tappe della distensione cellulare e quindi del differenziamento. Si vedranno, man mano, i provacuoli fondersi a formare insiemi di vacuoli sempre più grandi. mmagine, verrà ripresa successivamente) Questo dinamismo può presentarsi anche in senso opposto: ad esempio, una cellula durante il dedifferenziamento, vede la frammentazione del vacuolo centrale. Questo avviene nella formazione del callo a partire da tessuti adulti nella 3 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 pianta. Cellule portate in coltura si dividono, portando anche alla fr ammentazione del vacuolo (non torna ad avere proprio l’aspetto dei provacuoli). FUNZIONI GENERALI Crescita cellulare per distensione (già trattato durante le lezioni precedenti) All’interno del vacuolo si crea una pressione che spinge contro le pareti, e c on il rilassamento delle pareti si ha la distensione; Omeostasi Uno dei compiti del vacuolo è quello di mantenere le concentrazioni di ioni o di una certa quantità di acqua costanti (ad un corretto stato di idratazione) all’interno del citoplasma, laddove avviene il metabolismo più importante della cellula. Omeostasi ionica Come fa il vacuolo a mantenere un’omeostasi ionica nel citoplasma? Grazie a numerosi trasportatori presenti sul tonoplasto. Tra questi, in particolare, ci sono due pompe, entrambe protoniche, che trasportano protoni dal citoplasma all’interno del succo vacuolare, acidificandolo. Questo avviene a spese dell’energia metabolica. Si tratta di due pompe che utilizzano due forme di energia leggermente diverse: Una pompa protonica ATPasica, che idrolizza ATP per liberare l’energia necessaria per il movimento contro gradiente dei protoni. E’ un’isoforma particolare, destinata al tonoplasto, rispetto a quella che si installa nella membrana plasmatica, ma la funzione è la medesima; Una pompa protonica pirofosfatasica, che utilizza come fonte energetica il pirofosfato, liberando però la stessa quantità di energia (stessa energia di legame). Entrambe le pompe generano un forte gradiente elettrochimico con il citoplasma: elettrico, in quanto i protoni presentano carica positiva, chimico, perché si crea un gradiente di pH. Esso viene sfruttato da una serie di sistemi di trasporto attivo secondario (co- trasporto), i quali inducono la fuoriuscita dei protoni per il trasporto di altre sostanze. Nell’immagine si osservano due sistemi importanti di antiporto, che fanno entrare all’interno del vacuolo delle sostanze, sia organiche che ioni, proprio sfruttando l’energia creata dal gradiente. Uno degli ioni più importanti che vengono regolati, nel citoplasma, dal vacuolo è il calcio. Come sappiamo, è un importante regolatore della funzione di molte proteine, tra le quali i fattori di trascrizione, che regolano la trascrizione genica. E’ pertanto importante che la concentrazione di Ca²⁺ nel citosol venga regolata attentamente. 4 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 Il vacuolo è uno dei siti di accumulo del calcio nella cellula vegetale, ma anche il reticolo endoplasmatico e la parete cellulare. Nel caso del vacuolo, il calcio può essere rilasciato attraverso dei canali per creare dei picchi di calcio citosolico, che vengono poi rapidamente ridotti attraverso i sistemi di antiporto descritti. Il calcio, all’interno delle cellule vegetali e in particolare nel vacuolo, può essere presente sia in forma solubile, e quindi facile da trasportare attraverso al tonoplasto, oppure in forma insolubile. Nell’immagine si possono osservare dei cristalli all’interno del vacuolo. Si trovano in una forma organica particolare, o acido ossalico. Queste forme insolubili possono assumere aspetti diversi, come degli aghi, nel caso dei rafidi, o dei sassi, nel caso delle druse. Omeostasi idrica L’acqua è in grado di attraversare le membrane biologiche, anche se molto lentamente, anche senza specifici sistemi di trasporto. Nelle membrane cellulari sono, tuttavia, presenti dei canali dell’acqua, le acquaporine, che consentono di accelerare notevolmente il passaggio dell’acqua in modo abbastanza specifico. Esse possono trasportare anche altre piccole molecole simili all’acqua. 5 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 Le piante possiedono molte più acquaporine rispetto, ad esempio, all’uomo. I geni che codificano per le acquaporine A.thaliana sono tre volte tanti rispetto a quelli che codificano le acquaporine nell’uomo. Questo è dovuto al fatto che le piante necessitano di regolare attentamente il movimento dell’acqua al loro interno, e hanno moltissime acquaporine sul tonoplasto. Vengono distinte, quindi, le acquaporine presenti sulla membrana plasmatica, le PIPs (Plasmamembrane Integral Proteins) dalle acquaporine presenti nel tonoplasto, le TIPs (Tonoplast Integral Proteins). Insieme, esse formano le MIPs (Membrane Integral Proteins), che rappresentano il corredo completo della cellula. N.B.: le acquaporine possono accelerare il movimento dell’acqua, ma non cambiarne la direzione. La direzione dell’acqua è dettata dalle regole del potenziale idrico. Esse possono essere regolate, in genere, attraverso processi di fosforilazione o defosforilazione, per cui la velocità può essere accelerata o ridotta. Come utilizza, una cellula vegetale, le sue acquaporine per mantenere un’omeostasi idrica? Lo schema qui riportato mostra uno stato di idratazione ideale di una cellula : c’è molta acqua, non vi è un problema di stress idrico e, in questa situazione, la cellula mantiene tutte le acquaporine aperte. Sia le PIPs, attraverso una regolazione tramite fosforilazione, sia le TIPs. Nel momento in cui la cellula entra in stress idrico, a causa dell’acqua poco abbondante o di un eccesso di traspirazione, vengono chiuse le PIPs attraverso un processo di defosforilazione, mentre vengono mantenute aperte le TIPs. Questo perché il vacuolo, avendo un alto contenuto di acqua, attraverso la fuoriuscita della stessa può mantenerne, per un certo periodo, lo stato di idratazione corretto nel citoplasma. FUNZIONI PARTICOLARI Le funzioni del vacuolo sembrano diversissime: si possono avere funzioni di riserva, di interazione con altri organismi (difesa e attrazione), oppure funzioni interne alla cellula (litica e detossificante). Queste funzioni apparentemente così diverse sono fondamentalmente legate al contenuto del vacuolo, quindi a seconda di ciò che accumuliamo in esso possiamo avere funzioni molto diversificate. 6 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 Nell’immagine qui accanto, possiamo osservare in blu il ruolo assunto dal vacuolo e in rosso le sostanze che vi sono all’interno (in nero gli esempi). Se si accumulano degli enzimi idrolitici all’interno di esso, con substrati diversi (proteasi, chitinasi, glucanasi), il ruolo complessivo che il vacuolo assumerà sarà di tipo litico; Se si inseriscono sostanze che per la cellula hanno un significato energetico, il vacuolo diventa un sito di riserva, di accumulo di sostanze di riserva; I metaboliti secondari sono fondamentali nell’interazione con altri organismi: dunque si può avere nel vacuolo l’accumulo di sostanze colorate, che determina un ruolo vessillare, di richiamo dei fiori nei confronti degli impollinatori; Inoltre, le piante producono moltissime sostanze tossiche, che servono a limitare gli attacchi da parte di predatori e patogeni. Quando queste vengono accumulate, il vacuolo assume un ruolo di difesa; Nella cellula possono essere presenti delle sostanze tossiche che provengono dall’esterno. Per di più, le cellule vegetali non possiedono un vero e proprio sistema di escrezione e reagiscono trasportando e accumulando tali sostanze nel vacuolo, che diventa un comparto di detossificazione. Il tempo che le sostanze trascorrono nel vacuolo può essere molto diverso: Accumulo temporaneo: le sostanze di riserva, ad esempio, possono essere mantenute all’interno del vacuolo per il tempo necessario, ma una volta necessarie vengono utilizzate; Accumulo permanente: le sostanze tossiche, invece, resteranno per sempre all’interno del vacuolo, per impedire un effetto nocivo sul metabolismo cellulare. Funzione litica Si tratta di una funzione autofagica, che dipende dall’accumulo all’interno del comparto di enzimi idrolitici. La funzione autofagica è simile alla funzione che svolgono i lisosomi nella cellula animale. Nella cellula vegetale non ci sono i lisosomi, ma il vacuolo può svolgere la stessa funzione: distruggere singole componenti cellulari, che sono acquisite o attraverso le vescicole o direttamente attraverso un fenomeno di microfagia. Quindi si può passare dalla degradazione di singole componenti alla macroautofagia, che prevede la degradazione di interi organelli differenziati. Il significato dell’autofagia è quello di poter scomporre strutture più complesse, liberando sostanze semplici che possono essere riutilizzate per la costruzione di altre molecole o strutture. 7 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 Questa funzione è importante durante la senescenza o la morte cellulare. Ad esempio, prima della caduta delle foglie in autunno, vi è una fase di recupero di tutto il possibile da questi organi. Da qui ne deriva anche il cambiamento di colore. Anche durante il dedifferenziamento cellulare, organuli già differenziati possono essere distrutti, attraverso questo meccanismo, per recuperare materiali di costruzione ed energia da utilizzare per un nuovo differenziamento. Funzione di riserva Questo ruolo del vacuolo dipende dall’accumulo di metaboliti primari, che sono legati, ad esempio, agli zuccheri o alle proteine. Vi è una particolare funzione di riserva nei confronti degli acidi organici, che è legata ad una forma di fotosintesi peculiar e. Lo zucchero più abbondante accumulato all’interno del vacuolo è il saccarosio. E’ un disaccaride formato da un legame glucosidico tra una molecola di glucosio ed una di fruttosio. Si tratta di due zuccheri a sei atomi di C, legati fra loro attraverso i due carboni anomerici, ossia quelli più reattivi in una forma ciclica di zucchero. Questo rende il saccarosio un disaccaride non riducente e quindi inerte dal punto di vista chimico. Il saccarosio non ha solo un significato nella funzione di riserva del vacuolo, ma ha anche un 8 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 significato importante nel trasporto. Tutte le piante sono quindi in grado di sintetizzarlo ed utilizzarlo. Alcune specie sono particolarmente specializzate nell’accumulo di grandi quantità di saccarosio all’interno del vacuolo, come la barbabietola da zucchero. Da essa viene estratto, dove vi sono climi temperati, saccarosio, mentre nelle zone più tropicali viene utilizzata la canna da zucchero. Vi sono anche specie erboree come , che rappresenta anche un grande produttore di saccarosio. Sintesi e accumulo del saccarosio Tutte le piante producono saccarosio all’interno del citoplasma. La via biosintetica è piuttosto semplice e prevede l’intervento di due enzimi: una saccarosio-fosfato -sintasi, che è il primo enzima che utilizza degli zuccheri ad alta energia, ad esempio il glucosio legato all’uridina difosfato (UDP) o il fruttosio legato al gruppo fosfato, in una prima reazione che prevede il distacco dell’UDP e la formazione dell’intermedio saccarosio- fosfato. La reazione, quindi, viene spinta verso destra dalla liberazione dell’energia dovuta all’idrolisi del legame; la seconda componente enzimatica che interviene è la saccar osio- fosfato-fosfatasi, che libera il gruppo fosfato legato al saccarosio per generare saccarosio. In entrambe le tappe si ha una liberazione di energia, in quanto si tratta di reazioni di condensazione di due molecole di zucchero, che sono endoergoniche. Una volta sintetizzato, le cellule devono poter trasferire il saccarosio all’interno del vacuolo, per cui tutte le specie vegetali hanno un sistema di co-trasporto che consente tale trasferimento dal citosol al succo vacuolare. In particolare, si tratta di un antiporto, un sistema di trasporto attivo secondario presente sul tonoplasto, che sfrutta il gradiente protonico creato dalle due pompe protoniche. Questo sistema induce l’uscita di un protone in cambio dell’ingresso di una molecola di saccarosio. 9 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 Nelle piante specializzate nell’accumulo di saccarosio, come la barbabietola da zucchero, esiste un sistema aggiuntivo, interessante perché si tratta di un meccanismo diverso, ossia un sistema multienzimatico vettoriale , costituito da isoforme dei due enzimi responsabili della sintesi del saccarosio, in grado di inserirsi nello spessore del tonoplasto. Si tratta di proteine i cui amminoacidi più esterni sono molto più idrofobici, consentendogli così di inserirsi nell’ambiente idrofobico della membrana. E’ definito vettoriale, inoltre, perché i reagenti vengono prelevati dal lato citoplasmatico ed i prodotti vengono rilasciati direttamente all’interno del vacuolo. N.B.: La logica di questo funzionamento non è molto diversa da quella del funzionamento della cellulosa-sintasi, che però avviene in un altro comparto cellulare: preleva i reagenti attivati dal citoplasma e rilascia la catena di cellulosa direttamente al di fuori della membrana plasmatica. Il saccarosio non è l’unico zucchero che troviamo nel vacuolo, ma possono essere presenti degli zuccheri con un grado maggiore di polimerizzazione. Il polimero più grande che possiamo trovare nel vacuolo è l’inulina, che viene definita un polisaccaride anche se il numero di residui che la compongono è abbastanza basso rispetto ad altri polisaccaridi. Si tratta di un polimero del fruttosio, ossia un fruttosano. L’inulina si trova in alcune piante, in particolare nelle Asteracee, ed essendo sostanze di riserva, si trovano all’interno dei bulbi che servono durante lo svernamento. Il funzionamento dell’enzima che sintetizza l’inulina non è così diverso da quello per la sintesi del saccarosio, infatti anch’esso risiede nel tonoplasto e preleva i reagenti dal citoplasma, rilasciando il prodotto nel succo vacuolare. Questa fruttosil-trasferasi utilizza come starter una molecola di saccarosio e sulla sua componente di fruttosio vi attacca dei monomeri di fruttosio stesso. In questo modo si allunga la catena che, ad un certo punto, si stacca e rimane all’interno del vacuolo. L’inulina è interessante dal punto di vista nutraceutico, perché, liberando dall’idrolisi molecole di fruttosio, non incide sulla glicemia del sangue ed è quindi adatta, ad esempio, alla dieta per diabetici. 10 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 11 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 Nel vacuolo possono essere accumulate anche delle proteine di riserva, che hanno significato sia di riserva di azoto, che è fondamentale per la costruzione di biomolecole, sia come riserva di amminoacidi, ma anche energia. Nel momento in cui il vacuolo diventa sito di accumulo di proteine di riserva, tende a frammentarsi in molti vacuoli più piccoli, chiamati Protein Storage Vacuoles (PSV). Nell’immagine accanto, è possibile osservare, all’interno dei vacuoli di riserva, delle proteine (colorate in rosa), che formano il cosiddetto cristalloide , a cui si possono spesso associare altre sostanze di riserva. Ad esempio, si può notare la deposizione di aree tondeggianti trasparenti, chiamate globoidi. Si tratta di forme di accumulo del fosforo in una forma organica. Il fosforo è un elemento essenziale per la vita della cellula e viene accumulato sottoforma di fitato (aggiunta di gruppi fosfato all’inositolo, che è un polialcol ciclico). Al posto del fitato si possono anche trovare dei cristalli di ossalato d i calcio, associati alle proteine. Queste PSV si trovano abbondanti nei semi, ricchi di sostanze di riserva, nei cereali e nelle leguminose. Nelle leguminose risiedono all’interno delle foglioline embrionali, chiamate cotiledoni, dove costituiscono fondamentalmente le sostanze di riserva del seme. Le leguminose possono formare e accumulare molte proteine, in quanto, per loro, l’azoto non è limitante, vivendo in simbiosi con dei batteri azoto-fissatori. Nei cereali la quantità di proteine è molto più bassa, poiché le riserve nei semi sono di tipo amilaceo, ma sono comunque presenti o all’interno dell’embrione, il glutine, o in uno strato sottile periferico chiamato strato di aleurone, che purtroppo viene in genere eliminato dai cereali quando vengono raffinati. Caratteristiche nutrizionali delle p ro teine di riserva vegetali La qualità delle proteine, ovvero il contenuto di amminoacidi che troviamo nelle proteine di riserva, è molto importante, perché esse stanno alla base dell’alimentazione di larga parte della popolazione, laddove soprattutto la carne non viene utilizzata. 12 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 E’ importante tener presente che il contenuto di amminoacidi delle proteine di riserva nelle leguminose e nei cereali è molto diverso, soprattutto in termini di amminoacidi essenziali (si possono assumere unicamente attraverso l’alimentazione). Nei cere ali vi è una carenza di amminoacidi essenziali come lisina e triptofano. Alcune di queste carenze possono essere complementate con un’alimentazione mista: ad esempio, le leguminose hanno abbondanza di lisina, ma carenza di alcuni amminoacidi solforati, cosa che non avviene nei cereali. Dunque, per alcuni amminoacidi, è sufficiente avere un’alimentazione mista e variata, per riuscire a supplire a queste carenze. Per altro, invece, è necessario ottenere gli amminoacidi in altra via, come ad esempio con una dieta carnea. Vi è una grande attenzione, inoltre, per cercare di aumentare la quantità relativa di questi amminoacidi essenziali, carenti nella maggior parte di questi alimenti, attraverso un approccio di miglioramento genetico, quindi inserendo i codoni per l’aggiunta di questi amminoacidi nelle proteine di riserva. N.B.: Nei film di Jurassic Park, si afferma che i dinosauri creati in laboratorio non possano scappare, perché all’interno del loro genoma è stata inserita una mutazione per cui non possono sintetizzare la lisina. In realtà nessun animale è in grado di sintetizzarla, in quanto è un amminoacido essenziale che dev’essere necessariamente introdotto con la dieta. Come si complica il quadro passando da una funzio nel tempo? Un esempio tipico è quello dei semi delle leguminose, dove le proteine sono la forma principale di accumulo di riserve nel seme. Si hanno due momenti nella vita di questi semi: innanzitutto vi è il momento della formazione e della maturazione, in cui i vacuoli presenti saranno dei vacuoli di riserva (PSV), dove verranno accumulate le proteine per il sostentamento del nuovo individuo, nel momento in cui il seme andrà a germinare. Queste riserve proteiche dovranno, però, essere mobilizzate e utilizzate nel momento in cui dal seme emerge la nuova plantula, quindi lo stesso vacuolo passa da una funzione di riserva di proteine ad una funzione litica, in quanto le proteine devono essere degradate per liberare i singoli amminoacidi, utilizzati poi dall’embrione. Nel tempo, la 13 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 funzione degli stessi vacuoli si modifica, passando da un ruolo di riserva ad un ruolo litico. La situazione è ancora più complicata, perché non soltanto questi vacuoli possono cambiare la loro funzione nel tempo, ma, all’interno di una stessa cellula, i vacuoli possono avere funzioni diverse contemporaneamente. Questa situazione si verifica quando, nel momento in cui si formano le cellule per divisione, si hanno dei provacuoli che si fondono, formando vacuoli sempre più grandi. In questa fase intermedia di sviluppo delle cellule, nel differenziamento cellulare, possiamo avere vacuoli con una funzione diversa. In particolare, possia mo trovare vacuoli di natura litica e vacuoli che accumulano sostanze di riserva. Questo è stato verificato con l’utilizzo di una serie di sonde di anticorpi, che hanno messo in evidenza due popolazioni distinte di vacuoli all’interno di queste cellule, dotate di tanti piccoli vacuoli separati. In una situazione tale, la cellula presenta un grosso problema: come indirizzare al comparto giusto le proteine che sono destinate a quella particolare funzione. Ad esempio, se si manda ad un vacuolo con funzione di riserva proteica degli enzimi litici, le riserve verranno distrutte. Stesso problema si presenterà se si convogliano proteine di riserva all’interno di un vacuolo litico. Meccanismo di sorting Il meccanismo di sorting, ovvero l’indirizzamento delle componenti al vacuolo, passa attraverso il sistema delle endomembrane. Quindi, le proteine destinate al vacuolo vengono formate nel reticolo endoplasmatico rugoso, passano attraverso il Golgi e dal trans -Golgi network vengono convogliate al vacuolo. Dato che il vacuolo litico svolge una funzione simile a quella dei lisosomi nelle cellule animali, una prima domanda che ci si è posti per capire questo meccanismo di sorting è se fosse lo stesso meccanismo attivo per l’indirizzamento ai lisosomi. Targetting al lisosoma: Il segnale per il targetting delle componenti al lisosoma è una modifica post - traduzionale e, in particolare, avviene attraverso la fosforilazione di un residuo di mannosio sulle glicoproteine. Si è giunti ad una risposta negativa: questo tipo di meccanismo non avviene nel caso dell’indirizzamento al vacuolo. I segnali di targetting delle componenti destinate al vacuolo, sia per 14 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 quello litico che per quello di riserva proteica, sono segnali presenti nella sequenza stessa della proteina. Lo scherma riportato ricorda quali sono i segnali necessari per una proteina, per arrivare fino al vacuolo (litico o di riserva). Per prima cosa, passando attraverso il sistema di endomembrane, tutte le proteine destinate al vacuolo hanno bisogno di un peptide segnale all’N-terminale. Questo fa sì che il peptide nascente sia trasferito insieme al ribosoma e all’mRNA sulle cisterne del RE. Questo rappresenta l’inizio della sintesi delle proteine destinate al sistema delle endomembrane. A seconda del tipo di vacuolo di destinazione, le proteine possiedono un altro segnale, che si aggiunge al peptide segnale, ed è diverso a seconda che la proteina sia destinata al vacuolo litico o a quello di riserva. Quindi, le proteine destinate al vacuolo litico possiedono un segnale aggiuntivo all’N-terminale che, una volta elliminato il peptide segnale, si scopre e che destina le proteine a questo comparto. Mentre, per le proteine di riserva, esse presentano un segnale al C- terminale, esattamente in posizione opposta. Tuttavia, avere un segnale all’interno della sequenza proteica non è sufficiente, in quanto una volta che le proteine sono impacchettate all’interno di una vescicola, occorre che il sistema cellulare sia in grado di vedere cosa ci sia all’interno. Quindi è stato studiato tutto l’apparato necessario per il trasporto delle vescicole destinate al vacuolo litico o di riserva proteica, per capirne le componenti. Quello che si è scoperto è che le vescicole destinate al vacuolo litico vengono rivestite da uno strato di clatrina, proteina che serve a far gemmare le vescicole dal trans-Golgi network ed è associata ad un sistema 15 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 di proteine SNARE. Essa consente il targetting di queste vescicole direttamente al vacuolo litico. Ciò che rimane da capire è il sistema che consente il targetting delle componenti ai vacuoli di riserva proteica. Ciò che si osserva è un “qualcosa” che va a circondare le vescicole che si liberano dal trans-Golgi network, ma non ne si conosce la natura. Per questo motivo, queste vescicole vengono chiamate Dense Vesicles (DV), in quanto la membrana che le circonda ha un aspetto spesso, che denota la presenza di qualche componente aggiuntiva. E’ ancora da definire quale sia la proteina di rivestimento. Un ulteriore complicazione del quadro della riserva proteica è dovuto al fatto che il RE rugoso possa essere esso stesso un organulo di accumulo di proteine, in particolare molto idrofobiche. Ciò che si osserva è che dal RE possono staccarsi delle vescicole contenenti proteine e andarsi poi a fondere con il vacuolo di riserva proteica, creando un insieme misto di proteine. Funzione di riserva nei confronti degli acidi organici Si tratta di un esempio un po’ particolare di funzione di riserva, in cui nel vacuolo si accumulano degli acidi organici, come parte di una strategia fotosintetica molto particolare, legata a piante che vivono in ambienti secchi e caldi. Se, infatti, si analizza l’equazione riassuntiva della fotosintesi, ci si accorge che le piante, per mandare avanti la fotosintesi e formare molecole organiche (zuccheri), necessitano di CO₂. L’anidiride carbonica entra, attraverso delle aperture regolabili, ossia gli stomi. Se la pianta, però, lascia aperti gli stomi per far entrare l’anidride da utilizzare per la fotosintesi, c’è il grande rischio, essendo un ambiente caldo e secco, di un’eccessiva fuoriuscita attraverso gli stessi stomi del vapore acqueo. Esso permea le cellule vegetali e tende ad uscire a causa di un gradiente di potenziale idrico che si viene a formare. Il dilemma delle piante che vivono in ambienti molto asciutti e caldi è, quindi, se tenere aperti gli stomi e rischiare di morire di sete per la perdita di acqua, o se tenere chiusi gli stomi e morire di fame, in quanto sarebbe impossibile la sintesi di zuccheri. Per adattarsi a questi climi, queste piante mettono in atto una fotosintesi particolare, che viene detta metabolismo CAM (Metabolismo acido delle Crassulacee). E’ un metabolismo che funziona come la tela di Penelope, nel senso che le piante tengono gli stomi chiusi di giorno, in modo da impedire un eccessiva perdita di acqua, e li tengono aperti soltanto di notte , quando la temperatura è minore. Dunque, l’anidride carbonica può così raggiungere l’interno della cellula. 16 Munaro Lorena / Perazzo Alice – Lezione n°6 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 20/10/2020 Tuttavia, questo non aiuta molto, in quanto la CO₂, di notte, non è consumata, perché non c’è fotosintesi. Questo genererebbe molto rapidamente un equilibrio tra la concentrazione est erna e la concentrazione interna di CO₂. Allora, l’anidride carbonica viene legata a un composto a tre atomi di C, il fosfoenolpiruvato (composto molto comune nel citoplasma di tutte le cellule), e si ottiene così un composto a quattro atomi di C, che è un acido organico. Quest’ultimo viene poi ridotto ad acido malico, un acido dicarbossilico, il quale viene convogliato all’interno del vacuolo, dove viene stoccato. Il trasporto continuo di tale acido al vacuolo è quello che consente di far entrare e mantenere molta CO₂ in forma organicata. Durante il giorno gli stomi vengono chiusi, bloccando il passaggio di CO₂. Essa viene liberata, in quanto l’acido malico, che era stato accumulato durante la notte, fuoriesce dal vacuolo e viene scisso, liberando nuovamente CO₂ e un composto a tre atomi di C, che sarà rigenerato per dare origine di nuovo al fosfoenolpiruvato. Il prodotto di scissione più importante è l’anidride carbonica, che diffonderà nella cellula fino a raggiungere i cloroplasti, i quali durante il giorno funzionano regolarmente grazie alla presenza di energia luminosa. Attraverso questo meccanismo, quindi, le piante catturano CO₂ di notte e la utilizzano di giorno. Ovviamente, non si tratta di una fotosintesi molto efficiente, perch é, ad un certo punto del pomeriggio, queste riserve di acido malico vengono ad esaurirsi e la produzione di zuccheri si riduce notevolmente. Infatti, le piante caratterizzate da questo tipo di metabolismo sono piante a lenta crescita (piante grasse). Il vantaggio è quello di sopravvivere, tuttavia, in ambienti molto ostili. N.B.: Alcune tappe della fotosintesi CAM vengono riutilizzate in un altro tipo di fotosintesi, la C4, che invece è caratterizzata da un’alta efficienza. 17 Laura Salerno / Stefana Tabacaru – Lezione 7 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 26/10/2020 I FLAVONOIDI L’ACCUMULO DI METABOLITI SECONDARI ALL’INTERNO DEL VACUOLO Il metabolismo secondario, comparso in alcuni gruppi di organismi, dà origine a molecole in genere biologicamente attive e coinvolte nella vita di relazione dell’organismo con l’esterno, sia con altri organismi che con l’ambiente abiotico. A differenza dei metaboliti primari, i metaboliti secondari sono spesso legati a singoli gruppi tassonomici o a singole varietà all’interno di una stessa specie. Un esempio di metabolita secondario sono gli antibiotici, coinvolti nelle interazioni antagonistiche tra diversi microrganismi. Il metabolismo secondario è comparso successivamente a quello primario, una sua caratteristica è quindi quella di iniziare sempre da intermedi del metabolismo primario. In particolare, tra i metaboliti secondari accumulati nel vacuolo se ne trovano numerosi derivati dalla trasformazione di amminoacidi: tra questi vi sono i flavonoidi, derivati del metabolismo del fenilpropano, una molecola che prende origine della fenilalanina (anello aromatico evidenziato in figura 1), attraverso l’azione di un enzima denominato fenilalanina ammonio-liasi (PAL), che elimina il gruppo amminico creando un doppio legame e dando origine al primo metabolita di questa via secondaria. I flavonoidi fanno parte del gruppo dei composti fenolici, metaboliti secondari derivati degli amminoacidi che studieremo in dettaglio. Figura 1- In blu la fenilalanina. Il seguente schema riassume la via del metabolismo del fenilpropano: si può osservare come, partendo dalla fenilalanina, attraverso l’azione dell’enzima fenilalanina ammonio-liasi (PAL), si ottiene cinnamico, un composto precursore di tutti i composti della via metabolica. Figura 2- Via del metabolismo del fenilpropano. 1 Laura Salerno / Stefana Tabacaru – Lezione 7 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 26/10/2020 I FLAVONOIDI I flavonoidi svolgono numerose funzioni all’interno degli organismi, ed è importante sapere che non tutti i flavonoidi sono accumulati all’interno del vacuolo, ma che alcuni di essi vengono secreti dalle cellule. Di seguito sono riportati tre esempi di flavonoidi accumulati nel vacuolo che evidenziano come, all’interno delle piante, la stessa categoria di composti possa svolgere ruoli molto diversi: Medicarpina: è un flavonoide che viene accumulato nel vacuolo delle parti epigee di alcune leguminose (come l’alfalfa) e ha un’attività antimicrobica, difendendo la pianta da attacchi fungini; Figura 3- La Medicarpina. Kaempferolo: è un flavonoide prodotto nelle leguminose ed accumulato nei vacuoli delle foglie (le parti epigee), che ha la funzione di proteggere la pianta dall’eccessivo irradiamento dei raggi UV-B, ovvero ha una funzione di protezione della pianta da agenti abiotici; Figura 4- Il Kaempferolo. Antociani: sono molecole colorate, accumulate nel vacuolo di petali e frutti, con significato vessillare, ovvero di richiamo, degli impollinatori nel caso dei fiori e di vettori della dispersione nel caso dei frutti. I flavonoidi derivano quindi dalla fenilalanina; successivamente l’enzima PAL, che è comune a tutte le diverse ramificazioni della via metabolica, produce il primo metabolita. L’enzima responsabile della sintesi del primo e vero flavonoide, è detto calcone sintasi (CHS) e produce il primo prodotto che si chiama calcone, ovvero il progenitore di tutti i flavonoidi. Dall’immagine è visibile il calcone (in alto a sinistra) che è una delle tante categorie in cui sono suddivisi i flavonoidi sulla base della loro struttura chimica. È importante notare che il calcone non è ancora ciclizzato, mentre lo saranno gli altri composti derivati. Figura 5- In alto a sinistra il calcone. Questa è la struttura di base dei flavonoidi che presenta due anelli aromatici A e B; l’anello B deriva dalla fenilalanina (che comprendeva un anello aromatico). L’atomo di ossigeno Figura 6- Struttura dei flavonoidi. sull’anello C permette di ciclizzare la molecola, l’anello C può quindi essere o non essere presente a seconda delle modificazioni che avvengono nella via metabolica dei flavonoidi. 2 Laura Salerno / Stefana Tabacaru – Lezione 7 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 26/10/2020 Lo schema rappresenta più nel dettaglio la via di sintesi dei flavonoidi: non è necessario conoscere tutte le reazioni che la caratterizzano, ma è importante focalizzarsi su una classe particolare di flavonoidi prodotti, ovvero gli isoflavonoidi (nella parte sinistra dello schema), per cui si osserva uno spostamento della posizione dell’anello aromatico B rispetto alla struttura classica precedentemente descritta. Normalmente l’anello B è legato al carbonio in posizione 2 dell’anello C, negli isoflavonoidi lo stesso anello B si legherà al carbonio in posizione 3 dell’anello C. Figura 7- Via di sintesi dei flavonoidi. LE ANTOCIANIDINE Le antocianidine hanno la caratteristica di essere molecole colorate, sono perciò in grado di assorbire la luce a diverse lunghezze d’onda, riflettendo colorazioni che vanno dal rosa all’azzurro. L’immagine 8 rappresenta la struttura chimica delle antocianidine, per le quali, a determinare la colorazione finale, saranno i sostituenti legati Figura 8- L'antocianidina. all’anello B. La loro funzione principale è quella di dare una colorazione alle cellule in cui sono accumulate, ovvero una funzione vessillare, che ha lo scopo di richiamare degli organismi con i quali le piante interagiscono, nello specifico, come già detto, gli impollinatori per i fiori e i dispersori dei semi per i frutti. È possibile ritrovare questi pigmenti anche in organi che non sono deputati alla riproduzione, come ad esempio nelle foglie, in misura maggiore o minore, in cui svolgono un ruolo antiossidante. Durante l’autunno, quando la clorofilla viene riassorbita dalle foglie, sono gli unici pigmenti all’interno di questi organi prima della loro effettiva caduta. In questa immagine sono raffigurati dei protoplasti (cellule vegetali in cui la parete cellulare è stata digerita da enzimi e che espongono all’esterno la membrana plasmatica), in cui si può notare l’effettiva Figura 9- Protoplasti. localizzazione degli antociani all’interno del vacuolo: la 3 Laura Salerno / Stefana Tabacaru – Lezione 7 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 26/10/2020 pigmantazione è limita all’interno di un comparto, delimitato da un tonoplasto; sono inoltre visibili i cloroplasti, che rendono evidente la posizione vacuolare. L’antocianidina è la molecola flavonoide (il metabolita secondario), mentre l’antociano è la forma glicosilata di queste antocianidine, ovvero la forma in cui le antocianidine sono accumulate nel vacuolo (a queste molecole ne viene aggiunta una di zucchero). La colorazione delle antocianidine dipende da alcuni fattori: Struttura chimica della molecola: in particolare dal tipo di sostituzioni sull’anello B. Più si aumenta il numero di gruppi ossidrili (-OH), più la colorazione vira verso il blu; più aumentano le metilazioni, quindi i gruppi metossilici (- OCH3), più la colorazione vira verso il rosso. Esistono inoltre delle colorazioni intermedie caratterizzate dalla presenza sia di gruppi ossidrili che di gruppi metosslici. Figura 10- Come varia il colore in base a metilazioni e idrossilazioni. Si può quindi ricostruire una gamma di quelle che sono le colorazioni delle antocianidine sulla base della loro struttura chimica (come si vede in figura 11), andando da una colorazione tendente all’arancione, come nel caso della pelargonidina, verso colorazioni più accese di Figura 11- Colore e struttura chimica della molecola. rosa della peonidina, a colorazioni nettamente sul blu come si osserva nella delfinidina, che ha soltanto gruppi ossidrili come sostituenti; oppure colorazioni intermedie che riflettono una situazione di parziale metilazione e ossidrilazione, come nel caso della malvidina. Il nome del pigmento delle antocianidine deriva dal fiore da cui sono estratte. Valore del pH del succo vacuolare: estraendo gli antociani da un tessuto e ponendoli a valori di pH diversi, si osserva un viraggio da colorazioni rosa a colorazioni blu. Questo fenomeno si osserva anche in molte piante in cui si ha una variazione del colore dei fiori dal momento della loro apertura fino al momento della completa maturazione: un esempio di ciò è dato dal , dove i fiori più giovani hanno una colorazione rosa, che durante la maturazione tende a virare verso il blu. Questo è un segnale per gli impollinatori del grado di maturazione del fiore, analogamente la colorazione segnala la maturità del frutto. Figura 12- Viraggio del colore al variare del pH. 4 Laura Salerno / Stefana Tabacaru – Lezione 7 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 26/10/2020 Nel convolvolo è stato scoperto a livello molecolare il meccanimo che porta al viraggio del colore, come accade negli organismi wild type per cui il fiore giovane ha colorazione rosa, mentre il fiore maturo assume una colorazione blu. Studiando dei fiori mutanti, in cui non vi è variazione di colore, è stato possibile individuare il gene responsabile del viraggio. Questo gene (NHX1) codifica per una proteina, un trasportatore che si inserisce nel tonoplasto, in particolare essa è un sistema di antiporto che utilizza la fuoriscita dei protoni (H+) dal succo vacuolare per permettere l’entrata di ioni potassio (K+). Non sono certamente questi ultimi a modificare il valore del pH all’interno del vacuolo, bensì si tratta dell’uscita degli ioni idrogeno, che ne causa un aumento da Figura 13- Petunie. valori acidi a valori neutri o leggermene basici. I fiori e i geni legati alla colorazione dei pigmenti e alla variazione del pH vacuolare, sono stati molto studiati poiché le aziende florovivaistiche sono interessate ad ottenere continuamente nuove varietà e nuove colorazioni da immettere sul mercato. Un esempio sono le petunie in immagine 13, la cui diversa pigmentazione è stata ottenuta alterando il valore del pH vacuolare, grazie all’uso di trasposoni (fiore rosa pH vacuolare più acido, fiore viola pH vacuolare più basico); è inoltre evidente che il fiore viola sia una varietà ottenuta tramite trasposoni, poiché in alcuni punti questi trasposoni sono “saltati”, rendendo visibile la colorazione originale (evidenziati dalle frecce). Chelazione con metalli: è la capacità di alcune antocianidine di interagire con i metalli. Un esempio è rappresentato dall’interazione con l’alluminio, che porta le ortensie a passare da una colorazione rosa ad una azzurra. Gli antociani, oltre ad essere dei pigmenti, sono dei composti con forti proprietà antiossidanti. Vengono dunque utilizzati da tempo come integratori per una prevenzione nei confronti di varie malattie, nelle quali il potere antiossidante è fondamentale. Gli antociani sono anche utilizzati in altri aspetti applicativi, come l’enologia, poiché rappresentano i pigmenti che conferiscono la colorazione ai vini rossi. Un gruppo del CNR della Regione Campania ha lavorato anni fa ad un progetto per aumentare la produzione di antociani in una varietà di pomodori (Black Sun), che risulta altrimenti molto limitata in questa specie, nella quale prevalgono di solito altri pigmenti, come i carotenoidi. Il problema di questa varietà consiste nel fatto che gli Figura 14- Pomodori Black Sun. antociani si sviluppano unicamente nella buccia, limitando perciò il suo utilizzo al solo consumo a crudo. Le conoscenze sulle vie biosintetiche delle antocianidine ha consentito lo sviluppo di applicazioni biotecnologiche, con la produzione di piante geneticamente modificate (GMO), in grado di esprimere determinati antociani. Nell’immagine 15 è raffigurata una varietà di rosa transgenica, ottenuta da una Figura 15- Rosa ditta florovivaistica americana, in grado di sintetizzare la delfinidina, che conferisce transgenica. una colorazione blu a lungo ricercata. 5 Laura Salerno / Stefana Tabacaru – Lezione 7 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 26/10/2020 Sono state sviluppate due diverse specie vegetali, mais e pomodori, in cui la sintesi di antociani, volta al miglioramento delle proprietà nutraceutiche, è stata ottenuta per via transgenica, ovvero inserendovi la via sintetica. In questo caso la presenza di antociani nei pomodori non è limitata alla buccia ma all’intero Figura 16- Pomodori mutati. alimento. GLI ISOFLAVONOIDI Gli isoflavonoidi hanno un’importante funzione in campo medico e farmacologico, poiché alcuni di questi mimano l’azione estrogenica, e vengono infatti chiamati fitoestrogeni. Sono prodotti da alcune leguminose, come la soia, ed è stato dimostrato come alcuni di questi composti, come la genisteina, siano in grado di prevenire forme tumorali legate a sbilanciamenti ormonali. LE FITOANTICIPINE L’accumulo di particolari composti all’interno del vacuolo conferisce a questo organulo un ruolo di difesa dai microrganismi, ma anche da vertebrati e invertebrati. Le fitoanticipine (o bombe a innesco) sono delle molecole accumulate all’interno del vacuolo in una forma non tossica, perché glicosilata (forma inattiva), ma che possono essere rese molto tossiche, in seguito ad un attacco da agenti esterni (risposta rapida). Le cumarinepassa.me sono unemiro esempio di questa classe di composti. Esse sono un metabolita secondario che si forma nella via di sintesi del fenilpropano. Nell’immagine 17 è riportata parte della via di sintesi delle cumarine: a partire dalla fenilalanina, grazie all’enzima PAL, si ottiene una molecola di acido trans- cumarico, il gruppo ossidrile di questa molecola viene poi legato attraverso un legame β- glicosidico ad una molecola di UDP- Glucosio per Figura 17- Via di sintesi delle cumarine formare un β- glucoside dell’acido cumarico. Quest’ultimo rappresenta la forma inattiva accumulata nel vacuolo. Nella cellula sono presenti degli enzimi attivanti, le -glucosidasi, in grado di eliminare il glucosio dal β-glucoside e permettere quindi alla molecola di ciclizzare spontaneamente dando origine alle cumarine, dei forti anticoagulanti (causano infatti emorragie interne nei vertebrati che si sono nutriti della pianta produttrice). L’aspetto chiave di queste sostanze consiste nel fatto che la molecola inattiva si trova nel vacuolo, mentre l’enzima attivante si trova in un compartimento diverso, il citoplasma, e le due molecole possono venire in contatto solo in seguito ad un grave danno meccanico. ma www.nm di immiijiiii ntron Giocandosiignessione deli 6 Laura Salerno / Stefana Tabacaru – Lezione 7 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 26/10/2020 In diverse specie vegetali i composti e gli enzimi attivanti possono avere diversa posizione e funzione: Esistono altre classi di cumarine che differiscono dalle precedenti perché l’enzima attivante non si trova nel citoplasma della stessa cellula in cui si trova la molecola atossica, ma si trova ad esempio nella parete cellulare dei tessuti sottostanti, come nel caso del melilotus. I glucosinolati: un esempio è la sinigrina nel rafano, che viene accumulata nel vacuolo in forma atossica e poi attivata dagli enzimi attivatori in seguito alla rottura del tonoplasto, dovuta ad un danno meccanico, liberando un composto solforato con un gusto molto acre che ha una funzione di deterrente per gli erbivori. Sia le cumarine che la sinirgina sono composti inattivi sulla pianta. I glucosidi cianogeni sono composti in grado di liberare cianuro, un inibitore della respirazione cellulare in tutte le specie viventi, piante comprese. L’attivazione di questa classe di composti avviene in più tappe e necessita di un doppio controllo per verificare che la pianta sia realmente sottoposta ad un attacco esterno. Un esempio di questi composti è la durrina, normalmente accumulata in forma glicosilata nel vacuolo, e attivata dall’interazione con due enzimi: il primo è la -glucosidasi, che si trova nei plastidi delle cellule sottostanti, il secondo è l’idrossinitril- liasi che elimina il gruppo cianuro, ovvero l’acido cianidrico. GLI ALCALOIDI Gli alcaloidi sono una classe di composti che derivano dal metabolismo di alcuni amminoacidi e alcuni di essi possono essere accumulati nel vacuolo. Sono metaboliti secondari che hanno un’azione specifica sul sistema nervoso centrale dei vertebrati (morfina, cocaina, caffeina, nicotina), che possono causare palpitazioni, perdita dell’equilibrio, stato confusionale, ecc. Di questa classe di composti fanno parte anche alcune sostanze che agiscono a livello cellulare, come la colchicina. SISTEMI DI TRASPORTO VERSO IL VACUOLO I composti visti vengono sintetizzati in diversi comparti cellulari e devono poi essere trasportati attraverso il tonoplasto nel vacuolo: questa funzione è favorita dal gradiente protonico, formato dalle pompe protoniche ATPasi, ed è generalmente svolta da sistemi di antiporto. Quello citato non è però l’unico sistema di trasporto possibile, in quanto spesso intervengono i trasportatori ABC, ovvero dei sistemi di trasporto attivo primario. I sistemi di co-trasporto visti fanno parte di una grande categoria detta MATE (Multidrug And Toxic compounds Extrusion transporter). RUOLO DEL VACUOLO NELLA DETOSSIFICAZIONE La cellula vegetale non ha un sistema di escrezione, perciò le sostanze tossiche vengono trasferite all’interno del vacuolo, “liberando” il citoplasma e gli altri compartimenti cellulari dai composti nocivi. Questo meccanismo è chiamato compartimentalizzazione vacuolare. Le sostanze che vengono tipicamente segregate all’interno del vacuolo, sono sostanze inorganiche, come i metalli pesanti, o sostanze organiche, come gli xenobiotici (erbicidi, idrocarburi). Il meccanismo di compartimentalizzazione vacuolare non si limita a trasportare le sostanze tossiche all’interno del vacuolo, ma le trasforma anche in modo da renderle incapaci di fuoriuscire, inducendone, per esempio, la precipitazione o la cristallizzazione, inattivandole con l’aggiunta di zuccheri o con altri meccanismi. pgiumupepudi can 7 Laura Salerno / Stefana Tabacaru – Lezione 7 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 26/10/2020 METALLI PESANTI E FITORISANAMENTO I metalli pesanti sono tossici per tutti gli organismi, indipendentemente dal tipo di metallo, e possono causare la morte della pianta quando superano una determinata concentrazione all’interno dei tessuti. Figura 18- Interazione tra piante e metalli pesanti. Nell’immagine sono visibili quattro tipi di piante con un diverso comportamento nei confronti dei metalli pesanti: Pianta A: una pianta sensibile, non in grado di tollerare la presenza di metalli pesanti. La pianta non è in grado di limitare l’ingresso dei metalli all’interno delle cellule, e questi interferiscono con una serie di processi metabolici (legami con proteine, attivazione di sistemi di riparo, ecc.) portando alla morte dell’organismo; Pianta B: pianta tollerante ai metalli pesanti grazie al meccanismo per esclusione, che consiste nel bloccare l’ingresso nella parete cellulare di queste sostanze. Queste piante sono in grado di sopravvivere in suoli altamente contaminati; Pianta C: pianta in grado di tollerare i metalli pesanti grazie al meccanismo di compartimentalizzazione vacuolare, che le consente di assorbire i metalli presenti nel suolo e inserirli all’interno del vacuolo. Anche in questo caso possono coesistere altri meccanismi, come quello di esclusione. La pianta è in grado di sopravvivere e crescere anche in ambienti ricchi di metalli pesanti; Pianta D: queste piante sono dette iperaccumulatrici e sono in grado di traslocare la maggior parte dei metalli pesanti nella parte aerea (processo di bonifica di un terreno attraverso fitorisanamento) e di accumularne grandi quantità nelle loro cellule grazie al meccanismo di compartimentalizzazione vacuolare. Questo meccanismo di adattamento risulta efficace come difesa nei confronti dei predatori, poiché i tessuti risultano tossici. La compartimentalizzazione vacuolare può avvenire grazie a una serie di trasportatori presenti sul tonoplasto, la maggior parte dei quali sono sistemi di co-trasporto che sfruttano il gradiente protonico tra l’interno del vacuolo e il citoplasma. I co-trasportatori sono specifici per un metallo e hanno quindi affinità diversa per il loro substrato. Oltre a questi sistemi di co-trasporto sul tonoplasto, sono presenti sistemi di trasporto primario, in particolare sistemi di trasporto diretto che sfruttano l’idrolisi di ATP per trasportare il metallo contro gradiente; un esempio è dato dai trasportatori ABC, che trasportano all’interno del vacuolo forme chelate di metalli, legate a specifiche molecole PC (fito-chelatina) che nel citoplasma “catturano” i metalli pesanti, rendendoli meno tossici rispetto alle componenti cellulari. 8 Laura Salerno / Stefana Tabacaru – Lezione 7 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 26/10/2020 -GLUTAMILPEPTIDI: GLUTATIONE E FITOCHELATINA I chelanti cellulari più importanti nelle piante sono i γ-glutamilpeptidi, ovvero dei particolari peptidi che vengono sintetizzati attraverso l’attività enzimatica (e non sui ribosomi come accade normalmente per le proteine). Il glutatione è un esempio di γ- glutamilpeptidi, ed è un composto riducente, in quanto contiene al suo interno un amminoacido cisteina legato ad un gruppo sulfidrile; è anche un chelante e per questo motivo può essere utilizzato nella difesa dai metalli pesanti. Si forma dalla condensazione di tre amminoacidi: acido glutammico, cisteina e glicina; il legame tra l’acido glutammico e la cisteina non è un legame peptidico, Figura 19- Glutatione. poiché interessa il gruppo carbossile in posizione terminale della molecola. Le fitochelatine sono il prodotto di condensazione di più unità di glutatione e sono i chelanti più comuni nel regno vegetale, anche se la loro presenza è stata riscontrata anche in alcuni funghi e modelli animali. Il grado di condensazione può variare da 2 a 11 molecole di glutatione, per ogni condensazione viene eliminata una molecola di glicina, per cui si ha la ripetizione acido glutammico- cistena e glicina terminale [(γGlu-Cys)n-Gly]. Anche la sintesi delle fitochelatine è a opera di un enzima, detto fitochelatina-sintasi, che viene attivato dalla presenza di metalli pesanti. Le fitochelatine sono in grado di chelare i metalli pesanti grazie al gruppo sulfidrile legato alla cisteina. Una volta chelati, i metalli sono trasportati all’interno del succo vacuolare per poi essere trasformati in precipitati insolubili, non in grado di fuoriuscire dal vacuolo (complessi ad alto peso molecolare). Il metallo più comunemente chelato dalle fitochelatine è il cadmio. Per concludere, la compartimentalizzazione vacuolare è uno dei meccanismi che consente alle piante di sopravvivere in ambienti ricchi di metalli pesanti. L’uptake (l’assorbimento), la traslocazione e l’accumulo all’interno delle foglie dei metalli pesanti fanno parte delle conoscenze alla base di un efficace utilizzo del fitorisanamento per suoli inquinati da metalli pesanti. GLI XENOBIOTICI Gli xenobiotici sono composti di natura organica derivati da processi di sintesi di tipo chimico, ne fanno parte gli erbicidi, gli antibiotici, composti derivati di idrocarburi alogenati, ecc. La detossificazione degli xenobiotici coinvolge il glutatione, che in questo caso viene legato Figura 20- Xenobiotici. covalentemente con lo xenobiotico, modificandolo e rendendolo meno tossico. Dopodiché il complesso xenobiotico-glutatione viene trasportato attraverso la membrana del tonoplasto dai trasportatori ABC, e una volta all’interno del vacuolo la molecola può essere degradata, o mantenuta nel tempo se non influisce sull’attività cellulare. 9 Stefana Tabacaru / Martina Terenzi – Lezione 8 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 27/10/2020 IL VACUOLO COME OSMOMETRO CELLULARE e Il vacuolo, grazie alle sue grandi dimensioni e alla presenza sul tonoplasto di molti trasportatori, in grado di trasportare ioni e altri soluti, può, utilizzando le leggi dell’osmosi, regolare il movimento dell’acqua verso l’interno e l’esterno della cellula. La regolazione del movimento dell’acqua è alla base di importanti funzioni mediate dal vacuolo stesso, tra cui il sostegno meccanico alla cellula, in sinergia con la parete cellulare, la crescita cellulare per distensione, sempre in sinergia con la parete, ed infine alcune forme di movimento, sia a livello cellulare, che a livello dell’intero organismo. Nel dettaglio, queste funzioni possono essere: Il fenomeno della distensione cellulare è dovuto al fatto che il vacuolo, nel momento in cui diventa un grosso vacuolo centrale per la fusione dei pro-vacuoli, richiama acqua al suo interno, il che provoca un forte aumento di pressione, che a sua volta spinge contro le pareti; questa attività, insieme al rilassamento della parete, porta ad aumento di volume della cellula. La proprietà dell’agire come osmometro è alla base di varie forme di movimento. Per esempio, a livello cellulare, il cambiamento di quantità di acqua all’interno della cellula è alla base del funzionamento degli stomi, le aperture regolabili che consentono alla pianta di scambiare gas con l’esterno. Un’altra forma di movimento è l’eliotropismo, un movimento molto lento che alcune piante mostrano nei confronti della direzione della luce solare, come si può osservare per le infiorescenze dei girasoli. Un movimento invece più rapido e visibile ad occhio nudo si nota nelle piante carnivore, come per la specie Dionaea, in cui il contatto dell’insetto con la superficie delle foglie modificate porta alla sua chiusura: si tratta dunque di un sistema di trappola per la nutrizione della pianta. Figura 1- Pianta carnivora. Piu veloce è infine il movimento della Mimosa Pudica, dove il ruolo importante della chiusura improvvisa è di impedire agli insetti di posarsi sulla sua superficie (https://www.youtube.com/watch?v=ehsxgFLAyY4). Analizziamo ora l'argomento, che riguarda il vacuolo, ma anche i trasporti a lunga distanza, da un punto di vista più chimico, fisico e cellulare. Figura 2- Mimosa Pudica. A livello cellulare, l'acqua è in costante movimento nell’ambiente e, se è possibile definire per ogni punto dello spazio un suo valore di potenziale idrico, che riflette la sua capacità di svolgere un lavoro, si potrà definire una legge generale che regola lo spostamento dell'acqua. Questo avverrà perciò da zone in cui il suo potenziale idrico è più elevato, verso zone in cui il potenziale è più basso. Tale valore di potenziale idrico è analogo ad altri tipi di potenziale, come, ad esempio, per un corpo grave in un campo gravitazionale, che ha un potenziale gravitazionale in ogni punto dello spazio, a cui possiamo assegnare un valore specifico: il peso si muoverà spontaneamente da una zona in cui il potenziale gravitazionale è alto, verso la zona in cui il potenziale gravitazionale sarà più basso. Lo stesso discorso vale per una carica in un campo elettrico. 1 mm mima Stefana Tabacaru / Martina Terenzi – Lezione 8 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 27/10/2020 Dunque, l'acqua si sposta in funzione di questa energia potenziale, che è definita da un valore di potenziale idrico. Considerando che la legge è sempre la stessa, il tipo di movimento osservabile può avvenire secondo due modalità diverse, attraverso: Un flusso di massa; Un processo di diffusione. La differenza tra le due modalità sta nel fatto che, nel flusso di massa, si ha generalmente una massa d'acqua che si sposta, e in questo caso, sia l'acqua, che tutte le sostanze che ne sono disciolte all'interno, si muovono nella stessa direzione. Questo è valido a livello macroscopico, ma lo si può osservare anche in una pipetta, che mostra il fenomeno in cui, tutta l'acqua, comprese le molecole che sono disciolte al suo interno, si muovono solidali nella stessa direzione, che sarà ovviamente la direzione definita dai valori di potenziale idrico. Diversa è invece la diffusione, dove il movimento è a livello di singole molecole. Nella diffusione dunque sono le singole molecole che si muovono, per cui non è detto che quest’ultime e le molecole di soluto si muovano nella stessa direzione; spesso si muovono proprio in direzioni opposte. Figura 3- In alto il flusso di massa, in basso la diffusione. DIFFUSIONE osmosi è uncaso La diffusione è un movimento dell'acqua, relativo dm prenotare al movimento delle molecole, per esempio, di un DIFF soluto. Considerando un tipico esempio: se si pone una zolletta di sale o di zucchero, o una goccia di colorante molto concentrato, in una vasca piena d'acqua, si nota che le molecole del soluto si spostano lentamente da zone in cui la concentrazione del soluto stesso, è molto alta, verso zone in cui la concentrazione è molto bassa. Nel tempo si otterrà dunque una soluzione diluita e omogenea in tutta la vasca. L'acqua si comporta nello stesso modo: si sposterà dalle regioni dove è presente più acqua, in relazione alle molecole di soluto, verso zone in cui le molecole Figura 4- La diffusione. di acqua sono di meno, fino a raggiungere una situazione di equilibrio. Le molecole di acqua e di soluto si muovono dunque seguendo un proprio gradiente di concentrazione. Nel sistema in figura 5 vi è un contenitore diviso a metà, tra un comparto A ed un comparto B, nei quali abbiamo una diversa concentrazione di soluti, rappresentata dalla densità di questi puntini. In 2 Stefana Tabacaru / Martina Terenzi – Lezione 8 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 27/10/2020 questo caso particolare i due comparti sono separati da un setto, il quale è permeabile sia al solvente, quindi all'acqua, che al soluto. Come nell’esempio precedente, il soluto si sposterà dal comparto B al comparto A, perché questo è il suo gradiente di concentrazione, muovendosi nuovamente da zone in cui è più alta la concentrazione, verso zone in cui è più bassa. L’ acqua farà invece l’opposto: si sposterà da destra verso sinistra, proprio perché, andando a diluire il soluto, si sposterà da zone in cui era più abbondante, verso zone in cui era meno abbondante. La situazione di equilibrio si raggiunge con una soluzione che ha la stessa concentrazione di soluto nei comparti A e B. Il fenomeno dell'osmosi non è altro che un caso particolare del fenomeno della diffusione. OSMOSI L’osmosi si verifica quando a separare il comparto A dal comparto B non è più presente un setto permeabile a tutte le componenti del sistema, ma un setto, o una membrana, semipermeabile, ovvero una struttura che è in grado di far passare il solvente, ma non il soluto. In queste condizioni il soluto non potrà spostarsi dal comparto B verso il comparto A. Dunque le uniche molecole che potranno spostarsi in questo sistema saranno le molecole del solvente, cioè le molecole di acqua (che si sposteranno dal comparto A al comparto B, esattamente come nel caso della diffusione). Figura 5- In alto la diffusione; in basso l'osmosi. In questo sistema della bacinella in un campo gravitazionale, lo spostamento dell'acqua porta ad un aumento di volume. Questo aumento di volume, che si osserva nel comparto B, ha ovviamente un suo peso e quindi premerà verso il basso. Tuttavia, essendo i liquidi incomprimibili, premerà contro tutte le pareti del comparto. La situazione di equilibrio finale non si raggiungerà più quando la concentrazione è uguale nel comparto A e nel O comparto B, ma si raggiungerà quando la pressione che l'acqua esercita per entrare nel comparto B, detta pressione osmotica, è bilanciata esattamente dalla pressione che questo volume aggiuntivo di acqua esercita sul comparto B, che si esercita di fatto in tutte le direzioni contro tutte le pareti, compreso il setto semipermeabile. Dunque, quando queste due forze sono uguali, ma di segno contrario, e si D annullano a vicenda, si ha la situazione di Figura 6- Membrana semipermeabile. equilibrio finale. 3 Stefana Tabacaru / Martina Terenzi – Lezione 8 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 27/10/2020 Nella cellula tutte le membrane, come la membrana plasmatica o le membrane interne come il tonoplasto, sono semipermeabili. Questa proprietà è data dall'organizzazione a doppio strato fosfolipidico, che fa sì che nella zona centrale della membrana si crei una regione estremamente idrofobica, a causa dell'accoppiamento delle code dei fosfolipidi, che blocca il passaggio di tutte le molecole che hanno un grado di polarità elevato; in particolare modo vengono bloccati gli ioni, che hanno delle cariche nette positive o negative, e vengono bloccate anche delle molecole che, pur non avendo necessariamente delle cariche nette, sono ricche di gruppi polari, come per esempio tutte le componenti di base delle proteine, degli acidi nucleici e dei carboidrati. Gli elementi che passano attraverso queste membrane a doppio strato fosfolipidico sono invece tutte le sostanze neutre, le sostanze idrofobiche e i gas, che possono tranquillamente diffondere attraverso le membrane. Una particolare eccezione è data dall'acqua, il solvente universale, che, anche se si tratta di una molecola polare, può attraversare le membrane cellulari per le sue piccole dimensioni. Se si misura infatti la sua velocità di attraversamento nelle membrane fosfolipidiche, si nota effettivamente che l'acqua è in grado di attraversarle, anche se meno velocemente di altre sostanze idrofobiche, ma comunque più velocemente di altre sostanze più polari. Bisogna anche però considerare che sulle membrane cellulari esistono dei canali per l'acqua, che rendono questo movimento molto più rapido, come le acquaporine. L'acqua attraversa l’acquaporina seguendo quello che è il suo gradiente, quindi spostandosi da comparti dove il potenziale idrico è maggiore verso comparti il cui potenziale è minore. Dunque, l’acquaporina non può modificare la direzione del movimento dell'acqua, ma può semplicemente aumentarne la velocità del flusso, con un’apertura e una chiusura regolate in genere da un processo di fosforilazione/defosforilazione. Figura 7- L'acquaporina. Tuttavia, ciò non vuol dire che una cellula non possa fare attraversare ad un soluto polare una membrana cellulare. Affinché questo accada è necessario avere un dispendio energetico, come si osserva con il funzionamento dei sistemi di trasporto attivo, sia primari che secondari. Quindi la cellula spende energia per far attraversare, con sistemi di trasporto particolari, alle molecole le membrane. Una volta che, attraverso il dispendio di energia, un soluto è stato portato da un comparto all'altro, non potrà più tornare indietro, a causa delle caratteristiche di semipermeabilità della membrana. Grazie a tali sistemi di trasporto attivo la cellula può accumulare vari soluti in comparti diversi: ciò è alla base del metabolismo, perché una cellula deve poter avere al suo interno determinate concentrazioni sia di ioni, ma anche di intermedi del metabolismo. Osservando in figura 8 la concentrazione di ioni, ma la stessa cosa si osserverebbe se si controllassero altri metaboliti all'interno delle cellule, di un organismo che vive in un ambiente acquatico, in particolare in ambienti d'acqua dolce, si osserva che grazie a questi meccanismi di trasporto attivo, gli organismi riescono a concentrare all'interno delle cellule dei valori molto più alti di determinati ioni, rispetto ai valori che si ritrovano nell’acqua dell’ambiente circostante. Dunque, grazie al trasporto attivo, la cellula può creare al suo interno dei comparti a diverse concentrazioni di soluti, in quanto il Figura 8- Concentrazione di soluti nelle cellule algali e nell’acqua circostante. 4 Stefana Tabacaru / Martina Terenzi – Lezione 8 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 27/10/2020 movimento di questi soluti verrà poi bloccato dalla caratteristica di semipermeabilità della membrana stessa. IL POTENZIALE IDRICO Il potenziale idrico è una misura della capacità dell'acqua di svolgere un lavoro, almeno potenzialmente, ed è un valore che si può calcolare in qualsiasi punto dello spazio. È importante conoscerlo, perché attraverso la conoscenza delle differenze dei valori dei potenziali idrici nei diversi punti dello spazio, si potrà predire la direzione del movimento dell'acqua in questo spazio, anche attraverso le membrane semipermeabili. Ψ (H2O) = Ψ(π)+ Ψ(P)+ Ψ(M)+ Ψ(G) Ψ(π)= potenziale osmotico; ψ(P)= potenziale di pressione; ψ(M)= potenziale di matrice; ψ(G)= potenziale gravitazionale. Questa è l'equazione del potenziale idrico, espressa come somma di una serie di fattori, che si indica con la lettera maiuscola ψ (psi), la cui unità di misura è il bar, il Pascal o l’atmosfera (o qualsiasi unità di misura della pressione). Se si considera il valore del potenziale idrico a livello delle singole cellule, si possono trascurare alcune di queste componenti, in particolare il valore ψ(G), che indica il potenziale gravitazionale e riflette il peso che l'acqua ha in un campo gravitazionale. Questa componente del potenziale idrico non potrà però essere ignorata quando verrà misurata in punti molto lontani tra di loro nello spazio, in particolare in punti diversi del campo gravitazionale. L'altra componente di questa equazione, che in condizioni fisiologiche si può ignorare, è ψ(M), il potenziale di matrice, che indica l'interazione che l'acqua ha con delle superfici disidratate. A livello della biologia vegetale, questo potenziale di matrice determina il movimento dell'acqua al momento dell’inibizione dei semi, cioè il momento in cui i semi secchi devono richiamare acqua per idratarsi prima di andare incontro al processo della germinazione. Dunque, in condizioni fisiologiche, le uniche due componenti che incidono sul valore di potenziale idrico sono: Il potenziale osmotico; Il potenziale di pressione. POTENZIALE DI PRESSIONE Intuitivamente, il più semplice da comprendere è il potenziale di pressione, perché, come dice il nome stesso, indica la pressione che viene esercitata sull’acqua, tenendo conto che l'acqua in forma liquida è incomprimibile, dunque la pressione esercitata si trasmette in tutti i punti della massa d'acqua. Un esempio di ciò è dato da un tubo pieno d’acqua: se si esercita una pressione ad un'estremità, l’acqua ne fuoriesce dall'altra parte, esercitando a sua volta pressione, proprio perché la pressione si trasmette in tutta la massa del liquido. Questa pressione può avere sia un segno positivo che uno negativo, perché così come si può esercitare una pressione in una direzione, si può anche esercitare un'aspirazione in direzione opposta; basti pensare per esempio ad una siringa e allo stantuffo, che si possono usare per spingere e per aspirare. 5 Stefana Tabacaru / Martina Terenzi – Lezione 8 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 27/10/2020 Per riportare su un grafico tale valore, bisogna innanzitutto costruire il punto zero, sapere quanto vale, per poter definire poi i valori negativi e positivi. Per convenzione, il potenziale idrico è uguale a zero per l'acqua distillata, a pressione atmosferica e in condizioni standard di temperatura. Per cui se si esercita una pressione positiva, si avranno valori nella zona positiva del grafico, e tanto più sarà forte la pressione esercitata, tanto più alto sarà il valore di potenziale idrico ottenuto su questa componente. Analogamente, se invece di spingere, si aspira, si avranno dei valori nella zona negativa: quindi il potenziale di pressione può avere sia segno positivo che negativo. POTENZIALE OSMOTICO Il potenziale osmotico può avere soltanto segno negativo e riflette l'interazione che l'acqua ha, come solvente, rispetto alle molecole del soluto. Nel momento in cui sono portate in soluzione delle molecole di soluto, che possono essere ioni con cariche nette positive o negative, succede che intorno a queste molecole di soluto viene a formarsi un alone di idratazione o alone di solvatazione. Questo è dato dal fatto che la molecola di acqua è un solvente universale, che può interagire con le molecole di soluto, sia attraverso la componente parzialmente negativa, rappresentata Figura 9- Potenziale osmotico. dall’ossigeno, sia attraverso la componente parzialmente positiva, rappresentata dagli atomi di idrogeno. Grazie alla sua polarità, l'acqua può interagire con molecole che portano cariche nette o parziali sia positive che negative. La presenza di queste molecole d'acqua intorno ad una molecola di soluto, e il legame che si crea tra le molecole d’acqua e di soluto nell'alone di idratazione, fa sì che le molecole d’acqua non siano più libere di muoversi e di conseguenza viene ridotta la capacità, almeno potenziale, dell'acqua di svolgere un lavoro. Quindi più si ha una soluzione concentrata, più si riduce il valore del potenziale idrico, perché ci saranno meno molecole d'acqua libere per poter potenzialmente svolgere un lavoro. Per questo motivo si può avere per questa componente del potenziale idrico soltanto dei valori negativi, in quanto si parte dal valore zero dell'acqua distillata. Quindi se si aggiungono all'acqua distillata dei soluti, la soluzione si troverà nella zona negativa del grafico, e, tanto più sarà concentrata la soluzione, tanto più negativo sarà il valore del potenziale osmotico. Questo non vuol dire che il potenziale idrico nel suo complesso non possa essere positivo, in quanto se si sottopone una soluzione ad una pressione sufficientemente forte, si potrà tornare nella zona positiva del grafico. 6 tuft Stefana Tabacaru / Martina Terenzi – Lezione 8 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 27/10/2020 Il potenziale osmotico è sicuramente la componente più importante sul movimento dell'acqua nelle cellule, ma sempre tenendo conto della regola generale per cui l'acqua, attraverso una membrana semipermeabile, tende a spostarsi da una regione in cui il suo potenziale idrico è più elevato, alla zona Figura 10- Movimento dell'acqua. in cui il suo potenziale idrico è più basso. Come si comportano le cellule nel momento in cui sono immerse in soluzioni a diversa concentrazione di soluti? Nell’immagine 11 è rappresentata una cellula animale, un globulo rosso, e l’aspetto che assume nel momento in cui viene immersa in soluzioni a diverso contenuto di soluti. Figura 11- Globulo rosso in soluzione ipertonica, isotonica e ipotonica. Nel primo caso è rappresenta una cellula immersa in una soluzione ipertonica, ovvero una soluzione in cui la concentrazione di soluti è elevata: questo fa sì che Figura 12- Soluzione ipertonica. il valore di potenziale idrico della soluzione esterna sia più basso del valore di potenziale idrico all'interno della cellula stessa (perché la componente osmotica del potenziale idrico può assumere soltanto valori negativi e questi valori sono tanto più negativi quanto più concentrata è la soluzione; a sua volta ciò è dovuto al fatto che l’alone d'idratazione che si forma intorno a ciascuna molecola di soluto va a ridurre il numero delle molecole d'acqua libere per compiere lavoro, e quindi il valore di potenziale idrico è più basso). In questa situazione l'acqua segue la sua normale direzione di movimento e fuoriesce dalla cellula, attraverso la membrana, per diluire la soluzione esterna: la cellula perde quindi volume e si raggrinzisce. La situazione è tuttavia reversibile, ma non ottimale, perché i metaboliti e gli ioni sono molto più concentrati del normale all'interno del citoplasma. La situazione è però reversibile perché può essere facilmente aggiustata nel momento in cui la cellula viene riportata in una soluzione più diluita. Il secondo caso è una situazione ottimale per la cellula animale e si osserva quando questa è immersa in una soluzione isotonica, per cui la concentrazione di soluti nella soluzione esterna è tale che il suo valore di potenziale idrico è esattamente equivalente al valore di potenziale idrico che c'è all'interno della cellula. In questa condizione non è detto che l'acqua non si muova, ma la quantità che esce è uguale a quella che entra, e la situazione è all’equilibrio. Figura 13- Soluzione isotonica. 7 Stefana Tabacaru / Martina Terenzi – Lezione 8 – Biologia Vegetale – Prof.ssa Silvia Perotto – 27/10/2020 Il terzo caso è quello che si osserva quando una cellula viene immersa in una soluzione ipotonica, ovvero una soluzione con una concentrazione molto bassa di soluti, al limite si potrebbe addirittura considerarla acqua distillata. In queste condizioni il valore di potenziale idrico della soluzione esterna è maggiore rispetto al valore all'interno della cellula, perché all'interno si hanno sempre dei soluti, metaboliti o ioni. In queste condizioni l'acqua si muove dalla soluzione esterna verso l'interno della cellula, e questo ingresso di acqua ne aumenterà il volume: la cellula si espande e, essendo una cellula animale circondata solo dalla membrana plasmatica, che è tenuta insieme da legami deboli idrofobici che uniscono le code fosfolipidiche, raggiunta una certa soglia, una certa Figura 14- Soluzione

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