Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Lezione 1 - Politica e Management Sanitario - PDF
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These notes cover a lecture on public health, specifically the module of public health policy and management. The lecture focuses on the reform of 1992 regarding regionalization and quasi-markets in the Italian healthcare system.
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Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Prof. Federico Lega – 30/11/2022 MODULO DI POLITICA E MANAGEMENT SANITARIO – lezione 1, parte 1 LA RIFORMA DEL ’92: REGIONALIZZAZIONE E QUASI MERCATI (N.B. Nella prima lezione di questo modulo, lo scorso anno, il prof. Lega ha trattato argomenti diversi da que...
Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Prof. Federico Lega – 30/11/2022 MODULO DI POLITICA E MANAGEMENT SANITARIO – lezione 1, parte 1 LA RIFORMA DEL ’92: REGIONALIZZAZIONE E QUASI MERCATI (N.B. Nella prima lezione di questo modulo, lo scorso anno, il prof. Lega ha trattato argomenti diversi da quelli affrontati in questa lezione: fondamenti di economia sanitaria e specificità del settore della salute e delle aziende sanitarie. Per questo motivo, e visto che il prof ha specificato che per l’esame è sufficiente studiare quanto fatto a lezione, ho fatto una sbobina ex novo. Per chi volesse, quella dell’anno scorso è la numero 9, del 3/11/2021.) Prima di iniziare, per via delle nostre videocamere spente, il prof fa una riflessione sulla “netiquette”, l’etichetta del net. Vorrebbe che ci fosse chiaro che nel mondo della vita adulta professionale sarebbe impensabile collegarsi ad una riunione di questo tipo (video call) senza farsi vedere, perché verrebbe visto come mancato rispetto. Il prof chiede poi se abbiamo letto l’articolo (sull’aziendalizzazione) che ci ha inviato via mail (pag. 32 della rivista Panorama della Sanità), perché intende partire da lì per toccare elementi importanti di conoscenza del sistema sanitario. LA RIFORMA DEL 1992 È fondamentale conoscere il mondo che si andrà ad abitare professionalmente. Abbiamo già parlato nelle altre lezioni di sanità, di SSN, ASL, riforma del ’92, riforma del ’99 e degli sviluppi più attuali. Oggi partiamo da fine anni ’80/primissimi anni ’90, periodo in cui l’Italia stava cercando di mettere a posto i parametri di spesa pubblica per entrare a tutti gli effetti nella Comunità Europea dal punto di vista economico finanziario. Sono gli anni in cui si inizia a parlare anche di Euro. La spesa sanitaria all’epoca era una delle più problematiche, anche perché si tratta del terzo reparto di spesa complessiva della pubblica amministrazione del sistema italiano, dopo le pensioni e l’istruzione e la ricerca. Nel ’92, grazie ad un accordo pentapartitico, viene varata questa riforma. I capisaldi sono 3: - Regionalizzazione - Aziendalizzazione - Creazione dei quasi mercati Tutt’ora il sistema italiano per larghissimi tratti è ancora costruito su questa riforma, vedi le Regioni, la natura aziendale che progressivamente hanno assunto le strutture sanitarie, vedi l’esistenza dei quasi mercati. Poi ci sono stati degli atti successivi di cui parleremo più avanti. REGIONALIZZAZIONE è Sistema ante regionalizzazione: Prima della regionalizzazione, avevamo un sistema basato sui comitati di gestione, che erano gli organi di governo delle circa 600 USL, in cui sedevano rappresentanti della politica locale (sindaci dei comuni di cui la USL era responsabile per i servizi sanitari su quel territorio). Quindi erano fortemente collegati agli interessi locali e questo generava scelte di offerte di servizio e di organizzazione e definizione di come investire le risorse a disposizione, che, anziché essere costruite sui bisogni dei territori locali, finivano per essere spesso asserviti al consenso politico: assunzioni di personale guidate da logiche elettorali, investimenti 1 Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Prof. Federico Lega – 30/11/2022 infrastrutturali legati a far girare la macchina dei lavori pubblici piuttosto che le reali esigenze del territorio... Dopo la riforma del ’78 quindi una forte politicizzazione che aveva generato una situazione fuori controllo, tanto che nel ’92 si rende necessario riformare la sanità con una regionalizzazione per due motivi: 1) Situazione di uso strumentale della sanità a fini politici. Per tanti anni il posto pubblico è stato un posto interessante per fini di consenso, così come l’investimento pubblico, fino al punto che venivano aperti magari ambulatori e generate offerte specialistiche in zone periferiche e remote con bassa affluenza di persone, ma era una cartolina politica… il che risultava in situazioni regionali o locali in cui c’era una sovra offerta di sanità rispetto ai reali bisogni della popolazione, con utilizzo allegro delle risorse pubbliche per investimenti non necessari, che poi non venivano completatati ma erano solo un modo per far girare appalti pubblici. 2) Poi c’era un problema istituzionale: c’era il Ministero centrale e poi il livello successivo era quello delle 600 USL, senza niente in mezzo come livello di governo. Le USL, essendo 600 su una popolazione di 60 milioni di abitanti, erano molto piccole: stiamo parlando di 10-12 mila abitanti, ad es. nel comune di Milano ce ne erano diverse, che erano i diversi sotto quartieri. Questo generava una grande lontananza, e quando noi abbiamo una situazione di questo genere, lo span of control è enorme (1:600), e quindi molto debole. Il sistema culturalmente è forte dell’idea che c’è un articolo della Costituzione che dice che è un dovere dello Stato Italiano tutelare la salute dei cittadini, quindi noi dobbiamo prima definire i bisogni dei quali occuparci, e poi si genera la spesa: BISOGNI à SPESA. Comunque già dal ’78 c’era la previsione di creare un Fondo Sanitario Nazionale che rappresentasse il limite entro cui offrire le prestazioni pubbliche, ma la retorica e la pratica facevano sì che si dicesse “tanto poi il FSN lo adeguiamo alle necessità di spesa determinate dai bisogni”. Ovviamente i soldi per fare questo non c’erano e quindi il sistema andò in disavanzo anche importante. Ogni anno, nel periodo che va da fine degli anni ’70 ai primi anni ’90, i disavanzi erano del 10-15% del FSN, quindi si spendeva di più di quello che veniva allocato. (Il FSN viene tutti gli anni definito in quella che una volta chiamavamo legge finanziaria, mentre oggi la chiamiamo legge di stabilità, quella che si fa a fine anno, in cui lo stato impegna le risorse per l’anno successivo, facendo previsioni sulle entrate fiscali che avrà.) è Dopo la regionalizzazione: La regionalizzazione fondamentalmente è consistita in un grande tentativo dal punto di vista concettuale: di invertire la logica bisogni à spesa, per fare in modo che si iniziasse a dire: abbiamo un limite di spesa del sistema e dobbiamo selezionare quali bisogni posiamo soddisfare dentro quel limite di spesa, che è il problema che abbiamo tuttora: SPESA à BISOGNI. Ma siccome dovevamo essere equi dal punto di vista dell’offerta su tutto il territorio, in mezzo vengono introdotti i LEA, livelli essenziali di assistenza, una lista positiva di prestazioni che devono essere garantite (trapianti, prestazioni per acuti, ricoveri traumatologici, specialistica ambulatoriale…). Per cui si dice in ogni regione dovrà garantire sul proprio territorio dei LEA quale base fondativa per definire i bisogni che devono essere garantiti. All’atto pratico è molto complicato definire il portafogli dei LEA, e quindi inizialmente si è partiti dicendo che l’importante prima di tutto fosse garantire un minimo di uniformità nei livelli di spesa, per cui si stabilì che la prima versione dei LEA fosse questa: - Prevenzione= 5% della spesa (ancora oggi siamo molto spesso sotto il 3% nelle varie Regioni) - Ospedali= 45% (all’epoca oltre il 70% andava agli ospedali) - Servizi territoriali= 50% (era meno del 30%) 2 Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Prof. Federico Lega – 30/11/2022 Quindi il primo tentativo è stato quello di dare un indirizzo almeno di massima sui livelli di spesa dei LEA. All’epoca eravamo molto ospedalocentrici, poi sono avvenuti dei passaggi di sofisticazione di queste individuazioni del LEA. OBIETTIVI DELLA REGIONALIZZAZIONE: La regionalizzazione di fatto è stata l’introduzione di un livello intermedio tra il ministero e le USL, che avrebbe dovuto accorciare la filiera istituzionale, e quindi: è Mettere sotto controllo la spesa è Senza però far venir meno quell’idea di prossimità, di località, che le Regioni dovevano garantire. Anche perché è chiaro che ogni regione ha le sue specificità, organizzare la sanità in Trentino, non è la stessa cosa che farlo in Puglia, Sicilia o Toscana. C’è anche stata una discussione se fosse il livello regionale o provinciale quello giusto, poi si opta per le Regioni e si parte con questo livello. Il prof dice di difendere a spada tratta questo modello, e di sostenere che non è stata affatto una cattiva scelta, perché, da un punto di vista logico, quella regionale è una buona dimensione istituzionale per garantire la costituzione di una rete di offerta che sia collegata alle esigenze di un territorio con le sue specificità. COMPETENZE DELLE REGIONI: Vengono allora passate alle Regioni le seguenti competenze: - Quelle in materia di organizzazione del Servizio Sanitario Regionale (SSR) - Quelle di definizione delle priorità di interventoà attraverso un Piano Sociosanitario Regionale (inizialmente PSR, poi negli ultimi tempi PSSR, perché il sociale è diventato sempre più importante) - E poi il tema del finanziamento interno à il meccanismo prevede il fondo sanitario nazionale definito a livello centrale, che viene ripartito alle Regioni attraverso un meccanismo molto semplice e potente, ma al tempo stesso giusto, che è la quota capitaria. In Italia oggi la quota capitaria vale circa 2000€ a persona, per cui la regione Lombardia, avendo circa 10 milioni di abitanti, riceve intorno ai 20 miliardi di euro come quota parte del FSN. Poi quella quota capitaria può essere pesata per diversi parametri: - complessità dei territori (offrire servizi in montagna è più costoso e difficile che farlo nelle città metropolitane o in pianura) - incidenza e prevalenze di alcune patologie su un certo territorio… - si potrebbe pesare per tante cose, alla fine in Italia la vicenda è stata semplificata facendo un minimo di pesatura che tiene conto delle fasce d’età: assumendo che i grandi anziani e i neonati consumino più risorse dell’adulto, dell’adolescente o del medio anziano. Questo significa che se ho una popolazione con una prevalenza di grandi anziani, che probabilmente vale 1,2 rispetto alla quota capitaria base 1, dovrei ricevere un po’ più di risorse per tenere conto del carico della cronicità della complessità dei quadri clinici che richiedono più risorse. Questo definisce il Fondo Sanitario Regionale (FSR). Nella realtà dei fatti poi è molto più complicato di così: c’è un tavolo ministeriale a cui siedono gli assessori generali e i direttori generali degli assessorati dele varie Regioni che si occupano di Welfare e Salute, i quali portano il loro fabbisogno, si verifica se i fabbisogni economici corrispondono all’ammontare della quota capitaria oppure no, e poi ci sono dei fondi di riequilibrio che vengono utilizzati per compensare le situazioni laddove la quota capitaria non sia necessaria a coprire le esigenze della regione. Poi ovviamente le risorse non bastano mai, siamo di fronte ad una grandissima sfida di sostenibilità. 3 Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Prof. Federico Lega – 30/11/2022 ASL: Sotto le Regioni il sistema prevedeva, secondo la 502 del ’92 - e poi la 567 del ’93 come piccola revisione - che ci fossero le ASL, Aziende Sanitarie Locali, evoluzione delle USL. Nel ’92 si passa da circa 600 USL a circa 200 ASL, in seguito ad un accorpamento delle piccole USL in aziende sanitarie locali più grandi, con nomina del direttore generale e cambiamento della struttura di governance, che vedremo meglio in seguito. La Regione quindi si avvale di ASL, che pagano, comprano delle prestazioni da diversi soggetti: - MMG (medici di medicina generale) convenzionati e pagati con le ASL - Aziende ospedaliere e privato accreditato della parte ospedaliera - Privato costituito da quelle che definiamo come strutture intermedie: RSA (residenze sanitarie assistenziali), RSD (residenze sanitarie disabili), hospice…. - Farmacie territoriali (bisogna pagare i farmaci che vengono consumati sotto prescrizione dei MMG) - Attività svolte da ospedali e privato accreditato di altre ASL per i propri residenti, quelle che tipicamente vengono chiamate fughe. (ad es un residente di Milano che va a farsi curare al Rizzoli di Bologna, che comporta il fatto che la ASL debba pagare le prestazioni all’ASL di Bologna, che a sua volta lo gira al Rizzoli di Bologna, azienda ospedaliera IRCCS.*) Le aziende ospedaliere possono essere: - AO: aziende ospedaliere. (San Luigi di Orbassano, AO del territorio dell’ASL Torino città) - AOU: aziende ospedaliere universitarie, polo di riferimento dell’università. (la Federico ii di Napoli è stata classificata come AOU, e non come IRCCS, non gli è stato riconosciuto lo status di centro di eccellenza di ricerca; ad es. il Sant’Orsola Malpighi di Bologna.) - ASST: in Lombardia non si usano più i termini AO o AOU, sono diventate ASST, azienda socio sanitaria territoriale. (Il Niguarda prima era una AO, adesso è un ASST, dopo la riforma.) - IRCCS: istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, categoria speciale di aziende ospedaliere, che hanno come missione prioritaria il fare ricerca. (Policlinico Maggiore di Milano, ha dentro l’università ma è stato classificato come IRCCS.) DRG – MONEY FOLLOW PATIENTS – QUOTA CAPITARIA: Gli ospedali vengono finanziati tramite i DRG (diagnosis related group), inizialmente chiamati ROD (raggruppamenti omogenei di diagnosi). Questo sistema viene introdotto nel ’95 in Italia, con le tariffe ambulatoriali della parte specialistica, diagnostica e quant’altro. Per cui l’ASL riceve risorse per coprire i costi del proprio cittadino residente e paga ciò che viene fatto negli ospedali e nel privato accreditato sulla base di queste tariffe. Dovrà quindi controllare: è che il cittadino residente non abusi delle prestazioni sanitarie di cui è titolare, quindi non faccia un po’ il free rider è e al tempo stesso dovrà vigilare che l’AO o il privato accreditato non facciano i furbi facendo prestazioni inappropriate e non necessarie per ragioni di convenienza economica. Infatti in questo sistema, se l’ASL copre il costo delle prestazioni che il cittadino fa dentro una certa azienda ospedaliera, stiamo dicendo che “money follow patients”. Quindi si apre uno spazio di competizione dentro il sistema sanitario: una prestazione in più o in meno potrebbe fare la differenza rispetto alla disponibilità di risorse, all’equilibrio di bilancio, alla sostenibilità economica di quell’azienda ospedaliera, di 4 Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Prof. Federico Lega – 30/11/2022 quel privato accreditato, di quel soggetto che riceve dall’ASL un riconoscimento economico per la prestazione per il proprio residente. La 502 del ’92 prevede che la regione trasferisca all’ASL i soldi per gestire il proprio budget attraverso la quota capitaria, con lo stesso meccanismo con cui li riceve dal livello centrale. La regione è libera di intervenire sui sistemi di finanziamento, e quindi può modificare il livello della quota capitaria, introducendo degli elementi di differenziazione e di pesatura diverse: alcune Regioni hanno introdotto alcuni correttivi legati alla complessità della geomorfologia del territorio, alla stagionalità… prendiamo come esempio l’ASL della Romagna, che durante il periodo estivo ha quasi un quinto in più della popolazione da gestire, perché c’è un afflusso importante di turisti. Questi, seppure non siano residenti, esercitano una pressione sui PS, punti di primo intervento e guardie mediche, di cui bisogna tenere conto, perché l’ASL dovrà potenziare tutta una serie di servizi. L’ASL di Bologna questa stagionalità non ce l’ha. (L’Emilia Romagna è ormai organizzata in poche ASL: di Bologna, della Romagna, di Ferrara, di Modena, di Reggio Emilia, di Piacenza.) L’ASL della Romagna è molto grande, oltre un milione di abitanti, che diventano un milione e quattro nel periodo estivo che popola tutta la Riviera in modo importante Il meccanismo della quota capitaria è un ottimo meccanismo, perché è molto equo: dà soldi in relazione alla popolazione, pesata per quello che può essere una zona e i suoi bisogni. Forse il meccanismo più equo che c’è di finanziamento, anche perché non induce convenienze economiche: i soldi arrivano per la popolazione che hai, non per quello che hai fatto, che è una cosa diversa, è chiaro che poi devi fare delle cose. Vedremo nella prossima lezione come ci possono essere anche delle distorsioni anche piuttosto importanti da questo punto di vista nel modo in cui dentro la sanità i professionisti tendono a fare cose per ragioni di convenienza professionale economica e non sempre comunque nell’interesse del paziente, anche perché altrimenti non sarebbe necessario il giuramento di Ippocrate. Il richiamo etico è molto forte. RESPONSABILITA’ DELLE REGIONI: Quindi negli anni ’90 vengono passate alle Regioni queste responsabilità: - organizzazione SSR: vuol dire anche che le Regioni sono libere di decidere quante ASL fare. ad es. la Toscana oggi ha tre grandissime ASL, da un milione e rotti di abitanti: ASL nord ovest, ASL centro e ASL sud est. Una a base Firenze, una a base Pisa e una a base Siena. Queste gestiscono una rete di ospedali, ad es. quella del nord ovest comprende l’ospedale di Massa, quello di Lucca, quello di Livorno, quello della Versilia, quelli della Garfagnana, quello di Volterra, dell’Isola d’Elba. Quella del centro comprende l’ospedale di Grosseto, Arezzo, Minore di Siena… l’idea della Toscana è quella di tre grandi ASL ognuna corrispondente ad una grande AOU, che sono: le Scotte di Siena, il Santa Maria di Pisa e il Careggi di Firenze (poi c’è un’altra azienda piccolina sempre di Firenze che è il pediatrico Meyer). Invece ad es. il Veneto ha fatto delle ASL molto piccole, oltre 15, da 400-500.000 abitanti. - definizione PSR: che rappresentano le priorità, ovvero dove mettiamo le risorse: rete trauma, rete emergenza, rete cardiovascolare, rete neuroscienze, servizi territoriali, assistenza domiciliare… Anche qui ci sono scelte molto diverse: ad es. la Lombardia ha appaltato quasi esclusivamente al privato tutta l’assistenza domiciliare in questi anni, con dei contratti, mentre l’Emilia Romagna ha internalizzato nell’ ASL l’assistenza domiciliare, che è quindi erogata prevalentemente da professionisti delle ASL - finanziamento interno Questo ha poi effettivamente ha generato venti sistemi molto diversi, anche perché poi la politica regionale, non dissimilmente da quella locale, ha usato anche lei il sistema sanitario come strumento di consenso politico, e quindi aveva tutto l’interesse a far vedere che faceva qualcosa di particolare, di eclatante. 5 Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Prof. Federico Lega – 30/11/2022 Il prof risponde ad una domanda circa l’ex presidente regionale della Lombardia Formigoni, lo scandalo delle tangenti e della sanità privata, e l’impronta che ha lasciato in Regione: dice che bisogna innanzitutto distinguere ciò che scrivono i mass media da ciò che è successo nella realtà. Se c’è una cosa di cui occorre dubitare in questo Paese è la qualità dei nostri strumenti di informazione, che sono certamente più liberi di quelli cinesi, ma la qualità media dei giornalisti è veramente infima, visto che spesso non sanno di cosa parlano quando raccontano cose. Ormai poi tutto fa notizia. Al prof capita di essere chiamato regolarmente per delle interviste, soprattutto durante il periodo Covid, in cui tutti volevano notizie a tutti i costi sulla regione Lombardia, considerata criminale perché la gente moriva a Bergamo. La storia ha dimostrato come quello che è successo in Lombardia non sia stato diverso da quello che è successo in tempi leggermente diversi in altre regioni. Se la catena di comando non ha funzionato benissimo, non ha funzionato benissimo anche in altri contesti. Poi ci sono delle colpe dal punto di vista gestionale, ma non è l’unica regione canaglia da questo punto di vista, anzi al contrario, ha cercato, con i limiti delle possibilità che c’erano in quel momento, di capire quello che stava succedendo e di agire conseguentemente. Nell’ambiente di chi gestisce c’è un vecchio mantra che dice: “tutti sanno cosa si dovrebbe fare, pochi sanno come si dovrebbe fare, ancora pochi sanno farlo.” Secondo il prof i giornalisti stanno da tutt’altra parte. Ammette di avere un po’ il dente avvelenato perché da un Paese civile come il nostro si aspetterebbe una maggiore attenzione nell’informarsi, e non uno che lo chiama e gli chiede un commento sulla Lombardia senza sapere di cosa sta parlando, senza sapere com’è organizzato il sistema, né le risorse, né che tipo di attualizzazione ha avere una Regione rispetto al Ministero per prendere certe decisioni, né cosa vuol dire concretamente chiudere un Pronto Soccorso... Ringrazia comunque per la domanda, molto lecita, perché l’era Formigoni è stata un’era che ha fatto il peccato veniale di sbagliare tre o quattro cose che rimarranno sulla fedina penale. Però ricorda che non bisogna dare giudizi avventati da questo punto di vista, ma dobbiamo vedere le cose da scienziati. Contano i fatti prima ancora che le opinioni. Più tardi torneremo sul tema della Lombardia e l’ultimo ventennio della sua storia. LIBERTA’ DI SCELTA – FUGHE – CONTRATTI: L’ASL dovrebbe fare dei contratti: se io ho una quota capitaria che dice che l’ASL di Milano, con il suo milione e mezzo di abitanti, moltiplicato per circa 2000 euro, ha un budget attorno ai tre miliardi (ripete tre miliardi tre volte con molta enfasi e dice che questo nessuno lo capisce), che passano dal direttore generale. (Adesso però per spiegarsi dice che è più semplice usare l’esempio di Bologna, perché per la Lombardia le cose sono un po’ diverse). A Bologna il dott. Bordon, direttore generale, ha un miliardo e 800 milioni di budget (essendoci 900 mila abitanti), valore che non ha nessuna impresa italiana (forse Fiat se mettiamo insieme tutto il conglomerato Stellantis, ma essendo di fatto suddivisa in varie società nessuna fa 1,8). Quindi Bordon ha questo budget da gestire con cui deve finanziare tutto quanto abbiamo detto prima: medicina generale, ospedalità privata, aziende ospedaliere pubbliche, stipendi del personale delle ASL, consumi farmaceutici sul territorio, strutture intermedie… Immaginiamo che questo sia il lenzuolo del bilancio dell’ASL: vale 1,8 miliardi di euro. L’ASL di Bologna sa fin dal principio che - di quell’1,8- 1 miliardo servirà per finanziare le proprie attività dirette: ha degli ospedali da gestire, deve pagare gli stipendi del proprio personale, deve pagare i MMG, deve pagare la farmaceutica convenzionata sul territorio… che sono fondamentalmente costi fissi. Quindi rimangono 0,8 con i quali dovrebbe pagare le prestazioni che i propri residenti fruiscono nelle aziende ospedaliere, nel privato accreditato, nelle strutture sociosanitarie accreditate e contrattualizzate 6 Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Prof. Federico Lega – 30/11/2022 (quindi Sant’Orsola Malpighi, Rizzoli, case di cura del gruppo Villa Maria, RSA…). Il problema è che in Italia noi abbiamo la cosiddetta libertà di scelta, quindi se ad es. Marco deve andare a fare un intervento ortopedico, è libero di scegliere qualsiasi ospedale italiano, sia che sia azienda ospedaliera, sia un ospedale gestito dall’ASL. Magari Marco è un residente di Bologna, che però decide che l’intervento va a farlo all’AO di Modena, Napoli, o al Niguarda di Milano… Quindi se Marco non usa gli ospedali di Bologna, che dobbiamo immaginare dentro il riquadro dell’1 miliardo (in verde), produce quella che si chiama una fuga: sta prendendo i suoi soldi (money follow patients) e li sta portando da un’altra parte. Ovviamente l’ASL di Bologna e il direttore Bordon avrebbero tutto l’interesse che Marco invece si lasciasse trattare all’ospedale Maggiore di Bologna, perché lì l’intervento è garantito dagli ortopedici che sono già in organico, già vengono pagati i loro stipendi, quindi che loro facciano o no la prestazione, a fine mese il loro stipendio l’ASL lo deve pagare comunque. Quindi se invece Marco va a Modena o da qualsiasi altra parte, è come se l’ASL Bologna pagasse due volte la prestazione: - paga comunque lo stipendio del medico di Bologna (per non fare la prestazione), - e poi paga la prestazione DRG all’azienda ospedaliera in cui effettivamente è stata svolta (Modena). Quindi io so con una relativa certezza quanto mi costa gestire la ASL, ma non ho un’idea fino in fondo di quanto potrebbe occupare la quantità di risorse consumata dai miei cittadini che vanno a farsi curare da qualche altra parte. Questo soprattutto se poi c’è anche una certa tendenza ad inflazionare queste prestazioni: si è parlato del caso della clinica Santa Rita a Milano: un urologo “interveniva su tutto ciò che respirava” perché ogni intervento in più era un DRG in più, il paziente è da immaginare come un assegno circolare. Assumendo che la gente non impazzisca tutto d’un tratto e che non aumenti in maniera esponenziale la domanda di prestazioni ospedaliere, e assumendo dall’altra parte che il mondo delle AO e del privato accreditato non sia un mondo di criminali che decida di intervenire in maniera esponenziale sui pazienti anche quando non sia strettamente necessario, ma che i medici abbiano un’etica professionale, quello che avrebbe dovuta fare l’ASL era guardare lo storico di come le persone si muovevano e stipulare dei contratti, per garantire che alla fine, anche in una situazione di libertà di scelta, la spesa da questo lato rimanesse all’interno di quello che era il range possibile. Poi certo io posso chiedere all’azienda di ridurre un po’ la propria spesa efficientandola al proprio interno e portandola da un miliardo a 0,9 per poter spendere 0,9 dall’altra parte, e cominciano tutte le operazioni gestionali e manageriali, però in ultima analisi c’è un vincolo di bilancio. Ricordiamo infatti l’inversione spesa à bisogni: la spesa sostenibile è 1,8, e bisogna cercare di offrire tutto ciò che serve alla popolazione in quel budget oppure fare delle scelte di priorità su che cosa serve, fermo restando che devono essere garantiti i LEA. Quindi la questione è molto complicata, ma era necessario per mettere sotto controllo la questione economica e cominciare a dare una dimensione di organizzazione del SSN che la rendesse sostenibile. Siamo tutti d’accordo che non bisogna razionare in alcun modo le cure o le necessità dei pazienti, ma siamo altrettanto d’accordo che bisogna anche fare un po’ di attenzione alla dinamica economica, o rischia di saltare tutto il banco della sanità. Tenendo conto che poi c’è anche un problema a parte: siamo un sistema sottofinanziato e quello è una scelta politica che ci sta mettendo in grave crisi (il finanziamento complessivo e di 1-2 punti percentuali inferiore rispetto a quello di altri paesi europei, e su questo dovremmo fare molto di più). Quindi l’ASL dovrebbe fare contratti, che è complicato, perché poi la gente sceglie comunque dove andare. I contratti possono essere anche molto stimolanti, gli emiliano-romagnoli li chiamano infatti accordi di fornitura, per cui l’ASL di Bologna fa sedere al tavolo l’AO Malpighi e fissa un accordo di fornitura che definisce un limite massimo di finanziamento e il contenuto di questo finanziamento: es. ti do 300 milioni all’anno per fare queste cose, come se stesse comprando prestazioni. 7 Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Prof. Federico Lega – 30/11/2022 Il prof risponde ad una domanda sui gettonisti: si tratta di forza lavoro acquistata o dall’ASL o dall’AO, a seconda di cosa serve, ma rappresenta semplicemente un’esternalizzazione di una parte del lavoro che altrimenti dovrebbero svolgere i dipendenti. In una fase storica in cui non abbiamo le risorse per assumere persone o non le troviamo, perché i concorsi a volte vanno deserti, siamo obbligati a prendere gettonisti per coprire i turni di servizio e le attività ambulatoriali, e in parte oggi per coprire le liste di attesa rimaste indietro col Covid. Per avere più forza lavoro stiamo quindi ricorrendo alle Cooperative degli Infermieri da un lato e ai gettonisti dall’altra. Nasce come contingente (il gettonista lo prendo come complemento a quello che non riesco ad offrire con il mio personale dipendente), ma poi in una fase storica difficile come questa, in cui c’è una carenza abbastanza diffusa di specialisti, purtroppo sta diventando strutturale. È scelta anche di alcuni specialisti quella di decidere di non farsi assumere dal SSN, ma di rimanere a gettone (secondo il prof è totalmente folle, perché va bene se vuoi fare soldi, ma professionalmente è la morte, si finisce per diventare una carcassa professionale in poco tempo). Ritornerà sull’argomento. QUASI MERCATI Questo rapporto tra ASL e AO è quindi esattamente ciò che sottostà al concetto di quasi mercato. Significa avere. - un soggetto, l’ASL, che fa da acquirente (oltre che produttore diretto) -per determinati soggetti che sono le AO, AOU, IRCCS, privato accreditato… che sono i fornitori. Se il meccanismo è money follow patients, è chiaro che dal lato delle AO, AOU… c’è un mercato per accaparrarsi il paziente, perché ogni paziente in più è un’entrata. Non è però un mercato puro perché le tariffe sono determinate dal sistema DRG o dal sistema ambulatoriale diagnostico, e quindi i prezzi non sono liberi sul mercato, non è possibile definire il prezzo come leva competitiva, ma si deve competere sulla tecnologia, sulla professionalità sul comfort alberghiero, su altre leve… Ad es. uno sceglie di andare al Niguarda e non ai Santi Paolo e Carlo se deve fare un intervento di una certa rilevanza prima in base alla professionalità, poi guarderà le tecnologie, il tipo di tecnica, i tempi di recupero, il comfort alberghiero... È evidente che si è creato un quasi mercato. Però c’è il rischio che questo stesso lato del sistema (AO, AOU…) generi una domanda inappropriata (perché i cittadini non possono sapere se un intervento che viene consigliato loro sia davvero necessario) per massimizzare questo drenaggio di risorse, che derivano dai volumi di attività, che quindi bisogna sorvegliare. In questo caso però l’inappropriatezza di prestazione si traduce nella crisi del bilancio delle ASL. Prendiamo l’esempio di un’AO. Il 70% dei costi sono costi fissi: personale che bisogna pagare. Se quel personale viene usato per fare 100 prestazioni o 120, e a 120 corrispondono più ricavi, è chiaro che mi conviene fare di più, perché per la maggior parte i costi rimangono fissi (70%). Quindi io sono incentivato a fare di più. Di questo il privato ne ha fatto un cavallo di battaglia. Quindi il sistema decide che è necessario mettere dei tetti, che diventano la base per gli accordi di fornitura. Per cui oggi tutti gli ospedali hanno un tetto di budget o tetto di spesa. Ad es. l’ATS (come vengono chiamate le ASL in Lombardia: aziende di tutela della salute) di Milano riconosce fino a 320 milioni di euro all’anno e tendenzialmente dovrebbe dire come vorrebbe venissero spesi: area chirurgica, area medica, PS… è l’accordo di fornitura o contratto come lo chiamiamo in Lombardia. 8 Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Prof. Federico Lega – 30/11/2022 PROBLEMI DELLE REGIONI: L’impianto della 502 del ’92 era veramente bello e ben pensato, col correttivo dei tetti poi si riesce anche ad intervenire per mantenere l’equilibrio economico. Però avevamo detto che erano due i temi per cui le Regioni sono state messe in campo: 1) sostenibilità economica 2) offerta dei LEA, ovvero garantire dei livelli assistenziali essenziali uniformi nel paese. (Tema dell’equità e della qualità delle cure che vengono offerte nel paese) Il problema è che le Regioni vengono investite della responsabilità di governare la sanità in una fase in cui praticamente non esistono. Infatti le Regioni vengono ufficialmente fondate in Italia nel 1974, ma quando si arriva al ’91 sono ancora poca roba, perché contavano molto i comuni e le province. Quando poi gli passa in mano la sanità, le Regioni cominciano ad apparire come livello istituzionale di un certo rilievo nella filiera di governo dell’Italia. Però il problema era che le persone che lavoravano in regione “non erano proprio delle superstar” e non erano in grado di gestire questo livello di complessità della gestione della politica sanitaria e della programmazione e organizzazione. Quindi le cabine di regia regionali, ovvero gli assessorati, erano molto deboli, per cui in alcune Regioni la sanità diventa un grande affare. (Non che prima non lo fosse, il prof non sopporta sentire dire dai giornalisti che con la regionalizzazione è cominciato il malaffare, si chiede se non si ricordano degli anni ’70 in cui con le mutue il sistema è andato al collasso e gli ospedali fallivano. Se non si ricordano che dal ’78 al ’92 sono stati buttati via almeno il 30% tutti gli anni del FSN in sprechi di varia natura. Se non si ricordano di quante tangenti giravano e quale sia stato l’inizio di Tangentopoli a Milano: Pio albergo Trivulzio, con le mazzette dei fornitori della sanità, che per accaparrarsi le cose finanziavano la politica. Quindi secondo il prof la sanità prima era molto peggio di quanto non sia diventata con le Regioni. Le Regioni certamente non sono riuscite ad intervenire come avremmo voluto in profondità su alcune pieghe del sistema, ma prima era peggio. A questo proposito inizia a raccontare un aneddoto personale, il suo ricovero in occasione di un intervento a causa della rottura dei legamenti della caviglia quando da ragazzo giocava a basket: la degenza di 15 giorni anche se non necessaria, le camerate da 12 posti letto (descrive i vari compagni di stanza e in che modo lo disturbavano di giorno e di notte) e conclude dicendo di aver cercato di rimuovere questo incubo e che nessuno se lo ricorda. Afferma che è un tratto innato dell’essere umano la tendenza a dimenticare il passato e concentrarsi sempre sul presente, ma che la storia ci insegna sempre qualcosa. Quindi le Regioni sebbene non abbiamo fatto benissimo per molti versi, certamente non hanno fatto peggio di quello che c’era prima. Ci hanno dato la chance di avere un livello di governo intermedio su una filiera istituzionale che altrimenti era totalmente fuori controllo, con dei livelli di servizio che se uno stava a Milano se la cavava, ma se era a Reggio Calabria c’era da mettersi le mani nei capelli.) Tre Regioni in particolare: - Lazio - Sicilia - Campania da sole producono il 60% del disavanzo che continua ad accumularsi nel periodo che va dal 1992 al 2008. Questo è causato dalle cabine di regia così deboli. Quindi non riusciamo fino in fondo a mettere sotto controllo la sostenibilità, certo non a ritmi del 15% come gli anni precedenti, però a ritmi del 7-8% l’anno, quindi si dimezza ma si continua ad avere un problema di disavanzo. Non è un caso che siano le tre Regioni in cui il privato spadroneggia, non solo ospedaliero, ma anche ambulatoriale e diagnostico. Sono ambulatori e centri diagnostici che vengono accreditati perché evidentemente sono uno strumento politico del territorio, che genera sovra spesa e induzione di domanda, visite su visite… ma questo aspetto lo vedremo meglio la prossima lezione. 9 Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Prof. Federico Lega – 30/11/2022 Non sono le uniche tre Regioni, perché in disavanzo sono la metà delle Regioni italiane, ci sono dentro Puglia, Calabria, Sardegna, in un certo periodo la Liguria, Umbria, Marche... ma sono meno importanti perché hanno dimensioni meno importanti di queste. CENTRO NORD E MODELLO LOMBARDO Quelle che riescono a rispondere un po’ meglio sono le Regioni del centro nord. Non perché siano migliori ma perché hanno degli assessorati più forti. Qui bisogna dare atto che la Lombardia con Formigoni fa un’operazione brillante, nonostante siano girate delle tangenti come ha messo in evidenza la Procura, perché anche il Lombardia c’erano degli interessi molto forti (e se c’è una cosa che secondo il prof gli economisti hanno detto giusta nella loro volta professionale è che alla fine l’uomo è homo economicus, e che quindi il movente economico c’è sempre e come diceva anche Di Pietro, se vuoi scoprire il colpevole segui i soldi). Formigoni infatti costruisce un assessorato regionale, come hanno fatto che molte Regioni del centro nord, distinguendosi dalle altre, più forti. All’epoca in Lombardia c’era Carlo Lucchina, che faceva il direttore generale dell’assessorato, il quale davvero comandava il sistema in maniera importante, e c’è stato un periodo in cui davvero furono portate in regione dele persone capaci. Quindi la riforma che poi porterà al famoso modello lombardo, per cui nel ’97 la Lombardia si decide a togliere tutti gli ospedali dalle ASL e di metterli fuori per stimolare al massimo questo lato, con l’idea che la concorrenza produca degli effetti positivi, perché dovrebbe alzare il livello qualitativo delle strutture ospedaliere, spingerle ad investire in tecnologia, spingerle ad acquisire migliori professionisti, quindi dovrebbe avere dei riflessi positivi. Ed è vero che la concorrenza produce degli effetti positivi, però bisogna anche riuscire a regolare, perché altrimenti, come abbiamo visto prima, produce anche degli effetti distorsivi. Quindi è vero che la Lombardia ha avuto questa ambivalenza, ma se c’è una cosa che non possiamo dire è che questo sistema non abbia i migliori ospedali d’Italia, tranne alcune eccezioni (Sant’Orsola Malpighi, Gemelli, Rizzoli, Careggi…). In ogni caso, la quantità di grandi ospedali che abbiamo in Lombardia e la loro qualità media è certamente più alta, ed è stato in larga parte anche frutto di un percorso concorrenziale, in cui sono stati spinti i professionisti a fare meglio (anche di più, e questo è stato un problema). Questo ha fatto diventare il sistema lombardo un sistema molto più ospedalocentrico di quanto non lo fosse in partenza, quindi sicuramente gli aspetti negativi ci sono, ma anche quelli positivi. Oggi con la trasformazione delle AO in ASST, e quindi con il dare agli ospedali anche il territorio (di fatto è come se in Lombardia stessimo riscostruendo delle piccole ASL con gli ospedali: ad es. gli Spedali Civili di Brescia oggi gestiscono tutto il territorio della provincia di Brescia, con gli MMG, gli ambulatori sul territorio…). Questo per recuperare l’integrazione del territorio e la concezione che le cose iniziano prima sul territorio, poi arrivano in ospedale e poi tornano sul territorio, per cui c’è tutta un’importanza molto forte nel trovare questa filiera integrata. Queste Regioni fanno quindi un investimento forte sugli assessorati, e questo spiega perché le strade divergano nei primi anni, dal ’96 in poi fino al 2008. C’è una tendenza ad avere una parte delle Regioni che vanno progressivamente in disavanzo folle, e soprattutto non riescono ad intervenire in maniera importante sull’offerta dei LEA, che ad un certo punto si comincia a misurare attraverso una griglia LEA (si può trovare sul sito del ministero della salute). Si tratta di un sistema di indicatori che vengono utilizzati per misurare se la regione riesce o no ad erogare i servizi essenziali per i cittadini: liste d’attesa, vaccinazioni, alcuni elementi legati ai volumi medi di attività, l’accesso ad alcune tecnologie, farmaci innovativi… Il prof dice che a questo punto avremmo dovuto esserci appassionati perché il sistema della salute è meraviglioso se uno lo capisce. Ribadisce che noi stiamo studiando per fare i medici ma c’è un sistema dietro il quale le cose vengono decise e organizzate alla cui costruzione lui spera che nel futuro la classe medica abbia più peso nel partecipare attivamente. Crede che i professionisti debbano essere davvero parte attiva delle scelte che andranno a definire come il nostro SSN nei prossimi anni si riconfigurerà. 10 Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Prof. Federico Lega – 30/11/2022 GRIP BACK E COMMISSARIAMENTO: Diverse Regioni non rispettano né la griglia LEA né la sostenibilità, e quindi si attiva un meccanismo, tutt’ora in voga: i piani di rientro. Dal 2008 diverse Regioni vengono commissariate: significa che c’è quello che tecnicamente si definisce grip back, una ripresa di potere del livello centrale, in particolare non più del Ministero della Salute (che secondo il prof purtroppo non conta granché e i ministri della salute che abbiamo avuto in questi anni certamente non hanno fatto molto, l’ultimo poi ha iniziato molto male e ha dei sottosegretari “da dargli fuoco” per le cose che hanno detto finora, ma dice che staremo a vedere cosa succede). Il Ministero della Salute infatti viene in qualche maniera esautorato dal controllo del sistema sanitario, che viene preso in mano dal Ministero dell’Economia. Questo manda, nelle Regioni che sono in dissesto economico e non rispettano la griglia LEA, un subcommissario. Viene nominato commissario il governatore regionale però di fatto tutte le decisioni vengono prese dal subcommissario. C’è quindi un vero e proprio commissariamento, e poi il blocco del turnover, perché bisogna ritornare in equilibrio, e poi tutti degli atti che prende di fatto il subcommissario: chiudere gli ospedali piccoli, modificare l’assistenza… in un’operazione che il prof definisce anche un po’ brutale. “Viene affamata la grande bestia del SSN” di queste Regioni. Es. della Campania: il governatore De Luca non si fa mancare niente dal punto di vista dell’attenzione che pone sulla sanità, ma oggi è commissario, perché la Campania è ancora in piano di rientro e fino a due anni fa (pre Covid) aveva un subcommisario che ha dovuto prendere delle decisioni anche molto dure in merito alla chiusura e riorganizzazione delle reti di offerte, per due ragioni: 1) Fare rientrare i conti 2) Stimolare un’offerta di prestazioni sanitarie che raggiungesse i livelli LEA minimi attesi. Quindi la griglia LEA produce un indicatore, se questo è sotto 160 entravi automaticamente in piano di rientro. RITORNIAMO AI GIORNI NOSTRI: Oggi il sistema è in equilibrio di bilancio. Almeno pre Covid, perché adesso bisogna vedere perché ci sono si i soldi per Pnrr, ma le Regioni hanno speso complessivamente quasi 18 miliardi di risorse per far fronte al covid direttamente, li hanno anticipati per i presidi sanitari, i ventilatori, il personale che è stato assunto a tempo determinato… dietro alla promessa che il governo avrebbe coperto queste spese. Poi il governo ha detto: “io ve ne do 9, gli altri 9 dovete coprirli voi” e le Regioni stanno dicendo: “non ci pensiamo neanche a coprire gli altri 9, perché non ce li abbiamo”. La situazione in questo momento è delicata, c’è una negoziazione in corso. Poi c’è anche il problema che non si trovano i medici per il PS e anche altre specialità. In ogni caso, dal 2014 per la prima volta nella storia italiana il FSN viene rispettato e contemporaneamente aumentano gli indicatori di tutte le griglie LEA di tutte le Regioni. Non è un miracolo, ma ci dice che se gestite bene, Regioni da un lato e SSN dall’altra parte, possono produrre dei salti di qualità importanti. 11 Sbobina 13 - Sanità Pubblica - Prof. Federico Lega – 30/11/2022 AGENAS e DM 77 e 70: Negli ultimi tempi si inserisce il ruolo crescente di AGENAS, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari. Inizialmente doveva essere una struttura di consulenza, ma poi diventa il braccio tecnico-operativo del ministero perché a dirigere AGENAS è arrivato Mantoan (ex direttore generale dell’assessorato Veneto) che ha le idee molto chiare sul fatto che le cose vanno fatte, e ha dato un imprinting ad AGENAS come struttura di governo. Quindi è stata AGENAS che negli ultimi 2 anni ha fatto tutta una serie di normazioni, tra cui il dm 77. Si tratta di un decreto ministeriale, quindi poi è stato preso dal ministero della salute, ma è stato scritto da AGENAS, che ha stabilito gli standard dei servizi territoriali. Ad es. se vogliamo sapere cos’ è una Casa della Comunità basta guardare sul dm 77. Forse 1350 case della comunità in Italia sono un po’ troppe, ma sicuramente serve la Casa della Comunità. Il problema è cosa ci mettiamo: un punto di primo intervento, un piccolo PS, un po’ di diagnostica? Bisogna vedere. Per sapere cosa sta succedendo in Italia bisogna leggere il dm 77. (messo su Teams) Il dm 70 invece regola tutta la parte ospedaliera. Questi sono i due atti più importanti degli ultimi 10 anni, il 77 recentissimo, mentre il 70 più vecchio. Adesso è in atto una previsione ed è molto probabile che verrà fuori quello che nell’ambiente si chiama dm 78 (anche se ancora non è stato editato) che dovrebbe essere l’insieme di indirizzi che andranno ad intervenire sull’assetto degli ospedali e sulla loro configurazione. Il prof ci invita ad incominciare già da oggi ad occuparci un po’ anche di assetti del sistema, e ribadisce che uno deve sapere in che ambiente andrà lavorare e quali sono le dinamiche che lo condizionano. 12