Retorica e Poetica - Selene I.S. Brumana (PDF)

Summary

These are lecture notes on rhetoric and poetics by Selene I.S. Brumana, focusing on the work of Aristotle. The text discusses the nature and function of rhetoric and poetics as forms of knowledge and expression, exploring their theoretical and practical implications.

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Selene I.S. Brumana - L’avvento del fascismo 1. Scienze poietiche Oltre alle scienze teoretiche, aventi come fine la conoscenza, e a quelle pratiche, riguardanti la condotta umana e le azioni morali, Aristotele elabora anche una filosofia orientata alle...

Selene I.S. Brumana - L’avvento del fascismo 1. Scienze poietiche Oltre alle scienze teoretiche, aventi come fine la conoscenza, e a quelle pratiche, riguardanti la condotta umana e le azioni morali, Aristotele elabora anche una filosofia orientata alle attività produttive. Queste sono le cosiddette scienze poietiche o produttive, le quali hanno come fine la produzione di oggetti e strumenti secondo precise regole, quelle previste dalla specifica arte / tecnica (techne) coinvolta nel processo. Le scienze poietiche richiedono dunque abilità tecnica. Aristotele si occupa di due arti poietiche: o la retorica, arte / tecnica di fare discorsi persuasivi, o la poetica, arte / tecnica di fare poesia, a ciascuna delle quali dedica un trattato. Prima di esaminare nel dettaglio queste due “tecniche”, è opportuno precisare il significato di techne, “arte” / “tecnica”, intesa come la capacità di produrre qualcosa, come conoscenza, pur trattandosi di un sapere finalizzato a realizzare qualcosa. In Etica Nicomachea VI 4, 1140a, Aristotele spiega che per techne si intende un certo stato abituale, rivolto alla produzione e accompagnato da ragione vera. Proprio quest’ultimo aspetto richiede attenzione, poiché mostra come Aristotele si prodighi per legare le technai a una dimensione veritativa, rifiutando così una concezione negativa dell’arte come decettiva e mimeticamente lontana (due volte) dal vero. La dimensione poietica, produttiva, si attua col dare origine a oggetti sia materiali sia immateriali, ossia è declinabile in riferimento alla realizzazione sia di una statua o di un tempio sia di un discorso o una poesia, come nel caso della retorica e della poetica. Assumendo un’altra prospettiva, le technai possono essere “utili” e/o “belle”, a seconda dell’interesse che le muove. Le arti belle (pittura, scultura, poesia), disinteressate, a dispetto delle arti utili (medicina), le quali mirano a ottenere qualcosa di necessario, sono in qualche misura vicine alle scienze teoretiche, per eccellenza prive di interesse altro dal puro sapere. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore (L.22.04.1941/n. 633). 3 di 11 Selene I.S. Brumana - L’avvento del fascismo 2. Retorica L’esordio academico, per così dire, di Aristotele ebbe a che fare con la retorica. Egli dapprima compose e pubblicò il Grillo, dialogo sulla retorica dedicato all’omonimo figlio di Senofonte. L’opera gli valse presto l’affidamento di un corso di retorica all’Academia, nel quale Aristotele prese posizione contro la scuola di retorica antagonista, quella diretta da Isocrate. Dei corsi successivi sulla retorica è testimonianza la Retorica, un trattato ricco e documentato in tre libri sui diversi aspetti dell’arte della persuasione, con ogni verosimiglianza composto almeno in parte durante il periodo academico. L’opera ebbe grande fortuna e rimase un punto di riferimento imprescindibile per la cultura umanistica, dai tempi antichi fino al rinascimento. Disciplinandola secondo regole precise, Aristotele si occupò della retorica in un’ottica di rivalutazione. Rispetto infatti a Platone, che nel Gorgia aveva contrapposto la retorica alla filosofia asserendo che il loro rapporto è equivalente a quello che si instaura fra culinaria e medicina, Aristotele seguì la prospettiva tracciata nel Fedro e considerò la retorica un’arte vera e propria, una tecnica a tutti gli effetti, la quale non si limita alla mozione degli affetti (retorica sofistica) e non può prescindere dal vero e dal giusto. Per Aristotele, l’arte retorica autentica deve presupporre valori teoretici e morali, e su di essi fondarsi. Scopo della retorica è la persuasione. Essa, come tecnica del persuadere, analizza i procedimenti mediante cui è possibile convincere gli altri, siano essi un uditorio o un interlocutore. Per rendere persuasivi i discorsi sono necessarie alcune condizioni: la validità dell’argomentazione; il carattere morale di chi parla, ossia anche la sua “credibilità”; il carattere morale del pubblico, che l’oratore deve conoscere. Sotto il profilo del procedimento formale, dunque, la retorica è il corrispettivo della dialettica, ne è il risvolto, è il suo “speculare” (in gr. antistrophos); per quanto attiene invece alla sfera applicativa, comprensiva dello studio dei caratteri e delle passioni, la retorica è connessa con l’etica e la politica (è una “diramazione” della politica, dove politikè è nome dell’etica). «La retorica è controcanto [antistrophos “risvolto”] alla dialettica. Entrambe, infatti, hanno per oggetto alcune di genere tale che in un certo modo, come comuni, è proprio di tutti quanti conoscere e che non sono peculiari di nessuna scienza determinata. Perciò tutti in un certo modo partecipano di entrambe, giacché tutti fino a un certo punto intraprendono e a saggiare un discorso e a sostenerlo e a difendersi e ad accusare. Tra i più, dunque, gli uni compiono queste cose senza metodo, gli altri per una consuetudine che deriva da un abito. Ma poiché è possibile in ambedue i modi, è chiaro che si potrà compierle anche con una via. In effetti, è possibile scorgere la causa, ossia Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore (L.22.04.1941/n. 633). 4 di 11 Selene I.S. Brumana - L’avvento del fascismo ciò per cui realizzano lo scopo sia quelli che in forza di una consuetudine, sia quelli che per caso, e tutti ormai converranno che tale è opera di un’arte». (Retorica I 1, 1354a1 ss.; tr. it. di M. Zanatta) Nella retorica, dunque, esiste una distinzione fra aspetto formale e aspetto contenutistico. Con riferimento all’aspetto formale, dunque alla argomentazione, Aristotele distingue fra argomenti persuasivi non tecnici e tecnici, con questi ultimi intendendo le argomentazioni specifiche del retore. L’argomentare retorico, a differenza dell’argomentare che si ha nelle scienze, ha come fine convincere l’uditorio, perciò non è vincolato in modo stringente al rigore. In altri termini, la retorica avanza non mediante procedimento scientifico, mediante cioè sillogismo, poiché non lo consentono i contenuti di cui si occupa e nemmeno il destinatario. Ciò conduce Aristotele a precisare i tipi di argomentazione ammessi nella retorica, i quali, sostanzialmente, sono quelli in uso alla dialettica. Anzitutto, la retorica muove dalle convinzioni comunemente ammesse dai più e farà ricorso a forme di deduzione semplificate, che muovono da premesse probabili. Questo tipo di sillogismo, conciso, non sviluppato nei vari passaggi e basato su premesse probabili, si chiama “entimema”. Quanto invece alla dimensione induttiva, anche in questo caso la retorica fa ricorso a una modalità semplificata: gli “esempi”, con la loro immediatezza, sono considerati il corrispettivo retorico dell’induzione logica. «Sia, dunque, la retorica una facoltà di scorgere ciò che è capace di essere persuasivo in merito a ciascun. Questo, infatti, non è opera di nessun’altra arte. Ché, ciascuna delle altre è atta a insegnare e a persuadere su ciò che costituisce il suo oggetto: per esempio, la medicina su cose che concernono la salute e su cose che concernono la malattia, la geometria sulle affezioni che sopraggiungono alle grandezze, l’aritmetica sui numeri, e similmente anche le restanti fra le arti e le scienze; invece è comunemente ammesso che la retorica è in grado di scorgere ciò che è persuasivo, per così dire, sulla cosa data. Per questo diciamo che essa non possiede la capacità di essere un’arte nell’ambito di un qualche determinato genere particolare. Fra le persuasioni, alcune sono senz’arte, altre sono tecniche. Chiamo “cose senz’arte” tutte quelle che non sono state fornite per nostro tramite, ma sussistevano prima: per esempio, le testimonianze, le dichiarazioni fatte sotto tortura, gli scritti e tutte le cose di questo genere; chiamo invece “cose tecniche” tutte quelle che è possibile che siano state procurate tramite il metodo e per nostro mezzo. Tra queste cose, di conseguenza, bisogna servirsi delle prime, mentre bisogna trovare le seconde. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore (L.22.04.1941/n. 633). 5 di 11 Selene I.S. Brumana - L’avvento del fascismo Delle persuasioni procurate mediante il discorso vi sono tre specie: le une, infatti, consistono nel carattere di chi dice, le altre nel disporre in un certo modo l’ascoltatore, le terze nel discorso stesso, a motivo del mostrare o del sembrare di mostrare. […] Stante che le sono dovute al mostrare o al sembrare che si mostri, come pure nel campo dei dialettici si hanno l’induzione, il sillogismo e il sillogismo apparente, similmente è anche qui. Infatti, l’esempio è un’induzione, l’entimema un sillogismo, l’entimema apparente un sillogismo apparente. Chiamo entimema il sillogismo retorico, esempio l’induzione retorica». (Retorica I 2, 1355b ss.; tr. it. di M. Zanatta) Aristotele illustra vari topoi, schemi argomentativi, i quali si applicano ai diversi generi della retorica. I generi di discorsi sono tre e dipendono dall’uditorio al quale sono rivolti: deliberativo (nelle assemblee politiche), giudiziario (nei tribunali, dunque nei processi) ed epidittico (negli encomi). Ciascun genere di retorica persegue una propria finalità: retorica deliberativa: consigliare o sconsigliare, rispetto a ciò che concerne il futuro; retorica giudiziaria: difendere o accusare, rispetto a un fatto accaduto; retorica epidittica: elogiare o biasimare, per lo più rispetto a fatti presenti. «Numericamente, della retorica vi sono tre specie: altrettanti, infatti, risultano essere anche gli ascoltatori dei discorsi. Ché, il discorso si compone di tre cose: di colui che parla, di ciò di cui parla e di colui al quale. E il fine è in relazione a costui, intendo dire all’ascoltatore. Ma l’ascoltatore è necessariamente o spettatore o giudice, ed è giudice o delle cose avvenute o di quelle future. Chi giudica sulle cose future è il membro di un’assemblea, chi su quelle avvenute è il giudice del tribunale, chi sulla capacità (dell’oratore), lo spettatore. Per cui, di necessità, si avranno tre generi dei discorsi retorici: uno deliberativo, uno giudiziario, uno epidittico. Una parte del consiglio è l’incoraggiamento, un’altra lo scoraggiamento. In effetti, sia coloro che danno consigli in privato, sia coloro che parlano pubblicamente davanti al popolo, sempre compiono una di queste due cose. Una parte dell’azione giudiziaria è l’accusa, un’altra la difesa. In effetti, coloro che dibattono è necessario che compiano o una o l’altra di queste due cose. Una parte del epidittico è l’elogio, un’altra il biasimo. I tempi di ciascuno di questi sono, per chi delibera, quello futuro (in effetti, si delibera sulle cose che saranno, sia che si incoraggi, sia che si scoraggi); per chi parla davanti a un tribunale, quello passato (in effetti, è sempre sulle cose che sono state compiute che l’uno accusa, l’altro difende); per il epidittico, il Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore (L.22.04.1941/n. 633). 6 di 11 Selene I.S. Brumana - L’avvento del fascismo principale è quello presente (in effetti, tutti elogiano o biasimano le cose che sussistono), ma spesso se ne usano anche di ulteriori, sia ricordando le cose che sono state, sia congetturando quelle che saranno. Il fine di ciascuno di questi è diverso e, per essi che sono tre, ve ne sono tre. Per chi consiglia, il vantaggioso e il dannoso: infatti, da un lato chi incoraggia, consiglia come una cosa migliore, dall’altro, chi scoraggia, scoraggia come una cosa peggiore, ma, in rapporto a questo , assume assieme e in aggiunta quelli degli altri generi, ossia o una cosa giusta o una ingiusta, o una cosa bella o una turpe. Per coloro che parlano davanti a un tribunale, il giusto e l’ingiusto, ma, in rapporto a questi, anch’essi assumono assieme e in aggiunta i fini degli altri generi. Per coloro che elogiano e che biasimano, il bello e il turpe, ma, in rapporto a questi, anch’essi fanno riferimento ai fini degli altri generi». (Retorica I 3, 1358a ss.; tr. it. di M. Zanatta) Aristotele elabora poi una dottrina dell’elocuzione, nella quale dà conto di come un discorso (orale e/o scritto) debba essere reso. In questo ambito rientra la trattazione delle figure retoriche. Per quanto attiene invece alla dimensione etico-politica, con riferimento all’aspetto emozionale della retorica, ossia alle emozioni che la retorica è in grado di suscitare, Aristotele espone un’articolata analisi di caratteri morali e passioni, che costituisce una sorta di “teoria delle emozioni”, dai risvolti psicologici, per dirla in termini moderni. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore (L.22.04.1941/n. 633). 7 di 11 Selene I.S. Brumana - L’avvento del fascismo 3. Poetica Nella Poetica, l’arte di fare poesia, Aristotele si occupa della tecnica dello scrivere componimenti poetici sia nel genere epico sia nel genere lirico e tragico. Nella Poetica Aristotele esamina dunque i generi letterari dell’epica e della tragedia. Ci è pervenuto un solo libro, il primo. Forse Aristotele scrisse anche un secondo libro, in cui probabilmente si occupava di commedia, che però è perduto (il fatto è alquanto noto, complice anche la risonanza data ne Il nome della rosa di Umberto Eco). Nei secoli la fortuna della Poetica è stata amplissima. Quale è la natura del discorso poetico? Come Platone, anche Aristotele intende l’arte come imitazione della realtà, come mimesis. Rispetto però a Platone, per il quale la mimesis è ragione di ferma condanna della poesia, in quanto imitazione di cose fenomeniche, a loro volta imitazione dei paradigmi eterni delle Idee, anche in questo caso Aristotele affronta la questione in un’ottica di rivalutazione (conoscitiva, morale ed estetica). L’imitazione è una forma di conoscenza; la poesia, dunque, ha valore conoscitivo e si colloca a metà strada tra la filosofia e la storia, la prima avente per oggetto le realtà universali e la seconda avente per oggetto fatti particolari; la poesia, infatti, si occupa delle cose che possono accadere, ossia si occupa anche degli stessi fatti della storia, ma trasfigurati dalla lente della possibilità e della verosimiglianza, ottenendo come risultato una loro universalizzazione. Beninteso, ciò determina che la poesia sia più filosofica della storia, pur non essendo essa comunque filosofia. Il racconto poetico permette di analizzare la natura umana, nel tentativo di meglio comprenderla. Aristotele giudica la poesia positivamente in ambito morale. La poesia tragica suscita nello spettatore violente emozioni, passioni quali pietà e terrore; attraverso tale rappresentazione, la tragedia ottiene l’effetto di purificare l’anima dello spettatore dalle componenti irrazionali, poiché prima “fa vivere” tali passioni, cioè le suscita in un atto di pieno coinvolgimento, e poi ne ottiene il distacco. Questo è ciò che si chiama “catarsi”, cioè “purificazione”, e mediante essa la poesia contribuisce alla formazione morale degli uomini. Accanto al tratto conoscitivo e morale, Aristotele colse anche il dato estetico della poesia. Mentre Platone collegò il bello alla erotica, Aristotele lo collegò all’arte. Il bello implica ordine, proporzione. Applicando questo criterio, Aristotele formulò un principio, inteso in seguito come una sorta di canone, sulla base del quale la vicenda tragica deve avere unità di azione, ossia deve raccontare un’azione unica, e unici devono essere anche il tempo e il luogo dello svolgimento dell’azione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore (L.22.04.1941/n. 633). 8 di 11 Selene I.S. Brumana - L’avvento del fascismo «In senso generale, due cause paiono aver dato origine alla poesia, ed esse sono naturali. In effetti, l’imitare è connaturato agli uomini fin da bambini, e per questo differiscono dagli altri animali, dal momento che è un massimamente incline a imitare e si procura i primi insegnamenti per mezzo dell’imitazione; per altro verso, il fatto che tutti provano piacere per gli oggetti raffigurati. Ne è segno ciò che succede nel caso delle opere. Infatti, proviamo piacere vedendo le immagini, eseguite il più esattamente possibile, di quelle cose che in se stesse guardiamo con senso di dolore: per esempio, le forme delle fiere più spregevoli e dei cadaveri. Causa di ciò è che apprendere è la cosa più piacevole non soltanto per i filosofi, ma, parimenti, anche per gli altri ; però ne partecipano poco. Per questo motivo, infatti, provano piacere vedendo le immagini, perché nel guardarle capita che imparino e argomentino che cos’è ciascuna cosa: per esempio, che costui è quella persona. Ché, se capiti di non averla vista precedentemente, non produrrà il piacere in quanto oggetto raffigurato, ma in virtù della esecuzione, o del colore, o di un’altra causa di questo genere. Ebbene, poiché l’imitare e l’armonia e il ritmo per noi sono conformi a natura (infatti è chiaro che i metri sono parti dei ritmi), da principio coloro che ne erano naturalmente inclini al massimo grado, progredendo a poco a poco, fecero nascere la poesia a partire dalle loro improvvisazioni. E la poesia si spezzettò a seconda dei caratteri propri. Infatti, i più seri imitarono le azioni nobili e quelle degli uomini di questo genere, mentre i più volgari quelle delle persone di bassa levatura, componendo innanzitutto invettive, come gli altri (composero) inni ed encomi». (Poetica 4, 1448b; tr. it. di M. Zanatta) «Dell’ mimetica in esametri e della commedia diremo in seguito. Ma parliamo della tragedia, assumendo da quello che abbiamo esposto la definizione che risulta della sua essenza. Ebbene, tragedia è mimesi di un’azione elevata e compiuta in se stessa, dotata di grandezza, con un linguaggio che dà piacere con ciascuna specie separatamente nelle parti, di persone che agiscono e non con una narrazione, la quale, tramite pietà e terrore, porta a compimento la purificazione delle passioni proprie di questo genere ». (Poetica 6, 1449b; tr. it. di M. Zanatta) «Definiti questi , dopo ciò diciamo quale dev’essere la composizione dei fatti, dal momento che questo è l’ e primo e più importante della tragedia. Ebbene, da parte nostra si è posto che la tragedia è imitazione di un’azione compiuta in se stessa e intera, la quale possiede una data grandezza: infatti, si dà un intero anche che non abbia alcuna grandezza, ma intero è ciò che ha un inizio, un mezzo e una fine. […] Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore (L.22.04.1941/n. 633). 9 di 11 Selene I.S. Brumana - L’avvento del fascismo Inoltre, dal momento che ciò che è bello, si tratti di un animale o di ogni oggetto che sia composto di talune , non soltanto occorre che abbia queste ordinate, ma anche che possieda una grandezza non casuale, giacché il bello risiede in una grandezza e in un ordine; perciò un animale non può essere bello né se è estremamente piccolo (infatti, la visione che sorge a ridosso, quando il tempo è impercettibile, si mescola assieme), né se è estremamente grande (infatti, la visione non si origina contemporaneamente, ma dalla visione, per coloro che guardano, se ne vanno l’uno e l’intero): per esempio, se un animale fosse di diecimila stadi. Di conseguenza, come nel caso dei corpi e in quello degli animali si deve avere una grandezza, ma questa deve potersi ben cogliere assieme con lo sguardo, così anche nel caso dei racconti deve, sì, aversi una lunghezza, ma questa deve potersi ben ricordare». (Poetica 7, 1450b ss.; tr. it. di M. Zanatta) «Da quel che si è affermato è chiaro anche che compito del poeta è questo: non il dire le cose che sono avvenute, bensì quali sarebbero potute avvenire, ossia quelle possibili secondo il verisimile o il necessario. Ché, lo storico e il poeta non differiscono per il fatto di dire cose in versi o non in versi (infatti, gli di Erodoto si potrebbero mettere in versi, ma per nulla di meno si tratterebbe di una certa storia, con versi o senza versi), ma differiscono per questo, per il fatto cioè di dire, il primo le cose che sono avvenute, il secondo quali sarebbero potute avvenire. Per questo la poesia è affare più filosofico e più serio della storia: giacché la poesia dice piuttosto le cose universali, mentre la storia quelle individuali. È universale che a una persona di una certa qualità capiti di dire o di fare secondo il verisimile o il necessario determinate cose di una certa qualità: al che mira la poesia imponendo dei nomi; è invece un individuale che cosa fece o che cosa subì Alcibiade. […] Da queste è chiaro dunque che il poeta deve essere maggiormente facitore di racconti che di versi, in quanto è poeta rispetto all’imitazione e oggetto della sua imitazione sono le azioni. Pertanto, anche se capiti che metta in poesia cose che sono avvenute, non è per nulla di meno poeta, giacché nulla impedisce che alcune delle cose avvenute siano tali quali sarebbe verisimile che fossero avvenute, e secondo questa situazione egli ne è facitore». (Poetica 9, 1451a ss.; tr. it. di M. Zanatta) Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore (L.22.04.1941/n. 633). 10 di 11

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