🎧 New: AI-Generated Podcasts Turn your study notes into engaging audio conversations. Learn more

1. BORDERLINE 3.0 - COMPLETO-153-257.pdf

Loading...
Loading...
Loading...
Loading...
Loading...
Loading...
Loading...

Document Details

AdoringPink5488

Uploaded by AdoringPink5488

University of Naples Federico II

Tags

virology virus origin theories microbiology biology

Full Transcript

77 VIROLOGIA Lezione del 28/03/2022. Professoressa Mariateresa Vitiello Sbobina a cura di Ersilia Nunziata e Sonia Romano. Si ringraziano Giulia Covino e Martina Scafuri per le ulteriori fonti e Juri Prota per la registrazione. Ipotesi circa l’origine dei virus Esistono principalmente 3 teorie ri...

77 VIROLOGIA Lezione del 28/03/2022. Professoressa Mariateresa Vitiello Sbobina a cura di Ersilia Nunziata e Sonia Romano. Si ringraziano Giulia Covino e Martina Scafuri per le ulteriori fonti e Juri Prota per la registrazione. Ipotesi circa l’origine dei virus Esistono principalmente 3 teorie riguardo l’origine dei virus, che tuttavia, non possono essere validate con certezza a causa della mancanza di fossili. Le tre teorie in questione sono:  La teoria regressiva secondo cui virus e batteri potrebbero avere un’origine comune. Tuttavia, questi differiscono dal punto di vista metabolico e strutturale. La teoria afferma che, pur avendo virus e batteri lo stesso progenitore, i virus hanno perso delle strutture e dei processi metabolici con il passare del tempo.  La teoria pre-cellulare è incompatibile con ciò che sappiamo dei virus: questi infatti, sono definiti parassiti intracellulari obbligati, per cui non è possibile che si siano generati prima delle cellule che infettano e delle quali hanno bisogno per moltiplicarsi e per le loro attività metaboliche.  La teoria dell’host gene escape, secondo cui i virus degli eucarioti hanno origine dalle cellule eucariotiche e i batteriofagi dai batteri stessi, è poco plausibile in quanto, tutti questi virus conservano delle protein fold coinvolte nella sintesi del virione, facendo così capire che questi si sono evoluti prima che queste cellule si differenziassero dal loro antenato LUCA. Secondo gli autori quindi, l’origine dei virus deve essere datata nuovamente rispetto tutte le ipotesi valide fino a qualche anno fa e deve essere posta dopo l’origine della cellula (in quanto i virus sono parassiti intracellulari obbligati) e prima della differenziazione della cellula ancestrale in cellula eucariotica o batterica. Natura dei virus Ci sono state diverse proposte negli ultimi decenni riguardanti la natura dei virus. Alcuni hanno definito i virus una combinazione organizzata di macromolecole; altri un’organizzazione biologica con struttura subcellulare. Secondo la teoria della professoressa, il virus è un microrganismo che ha un’organizzazione strutturale e chimica semplicissima ma al contempo ha un’organizzazione molecolare molto complessa: presenta infatti funzioni biologiche molto complicate. Bisogna tener sempre presente che è un parassita intracellulare obbligato. Il parassita è un organismo che vive a spese di un altro organismo: nel caso del virus, questo vive a spese della sua cellula ospite, che può essere una cellula animale, vegetale o batterica. Il virus viene definito intracellulare e obbligato: intracellulare in quanto deve penetrare all’interno della cellula, obbligato perché non potrebbe vivere diversamente, in quanto costretto a riprodursi all’interno della cellula al di fuori della quale non ha possibilità di svolgere attività metaboliche. Il virus quindi, contiene nel suo acido nucleico tutte le informazioni genetiche per potersi replicare, ma non lo può fare autonomamente ed utilizza così le proprietà metaboliche della cellula ospite. A differenza dei batteri, in cui si parla di parassitismo nutrizionale (in quanto questi riescono a replicarsi anche in mezzi artificiali, se in posti in presenza di nutrimento), per i virus si parla di parassitismo genetico perché questi, pur presentando tutte le informazioni genetiche per la replicazione, non riescono ad utilizzarle. I virus sono esseri viventi? I 5 regni in cui sono suddivisi tutti gli esseri viventi sono: monere, protisti, funghi, piante e animali. I virus non sono presenti in questa classificazione e differiscono da tutti i regni perché necessitano di questi per potersi moltiplicare. I criteri utilizzati per definire un essere vivente sono: -presenza di una o più cellule che contengono DNA -presenza di organizzazione subcellulare (organuli) e capacità metabolica -capacità di riproduzione e moltiplicazione -capacità di rispondere all’ambiente e di evolversi nel corso delle generazioni I virus hanno solo alcune di queste caratteristiche: si riproducono e si moltiplicano all’interno della cellula ospite, tuttavia non hanno una o più cellule che contengono DNA perché non tutti i virus sono costituiti da DNA. I virus sono in grado di rispondere all’ambiente e sono in grado di evolversi ma si distinguono dagli esseri viventi perché non hanno organuli cellulari, non hanno organizzazione subcellulare, non presentano attività metabolica e non sempre hanno un genoma a DNA. In conclusione si può affermare che i virus sono al confine tra esseri viventi e non viventi. Caratteristiche peculiari I virus sono estremamente ubiquitari perché possono utilizzare come cellula ospite sia cellule batteriche che animali, vegetali, alghe e micoplasmi. I virus presentano un solo tipo di acido nucleico, che può essere o DNA o RNA. A differenza dei batteri, i virus non possono essere coltivati su terreni artificiali; vengono coltivati o utilizzando colture cellulari, grazie alle quali possono entrare nella cellula e riprodursi, oppure sono coltivati in vivo, in animali o in popolazioni embrionate di pollo, per evidenziare le alterazioni che il virus porta alle cellule. Dimensioni dei virus I virus sono più piccoli di una cellula batterica, per cui questi non possono essere osservati al microscopio ottico ma solo al microscopio elettronico. I virus hanno forme e dimensioni molto variabili. Esistono virus di piccole dimensioni, come i picornavirus, altri più grandi e complessi come i poxivirus, ma tutti sono nell’ordine delle dimensioni nanometriche. I virus hanno dimensioni molto piccole perché, essendo parassiti intracellulari obbligati, devono penetrare nelle cellule per potersi moltiplicare e non possono avere delle dimensioni maggiori rispetto alle cellule che devono infettare. Struttura dei virus Il virus è in grado di alternarsi in 2 stati differenti: uno stato nel quale si trova all’interno della cellula (intracellulare), nella quale si moltiplica, replica e dà origine ad una progenie, liberata poi nell’ambiente esterno, dando vita allo stato definito virione (extracellulare). Il virione è la particella infettante, in grado di entrare in una cellula vicina a quella in cui la progenie è stata liberata. Quando si parla di struttura, ci si riferisce solitamente allo stato extracellulare, anche se virus e virione, possono essere usati come sinonimi. Il virione, dall’interno verso l’esterno contiene:  Genoma (DNA o RNA), definito anche core.  Involucro di natura proteica che riveste il genoma, detto capside ed organizzato in strutture dette capsomeri (unità proteiche).  Matrice, rivestimento proteico presente solo se presente il pericapside.  Pericapside, involucro di natura lipidica, che solo talvolta avvolge il capside. Insieme, core e capside vengono definiti nucleo-capside, che in alcuni virus può essere non rivestito (naked virus), ed in altri può essere sovrastato da un involucro detto pericapside, di natura lipidica. Capside È l’involucro di natura proteica, costituito da capsomeri. Le proteine che lo costituiscono sono di pochi tipi. Infatti il virus produce pochi tipi di proteine per questa struttura poiché, in questo modo, c’è una sorta di economia genetica: il genoma del virus conterrà poche informazioni per produrre queste poche proteine che costituiscono il capside. Il virus infatti ha un genoma molto piccolo, che per quanto ripiegato su sé stesso, riesce a contenere poche informazioni. Le proteine del capside si auto-assemblano tra di loro e si dispongono secondo un’equazione matematica che da una simmetria particolare, che può essere cubico-icosaedrica o elicoidale. A seconda di come il capside viene costruito intorno al genoma del virus durante la replicazione, si possono suddividere i virus in 2 grandi popolazioni. Quasi tutti i virus animali che contengono RNA possono avere entrambi i tipi di simmetria. I virus animali a DNA presentano solo simmetria cubico-icosaedrica. In natura esistono principalmente virus con simmetria cubico-icosaedrica, in quanto, questa struttura quasi sferica permette un impacchettamento più semplice dell’acido nucleico. Nella simmetria cubico-icosaedrica, i capsomeri che devono formare il capside, si dispongono sulla superficie di un icosaedro, un solido geometrico a 12 vertici, 20 facce, rappresentate da triangoli equilateri e 30 spigoli. Lungo facce, spigoli e vertici si dispongono i capsomeri. Ogni capsomero che occupa il vertice dell’icosaedro si dispone formando una struttura a 5, chiamata pentone. Le altre subunità, affianco al pentone si dispongono formando un esagono. Nella formazione del capside, si parte quindi dalle proteine, codificate grazie ai macchinari sintetici della cellula ospite, che si affiancano in protomeri a 5 subunità e danno vita ai capsomeri che poi formano il procapside ed il capside maturo. Nella simmetria elicoidale, propria dei virus a RNA, le subunità proteiche interagiscono tra di loro e con l’acido nucleico che devono contenere e formano delle strutture tubulari che girano intorno ad un’asse elicoidale. In questo caso, poiché devono avvolgere l’acido nucleico, la lunghezza dell’elica che si forma attorno all’asse dipende dall’acido nucleico che deve contenere. Perché il virus costruisce questi involucri attorno all’acido nucleico? Il virus deve costruire una struttura che risulti perfetta, funzionale, resistente e che riesca a sopravvivere nella cellula ospite. La costruzione della struttura deve essere inoltre poco dispendiosa energicamente: pochi geni producono proteine che costituiscono il capside. Esistono anche dei virus che sfuggono dalla simmetria elicoidale e cubico- icosaedrica, che vengono definiti a struttura complessa e che non vengono costituiti tramite un’equazione matematica. Tra questi troviamo i poxivirus e i batteriofagi. Pericapside o envelop È lo strato più esterno che talvolta avvolge il capside. Questo è caratterizzato da un punto di vista chimico da fosfolipidi e proteine, intervallate nel doppio strato. Il pericapside viene suddiviso dal nucleo-capside attraverso la matrice. Oltre proteine e fosfolipidi, l’envelop presenta una componente polisaccaridica. La componente lipidica deriva dalla membrana della cellula ospite da cui il virus viene liberato. Sulla doppia membrana di natura fosfolipidica ci sono delle lipoproteine di origine virale ed una componente polisaccaridica composta da carboidrati e lipoproteine. Le lipoproteine possono anche essere definite spike se hanno forma di aculei o knox se hanno forma globulare. I virus con pericapside, presentando componente lipidica, risultano più suscettibili a detergenti rispetto a virus privi. Come si origina l’envelop? Dopo la replicazione virale nella cellula ospite, la progenie deve fuoriuscire per poter dar vita al virione ed infettare un’altra cellula dell’ospite. I naked virus, che non presentano envelop, si moltiplicano nella cellula ospite e fuoriescono solo quando la cellula viene lisata. I virus con envelop, una volta che la progenie si è moltiplicata, fuoriescono sotto forma di virioni attraverso vescicole di gemmazione. Si forma quindi una gemma con la membrana della cellula ospite che si stacca e permette la fuoriuscita del virus. Il virus quindi, nel fuoriuscire, porta con se una parte della membrana della cellula ospite. Nell’envelop sono presenti anche delle glicoproteine. Prima della gemmazione, il virus ha già sintetizzato delle glicoproteine virali che, spazzano via le proteine che si trovano sulla membrana plasmatica delle cellule e le sostituiscono. In questo modo, quando la gemmazione sarà completata, oltre al doppio strato lipidico, l’envelop conterrà anche tali glicoproteine.Rispetto al naked virus, liberato attraverso la lisi della cellula, la gemmazione ha un vantaggio, sia per il virus, che diventa così più resistente, sia per la cellula ospite, che non viene lisata. Quali funzioni hanno capside ed envelop? Capside ed envelop vengono prodotti per proteggere e rendere il virus più resistente. Circondano l’acido nucleico e lo proteggono da insulti fisici, chimici o enzimatici. Altra funzione di questi rivestimenti è quella di presentare delle proteine che possono riconoscere dei recettori sulla cellula ospite. Nel caso dell’envelop è presente un’ulteriore funzione: le glicoproteine sono implicate nel meccanismo di fusione dell’envelop virale con la membrana della cellula che deve essere infettata, facilitando così la penetrazione del virus nella cellula ospite. Genoma È costituito da DNA o da RNA e può essere: a singola elica, a doppia elica o parzialmente a doppia elica e circolare o lineare. Indipendentemente dalla struttura, tale acido nucleico contiene tutte le informazioni per poter codificare le proteine utili alla progenie virale, come quelle del capside, e tutte le informazioni per poter tradurre le informazioni della trascrizione e produrre così proteine funzionali e necessarie per la replicazione. Virus a RNA I virus a RNA costituiscono il 70% dei virus a noi noti. Possono essere a singolo e doppio filamento: nella maggior parte dei casi, sono a singolo filamento, tranne che per i reovirus. Si replicano nel citoplasma della cellula ospite.Tra i virus a singolo filamento, distinguiamo quelli con filamento a polarità positiva e quelli con filamento a polarità negativa: - il filamento di RNA ha polarità positiva quando ha le estremità 5’ e 3’ analoghe a quelle dell’mRNA cellulare e, di conseguenza, può essere esso stesso usato come mRNA; - in caso di polarità negativa, invece, le estremità dell’acido nucleico virale non sono analoghe a quelle dell’mRNA della cellula ospite. In questo caso, il filamento ha bisogno di un passaggio aggiuntivo per diventare positivo ed essere riconosciuto dai ribosomi. Tale passaggio è possibile grazie a un enzima prodotto dal virus stesso e assente nelle cellule: l’RNA polimerasi RNA-dipendente. Essa trascrive il filamento a polarità negativa, producendone uno a polarità positiva, che sarà utilizzato come mRNA, riconosciuto dai ribosomi e consentirà la sintesi delle proteine. Caratteristiche della RNA polimerasi RNA-dipendente - Non è presente nelle cellule, ma solo nei virus a RNA con polarità negativa; - non ha funzioni di “editing” (è una polimerasi high error prone, cioè fortemente tendente a compiere errori), ed è perciò responsabile dell’alto tasso di mutazione ed evoluzione dei virus a RNA; - può resistere a sostanze che inibiscono le RNA polimerasi DNA-dipendenti, come l’actinomicina D. Virus a DNA Costituiscono il 30% dei virus a noi noti. Presentano anch’essi un acido nucleico a singolo filamento, fatta eccezione per i papovirus, che sono a doppio filamento. Le dimensioni del loro genoma sono direttamente proporzionali alla loro complessità A differenza dei virus a RNA, si replicano nel nucleo della cellula ospite, poiché utilizzano le RNA polimerasi DNA-dipendenti prodotte dalla cellula. Poiché queste polimerasi hanno funzioni di editing, il tasso di mutazione è inferiore rispetto ai virus a RNA. Classificazione dei virus La classificazione dei virus si è evoluta molto più lentamente rispetto alla classificazione dei batteri. Secondo il Comitato Internazionale per la Tassonomia dei Virus, essi vanno classificati prendendo in considerazione varie caratteristiche: - natura del virione; - simmetria del capside (icosaedrica o elicoidale); - presenza dell’envelope; - meccanismi di replicazione. I virus vengono raggruppati in: - Ordine (suffisso -virales); - Famiglia (-viridae, ad esempio herpesviridae); - Sottofamiglia (-virinae, ad esempio betaherpesvirinae); - Genere (-virus, ad esempio cytomegalovirus); - Specie (nomi comuni); - Sierotipo (sigla). Alcuni virus non sono stati ancora classificati, poiché non se ne conoscono ancora tutte le caratteristiche. Tuttavia, il raggruppamento in famiglie si rivela particolarmente utile, poiché i generi di virus che appartengono a una stessa famiglia hanno moltissime caratteristiche in comune, come la natura dell’acido nucleico e il tipo di simmetria del capside (si ricordi che un virus a DNA non può avere il capside a simmetria elicoidale). Per la classificazione di un virus è fondamentale valutare l’omologia di sequenza, basata sulla percentuale di identità delle sequenze genomiche. Essa consente di costruire gli alberi filogenetici e di comprendere meglio le relazioni filogenetiche tra gli ordini inferiori. Difatti, i virus di una stessa famiglia hanno una certa omologia della sequenza nucleotidica, ed è possibile costruire dei dendrogrammi, cioè degli alberi filogenetici che evidenziano il grado di parentela tra le diverse specie virali. Più la linea tra due specie è breve, più esse sono imparentate; viceversa, più la linea è lunga, più le due specie sono lontane filogeneticamente. All’interno di una specie, in questo modo, si possono identificare ulteriori sottogruppi: genotipi, sottotipi, varianti. Proprio grazie all’omologia di sequenza, si sono creati degli alberi filogenetici molto chiari e completi. Sistema di classificazione “Baltimore” Essa è basata non solo sulla natura dell’acido nucleico (DNA o RNA) e sulla polarità del filamento, ma anche sulle relazioni obbligatorie tra il genoma virale e il suo mRNA. In base ai pathway di replicazione per convertire il proprio genoma in RNA, Baltimore divise i virus in 7 classi. Le prime due classi includono virus a DNA: ⁃ classe I: virus con DNA a doppia elica (herpesvirus, adenovirus, papovirus); essi, per produrre mRNA, compiono tre step, dando origine a tre tipi di mRNA (precocissimo, precoce e tardivo). Gli mRNA precocissimo e precoce producono proteine precocissime e precoci, che hanno funzione enzimatica e catalizzano la replicazione del genoma; l’mRNA tardivo è tradotto in proteine tardive, che hanno funzione strutturale utile al capside. I virus di questa classe usano per la trascrizione le RNA polimerasi DNA- dipendenti della cellula ospite, pertanto iniziano la trascrizione nel nucleo. Fanno eccezione i poxvirus che, pur avendo DNA a doppia elica, hanno una propria polimerasi; dunque, la loro replicazione è citoplasmatica. ⁃ classe II: virus con DNA a singola elica (parvovirus, circovirus). La loro trascrizione è simile a quella dei virus della classe I, ma prima convertono la singola elica in doppia elica con una replicazione. Avendo meno informazione genetica dei virus a doppia elica, possono produrre solo proteine strutturali. I virus a RNA appartengono alle classi III, IV, V: ⁃ classe III: virus a RNA a doppia elica. Sono molto più piccoli dei virus a DNA e hanno un genoma segmentale: è costituito da un numero di segmenti che va da due a 12. Ciascuno di questi segmenti viene definito microsoma perché viene trascritto separatamente. Poiché la molecola che contiene l’informazione non è a RNA e questi sono virus a RNA avranno delle RNA polimerasi RNA dipendenti per potersi replicare e produrre filamenti a RNA. -classe VI: virus con RNA a singolo filamento a polarità positiva come i coronaviridi, flaviviridi e piconaviridi. Questi virus, poiché l’mRNA ha estremità 3’ e 5’ analoghe a quelle della cellula ospite, si può legare direttamente. Però poiché all’estremità 5’ è legata una piccola molecola proteica, quando entrano questi virus all’interno della cellula ospite, si spogliano del loro capside e perdono questa proteina. Possono così funzionare da RNA messaggero legandosi direttamente ai ribosomi e producendo tutte le loro informazioni in una molecola proteica detta poliproteina che poi viene scissa dalle proteasi cellulari per dare origine a proteine più piccole sia strutturali, per la progenie virale, sia funzionali come l’RNA polimerasi RNA dipendente per la replicazione dell’RNA virale. -classe V: virus con RNA a singolo filamento a polarità negativa come orthomyxovirus, rhabdovirus e paramyxovirus. Essendo a questi RNA a polarità negativa non possono essere utilizzati come messaggeri dai ribosomi ma devono essere prima trasformati in RNA a polarità positiva tramite RNA polimerasi RNA dipendente. -classe VI e VII: virus a RNA a singolo filamento (classe VI) e a DNA (classe VII) che utilizzano retro- trascrizione. Alla classe VI appartengono virus come i lentivirus, di cui fa parte anche l’HIV. L’HIV ha un genoma costituito da RNA a polarità positiva e potrebbe legarsi direttamente ai ribosomi della cellula. Tuttavia questo, utilizza un passaggio intermedio. Durante l’infezione l’HIV retrotrascrive l’RNA in DNA utilizzando una DNA polimerasi RNA dipendente. Questo DNA è detto provirus perché ricorda la forma del fago e si integra nel genoma della cellula ospite. L’informazione viene trascritta e si ha la sintesi di RNA che possono codificare proteine strutturali e funzionali Alla classe VII apaprtengono virus a DNA a retrotrascrizione tra cui l’hepadnavirus, responsabile dell’epatite. Il virus dell’epatite ha un genoma particolare: è un genoma a DNA circolare che presenta delle interruzioni, non risultando così completamente a doppio filamento. Il virus quindi, quando entra in un organismo, inizia a sintetizzare queste parti mancanti del suo genoma, utilizzando una DNA polimerasi DNA dipendente del virus stesso. Successivamente questa informazione contenuta nel DNA circolare dà origine a 2 tipi di RNA messaggeri: RNA messaggeri che tradotti danno vita a proteine dell’envelop del virus ed RNA messaggeri genomnici con duplice funzione che possono essere tradotti e dare proteine strutturali proprie del core che si assemblano per dare la progenie virale oppure mRNA che vengono retrotrascritti in DNA circolare per poter replicare il genoma del virus. VIROLOGIA Lezione del 29/03/2022. Professoressa Mariateresa Vitiello. Sbobina a cura di Ersilia Nunziata, revisione a cura di Juri Prota. Si ringrazia Raimondo Sabatino per ulteriori fonti. Il ciclo replicativo dei virus Per ragioni didattiche il ciclo replicativo è suddiviso in fasi diverse. Tuttavia, negli organismi, il ciclo replicativo è molto più complesso poiché, i virus che infettano le cellule, possono trovarsi in stati di maturazione diversi e gli stessi steps possono avvenire anche contemporaneamente. Partendo dal virus parentale, attraverso diverse fasi, si giunge al virione maturo, capace di infettare un’altra cellula dell’ospite. Un virus è un parassita intracellulare obbligato e dunque tutto quello che deve avvenire, dal virus parentale alla progenie, deve accadere in una cellula. Affinché il virus possa replicare il proprio genoma e costruire un nuovo involucro proteico (capside o envelop), deve necessariamente trovare una cellula in cui replicarsi e, quindi, in cui compiere processi di trascrizione e traduzione. In particolare, almeno in termini generali, un virus: Deve aderire alla cellula. Si deve spogliare dell’involucro. Deve liberare il proprio genoma che poi sarà trascritto e tradotto per sintetizzare nuove componenti che si assembleranno con il genoma replicato e formeranno una progenie di virioni maturi. I virioni maturi saranno liberati dalla cellula per poter infettare cellule vicine. Nei viventi infatti distingueremo sei fasi: Adsorbimento Penetrazione Spoliazione Biosintesi delle componenti virali (proteine precoci e tardive ed acido nucleico) Assemblaggio Rilascio Queste fasi descrivono, con qualche variante, basata sulla tipologia di virus in questione, il ciclo litico o riproduttivo di un virus. I primi esperimenti effettuati per comprendere le fasi essenziali del ciclo replicativo ed in particolare, l’inizio dell’infezione, furono condotti nel 1939 da Ellis e Delbruck, con il nome di “The single burst experiment or one –step growth curve” e permisero di analizzare alcuni aspetti importanti. Gli scienziati misero a contatto dei batteriofagi con una coltura batterica nella fase di crescita esponenziale. Ad un certo punto la coltura venne diluita in modo tale da sincronizzare le cellule infettate: l’obiettivo era quello di far infettare tutte le cellule contemporaneamente. Nell’esperimento furono utilizzati il batterio E. Coli ed il fago T4 ad una concentrazione molto elevata. Diluendo man mano i campioni si cercava di sincronizzare le cellule permettendogli di infettarsi contemporaneamente. Ad intervalli regolari venivano poi prelevati dei campioni e ne sì analizzava le PFU (unità formanti placca). Le unità formanti placca sono un modo per “contare” i virus e per convenzione si dice che 1 PFU corrisponde ad 1 virus, anche se, in realtà non è proprio così. Inizialmente, un virus entra in contatto con la cellula, si replica e produce tante particelle virali che fuoriescono dalla cellula ospite per lisi. Ognuna di queste particelle (che costituisce la progenie matura) andrà ad infettare altre cellule. Nei terreni di coltura sono di interesse gli eventi di lisi che vengono evidenziati da un alone sulla piastra. Utilizzando le PFU fu possibile, nell’esperimento appena descritto, identificare la curva di crescita dei virus e confrontarla con la curva di crescita batterica. Tra le due esistono delle differenze: Batteri Virus FASE DI Il numero di batteri non cambia in quanto Rispetto al numero di virus ADATTAMENTO questi non si possono moltiplicare perché aggiunti inizialmente, il virus è in impegnati a sintetizzare gli enzimi che una sorta di fase di latenza: utilizzano come substrato i metaboliti perde l’integrità fisica perché si presenti sul terreno. trova ancora nella prima cellula che ha infettato e non ha ancora prodotto virioni maturi. FASE DI CRESCITA Il numero di batteri cresce in maniera One step: nel virus la fase di esponenziale. crescita è definita one step perché il numero di virioni maturi prodotti, aumenta improvvisamente in quanto la replicazione avviene senza una fase intermedia. L’esperimento permette di comprendere come, a differenza della crescita batterica, che ha un andamento graduale, i virus si replichino in modalità one step. Infatti, dopo un primo tempo in cui i virus non sono visibili, definito “fase di eclissi”, questi si iniziano a moltiplicare improvvisamente, a differenza di quanto avviene nei batteri. Il tempo che intercorre fra infezione virale di una cellula ed il rilascio della progenie virale infettante varia nei diversi virus e dipende sia dalle caratteristiche del virus (come le differenze genomiche) che dalla fase del ciclo cellulare in cui si trova la cellula al momento dell’infezione. La cellula ospite, per poter permettere al virus di replicarsi al proprio interno, deve essere: SENSIBILE: proprietà data dalla presenza sulla cellula ospite di specifici recettori che permettano al virus di identificarla. PERMISSIVA: deve consentire al virus di utilizzare tutti i meccanismi per la sintesi proteica e la replicazione. Non sempre una cellula è completamente permissiva. A seconda delle condizioni di permissività dei vari tipi di cellule, l’infezione può essere: PRODUTTIVA: quando viene compiuto un ciclo completo di moltiplicazione, con produzione di progenie infettante. RESTRITTIVA: quando la cellula presenta condizioni di permissività non costanti. LATENTE: quando il genoma del virus si mantiene allo stato silente senza replicare, fin quando non si creano le condizioni per lo sviluppo di un ciclo. ABORTIVA: quando la cellula suscettibile non è completamente permissiva e il virus esprime solo alcuni prodotti, senza poter completare il ciclo produttivo. FASE DI ADSORBIMENTO La prima fase del ciclo replicativo di un virus prevede l’adsorbimento mediato dall’interazione tra i recettori cellulari proteici sulle cellule degli ospiti e gli anti recettori virali. Generalmente i recettori sono proteici se si tratta di un virus nudo; al contrario, se il virus è dotato di envelope sono di natura glicoproteica. L’interazione recettore-anti recettore è un’interazione debole, non covalente e di tipo sterico. Tuttavia, grazie alla complementarietà spaziale e sterica tra recettore ed anti recettore, sarà possibile stabilire un gran numero di interazioni che, seppur deboli, risultano numerose, permettendo così di stabilizzare il legame. L’incontro del virus con la cellula è completamente casuale in quanto il virus non ha strumenti per la mobilitazione (come ciglia e flagelli batterici). Il virus può entrare in contatto con le cellule ospiti per collisione con cellule sensibili. Poiché le collisioni sono eventi random, non è detto che tutte si traducano in adsorbimenti e quindi in infezioni. La possibilità che il virus attecchisca alla cellula dipende quindi dalla concentrazione dei virioni: tanto maggiore è la concentrazione del virus che penetra in un organismo, tanto maggiore è la probabilità che le collisioni con le cellule sensibili si traducano in un successo infettivo. Le interazioni sono: Temperatura – indipendenti pH – dipendenti concentrazione ionica – dipendenti Le interazioni sono di tipo elettrostatico e non covalente, quindi, a pH neutro, la superficie delle cellule ospiti è carica negativamente così come la superficie cellulare del virus: affinché non si respingano è necessario l’intervento di ioni positivi, come il Mg2+. L’adsorbimento è, in alcuni casi, irreversibile: alcuni virus, quando incontrano una cellula sensibile, si adsorbono mediante interazione recettore-anti recettore, ma il capside perde una proteina e i virus diventano più sensibili all’azione di proteasi e nucleasi. Quindi, se dopo l’adsorbimento si dovessero staccare, poiché il loro involucro è modificato, sono più deboli e non saranno in grado di infettare un’altra cellula. La collisione e l’adsorbimento è, in questi casi, irreversibile: i virus o penetrano o si staccano dalla cellula e muoiono. Altri virus sono in grado, una volta adsorbiti, di staccarsi e di infettare altre cellule. Questa possibilità è data dalla presenza di alcune glicoproteine di superficie che, quando attivate dal virus che si vuole staccare dalla cellula, permettono al virus stesso di andare ad infettare altre cellule. Il virus, durante il ciclo replicativo ha bisogno dei recettori, poiché in questo modo riesce a riconoscere la cellula ospite. La dipendenza del virus dai recettori è data anche da ulteriori fattori: In seguito all’interazione recettore – anti-recettore all’interno della cellula ospite vengono attivati dei segnali di trasduzione che permettono la sintesi di alcuni enzimi, tali da creare un ambiente favorevole all’adsorbimento virale. Gli anti-recettori virali possono essere o proteine o glicoproteine, i recettori della cellula ospite riconosciuti dai virus sono coinvolti in processi biologici importanti. Il virus, tramite processi evolutivi, si è ricoperto di proteine in grado di riconoscere tali recettori, che normalmente hanno funzioni diverse. Esempi: L’Herpes simplex, riconosce l’eparan solfato che è normalmente presente nel glicocalice di molte cellule. Gli adenovirus riconoscono come recettori alcune integrine, normalmente coinvolte nelle interazioni cellula-matrice. Il virus Epsten-Barr riconosce sulla cellula sensibile il recettore CR2, che è solitamente un recettore per il complemento. Il virus dell’HIV riconosce il CD4 dei linfociti. Il corona virus riconosce ACE2, essenziale per il sistema RAAS. Nell’interazione recettore – anti-recettore è importante sottolineare che: Esistono virus differenti, di specie animali diverse, che possono riconoscere e legare lo stesso recettore sulla stessa cellula. Ad esempio, l’herpes virus del maiale, riconosce e lega lo stesso recettore del polio-virus umano. Ciò accade anche per virus in specie animali differenti e dunque una cellula può essere sensibile a virus provenienti da animali diversi. Questo meccanismo è alla base del fenomeno chiamato salto di specie. Può accadere anche che un virus si vada adsorbire alla cellula ospite per azione di diversi recettori. Ad esempio, l’herpes simplex 1, virus con envelope, ha sulla superficie varie glicoproteine che funzionano da anti- recettori, ognuna delle quali si lega a recettori diversi. Esistono quindi diverse possibilità di interazione recettore – anti-recettore: una proteina o glicoproteina del virione, nell’interazione con la cellula sensibile, può riconoscere e legare un solo recettore oppure può riconoscere e legare diversi recettori contemporaneamente. Può accadere che l’adsorbimento e l’interazione del virus e la cellula sensibile diventi stabile solo se esiste un co-recettore. In tal caso, il virus può adsorbirsi attraverso 2 step: In un primo momento l’interazione anti-recettore – recettore è molto debole e avvicina soltanto il virus alla cellula. Nel secondo step interviene un co-recettore che permette, tramite una nuova interazione, la penetrazione del virus all’interno della cellula. Questo processo generalmente avviene nei virus dotati di envelope. Ad esempio, la glicoproteina GP120, coinvolta nel processo di riconoscimento delle cellule sensibili all’HIV, i linfociti T, riconosce dapprima il recettore CD4 con un’interazione debole e successivamente riconosce il CD14, facendo sì che il virione si avvicini alla superficie della cellula e si leghi ad altri 2 recettori, CCR5 e CXCR4, solitamente utilizzati dalle chemochine, al fine di stabilizzare l’adsorbimento. Se i linfociti dovessero non presentare questi co- recettori, l’adsorbimento rimarrebbe debole ed il virus si staccherebbe. Nel primo momento del ciclo replicativo di un virus, questo, per moltiplicarsi nelle cellule, deve trovare la cellula giusta, che presenta recettori in superficie e permette la penetrazione. TROPISMO CELLULARE E ADE++ La cellula, per permettere al virus di replicarsi, oltre che sensibile e permissiva, deve presentare sulla propria superficie recettori e co-recettori. L'espressione (o l'assenza) di recettori sulla superficie delle cellule determina in gran parte il tropismo di un virus, cioè il tipo di cellula ospite in cui è in grado di replicarsi. Esiste anche un meccanismo di interazione tra virione e cellula ospite, diverso dall’interazione recettore - co-recettore, che può permettere l’adsorbimento del virione e la successiva penetrazione. Tale meccanismo è definito Antibody – Dependent Enhancement (ADE), era già conosciuto per alcuni virus, ed è stato approfondito ancor più durante la pandemia da COVID 19. Nel soggetto, in seguito ad immunoterapia, a vaccinazione o infezione, ci sono anticorpi contro un determinato virus, che risultano essere sub-neutralizzanti e quindi a bassa concentrazione tali anticorpi, quando il virus entra nell’organismo, lo individuano e lo ricoprono permettendone il riconoscimento e l’interazione con la cellula sensibile, non più attraverso l’interazione recettore – anti-recettore, ma attraverso l’FC dell’anticorpo, dato che, sulle cellule dell’ospite ci sono i recettori che riconoscono le FC delle immunoglobuline. Quindi, il virus ricoperto da questi anticorpi, si adsorbe alla cellula perché la regione FC dell’anticorpo legato al virus è riconosciuta dai recettori FC sulle cellule. Questo meccanismo, definito di “infezione anticorpo-mediata”, è molto complesso e prevede l’intervento sia di fattori estrinseci che intrinseci; contribuisce inoltre ad aumentare la replicazione virale. Questo evento determina il rilascio passivo di mediatori dell’infiammazione da parte delle cellule dell’ospite, una maggiore patogenesi virale ed una maggiore severità dell’infezione. Nello schema sono rappresentati gli effetti degli anticorpi sull’interazione tra virione e cellula ospite. A sinistra è rappresentata la condizione in cui, l’individuo in questione, non è mai entrato in contatto con il virus, non è stato vaccinato e non ha condotto immunoterapia e di conseguenza, non presenta anticorpi. Il virus quindi, entra con vari meccanismi nella cellula ospite, si rapporta ad essa mediante un’interazione recettore – anti-recettore, penetra, si replica e produce la progenie virale. A destra è rappresentata la condizione in cui, l’individuo ha sviluppato anticorpi neutralizzanti, dovuti o al contatto con il virus in precedenza o al vaccino. Quando il virus entra nell’organismo, tali anticorpi neutralizzanti lo riconoscono, si legano ad esso e lo neutralizzano. Il virus così, non è più capace di avvicinarsi ed adsorbirsi alle cellule. Al centro, è rappresentata la condizione in cui si verifica il meccanismo ADE. L’individuo in questione è stato vaccinato o ha subito immunoterapia e sono stati prodotti anticorpi non-neutralizzanti o a concentrazione sub-neutralizzante. Se il virus fa nuovamente ingresso nell’organismo, viene riconosciuto ma viene neutralizzato. Gli anticorpi quindi, si legano alla superficie del virus con le due braccia a forma di V che riconoscono gli antigeni, e resta il braccio FC libero. Tale braccio FC viene riconosciuto dai recettori anti- FC per le immunoglobuline, presenti sulle cellule. In questo caso, si innesca il meccanismo di penetrazione e replicazione del virus, che porterà ad una progenie virale più numerosa. Ciò accade perché, contemporaneamente, all’interno della cellula, questo virus non è stato riconosciuto come non-self e vengono bloccate le risposte immunitarie antivirali. Il virus quindi, si diffonde più facilmente e si ha una maggiore severità delle infezioni rispetto alle condizioni normali di interazione recettore-anti recettore. Questo meccanismo è stato ripreso durante la pandemia da COVID19. Sono stati pubblicati diversi lavori in cui gli autori spiegano ciò che si è verificato nelle manifestazioni cliniche da corona virus. Quando si è difronte ad infezioni da virus che hanno tropismo macrofagico, in cui le cellule sensibili e permissive sono i macrofagi, e in cui c’è una concentrazione di anticorpi sub-neutralizzante o non neutralizzante, gli anticorpi riconoscono il virus, lo legano, e vengono riconosciuti dai macrofagi, che presentano in superficie recettori per le regioni FC delle immunoglobuline. In questo modo, i virus penetrano, si moltiplicano e danno infezione. Quando questo succede per virus respiratori, che non hanno tropismo di tipo macrofagico, come i virus respiratori-sinciziali o come il virus del morbillo o ancora, come ipotizzato per il SARS-COV 2, questa quantità di anticorpi non neutralizzanti o sub-neutralizzanti, si legano al virus e formano degli immunocomplessi. Tale immunocomplesso si va a “fermare” nei tessuti delle vie aeree, induce il rilascio di citochine pro- infiammatorie, richiama cellule della risposta immunitaria ed attiva il complemento, inducendo così una risposta infiammatoria che porta all’ostruzione delle vie respiratorie che può causare il distress delle vie respiratorie come nel COVID. La formazione degli immunocomplessi, secondo gli autori, può avvenire anche nel caso dell’infezione da SARS-COV 2; la proposta al termine dei lavori è stata che, nel caso di infezione, per ridurre il rischio di una ADE, che poteva essere scatenata dopo immunoterapia o vaccino, e che davano produzione di anticorpi sub-neutralizzanti o non neutralizzanti, bisogna introdurre una concentrazione elevatissima di anticorpi. Ecco perché si è scelta la strada delle varie dosi di vaccino: in questo modo si ha la possibilità di produrre alte dosi di anticorpi. Durante l’adsorbimento l’interazione recettore – anti-recettore può favorire la penetrazione del virus nella cellula. FASE DI PENETRAZIONE La fase di penetrazione avviene in due modi diversi a seconda che il virus sia nudo o rivestito da envelope. Il virus nudo penetra con un meccanismo definito endocitosi mediata da recettori, attraverso delle spicole, poi lisate all’interno della cellula. Il virus rivestito da envelope penetra con un meccanismo di fusione tra l’envelope del virione e la membrana citoplasmatica della cellula sensibile. In questa fase, a differenza della fase di adsorbimento, la cellula deve essere metabolicamente attiva, in quanto deve accogliere il virus e scatenare gli eventi che portano al successivo uncoating. La penetrazione, a differenza dell’interazione recettore-anti recettore che è temperatura indipendente, è temperatura dipendente e avviene a 37°C. Esistono differenze nella penetrazione dei virus rivestiti. In virus come l’HIV o l’Herpes Simplex, che presentano envelope, la penetrazione avviene tramite fusione diretta tra envelope e membrana della cellula ospite. Altri virus con envelope, tra cui gli orthomixovirus, penetrano prima attraverso endocitosi e poi attraverso fusione dell’envelope del virus con la membrana della vescicola esocitica. Dunque nei virus nudi la penetrazione avviene solo ad opera di endocitosi mediata da recettori, mentre nei virus rivestiti può essere utilizzata sia la fusione che l’endocitosi accoppiata alla fusione. Essendo l’endocitosi il meccanismo più utilizzato è anche il più conosciuto; non necessita di determinate proteine, ma permette semplicemente al virus di entrare. Tra i virus che utilizzano questo processo vi è l’adenovirus, il quale non presenta envelope; le proteine presenti sul capside dell’adenovirus interagiscono con recettori di membrana andando ad indurre la formazione di una vescicola rivestita di clatrina. Il virus può essere rilasciato dalle vescicole nel citoplasma mediante una lisi provocata dall’abbassamento del pH nell’endosoma. Con lo stesso meccanismo penetrano anche i retrovirus rivestiti da un doppio capside. Questi virus entrano per endocitosi, all’interno dell’endosoma si verifica un abbassamento del pH che provoca l’attivazione di proteasi, le quali prima eliminano il capside più esterno, poi lisano le vescicole endocitiche e liberano il virus nel citoplasma. La fusione è il meccanismo di penetrazione dei virus con envelope, richiede la presenza di particolari glicoproteine, presenti sullo stesso envelope, che innescano la fusione. Tali glicoproteine facilitano la fusione tra l’envelope del virus e la membrana della cellula ospite, nel caso della fusione diretta, e tra envelope e membrana dell’endosoma, nel caso dell’endocitosi accoppiata alla fusione. Le glicoproteine interessate nella fusione sono divise in diverse classi. L’orthomyxoviriade, ad esempio, utilizza per la fusione una proteina fusogena di classe I. I retroviridae utilizzano invece Env, una glicoproteina dell’envelope di classe I, che media la loro penetrazione attraverso la fusione. Ci sono poi virus, come i Flaviviridae e i Togaviridae, che utilizzano glicoproteine di classe II, o virus, come l’herpesviridae, che utilizzano glicoproteine di classe III. La classificazione delle glicoproteine è dovuta al differente meccanismo che queste utilizzano per mediare la fusione. Indipendentemente dalla classificazione, tutte le glicoproteine di fusione hanno la medesima struttura: sono formate da 6 eliche e presentano, al C-terminale e all’ N- terminale, delle sequenze amminoacidiche altamente ripetute, le quali, all’N- terminale, prendono il nome di peptidi di fusione. Tali peptidi di fusione sono glicoproteine che permettono la fusione della membrana citoplasmatica e dell’envelope o della membrana dell’endosoma e dell’envelope. Per i virus nudi, esiste anche un terzo meccanismo di penetrazione, meno comune, chiamato traslocazione. Questo non richiede particolari proteine e consente al virus di entrare nella cellula. Il meccanismo è mediato da proteine presenti nel capside virale e recettori presenti sulla membrana; permette l’ingresso di tutta la particella virale nel suo complesso, nella cellula ospite. FASE DI UNCOATING Subito dopo che il virus è penetrato nella cellula ospite si spoglia dei suoi rivestimenti per permettere al genoma di replicarsi, di tradurre e trascrivere le proprie informazioni, al fine di dare una progenie virale matura. Il genoma liberato può sia rimanere nel citoplasma che penetrare nel nucleo, a seconda delle diverse modalità di replicazione del virus (vedi gruppi di Baltimore). Virus a DNA e alcuni virus a RNA, come i retrovirus, hanno bisogno di fattori nucleari per potersi replicare e si trasferiscono nel nucleo; mentre in quelli a RNA generalmente il genoma rimane nel citoplasma, in quanto non necessita di fattori nucleari per completare il ciclo. Nel caso dei virus che restano nel citoplasma, penetrazione ed uncoating avvengono contemporaneamente, mentre per i virus che si trasferiscono nel nucleo, l’uncoating viene completato con il passaggio del virus nei complessi dei pori nucleari. FASE DI REPLICAZIONE DEL GENOMA Subito dopo l’uncoating, il genoma del virus deve essere replicato. I meccanismi di replicazione si rifanno alla classificazione di Baltimore. L’informazione contenuta nel genoma deve essere trascritta e tradotta utilizzando l’apparato biosintetico della cellula ospite. A seconda delle classi replicative, questa fase può avvenire nel citoplasma o nel nucleo. La maggior parte dei virus a RNA (ad eccezione dei Retrovirus e degli Orthomyxovirus) e i Poxivirus, replicano il proprio genoma nel citoplasma; la maggior parte dei virus a DNA (ad eccezione dei Poxvirus) e gli Orthomyxovirus, replicano il proprio genoma nel nucleo. In entrambi i compartimenti, replicano invece il proprio genoma i retrovirus e gli hepadnavirus, appartenenti alla VI e VII classe. FASE DI ASSEMBLAGGIO Le componenti prodotte durante la fase di replicazione, devono essere poi assemblate. L’assemblaggio implica la raccolta di tutti i componenti necessari per la formazione del virione maturo in un punto particolare della cellula (viroplasma o packaging site) in cui si forma la struttura di base della particella virale. L’assemblaggio segue regole particolari, come nel caso del capside, che si autoassembla. FASE DI MATURAZIONE FINALE Il sito di assemblaggio ed il meccanismo di liberazione dalla cellula ospite dipendono dalla stuttura del virus. Nei virus nudi il montaggio dei virioni può avvenire in sede citoplasmatica, se il virus è a RNA (Picornavirus, reovirus) o nucleare se il virus è a DNA (adenovirus) mediante “automontaggio” (processo spontaneo per il quale le subunità che costituiscono una struttura automaticamente si dispongono nello spazio per formare la struttura stessa). Formata la struttura matura, la cellula viene lisata ed il virione viene liberato. Nei virus provvisti di pericapside, la formazione del nucleocapside avviene in modo simile a quello dei virus nudi, ma il virus deve acquisire l’involucro esterno. Se il virus è dotato di envelope esiste un passaggio aggiuntivo poiché il virus deve assemblare il rivestimento esterno. L’assemblaggio dell’envelope avviene attraverso un meccanismo detto di gemmazione. La gemmazione è preceduta dall’inserimento di alcune proteine e glicoproteine virali nelle membrane con conseguente dislocazione delle proteine cellulari dell’ospite. L’assemblaggio dell’envelope avviene grazie all’avvolgimento della membrana della cellula ospite attorno alla particella virale appena formata. Tale parte di membrana, intanto, avrà già perso le proprietà cellulari perchè le proteine proprie sono state spiazzate per l’inserimento delle proteine e glicoproteine virali. Il processo di assemblaggio, maturazione e rilascio non può essere distinto nei virus con envelope, perché questi, nel momento in cui si stanno liberando, stanno ancora assemblando le loro componenti. Assemblaggio, maturazione e rilascio, avvengono quindi contemporaneamente. Nel caso del virus dell’influenza, le due glicoproteine, neuraminidasi ed emoagglutinina, vengono poste sull’envelope già durante la fase di assemblaggio e maturazione, sostituendo due proteine di membrana e ponendosi sul punto in cui deve avvenire la gemmazione. Al procedere del rilascio, il virus invagina la membrana e si stacca, portando via un pezzo della membrana della cellula ospite. 78 PAPILLOMA VIRUS (HPV) Struttura Fa parte della famiglia dei PAPOVA VIRUS (HPV e Poliomavirus). In base all’omologia di sequenza del DNA sono divisi in 200 tipi, di cui 120 completamente sequenziali, divisi in 16 gruppi (da A a P). Tra questi, circa 35-40 infettano il tratto anogenitale. Sono tutti specie-specifici. I Papilloma Virus più importanti per la patologia umana sono stati classificati nei generi: - alpha: in essi sono incluse: o specie 7: comprende HPV18; o specie 9: comprende HPV16 e altri genotipi mucosali ad alto rischio di trasformazione (HR); → entrambe le specie sono frequentemente associate allo sviluppo di lesioni maligne; o specie 10: comprende i genotipi mucosali a basso rischio (LR) di trasformazioni responsabili di lesioni mucosali benigne: condilomi acuminati; - beta: a questo genere appartengono prevalentemente genotipi HPV associati a lesioni cutanee benigne (se si manifestano in soggetti immunodepressi possono assumere carattere di malignità). HPV è un virus nudo con un capside icosaedrico (50 – 55 nm) costituito da 72 capsomeri assemblati da protomeri di 2 subunità proteiche. Il genoma è rappresentato da una molecola di DNA circolare a doppio filamento di 8kb. Codifica per: - 7 o 8 geni precoci (E – early): servono a modificare il metabolismo della cellula ospite per metterlo al servizio dell’HPV. Infatti, favoriscono la crescita e la divisione della cellula, dal momento che l’HPV può replicare il proprio genoma solo nelle cellule in replicazione, in quanto non codifica per una sua DNA polimerasi e ha bisogno della polimerasi della cellula ospite. 79 - 2 geni tardivi (L – late): associandosi tra loro formano la struttura icosaedrica del capside virale. Long Control region LCR: segmento di DNA compreso tra i geni E ed L contenente le sequenze regolatrici della trascrizione dei geni vitali. È lungo circa 1Kb. Non usa RNA polimerasi. In generale le funzioni delle proteine codificate da ciascun gene sono: - E1: proteina ad attività elicasica ATP-dipendente necessaria per l’inizio della replicazione del genoma virale (riconoscimento e sintesi del DNA). Mantiene, inoltre, il genoma in forma episomale ed è assente quando il genoma si integra con quello della cellula ospite. - E2: proteina dimerica, regola l’espressione di diversi geni, in particolare sopprime E5, E6 ed E7 (antiproliferativo). È perso dopo l’integrazione nel genoma cellulare. → E1 ed E2 sono coinvolte nella replicazione del genoma virale. - E4: codificata quasi in fase tardiva, molto importante nella maturazione e proliferazione virale. Degrada le proteine citoscheletriche della cellula ospite favorendo il rilascio del virus alla fine del ciclo litico. - E5: o lega il recettore dell’EGF per favorire la crescita della cellula ospite e aumenta il segnale di PDGF; o attivazione dei pathway di MAPK; o down-regola MHC-I e MHC-II → evita la risposta cellulare T mediata; o inibisce l’apoptosi. - E6: è distribuita nel nucleo: o si lega a p53 della cellula ospite e promuove la sua degradazione. L’oncosoppressore p53 regola il ciclo cellulare e lo arresta in caso di errori nella replicazione del DNA, talvolta promuovendo l’apoptosi, proproliferativo e immortalizzante. Attiva anche p21 che inibisce CKI1; o è in grado di interferire con la funzione di proteine pro-apoptotiche come Bak e la pro- caspasi 8. - E7: fosfoproteina acida di circa 100aa che si trova nel nucleo. Lega e inibisce p105RB, altro regolatore del ciclo cellulare, con effetto pro-proliferativo e immortalizzante, p107 e p130 (per stabilire un’efficiente immortalizzazione dei cheratinociti umani è necessaria l’azione combinata E6-E7). - L1 e L2: proteine costituenti il capside. L1 si autoassembla in 72 pentameri nei quali si intecalano L2. In particolare, L1 è responsabile dell’attacco virale alla cellula ospite ed è stata utilizzata per la tipizzazione di HPV. Θ La qualità di E6 e E7 determina fattori ad ALTO e BASSO rischio (quanto è “potente” il virus) [da tenere a mente per lo scritto]. Θ Papilloma infetta solo cellule a elevata replicazione. 80 Replicazione Processo generico: - attacco e internalizzazione per endocitosi; - scapsidazione, rilascio e trasporto intranucleare del DNA virale; - trascrizione precoce a opera di DNA polimerasi cellulare, sintesi di enzimi e proteine virali precoci; - replicazione DNA virale; - trascrizione tardiva, sintesi di proteine virali tardive; - assemblaggio e rilascio dei virioni. Il virus infetta gli epiteli squamosi stratificati, attraverso microtraumi, e raggiunge l’epitelio basale, dove infetta le cellule indifferenziate staminali. Nelle cellule basali vengono espressi i geni E6 e E7 che stimolano la proliferazione cellulare. A mano a mano che le cellule migrano negli strati superiori (spinoso e granuloso) vengono espressi gli altri geni E. Negli strati superficiali si ha la sintesi delle proteine tardive/strutturali L1 e L2 e l'assemblaggio dei virioni infettivi che vengono rilasciati dallo strato corneo. La replicazione del DNA avviene attraverso due meccanismi che dipendono dallo stato di differenziamento della cellula ospite: replicazione plasmidica: - avviene nelle cellule basali: in esse, vista la spiccata attività proliferativa, il DNA virale viene mantenuto come episoma a copie multiple e si replica contemporaneamente al DNA cellulare (una volta per ciclo cellulare), venendo così trasmesso alle cellule figlie a ogni divisione cellulare. In questa fase vengono espressi solamente i geni precoci del virus; - questo tipo di replicazione assicura la persistenza dell’infezione, infatti HPV permane in fase latente; 81 replicazione vegetativa: - la transizione dall’infezione virale latente alla fase vegetativa è correlata al processo di differenziamento che le cellule epiteliali subiscono durante la migrazione verso gli strati cellulari più superficiali; - la replicazione vegetativa del virus avviene nelle cellule degli strati superiori dell’epitelio (strato spinoso e granuloso): queste cellule si trovano in uno stato di differenziamento avanzato e non si ha più la sintesi del DNA cellulare; - si osserva quindi un’intensa replicazione del DNA virale, l’attivazione dell’espressione dei geni virali tardivi, la sintesi di proteine capsidiche e l’assemblaggio dei virioni; - la formazione della progenie virale completa è presente solo nello strato più esterno dell’epitelio (strato corneo) e i virus assemblati sono espulsi quando le cellule epiteliali si desquamano. Ciclo d’infezione del papilloma virus Il ciclo infettivo dei papillomavirus dipendente dalla differenziazione garantisce un’infezione stabile e persistente con un rilascio costante di particelle virali, ma ciò implica che il suo DNA deve essere replicato con meccanismi diversi in fasi diverse, che sono: - amplificazione; - stabilimento; - mantenimento; - amplificazione vegetativa. Dopo aver infettato le cellule basali, il virus transita attraverso l'endosoma, viene quindi scapsidato, ma il genoma virale (in complesso con la proteina L2) deve attendere che la membrana nucleare si rompa durante la mitosi per entrare nel nucleo. Una volta nel nucleo, il genoma virale subisce un'amplificazione limitata e si stabilisce nel nucleo per attaccamento alla cromatina ospite. Il genoma è mantenuto a un numero di copie costante nelle cellule in divisione ed è partizionato dall'interazione con la cromatina ospite. Dopo la differenziazione, le cellule infette amplificano (vegetativa) il DNA virale fino a un numero di copie elevato, dopodiché viene confezionato in particelle virali di progenie. I virioni vengono eliminati dall'epitelio in squame cariche di virus. (Quando il virus infetta per la prima volta un cheratinocita basale, deve subire alcuni cicli di replicazione del DNA per generare un basso numero di copie di genomi virali. Successivamente, il genoma virale deve stabilirsi come un replicone extracromosomico stabile in una regione benefica del nucleo ospite. I genomi vengono quindi mantenuti a un numero di copie basso e costante e vengono partizionati in cellule dopo la divisione cellulare. L'ultimo stadio è l'amplificazione vegetativa, che si verifica solo in cellule differenziate e genera un numero elevato di copie di genomi virali destinati a essere impacchettati come virioni di progenie.) 82 Epidemiologia La trasmissione dell’HPV può avvenire per: - contatto diretto o indiretto: tramite oggetti acuminati contaminati con il virus o con superfici contaminate dal virus in presenza di lesioni dell’epidermide che consentono l’inoculazione del virus nelle cellule degli strati basali dell’epitelio; - trasmissione venerea: l’HPV si contrae prevalentemente per via sessuale ma non necessariamente attraverso un rapporto completo. È sufficiente il contatto cute-cute o cute- mucosa per trasmettere il virus Patogenesi e sindromi cliniche HPV umani infettano gli epiteli squamosi pluristratificati (cute) e non cheratinizzati (bocca, vie aeree superiori, vagina, cervice e canale anale) dove induce proliferazione epiteliale. Le cellule bersaglio del virus sono la cute e le mucose, due tessuti che si rigenerano in continuazione (HPV può replicare solo nelle cellule in attiva replicazione). Gli HPV sono responsabili di un vasto numero di lesioni sia benigne che maligne: - lesioni benigne: includono soprattutto lesioni cutanee come verruche plantari, del palmo della mano e soprattutto dei genitali esterni. Tra le lesioni benigne sono noti soprattutto i papillomi, che si sviluppano dopo un periodo variabile di settimane o mesi dal momento dell’infezione: o si sviluppano su epiteli squamosi stratificati e, a seconda del luogo dell'infezione, danno origine a verruche nella cute o a condilomi nelle mucose genitali; o le verruche sono caratterizzate da un ispessimento dello strato spinoso (acantosi), dello strato granuloso (paracheratosi) e dello strato corneo (ipercheratosi); - lesioni maligne: possono portare a: o papillomatosi respiratoria; o epidermodisplasia verruciforme EV; o lesioni squamose premaligne della cervice uterina. Le lesioni premaligne sono la cervical intraepithelial neoplasia (CIN) o la squamous intraepithelial lesion (SIL), precursori del carcinoma della cervice uterina. HPV che infettano la cute (soprattutto 1-4): - attecchiscono, tramite L1, alle cellule dello strato basale; - rilasciano quindi il DNA virale nel citosol. L’espressione dei geni viene regolata dallo stadio differenziativo del cheratinocita. Nello strato basale vengono espressi i geni che favoriscono la proliferazione cellulare come E6 ed E7. Ciò crea un’ambiente ottimale per la replicazione del virus; - nel successivo strato spinoso il virus esprime il gene E1 che codifica l’elicasi che, insieme alla polimerasi della cellula ospite, replicano il genoma virale; - allo stesso modo viene espresso E2 che inibisce i geni per la proliferazione dei cheratinociti → a questo punto i virioni maturano e portano allo sviluppo di una verruca, in genere localizzata; - durante tutto il periodo di maturazione (dai 3 ai 4 mesi) il virus, che può essere eliminato solo tramite una risposta T dipendente, risulta protetto dalla sua bassa espressione antigenica; - la rottura della verruca causa la diffusione del virus nell’ambiente circostante. Spesso la malattia è autolimitante e recidive si riscontrano solo negli immunocompromessi. Le verruche del tratto anogenitale prendono il nome di condilomi acuminati, nel 90% dei casi causati da HPV 6 o 11. Colpiscono: - glande (meno frequentemente sotto il prepuzio, corpo del pene e scroto), nel maschio; - perineo, vulva, vagina e cervice uterina, nella donna. A livello vaginale si parla di condilomi acuminati o piatti, mentre le lesioni della cervice sono di solito condilomi piani che in colposcopia, avvalendosi di acido acetico, si presentano come zone biancastre a margini irregolari. Questi stessi tipi sono associati a 83 papillomi laringei (probabilmente raggiungono questa regione tramite sesso orale). Nella mucosa esocervicale (epitelio squamoso pluristratificato) il virus causa un ciclo litico simile, portando allo sviluppo di papilloma cervicale (tumore benigno analogo alla verruca) ma in alcuni casi l’episoma può integrarsi in un sito aspecifico del DNA della cellula ospite. L’integrazione avviene successivamente alla rottura della regione compresa fra E1 ed E2. Questa rottura impedisce l’espressione di E2 e quindi i geni pro-proliferativi (E5, E6, E7) restano attivi e incontrollati. Oncogenesi da HPV Nel caso in cui insorga una compromissione del sistema immunitario, le lesioni a livello mucosale e cutaneo non regrediscono → l’infezione produttiva persiste per lungo tempo favorendo una serie di cambiamenti nel ciclo riproduttivo dei genotipi ad HIGH-RISK (16, 18, 31, 45) che hanno come risultato finale l’immortalizzazione delle cellule infette e la trasformazione neoplastica. L’evento chiave è l’integrazione del genoma virale nel genoma cellulare che causa una iper- espressione delle proteine E6 ed E7. Nel genoma virale si ha: - perdita della regione genica compresa tra i geni E1 ed E2 → mancata trascrizione dei geni tardivi codificanti per le proteine strutturali e trascrizione incontrollata dei geni precoci E6 ed E7; - trascrizione anomala di E6 ed E7, che codificano per oncoproteine virali. La trasformazione neoplastica si basa sull’interazione tra le proteine virali prodotte da E6 ed E7 e i prodotti di geni oncosoppressori, come p53 e pRb: - oncogene E6: i livelli di p53 intracellulare aumentano in seguito al danneggiamento del DNA cellulare, con conseguente arresto della cellula in fase G1 per consentire di riparare il DNA. La E6 si lega alla p53 degradandola e inattivandola, per cui la cellula entra in fase S e si moltiplica; - oncogene E7: durante il ciclo cellulare la pRB (Retinoblastoma) viene fosforilata in modo differenziale. La forma monofosforilata (pRB) agisce come regolatore negativo della progressione del ciclo cellulare legandosi ad E2F e fermando il ciclo cellulare in fase G1. Per passare alla fase S la pRB viene ulteriormente fosforilata (p-p-RB) staccandosi dal fattore E2F. Il legame di E7 con p-RB provoca la liberazione di E2F favorendo l’entrata in fase S della cellula e la sua replicazione incontrollata. → Ciò determina un’aumentata proliferazione dell’epitelio cervicale con comparsa di alterazioni citologiche (evidenziabili clinicamente mediante Pap test). Attraverso una serie di alterazioni cellulari progressive che vanno dalla displasia lieve, alla moderata, alla displasia grave o carcinoma in situ, si arriva al carcinoma invasivo. Il 99,7% di tutti i tumori della cervice è causata da HPV che ha integrato il proprio genoma. Fra questi, il 70% è associato ai tipi 16 e 18. 84 La prima alterazione preneoplastica valutabile citologicamente è denominata displasia cellulare, che va da quella lieve alla moderata al carcinoma in situ (CIN1; CIN2; CIN3). Con l’avvento di nuove tecniche di ibridazione molecolare è stato possibile identificare sottotipi a basso, intermedio e alto rischio oncogeno in rapporto alla frequenza di associazione con la Neoplasia Intraepiteliale Cervicale (CIN). La lesione CIN3 è caratterizzata da cheratinociti che esprimono in modo incontrollato le oncoproteine E6 ed E7 e hanno perso definitivamente la capacità di regolare la proliferazione e il differenziamento. Tutti i casi di tumore del collo dell’utero sono provocati da HPV, ma non tutte le infezioni da HPV provocano tumore → HPV è la causa necessaria, ma non sufficiente per lo sviluppo del cancro del collo dell’utero. Il lungo periodo di intervallo tra infezione primaria e sviluppo di tumore implica chiaramente l’intervento di altri fattori, oltre al virus, necessari per la progressione maligna della lesione. Il sistema immunitario riesce a eliminare l’infezione in quasi tutte le ragazze nel giro di 12 mesi. Solitamente nei casi di infezione persistente gli HPV ad alto rischio possono provocare alterazioni del collo dell’utero che, nel tempo, possono trasformarsi in cancro. Anche il sesso maschile può essere colpito da HPV, ma solitamente si manifestano i condilomi determinati dagli HPV a basso rischio e, più raramente rispetto alle femmine, tumori dell’apparato genitale. 85 Nei virus a BASSO RISCHIO (quelli che infettano la cute), ove l’affinità delle proteine E6 ed E7 verso p53 e pRB è bassa, ciò non determina conseguenze rilevanti. Diagnosi Una tipica caratteristica citologica di HPV è la comparsa di coilociti, ovvero cheratinociti ingranditi con aloni chiari contenenti sostanza ialina a nuclei picnotici (effetto citopatico virus-mediato) evidenziabili con strisci colorati nel Pap test. Diagnosi di laboratorio per HPV: - i papillomavirus non possono essere coltivati in vitro ma solo in colture organotipiche di difficile manipolazione; - gli anticorpi anti-AgHPV non sono dei marcatori affidabili per la diagnosi di infezione; - per la diagnosi si può valutare la presenza del virus indirettamente mediante la valutazione di alterazioni istologiche e citologiche mediante Pap test (Gold standard); - valutazione diretta della presenza del virus mediante tecniche di ibridazione con sonde a DNA o RNA dirette contro specifici genotipi: PCR (end-point o real Time) e ibridazione con sonde L1- specifiche (HPV- DNA test); - valutazione diretta della presenza del virus e dei livelli di espressione dei geni E6 ed E7 mediante Real Time PCR; - la presenza dell’infezione da HPV può essere valutata mediante immunoistochimica su prelievi bioptici usando anticorpi diretti contro L1 (tecnica poco sensibile in caso di lesioni maligne e premaligne). 86 HPV-DNA test Ha un ruolo centrale nello screening. Metodo diretto: reazione di amplificazione degli acidi nucleici (PCR): utilizzo di primers universali in grado di amplificare sequenze conservate all’interno del genoma di HPV (L1). Finalità dei test basati sulla PCR: Identificare la presenza di DNA di HPV. Identificare quale genotipo di HPV è presente. Trattamento Una verruca: - viene confermata al microscopio, evidenziando iperplasia delle cellule spinose e ipercheratosi, ovvero eccesso di produzione della cheratina; - si rimuove chirurgicamente o tramite crioterapia. Può essere utilizzato il cidofovir (analogo nucleotidico che blocca l’allungamento della catena di DNA virale durante la replicazione) per eliminare HPV. Una guarigione più rapida può inoltre essere garantita dalla somministrazione di stimolatori della risposta innata, come l’interferone. Per le infezioni della cervice: - si ricorre al PAP-test: si preleva un campione della mucosa grazie a un tampone cervicale e si colora tramite colorazione di Papanicolaou. In questo modo possono essere evidenziati i coliociti, cellule ingrossate dal citoplasma vacuolizzato che indicano la presenza di HPV; - i papillomi vengono rimossi chirurgicamente. Θ I coilociti sono cheratinociti ingrossati con un alone chiaro intorno e nuclei raggrinziti (negli aloni chiari ci sono copie del virus). Prevenzione Come tutte le infezioni da virus NON esiste una cura per infezioni da HPV. Le lesioni pre-tumorali possono essere rimosse con piccoli interventi ambulatoriali (laser), rispettando l’integrità e la funzione dell’apparato riproduttivo delle giovani pazienti. È quindi necessario fare prevenzione: - prevenzione primaria: vaccinazione contro HPV; - prevenzione secondaria: o screening citologico con Pap-test; o screening con HPV-DNA test. I vaccini a disposizione sul mercato italiano contro HPV sono due e sono entrambi sicuri ed efficaci: - gardasil: vaccino tetravalente non contenente virus vivo, ma proteine L1 dei tipi 6, 11, 16 e 18, che protegge contro i genotipi HR: o 16 e 18 dell’HPV, responsabili della maggior parte dei casi di carcinoma uterino; o 6 e 11, responsabili del 90% dei condilomi. È raccomandato a tutte le ragazze che iniziano l’attività sessuale; - cervarix: vaccino bivalente, attivo contro i genotipi 16 e 18. 87 I vaccini sono somministrati gratuitamente dalle ASL alle bambine tra gli 11 e i 12 anni, con la somministrazione per via intramuscolare di una dose iniziale e due richiami, entro i sei mesi dalla prima. Il vaccino è, inoltre, disponibile a pagamento in farmacia, previa indicazione e prescrizione del medico, ed è destinato alle donne che non hanno ancora contratto l’infezione da HPV. Il piano vaccinale 2017-2019 prevede la vaccinazione nel maschio al 12esimo anno di età: - per ridurre la circolazione del virus fra i due sessi; - perché HPV determina molti altri problemi anche nel maschio: o tumori ano, pene, cavo oro-faringeo; o sterilità. Θ Anche gli uomini dovrebbero fare il vaccino per evitare il rischio di CARCINOMA ESOFAGEO (chissà perchè...). Composizione del vaccino anti-HPV: - i vaccini profilattici contengono le proteine L1 (capside) purificate, per i diversi genotipi di HPV, prodotte con il metodo del DNA ricombinante; - essi si basano sulla capacità di auto-assemblaggio delle proteine capsidiche L1 in particelle simili al virus (virus like particles, VLP), prive di attività infettiva per l’assenza del DNA virale, ma con la capacità di indurre una risposta immunitaria tipo specifica; - VLP-L1 inducono IgG neutralizzanti (alto titolo), presenti nelle secrezioni cervicali e presenti all’interno degli strati basali degli epiteli (IgG sieriche). Il vaccino però non copre tutte le infezioni da HPV, in quanto i virus contro cui è diretto determinano il 70% dei tumori → c’è necessità di estendere lo screening anche nelle vaccinate. 88 POLIOMAVIRUS Struttura e replicazione l genere poliomavirus è suddiviso in diverse specie, le più importanti nell’ambito della patologia umana sono BK, JC e SV40. Θ SV40 cresce in colture di scimmie. I poliomavirus sono virus nudi di diametro pari a 45nm, con un genoma di DNA a doppio filamento circolare di 5kb suddiviso, nelle tre specie sopra riportate, in una regione precoce, una tardiva e una non codificante (UTR): - UTR contiene sequenze regolatrici e di inizio di replicazione; - la regione precoce codifica proteine T di trasformazione, compresi antigene T grande, antigene T’ e antigene t piccolo (regolano trascrizione, traduzione, crescita); - la regione tardiva è localizzata sul filamento opposto e codifica per le proteine strutturali VP1 2 e 3 che costituiscono il capside. Replicazione: - legatosi a recettori specifici, il poliomavirus viene endocitato dalla cellula ospite; - all’interno della cellula il DNA virale viene scapsidato e traslocato nel nucleo, dove inizia la trascrizione dei geni precoci e gli antigeni T e t formatisi promuovono la proliferazione cellulare, inattivando p53 e pRB; - l’attivazione dell’apparato replicativo della cellula ospite permette la replicazione del DNA virale → l’antigene T di SV40, in particolare, regola sia trascrizione che replicazione del genoma virale. o Nelle cellule permissive viene espressa anche la regione tardiva che codifica un singolo mRNA successivamente tagliato in tre. Da ciascuno di questi frammenti viene tradotto un tipo di VP che costituirà il capside virale, ultimando la replicazione del virus e il ciclo litico. o Nelle cellule non permissive la regione tardiva resta silente e il virus immortalizza la cellula comportandosi da oncogeno. Unico carcinoma umano associato a poliomavirus, attualmente, è il carcinoma delle cellule di Merkel e il glioblastoma. Epidemiologia I poliomavirus sono ubiquitari e infettano la maggior parte della popolazione entro i primi 15 anni di età. Le sindromi cliniche si manifestano solo negli immunosoppressi (tenete a mente): infatti, il 10% degli affetti di AIDS sviluppa PML, fatale nel 90% dei casi. Patogenesi e sindromi cliniche I virus JC e BK vengono inoculati probabilmente nel tratto respiratorio per via aerea ove cominciano a moltiplicarsi. Riescono a raggiungere il rene tramite il circolo sanguigno (viremia primaria) ove infettano le cellule renali. o Negli immunocompetenti il virus rimane nel rene in uno stato di latenza. o In caso di immunosopressione invece: - BK si moltiplica nel tratto urinario provocando stenosi uretrali e talvolta cistiti emorragiche (infiammazione della vescica); - JC si replica e rientra nel circolo sanguigno (seconda viremia) attraverso il quale oltrepassa la barriera ematoencefalica e attacca gli oligodendrociti del SNC. L’infezione litica causa demielinizzazione e danneggiamento della trasmissione nervosa, quadro clinico che prende il nome di leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML). Diagnosi Per PML si effettua una PCR su LCS o una TAC per evidenziare demielinizzazione. Il virus BK si può ritrovare nelle urine. Trattamento Si utilizza il cidofovir. 89 ADENOVIRUS (Per quanto mi guarda potete appenderlo sapendo quattro strozzate sulle sindromi) Struttura e replicazione L’adenovirus è un virus a DNA a doppio filamento lineare di 36kb con 30-40 geni e una proteina terminale legata all’estremità 5’. Il capside di 60-90 nm di diametro è formato da 252 capsomeri (12 pentoni e 240 esoni) posti ai vertici. Ciascun pentone presenta una fibra che agisce da emoagglutinina (HA). In base alla diversità antigenica delle proteine costituenti il capside, si distinguono 100 sierotipi (51 patogeni per l’uomo) raggruppati in 7 sottogruppi: A, B1, B2, C, D, E, F. I geni, presenti su entrambi i filamenti e trascritti in ambedue le direzioni, sono distinti in precoci e tardivi: o fra i geni precoci di particolare rilevanza sono il gene E1 ed E2: E1 trascrive un mRNA che viene scisso in due. Ciascun frammento codifica due differenti proteine E1 distinte in A, che inattiva pRB, e B, che inattiva p53. Entrambe le E1 agiscono inoltre da trans-attivatori per la trascrizione delle proteine precoci (per questo dette anche “proteine precocissime”); E2 trascrive per una polimerasi virale; o i geni tardivi codificano le proteine costituenti il capside. Fra queste: il polipeptide II forma gli esoni; il polipeptide III forma i pentoni; il polipeptide IV forma le HA. Il capside presenta anche due proteine del core che legano il DNA. Replicazione: o inizia con l’internalizzazione del virus nella cellula ospite: questa vede l’interazione di HA con il recettore coxsackie-adenovirus (CAR) un membro della famiglia delle Ig (alcuni adenovirus, invece, legano MHC I); o successivamente il legame viene rafforzato dall’interazione della base del pentone con l’alfa- integrina, interazione che promuove l’endocitosi in vescicole di clatrina; o il virus lisa quindi la vescicola endosomiale e attraverso il citoscheletro di miosina migra verso il nucleo, ove il capside rilascia di DNA virale al suo interno; o nel nucleo viene trascritto il gene E1 con conseguente formazione delle proteine trans- attivatrici necessarie per la trascrizione del gene E2 e, quindi, la produzione della polimerasi virale; o a replicazione ultimata vengono trascritti i geni tardivi. Gli mRNA di questi ultimi vengono tradotti nel citosol e le proteine del capside vengono riportate e assemblate nel nucleo generando capsidi vuoti, entro i quali si inserisce il DNA virale. Termina così il ciclo litico (dura 32-36 ore) e la cellula lisata rilascia circa 10.000 virioni. Il ciclo litico avviene solo nelle cellule permissive, ovvero le cellule mucoepiteliali che rivestono le mucose (congiuntive incluse). Nelle cellule non permissive, ovvero le cellule linfoidi (costituenti adenoidi, tonsille e placche di Peyer), il virus instaura un’infezione latente. Patogenesi e immunità I ceppi patogeni solitamente entrano a contatto con le congiuntive o la mucosa del tratto respiratorio: o il danno è causato dal ciclo litico e dall’attività tossica delle proteine costituenti il pentone: queste ultime inibiscono il trasporto degli mRNA e la sintesi proteica delle cellule bersaglio; o la degradazione dell’epitelio favorisce la diffusione del virus nel tratto respiratorio inferiore e nel tratto gastrointestinale (ove non viene inattivato da acidi o secrezioni grazie all’elevata 90 resistenza del capside), negli immunodepressi può diffondere tramite circolo sanguigno in altri organi. Con l’attivazione del sistema immunitario il virus viene drenato nei linfonodi e qui entra in latenza nelle cellule della linea linfoide. Negli immunodepressi il virus può riattivarsi in questa sede e dare viremia e infezione sistemica. L’immunità cellulo-mediata è importante nel contenere lo sviluppo del virus, ma per una totale risoluzione c’è bisogno dell’attivazione dell’attività umorale. La produzione di anticorpi, inoltre, aiuta a proteggersi da una seconda infezione da parte dello stesso ceppo. Il virus possiede diversi meccanismi per evadere le difese immunitarie sia innate che adattative: o codifica alcuni RNA associati al virus (RNA VA) che inattivano la proteina chinasi R indotta dall’interferone. La PKR di norma impedisce la sintesi delle proteine virali; o la proteina codificata dal gene E3 inibisce l’apotosi indotta dalla risposta cellulare al virus o dai linfociti T; o alcuni ceppi particolarmente virulenti impediscono l’espressione di MHC I e, quindi, la presentazione dell’antigene. Epidemiologia Il virus si trasmette per via aerea (gocce di Flugge), tramite circuito oro-fecale e in maniera indiretta tramite dita o oggetti contaminati. Colpiscono soprattutto bambini e immunodepressi. Le infezioni sono in gran parte asintomatiche e ciò ne facilita la diffusione. o I sierotipi di adenovirus più diffusi sono l’1 e il 7. o In ambito pediatrico i sierotipi 1,2,5,6 rappresentano il 5-10% delle malattie del tratto respiratorio. o I sierotipi 4 e 7 sono diffusi nei campi militari a causa dello stile di vita delle reclute. Sindromi cliniche Le manifestazioni cliniche dipendono dalle caratteristiche del sierotipo. In ordine di frequenza: faringiti: - la sola faringite si manifesta soprattutto nei bambini di età inferiore ai 3 anni. Nei bambini di 7- 8 anni è accompagnata da congiuntivite e febbre faringocongiuntivale; - i sintomi sono simil-influenzali e durano dai 3 ai 5 giorni; malattia respiratoria acuta (ARD): - con massima incidenza in inverno nei campi militari, quindi associata ai ceppi 4 e 7; - è caratterizzata da febbre, rinorrea (naso che cola) e tosse. Talvolta si accompagna a congiuntivite; altre malattie respiratorie come bronchiolite, polmonite e laringite diffuse soprattutto in ambito pediatrico; congiuntiviti: si manifestano in modo sporadico o epidemico a causa della contaminazione di una fonte comune (ad esempio le piscine); cheratocongiuntivite (infiammazione sia di cornea che di congiuntiva): viene favorita dall’irritazione della cornea per polveri o corpi estranei, per questo può essere epidemica in ambito industriale (un esempio è l’epidemia che coinvolse 10.000 operai tra il 41 e il 42 nel cantiere navale di Pearl Harbor); gastroenterite: - l’adenovirus è la principale causa virale di gastroenterite (sierotipi 40, 41 e 42), specialmente nei bambini; nei pazienti immunocompromessi l’adenovirus causa infezioni sistemiche a carico di svariati organi, riuscendo a invadere il circolo ematico. 91 Θ Oltre alle puttanate dei soldati ricordatevi che noi studiamo sto virus (che per me si può tranquillamente appendere) perché è la causa più frequente di gastroenteriti nei bambini. (Se vi faranno domande all’orale sarà specialmente su questa cosa). Diagnosi I campioni prelevati solitamente sono secrezioni respiratorie e feci. Si può fare un’identificazione rapida e diretta del virus tramite saggi immunologici come reazioni immunoenzimatiche o l’impiego di Ig fluorescenti. In alternativa si effettua la PCR. Infine, il virus può essere isolato in linee cellulari epiteliali. Qui è possibile trovare al microscopio i caratteristici densi corpi inclusi in posizione centrale non accompagnati da citomegalia. Trattamento e prevenzione Non è disponibile una terapia, per cui si utilizzano solo farmaci per alleviare i sintomi. Esistono vaccini a virus vivo attenuato contro i ceppi 4 e 7, raccomandati alle reclute militari. Adenovirus a scopo terapeutico Gli adenovirus vengono ampiamente utilizzati nelle terapie geniche. Queste consistono nell’inserzione di geni sani in cellule col gene difettante attraverso vettori specifici (in questo caso il virus), un processo chiamato trasfezione. (→ phage therapy). Processo: - l’adenovirus viene mutato sul gene E1 e altri geni virali in modo da non essere più patogeno; - i geni deleti vengono sostituiti con geni correttivi destinati alle cellule difettose; - il virus viene fatto moltiplicare in cellule renali embrionali modificate che esprimono i geni mancanti del virus necessari per la replicazione di quest’ultimo; - raggiunta una carica virale elevata (più di 1000 virus per ml) si somministra la soluzione al paziente. I bersagli del vettore virale, oltre che cellule difettose, possono essere cellule tumorali che mancano di p53. La replicazione selettiva in queste cellule può essere ottenuta rimuovendo il gene E1B → in questo modo il virus esplica il suo ciclo litico esclusivamente nelle cellule tumorali e funge da farmaco oncolitico (perché il ciclo mitico le uccide). In ultima analisi gli adenovirus possono fungere da vettori virali per antigeni di altri virus più letali (come ebola e HIV) e agire perciò come vaccino a virus attenuato. 92 HERPESVIRUS Struttura e replicazione Virus dotati di pericapside, dalle dimensioni di 100-200nm di diametro: o l’envelope è costituito da una membrana ospite alterata e da una dozzina di glicoproteine virali uniche. Appaiono nelle micrografie elettroniche come brevi picchi incorporati nell’envelope; o lo spazio compreso fra capside e pericapside prende il nome di tegumento e presenta alcuni enzimi virali, di cui alcuni favoriscono l’inizio della replicazione, altri difendono il virus dai meccanismi di difesa della cellula, altri hanno una funzione ignota; o il capside icosadeltaedrico è composto da 162 capsomeri (12 pentoni e 150 esoni) collegati a gruppi di tre da strutture trivalenti (verde) e formati da VP19C e VP23. VP5 è la subunità strutturale dei capsomeri. VP26 è localizzato sulla punta distale degli esoni; o il DNA a doppio filamento lineare di 150-200kb, contenente regioni uniche (UL, US), fiancheggiate da regioni ripetute (IR, DR). Codifica fino a 100 geni, tra cui enzimi coinvolti nel metabolismo degli acidi nucleici (TK), nella sintesi del DNA (DNA pol) e nella modificazione di proteine (PK, ecc.). Questi geni sono bersagli per i farmaci. o La famiglia herpesviriadae viene suddivisa, in base a caratteristiche biochimiche, patologie associate, tropismo tissutale e comportamento in coltura sperimentale in 3 importanti sottofamiglie: α herpesvirus: o spettro d’ospite più ampio fra tutti i membri della famiglia; o ciclo riproduttivo piuttosto breve; o in vitro si propagano facilmente in molti tipi cellulari; o nell’ospite naturale infezione LITICA soprattutto in cellule epiteliali (epidermide e mucosa), infezione LATENTE in cellule neuronali (neurotropismo alfa); o portano alla completa distruzione delle cellule infettate (citolisi); 93 o dopo riattivazione nei gangli nervosi, giungono alla periferia per via nervosa; o nell’uomo comprende i due tipi di virus herpes simplex e il virus della varicella-zoster; o negli animali comprende herpesvirus bovini (BoHV-1 e BoHV-2) ed herpesvirus equini (EHV-1 ed EHV-4); β herpesvirus: o spettro d’ospite più ristretto; o ciclo riproduttivo più lento degli α; o in vitro l’infezione progredisce lentamente e le cellule assumono un aspetto rigonfio (citomegalia); o nell’ospite naturale infettano le cellule linfoidi, e sono latenti in ghiandole secretorie, cellule linforeticolari, fegato e altri tessuti; o no neurotropismo; o nell’uomo comprende citomegalovirux (HCMV) e le specie herpesvirus umano 6 e 7 (HHV-6 e 7); γ herpesvirus: o spettro d’ospite molto ristretto: infettano solo famiglia od ordine a cui appartiene l’ospite naturale; o ciclo riproduttivo lento; o in vitro possono provocare infezione litica in alcuni tipi di cellule epiteliali e fibroblastiche; o in vivo sono specifici per linfociti B e T, in cui stabiliscono un’infezione per lo più latente; o no neurotropismo; o nell’uomo comprende Epstein-Barr (EBV) e l’herpesvirus umano 8 (HHV-8); o negli animali comprende virus linfotropici suini (PLHV). Replicazione: o inizia con l’interazione dell’herpesvirus con specifiche glicoproteine presenti sulla membrana della cellula bersaglio; o spoliazione: il virus fonde il suo pericapside sul plasmalemma e rilascia il nucleocapside nel citosol; o quest’ultimo è trasportato lungo il citoscheletro fino al nucleo dove, attaccato al poro nucleare, il capside introduce il DNA mediante un “portale” capsidico, formato da 12 copie della proteina portale UL6, organizzate come un anello, grazie alla presenza di un dominio leucine zipper che consente di aderire l’una all’altra. Ogni capside contiene un singolo portale, localizzato a un vertice. Il DNA virale comprende: geni precocissimi (2-4 ore p.i.) che codificano per 5 proteine α; geni precoci (5-8 ore p.i.) per 25 proteine β; 94 geni tardivi (9 ore p.i.) per 45 proteine γ; o durante l’uncoating la proteina UL41 (VHS tegumento) di shut-off, resta nel citoplasma dove inibisce la sintesi proteica dell’ospite degradando gli mRNA dell’ospite e favorendo la trascrizione immediate-early attraverso fattori trascrizionali cellulari; o al genoma virale resta associata solo la proteina α-TIF o “Transcription Initiating Factor” (TEGUMENTO) che promuove la replicazione virale e l’espressione genica delle proteine virali → in seguito all’infezione, attiva l’espressione dei geni IE dando inizio alla cascata di eventi che portano alla trascrizione e all’espressione delle proteine virali E ed L; o nel nucleo il genoma parentale viene trascritto a livello dei geni precocissimi da una RNA polimerasi DNA-dipendente della cellula ospite; o le proteine α (fattori regolatrici di trascrizione) attivano la trascrizione dei geni precoci, i quali codificano per proteine essenziali alla replicazione, come la DNA polimerasi virale e la timidina chinasi (quest’ultimo solo negli α herpesvirus); 95 o a questo punto il DNA assume una forma concatamerica testa-coda e comincia a replicarsi con un meccanismo a rolling circle analogo a quello visto nei plasmidi; o il DNA della progenie trascrive i geni tardivi che codificano le proteine gamma strutturali; o le particelle virali vengono assemblate nel nucleo: le proteine neosintetizzate si organizzano in capsidi. I concatameri di DNA neoformato sono tagliati nei singoli genomi e posti nei capsidi preformati; o i nucleocapsidi contenenti il DNA acquisiscono l’envelope attraverso due successivi processi: l’envelope primario è acquisito mediante gemmazione nella membrana nucleare interna (non ci sono glicoproteine). Questo poi si fonde con la membrana nucleare esterna rilasciando un nucleocapside nudo nel citoplasma; l’envelope finale viene acquisito gemmando nelle vescicole citoplasmatiche (con glicoproteine) e infine uscendo attraverso la membrana plasmatica; o i virioni così formati vengono rilasciati tramite esocitosi o lisi della cellula. Nelle cellule che promuovono l’infezione latente vengono soppressi i geni necessari alla replicazione. Dopo la prima infezione, i membri di Herpesvirus stabiliscono latenza, con il loro genoma che rimane nel nucleo della cellula infetta come episoma. Causano infezioni latenti in neuroni o linfociti (linfocita B) che durano tutta la vita. o HSV1, HSV2, VZV rimangono in questo stato di non replicazione in cellule non in divisione (neuroni); o EBV, CMV, HHV8 rimangono in cellule in divisione, quindi hanno bisogno di un modo per passare a offspring (prole?), di solito attraverso una proteina che lega il loro genoma a un cromosoma; o HHV6A e HHV6B possono integrarsi in un cromosoma ospite; se ciò accade, si replicano quando la cellula si divide. Più di 100 Herpesvirus infettano gli organismi, 8 sono umani. Trattamento Finora un’infezione latente non può essere curata con farmaci o vaccini. Aciclovir: o blocca la replicazione di Herpesvirus; o non è efficace nel trattamento di Citomegalovirus (HCMV) perché HCMV è privo della timidina chinasi necessaria per l’attivazione di aciclovir. 96 HERPES SIMPLEX (HSV) Patogenesi e immunità Vengono distinti due tipi in base alla regione che infettano e alla sede ove entrano in latenza. Le proteine strutturali comprendono 11 glicoproteine necessarie all’attacco (GB/C/D/H), alla fusione (gB) e all’elusione dal sistema immunitario (gC/E/I). Θ In particolare, gC lega C3b e funge da “proteina H”, mentre gE e gI legano le porzioni Fc di Ig. Di solito HSV-1 infetta la parte superiore del corpo, mentre HSV-2 infetta quella inferiore: o l’attacco iniziale avviene sulle cellule epiteliali e sui fibroblasti (il virus entra dalla cute o dalle mucose) ove istaura un’infezione litica (il bersaglio delle infezioni litiche e ricorrenti (o primarie) di HSV-1 sono le cellule epiteliali [nelle cellule nervose l’infezione è latente]); o l’interazione è mediata dalle glicoproteine di attacco che si legano alla nectina 1 (un membro della famiglia delle Ig chiamato anche “mediatore C di ingresso degli HSV” - HevC) o anche alla HevA della famiglia dei recettori di TNF che viene espressa sui neuroni e sui linfociti (ove da latenza); o con l’inizio del ciclo litico il virus si replica e il sistema immunitario si attiva a causa della lisi cellulare. Diversi meccanismi contribuiscono all’elusione dal sistema immunitario: o in primis il virus è capace di bloccare l’inibizione della sintesi proteica indotta dall’interferone; o inoltre, blocca il trasportatore TAP che trasloca i peptidi nell’ER → in questo modo viene impedita la presentazione degli antigeni ai linfociti T CD8 da parte di MHC I; o infine, può sfuggire alla neutralizzazione od opsonizzazione anticorpale diffondendo da cellula a cellula senza entrare nella ECM; o durante l’infezione, il virus invade le terminazioni assoniche dell’area infetta e risale fino al pirenoforo, solitamente situato: o nel ganglio trigeminale, se si tratta di HSV-1 o se il virus entra dalla mucosa orale; o nei gangli dei nervi sacrali, se si tratta di HSV-2 o se il virus entra attraverso la mucosa genitale; o qui entra in una fase di latenza, associata alla trascrizione di una regione del genoma virale detta LAT che codifica per microRNA che inibiscono la trascrizione dei geni precocissimi e, di conseguenza, la replicazione; o la risoluzione dell’infezione richiede l’attivazione dell’immunità cellulo-mediata. Quella umorale può solo impedire la diffusione distruggendo i virus extracellulari. A infezione risolta il virus, quindi, permane nei neuroni senza replicarsi ed esprimendo solo pochissimi geni virali (LAT). In risposta a vari stimoli o fattori scatenanti, quali radiazioni UV (ad esempio l’abbronzatura a mare), febbri e immunosoppresioni dovute al

Use Quizgecko on...
Browser
Browser