Strategia d'impresa: Un'analisi storica (PDF)
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2013
Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer
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Summary
Questo documento presenta un'analisi storica delle strategie di business, dai principi di base all'applicazione moderna. Il documento esplora i cambiamenti di mercato dall'800 ai giorni nostri, analizzando l'evoluzione delle infrastrutture e dei principi economici che guidano le scelte strategiche delle imprese. Il libro si concentra sull'importanza dei principi economici generali e sull'adattamento alle circostanze di mercato mutevoli.
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Benvenuti al modulo di Strategia © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria...
Benvenuti al modulo di Strategia © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 strategia - στρατηγός: il “condottiero” - Un concetto di origine militare e “bellico” (in Occidente e Oriente) - La guerra come fenomeno di ampia portata che abbisogna di “gestione” (“logistica” in particolare) - Sun Tzu (V secolo a.C): “La guerra è il più grande affare di stato, la base della vita e della morte, la Via (Tao) verso la sopravvivenza o l'estinzione. Deve essere attentamente ponderata e analizzata.” - Il Vom Kriege di Carl von Clausewitz (1832): - Strategia (“guerra sulla carta”) v. realtà della guerra - “Frizione” (incertezza) e “nebbia della guerra” (flussi di informazione incompleti) - “Genius” - John von Neumann e Oskar Morgenstern: Teoria dei Giochi (1944) - Un approccio rivoluzionario: “giocatori,” obiettivi, scelte, relazione tra scelte e risultati - La strategia come piano d’azione “completo” (in un “gioco” a somma zero o positiva) - I premi Nobel: John Nash, Reinhard Selten, John Harsanyi, Thomas Schelling, Robert Aumann, Leonid Hurwicz, Eric Maskin, Roger Myerson, Al Roth, Lloyd Shapley… © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Alcuni nomi importanti La mano invisibile di Adam Smith e la mano visibile di Alfred Chandler « la determinazione degli obiettivi fondamentali di lungo periodo di un'impresa unitamente all'adozione di un adeguato insieme di azioni e all'allocazione delle risorse necessarie per raggiungere tali obiettivi» Frederick Taylor: il padre del management come «scienza» Chester Barnard: fare attenzione ad elementi strategici, che dipendono dall’azione “personale ed organizzativa” Peter Drucker: l’impresa non è solo in balia dell’ambiente economico, ma può influenzarlo con la pianificazione formale Edith Penrose: le risorse e come vengono amministrate Michael Porter: ne parleremo… Ronald Coase: mercati e impresa Oliver Hart: il problema dei confini © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Il potere dei principi: una prospettiva storica Capitolo Primo © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 L’obiettivo del libro… … individuare i principi economici generali della strategia d’impresa… I principi possono aiutare i manager ad ottenere miglioramenti immediati adattando la strategia dell’impresa all’ambiente economico… + ambiente sociale e ambiente fisico Le condizioni dell’ambiente cambiano nel corso del tempo, a volte in modo graduale altre in modo repentino. Munito di una serie di principi generali, il manager può adeguare con successo la strategia economica della propria impresa a un ambiente in continua trasformazione. … e una breve analisi storica lo dimostrerà (dice il libro….) © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Fare business nel 1840 Aziende di piccole dimensioni e organizzazione informale Assenza di moderne infrastrutture Trasporti: lo sviluppo delle ferrovie rimpiazza i carri trainati dai cavalli e il trasporto fluviale. Comunicazioni: i limiti del servizio postale pubblico e l’avvento del telegrafo, ancora troppo caro e rischioso per le piccole imprese dell’epoca. Finanza: l’assenza di infrastrutture finanziarie e la conseguente impossibilità di procurarsi il capitale per investire in progetti più ampi (I858: nasce il primo mercato dei futures per ridurre il rischio di fluttuazione dei prezzi). Tecnologia di produzione: l’assenza di innovazione tecnologica. Stato: il governo degli Stati Uniti inizia ad essere attivamente coinvolto nel mondo degli affari solo a fine Ottocento (1887: nasce la Commissione Interstatale del Commercio. 1890: viene promulgato lo Sherman Antitrust Act). © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Fare business nel 1910 L’evoluzione delle infrastrutture e della tecnologia determina la rapida evoluzione del mercato Si sviluppano tecnologie di produzione di massa. Si producono beni a costi più bassi, ma solo una produzione sufficientemente rilevante giustifica l’espansione della capacita produttiva. Combinazione di economie di scala e volumi di produzione: costi inferiori per il consumatore. Verso l’integrazione verticale e orizzontale. L’aumento della complessità delle operazioni di multi-produzione impone la diffusione dell’organizzazione multi-settoriale o M-form. L’impiego di più persone in operazioni più complesse e interconnesse: la gestione scientifica del lavoro (Frederick W. Taylor). Nasce il manager di professione. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Le condizioni dell’attività economica nel 1910… Tecnologia di produzione: diffusione dei processi di produzione di massa (l’esempio di Henry Ford) e della tecnologia di produzione management services (macchine da scrivere, etc.). Trasporti: le ferrovie dominano il mondo dei trasporti passeggeri e merci, viaggiare diventa più rapido, sicuro e affidabile. Comunicazioni: nel 1876 viene inventato il telefono, nel 1883 AT&T fonde le compagnie telefoniche locali in una compagnia nazionale in grado di mettere in contatto un numero maggiore di persone e il telefono sostituisce il telegrafo come tecnologia preferita per le comunicazioni. Finanza: sistematizzazione e circolazione delle informazioni sul credito, disponibilità del credito rateale e sviluppo delle infrastrutture per le comunicazioni determinano lo sviluppo di infrastrutture finanziarie. Elaborazione di metodi di contabilità più raffinati e trasparenti (1886: nasce l’American Association of Public Accountants). Stato: aumenta l’attività di regolamentazione e lo Stato diventa cliente e partner dell’industria soprattutto attraverso le spese militari e nell’attività edilizia. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Fare business «oggi» Il declino delle gigantesche imprese integrate verticalmente: dopo la seconda guerra mondiale aumenta la diversificazione … … le imprese vengono gestite come holding, lasciando le decisioni strategiche e operative alle singole strategic business unit. Negli anni Sessanta tendenza alla deconglomerazione, focalizzandosi sui mercati centrali d’impresa e promuovendo i collegamenti tra le singole unita d’affari. Oggi la strategia di diversificazione prende la forma di alleanze strategiche e joint venture, fusioni e acquisizioni. Il superamento della M-form: complesse strutture a matrice mantenendo il controllo sul design dei prodotti e sul marchio, ma decentrando molte altre funzioni. Una catena del valore «globale». © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Le moderne infrastrutture: cresce l’interdipendenza dei mercati locali e si accentuano i costi dei fallimenti infrastrutturali… Trasporti: la rivoluzione dell’automobile, l’aumento del traffico aereo, i container. Migliora il coordinamento dei trasporti via aria, terra e mare e maggiore diventa l’affidabilità del trasporto sulle lunghe distanze. Comunicazioni: lo sviluppo delle moderne tecnologie e la possibilità della simultanea trasmissione e ricezione di un gran quantitativo di complesse informazioni a grandi distanze, creando il mercato globale. Finanza: la deregolamentazione dei servizi finanziari degli anni Settanta e Ottanta cambia il ruolo del settore finanziario nelle infrastrutture economiche. La pronta disponibilità di grossi fondi di investimento favorisce fusioni e acquisizioni (M&A). Tecnologia di produzione: l’informatizzazione della progettazione e della produzione (Industria 4.0). Stato: Vengono conclusi trattati e accordi intergovernativi per favorire lo sviluppo di grandi bacini commerciali per il libero scambio, come ad esempio il NAFTA o l’UE. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Tre differenti dimensioni: 1. La coerenza dei principi economici (non mutano: vengono dalla teoria economica incentrata sul principio dell’efficienza / niente sprechi) 2. Cambiamenti ambientali (continui) 3. Le strategie di adattamento (necessarie per sopravvivere) 1. Una strategia di successo risulta dall’applicare linee di principio coerenti in un contesto in cui le condizioni dell’ambiente economico cambiano continuamente ➔ L’approccio del libro: un «nocciolo duro» di principi che sono sempre utili. 2. Le condizioni di mercato e le infrastrutture disponibili condizionano il modo di gestire gli affari e le scelte strategiche che i manager possono fare. 3. Osservare i principi non significa applicare delle semplici «routine»… ma gi approcci all’adattamento sono diversi (dagli «iper-razionalisti» agli «iper-limitisti») Organizzare lo studio della strategia intorno a «principi» permette di comprendere perché certe strategie, certe pratiche o certe strutture organizzative sono appropriate in certe condizioni mentre in altre non lo sono. Se questi principi vengono applicati con giudizio, i manager potranno aumentare le possibilità di successo adattando le strategie aziendali all’ambiente in cui competono. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Le nuove realtà (da Kotler, Keller e Chernev) Le forze di mercato che modellano le relazioni tra le diverse entità di mercato (produttori e consumatori, principalmente) I risultati che derivano dall'interazione di queste forze L'emergere del marketing olistico come approccio essenziale per avere successo in un mercato in rapida evoluzione Il marketing come scienza del «come si sta sul mercato» «Comunicazione» e «pubblicità» sono la parte più «chiacchierata», ma c'è molto di più nel marketing. Le nuove realtà Le principali forze di mercato Tecnologia Globalizzazione Ambiente (cambiamento climatico, COVID-19) Responsabilità sociale Risultati Nuove capacità per i consumatori Possono utilizzare le risorse online come aiuto informativo e di acquisto Possono cercare, comunicare e acquistare in movimento Possono attingere ai social media per condividere opinioni ed esprimere lealtà Possono interagire attivamente con le aziende Possono rifiutare le comunicazioni che trovano inappropriato o fastidioso Possono estrarre più valore da ciò che già possiedono Risultati Nuove capacità aziendali Internet come un potente canale di informazione e vendita, anche per merci differenziate individualmente (mass customization) Raccogliere informazioni su mercati, clienti, potenziali clienti e concorrenti Raggiungere i clienti in modo rapido ed efficiente tramite social media e mobile marketing, inviando annunci, coupon e informazioni mirate Può migliorare gli acquisti, il reclutamento, la formazione e le comunicazioni interne ed esterne Può migliorare l'efficienza dei costi Risultati Nuovo ambiente competitivo Deregolamentazione Privatizzazione Trasformazione del retail Disintermediazione Private label (Amazon Basics, Coop) Mega-marchi (diversificazione) Cos'è il marketing olistico? Marketing delle relazioni mira a costruire relazioni a lungo termine reciprocamente soddisfacenti con i portatori di interesse chiave (gli stakeholder) al fine di mantenere un vantaggio competitivo Marketing delle relazioni: con chi? Clientela Personale Partner di marketing Comunità finanziaria Governi Opinione pubblica … Marketing delle relazioni Il risultato finale del marketing relazionale è una risorsa aziendale unica chiamata rete di marketing l'azienda e gli stakeholder con i quali ha costruito relazioni commerciali reciprocamente redditizie. James March la definisce una "coalizione" Marketing Integrato Coordinare tutte le attività e i programmi di marketing e indirizzarli verso la creazione, la comunicazione e la fornitura di valore Marketing Interno Il compito di assumere, formare e motivare dipendenti capaci che vogliano servire bene i clienti Marketing della performance Impatto economico Impatto ambientale Impatto sociale Domande di fine capitolo 1, 2, 3, 8. I confini orizzontali dell’impresa Capitolo Secondo © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 ECONOMIE DI SCALA e SCOPO… …fattori determinanti della struttura del mercato e della possibilità di entrata nello stesso dei confini orizzontali di un'impresa, identificando la quantità e varietà di beni e servizi prodotti. La comprensione delle fonti delle economie di scala e di scopo è essenziale per formulare una strategia competitiva. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 DEFINIZIONI 1. Economie di scala il processo di produzione di un determinato bene o servizio presenta economie di scala su un certo intervallo di produzione quando il costo medio (o costo unitario del prodotto) diminuisce entro quell’intervallo. il costo medio diminuisce con l’aumentare della produzione, se il costo marginale (o costo medio dell’ultima unità prodotta) è inferiore al costo medio. se il costo medio aumenta, il costo marginale deve essere superiore e si parlerà di diseconomie di scala. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 …curva del costo medio = relazione tra costo medio e quantità prodotta. Ipotesi: forma a U il costo medio scende e poi aumenta La parte decrescente è determinata dalla suddivisione dei costi fissi su più elevati livelli di produzione *i costi fissi sono insensibili al volume di produzione, trattandosi di spese che vanno sostenute comunque, a prescindere dalla produzione totale* La parte crescente può essere determinata da vincoli nel breve periodo (per esempio, non si ha il permesso di espandere il proprio capannone) © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Ipotesi forma ad L i costi medi calano fino a raggiungere la dimensione ottima minima (DOM), poi restano invariati o aumentano solo leggermente. Quando le curve dei costi medi sono a forma di L, tutte le imprese che operano al livello della DOM presentano costi medi simili © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 DEFINIZIONI 2. Economie di scopo Esistono se l’impresa riesce a risparmiare grazie alla varietà dei beni e dei servizi che produce; CT (Qx, Qy): costo totale richiesto a una singola impresa per la produzione di Qx unita del bene X e Qy unita del bene Y un processo produttivo presenta economie di scopo se: CT (Qx, Qy) Acquisizione non produce risultati => Perdita di valore dell’impresa di cui Rossi è AD => Rossi va a casa © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Una questione spinosa: il rendimento delle imprese diversificate La storia d'impresa mostra dei cicli: si alternano fasi di conglomerizzazione ("facciamo molte cose") seguite da fasi di deconglomerizzazione ("concentriamoci su meno attività") * L’affascinante fenomeno dei Leveraged Buyouts (LBOs) negli anni ’80* Laddove la diversificazione è efficace, si basa su economie di scopo fra linee di prodotto o servizi collegate in termini di tecnologia o di mercato (alto fit) Le imprese più diversificate non hanno dato risultati soddisfacenti e sono state spesso svendute. Troppo semplice concludere che « la diversificazione a volte funziona e a volte no »: non è una lotteria. Diversificare o no? « sì, ma solo se ha senso dal punto di vista economico » © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Domande di fine capitolo: 3, 7, 8, 9, 11, 14 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 I confini verticali dell’impresa Capitolo Terzo © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 La catena verticale Modalità di organizzazione della produzione, distribuzione e vendita dei prodotti finiti e dei servizi La gestione della catena verticale è uno dei nodi centrali della strategia aziendale. E’ preferibile un’unica azienda che organizzi al suo interno tutte le attività … … o meglio contare su diverse imprese indipendenti che interagiscono attraverso il mercato? I confini verticali di un’impresa definiscono le attività che l’impresa svolge in proprio, contrapposte a quelle che vengono affidate a imprese indipendenti sul mercato. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Produrre «in proprio» o acquistare: la scelta make-or-buy “Make:” l’impresa svolge l’attività in proprio, all’interno dei propri «confini» “Buy:” l’impresa affida l’attività in questione a un’altra impresa indipendente che lavora sotto contratto, fuori dai suoi «confini» Anche svolgere l’attività in proprio significa stipulare contratti: ma il contratto di lavoro subordinato è sui generis… Spiegate perché…. Ronald Coase: nessuna delle alternative (make o buy) è superiore! ➔ Una questione di minimizzazione dei costi di ogni scelta Ma notate che make e buy sono due estremi di un continuum di possibilità: © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 A monte, a valle In una economia le merci scorrono lungo una catena verticale - dalle materie prime e dai componenti (a monte) - ai prodotti finiti (a valle), attraverso la distribuzione e la vendita al dettaglio. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Costi e benefici dell’uso del mercato in contrapposizione allo svolgimento in proprio delle attività: © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Convinzioni erronee legate alla decisione make-or-buy 1.Le imprese dovrebbero produrre un bene, anziché comprarlo, se quel bene costituisce un vantaggio per la competitività dell’azienda. ➔ Ma se il bene è più economico sul mercato… perché non comprarlo? 2.Le imprese dovrebbero acquistare, anziché produrre, per evitare i costi della produzione. ➔ è vero solo se l’impresa non può mai svolgere un’attività a costi inferiori rispetto a quelli di mercato. ➔ Ma se è così, come fa l’impresa a creare valore? ➔ Esempio: Nike non «fa» granchè. Eppure macina profitti. Come? 3.Le imprese dovrebbero produrre, anziché acquistare, per evitare di pagare un margine di profitto ad altre imprese indipendenti… ➔ salvo che potrebbe essere molto difficile essere «bravi» come l’impresa di mercato: mancanza di risorse e capacità 4.Le imprese dovrebbero produrre, anziché acquistare, perché un’impresa verticalmente integrata potrà evitare di pagare prezzi di mercato elevati per gli input nei periodi di forte domanda o di scarsa fornitura…[ovvero, se “fai,” elimini l’incertezza, perchè fai tu, non altri] ➔ Ma… se l’impresa vuole ridurre i rischi provenienti dalla catena verticale, il mercato fornisce molte soluzioni: assicurazione, contratti futures… ➔ ….Ovvero è possibile «make or buy» la riduzione dell’incertezza ➔ L’integrazione è una soluzione estrema al problema e molto «rischiosa» © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Convinzioni erronee legate al make-or-buy 5.Le imprese dovrebbero produrre, anziché acquistare, per «presidiare» un canale di distribuzione (vertical foreclosure): a) Un'impresa monopolista a valle acquista un'impresa a monte e rifiuta di comprare da altri fornitori a monte. b) Un'impresa monopolista a monte acquista un’impresa a valle e rifiuta di rifornire altre imprese a valle. c) Un'impresa competitiva a valle acquista un'impresa monopolista a monte la quale rifiuta di rifornire i suoi concorrenti a valle. d) Un'impresa competitiva a monte acquista un'impresa monopolista a valle la quale rifiuta di rifornirsi dai suoi concorrenti a monte. Tutti i tentativi di estendere la monopolizzazione lungo la catena verticale danno l’impressione di un aumento dei profitti. Ma… ➔ Acquisire imprese costa… ➔ L’antitrust vigila… ➔ I competitori possono costruire nuovi canali… ➔ Da ogni anello della catena verticale non si può ottenere più di un certo profitto «massimo» (quello di monopolio): la vertical foreclosure non moltiplica pani e pesci [dottrina di Chicago] MA….ci sono situazioni in cui la foreclosure può risultare redditizia: permette ai monopolisti di proteggere i propri profitti (esempio b.: inputs solo all’impresa a valle acquisita) © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie dimpresa, Isedi, 2013 PERCHE’ ACQUISTARE? Ogni impresa dovrebbe concentrarsi su quelle attività che le riescono meglio e lasciare tutto il resto alle imprese di mercato (logica di specializzazione o vantaggi comparati, «gains from trade») Le imprese di mercato possono detenere informazioni riservate, o brevetti, che consentono loro di produrre a costi inferiori Le imprese di mercato possono aggregare la domanda di molte imprese, approfittando così delle economie di scala. Le imprese di mercato possono sfruttare la propria esperienza produttiva a favore di molte imprese, ottenendo cosi economie di apprendimento. Per l’impresa che compra, comprando da un’impresa di mercato si eliminano i costi della burocrazia © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 PERCHE’ ACQUISTARE? Gli effetti della burocrazia: evitare i costi di agenzia (1) e di influenza (2) 1.Costi di agenzia Costi associati allo shirking e ai controlli amministrativi per evitarlo… …per evitare che manager e i lavoratori, consapevolmente, non agiscano per il bene della propria impresa, sottraendosi ai propri doveri. Ricompensare manager e lavoratori in base al profitto che il loro lavoro fa fruttare all’impresa limita i costi di agenzia… …ma è più facile a dirsi che a farsi. L’assenza di una concorrenza di mercato + la difficoltà di misurare le prestazioni della singola divisione, rendono difficile alla direzione generale conoscere se un centro di costo opera al meglio relativamente alle sue potenzialità. A sua volta, questo dà ai manager dei centri di costo la liberta di attuare comportamenti di shirking. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 PERCHE’ ACQUISTARE? 2.Costi di influenza La direzione generale di un’impresa si trova di fronte a un dilemma: come distribuire il proprio scarso capitale tra i molti progetti potenzialmente degni di attenzione? La risposta si trova valutando le proposte con i dirigenti delle divisioni e dei reparti, i quali si trovano in una posizione migliore per comprendere punti di forza e debolezza dei vari progetti. …questo, però, può creare un conflitto di interessi. ➔ pressione perché le risorse siano indirizzate alla propria divisione Si possono ridurre i costi di influenza evitando di legare paga a performance … Ma eliminare gli incentivi può ridurre lo sforzo e i profitti! © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 PERCHE’ PRODURRE INTERNAMENTE? Le transazioni tra le imprese di mercato possono creare seri problemi per la redditività di tutte le imprese della catena verticale… …le imprese di mercato hanno elevati incentivi per massimizzare i propri profitti, senza preoccuparsi di quelli dei propri partner. Si possono però definire dei contratti volti a penalizzare le imprese di mercato che mirano solo al raggiungimento dei propri interessi, favorendo invece quelle che contribuiscono a migliorare i profitti dei propri partner commerciali. …ma non è facile scrivere e applicare questo tipo di contratti © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 CONTRATTI COMPLETI e INCOMPLETI Un contratto completo escluderebbe ogni comportamento «opportunistico» («scaltro») in quanto definisce le responsabilità e i diritti di ciascuna delle parti in ogni eventualità che possa verosimilmente insorgere durante la transazione. ➔ Nessuno consente in un contratto ad essere abusato! Un contratto di lavoro completo escluderebbe la possibilità di shirking. Nel caso di contratti completi, la scelta tra make e buy è irrilevante: stessi esiti («teorema di Coase»). Ma nella realtà tutti i contratti stipulati sono incompleti: non abbastanza dettagliati e ambigui. Perché: razionalità limitata; difficolta di specificare o valutare la performance; informazione asimmetricamente distribuita tra i firmatari del contratto. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 CONTRATTI COMPLETI e INCOMPLETI Il ruolo della legislazione sui contratti Un diritto contrattuale ben sviluppato rende possibile uno svolgimento senza intoppi delle transazioni anche quando i contratti sono incompleti. Le clausole contrattuali e i rimedi giudiziari in caso di inadempienza non sono il modo migliore per dissuadere un’impresa dal mettere in atto comportamenti opportunistici («ti faccio causa…») Se le inefficienze derivanti dal comportamento opportunistico sono gravi, è meglio limitare l’opportunismo con l’integrazione verticale, cioè produrre anziché acquistare. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Il coordinamento dei flussi di produzione attraverso la catena verticale: un caso delicato I manager ai diversi livelli della catena verticale devono spesso prendere decisioni complementari… … senza un buon coordinamento, possono verificarsi strozzature. Le imprese non possono contare sui contratti (incompleti) per assicurare un adeguato coordinamento nel campo dei design attributes © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Il coordinamento dei flussi di produzione attraverso la catena verticale: continuazione Le imprese potrebbero redigere dei contratti per costringere i propri partner commerciali a prendere precauzioni al fine di evitare strozzature… …. ma un contratto incompleto potrebbe non offrire una protezione sufficiente per processi innovativi. Quando il coordinamento dei design attributes è essenziale per la produzione, l’integrazione può evitare strozzature. …l’incubo di Boeing: il 787 Dreamliner © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Un altro caso delicato: FUGA DI INFORMAZIONI RISERVATE Quando le imprese usano il mercato per ottenere forniture o distribuire prodotti, rischiano di perdere il controllo di informazioni riservate preziose. Brevetti ben definiti e ben protetti permettono a organizzazioni di affidare all’esterno attività, dalla produzione al marketing, senza compromettere la proprietà intellettuale che costituisce la loro principale fonte di vantaggio competitivo. Tuttavia, i brevetti hanno dei problemi per ragioni simili a quelle per cui i contratti sono incompleti: razionalità limitata e difficoltà a specificare quanto coperto dal brevetto. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 1. Attività ad elevata specificità Se la transazione comporta attività specifiche, le parti in causa non possono cambiare partner commerciale senza andare incontro a una diminuzione del valore delle attività stesse. Le quattro forme che può assumere la specificità dell’attività: specificità localizzativa; specificità del capitale fisico; attività dedicate; specificità del capitale umano. Quando gli investimenti specifici sono ormai stati realizzati, i contraenti hanno ben pochi partner possibili: i profitti sono determinati dalla contrattazione bilaterale e la relazione passa da una situazione di concorrenza tra molti a una contrattazione tra pochi. … la trasformazione fondamentale di Oliver Williamson. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 2. Rendite e quasi rendite La trasformazione fondamentale ha conseguenze significative per l’economia della contrattazione fra compratore e venditore, che a sua volta influenza i costi delle transazioni. Per investire in un’attività, un’impresa deve aspettarsi rendite positive (profitto). Ma per quale motivo è importante la quasi-rendita? Un’attività ad alta specificità genera quasi-rendite. In una transazione caratterizzata da attività specifiche la quasi-rendita equivale al profitto extra che un’impresa ottiene quando destina le attività ad alta specificità all’uso previsto e la transazione procede secondo le aspettative in contrapposizione alla destinazione di queste attività (specifiche) a una soluzione alternativa di ripiego (l’opzione «esterna»). Esempio numerico nel libro. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 3. Holdup Problem o problema del «ricatto» Quando una delle parti «guadagna» quasi-rendite può essere ricattata dal suo partner commerciale nella fase di rinegoziazione (quando la situazione non prevista dal contratto si presenta) Quando questo accade, il partner «espropria» l’altro e trasferisce a sé parte delle quasi-rendite! La tentazione dell’holdup è particolarmente allettante quando i contratti sono fortemente incompleti, poiché è difficile dimostrare la violazione del contratto… Il rischio di holdup quando si sceglie il «buy» aumenta i costi della transazione di mercato, al punto che potrebbe essere meglio «fare»… Spieghiamolo meglio… © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 La mera possibilità del “ricatto” fa salire il costo delle transazioni di mercato 1. trattative più difficili per la stipula dei contratti e rinegoziazioni più frequenti; 2. investimenti «di salvaguardia» per migliorare ex post le posizioni di contrattazione; 3. Sfiducia / ridotta cooperazione ex post; 4. riduzione degli investimenti ex ante in attività ad alta specificità. Oliver Hart (premio Nobel 2016): a causa dell’incompletezza dei contratti, la possibilità di raggiungere un livello di investimenti ottimale all’interno dei contratti è preclusa. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 L’ALBERO DELLE DECISIONI: produrre o acquistare, il processo decisionale del manager. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Esercizi 3, 5, 10, 11, 13 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 L’analisi dell’industria Capitolo Ottavo © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Due prospettive 1. L’impresa e le sue strategie 2. L’industria in cui l’impresa opera É plausibile che l’appartenenza ad un certa industria determini bassi profitti a prescindere del posizionamento strategico dell’impresa? Molto probabilmente no… pensate all’industria delle linee aeree! Ma ci sono alcune caratteristiche dell’industria che non possono essere ignorate. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Effettuare un’analisi dell’industria attraverso il modello delle cinque forze di Porter ➔ Molta «economia» in ciascuna forza © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 SCHEMA DELLE CINQUE FORZE 1.Concorrenza interna (attenzione a cos’è interno vs. sostituto) Le condizioni che tendono a intensificare la concorrenza di prezzo e abbassare i profitti: la presenza di molti venditori sul mercato; l’industria è stagnante o in declino; le imprese hanno costi differenti; capacità produttiva in eccesso; i prodotti sono indifferenziati/gli acquirenti hanno bassi costi di approvvigionamento alternativo; i prezzi e le condizioni di vendita non sono osservabili (rallenta i tempi di risposta dei rivali) /i prezzi non possono essere modificati rapidamente; commesse di grandi dimensioni, poco frequenti; l’industria non usa pratiche agevolanti né ha una storia di prezzi cooperativi; forti barriere all’uscita; l’elasticità della domanda dell’industria rispetto al prezzo è alta (piccoli tagli di prezzo risultano in forti nuove vendite). © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 SCHEMA DELLE CINQUE FORZE 2.Entrata …erode i profitti delle imprese esistenti. Situazioni che influiscono sulla minaccia di entrata: la produzione è caratterizzata da significative economie di scala/la dimensione ottima minima è elevata rispetto alle dimensioni del mercato; protezione pubblica delle imprese esistenti; i consumatori attribuiscono grande valore alla reputazione/i consumatori hanno un’elevata fedeltà alla marca; accesso a input critici, fra cui know-how tecnologico, materie prime, distribuzione e localizzazioni; curva di apprendimento; aspettative sulla concorrenza post entrata. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 SCHEMA DELLE CINQUE FORZE 3.Prodotti sostituti e complementari I prodotti sostituti erodono i profitti a causa della loro entrata potenziale nell’industria, sottraendo fatturato e intensificando la concorrenza interna. I prodotti complementari accrescono invece la domanda del prodotto in questione, migliorando le opportunità di profitto per l’intera industria. I fattori da considerare nel valutare i prodotti sostituti e quelli complementari: disponibilità di prodotti sostituti e/o complementari stretti; caratteristiche di prezzo-valore dei prodotti sostituti e/o complementari; elasticità della domanda dell’industria rispetto al prezzo (quando il prezzo cambia, cosa succede alla quantità domandata di tutti i beni dell’industria?). © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 SCHEMA DELLE CINQUE FORZE 4. e 5. Il potere del fornitore e il potere del compratore la capacità dei fornitori (a monte) e dei compratori (a valle) di negoziare ed estrarre profitti dall’impresa. Nel valutare il potere del fornitore e del compratore è opportuno considerare i seguenti fattori: competitività nel mercato dell’input; la concentrazione relativa dell’industria in questione e di quelle a monte e a valle; volume di acquisti delle imprese a valle; disponibilità di input sostituti; investimenti a elevata specificità di impiego da parte dell’industria e dei suoi fornitori (hold- up); minaccia di integrazione a valle da parte dei fornitori; capacità dei fornitori di discriminare i prezzi. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Cosa manca.. - I gusti dei compratori - L’autorità pubblica. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Cooperazione, concorrenza e rete del valore A. Brandenburger e B. Nalebuff in Coopetition individuano una debolezza dello schema di Porter: ponendosi dal punto di vista di una singola impresa, Porter tende a considerare tutte le altre, siano esse concorrenti, fornitrici o clienti, come minacce ai profitti, come se gli affari fossero un gioco a somma zero o addirittura a somma negativa. Per Brandenburger e Nalebuff, le relazioni tra imprese possono anche accrescere i profitti… Il concetto di rete del valore (value net) contrappeso alle cinque forze di Porter fornitori, clienti, concorrenti e complementers Questo approccio non sostituisce, ma si affianca a quello delle cinque forze: un’analisi completa delle cinque forze dovrebbe considerare tanto le minacce quanto le opportunità create da ciascuna delle cinque forze. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 L’applicazione delle cinque forze: analisi di alcune industrie Analisi dettagliata di due industrie: La costruzione di aerei commerciali Società di ricerca e selezione del personale © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Esercizi DPD1, DPD2 D1 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Posizione strategica e vantaggio competitivo Capitolo Nono © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Nella stessa industria, le imprese possano seguire strade molto diverse per essere competitive… Strumenti per analizzare la posizione strategica delle imprese nell’ambito del settore di appartenenza: 1.Il concetto di vantaggio competitivo 2.Posizione strategica: leadership di costo e differenziazione 3.Analisi degli elementi base dei costi e dei benefici. 4.Strategie di ampia copertura contro strategie di focalizzazione © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 IL CONCETTO DI VANTAGGIO COMPETITIVO: INTRODUZIONE Quando un’impresa consegue un tasso di profitto più elevato della media dei concorrenti che operano nello stesso mercato, essa gode di un vantaggio competitivo in quel mercato. Un’impresa ottiene un vantaggio competitivo creando e distribuendo un maggiore valore economico Capitolo 8 rispetto ai rivali e impossessandosi di una porzione di questo valore sotto forma di profitti. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Concetti: massima disponibilità a pagare e surplus del consumatore Massima disponibilità a pagare (massimo beneficio percepito o massimo «valore» ipotizzato, B): prezzo al quale il consumatore è indifferente tra l'acquisto del prodotto e il non acquisto ➔Notare che non è detto che si sia in grado di pagare B (disponibilità a pagare ≠ abilità di pagare) ➔Surplus del consumatore (B-P): la differenza tra la massima disponibilità a pagare e il prezzo di mercato prevalente Le basi del comportamento del consumatore Il surplus del consumatore deve essere positivo affinché si verifichi l'acquisto. Se c'è una scelta tra due o più prodotti, il consumatore sceglierà quello con il maggior surplus. Quando un'impresa non riesce a offrire tanto surplus del consumatore quanto i suoi concorrenti, le sue vendite diminuiranno. Concorrenza nel continuum qualità- prezzo Un'impresa può aumentare il surplus dei consumatori (B-P) aumentando il beneficio percepito (B▲) o abbassando il prezzo (P▼), o entrambe Quando i prodotti differiscono in termini di qualità, le imprese concorrenti offrono combinazioni qualità- prezzo. La mappa delle curve del valore I punti sulla curva del valore rappresentano combinazioni qualità- prezzo con lo stesso surplus del consumatore La pendenza della curva riflette il compromesso tra prezzo e qualità che i consumatori sono disposti a fare Curva ripida: clienti pronti a pagare molto di più per vantaggi extra (ad es. funzionalità extra) Curva piatta: i clienti non sono pronti a pagare molto di più per extra funzionalità © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Curve di indifferenza e compromesso tra prezzo e qualità Valore creato B = Massima disponibilità a pagare P = Prezzo del prodotto C = Costo di realizzazione del prodotto (dipende dagli input) Valore creato = B – C = (B - P) + (P - C) Valore creato = Surplus del consumatore + Surplus del produttore Se B – C non è positivo, il prodotto non crea valore positivo sociale netto (e probabilmente non sarà sul mercato) Se B - C è positivo, tutte le parti stanno meglio perché il prodotto è stato prodotto e venduto (win-win, gains from trade, la messa in commercio del bene in questione ha una giustificazione in un sistema di libero scambio) VALORE CREATO © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Creazione di valore e segmenti di mercato La creazione di valore avviene rispetto a particolari clienti, e in un certo contesto (spazio e tempo) Un'impresa può avere successo nel creare B - C positivi in un segmento ma non in un altro segmento. Pensate alle possibili cause… Valore creato e redditività Per ottenere un vantaggio competitivo, un'impresa deve avere maggiore redditività rispetto ai suoi concorrenti. I consumatori chiederanno all'impresa (almeno) lo stesso surplus che possono ottenere dai suoi concorrenti. Se, raggiunta la parità di surplus del consumatore, l’azienda riesce a fare più profitti dei concorrenti, allora abbiamo un vantaggio competitivo Come? Uno strumento molto utile: la catena del valore (M. Porter) L’IMPRESA COME UNA SERIE DI ATTIVITÀ CHE AGGIUNGONO VALORE © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 La catena del valore (value chain) Ogni attività nella catena del valore può potenzialmente aumentare i benefici percepiti. Ogni attività aumenta anche i costi. In pratica è difficile isolare il beneficio incrementale percepito e il costo incrementale di ciascuna attività. Analisi del valore aggiunto/1 Uno strumento per identificare dove avviene la creazione di valore lungo la catena del valore. Per stimare il valore incrementale per ciascuna parte della catena del valore, abbiamo bisogno dei prezzi di mercato dei semilavorati e dei prodotti finiti. Analisi del valore aggiunto/2 ➔Tipicamente, molto valore aggiunto «a valle»: «marketing» (comunicazione, distribuzione, packaging) ➔Poco valore aggiunto nella fornitura e lavorazione delle materie prime ➔Un problema se le attività «a monte» sono concentrate nel Sud Globale (Global Value Chains) ANCORA SULLE FONTI DEL VANTAGGIO COMPETITIVO Creazione del valore, risorse e capacità Due modi in cui un’impresa può raggiungere il vantaggio competitivo in un settore: 1. può configurare la sua catena del valore in modo diverso dai suoi concorrenti 2. può creare un valore economico superiore configurando la sua catena del valore in modo molto simile ai suoi concorrenti, ma svolgendo le attività all’interno della catena in modo più efficiente rispetto a loro Per (2), servono risorse e capacità distintive, che i concorrenti non hanno: - risorse specializzate (brevetti, marchi affermati, ecc.) - le capacità sono attività della catena che un'azienda può svolgere meglio dei suoi rivali. -> valide e utilizzabili per molti prodotti e mercati -> radicate nelle « routine organizzative » o nella «cultura aziendale», tacite e difficilmente riducibili a semplici algoritmi o procedure… -> … quindi difficili da copiare! © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 POSIZIONE STRATEGICA: leadership di costo e differenziazione Strategie generiche di Porter: come un’impresa si posiziona per competere nel mercato all’interno del quale opera? © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 1. POSIZIONE STRATEGICA: la logica della leadership di costo L'azienda F offre una qualità inferiore rispetto al resto del settore (E) e ha costi inferiori rispetto al resto del settore Se il leader dei costi F raggiunge la parità del surplus dei consumatori con il resto delle imprese del settore, guadagna un margine di profitto più elevato. Ecco perché: CE – C F > P E – PF PF – C F > P E – C E Data la parità del surplus dei consumatori, F ha un margine di profitto più elevato di E pur avendo uno svantaggio di qualità © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 2. POSIZIONE STRATEGICA: la logica della differenziazione La differenziazione dà a un'impresa lo spazio sufficiente per imporre un prezzo più alto rispetto ai concorrenti che hanno qualità e costi più bassi, senza sacrificare i suoi profitti. Se il leader del beneficio F raggiunge la parità del surplus dei consumatori con il resto delle imprese del settore (E), guadagna un margine di profitto più elevato, pur avendo uno svantaggio di prezzo/costo PF – P E > C F – C E PF – C F > P E – C E © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Estrarre profitti attraverso i due vantaggi Quando i prodotti non sono differenziati, l'azienda che ha un vantaggio di costo rispetto ad altre può catturare l'intero mercato ➔Ma potrebbe fare profitti molto bassi… Con la differenziazione dei prodotti, molte aziende possono coesistere (a meno che non ci sia un chiaro «vincitore»: differenziazione «verticale») ➔Con prodotti differenziati «orizzontalmente» (alcuni apprezzano certe caratteristiche, altri no), i clienti non cambiano facilmente quando un'azienda taglia i prezzi. POSIZIONE STRATEGICA: leadership di costo e differenziazione © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Ma … attenzione! Uno schema “statico” Ignora le risposte degli altri players! Una strategia di aumento delle quote di mercato dovuta a debole differenziazione e vantaggio di C guerra dei prezzi, competizione «alla Bertrand», «marginal cost pricing»: nessuno ha veri «vantaggi competitivi» © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 SCEGLIERE UNO DEI DUE «ARCHETIPI COMPETITIVI»: COME? Confronto dei vantaggi di costo e dei vantaggi da differenziazione In quali circostanze vi è la possibilità che una delle due fonti di vantaggio competitivo sia più importante dell’altra? PUNTARE SULLA LEADERSHIP DI COSTO CONVIENE QUANDO: La natura del prodotto limita le possibilità di aumentare il beneficio percepito (una «merce» o commodity, poche possibilità di differenziazione). I consumatori sono sensibili al fattore prezzo e non sono disponibili a pagare di più per un prodotto superiore per qualità, prestazioni o con una migliore immagine. Il prodotto è un bene di ricerca (search good) con caratteristiche tali per cui i suoi pregi possono essere facilmente accertati dal compratore al momento dell’acquisto, senza richiedere l’utilizzo per un periodo più o meno lungo Dunque i prodotti avranno caratteristiche «cospicue» simili © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 PUNTARE SULLA DIFFERENZIAZIONE CONVIENE QUANDO: Il consumatore tipo è disposto a pagare un prezzo sensibilmente maggiore in presenza di caratteristiche che incrementano il beneficio percepito. Le economie di scala o quelle di apprendimento sono fattori rilevanti e le imprese le hanno già sfruttate. Il prodotto è un bene di esperienza (experience good): si richiede l’uso per un certo periodo di tempo per valutare la qualità. In questo caso i clienti guardano all’immagine e alla reputazione, caratteristiche non facilmente imitabili © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 « ESSERE INCHIODATI NEL MEZZO » ? M. Porter: che succede se le imprese tentano di perseguire contemporaneamente entrambe le strategie? ➔ In genere, profitti inferiori. La posizione discordante di Miller e Friesen: ➔ un leader di beneficio potrebbe scendere più rapidamente la curva dell’esperienza e abbassare i costi medi ➔ vantaggio di costo © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 ANALISI DEGLI ELEMENTI BASE DEI COSTI E DEI BENEFICI Il valore dipende dalla differenza tra costi e benefici Elementi base dei costi 1. Elementi che dipendono dalla dimensione, estensione dell’impresa ed esperienza accumulata (economie di scala, di scopo e di esperienza). {cose già note} 2. Elementi indipendenti dalla dimensione, estensione ed esperienza accumulata: - i prezzi degli input e l’arbitraggio nel commercio internazionale (Ghemawat): le Global Value Chains - economie di densità o rete - competenze «di risparmio» - aiuti pubblici e «campioni nazionali» 3. Elementi relativi all’organizzazione delle transazioni (come la catena verticale influenza i costi di produzione, specialmente al crescere delle transazioni). © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 ANALISI DEGLI ELEMENTI BASE DEI COSTI E DEI BENEFICI Elementi base dei benefici 1.Caratteristiche fisiche del prodotto stesso. 2.La quantità e le caratteristiche dei servizi e dei prodotti complementari che l’impresa o i suoi distributori sono in grado di offrire. 3.Caratteristiche associate alla vendita o alla consegna del bene. 4.Caratteristiche che determinano la percezione e le aspettative del consumatore per quanto riguarda le prestazioni del prodotto e il suo costo di utilizzo. 5.L’immagine del prodotto. 6.L’impatto ambientale e sociale del prodotto. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 {potete saltare} © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 POSIZIONAMENTO STRATEGICO: strategie di ampia copertura contro strategie di focalizzazione Dove l’impresa intende creare valore? L’impresa mira alla creazione di valore in un’ampia porzione di mercato, o si focalizza su un insieme più ristretto di segmenti? a matrice di segmentazione del mercato di Porter. Ogni industria è caratterizzata da due dimensioni: la varietà dei prodotti offerti dalle imprese che concorrono in un settore e i diversi tipi di clienti che li comprano. Ogni punto di intersezione tra un certo gruppo di compratori e una certa varietà di prodotti rappresenta un potenziale segmento. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 POSIZIONAMENTO STRATEGICO: strategie di ampia copertura contro strategie di focalizzazione Strategie di ampia copertura: si pone l’obiettivo di servire tutti i segmenti di un certo mercato, offrendo una gamma completa di prodotti. Strategie di focalizzazione: quando un’impresa offre un solo prodotto o si rivolge a un solo segmento di mercato o fa ambedue le cose. ➔Tre tipologie: la specializzazione per tipo di cliente, la specializzazione in un solo prodotto e la specializzazione geografica. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Esercizi 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 14 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Mantenere il vantaggio competitivo Capitolo Undici © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Struttura del mercato e minacce al mantenimento dei profitti La struttura del mercato influenza anche la possibilità per le imprese di mantenere i profitti nel lungo periodo. Ostacoli al mantenimento dei profitti sia nei mercati concorrenziali, sia a concorrenza monopolistica (ossia con differenziazione di prodotto) La «fortuna» può spiegare risultati straordinari ma nel tempo dovremmo osservare un «ritorno alla media» Evidenza sul persistere della redditività nel manufatturiero USA (Mueller): - c’è convergenza ma.. - …non ad una media unica, né a zero Perché? © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 La teoria dell’impresa basata sulle risorse Per conseguire un vantaggio competitivo, un’impresa deve creare più valore dei suoi concorrenti (già noto) ➔ risorse e capacità che derivano dall’utilizzo delle risorse [già visto] Il vantaggio è «mantenibile» («sostenibile») quando persiste nel tempo nonostante l’imitazione e l’entrata di nuovi attori… …e quindi si basa su risorse e capacità «asimmetriche», scarse e poco trasferibili. Un «quid» magico, la marcia in più… … senza il quale mantenere il vantaggio competitivo sarebbe impossibile. Se le risorse necessarie per creare valore sono scarse, le imprese in competizione tra di loro possono fare delle offerte per acquisirle. Il profitto economico aggiuntivo (o la rendita) derivante da quanto acquisito sarà trasferito al nuovo proprietario delle risorse [ma potrebbe costargli!] ➔ Quindi la «mera» scarsità non può spiegare il mantenimento del vantaggio competitivo © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 La teoria dell’impresa basata sulle risorse Un’impresa che possiede risorse scarse può mantenere il proprio vantaggio a condizione che quelle risorse siano anche imperfettamente mobili, ovvero che la risorsa non possa essere facilmente trasferita al miglior offerente. Le risorse imperfettamente mobili sono molte e alcune di esse sono intrinsecamente non trasferibili… Altre risorse, invece, possono essere cospecializzate: acquisiscono un valore maggiore se utilizzate insieme. Meccanismi di isolamento (Rumelt) le forze economiche che limitano la possibilità di riprodurre o neutralizzare un vantaggio competitivo attraverso la creazione di risorse da parte di altre imprese. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 La teoria dell’impresa basata sulle risorse Tipologie di meccanismi di isolamento: 1.Ostacoli all’imitazione: impediscono a imprese esistenti, o a potenziali nuovi concorrenti, di duplicare le risorse e le capacità che costituiscono la base del vantaggio competitivo di un’impresa. 2.Vantaggi della prima mossa: una volta che un’impresa acquisisce per prima un vantaggio competitivo, questi meccanismi di isolamento fanno, nel tempo, incrementare il peso economico del vantaggio acquisito. La differenza tra ostacoli all’imitazione e vantaggi da prima mossa shock………………ostacoli all’imitazione………..vantaggi da prima mossa © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 1. OSTACOLI ALL’IMITAZIONE Quattro tipologie di ostacoli all’imitazione: 1. Restrizioni di carattere legale 2. Migliori possibilità di accesso agli input o ai clienti 3. Dimensioni del mercato ed economie di scala 4. Barriere immateriali all’imitazione delle capacità specifiche di un’impresa: ambiguità causale, circostanze storiche e complessità sociale. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 1. OSTACOLI ALL’IMITAZIONE 1.1 Restrizioni di carattere legale Brevetti, diritti, marchi, controlli pubblici sull’entrata in alcuni mercati, controlli che avvengono attraverso sistemi di licenze, certificazioni, autorizzazioni a operare Si possono comprare e vendere, ma… … Un’impresa che voglia mantenere il proprio vantaggio competitivo attraverso l ’acquisto di un brevetto o di un’autorizzazione a operare, potrebbe trovarsi a dover pagare un prezzo molto salato. L’acquisto della risorsa rischia di tradursi in perdite se l’acquirente non è in grado di utilizzarla come il possessore originario o altri potenziali acquirenti. ➔ Questo richiede una conoscenza superiore su come sia possibile utilizzare al meglio la risorsa, oppure il possesso di risorse complementari scarse che ne accrescano il valore. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 1. OSTACOLI ALL’IMITAZIONE 1.2 Migliori possibilità di accesso ai fattori di produzione o ai clienti Un’impresa che può ottenere input di maggiore produttività o qualità a condizioni più favorevoli rispetto ai concorrenti ha un vantaggio sulle altre. Le imprese possono accedere agli input a condizioni particolarmente favorevoli, o assumendo la proprietà delle fonti di offerta (integrazione verticale), oppure stipulando contratti di lunga durata. Per mantenere i propri vantaggi competitivi possono assicurarsi i migliori canali di distribuzione o i punti di vendita al dettaglio meglio localizzati. N.B. anche contratti che possono dare all’impresa il controllo di risorse scarse o di canali di distribuzione possono essere oggetto a rinegoziazione! Il controllo di risorse scarse, oppure quello dei canali di distribuzione, consente a un’impresa di realizzare un profitto economico superiore a quello dei concorrenti SOLO: - se l’impresa ha acquisito il controllo di quelle risorse prima che altre imprese si siano rese conto del loro valore o siano state in grado di sfruttarle - se l’acquisto è stato «al prezzo giusto» («maledizione del vincitore» nelle aste) © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 1.3 Dimensioni del mercato ed economie di scala L’imitazione diventa più complicata quando la dimensione d’impresa minima per raggiungere un livello accettabile di efficienza risulta troppo grande rispetto alla domanda del mercato e un’impresa detiene già saldamente una elevata quota di quel mercato. Le economie di scala possono anche dissuadere una piccola impresa, già presente nel mercato, dal tentativo di ingrandirsi per poter conseguire quel vantaggio di costo basato sulle dimensioni e già realizzato dall’impresa che detiene la più ampia quota di mercato. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 1.4 Barriere immateriali all’imitazione Ambiguità causale: situazioni in cui le ragioni che consentono a un’impresa di creare più valore rispetto ai suoi concorrenti sono poco chiare e solo parzialmente comprensibili. L’incapacità di distinguere i punti di forza dell’impresa può essere imputata proprio all’ambiguità causale. Dipendenza da circostanze storiche: I concorrenti potrebbero non essere in grado di riprodurre le capacità particolari che sono alla base del vantaggio competitivo di un’impresa poiché la peculiarità di queste capacità è strettamente legata alla storia dell’impresa. Tale storia comprende anche tutte quelle esperienze che le hanno consentito di adattarsi all’ambiente circostante. Complessità sociale: Il vantaggio di un’impresa può risultare non perfettamente imitabile nel caso in cui affondi le sue radici in processi socialmente complessi. In questa categoria vanno annoverate le relazioni interpersonali tra i manager dell’impresa, così come i rapporti tra i manager dell’impresa e quelli delle imprese fornitrici o clienti. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 IMITABILITA’ IMPERFETTA ed EQUILIBRIO DELL’INDUSTRIA L’idea di Rumelt e Lippman… …imprese che risultano operare in un mercato in concorrenza perfetta possano riuscire a mantenere profitti economici nel lungo periodo qualora vi sia una imitabilità imperfetta. Per contro, alcune imprese che generano profitti al di sotto della media potrebbero avere un profitto economico negativo. Funzioni dei costi variabili e marginali medi con imitabilità imperfetta: 5 scenari equiprobabili Profitto atteso dato P=6 è «normale» La concorrenza azzera i profitti complessivi all’interno del settore, ma alcune imprese possono comunque riuscire a prosperare Probabile che le imprese «fortunate» (quelle che ex ante avevano scelto di entrare, e hanno fatto profitti ex post) siano quelle dotate di risorse e competenze non imitabili © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 CREAZIONE DEL VANTAGGIO E DISTRUZIONE CREATRICE Le imprese creano una posizione di vantaggio sfruttando opportunità che altre imprese ignorano o non sono in grado di sfruttare. Cogliere queste opportunità è l’essenza stessa della capacità imprenditoriale, spesso considerata una fonte di scoperte e innovazioni... …ma essa è anche la capacità di dare un seguito pratico alle opportunità che le innovazioni e le scoperte creano. Il capitalismo come un processo evolutivo (Schumpeter): «distruzione creatrice» Periodi di quiete sono intervallati da shock o « discontinuità » che distruggono le vecchie fonti di vantaggio e le sostituiscono con nuove. Gli imprenditori che sfruttano le opportunità che questi shock creano realizzano profitti nel successivo periodo di relativa quiete. Per Schumpeter il processo «creativo» (nuovi prodotti e servizi, nuove tecnologie, nuovi modelli organizzativi) è più interessante del processo che «distrugge» prodotti/tecnologie/modelli esistenti © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 CREAZIONE DEL VANTAGGIO E DISTRUZIONE CREATRICE Tecnologie dirompenti: la lista delle nuove tecnologie che hanno prodotto distruzione creativa in riferimento a mercati consolidati e alle loro imprese dominanti è infinita…… il Dilemma dell’innovatore di Clay Christensen e le tecnologie dirompenti. Le grandi imprese sono davvero destinate a essere sempre più innovative dei loro rivali più piccoli (e quindi destinate a mantenere il loro vantaggio)? Quattro fattori influiscono su questa domanda: 1. l’effetto della produttività nella ricerca (una gara a chi scopre prima); ➔ Essere «grandi» non aumenta la probabilità di scoperta, ma precedenti scoperte potrebbero aiutare: economie di scopo nella R&S. 2. l’effetto dei costi irrecuperabili: la grande impresa potrebbe rimanere «attaccata» ad una tecnologia esistente per i costi irrecuperabili. ➔ Però la grande impresa potrebbe anche avere vantaggi dall’avere già fatto costi irrecuperabili. 3. l’effetto di rimpiazzo: favorisce i nuovi entranti che possono rubare il mercato alla grande impresa (Arrow, Tirole) 4. l’effetto di efficienza: la grande impresa può scoraggiare l'ingresso una volta che si rende conto che ci sono tentativi di sostituzione (difende la sua posizione privilegiata) …La dirompenza contro la teoria dell’impresa basata sulle risorse © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 INNOVAZIONE E MERCATO DELLE IDEE Fondamentale che le innovazioni dell’impresa producano valore sul «mercato delle idee» (Teece). Come? 1. la tecnologia non deve essere facilmente espropriabile 2. le risorse specializzate, così come le abilità di produzione e marketing, devono essere utilizzate in maniera congiunta al prodotto innovativo. L'equilibrio di potere si sposta dall'innovatore alle imprese consolidate se queste due condizioni non sono valide. LA TEORIA EVOLUTIVA E LE CAPACITA’ DINAMICHE (Nelson e Winter) L’economia evolutiva ritiene che le scelte dell’impresa siano determinate dalle consuetudini o dalle routine, ovvero da schemi e modelli ben sperimentati all’interno dell’impresa. Le imprese non cambiano spesso le loro routine, in quanto modificare ciò che ha funzionato bene in passato è un atto « innaturale ». Le capacità dinamiche di un’impresa sono intrinsecamente limitate da path dependency (la storia è importante) e da costi irreversibili/esistenza di risorse complementari, finestre di opportunità (bisogna avere capacità dinamiche «al momento giusto») © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 L’AMBIENTE In Il vantaggio competitivo delle nazioni, Michael Porter afferma che il vantaggio competitivo ha origine nell’ambiente locale in cui opera l’impresa… Il Paese di origine dell’impresa svolge un ruolo critico nel formare la capacità dei manager di percepire nuove opportunità. Il diamante di Porter: quattro caratteristiche del mercato interno di un’impresa che stimolano od ostacolano le capacità di acquisire un vantaggio competitivo nel mercato globale Condizioni dei fattori di produzione (esempio: manodopera specializzata) Condizioni della domanda (avere consumatori «esigenti» nel proprio paese) Fornitori e imprese dell’indotto (support industries: esempio: la pelle per le imprese di scarpe) Strategia, struttura e competizione © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Esercizi 3, 4, 6, 8, 9, 10 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Strategia e struttura Capitolo Tredici © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA: descrive gli accordi formali o informali attraverso i quali un’impresa determina la divisione del lavoro specifica il modo in cui il personale deve prendere le decisioni e facilita il flusso di informazioni a supporto delle operazioni di routine. definisce la natura dei problemi di agenzia all’interno dell’impresa, determinando chi detiene l’autorità per prendere talune decisioni e chi debba controllare il flusso di informazioni. determina se gli obiettivi dei lavoratori siano allineati o meno gli uni con gli altri, se lo siano con gli obiettivi dei dirigenti e se questi ultimi, a loro volta, siano allineati a quelli dei proprietari (e non solo!) Il modo in cui l’impresa si organizza è importante affinché le scelte strategiche abbiano successo. Le imprese devono organizzarsi (e riorganizzarsi) per mantenere le loro risorse e capacità in continua evoluzione all’interno dei contesti sempre più mutevoli in cui tali risorse e capacità debbono essere utilizzate ADATTAMENTO! © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 CONCETTI: Individui, squadre e gerarchie I compiti in un’organizzazione si possono strutturare in vari modi: su base individuale: componenti del gruppo vengono retribuiti in base alle azioni e ai risultati individuali e c’è poca interazione. squadre autogestite: gruppi di individui che lavorano insieme per definire e perseguire obiettivi comuni. I risultati conseguiti dal team dipendono dal lavoro congiunto dei membri, dalla condivisione tra loro delle informazioni e dal coordinamento delle loro azioni. autorità gerarchica: è comune in quasi tutte le organizzazioni complesse e viene introdotta in un team quando un componente del gruppo si specializza nel controllo e coordinamento del lavoro degli altri, compresa la risoluzione delle dispute che possono insorgere tra essi. © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 La gerarchia complessa - > La struttura dell’impresa comporta l’esistenza di molteplici gruppi e di vari livelli gerarchici. In gerarchie complesse sorgono due problemi correlati: 1.La dipartimentalizzazione, o suddivisione in reparti, ovvero l’assegnazione dei lavoratori a sottogruppi diversi (dentro l’impresa) ->Per prodotti, aree geografiche, etc… a. Quale dimensione è appropriata? b. Esistono economie di scopo e scala? Ha senso usare questo criterio di dipartimentalizzazione? c. Che relazioni tra i reparti? 2. Il coordinamento delle attività, sia all’interno dei reparti che fra i reparti, allo scopo di raggiungere gli obiettivi dell’impresa. Due approcci: a. Autonomia (reparti che raramente interagiscono con altri reparti): comuni in imprese conglomerate. -> Centri di profitti o centri di responsabilità b. Relazioni laterali: organizzazione «a matrice» In generale: centralizzazione (gerarchia verticale / piramide) o decentralizzazione (l’organizzazione «piatta»)? © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 TIPI DI STRUTTURE ORGANIZZATIVE Le strutture fondamentali per le grandi organizzazioni sono quattro: 1. La struttura funzionale unitaria o « forma a U » 2. La struttura multidivisionale o « forma a M » 3. La struttura a matrice 4. La struttura a rete © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 TIPI DI STRUTTURE ORGANIZZATIVE 1. La struttura funzionale unitaria o « forma a U »: una sola unità è responsabile di ciascuna delle funzioni economiche fondamentali dell’impresa Una struttura antica Centralizzata Dipartimentalizzazione «funzionale» Poca interazione… © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 TIPI DI STRUTTURE ORGANIZZATIVE 2.La struttura multidivisionale o « forma a M »: una serie di divisioni autonome controllate da una direzione generale coadiuvata da uffici di supporto, che forniscono informazioni sull’ambiente economico interno ed esterno. Le sub-unità che compongono una divisione possono essere reparti organizzati in modo funzionale o anche altre divisioni, composte a loro volta da reparti Williamson e Chandler: la forma a M come risposta ai costi di agenzia della forma U (particolarmente quando le imprese si diversificano) - La forma a M alimenta un mercato interno dei capitali (competizione per risorse): un bene? © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 TIPI DI STRUTTURE ORGANIZZATIVE 3. Strutture a matrice: l’impresa è organizzata su più dimensioni, con una combinazione di più criteri: -> prodotto e funzione, oppure due tipi diversi di divisione trasmettono le informazioni a due diverse gerarchie e hanno due superiori. -> Una struttura «adattiva» per imprese globali (geografia importante, ma magari anche altre dimensioni lo sono…) Come scegliere tra modello a matrice o a M? Baron e Besanko: un modello di struttura ottimale per imprese che affrontano pressioni per organizzarsi su basi diverse (esempio: geografia o prodotto?): Due le considerazioni che determinano la scelta di una struttura: complementarietà o sostituibilità tra le attività che stimolano la domanda e le attività che tendono a ridurre i costi. - esempio: ridurre i difetti stimola la domanda e riduce i costi (complementarietà per il profitto) - Le attività di comunicazione stimolano la domanda ma non i costi (sostituibilità per il profitto) ricadute di know-how (spillovers) derivanti da attività diverse fra loro: correlate in senso positivo o negativo. Un risultato «univoco» del modello: la matrice non è mai ottimale quando le ricadute sono correlate in maniera positiva e le attività sono complementari rispetto al profitto. Gli altri casi sono meno definiti (dipende…) © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 TIPI DI STRUTTURE ORGANIZZATIVE 4. La struttura a rete (governo flessibile del buy/make) I gruppi di lavoro che fanno parte di una rete sono organizzati in squadre trasversali sulla base della mansione, del territorio o della clientela; ➔ I rapporti fra i gruppi di lavoro sono regolati dalle esigenze (spesso mutevoli) imposte dai compiti comuni L’organizzazione modulare: un’alternativa all’organizzazione a rete che mira a sfruttare complementarietà (attraverso sotto-unità autonome) … * tenendo bassi i costi di transazione * facilita l’adattamento Perché esistono così pochi modelli di struttura? Le scelte organizzative tendono a convergere: - non è possibile scegliere variabili a caso e poi abbinarle (una strana matrice!) - imitazione di modelli vincenti ➔ Ma a volte ci sono «casi unici» (caso di Jobs e Apple) Le posizioni intermedie tra i diversi modelli strutturali non permettono una buona performance, anzi, potrebbero perfino danneggiarla, al contrario di quanto avverrà facendo una scelta chiara (Roberts). La «ristrutturazione aziendale» è un compito rischioso: relazioni di complementarietà e sostituibilità sono modificate © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 COERENZA STRUTTURA-AMBIENTE Sapere che una struttura è coerente è un primo passo per risolvere il problema della progettazione della struttura. Ogni impresa che opera in un certo ambiente deve adattare la sua struttura alle esigenze di questo ambiente. Due insiemi di fattori ambientali che possono influenzare l’efficienza relativa di strutture diverse: 1.Tecnologia e interdipendenza dei compiti 2. Elaborazione delle informazioni © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 COERENZA STRUTTURA-AMBIENTE 1. Tecnologia e interdipendenza dei compiti Con il variare della tecnologia dell’impresa anche la sua struttura cambierà per adattarsi alle nuove esigenze di coordinamento. Secondo Thompson, la tecnologia determina il grado di « interdipendenza dei compiti », che è la misura in cui due o più lavoratori/lavoratrici dipendono l’uno dall’altra nello svolgimento del rispettivo lavoro. Interdipendenza associata, sequenziale e reciproca ----->costi di coordinamento Se cambia la tecnologia, possono cambiare anche le basi del vantaggio competitivo in un’industria ➔ Cambiano le risorse, e dunque la base delle interdipendenze ➔ Esempio: molte interdipendenze sequenziali e reciproche sono crollate con l’ICT 2.Elaborazione delle informazioni La struttura deve facilitare l’elaborazione delle informazioni. Galbraith: il sorgere di situazioni «straordinarie» determina la necessità di un gruppo specializzato al top (il «top management») -> Gli altri elaborano informazioni di «routine», mandando ai piani alti le informazioni «non di routine» (Kreps) In generale, l’accesso a informazioni rilevanti può spiegare scelte di buy/make (esempio di Zara) © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 LA STRUTTURA SI ADATTA ALLA STRATEGIA La teoria di A. Chandler: le scelte strategiche di un’impresa influenzano le successive scelte strutturali. Molti fattori contingenti che possono influenzare la struttura di un’impresa, ma… … i fattori che vengono presi in considerazione dalla strategia dell’impresa sono i più importanti nel determinare la scelta strutturale ➔ la struttura si adatta alla strategia. Strategia, struttura e imprese multinazionali L’internazionalizzazione delle imprese ha profonde implicazioni per la struttura (MNE e GVC) ➔ Creare una divisione «estera»? ➔ Ma oggi molte aziende sono «born global» ➔ Esigenza di bilanciare la reattività alle condizioni locali con la centralizzazione al fine di realizzare economie globali Questa è la strategia transnazionale, che comincia a essere associata a organizzazioni flessibili in cui la struttura a matrice e quella a rete risultano combinate fra loro. Outsourcing («make» o «buy») e Offshoring (arbitraggio del costo del lavoro): due concetti diversi, ma che possono essere combinati © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013 Esercizi 2, 3, 6, 7, 11 © Besanko, Dranove, Shanley, Schaefer, Economia dell’industria e strategie d’impresa, Isedi, 2013