Tecniche e Sistemi di Allevamenti Sperimentali PDF

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Raffaele Gattelli

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animal husbandry experimental animal husbandry aquaculture scientific research

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This document describes experimental animal husbandry techniques and systems, focusing on the management of aquatic species (freshwater, brackish, and saltwater, cold and tropical water) as well as amphibians and reptiles. It covers aspects like facility design, filtration, lighting, and chemical-physical parameters, and presents international regulations concerning the capture of marine invertebrates and fish.

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Tecniche e sistemi di allevamenti sperimentali prof. Raffaele Gattelli LEZIONE 1 (02/03/21) Al termine del corso lo studente sarà in grado di: comprendere, progettare e gestire impianti di stabulazione e allevament...

Tecniche e sistemi di allevamenti sperimentali prof. Raffaele Gattelli LEZIONE 1 (02/03/21) Al termine del corso lo studente sarà in grado di: comprendere, progettare e gestire impianti di stabulazione e allevamento a scopo di ricerca di specie animali (invertebrati e vertebrati) di acque dolci, salmastre e salate, in acqua fredda e tropicale; dimensionare correttamente il filtraggio, illuminazione e parametri chimico fisici ottimali per la gestione delle specie in allevamento, conoscere i diversi materiali e le differenti tecniche di filtrazione; progettare e gestire strutture per la stabulazione e l’allevamento di anfibi e rettili europei e tropicali; stilare un programma di controllo e gestione di strutture di stabulazione. Impianti di Stabulazione: significa un impianto che è in grado di gestire un animale nel tempo. Un animale che ha stabulato significa che è stabile in quel luogo ed è in condizioni standard, con tutto ciò che gli occorre per vivere. Quindi la stabulazione è la gestione standard dell’animale. L’allevamento invece può essere un’altra cosa, perché magari ha lo scopo di portare l’animale a riprodursi oppure a ingrassare (crescere di dimensioni), fasi per le quali occorrono meno accorgimenti. INTRODUZIONE E PRESENTAZIONE CORSO Questo corso nasce dalla necessità di integrare la preparazione teorica universitaria con nozioni proprie dell’impegno pratico di un laureato in materie scientifiche. Sia chi ambisce a lavorare in un laboratorio che gestisce animali, sia chi si specializza nella gestione o nella didattica in un acquario, in un bioparco o semplicemente in un ambito a contatto con il mondo animale deve conoscere le esigenze di base degli animali con cui viene a contatto e fare proprio un bagaglio di conoscenze che gli permettano di interagire ed essere voce e mano valida fin dall’inizio. Sono molte le attività che prevedono il contributo di animali come “donatori” di tessuti, cellule e DNA anche e soprattutto in un’ottica di comprensione e conservazione del mondo animale. Potremmo imparare nozioni di medicina fondamentali anche per la salute umana partendo dallo studio anche solo di un lembo di pelle di un mollusco o di un anfibio: dopo tutto a farci scoprire la penicillina è bastata una muffa! E’ fondamentale gestire i nostri inconsapevoli “donatori” nella maniera più corretta sia per loro che per le nostre esigenze, da quando vengono prelevati dall’ambiente, al trasporto, alla prima stabulazione ed infine alla loro stabulazione quotidiana. La prima e più importante nozione da apprendere è la seguente: è errore grave ignorare le esigenze degli animali per poi ricorrere alla medicina veterinaria. Un animale in condizioni di gestione ottimale raramente si ammala perché lo difende il suo sistema immunitario! Questa nozione appare a prima vista ovvia ma non è così: i primi allevatori di anfibi in Europa vedevano molti esemplari morire senza apparente motivazione. Negli anni ’80 alcuni dei più esperti allevatori di anfibi arrivarono a dire che “un anfibio malato è un anfibio morto!” ed avevano ragione! L’errore stava nel mettere questi vertebrati nelle condizioni di ammalarsi: trasporti inadeguati, sbalzi di calore, teche inadatte. A quel punto ogni azione si rivelava tardiva. Questo corso non tratta Uccelli e Mammiferi per diversi motivi, primo fra tutti quello che vede disponibili online o su mille libri e manuali, tecniche e consigli sulla gestione di cani, gatti e cavalli mentre ben pochi sanno come gestire un anemone, un corallo o una salamandra. Il corso si divide in diverse “SEZIONI” per fornire allo studente una didattica incernierata su un filo logico conduttore. SEZIONE I: PRIMA GESTIONE DI INVERTEBRATI E PESCI Normative internazionali vigenti sulla cattura e/o acquisto di invertebrati marini ed ittiofauna; Cattura e gestione in vivo provvisoria (es. dal peschereccio all’acquario); Trasporto internazionale di animali acquatici; Arrivo, gestione post cattura e acclimatazione; Stabulazione definitiva. 1. Normative vigenti sulla cattura e/o acquisto di invertebrati marini ed ittiofauna La cattura, l’esportazione, l’importazione e la detenzione di alcuni organismi marini è normata da leggi regionali e statali nel luogo di cattura ed esportazione, da leggi internazionali per esportazione, importazione e detenzione: ad esempio, i coralli duri (matrice calcarea, es le madrepore) sono soggetti a normativa CITES (Convenzione commercio internazionale specie minacciate di estinzione o Convention on International Trade of Endangered Species firmata a Washington nel 1973). 1 In Italia, la convenzione è in vigore dal 1980. Con legge n.150 del 7 febbraio 1992, la sua applicazione è a carico dei ministeri dell'ambiente, delle finanze, del commercio con l'estero e dell'agricoltura e foreste. La "Commissione Scientifica per l'attuazione della CITES" è istituita presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Gli elenchi ufficiali delle specie protette dalla convenzione (formalmente chiamate specimen) sono periodicamente aggiornati. Una lista CITES è fatta così (vedi figure): nome della famiglia, annex A (livello di protezione più stringente), annex B, annex C e common name. La convenzione distingue tre categorie di specie: Specie protette in senso stretto (ogni commercio è proibito; l'uso può essere concesso solo in circostanze eccezionali con i certificati). Queste specie sono accompagnate da un foglio giallo con tutte le informazioni sull’animale, una sorta di carta d’identità che porta anche il numero di registro dell’animale. Se l’animale muore oppure produce prole bisogna darne comunicazione ai Carabinieri Forestali (faranno dei controlli per avere conferma di quello che dichiari). Queste specie compaiono nell’allegato A, che rappresenta il livello di protezione più alto (quello ad esempio in cui ricadono balene, delfini , panda, primati, ecc); Specie soggette a controllo (il commercio deve essere compatibile con la loro sopravvivenza ed è soggetto ad autorizzazione tramite certificato CITES). In questo caso non è necessario comunicare la morte al corpo forestale. Compaiono nell’allegato B, che rappresenta un livello di protezione intermedia che ha lo scopo di regolamentare il commercio internazionale di moltissime specie animali e vegetali; Specie soggette a controllo da parte di singoli paesi membri (tipicamente per nazioni che cercano di proteggere particolari specie endemiche). Compaiono nell’allegato C, che rappresenta un livello di protezione blando, diciamo di secondaria importanza. Occhio perché se non si rispettano le regole le multe sono molto pesanti. L’uccellagione è la detenzione di specie di uccelli in allegato A senza il certificato: è illegale. Se ti muore un animale in allegato A detenuto legalmente con il certificato CITES e lo vuoi imbalsamare devi fare richiesta e viene cancellato il CITES dell’animale vivo e rilasciato un certificato CITES per l’animale morto (es. se si tratta di un uccello l’anello che lo identifica attaccato alla zampa deve rimanere sempre, anche quando l’animale è imbalsamato). Puoi scegliere anche solo di conservare delle parti dell’animale morto (es. scheletro, cranio, pelle, ecc... all’interno di musei), ovviamente sempre facendone richiesta, e in questo caso ci saranno dei certificati per le singole parti del corpo e verranno applicate delle etichette a queste parti 2 del copro che non devono MAI essere tolte. Se detieni una tigre (allegato A) e ti muore, e non riesci a dichiararne il decesso subito (es. festività di mezzo oppure problemi personali) non succede nulla, ma l’importante è che la carcassa rimanga lì dov’è e non venga spostata. Quando vai a dichiarare il decesso specifichi che è avvenuto giorni prima e la CITES viene a controllare che l’animale non sia stato spostato (devi necessariamente aspettare questo controllo prima di smaltirla). Per le specie in allegato B tutta questa pappardella non è necessaria, basta solo certificare la provenienza. Ricorda che la legge italiana dice che in nessun caso si può fare incrociare un animale domestico/di proprietà con un animale selvatico (magari finito in un centro di recupero perché ferito e non più in grado di essere rilasciato in natura). Se succede, le uova (o i piccoli) vanno distrutte. Se trovate un animale ferito o la carcassa di un animale in mezzo alla strada (allegato A) o fate finta di non averlo visto oppure chiamate i carabinieri forestali, NON PORTARLO A CASA perché automaticamente stai detenendo un animale illegalmente (sarete accusati di bracconaggio). Ricordati che gli animali imbalsamati in casa devono avere la certificazione, altrimenti se vi fanno un controllo vi multano. 2. Cattura e gestione in vivo provvisoria Questo argomento è vasto ma consideriamo un esempio pratico: lo scopo è quello di ottenere pesci ed invertebrati marini per svolgere ricerche in laboratorio e la fonte è un peschereccio commerciale. In primis sarà preventivamente allestita una serie di vasche con filtraggio e impianto di refrigerazione già operativo che rispetti salinità e temperatura delle specie che andremo a raccogliere. In questa fase l’allestimento della batteria di stabulazione sarà minimo, qualche tana e il substrato minimo indispensabile per mettere a proprio agio gli animali e per permettergli di acclimatarsi. Se sono animali che come comportamento naturale hanno quello di nascondersi bisogna fornirgli la possibilità di farlo, altrimenti si stressano eccessivamente. Valuteremo la stagionalità: se siamo in Mediterraneo e le specie di nostro interesse sono pescabili indifferentemente tutto l’anno, eviteremo di fare le catture nei mesi estivi nei quali gestire la temperatura di trasporto (deve essere bassa) è più difficoltoso. I soggetti saranno verosimilmente pescati con reti a strascico o «rapidi» ossia metodologie di pesca che risultano molto traumatiche oppure, se si tratta di pesci ossei, con reti da circuizione (meno traumatiche ma comunque stressanti). Lo strascico e il rapido (il primo è più superficiale, il secondo può scavare anche di qualche centimetro nella sabbia) possono fornirci esemplari vitali di celenterati, molluschi, crostacei, tunicati e selaci. Per quanto concerne poriferi ed echinodermi il problema è differente perché gli echinoidei (sono i ricci) subiscono danni meccanici ed nei poriferi il fango ostruisce i pori della colonia causandone la morte (anche se provi a lavarli non riesci a ripulire per bene i pori). La pesca a circuizione può fornire selaci e teleostei in buone o discrete condizioni di sopravvivenza in vivo, a patto che a bordo tutto il materiale egli spazi di stabulazione siano già pronti. Nella figura a destra hai un esempio di pesca a strascico. La pesca fatta con “le volanti” è fatta con due navi che pescano in mare aperto (in genere il pesce azzurro) ognuna detenendo un capo della rete. Quando si fermano le due barche si incrociano, la bocca della rete si chiude e una delle due barche mantiene i finimenti e l’altra recupera la rete. La vongolara (figura a destra) sfrutta un tubo di 12-13 cm di diametro (anche detto motore soffiante) che spinge l’acqua verso il fondo per sollevare la sabbia davanti alla draga della nave. Quest’ultima, che è una cassa fatta di setacci/lastre di metallo ed è attaccata ad un traino, procede raccogliendo le vongole. La pesca in questo caso avviene al contrario: la barca anziché andare avanti va all’indietro. I setacci permettono di dividere le varie vongole in base alla loro grandezza. Ovviamente con questo metodo di pesca non riesci a prendere pesci perché la draga procede molto lentamente e questi hanno tutto il tempo per potersi spostare. 3 Vediamo ora un altro tipo di pesca, quello con la cannizza. che ci consente di catturare animali perfetti, poco stressati e senza danni meccanici. Viene fatta vicino ad un corpo galleggiante (boa) ancorato al fondo, a cui sono state attaccate delle foglie di palma lunghe 3-4 m a pelo d’acqua (questa è la cannizza). Questo tipo di pesca sfrutta il concetto generale per cui i pesci in mare aperto (sia pelagici che abissali) amano sostare sotto corpi galleggianti in ombra, perché si sentono più nascosti. In seguito con una rete di circuizione si circonda la boa (un altra barca resta invece ferma) creando un muro verticale alto anche 50-60m. Quando la barca che trascina la rete raggiunge quella ferma, il cerchio si chiude e la rete viene chiusa nella sua parte in profondità andando a formare un cono. I pesci che appaiono per primi in superficie quando ancora la rete non è stata sollevata del tutto sono pesci che non hanno subito alcun danno e che sono dunque perfetti. Tutto quello che c’è nel mezzo viene catturato. La pesca da circuizione può essere fatta come sopra descritta oppure con un ecoscandaglio che individua dei banchi di pesce che sostano in alcuni punti. Effetti: Pesca a strascico: i selaci, in quanto privi di vescica natatoria e protetti da una pelle robusta (lo zigrino) e non rivestita di muco come nei pesci ossei riescono spesso a rimanere vivi a patto che non ricevano urti troppo violenti che causano estesi ematomi (zone rosse sulla pelle. Se ce ne sono, state sicuri che lo squalo muore, non si riprende, perché vi è uno sversamento di sangue interno). Anguille, gronchi e murene sono pressoché indistruttibili ed escono dalle reti tutti vitali: anche se la loro pelle è segnata da graffi e ferite, essi hanno una incredibile capacità di recupero anche in cattività. Assai raramente altri pesci ossei riescono ad uscire vivi da una rete a strascico: solitamente sono già morti con il ventre rigonfio e la vescica natatoria sovra- distesa che fuoriesce dalla bocca. Le uniche eccezioni oltre a murene, granchi e d anguille sono i pesci balestra ed i pesci prete; Pesca da circuizione: possono invece fornire esemplari di pesci in discrete condizioni: spesso stressati e graffiati ma salvabili. Vi sono altri metodi di pesca molto più selettivi e molto meno traumatici come la pesca con retini, in apnea o con le bombole, la pesca attorno alle «cannizze» o la pesca a canna. Per dovere di cronaca, la pesca con le bombole fatta in qualunque modo non è legale, è bracconaggio, ma si presume che in questi casi venga preventivamente richiesta deroga per motivi scientifici. Per quanto concerne la pesca con le cannizze invece non è vero che è vietata: la pesca professionale con cannizze in definiti mesi dell’anno è lecita e legale. Quella che non è legale è la pesca dilettantistica con cannizze ed in periodi non consentiti. LEZIONE 2 (03/03/21) La raccolta sulla barca La rete viene salpata e siamo pronti per raccogliere i soggetti. Prima di ciò ci siamo attrezzati in un punto all’ombra e che non rechi intralcio all’attività di pesca con uno o più vasconi possibilmente non bianchi o trasparenti (devono essere scuri, non deve filtrare la luce), con coperchio. In genere si utilizzano i cargopallet, dei vasconi alimentari. Questi vasconi da 100 a 1000 litri saranno dotati di uno scarico grigliato e di una predisposizione al carico (se non lo hanno bisogna fare un foro nella parte sottostante). Utilizzando quella che viene in gergo marinaresco chiamata manichetta o presa a mare della barca riempiremo per metà o 2/3 (dipende da che animali deve contenere ma mai riempire fino all’orlo) il nostro vascone di acqua marina e, se possibile, continueremo a far girare acqua fino in porto. Staremo attenti a far si che il flusso non sia troppo violento (fonte di stress ulteriore) e che non si produca troppa schiuma. Se stiamo gestendo pesci è molto facile che questi rimettano il pasto (è buono così non devono digerire e stanno più tranquilli) che dovrà essere rimosso (soprattutto se è cibo che aveva raggiunto lo stomaco). Si deve cercare in tutte le fasi di mantenere il più possibile il buio. Se non è disponibile la presa a mare dovremo limitarci a riempire il vascone per metà con dei secchi e inserire un ossigenatore (a corrente o a pile) o una pompa di movimento. Se oltre alla manichetta manca anche una presa di corrente si ricorrerà ad un ossigenatore a batteria oppure ad una bombola da sub con riduttore oppure ad una bombola di ossigeno puro. Se stiamo gestendo invertebrati come echinodermi, molluschi o crostacei la problematica del trasporto è meno complessa ma dobbiamo ricordare che: I crostacei, per quanto stressati, combattono fra loro mutilandosi ed in caso di forte stress possono anche praticare l’artoctomia (o recisione volontaria di uno o più arti, con le mute successive questi arti poi vengono rigenerati. E’ una strategia di fuga da eventuali predatori che li afferrano) per cui conviene separarli mediante retine, tubi, provvisori rifugi. Se peschi crostacei che stanno facendo la muta (li riconosci perché hanno dei colori molto più accesi del 4 normale) o li ributti in mare oppure li metti in una vasca da soli, perché altrimenti muoiono in quanto sono estremamente vulnerabili e non possono ne attaccare ne difendersi; Gli echinodermi come le oloturie come difesa estroflettono spesso la porzione distale dell’intestino (spesso quando risalgono nelle reti l’hanno già fatto!) inquinando gravemente l’acqua di trasporto e gli altri organismi presenti nella vasca mentre asteroidei e crinoidei si possono con facilità auto-mutilare. Per prevenirlo occorre maneggiarli il meno possibile; Molti molluschi infine producono dense masse di muco (normalmente serve per il loro accrescimento) per reazione allo stress e anche questo va rimosso dall’acqua in quanto innalza rapidamente la concentrazione di ammoniaca e nitriti. Utilizzeremo un paio di guanti gommati o uno straccio bagnato che ci servirà per raccogliere i campioni, soprattutto se si tratta di pesci ossei, echinodermi o crostacei (per via della temperatura troppo alta delle nostre mani in confronto alla loro). Avremo anche alcuni contenitori con pochi centimetri di acqua pulita. Soffermiamoci su una cosa: quando noi mettiamo dei pesci in un secchio con dell’acqua inizialmente si mantengono tutti sul fondo perché sono spaventati, utilizzando tutto l’ossigeno presente sul fondo. Mano a mano che l’ossigeno si consuma il pesce salirà verso la superficie fino addirittura a boccheggiare sulla superficie. Per questo motivo ha più senso che il livello dell’acqua sia basso, per mantenerla maggiormente ossigenata grazie all’interfaccia aria/acqua. Ovviamente non dobbiamo lasciarli al sole però, altrimenti si riscaldano velocemente. Dovete sapere che tutti i crostacei, soprattutto i brachiuri e i macruri (aragoste, astici, granchi, ecc…) hanno una sorta di sistema stagno per far si che le branchie rimangano sempre a bagno in un liquido. Nel momento in cui questi animali vengono tirati fuori dall’acqua di mare, i due compartimenti che ospitano le branchie del crostaceo, anche se l’animale esternamente si può anche asciugare, restano ricolmi di questo liquido che bagna le branchie. Tuttavia, siccome le branchie producono diversi cataboliti, se passano un tot di ore e l’animale non può cambiare il liquido che si trova in queste camere, questo si sporca proprio a causa dei cataboliti dovuti alla respirazione del crostaceo e quindi diventa tossica per l’animale stesso. In questo brodo di cataboliti le branchie iniziano a distruggersi/morire → lo possiamo vedere sui banconi della pescheria quando vediamo i crostacei vivi che fanno le bolle (sono l’emissione di una piccola parte di questo liquido denso di cataboliti). A questo punto, se voi prendete il crostaceo e lo lasciate al fresco ma senz’acqua, riesce a sopravvivere ancora per un giorno intero. Se, invece, lo mettete in acqua dopo pochi minuti è morto: siccome le branchie hanno subito un danno, spesso irreversibile, una volta rimesse in acqua, la porzione delle branchie rimasta viva è troppo piccola per consentire all’animale di respirare nel suo ambiente naturale. Se viene lasciato in aria, che ha una concentrazione del 19% di ossigeno (molto maggiore di quella nell’acqua), questa condizione di ipossia riesce a mantenerlo vitale per più tempo, ma resta comunque un animale condannato a morte. I soggetti ricercati vanno riposti nei contenitori avendo cura di selezionare subito le specie più delicate e fra queste gli esemplari che appaiono più vitali. Non bisogna comunque cercare di «salvare» troppi esemplari per lo spazio che abbiamo a disposizione per trasportarli: sovraffollare le vasche di stabulazione porta spesso alla morte di tutti gli esemplari. Come regola generale il numero di esemplari che riempiono la base del vascone di trasporto è una misura gestibile: stratificare pesci o invertebrati è rischioso. Al porto di arrivo gli animali verranno trasferiti nel vascone di trasporto su un automezzo o trasbordati cercando di mantenere il buio e una temperatura e ossigenazione il più possibile costante. Come regola generale un organismo acquatico è soggetto a: Stress meccanico: dovuto a urti, schiacciamenti, stiramenti; Stress fotico: dovuto alla luce più o meno intensa al quale il nostro animale non è abituato; Stress da sbalzo termico: dovuta allo spostamento in acqua di temperatura diversa da quella di provenienza (nonostante gli sforzi non è possibile evitarlo, possiamo solo smussarlo); Stress osmotico: dovuto allo spostamento in acqua più o meno salata di quella di provenienza; Stress chimico: dovuto allo spostamento in acque di chimismo diverso (ad esempio con alte concentrazioni di nitriti); 5 Stress acustico: dovuto a rumori forti (nel caso di pesci il rumore si traduce in vibrazioni che si trasmettono nell’acqua), basta anche, ad esempio, sbattere una porta; Ovviamente non tutti gli organismi acquatici sono sensibili allo stesso modo ai diversi tipi di stress: i pesci ossei e cartilaginei sono sensibili a tutti gli stress mentre, ad esempio i molluschi sono massimamente sensibili a stress chimici e osmotici e molto meno a stress fotico, acustico e meccanico. Sembra inverosimile ma lo stress fotico può essere la causa di diffuse morie nel trasporto di pesci non meno di uno stress meccanico o termico: questo chi importa pesci ornamentali lo sa molto bene e apre i box di trasporto in penombra! Molto spesso dover subire uno o più diversi tipi di stress non causa la morte immediata del pesce ma il sistema metabolico e immunitario dell’animale hanno memoria di questo disagio e il nostro soggetto rischia di ammalarsi o di morire in tempi brevi senza che si riesca ad associare la malattia o la morte al passato evento di trasporto: particolarmente pericolose le patologie opportuniste che sfruttano un calo anche transitorio delle difese immunitarie del pesce per poi divenire epidemiche e colpire tutti gli esemplari della vasca dove il nostro soggetto è stato stabulato (ricorda che i patogeni si trovano già sopra e dentro gli animali, non c’entra l’acqua). I pesci muoiono anche di infarto: più stress simultanei (fra cui quello fotico!) possono portare alla morte immediata. Se l’animale è stato allevato in acquario ed è grasso è più soggetto a infarto quando deve affrontare lo stress da trasporto. Per quanto concerne lo stress termico, chimico e osmotico vi è la possibilità di minimizzarli con una lenta e attenta acclimatazione. Acclimatazione A questo punto i nostri soggetti sono ai piedi della batteria di stabulazione ancora nei loro contenitori termici, in aria o in ossigeno, le luci sono spente e solo una piccola fonte di luce fornisce la minima visibilità per poter operare. Inizia la fase più delicata ossia l’acclimatazione. Dobbiamo fare in modo che il pesce non si renda conto della differenza di ambiente dal secchio nel quale è stato trasportato all’acquario nel quale poi andrà a vivere. L’acclimatazione può essere fatta mediante vari materiali ma nella sua forma più semplice è costituita da tubi capillari in gomma (gli stessi che si utilizzano per veicolare l’aria dall’ossigenatore alla pietra porosa, circa 3-4 mm di diametro interno) che pescano nella vasca di stabulazione e trasferiscono una piccola e costante quantità di acqua nell’acqua di trasporto che ancora ospita i nostri soggetti. La cosa migliore sarebbe far pescare il tubicino vicino la superficie dell’acqua perché così si trasferisce l’acqua ossigenata e si rompe la tensione superficiale dell’acqua. Le acque lentamente si mescolano e il soggetto ha il tempo di adeguarsi alle caratteristiche dell’acqua di stabulazione. Un ciclo di acclimatazione può durare da un minimo di 15 -20 minuti a diverse ore. Più l’animale è stressato e più è stato lungo il viaggio e più è il caso che sia lunga l’acclimatazione. Se nel sacchetto di trasporto vi sono abbondanti deiezioni o cibo rigurgitato il ciclo di acclimatazione viene accelerato a pochi minuti perché ha la precedenza il fatto che bisogna ripulire quest’acqua per impedire che respiri tutta la schifezza. Addirittura, nel caso in cui l’acqua è veramente sporca, si può e si deve saltare l’acclimatazione, altrimenti si rischia di perdere l’animale. Finita l’acclimatazione l’acqua di trasporto mescolata all’acqua di stabulazione viene gettata via, in quanto ricca di cataboliti tossici anche se sembra trasparente, e nel buio l’esemplare viene introdotto nella vasca di stabulazione o attraverso un becker o un piccolo retino. Quando lo immergete nell’acqua deve essere lui a muoversi quando si sente pronto, non muovete il retino per forzarlo a uscire. Un modo per far acclimatare dal punto di vista della temperatura l’animale può essere quello di immergere il sacchetto nella vasca di stabulazione (vedi figura). Con un becker poi, in più momenti e lentamente, aggiungete l’acqua della vasca al sacchetto. Quando l’acqua del sacchetto pareggia il livello di quello della vasca, con un retino spostiamo i pesci nella vasca è buttiamo l’acqua contenuta nel sacchetto. 6 Per fare in modo di avere molti pesci in un piccolo sacchetto durante il trasporto senza che finisca l’ossigeno, con delle bombole si può riempire il sacchetto di aria ricca di ossigeno (se ci soffi immetti aria non ricca di ossigeno! E inoltre è aria calda). Meglio usare dei sacchetti con i bordi sfondati perché alcune specie tendono a nascondersi negli angoli e rischiano di morire per schiacciamento quando poggiamo il sacchetto nella scatola. La vasca di stabulazione non deve contenere materiali inutili: se inseriamo un esemplare che vive in ambiente roccioso aggiungeremo qualche rifugio (rocce o tubi in pvc) che consentano all’animale di ancorarsi o di nascondersi. Se si tratta di una specie di sabbia o fango (sogliola, pesce prete, ecc...) aggiungeremo un sottile strato di sabbia in modo che l’animale possa nascondersi (una sogliola messa sul nudo vetro vivrà un continuo stato di stress perché consapevole della sua eccessiva vulnerabilità di fronte ad un predatore). La luce la accenderemo solo molte ore dopo, quando gli animali hanno avuto il tempo di acclimatarsi (la luce del sole è sempre meglio evitarla perché è troppo forte). Non esistono aree di quarantena e acclimatazione con finestre da cui entra luce diretta e l’illuminazione artificiale viene comunque mantenuta il meno intensa possibile: questo perché gli ambienti acquatici assai raramente vengono irraggiati con luce di forte intensità! Fa vedere un esempio di vasche di stabulazione in Puglia. 3. Trasporto internazionale di animali acquatici Entriamo ora in una realtà completamente diversa: chi esporta o importa invertebrati marini e pesci di acqua dolce e salata a scopo ornamentale ma anche chi trasporta pesci o avannotti di acque dolci e salate per fini commerciali e alimentari. Ne parliamo perché ad un biologo può capitare di dover spedire o ricevere soggetti vivi da canali commerciali. La fase della documentazione necessaria per le varie specie l’abbiamo già vista. Non dimentichiamo che il canale commerciale che veicola pesci ed invertebrati in tutto il mondo può essere un sistema semplice ed intelligente per reperire soggetti da ricerca. E’ saggio far tesoro delle competenze ed esperienze che chi opera in questo settore può fornire per la gestione ottimale di questi animali: non va infatti dimenticato che essi sono i primi ad aver convenienza che gli animali trasportati arrivino in buone condizioni e siano quindi vendibili! Negli ultimi 50 anni molti hanno cercato di capire come trasportare invertebrati marini, pesci di acque dolci e salate, anfibi e rettili in maniera ottimale. Il trasporto di uccelli e mammiferi è più semplice da un punto di vista tecnico ma presenta problematiche diverse. Ad oggi il trasporto di invertebrati e pesci «all and over the world» è diventata una vera e propria scienza! Ogni tipologia di invertebrato e pesce viene «imballato» e trasportato in maniera diversa, in acqua o senz’acqua, in sacchetti semplici o rinforzati, in ossigeno puro o in aria, con calmanti disciolti o con materiali che assorbono tossine e così via. Quello che è importante sapere è che prima di spedire un animale dobbiamo sapere tutto questo! Dividiamo un spedizione internazionale (che può durare anche 50 ore) di invertebrati (il punto di partenza in genere è l’Indonesia, Bali) e pesci (il punto di partenza in genere è sia l’Indonesia che le Filippine) in più fasi. Da Bangkok (Thailandia) è vietato esportare qualsiasi tipo di organismo proveniente dal mare eccetto i pesci di acqua dolce (gestione più oculata). Uno dei porti più importanti dal punto di vista logistico è quello di Singapore. Ricordati che nel momento in cui imballi il primo pesce bisogna sbrigarsi perché quello sarà quello che permarrà nelle condizioni di trasporto per più tempo. LEZIONE 3 (09/03/21) FASE 1: PREPARAZIONE Selezioniamo gli organismi che devono partire: i coralli duri che devono essere spediti non devono avere parti danneggiate e morenti e non devono emettere muco. Le parti morenti ed il muco in 36 ore si convertono in ammoniaca che uccidono o danneggiano i polipi della colonia. I coralli molli, i molluschi ed i crostacei che devono viaggiare devono essere digiuni da almeno 24-36 ore sempre per non inquinare l’acqua di trasporto con deiezioni e muco. I pesci non devono presentare ferite o abrasioni e devono mostrare un comportamento ed una ventilazione branchiale normale (è un problema se hanno un nuoto scoordinato, non scappano quando l’operatore si avvicina alla vasca, frequenza di atti respiratori branchiali molto alta e superficiale, producono muco o se presentano occhi appannati o gonfi). Spedire animali nelle condizioni sopra descritte dà la quasi certezza che gli animali giungeranno a destinazioni vivi. In caso contrario arrivano a destinazione già morti da ore con conseguente danno economico di chi spedisce e di chi importa! Anche in questo caso, 36 ore di digiuno totale. 7 FASE 2: IMBALLO Preparare invertebrati e pesci per il trasporto richiede grande manualità ed attenzione. Ovviamente dobbiamo fare tutto quello che ci è possibile per evitare che gli animali si stressino: tenerli al buio, raffreddare o scaldare il loro contenitore a seconda delle necessità, evitare gli stress acustici con contenitori di polistirolo, ecc... Ogni animale va imballato in modo diverso! Fino a pochi anni fa alcuni coralli duri e gli anemoni venivano trasportati in sacchetti senza acqua. Due vantaggi: un minor costo di spedizione (il volo aereo è pagato a peso e l’acqua pesa!) e la consapevolezza che in bassa marea invertebrati bentonici e sessili rimangono molte ore fuori dall’acqua ed hanno risorse per sopravvivere un certo numero di ore senza acqua (è uno stress a cui l’animale è abituato). In bassa marea, senza acqua, gli invertebrati si richiudono su se stessi e riducono naturalmente al minimo l’attività metabolica. Questa scelta, conveniente anche da un punto di vista economico, era stata scelta anche dopo aver osservato che anemoni trasportati in acqua rimanevano attivi metabolicamente per tutto il viaggio e inquinavano l’acqua di trasporto fino ad auto- intossicarsi. I tessuti morti di un celenterato o di un echinoderma decomponendosi rilasciamo in tempi molto brevi altissime concentrazioni di ione ammonio ed ammoniaca, ai tessuti di molluschi , crostacei e pesci occorre più tempo per decomporsi. Oggi la pratica è cambiata e tutti gli invertebrati vengono trasportati in acqua! Ovviamente dovete conoscere bene gli organismi che dovete trasportare (anche attraverso la letteratura) prima! Proprio per organizzare il tutto nel modo più corretto. In genere gli animali vengono trasportati in sacchetti contenenti 1/3 di acqua e 2/3 di aria, nel caso degli invertebrati, o di ossigeno, nel caso dei pesci. Questo perché l’ossigeno è particolarmente tossico per gli invertebrati. Quindi per coralli molli, anemoni, echinodermi e crostacei non viene utilizzato ossigeno puro per non rischiare un fenomeno di iperossia che danneggerebbe i tessuti dei coralli e le branchie dei crostacei. Si inseriscono nell’acqua di trasporto alcuni grani di carbone iperattivo o ghiaia di zeolite (materiali che assorbono gli inquinanti chimici che gli animali rilasciano durante il trasporto). Per i crostacei, soprattutto i macruri natanti (gamberetti), per impedire che essi vengano sbattuti all’interno del sacchetto senza la possibilità di ancorarsi da nessuna parte, oltre al carbone attivo vengono inseriti pezzetti di rete plastica (es. zanzariera) o ovatta sintetica alla quale il gambero si àncora subito. Solitamente ogni sacchetto contiene un solo soggetto! Ovviamente però, in alcuni casi, può essere più conveniente riempire i sacchetti con più esemplari: nel caso di specie di acqua dolce di poco valore si guadagna di più riempiendo i sacchetti e considerando che una parte degli animali andrà incontro a morte che non imballandoli uno alla volta. Si guadagna spazio in sostanza e si paga un solo volo piuttosto che più voli aerei di trasporto. Un altro caso in cui si mettono più esemplari insieme è quando il trasporto è breve. Inoltre, ogni azienda si ingegna in modo diverso per risolvere i problemi di imballaggio dei vari organismi. Per spedire i coralli molli (come Sarcophyton, Lobophyton, Sinularia, ecc...) ed i coralli duri esistono due tecniche: si àncora con elastici la base del corallo (ovvero parte della roccia al quale il corallo è attaccato) ad un polistirolo e il corallo viaggia a testa in giù immerso nell’acqua del sacchetto; il corallo viene inserito in fondo al sacchetto e circondato da strisce di plastica che lo fasciano delicatamente in modo che non subisca urti laterali. La seconda tecnica oggi viene preferita (probabilmente perché ci mettono meno tempo a imballarli). Anche in questo caso il sacchetto sarà riempito al 50% o per 1/3 di acqua e per il restante volume di aria o di aria arricchita (ossia si aggiunge ossigeno all’aria del sacchetto prima di chiuderlo). In questo modo la quantità di ossigeno nell’aria non sarà più del 20% ma del 35-50% e ciò rende il discioglimento dell’ossigeno in acqua più veloce. 8 Il trasporto dei pesci è più semplice ma segue regole diverse. In primo luogo l’imballo deve essere fatto in locali con minor luce possibile per impedire che il pesce accumuli eccessivo stress inoltre tutti i pesci devono essere spediti in ossigeno puro (perché hanno un consumo metabolico di ossigeno molto maggiore a quello degli invertebrati) e il sacchetto di imballo deve contenere da 1/3 ad ¼ di acqua ed il restante volume di ossigeno puro. I pesci viaggiano sempre uno per sacchetto! Il trasporto di esemplari di lunghezza superiore ai 40 cm richiede molta acqua, buste ed imballi enormi ed ha un costo di volo aereo molto alto per cui solitamente non vengono spediti (si preferisce spedire gli esemplari più piccoli). Specie con spine, aculei o mordaci (es. murena) necessitano di sacchetti doppi o tripli e talvolta addirittura un contenitore plastico rigido aperto sopra ed inserito nel sacchetto! A questi pesci «problematici» per il trasporto appartengono la maggior parte delle famiglie tropicali : scorpenidi, pesci pietra, pesci chirurgo, pesci istrice, pesci palla, pesci balestra e cernie. Invertebrati e pesci vengono inseriti all’interno di appositi sacchetti i quali vengono a loro volta inseriti all’interno di scatole di polistirolo a loro volta contenute in involucri di cartone (volgarmente box) sui quali è dichiarato il contenuto e le esigenze di trasporto. Spesso prima di chiudere la scatola di polistirolo vengono inseriti contenitori con ghiaccio o, al contrario, prodotti che producono calore (warm pack). FASE 3: SPEDIZIONE La spedizione è una fase delicata che viaggia su canali predefiniti e preferenziali (non tutte le compagnie aeree trasportano animali vivi): i box in transito vengono caricati e scaricati per primi, se devono attendere una coincidenza aerea vengono parcheggiati in locali interni (affinché non si raffreddino in inverno o si surriscaldino in estate) , vengono rapidamente sdoganati e viaggiano su mezzi autorizzati fino all’importatore. Questo se tutto va per il verso giusto! Fa vedere esempi di box in aereoporto. FASE 4: ARRIVO E PRIMA STABULAZIONE Abbiamo già parlato di come vanno gestiti animali in arrivo e prima stabulazione. Per quanto riguarda il settore commerciale si possono aggiungere alcune considerazioni. E’ fatto obbligo agli importatori, il giorno precedente al trasporto, di comunicare al PIF (Posto di Ispezione Frontaliera) tutti i dati ed i certificati sanitari riguardanti l’importazione (genere, specie e numero individui trasportati, peso complessivo, numero di box, eventuali certificati CITES, ecc...). Gli animali importati devono rimanere 48 ore in quarantena prima di essere rivenduti. Di fatto, nessuno rispetta questa quarantena ed al contrario già da molti anni viene comunemente seguita da diversi importatori la pratica illecita del trans-shipping che può essere semplificata come segue: l’importatore prende un accordo preventivo con il negoziante o con il cliente finale che prevede un pagamento anticipato con sconto sul valore dei pesci o degli invertebrati importati a fronte di un acquisto diretto a «scatola chiusa». Chi vende vende a minor prezzo ma non garantisce l’arrivo degli esemplari vivi. Inoltre, senza la quarantena l’ASL non riesce a tenere sotto controllo il movimento degli animali. E’ una pratica vergognosa che finalmente sta ricevendo l’interesse necessario da parte delle autorità per cercare di fermarla. I coralli molli, anemoni ed echinodermi in cattive condizioni o maleodoranti vengono gettati subito perché se inseriti in vasca sarebbero «bombe di ammoniaca» e ammazzerebbero tutto quello che c’è già dentro. I pesci vengono acclimatati e distribuiti per compatibilità in vasche precedentemente vuote (per evitare appunto che il nuovo pesce possa portare danni a quelli già presenti): solo dopo molte ore si possono accendere un po' di luci per verificare lo stato di salute. Comunque sia, persone esperte sono in grado di riconoscere animali sani appena aprono il sacchetto in penombra. Il materiale organico deceduto viene stoccato in congelatori appositi e DEVE essere smaltito come rifiuto speciale. Solitamente viene spedita, anche con foto, la lista di mortalità all’esportatore per avvertirlo degli animali deceduti in trasporto e per ottenere un eventuale rimborso nella spedizione successiva. Questa pratica negli anni è stata importante perché ha obbligato gli esportatori a migliorare le tecniche di trasporto, a non cercare di ingannare gli importatori spedendo animali in sospette condizioni e a non pagare quindi penali per mortalità! Animali marini che hanno viaggiato per 50 o più ore arrivano spesso in una condizione di stress estrema: uno dei modi per minimizzare ulteriori danni ai pesci è quello di acclimatarli in acqua a bassa salinità (fino a 1020) sfruttando il principio che in acqua meno densa la respirazione è facilitata e soprattutto che i patogeni marini e i parassiti sono molto meno resistenti dei pesci allo shock osmotico: 9 ovviamente se si esagera si uccide per shock osmotico anche il pesce! Questo espediente tuttavia non può essere impiegato per invertebrati come crostacei o coralli che hanno invece una tolleranza osmotica molto bassa. I gamberetti pulitori vengono utilizzati nelle vasche di stabulazione dei coralli perché ripuliscono in maniera egregia l’ambiente alimentandosi dei tessuti morti dei coralli. Un altro espediente utilizzato in fase di acclimatazione è quello di introdurre zeolite, una ghiaia chimicamente in grado di adsorbire e neutralizzare eventuali concentrazioni di ione ammonio NH₄+. La dose efficace è di 1kg di zeolite ogni 1000 litri ogni mese (ovviamente va cambiato perché dopo un tot di tempo si satura e non funziona più). Non va infine dimenticato che l’acqua di trasporto e gli animali stessi trasportati contengono sicuramente germi, batterie parassiti di ogni tipo. In condizioni naturali il sistema immunitario dei pesci riuscirebbe a contrastare l’aggressione da parte di questi patogeni ma le condizioni di stress abbassando le difese immunitarie, portano spesso a infezioni anche su scala pandemica. Il rimedio per contenere o comunque abbassare in maniera efficace i rischi di infezioni batteriche consiste nell’utilizzo di un impianto UVC o un impianto a ozono (lo vedremo dopo). Gli unici che sono tenuti ad avere il CITES originale sono gli importatori: i rivenditori non lo devono avere ma devono poter fornire i documenti che permettano di tracciare la provenienza degli animali. A livello legislativo occorre inoltre maggiore competenza perché, ad esempio, la regola del comunicare esattamente quanta prole io ottengo da determinati organismi, non può sempre essere possibile (es. i cavallucci marini o gli axolot producono un numero enorme di piccoli che ai primi stadi di vita io non riesco a nemmeno a vedere e contare. Inoltre, sono cannibali: i fratelli più grandi e sani si cibano di quelli più deboli e piccoli). SEZIONE II: NORME GENERALI DI ACQUARISTICA TECNICA Componenti principali di un acquario Per comprendere come funziona un acquario, sia un grande acquario pubblico o uno piccolo domestico, o uno stabulario di molluschi o di crostacei conviene partire dalla base. Le componenti di un acquario sono concettualmente le stesse: in uno step successivo occorre solo estendere i concetti a volumi ed esigenze maggiori. Un acquario di acqua dolce o marina è composto da: Vasca; Allestimento interno; Impianto luci; Impianto filtrante. La vasca La vasca può essere di cristallo (è quello che noi normalmente definiamo vetro), di cemento rivestito, di vetroresina, di PMMA (polimetilmetacrilato) e può essere di diversa forma ma ciò che è importante sapere è che lo spessore del cristallo o del PMMA deve essere dimensionato con l’altezza della vasca perché il volume verticale dell’acqua spinge sugli incollaggi: per semplificare il concetto, il calcolo dello spessore dei nostri “vetri” è solo in funzione dell’altezza dell’acqua. Si può costruire una vasca di base 100x100 cm e di altezza 10 cm utilizzando cristallo da 5 mm. Se la stessa vasca deve contenere 20 cm di altezza d’acqua anziché 10 servirà almeno un 8 mm di spessore. Se la stessa vasca 100x100 cm avrà 100 cm di altezza dell’acqua allora il cristallo necessario sarà di almeno 16 mm con rinforzi. Per dimensionare lo spessore dei vetri (e quindi il costo!) di un acquario non importa quindi quanta acqua esso contiene ma l’altezza dell’acqua prevista. La progettazione di una vasca non può essere fatta seguendo ispirazioni estetiche: esistono delle regole che fissano un rapporto ottimale fra lunghezza, larghezza e profondità, regole che possono variare ma solo entro certi limiti. Il concetto che sta dietro è legato al calcolo ed alla direzione del flusso e ricircolo in vasca, alle griglie di filtraggio, alla necessità degli animali di muoversi nello spazio tridimensionale, ecc... Acquari di forma ″bislacca ″ porteranno irrimediabilmente a difficile o impossibile gestione e decessi. Tante forme originali ma torniamo sempre alla boccia del pesce rosso…immorale ed illegale. Sia la comunità europea che le singole Regioni hanno emanato norme di tutela che riguardano anche la detenzione di pesci. Tra queste, la legge regionale 17/02/2005 n. 5 dell’Emilia Romagna che detta norme a tutela del benessere animale trattando specificatamente anche i pesci d’acquario. Ecco quanto dispone, in particolare, l’articolo 10: “gli animali ornamentali e da acquario devono essere mantenuti, da chiunque li detenga a vario 10 titolo, in acqua sufficiente, con ossigeno e temperatura adeguati alle esigenze della specie” [..]“La vasca deve essere di almeno 45-50 litri per due pesci”. Al bando, dunque, non solo le famigerate bocce ma anche vasche troppo piccole e senza filtri che non garantiscono una corretta ossigenazione dell’acqua. Per quanto riguarda il silicone che incolla le pareti della vasca, esso deve essere di tipo acetico e di alta qualità perché i siliconi commerciali a basso costo sono poco puri e sono meno resistenti e meno elastici nell’incollaggio. Fino ai 1000 litri circa gli acquari vengono costruiti in cristallo, per volumi maggiori e in ottiche commerciali il cristallo viene sostituito da vetroresine rinforzate con oblò in cristallo, ugualmente affidabili, più leggere, più economiche e meno delicate. Ad esempio le vasche troncoconiche sono fatte con vetroresine alimentari e sono circolari con la parte posteriore che si restringe a formare un cono: l’acqua entra dall’alto ed esce dal basso nello scarico inferiore. Fa vedere altri esempi di vasche. LEZIONE 4 (10/03/21) Gli allestimenti La stragrande maggioranza della gente pensa che arredare un acquario o un terracquario o un terrario sia un futile esercizio estetico ma niente di più lontano dal vero: un allestimento adeguato può fare la differenza fra la vita e la morte degli animali allevati e un’assenza di allestimento può causare una grande fragilità dell’ambiente di vita dei nostri esemplari, sia in termini chimico fisici che in termini etologici e biologici. Diremo quindi che per iniziare occorre un substrato di sabbia o ghiaia che sia per granulometria e colorazione adatto all’ambiente da cui i nostri animali provengono: tale sabbia o ghiaia sarà di composizione silicea per specie di acque dolce, silicea o calcarea per specie marine. Questa differenza è dovuta al fatto che le sabbie calcaree tendono a sciogliersi in acqua aumentando il pH e la quantità di ioni calcio disponibili (una condizione essenziale per quasi tutti gli invertebrati marini e gradita ai vertebrati). Viceversa gli ambienti di acque dolci sono spesso caratterizzati da acque più o meno acide ossia con pH basso: è il caso di tutti gli ambienti acquatici del bacino amazzonico e più in generale di quelle acque in cui il disfacimento di materiale vegetale sul fondo acidifica l’ambiente. Le specie di acque dolci necessitano di acque moderatamente acide o si ammalano rapidamente. Per questo motivo, quando vedete un acquario di acque dolci tropicali con immersi coralli e conchiglie in quantità avrete la certezza che chi ha arredato quell’acquario non capisce nulla di acquaristica. C’è da ricordare inoltre, che i coralli e le conchiglie sono anche punti di ancoraggio eccellenti per le alghe e quindi tenderanno a ricoprirsi di alghe senza che ci sia modo di pulirli completamente (ad esempio il corallo andrebbe bollito ripetutamente). Possono essere fatti errori ben più gravi: inserire oggetti di ferro, ad esempio, porta spesso alla morte degli animali in vasca per non parlare di piombo e rame (basta un solo soldatino!) che sterminano tutto ciò che c’è di vivo nel vostro acquario. E’ difficile rendersi conto che la causa di morte in questo caso è la presenza di questi materiali tossici, voi vedete una moria generale ma non capite perché. E’ vero che in mare vi sono affondate intere navi di ferro e vi sono migliaia di ancore di piombo perse sui fondali di tutto il Mondo ma in questi casi il coefficiente di diluizione è molto diverso: basta poco per in inquinare la poca acqua contenuta in un acquario. Per quanto riguarda il ferro poi, alcuni sali di ferro normalmente presenti in mare sono indispensabili per il metabolismo di molti animali e vegetali (si parla sempre di concentrazioni basse): i tunicati, ad esempio, abbisognano per il loro metabolismo di ioni vanadio! I minerali sono presenti nelle acque di mare in quantità stimabili in parti per milione! Oltre al substrato vengono spesso inserite rocce o «decori» che hanno il preciso scopo di fornire rifugio e tana agli animali ospitati e soprattutto a creare un territorio tridimensionale con diversi punti di riferimento che gli abitanti della vasca si divideranno in modo da non scontrarsi. Pensate di essere chiusi in una stanza bianca senza porte e finestre e nulla dentro: è una condizione fortemente alienante. Aggiungervi un tavolo e una sedia la prigionia risulta molto più accettabile: per gli animali è qualcosa di simile. Fa vedere qualche esempio. L’illuminazione L’illuminazione è probabilmente l’aspetto tecnico che ha avuto più evoluzione in acquaristica negli ultimi 15-20 anni. Negli anni ’80 esistevano le plafoniere neon T8 (è il neon tipico anche all’interno delle abitazioni di 2,5 cm) con alcune gradazioni di colore (6500°K luce calda, 10.000°K , 15.000°K e 18.000°K luce fredda, bianchissima) che corrispondevano a luce calda, bianca e bianchissima. Poi uscirono le luci GRO ossia a spettro rosato dove 11 «gro» stava per growing ossia luci che facevano crescere le piante e rendevano più accese le livree dei pesci. Poi uscirono le plafoniere a neon T5 (sono dei neon più sottili con caratteristiche diverse dal T8), i fari (ma si surriscaldavano velocemente), le plafoniere HQI, le plafoniere HQL e le plafoniere a ioduri metallici. Queste ultime 3 sono tre tipologie di lampade estremamente tecniche e con luce molto intensa, ma le vedremo dopo nel dettaglio. Negli ultimi decenni sono state commercializzate versioni sempre più evolute dei modelli precedenti e in più è arrivata l’illuminazione LED. Il LED ha rivoluzionato il concetto di luce sia per l’illuminazione domestica ed industriale che per l’acquaristica e questo perché in una realtà come l’Europa (fucina di evoluzione tecnologica) il costo dell’energia è un serio problema: il led consuma da dieci a cinquanta volte meno dell’alogena, molto meno del neon e, almeno pare, dura molto più a lungo di entrambi. L’illuminazione dei rettili poi conta centinaia di varianti ed una escalation tecnologica notevole. Ai rettili serve infatti la luce ma soprattutto il calore, ma ne parleremo più avanti. Senza fare saggi di illuminazione esistono delle regole da tener presente quando illuminate invertebrati e vertebrati e di questo parleremo. La luce in un acquario ha sostanzialmente due finalità: 1. permette la crescita dei coralli zooxanthellati e delle alghe in acqua marina, mentre la crescita delle piante in acqua dolce; 2. regola, con l’alternanza di ore di luce e di buio, il ritmo circadiano e quindi il bioritmo di vegetali, invertebrati e vertebrati. Bisogna subito fare due considerazioni: in un laboratorio il ritmo circadiano ha una importanza cruciale nello studio degli organismi allevati, in un ambito di acquario al pubblico ha una valenza estetica fondamentale e in ambito commerciale (cioè su specie da ingrasso come spigole, orate, carpe ecc) ha una valenza relativa perché condiziona la vitalità e la crescita dei pesci molto meno di altri fattori (se io tengo i miei animali in una condizione di penombra loro saranno spinti a cibarsi in continuazione e quindi a ingrassare). Infatti alcuni allevamenti vengono fatti in ambienti bui od ombrosi perché il pesce si stressa meno, mangia di più e cresce più velocemente. Non dimentichiamo che, salvo pochi ambienti come le acque limpidissime e poco profonde di reef corallini e torrenti montani, quasi tutti gli altri ambienti dove vivono i pesci sono caratterizzati da scarsa illuminazione. Estuari, mangrovieti, fiumi, laghi con fondo argilloso e fondali marini a profondità maggiore ai 4-5 metri ricevono una quantità di radiazione luminosa enormemente minore di quella erogata da una lampada posizionata a poche decine di centimetri. In un ambiente di muschio di giava (vedi figura a destra) serve un ambiente con pochi nitriti (escrementi) e con poca luce perché altrimenti non riuscirebbe a vincere la competizione con le alghe. Infatti in ambienti ricchi di luce e nitrati (escrementi) le alghe (organismi infestanti) proliferano che è una bellezza. La radiazione che rende visibile il colore rosso, in mare si perde nei primi metri seguita da quella gialla e verde. Per valutare la potenza di un impianto di illuminazione (ovvero quanto consuma) una regola è quella di dividere i watt totali di quest’ultimo per i litri della vasca parlando così di watt per litro: fino a 0,3 watt per litro si considera bassa intensità luminosa, da 0,3 a 1 watt per litro ad una intensità media e più di 1 watt per litro ad un’elevata intensità luminosa con la quale si possono far crescere piante più esigenti e coralli. Ricorda che il wattaggio rappresenta la potenza della nostra luce, ovvero la potenza luminosa. Oltre alla potenza luminosa anche lo spettro luminoso è un parametro essenziale: esso si misura in gradi kelvin (K): in acqua dolce spettri compresi fra i 5000 ed i 6500 K (chiamati daylight lamps, lampade a luce solare) sono quelli che più si avvicinano allo spettro della luce solare naturale, mentre in acqua marina, per favorire la crescita di coralli e invertebrati, occorrono lampade con spettri particolari dette attiniche (producono una luce talmente bianca che mira al blu) associate a lampade a luce daylight. Dopo non più di un anno di esercizio quotidiano le lampade al neon vanno sostituite anche se ancora funzionanti in quanto con l’andare del tempo e l’usura lo spettro luminoso emesso dalle lampade si modifica ed in moltissimi casi può risultare dannoso (ad esempio favorendo le alghe). TIPI DI ILLUMINAZIONE ➔ Tubi fluorescenti (neon): erano senza dubbio le lampade più diffuse fino a poco tempo fa, composte da un tubo contenente gas che attraversato da una scarica elettrica diventa fluorescente; ➔ Lampade a vapore: lampade dove sono presenti al loro interno vapori di mercurio (HQL) o vapori di mercurio arricchiti con altri metalli (HQI). Queste lampade sono particolarmente indicate per vasche con una colonna d’acqua importante e creano un effetto luminoso molto 12 naturale. Hanno una durata maggiore rispetto ai tubi fluorescenti ma di contro hanno un consumo energetico maggiore; ➔ Lampade LED: i vantaggi sono considerevoli sia in termini di risparmio energetico sia in termini di durata. I LED hanno una durata dichiarata di 50.000 ore di esercizio. Cosa sono le zooxantelle? In natura spesso si consolidano dei rapporti di mutuo interesse fra specie animali o vegetali al fine di risolvere problematiche fra le più complesse, dal semplice mutuo soccorso a interazioni talmente vincolate e vincolanti da rendere uno dei due partner incapace di vita autonoma. Tutti hanno sentito parlare delle simbiosi ma esplorare scientificamente tali interazioni è molto più difficile di quanto possa sembrare ad un primo esame. Le zooxantelle sono simbionti dei coralli: i coralli sono animali coloniali costituti da “polipi”, cioè organismi animali eterotrofi a cui appunto si associano organismi simbionti chiamati Zooxantellae (scientificamente Symbiodinium), organismi dinoflagellati endosimbionti che possono vivere solo in relazione mutualistica, interagendo a livello metabolico con il partner. La simbiosi corallina degli antozoi ermatipici (vengono chiamati così quelli che hanno appunto questa simbiosi) è di tipo mutualistica. In una simbiosi mutualistica ogni organismo partecipa attivamente e positivamente alla sopravvivenza reciproca, quindi questa situazione risulta vantaggiosa per tutti i soggetti in essere (altri tipi di simbiosi sono quelle di parassitismo, nelle quali il vantaggio metabolico è solo per alcuni degli organismi simbiontici). Le Zooxantellae, sono alghe e come tali, vegetali, necessitano di energia luminosa per svolgere la fotosintesi clorofilliana, possiamo quindi affermare che i coralli ermatipici necessitano di luce per vivere. Le alghe Zooxantellae, ottengono dal polipo sostanze nutritizie (fosfati, nitrati, anidride carbonica), mentre quest’ultimo può ottenere ossigeno e prodotti metabolici dalla fotosintesi dell’alga. Le Zooxantellae, deposte sullo scheletro calcareo del corallo, danno le diverse colorazioni grazie ad una elevata concentrazione di pigmenti: Clorofilla, carotenoidi stimolati maggiormente da spettri di luce blu e verde, xantofille peridinina, dinoxantina e diadinoxantina. La miscela clorofilla e peridinina dona al corallo, a seconda se è più o meno esposto alla luce solare, una diversa colorazione. Sembra sia la responsabile del colore “marroncino-beige” di queste alghe unicellulari, assumono principalmente luce di lunghezza d’onda blu o blu-verde (400/550 nm). Le Zooxantellae producono ossigeno in accordo con la fotosintesi clorofilliana 6 CO2 + 6 H2O+ Luce → C6H12O6 + 6O2. Lo stesso ossigeno, può diventare tossico per il polipo, e, poiché l’animale potrebbe rischiare la morte, le stesse zooxantelle possono venire in parte allontanate, e rilasciate nell’ambiente circostante (meccanismo a feedback). Le Zooxantellae trovano alloggio sullo scheletro corallino e/o all’interno del polipo stesso. La simbiosi mutualistica fra polipo e Zooxantellae è molto proficua: il polipo infatti, non solo usa l’ossigeno delle Zooxantellae per i propri processi metabolici, ma le “sfrutta” per eliminare sostanze per lui tossiche derivate dal suo metabolismo (es. CO2). I coralli anermatipici (non fanno simbiosi), invece, non necessitano di luce per sopravvivere, poiché non hanno come simbionti le alghe Zooxantellae. I coralli ermatipici (la maggiore parte!) hanno invece bisogno di luce affinché le alghe zooxantelle sopravvivano e forniscano al polipo ossigeno, glicerolo, glucosio, alanina (amino acido), alcuni acidi organici e altre sostanze preziose, viceversa il polipo fornisce alle alghe CO 2, NO3–, PO4— e metaboliti utili alla loro sopravvivenza. SCHEDA: COME LE ZOOXANTELLE CONDIZIONANO LA CRESCITA DEI CORALLI Il fattore principale che interviene sulla crescita dello scheletro dei coralli è la luce, ed è sorprendente come il tasso di crescita sia influenzato da variazioni della copertura del cielo, dalla trasparenza delle acque, dalla durata del giorno e ovviamente dalla profondità. Il tasso di crescita può essere anche di 15 volte superiore nelle ore diurne rispetto a quelle notturne, e questo grazie al ruolo delle alghe simbionti! Se tali alghe vengono allontanate o espulse, il tasso di crescita si abbassa notevolmente e si mantiene invariato durante il giorno, senza significative differenze con la notte. Il tutto è spiegabile con la capacità che le zooxantelle hanno di fissare la CO 2 attraverso la fotosintesi e che determina un aumento della concentrazione dello ione carbonato a livello dei polipi. Nel complesso le alghe simbionti svolgono un importante ruolo sinergico che contribuisce ad aumentare di decine di volte il tasso di crescita dei banchi corallini. Le zooxantelle sono normalmente alloggiate all'interno di ciascuna 13 cellula della parete gastrica dei polipi, ma possono essere posizionate anche in altre parti, per esempio all'esterno, ma in tal caso esse non contribuiscono alla crescita dello scheletro calcareo. Alcune specie di zooxantelle possono adattarsi a vivere in specie differenti di coralli, altre si sono specializzate per singole specie. Le alghe durante il giorno assorbono CO 2, fosfati ed ammoniaca, e producono ossigeno, che essendo in eccesso è utilizzato solo in parte dai polipi. Le stesse alghe assumono durante il giorno anche i metaboliti di rifiuto prodotti dal metabolismo dei coralli, utilizzandoli per la fotosintesi e convertendoli in nuova materia organica. Le sostanze che le alghe forniscono ai polipi (amminoacidi, zuccheri e glicerina) non sembrano essere così essenziali per il loro nutrimento, i polipi sono abili nel catturare le loro prede, e quindi sono autonomi dal punto di vista alimentare (ovviamente più sono grandi e mobili i polipi più sono autonomi ed eterotrofi). Tuttavia come detto il tasso di crescita della struttura scheletrica dei polipi diminuisce sensibilmente se vengono eliminate le zooxantelle. Perché accade questo? Negli anni '90 il biologo marino T.J. Goreau dimostrò che circa 2/3 della CO2 prodotta dalla respirazione dei polipi finisce nel loro scheletro carbonatico. Esiste, in altre parole, una via interna di riutilizzo della CO 2 che è sostenuta grazie alla presenza delle alghe simbionti. Senza le alghe tale quantità di carbonio inorganico andrebbe persa. Le altre fonti di carbonio, come ione carbonato, sono rappresentate dall'acqua di mare e, come carbonio organico, dagli organismi che costituiscono l'alimento per i polipi. Cosa può accadere se utilizziamo in un ambiente una illuminazione insufficiente o inadeguata? Se, ad esempio, un acquario con pesci marini o di acque dolci, rimane senza illuminazione per più giorni non succede quasi nulla (corrisponderebbe ad un prolungato periodo di maltempo!). Se ciò accade in presenza di piante o coralli zooxanthellati un’assenza di luce causa stress reversibile. Tuttavia se la mancanza di luce si protrae troppi giorni, le piante e le zooxantelle cominciano a morire (si produce ammoniaca → nitriti → nitrati → alghe). Un aspetto da considerare sono quindi le alghe: molte alghe brune e rosse sopravvivono in fase inattiva (sotto forma di cellule dormienti, di spore, di tessuti sul fondo) nei nostri acquari senza aver la possibilità di passare nella fase proliferativa esponenziale perché non in grado di reggere la competizione con le piante superiori (in condizioni di nitrati ed illuminazione corrette). Però molte alghe hanno esigenze fotiche molto minori di quelle delle piante e meglio di queste ultime riescono ad assimilare il nutrimento disciolto sotto forma di nitrati. Le piante acquatiche infatti pur riuscendo ad assimilare nutrimento dall’acqua in maniera più o meno efficiente, sfruttano un apparato radicale specializzato che può essere libero nell’elemento liquido o sprofondarsi nel substrato. La mancanza di luce ed in presenza di alte concentrazioni di nitrati disciolti sposta l’equilibrio favorendo le alghe. Quindi una forte illuminazione di spettro inadeguato sarà verosimilmente meglio sfruttato da alghe rispetto alle piante: nel caso degli acquari marini di barriere la proliferazione di alghe filamentose brune soffoca letteralmente le zooxanthelle portando il corallo ad una lenta morte (ricordati che stiamo sempre parlando di acquari di acqua dolce). In ultima analisi l’illuminazione è un potente alleato se ben dosato ma un temibile nemico se mal utilizzato. In linea di massima, acquari con solo pesci, sia marini che di acqua dolce, dovrebbero essere gestiti, per diversi motivi, con illuminazione modesta (non serve molta luce, sarebbe uno spreco e inoltre evita l’infestazione di alghe). Occorre però specificare che in acqua marina non tutte le alghe sono dannose, alcune sono utili. LE ALGHE: PREVENIRNE LA COMPARSA, RICONOSCERLE ED ELIMINARLE Le alghe sono piante Tallofite ed assieme ai batteri, ai funghi ed ai licheni sono caratterizzati dalla mancanza di distinzione netta tra radice, fusto e foglie (hanno un tallo di cellule indifferenziate). Anch’esse svolgono fotosintesi clorofilliana ed assieme ai funghi ed ai licheni costituiscono i vegetali più antichi e primitivi, ovvero capaci di riprodursi in modo sessuato, con giunzione dei gameti, ed in modo asessuato, ossia esclusivamente per scissione o gemmazione. Le alghe negli acquari, si formano per svariati motivi tra cui la scelta errata delle luci al suo interno, filtri poco efficienti, l’eccessiva presenza di pesci a dispetto delle dimensioni della vasca, residui di cibo sul fondo (quello che gli animali mangiano in 20-25 secondi è quello di cui necessitano per vivere, quello che scende sul fondo è cibo in più che fa 14 aumentare i cataboliti e quindi i nitrati e fa consumare più ossigeno da parte degli animali messi così all’ingrasso) e la scarsa manutenzione in generale, ma soprattutto la scarsa presenza di piante superiori (mancanza di competizione). Come è possibile che in una vasca con concentrazione di nitrati a zero possano comparire delle alghe? Come possono nutrirsi? La risposta è da ricercarsi nella purificazione biologica dell’acqua ad opera dei batteri nitrificanti e denitrificanti che sono scarsi in una vasca apparentemente a zero nitrati (tu fai la misurazione prima che si avvi il ciclo batterico e quindi sbagliamo a misurare i nitriti, dovremmo misurare l’ammoniaca). Quando è presente una buona attività batterica le alghe non si manifestano in maniera eccessiva, perché i batteri hanno scisso le sostanze organiche in un continuo susseguirsi di scambi chimici, per cui i rifiuti dei pesci vengono resi assimilabili dalle piante passando attraverso la continua elaborazione dell’ammonio/ammoniaca ad azoto. Nella loro lunga storia evolutiva molte specie di alghe hanno trovato modo di sopravvivere anche in condizioni di vita sfavorevoli, per cui risulta di grande importanza il ruolo ricoperto dall’azoto, sotto forma di nitrati, ed il fosforo, sotto forma di fosfati. Le regole per prevenire la formazione delle alghe in acquario sono: Non sovrappopolare la vasca, quindi tenere il carico biologico basso; Somministrare poco cibo e assicurarsi che venga mangiato tutto in pochi minuti (l’obesità può essere causa di infarto in condizioni di stress); Illuminazione adeguata (fitostimolante rosa e a luce solare bianca oppure combinazioni led) accese per non più di 8-10 ore; Fertilizzare regolarmente e nel modo giusto a seconda delle piante che abbiamo in acquario, utilizzare eventualmente carboni attivi in pellet all’interno dei filtri, per l’ assorbimento delle sostanze in eccesso (utilizzare anche CO 2 per favorire la fotosintesi clorofilliana accelerando l’utilizzo dei nitrati); Introdurre molta vegetazione e piantumare con piante sia a crescita veloce che lenta (mettendole così in competizione con le alghe e riuscendo a far nutrire loro a discapito di queste ultime); Cambi di acqua frequenti, anche settimanali del 10% - 15% con acqua d’osmosi (ovviamente dipende anche da che acqua è!) per diminuire la quantità di nitrati; Inserimento nel biosistema di alcuni pesci ed invertebrati che si ciberanno delle alghe presenti in vasca (non bisogna esagerare perché quando finiscono di mangiare le alghe passano alle piante); Durante l’ avvio di una nuova vasca si consiglia di partire con 5/6 ore di luce al giorno creando uno scompenso luce-sostanze azotate per evitare che si formino le alghe; Utilizzo di strumenti sterilizzatori che inibiscono le alghe in sospensione (UVC). LEZIONE 5 (16/03/21) Le regole per eliminare le alghe già presenti sono 4: METODO MECCANICO: Prevede l’ uso di appositi attrezzi come lame per i vetri, raschini e spazzolini per gli arredi come legni e pietre, e l’impiego di un sifone a campana che aiuti a rimuovere i detriti presenti sul fondo mentre aspirate l’ acqua; METODO BIOLOGICO: Inserimento nel biosistema di alcuni pesci ed invertebrati (prevalentemente gasteropodi) che si ciberanno delle alghe presenti in vasca, esempio: chiocciola Neritina Pulligera military helmet, Planorbarius, pesce Otocinclus o Siamensis, gambero Caridina japonica Amano shrimp. In genere questi organismi sono estremamente efficienti ma il problema è che possono non nutrirsi solo delle alghe ma anche delle piante. Bisogna inserire delle specie che siano specializzate nel nutrirsi di alghe ed evitare di mettere specie che possano nutrirsi delle piante dell’acquario. Per lo stesso motivo non vanno inseriti troppi esemplari; METODO CHIMICO: Per metodo chimico intendiamo l’utilizzo di prodotti alghicidi, però sconsigliamo l’uso di quest’ultimo poiché potrebbe essere dannoso sia per le piante presenti in acquario sia per i pesci e gli invertebrati. E’ utilizzabile solo in acqua dolce perché in acqua marina è impossibile; METODO GERMICIDA (UVC): E’ il metodo più innovativo perché consente di ottenere buoni risultati senza stare a impazzire più di tanto. Può essere utilizzato sia in acqua marina che in acqua dolce. Insieme al metodo biologico è sicuramente uno dei migliori da poter utilizzare. 15 Le alghe non sono tutte uguali e si combattono spesso in maniera differente: ➔ Alghe verdi puntiformi: si formano in vasche con acqua di buona qualità, non sono dannose per le piante né per i pesci. Formano dei piccoli puntini di colore verde o verde scuro sia sulle piante che sui vetri, sono molto tenaci e difficilmente i mangiatori di alghe riescono a debellarle; ➔ Alghe verdi filamentose: hanno esigenze simili a quelle delle piante e la loro crescita indica, solitamente, un buono stato generale della vasca e dei valori chimici. Sono alghe del genere Spirogyra e non provocano danni se non competizione con le piante. Solitamente sono stimolate dalla forte irradiazione luminosa. In questo caso si possono rimuovere le foglie delle piante più infestate e diminuire la radiazione luminosa; ➔ Alghe verdi a pelliccia: alghe verdi del genere Oedogonium che formano fitte foreste di esili filamenti di colore verde su tutte le piante esposte maggiormente alla luce. Crescono a macchia d’olio, rapidamente, infestando ogni pianta ed arredo. Nitrati e fosfati molto alti sono elementi scatenanti per queste alghe. I pesci vegetariani asportano solo le parti giovani e tenere e quindi non bastano per debellare quest’infestazione, bisogna utilizzare anche gli altri metodi; ➔ Alghe nere puntiformi: Compaiono su piante con foglie coriacee a seguito di grossi innalzamenti di composti azotati e fosforici (es. ti è morto un pesce e non te ne sei accorto). Indicano trascuratezza nella cura dell’acquario e della qualità dell’acqua. Filtri sporchi, mancanza di regolari cambi d’acqua e sovrappopolazione sono le cause principali d’infestazione. Sopraggiungono come singoli punti neri o nero verdastri, per poi formare ampie macchie scure sulle foglie, fino a sopprimere le piante troppo colpite; ➔ Alghe a gomitolo: Sono alghe del genere Ulotrix (alghe Cloroficee) e formano lunghi filamenti di colore verde chiaro, che tendono ad arrotolarsi a gomitolo. Sono alghe di formazione e sopraggiungono a maturazione di vasche nuove, quando cioè le sostanze organiche nel nostro acquario non sono ancora sufficienti per la crescita delle piante e le stesse tendono a fermarsi. Non sono alghe dannose, se non consideriamo la sottrazione dei nutrienti che spettano alle piante. In questo caso bisogna diminuire la radiazione luminosa e, appena le condizioni di nitrati lo consentono, mettere le piante che competono e in genere vincono contro le alghe ; ➔ Alghe nere a pennello: estremamente difficili da eliminare compaiono come piccoli ciuffi di colore nero, per poi formare una sorta di barba lungo il margine fogliare di piante coriacee. Sono alghe del genere Audouinella e possono presentarsi in due forme: una più bassa e non lunga più di 5 mm, un’altra lunga anche 20 mm. Non ama le acque sporche o cariche di composti organici (un eccesso di nitrati e fosfati rallenta la loro crescita). Unico rimedio è l’introduzione di veloci antagonisti, come ad esempio molluschi oppure piante del genere Limnophila e Hygrophila; ➔ Alghe verdi a ciuffo: alghe di colore verde intenso o verde chiaro appartenenti al genere Phitophora e formano ciuffi, grandi anche qualche centimetro, su foglie ed arredi. I singoli ciuffi si strappano con facilità. Prediligono come substrato rocce e legni fortemente illuminati. Le piante vengono danneggiate di rado. La crescita delle alghe in questione è solitamente dovuta ad un eccesso di fosfati e/o nitrati. Queste alghe non sono “trattabili” né con prodotti chimici, né con pesci mangiatori di alghe, ai quali risultano particolarmente inappetibili. L’unico rimedio è quindi l’asportazione manuale, eliminando eventualmente le foglie infestate e la prevenzione. Non tutte le alghe tuttavia sono ospiti indesiderati: in acqua marina infatti alcune famiglie di alghe fra cui le alghe calcaree rosse sono molto ben accette perché crescono a spese di inquinanti dell’acqua rilasciando elementi utili alla vita degli 16 invertebrati e dei vertebrati presenti ed infine hanno un aspetto gradevole e colorano rocce spoglie di una bella tonalità di rosso. La loro crescita è molto lenta. Con il termine generico di alghe coralline o alghe calcaree si fa riferimento a un gran numero di specie di alghe rosse (fissano ioni carbonato). Queste particolari alghe rosse sono caratterizzate da un deposito calcareo contenuto all’interno delle pareti cellulari. A livello tassonomico, le alghe rosse appartengono alla divisione Rhodophyta, all’interno della quale le alghe coralline formano l’ordine Corallinales. Oltre 1600 specie di alghe rosse sono state identificate comunemente come alghe coralline. Sulla base di determinate caratteristiche le alghe coralline si raggruppano in differenti sottofamiglie. Anche il Mediterraneo è ricco di alghe coralline: le alghe calcaree, infatti, sono presenti nei mari di tutto il mondo. Solo una specie vive in acqua dolce (Pneophyllum cetinaensis). Quindi→ Phylum: Rhodophyta Classe: Florideophyceae Ordine: Corallinales Famiglia: Corallinaceae Le più comuni nell’acquario di barriera sono di diverse tonalità di rosso e si stratificano ricoprendo le rocce vive. Queste alghe possono essere viola, giallo, blu, grigio-verde o bianco. Le alghe coralline svolgono un ruolo importante nell’ecologia della barriera corallina e sono fonte di cibo per ricci di mare, pesci pappagallo, patelle e chitoni. Un ceppo di alga corallina, in condizioni ottimali, può ricoprire una superficie di 8 centimetri all’anno, quindi una crescita molto lenta. Per far crescere le alghe coralline in acquario basta un’illuminazione medio-bassa, elevati livelli di calcio (superiori a 400 mg/l), elevati livelli di magnesio e livelli di alcalinità superiori a 8 di kH. Un’alga calcarea molto apprezzata in acquario marino è la Peyssonnelia sp. con la sua colorazione rossa purpurea. Quasi tutte le specie incrostanti preferiscono una scarsa illuminazione e una corrente moderata. Per far crescere le alghe coralline occorre mantenere in equilibrio la triade carbonati di calcio, magnesio e calcio. Bassi livelli di fosfati e nitrati aiutano la crescita delle alghe coralline perché mitigano lo sviluppo di quelli che sono i diretti antagonisti di queste alghe calcaree. SCHEDA:LE ALGHE VERDI E L’EUTROFIZZAZIONE DELL’ADRIATICO L´eutrofizzazione è un processo degenerativo delle acque indotto da eccessivi apporti di sostanze ad effetto fertilizzante (azoto, fosforo ed altre sostanze fitostimolanti) trasportate a mare dai fiumi e dagli insediamenti costieri. Le principali fonti di tali sostanze sono il settore agro-zootecnico e quello civile (insediamenti urbani): il primo contribuisce con circa il 60% dei carichi di azoto riversati in mare, il secondo con circa il 50% di fosforo. L´eutrofizzazione è un fenomeno recente, comparso in forma acuta nell’Adriatico Nord occidentale a fine anni ´60, ma manifestatosi in molti altri mari nel mondo (Chesapeake Bay - USA, Mare del Nord, Mar Baltico, Baia di Tokyo, ecc). La condizione che accomuna questi casi è legata da un lato alla forte antropizzazione del territorio conseguente ad un rilevante sviluppo economico e sociale, dall’altro al fatto che i bacini idrografici che attraversano queste aree scaricano le loro acque in mari semichiusi. E’ in sostanza un fenomeno totalmente attribuibile alla pesante presenza dell’uomo sul territorio. Il fenomeno si manifesta con alterazione del colore e della trasparenza delle acque per le alte concentrazione di microalghe (il cosiddetto fitoplancton) in sospensione. Tale processo può avere ricadute sull’ambiente molto negative: nel periodo estivo – autunnale, quando le acque sono calde e calme e si hanno pertanto marcate stratificazioni, si possono generare diffuse e persistenti carenze di ossigeno nelle acque di fondo con stati di sofferenza nelle comunità bentoniche (pesci di fondo, molluschi, crostacei, ecc...). Per riuscire a ripristinare condizioni equilibrate, tali da ridurre la frequenza dei casi acuti di eutrofizzazione senza incidere sulla produttività/pescosità dell’Adriatico, occorre mettere in atto misure atte a ridurre i carichi delle principali sostanze eutrofizzanti (azoto e fosforo). Dopo l´importante risultato legato all’abbattimento del fosforo nei detersivi occorre ora andare oltre con azioni ed interventi capaci 17 di ridurre ulteriormente i contributi di sostanze ad effetto eutrofizzante provenienti dal settore agrozootecnico (per l´azoto) e da quello civile (per il fosforo). Le alghe che in Adriatico sono più sensibili al fenomeno dell’eutrofizzazione appartengono in prevalenza al vasto raggruppamento delle flagellate. SCHEDA: IL FENOMENO DELLA MUCILLAGINE Un problema con pesanti riscontri sociali ed economici (non solo ma principalmente legati alla pesca ed alla balneazione) che si manifesta in Adriatico è quello conosciuto con il nome di mucillagine. La mucillagine e l’eutrofizzazione sono fenomeni differenti, in quanto l’eutrofizzazione è riconducibile a proliferazioni di microalghe (“fioriture”) innescate e sostenute da eccessivi apporti di nutrienti (sali di azoto e fosforo). L’eutrofizzazione produce un aumento del numero di alghe; quando invece si forma mucillagine c’è produzione da parte delle alghe di polisaccaridi (non dipende dall’uomo). Quindi la mucillagine non è un alga ma è ciò che l’alga produce. La specie che genera il fenomeno è la flagellata Gonyulax fragilis. La produzione abnorme di materiale mucillaginoso è un fenomeno molto noto in ambiente marino e non è esclusivo dei mari italiani. Per l’Adriatico la prima segnalazione documentata risale al 1749, poi altre nell’ ’800 e diverse nel ‘900. Non è quindi da ricondurre ad agenti generati dall’uomo nei tempi recenti, ma piuttosto ad un fenomeno naturale che, saltuariamente si ripresenta. In Adriatico, in tempi recenti è ricomparso con notevole intensità a cavallo degli anni ’90. Si è constatato che una delle cause scatenati il fenomeno è per lo più da ricondurre a particolari condizioni meteo-climatiche (quindi è un fenomeno prevedibile). Quasi sempre è stata riscontrata la concomitante presenza della flagellata G. fragilis. La sfida tuttora aperta sta nel definire quali possano essere le esigenze ecologiche di questa flagellata. La mucillagine è dannosa per la pesca, ma al contrario dell’eutrofizzazione, lo è anche in mare aperto e non solo vicino alla costa. Si manifesta in molti mari del pianeta, anche in aree con bassi livelli di trofia. In molti casi non vi sono affioramenti, nei mari profondi rimane con formazioni a «neve marina» o a «nubi» oltre ai 30-40 m come avvenuto negli anni ‘90 nel Tirreno, nel Canale di Sicilia e in Grecia. Il materiale prende quindi origine sotto forma di essudato cellulare, ossia come escrezione da parte di microalghe presenti normalmente in ambiente marino. Tale materiale risulta costituito principalmente da polisaccaridi (una specie di cellulosa) che si idratano a contatto con l’acqua e che per collisione formano aggregati. Il materiale si può osservare, a densità diversa e in diversi stadi di aggregazione (fiocchi o neve marina, reticoli, nuvole e affioramenti mucillaginosi), a partire dalle acque profonde per quasi tutto l’anno. La disgregazione e la scomparsa del fenomeno è legata per lo più all’instaurarsi di mareggiate di discreta energia. Altri motivi e le dinamiche di aggregazione sono tuttora oggetto di studio. Ogni anno il CNR, per conto del MATTM, fa dei campionamenti di pescato misurando quali specie e il loro peso medio. Questo serve per valutare poi eventuali danni di pesca dovuti ad esempio alla mucillagine, perché se si pescano meno esemplari di una determinata specie e di un peso medio inferiore, allora significa che c’è un fattore che danneggia la pesca. In base a questi danni riconosciuti il Ministero risarcisce i pescatori per i danni di pesca subiti. SCHEDA: UTILIZZO DI MATERIE DI RIFIUTO DA ACQUACOLTURA PER FINI AGRONOMICI O AMBIENTALI Una prima definizione per non fare confusione è quella che distingue il filtraggio idroponico a fini produttivi in ambito agricolo dal filtraggio idroponico per migliorare la qualità ambientale ed in questo secondo caso si parla più correttamente di fitodepurazione. I due scopi potrebbero teoricamente convergere o sovrapporsi ma nella realtà ciò avviene con difficoltà. Sono purtroppo molti gli svantaggi legati ad entrambe le pratiche (utilizzo e preparazione di terreni, costi di istallazione e manutenzione impianti, ecc...) ed in ultima analisi si rendono necessari solo in casi di livelli eutrofici molto elevati e pericolosi a livello ambientale. 18 Ricordiamoci sempre che le colture idroponiche in agricoltura sono spesso possibili solo mediante importanti sovvenzioni statali. Diciamo che l’idea è buona ma la realizzazione ha costi spesso eccessivi. Inoltre questi impianti (es. figura in alto a destra zattere sull’acqua) vanno naturalmente protetti da animali esterni e mantenuti funzionanti. Avevamo già accennato in una delle scorse lezioni come la TECO, un’azienda di Ravenna, si sia specializzata nel fare degli impianti per la coltivazione della marjuana e della cannabis in idrocultura con risultati eccezionali (naturalmente non in Italia perché è vietato). Questo tipo di soluzione sta portando molti vantaggi. Poiché nel mondo esistono una grandissima quantità di allevamenti di pesci e invertebrati marini di ogni tipo, e poiché sappiamo che questi producono ammoniaca e nitriti in abbondanza, essendo questi già disciolti nell’acqua, rappresentano una fonte di nutrimento immediato per le piante non particolarmente pericolosa come inquinante. Se costruissimo un impianto come quello in figura a destra noi riusciremmo ad ottenere un’acqua-cultura di qualità altissima associata ad una forte produzione di prodotti vegetali. L’acqua alla vasca passa alle piante, nutrendole, e poi ritorna in vasca completamente depurata (anche se ovviamente con il passare del tempo diminuisce la qualità). Se noi alleviamo pesci vegetariani questi con i loro scarti nutriranno le piante e le piante a loro volta fungeranno da nutrimento per i pesci (circuito chiuso con risparmio economico). A destra un esempio casereccio di allevamento di questo tipo di pesci rossi. Impianto filtrante Il filtraggio è il cuore di ogni impianto. E’ pretenzioso definire con esattezza come costruire un impianto filtrante senza sapere cosa deve filtrare ed in che condizioni deve lavorare, tuttavia esistono dei componenti che possono esser aggiunti o potenziati a seconda della necessità. Nella rappresentazione a destra puoi seguire la strada che fa l’acqua sporca uscendo dall’acquario e gli impianti che attraverserà per ripulirsi (frecce arancioni → frecce verdi). Quando trovi le 2 linee verdi con i triangoli gialli significa che può passare oppure no all’interno di quegli impianti. Il protein skimmer schiuma/toglie le proteine dall’acqua (in realtà l’acqua non è tutta quella che esce dall’acquario ma solo una parte), ma ne parleremo dopo. E’ il primo perché una presenza eccessiva di proteine possono causare danni nell’impianto. Il reattore calcio, come il protein skimmer, lavora solo su una parte dell’acqua (è laterale) mentre il rabbocco è un liquido esterno (es. acqua dolce) che viene inserito per far fronte alla perdita d’acqua dell’acquario avvenuta a causa dell’evaporazione di superficie. Serve per mantenere l’osmolarità corretta della vasca. Quello sopra è uno schema DA RICORDARE. 19 LEZIONE 6 (17/03/21) Il filtro meccanico Il filtro meccanico è un elemento essenziale di qualunque impianto filtrante: come dice il nome lo scopo di questo filtro è depurare meccanicamente l’acqua dalle impurità di qualsiasi dimensione. Ovviamente qualunque sia il materiale che utilizzeremo per filtrare l’acqua dovremo suddividere il filtro meccanico in più aree come una fortezza difesa da più mura (vediamo dallo strato più esterno a quello più interno): Area 1: filtraggio delle macro-impurità. Si possono utilizzare spugne o tessuti sintetici a maglia larga (10-15 PPI, che è l’unità di misura della maglia della spugna); Area 2: filtraggio per impurità di granulometria media. Si possono utilizzare spugne o tessuti a maglia media (20-25 PPI); Area 3: filtraggio per impurità di granulometria fine. Si utilizzano spugne o tessuti a maglia fine(35-40 PPI); Area 4: filtraggio a sabbia in pressione per impurità finissime (si chiama proprio filtro sabbia). L’acqua che ne esce dal punto di vista meccanico è pulita. Nel caso di un acquario domestico o di poche migliaia di litri la funzione meccanica è svolta semplicemente da spugne a granulometria decrescente (ossia spugna con alveoli di 5- 6 mm dietro la quale, ad esempio, una spugna più fine con alveoli di 2-3 mm). Il filtro meccanico è sempre il primo filtraggio che l’acqua “sporca” incontra uscendo dall’acquario perché sottrae le impurità più grossolane che intaserebbero in poco tempo un filtro chimico o biologico e renderebbe poco efficiente una sterilizzazione UVC. Il filtro meccanico va mantenuto pulito. Un filtro meccanico non pulito diventa sempre anche un filtro biologico! (diventa sede per colonie batteriche). Il filtro a sabbia in pressione (vedi figura a destra) è ovviamente un sistema di filtraggio per grandi volumi d’acqua, non certo per un acquario domestico o un piccolo impianto laboratoriale. Il funzionamento è semplice: si forza il passaggio di acqua a passare attraverso uno spessore di sabbia: le impurità presenti nell’acqua rimangono imprigionane nel volume della sabbia. In figura il tubo dell’acqua sporca è quello colorato in rosso. L’acqua entra nella parte alta del filtro dove non c’è sabbia e in seguito si infiltra verso il basso attraverso la sabbia. Da qui viene aspirata attraverso dei candelotti (sono delle griglie che permettono il passaggio dell’acqua ma non della sabbia) e viene portata ai componenti successivi del filtro. Chiaramente la maggiore quantità di sporco all’inizio sarà limitata solo alla parte superiore della sabbia. Con il passare del tempo però questo sporco diventa uno strato compatto che impedisce il passaggio dell’acqua e diventa un problema: deve essere assolutamente pulito. Oltre a impedire il passaggio fa aumentare anche la pressione all’interno del contenitore ed è proprio in base a quanta pressione c’è all’intero che capiamo in che stato è il nostro filtro: se la pressione è alta devo ripulire il filtro perché sta funzionando male. Quindi, nel caso di impianti filtranti per allevamenti di molluschi e pesci, in un impianto di molte migliaia di litri, in un laghetto con pesci o in un grande acquario pubblico serve un filtro meccanico di maggior efficienza che lavora in pressione e che viene comunemente chiamato filtro a sabbia in pressione. È costituito da un contenitore cilindrico, all’interno del quale viene inserita sabbia mono strato (cioè tutta della stessa granulometria) o multistrato (cioè strati di differente granulometria sistemati in modo decrescente). Nei filtri normalmente utilizzati si utilizza un solo tipo di sabbia, con una granulometria che va da 0,4 a 0,8 mm. La pompa preleva acqua dalla vasca e la invia al filtro, facendola entrare dalla parte superiore, l’acqua attraversa tutto lo strato filtrante e viene 20 raccolta al fondo da “candele” o “piastre” che la convogliano nuovamente in vasca o prosegue il processo di filtrazione. Durante il passaggio, l’acqua elimina le particelle in sospensione, ripulendosi. Sui filtri è di solito predisposto anche un manometro che ci indicherà la pressione di esercizio: man mano che questa aumenta, significa che lo strato filtrante si sta sporcando e quindi ci si avvicina al momento della pulizia, comunemente chiamata controlavaggio (l’acqua viene spinta a fare il percorso inverso e spinta a uscire da un condotto che la raccoglie per buttarla. Con questo processo le sabbie di diversa granulometria si mescolano anche se non del tutto). Una valvola multivie posta sopra o a fianco del filtro, permette di svolgere le varie operazioni di controlavaggio, svuotamento, risciacquo, filtrazione ecc... Se vengono fatte delle manutenzioni regolari e se i controlavaggi sono stati eseguiti con regolarità, la sabbia dura moltissimo, al punto che la sostituzione si può effettuare ogni 5-6 anni ed oltre (soprattutto se si utilizza una sabbia silicea comunemente chiamata sabbia di vetro). Un acquario al pubblico può utilizzare per capienti vasche anche diversi filtri a sabbia in serie o in parallelo: ad esempio occorre un filtraggio meccanico particolarmente efficiente in vasche con predatori come ad esempio i pinguini che producono deiezioni e scarti di pesci in grande quantità. Qualunque impianto filtrante prevede e comincia con un filtro meccanico: l’acqua che fuoriesce dal filtro meccanico è ancora “sporca” ma non vi sono più impurità di dimensioni apprezzabili ad occhio nudo (quindi si può considerare “pulita”). Il filtro biologico Per filtro biologico si intende quella porzione di apparato filtrante deputato alla conversione chimica degli inquinanti derivanti dal ciclo biologico degli organismi ospitati ad opera dei batteri nitrificanti. I componenti di un filtro biologico possono essere tanti e anche molto diversi fra loro ma tutti seguono lo stesso principio: fornire la maggiore superficie possibile in grado di ospitare colonie batteriche. Nella figura a destra puoi vedere dei cannolicchi, sono costruiti in ceramica e la superficie di adesione batterica è tutta quella esterna, interna e laterale. Ma, se osserviamo questo materiale al microscopio osserviamo come sia costituito da molte microporosità che contribuiscono ad aumentare la superficie a disposizione dei batteri (anche di 250 volte). Questi cannolicchi sono molto costosi e vanno giù sul fondo. L’alternativa più pratica utilizzata sono le biobolle, le puoi vedere nelle figure a destra e possono essere di diverse dimensioni. La loro forma sferica (chiusa o aperta) fa si che queste biobolle possano essere vicine l’una alle altre senza però che il flusso dei liquidi subisca un rallentamento. Le colonie batteriche in un filtro biologico appartengono a due famiglie: Nitrosomonas: batteri che convertono l’ammoniaca NH 3 in nitriti (NO2); Nitrobacter: batteri che convertono i nitriti NO2 a nitrati NO3. Questo ciclo permette di convertire sostanze disciolte come l’ammoniaca ed i nitriti, letali per molti animali anche a basse concentrazioni (nel caso dell’ammoniaca, letale a 0,03 mg/l) in nitrati, ossia una forma pressoché inerte che diventa tossica per invertebrati e pesci solo a concentrazioni elevate (influenzano ad esempio gli ormoni della crescita). Nei filtri di impianti domestici o di poche migliaia di litri si utilizzano ad esempio dei cilindretti cavi di materiale poroso (cannolicchi). In impianti industriali o di grande litraggio si utilizzano spesso quelle che genericamente vengono chiamate le bioballs ossia delle sfere cave e scolpite in vario modo di materiale plastico. L’unico compito dei cannolicchi o bioballs è quello di permettere al loro interno l’insediamento dei batteri. Per questo motivo, in realtà, costituiscono un eccellente filtro biologico ghiaia e roccia corallina (materiale poroso), laterizi sbriciolati (mattoni) o lapillo vulcanico. Attenzione però perché la roccia corallina va a modificare il pH della nostra vasca (vanno bene in acqua marina ma non dolce). La scelta solitamente ricade sulle bioballs per motivi economici e pratici. Il filtro biologico non va mai lavato in acqua corrente o con idropulitrice perché in questo modo le colonie batteriche verrebbero seriamente danneggiate. Un delicato lavaggio con l’acqua dell’acquario può rendersi necessaria, seppure di rado, per rimuovere impurità di grandi dimensione che tendono ad otturare il materiale filtrante stesso. E’ ovvio che anche tutte le decorazioni che noi inseriamo all’interno del nostro acquario fungeranno da filtro biologico. 21 I batteri nitrificanti sono definiti autotrofi chemio sintetici (chemiolitotrofici) poiché ottengono il nutrimento e l’energia a loro necessari da elementi organici. Escrementi animali e tessuti morti vegetali e animali forniscono azoto, che durante la decomposizione viene trasformato dai batteri aerobici in ammoniaca (NH 3), poi successivamente in nitriti (NO2) per poi essere trasformati in nitrati (NO3), tutte queste trasformazioni fanno parte del processo ossidante. L’ NO3 verrà poi utilizzato (processo riducente) come nutriente da piante e alghe e verranno anche ridotti da batteri anaerobici che libereranno nuovamente azoto (N) e utilizzeranno i tre atomi di ossigeno (O3) per respirare. L’ammoniaca è una molecola particolarmente tossica se presente nella sua forma indissociata NH3, mentre lo è meno se è presente nella sua forma dissociata NH4+ (ione ammonio), e tale differenza è legata alla maggiore permeabilità attraverso le membrane biologiche che l’ammoniaca (NH3) ha rispetto allo ione ammonio (NH 4+). Queste due forme sono sempre in un equilibrio chimico che si modifica in rapporto al pH ed in parte anche alla temperatura: NH3 + H2O = NH4+ + OH Con pH inferiore a 7 la forma indissociata (NH3) è scarsamente presente mentre la

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