Summary

Il documento analizza le tecniche di scrittura, partendo dalla triade di appropriatezza, etica e comunicazione integrata. Descrive il processo di scrittura in tre fasi: progettazione, redazione e revisione. Il testo evidenzia anche l'importanza della coesione e della coerenza per una scrittura di successo.

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Tecniche di scrittura Il processo di scrittura e l’organizzazione del testo. Per comprendere a fondo i concetti chiave legati alla scrittura contemporanea, è essenziale partire dalle tre parole fondamentali: appropriatezza, etica e comunicazione integrata. - L’appropriatezza, riguarda l'abilità di u...

Tecniche di scrittura Il processo di scrittura e l’organizzazione del testo. Per comprendere a fondo i concetti chiave legati alla scrittura contemporanea, è essenziale partire dalle tre parole fondamentali: appropriatezza, etica e comunicazione integrata. - L’appropriatezza, riguarda l'abilità di un testo di adattarsi al contesto e al pubblico cui è destinato, rendendolo efficace e pertinente. - L'etica si riferisce invece all'uso di un linguaggio inclusivo, che rispetti le differenze e promuova una comunicazione rispettosa. - La comunicazione integrata sottolinea come la scrittura non viva isolata, ma si combini con altre forme espressive, come immagini e audio, in un panorama comunicativo sempre più ricco e complesso. La scrittura, oggi, non è più un blocco unico, immutabile, ma un insieme dinamico e articolato. Luisa Carrada, nel suo libro Lavoro, dunque scrivo!, evidenzia sei caratteristiche della scrittura contemporanea. Anzitutto, gli strumenti per scrivere si sono moltiplicati, ma nessuno ha soppiantato i precedenti: i nuovi mezzi convivono con quelli tradizionali. Inoltre, la competenza di scrittura è diventata trasversale, una capacità richiesta in molte professioni. I testi stessi si sono frammentati in elementi come immagini, grafici e citazioni, e sono diventati "vagabondi", ossia spezzettati, rielaborati e condivisi in contesti diversi. Anche i luoghi e le modalità di lettura sono cambiati: leggiamo in ambienti affollati, su dispositivi digitali, adattandoci a nuove abitudini. Sempre più spesso, poi, le immagini accompagnano e integrano i testi, rafforzandone il messaggio. Scriviamo più o meno di prima? Nonostante le trasformazioni, scriviamo più di prima. Come sostiene Antonelli, la comunicazione telematica ha dato una nuova centralità alla scrittura, con nuove forme di neopistolarità tecnologica come email, SMS e chat. Questo ha desacralizzato la scrittura, rendendola accessibile a chiunque e per qualsiasi scopo. Tuttavia, se da un lato ciò è positivo perché democratizza l’accesso alla parola scritta, dall’altro implica una perdita di qualità, soprattutto nella comunicazione privata. La desacralizzazione può quindi essere letta in chiave sia positiva, per la sua inclusività, sia negativa, per l'impoverimento stilistico e contenutistico. Secondo Raffaele Simone, linguista e saggista italiano, la scrittura ha conosciuto tre fasi diverse: 1. Prima fase -> Il paradigma platonico: questo paradigma ha una concezione tradizionale/ classica della scrittura. É stata utilizzata per definire la scrittura dai tempi antichi fino al secolo scorso. Secondo questo paradigma, il testo è pubblico (si rivolge a destinatari che possono non essere presenti nel tempo e nello spazio del momento in cui è stato scritto), duraturo (può durare anni o secoli), tipizzato (ha delle regole interne a secondo del genere a cui appartiene) ed è autoriale (si riesce sempre a risalire all’autore del testo). 2. Seconda fase -> Il paradigma digitale: questo paradigma sovverte le caratteristiche della scrittura tradizionale, ha una durata breve ed è visto in maniera negativa. Il testo viene infatti definito instabile (posso riaprirlo e modificarlo infinite volte), immateriale (non ha una forma fisica, ma lo troviamo attraverso uno schermo) ed è impersonale (l’autore difficilmente riesce ad essere identificato o specificato). 3. Terza fase -> Il paradigma multimediale: secondo questo paradigma, la scrittura si estende a tutte le dimensioni (grazie all’evoluzione della tecnologia), portando la dimensione verbale ad una perdita di importanza, proprio a causa dell’uso di immagini, link, video, file audio, ecc. La scrittura è dunque destrutturata (il testo è spesso accompagnato da immagini, video e audio) e integrata (convive con altre forme di comunicazione). Cosa sta alla base della scrittura? Il TESTO. Il testo rappresenta l’unità centrale del processo di scrittura. Non è un semplice insieme di frasi, ma necessita di una struttura interna che sia coesa e coerente con il piano di costituzione del testo. La coesione riguarda i collegamenti formali tra le parti del testo, come congiunzioni, concordanze e connettivi, che garantiscono un flusso logico. La coerenza, invece, si riferisce alla concatenazione logica e semantica delle idee, assicurando che il significato sia chiaro e comprensibile. Un testo di successo, quindi, deve avere una sintassi corretta, una grammatica impeccabile, un’organizzazione chiara, contenuti pertinenti e originali, uno scopo definito e un registro appropriato al pubblico di riferimento. Solo così la scrittura può esprimere l’abilità e la creatività dell’autore, raggiungendo la sua piena efficacia comunicativa. IL PROCESSO DI SCRITTURA. Il processo di scrittura non corrisponde solamente alla fase di redazione (che tra l’altro è una delle fasi più brevi), ma prevede una fase di progettazione e una fase di revisione. La maggior parte della scrittura, soprattutto quella professionale, è una scrittura pianificata e ragionata, questo perché la lettura di oggi è molto più disturbata e casuale. Chi legge ha una soglia dell’attenzione molto più bassa, spesso ha poco tempo a disposizione o addirittura sta facendo altro in contemporanea (si pensi a qualcuno che sta guidando e deve leggere uno spot pubblicitario sul lato della strada). La scrittura deve quindi essere centrata, essenziale e diretta. Questo modello di processo di scrittura è stato elaborato dagli studiosi Hayes e Flower. I due studiosi hanno chiesto a scrittori professionisti di spiegare cosa pensavano mentre scrivevano un testo e poi hanno riportato in linea generale tutte le varie fasi. Il processo di scrittura è un processo ricorsivo, poiché le sue tre fasi principali (progettazione, redazione e revisione) non sono lineari o isolate, ma interconnesse e continuamente interattive. Ciò significa che lo scrittore può passare liberamente da una fase all’altra, adattando e modificando il testo in base alle necessità. Scrivere significa risolvere un problema di comunicazione: si tratta di comprendere come trasmettere un messaggio in un contesto specifico, rispondendo a bisogni concreti di chi lo riceverà. Questa capacità richiede che l’autore assuma un ruolo adeguato al contesto e definisca un obiettivo chiaro per ogni testo prodotto. PRIMA FASE: la progettazione testuale (pre-writing). Questa fase implica un’attenta pianificazione. Innanzitutto, occorre identificare il destinatario e lo scopo del testo, raccogliendo informazioni in abbondanza. Nella scrittura professionale non si inventa nulla: ciò che conta è rielaborare e selezionare le idee giuste da una base preesistente. Strumenti come mappe mentali e scalette supportano questo processo: le prime stimolano la creatività, mentre le seconde aiutano a organizzare le informazioni in maniera ordinata. È fondamentale anche stabilire gerarchie tra le informazioni, decidendo cosa sia più o meno rilevante per il messaggio. Il brief e il concept sono due strumenti chiave di questa fase. - Il brief è un documento sintetico che guida il progetto di comunicazione, specificando obiettivo e senso. - Il concept, invece, sviluppa l’idea iniziale, delineando i punti chiave del testo e organizzandoli anche in modo preliminare, come in una scaletta. Qui si utilizzano le 5W (Who, What, When, Where, Why) per garantire completezza. SECONDA FASE: la redazione (writing). In questa seconda fase si concretizzano le idee progettate, curando tre piani fondamentali (organizzazione del testo, sintassi e lessico) che devono coesistere. 1. L’organizzazone del testo (criterio con cui vado a sviluppare il testo): occorre stabilire il formato e il genere testuale, definire le priorità tra i blocchi informativi e individuare quale informazione utilizzare all’inizio per catturare l’attenzione del lettore. A livello strutturale, i capoversi e i paragrafi sono fondamentali: - I capoversi sviluppano un’idea specifica in poche righe. - I paragrafi approfondiscono un tema in modo completo, articolando diverse idee unite da coerenza interna. 2. La sintassi (criterio di scelta delle parole): deve garantire chiarezza e scorrevolezza. Si utilizzano frasi brevi e periodi semplici. Si preferiscono frasi attive e positive, e un ordine sintattico SVO (soggetto-verbo-oggetto). 3. Il lessico (criterio che organizza le parole in moduli sintattici): deve adattarsi al contesto e al pubblico. Parole concrete e precise sono preferibili rispetto a termini astratti, e va evitato un uso eccessivo di forestierismi o termini tecnici non familiari al lettore. L’obiettivo è sempre quello di agevolare la comprensione. - Un concetto centrale nella redazione è la leggibilità, che misura quanto un testo sia chiaro e fruibile. L’indice di leggibilità Gulpease, valuta sintassi e lessico per garantire che il testo sia comprensibile, chiaro e rigoroso, specialmente per un pubblico ampio e generico. TERZA FASE: la revisione. Questa terza fase opera come un imbuto, eliminando tutto ciò che è superfluo o ridondante. Viene anche chiamata “processo CDO”: - Confronta (cioè rileggere e individuare i problemi). - Diagnostica (cioè analizzare le cause dei problemi). - Opera (cioè intervenire per correggere o riformulare). La revisione può essere a strati, verificando contenuti, grammatica, stile, fonti e dati, magari leggendo ad alta voce o su carta per individuare refusi. Oppure redazionale, concentrandosi su aspetti visivi e di formattazione: caratteri, dimensioni, titoli e paragrafi. Il vocabolario di base (VdB): basandosi su una lista di frequenza, cioè su quanto sono utilizzate determinate parole da un parlante madrelingua medio, è formato dalle parole più utilizzate in una lingua. Per l’italiano è costituito da 7500 parole circa, suddivise in: - Lessico fondamentale (2000 parole circa): sono vocaboli di massimo utilizzo e che usiamo spesso senza neanche rendercene conto. - Lessico ad alto uso (3000 parole circa): vocaboli utilizzati frequentemente, ma non tanto quanto quelli appartenenti al lessico fondamentale. - Lessico ad alta disponibilità (2500 parole circa): parole comprensibili e conosciute da tutti, ma che vengono utilizzate solo in determinati e pochi contesti comunicativi. La scrittura sul web. La scrittura per il web si basa su una profonda comprensione di come gli utenti navigano e leggono in ambiente digitale. I navigatori del web non cercano necessariamente la soluzione migliore a un problema, ma si accontentano di un risultato adeguato, un processo noto come "satisficing". Di conseguenza, scelgono spesso la prima opzione che appare loro ragionevole, senza approfondire eccessivamente. Questo comportamento influenza la modalità con cui i contenuti devono essere scritti e strutturati. Scrivere in ambiente multimediale significa lavorare con testi che non solo veicolano informazioni, ma anche emozioni e sensazioni visive e sonore. I testi, quindi, non si limitano a essere semplicemente letti: devono interagire con immagini, video e altri elementi multimediali, favorendo una relazione tra i diversi contenuti. La "navigazione" stessa, infatti, è un processo interattivo in cui il lettore si muove tra diversi contesti, creando percorsi personali e spesso imprevedibili. La lettura online presenta caratteristiche uniche: è lenta, frammentata e visivamente orientata. In media, solo il 20% delle parole di una pagina web viene letto, e lo sforzo richiesto è maggiore rispetto alla lettura su carta. Inoltre, la lettura sul web non è sequenziale: l’utente salta da una parte all’altra del testo, attratto da elementi visivi o parole chiave, senza seguire necessariamente un ordine logico. Questo tipo di lettura è immersiva ma anche vulnerabile a distrazioni, sia interne (come la curiosità di esplorare un link) sia esterne (notifiche o rumori). Contrariamente a ciò che si pensa, il web non premia testi brevi, ma testi ben strutturati. La sintesi è fondamentale, ma non si traduce in brevità: anche testi lunghi possono funzionare, purché siano chiari, coerenti e adeguati al contesto. La chiave è rendere il contenuto facile da scansionare, con una struttura solida che guidi il lettore nel percorso di lettura. Seguendo le indicazioni del Nielsen Norman Group, la scrittura efficace per il web deve rispettare alcune regole fondamentali. - Le informazioni principali devono essere poste nei primi paragrafi per catturare subito l’attenzione del lettore. - Il testo dovrebbe essere suddiviso in blocchi tematici con titoli chiari, in modo da facilitarne la fruizione e ridurre lo sforzo di comprensione. - È importante utilizzare parole chiave nei punti strategici e dare risalto a termini importanti con il grassetto, per favorire una rapida identificazione dei concetti principali. - I link devono essere parlanti, ovvero descrivere chiaramente la destinazione o l’utilità, e gli elenchi puntati aiutano a organizzare le informazioni in modo visivamente più accessibile. Per capire effettivamente come le persone leggono, sono stati svolti degli studi di eye-tracking sempre dal Nielsen Norman Group, che appunto hanno osservato migliaia di utenti, analizzando dove andava a posarsi lo sguardo durante la lettura. Sono stati teorizzati quattro modelli di lettura: 1. Modello a F: l’occhio si posa sulla prima frase del primo paragrafo e poi sugli inizi dei paragrafi successivi, descrivendo una sorta di “f” => news, articoli di cronaca. 2. Modello a millefoglie: l’occhio si posa sui titoletti che aprono ogni nuovo paragrafo. La lettura è guidata dai titoli che devono essere efficaci descrivendo semanticamente i contenuti principali del testo => testi organizzativi, lunghi, pseudo elenchi. 3. Modello a spot: l’occhio si sofferma su tutto ciò che visivamente colpisce di più o che è visivamente staccato dal resto (titoli, parole in grassetto o corsivo, parole lunghe, simboli, numeri, link) => non ha un testo di riferimento, integra gli altri modelli. 4. Modello a lettura impegnata: motivati dall’interesse per l’argomento, i lettori leggono seguendo il principio contrario rispetto al modello a F e si concentrano soprattutto sulla parte finale, dove di solito stanno le conclusioni => articolo scientifico, paper, tesi di laurea, editoriale brillante. Nel mondo della scrittura per il web, alcuni aspetti fondamentali richiedono particolare attenzione per garantire un testo efficace, leggibile e orientato agli obiettivi digitali. Un elemento chiave è la costruzione dei TITOLI, che svolgono più funzioni cruciali. I titoli non solo selezionano il destinatario ideale, ma aiutano l’autore a organizzare il contenuto e migliorano il posizionamento del testo nei motori di ricerca. Per essere efficaci sul web, devono essere autosufficienti, ossia comprensibili anche al di fuori del contesto del testo, e contenere le parole chiave all’inizio. È essenziale evitare titoli criptici o troppo generici, puntando invece su due tipologie principali: - I titoli informativi, che rispondono a domande precise e sono apprezzati dai motori di ricerca. - I titoli “intelligenti”, più allusivi, che giocano sulla complicità del lettore ma sono meno ottimizzati per la SEO. Una combinazione vincente può essere quella tra titolo e sottotitolo, dove il primo deve contenere le informazioni principali, mentre il secondo può aggiungere dettagli o integrare. Tuttavia, titolo e sottotitolo devono mantenere coerenza stilistica e sintattica, senza ripetere inutilmente gli stessi vocaboli. Le PAROLE CHIAVE sono un altro elemento centrale. Nel web, spesso vengono evidenziate in grassetto per facilitare la lettura e lo scanning del testo, cioè la capacità del lettore di individuare rapidamente i punti salienti. Devono essere distribuite con parsimonia: se lette in sequenza, dovrebbero fornire una sintesi del contenuto senza risultare ridondanti o eccessive. I LINK, infine, rappresentano veri e propri segnali testuali. Sono promesse di approfondimento e vengono valutati positivamente sia dai lettori sia dai motori di ricerca. La loro presenza all’interno di un testo deve essere studiata con attenzione, rispettando criteri di economicità, precisione e pertinenza. Non tutti i punti del testo sono adatti per ospitare un link, e la scelta deve essere guidata dalla necessità di coerenza tra le parole del link di partenza e il titolo della pagina di destinazione. Inoltre, i link possono essere strumenti di navigazione utili per spostarsi all’interno di una pagina molto lunga. Un buon link deve possedere caratteristiche specifiche: precisione nel rimandare a contenuti chiari e pertinenti, molteplicità per offrire un’ampia gamma di approfondimenti, leggerezza per non appesantire il testo, coerenza con il contesto, visibilità per essere facilmente individuabile e rapidità nell’accesso alla destinazione. Questi principi, messi insieme, garantiscono che un testo web sia non solo fruibile e leggibile, ma anche ben ottimizzato per il suo pubblico e per i motori di ricerca. I metodi di scrittura. => IL METODO DELLA PIRAMIDE ROVESCIATA: le informazioni più importanti e principali vanno date subito (titolo e sottotitolo), successivamente si passa alle informazioni utili ma non essenziali (abstract/incipit), infine si passa alle informazioni di contorno e ai dettagli (link, ecc.). Questo metodo è utilizzato per esempio per i contenuti delle pagine web: all’inizio si danno le informazioni decisive (bisogna far capire alle persone perché il proprio contenuto è decisivo, comunicando i punti di forza e dando le informazioni più importanti), poi si sviluppa il contenuto (bisogna argomentare, comunicare le proprie conoscenze e le informazioni necessarie a soddisfare il lettore), infine si danno le informazioni aggiuntive (dettagli, approfondimenti, link utili), che sono comunque “carine” per chi naviga. In generale, il metodo della piramide rovesciata è utile quando: - Il tempo per la lettura è poco. - Al lettore si comunica qualcosa di preciso, ed è bene che sappia subito cosa. - Il testo è molto lungo, quindi è utile anticipare i contenuti più importanti. - La pagina deve agganciare l’attenzione del lettore. - Si legge in mobilità e su schermo piccolo. => IL METODO DELLE CINQUE SCATOLE: ogni scatola rappresenta una fase del processo di scrittura, dalla presentazione dell’argomento alla conclusione. È particolarmente utile per presentare informazioni complesse in modo chiaro e ordinato, permettendo al lettore di seguire facilmente il flusso del testo. Le 5 scatole includono: - Attacco (introduzione): qui si presenta l’argomento o l’idea principale del testo in maniera coinvolgente per catturare l’attenzione del lettore. - Linee generali: qui si fornisce una panoramica generale dell’argomento e del contesto. - Esposizione narrativa: qui si espandono e si sviluppano le informazioni sull’argomento principale. Questa sezione può essere suddivisa in paragrafi separati, ciascuno dei quali presenta un aspetto specifico o un’idea correlata. - Informazioni meno importanti: qui si esaminano le informazioni secondarie, come le diverse prospettive o punti di vista sull’argomento e si presentano argomenti e contro-argomenti. - Conclusione forte ed emotiva: qui si va a chiudere efficacemente il testo, ribadendo l’importanza dell’argomento e lasciando un’impressione duratura sul lettore. La conclusione può anche includere un invito all’azione o una riflessione futura sull’argomento trattato. Questo metodo si utilizza per scrivere un pillar article. Ma cos’è un pillar article? Rappresenta una colonna portante nell’architettura di un determinato blog (genera infatti traffico almsito/blog). È un testo, un post di qualità, un articolo evergreen, più lungo rispetto agli altri articoli presenti nel blog, attraverso il quale si affronta un certo argomento (sempre attuale) nella sua interezza, presentando dei contenuti che verranno poi approfonditi in altri articoli secondari. Richiede un lavoro di ricerca da parte dell’autore, il suo contenuto è originale e offre spunti di riflessione. Inoltre, al suo interno si possono ritrovare molti esempi pratici, tra cui anche case studies e per questo è davvero utile all’utente. => IL METODO DELLA CLESSIDRA: questo modello si basa sulla progressione da un’ampia panoramica iniziale dell’argomento (descrizione/esposizione) a una focalizzazione su dettagli specifici (transizione), seguita da un ritorno a un livello più ampio di sintesi o conclusione (racconto). Questo metodo viene utilizzato sia per presentare informazioni complesse in modo efficace sia per le notizie di tipo gossip. => IL METODO DEL DIAMANTE: questo modello viene utilizzato per esplorare e presentare un argomento da punti di vista contrastanti o opposti. - Inizialmente si fornisce un contesto e si presenta la questione principale che sarà esaminata => informazione più importante. - In un secondo momento si presenta il primo punto di vista o posizione sull’argomento (si espongono le ragioni, gli argomenti o le prove a sostegno di questa posizione), si presenta anche il punto di vista contrastante o opposto (si offre una prospettiva alternativa all’argomento iniziale) e si cerca di trovare un punto di equilibrio tra questi due punti di vista (si può fornire una riflessione, una conclusione, una proposta, ecc.) => estensione dell’informazione. - Infine si riassumono i punti chiave esaminati nel testo e si fornisce una chiusura efficace riprendendo le argomentazioni dell’introduzione => tirare le fila. Questo metodo è molto utile per presentare argomenti complessi o controversi in modo equilibrato, ma è anche il modello più utilizzato nell’email marketing. TONE OF VOICE (ToV). Il Tone of Voice rappresenta il modo in cui un testo “parla” e riflette i valori, gli obiettivi e la personalità di chi lo produce. La voce è il nucleo stabile che rimane coerente nel tempo e incarna l’identità dell’organizzazione o del brand. Il tono di voce, invece, è il modo in cui questa voce si modula a seconda del contesto e della situazione, attraverso scelte stilistiche, semantiche e linguistiche fatte parola dopo parola. È il veicolo che permette a un’organizzazione di comunicare la propria personalità in modo riconoscibile e omogeneo, costruendo così la fiducia e la percezione di coerenza nei confronti del pubblico. Ogni messaggio, che sia un post sui social o un articolo di blog, deve contribuire a raccontare il brand come una realtà unitaria. In organizzazioni grandi, il ToV può variare tra diversi canali, ma deve sempre mantenere una coerenza complessiva per costruire un’identità credibile e affidabile. Per funzionare, il ToV deve essere ancorato a tre elementi chiave: - Chi siamo (espressi attraverso la mission e la vision). - Chi è il nostro pubblico (la nostra audience e comunità). - Qual è la situazione comunicativa. Quest’ultima richiede un’attenta valutazione del contesto e una modulazione del tono per adattarlo a diverse circostanze e canali. L’importanza del ToV risiede principalmente nella sua capacità di definire il posizionamento del brand. Ogni tono, dal formale e istituzionale al leggero e frizzante, contribuisce a determinare come il brand viene percepito. La consapevolezza linguistica è essenziale per scegliere e adattare il tono in base agli obiettivi di comunicazione, garantendo così la riconoscibilità. Come nelle relazioni personali, uno stile riconoscibile aiuta a costruire fiducia e favorisce la creazione di affinità con il pubblico. Ma il ToV non è solo uno strumento per trasmettere contenuti: è fondamentale per costruire relazioni umane e comunità, sempre più centrali nel panorama comunicativo, sia in ambito business che non. Esistono diverse classificazioni del tono di voce. - Il Nielsen Norman Group lo suddivide in quattro coppie di opposti: serio o divertente, formale o informale, rispettoso o irriverente, pragmatico o entusiasta. - Una classificazione più sfumata usa un “termometro” per identificare quattro principali categorie: un tono freddo, serioso e formale, distante e autoritario; un tono neutro, autorevole ma non autoritario, asciutto e formale quanto basta; un tono caldo, casual e empatico, che crea vicinanza senza esagerare; infine, un tono colorato, caratterizzato da divertimento, irriverenza, e a volte da un’impronta estrema o inaspettata. Esiste anche il tono onirico, sofisticato e poetico, che si rivolge a un pubblico più esclusivo e raffinato. UX WRITING (user experience writing). PREMESSA. I testi che compongono una pagina web sono: - Il testo principale che veicola i contenuti semantici principali, articolandosi in strutture diverse una dall’altra. Cerca di andare incontro ai modelli di lettura degli utenti per intercettarne l’attenzione e si arricchisce di elementi che rendono efficace la scrittura digitale (titoli, link, parole chiave, rimandi). - Il testo di servizio, anche detto microcopy, microcontenuto o paratesto. L’UX writing, o user experience writing, è una disciplina fondamentale per il design delle interfacce digitali, che unisce scrittura e progettazione per creare testi che guidino gli utenti nel modo più semplice e naturale possibile. Si tratta di scrivere microcopy, ovvero quei testi brevi che si incontrano continuamente durante la navigazione di un sito o di un’app: bottoni con call to action, etichette di menu, messaggi di errore, pagine 404, istruzioni, FAQ, tag alt, e persino i testi che accompagnano chatbot e interfacce vocali. Questi microcontenuti non sono semplici parole, ma veri e propri strumenti progettati per migliorare l’esperienza dell’utente e, al tempo stesso, comunicare il tono di voce del brand. L’UX writer è il professionista che si occupa di creare questi contenuti. Più che un semplice scrittore, è un designer che lavora all’intersezione tra testo e design, progettando interazioni e conversazioni in team multifunzionali. Il suo obiettivo principale non è scrivere per gli utenti, ma per le persone, tenendo conto del loro contesto, del loro stato emotivo e delle loro necessità. Per questo motivo, l’UX writing deve essere sempre chiaro, etico, rispettoso e, soprattutto, accessibile. Ogni parola scelta deve facilitare la navigazione, valorizzare il beneficio che il prodotto o servizio può offrire e guidare l’utente in modo rassicurante, senza farsi notare. Un buon UX writing si basa su tre principi fondamentali: espressività, familiarità e chiarezza. - L’espressività consente di dare un’identità al testo e di riflettere i valori del brand. - La familiarità aiuta l’utente a sentirsi a proprio agio grazie a un linguaggio semplice e naturale. - La chiarezza elimina ambiguità e incertezze, rendendo ogni interazione immediata e comprensibile. Accanto a questi principi, ci sono regole precise che l’UX writer deve seguire, come bilanciare la quantità e la qualità del testo, mantenere una relazione coerente tra contenuti e contesto, e curare il modo in cui ogni informazione viene presentata. È fondamentale evitare i cosiddetti dark pattern, quelle strategie manipolative che spingono l’utente a fare scelte inconsapevoli o contro la propria volontà, perché minano la fiducia e l’integrità del design. La forza dell’UX writing sta nella sua capacità di rendersi invisibile: quando funziona davvero, non si nota. Ogni parola è scelta con cura per integrarsi perfettamente nell’interfaccia, trasformando ogni clic, ogni lettura e ogni scelta in un’esperienza fluida e senza attriti. Scrivere microcopy efficaci significa creare un dialogo continuo tra l’interfaccia e l’utente, un dialogo che non solo guida, ma rassicura e valorizza, accompagnando le persone verso il raggiungimento dei loro obiettivi in modo intuitivo e umano. Lo storytelling. Lo storytelling non è semplicemente il racconto di storie, ma una modalità di comunicazione strategica che utilizza i racconti per trasmettere valori, emozioni e identità. Significa “comunicare attraverso racconti”. Quando si fa storytelling, si comunica attraverso narrazioni pensate per creare un legame emotivo con il pubblico, un ponte tra il mondo del brand e quello dei consumatori. Questa tecnica consente di immergere le persone in un universo fatto di significati condivisi, trasformando prodotti e servizi in qualcosa di più: metafore capaci di rappresentare uno stile di vita, un desiderio o un valore. Perché una storia funzioni davvero, deve essere costruita intorno a elementi fondamentali che creano riconoscimento e coinvolgimento. - I protagonisti, il cuore pulsante della narrazione: sono personaggi in cui il pubblico può identificarsi, rispondono a tratti universali o specifici che riflettono il target di riferimento e rendono ogni racconto un frammento di vita. Possono essere immaginari, reali, oppure rappresentati dai fondatori di un brand o dai suoi clienti. - L’antagonista. Nel contesto aziendale, l’antagonista non è un individuo ma un ostacolo: stereotipi, paure, limiti o qualsiasi cosa si frapponga tra il protagonista e il suo obiettivo. È proprio la tensione tra questi due poli a rendere il racconto coinvolgente e a spingere il pubblico verso un lieto fine. - Lieto fine, spesso associato al successo, non rappresenta soltanto una vittoria, ma un’esperienza umana che riflette valori e aspirazioni. Le storie funzionano quando le persone vi si riconoscono. Il lettore o l’audience si pone delle domande fondamentali: “Potrei essere io?” oppure “Vorrei essere io?”. La storia deve offrire situazioni e personaggi che si connettano emotivamente con il pubblico, rendendo il prodotto o il servizio una sorta di “oggetto magico”, capace di trasformare un desiderio in realtà. Quando questo accade, l’engagement è immediato: l’audience si attiva, acquista, segue, partecipa. Lo storytelling è cruciale perché parla del brand senza essere autoreferenziale, evitando di concentrarsi esclusivamente sui prodotti e mostrando, invece, il quotidiano e i valori che lo animano. Questo crea una connessione emotiva, rendendo la relazione con il pubblico più forte e duratura. L’obiettivo non è solo attrarre compratori, ma costruire una comunità attorno a un’identità condivisa. In un mercato sempre più segmentato, infatti, le persone scelgono prodotti e servizi che rispecchiano il loro modo di essere. Una storia è un’escalation di eventi guidati da conflitti che causano un cambiamento significativo nella vita di un personaggio. Una storia efficace segue cinque principi fondamentali: - Parte da un incidente scatenante che rompe l’equilibrio e crea un desiderio o una reazione. - Prosegue con complicazioni progressive, che intensificano il conflitto e portano a un punto di non ritorno. - Culmina in una crisi, un momento di massimo sforzo dove il protagonista affronta una scelta cruciale. - Esplode in un climax, un ribaltamento finale e irreversibile. - Si chiude con una risoluzione che risponde alla domanda: "Cosa succede ora?". Questo schema non solo rende una storia avvincente, ma è essenziale per coinvolgere emotivamente un pubblico, soprattutto quando si tratta di vendere un prodotto, un servizio o un brand. La forza dello storytelling sta nel suo protagonista, che rappresenta il punto di vista con cui il pubblico si identifica. Nel marketing, questa identificazione è il motore che collega il target audience alla storia. Per questo, il protagonista deve essere autentico, non uno stereotipo o un cliché, e il suo viaggio deve riflettere esperienze, desideri o sfide che il pubblico può riconoscere. Esistono diversi approcci per definire il protagonista: - In una narrazione resource-centric, è l’azienda stessa a occupare il ruolo principale, evidenziando l’efficienza o l’innovazione. - In una narrazione product-centric, il prodotto è il fulcro, la soluzione migliore che risolve un problema. - Nella più recente e diffusa narrazione consumer-centric, invece, il cliente è il protagonista, mentre il brand si pone come facilitatore, il supporto che permette di superare sfide o raggiungere obiettivi. Un altro elemento fondamentale dello storytelling è il valore dell’antagonista. Nel contesto aziendale, l’antagonista non è una persona, ma tutto ciò che ostacola il protagonista: paure, limiti, stereotipi. È questa opposizione a creare tensione e interesse, a spingere il pubblico a tifare per il protagonista e, di conseguenza, a percepire il brand come un alleato nella risoluzione del conflitto. Ma il conflitto, per essere credibile, deve seguire regole narrative precise: evitare coincidenze, flashback superflui o spiegazioni noiose, perché rallentano il ritmo e abbassano l’attenzione. La passività è un errore imperdonabile: un protagonista che non agisce è un protagonista che non emoziona. Il "telling", ovvero il modo in cui si racconta una storia, è altrettanto cruciale. Che si tratti di video, immagini, fumetti o testi scritti, la narrazione deve essere chiara e visivamente coinvolgente. La semplicità è una virtù: ciò che puoi tagliare va tagliato, perché la narrazione deve mantenere la tensione senza disperdersi. L’azione, più delle parole, veicola il messaggio, e ciò che viene lasciato fuori è importante quanto ciò che viene mostrato. Ogni scena deve preparare quella successiva, costruendo una tensione costante e diretta, come suggerito dall’unità d’azione aristotelica. Alla base di tutto, però, c’è il sistema di valori della storia: contrasti binari come amore e odio, successo e fallimento, fedeltà e tradimento. È su queste opposizioni che si costruiscono empatia e coinvolgimento, perché le scelte e i dilemmi del protagonista diventano lo specchio delle esperienze del pubblico. Il pensiero laterale. Con il termine pensiero laterale, coniato dallo psicologo maltese Edward De Bono, si intende una modalità di risoluzione di problemi logici (problem solving) che prevede un approccio particolare, ovvero l'osservazione del problema da diverse angolazioni, contrapposta alla tradizionale modalità che prevede concentrazione su una soluzione diretta al problema. Una soluzione diretta prevede il ricorso alla logica sequenziale, risolvendo il problema partendo dalle considerazioni che sembrano più ovvie, il pensiero laterale se ne discosta (da cui il termine laterale) e cerca punti di vista alternativi per cercare la soluzione. Esistono diversi modi: => La metafora. Può servire per rendere visibili concetti astratti, quali per esempio qualità, la bontà, la preziosità, ecc. Es. Il nostro cliente ci chiede di comunicare che una (la sua) birra è di qualità altissima, tanto alta da reputarla “preziosa”. Non sappiamo però né i dettagli, come gli ingredienti, il gusto, il processo di imbottigliamento o lavorazione. Come una birra può essere preziosa? => L’analogia. Può servire per rendere visibili e facili da comprendere concetti altrimenti assai complessi. È utile per interi ragionamenti. Es. Il cliente di un brand automobilistico, ci chiede di sponsorizzare un modello di auto giudicato esteticamente al di sotto della concorrenza, ma con una qualità di affidabilità superiore alla media. Posso sminuire il valore estetico per far leva sulla caratteristica dell’affidabilità. Devo quindi cercare altri contesti, esempi familiari al pubblico, in cui una scarsa attenzione per l’estetica corrisponda a un alto valore di affidabilità. Lo spot che ha fatto la storia dell’advertising. => L’iperbole. Può servire per chiedersi quali siano le conseguenze più estreme a cui la qualità del prodotto porta. Può anche mostrare le conseguenze estreme di un bisogno da parte del pubblico. Es. Il cliente è un’azienda che produce assorbenti e vuole mostrare quanto una persona possa sentirsi sicura utilizzandoli. Es. Il cliente è un’azienda svizzera che opera nel settore farmaceutico, e mi chiede di dimostrare l’efficacia della loro pomata (= Voltaren). Perché il consumatore dovrebbe averne bisogno? Pubblicità che ha vinto parecchi Leoni a Cannes. => La personificazione. Può non essere incentrata sul prodotto da comunicare, ma su qualcosa che con quel prodotto interagisce. Es. Pubblicità dell’Attack. I giocattoli rotti dell’infanzia, vengono aggiustati con la colla e prendono vita, ritornando dai rispettivi padroni. Gli archetypal branding. Alla base di tutti i nostri comportamenti sociali ci sono: - Le emozioni primarie: felicità, rabbia, paura, tristezza, sorpresa e disgusto. - I bisogni, rappresentati dalla piramide di Maslow: bisogni fisiologici, sicurezza, appartenenza, autostima e autorealizzazione. Da questo numero finito di emozioni e bisogni si ricavano delle combinazioni che vanno a definire il comportamento umano. Inoltre, se a questi elementi riesco ad associare delle caratteristiche fisiologiche, cognitive e con esperienze di vita, posso parlare di archetypal branding. Archetypal branding deriva da “archetipo”. Questo termine deriva dall’unione di due parole greche: archè (origine, principio) + typos (modello, esemplare) e viene utilizzato per indicare le idee dell’inconscio umano. Gli archetipi, teorizzati dal filosofo e psicoanalista svizzero Carl Jung, rappresentano un tipo di individuo che porta con sé caratteristiche universali in termini di bisogni, desideri, obiettivi, aspirazioni e paure. I 12 archetipi, secondo Jung, sono: eroe, creatore, burlone, ribelle, saggio, amante, angelo custode, mago, sovrano, innocente, uomo comune ed esploratore. Negli anni si è visto che gli archetipi possono essere utilizzati anche nel mondo del marketing e della pubblicità, sia per capire le caratteristiche del pubblico target, sia per incarnare un preciso modello che permetta alle aziende di essere riconosciute. I 12 archetipi, quindi, sono stati uniti in quattro macroaree che corrispondono a quattro bisogni specifici delle persone: - Cambiamento (16-18): archetipo dell’eroe, del ribelle e del mago. - Appartenenza (19-34): archetipo del burlone, dell’uomo comune e dell’amante. - Stabilità (35-65): archetipo del creatore, dell’angelo custode e del sovrano. - Indipendenza (65+): archetipo dell’innocente, dell’esploratore e del saggio. Tuttavia, questa teorizzazione è stata creata nel 2001 e al giorno d’oggi ci sono delle novità. Le tre principali sono: - Nascita e diffusione di nuove tecnologie, che si evolvono sempre più rapidamente e rivoluzionano le abitudini. - Presenza di informazioni sempre più abbondanti, strutturate e accessibili, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. - Creazione di un melting pot razziale e culturale in un mondo in cui le frontiere sono sempre meno definite. Tenendo conto di queste novità, Riccardo Donato, esperto di archetypal branding, cambia le aree degli archetipi dando delle definizioni più stringenti e aggiungendo quattro nuovi archetipi, collegati al mondo che ci circonda al giorno d’oggi. => La prima macroarea diventa quella del cambiamento e delle possibilità (archetipi dell’eroe, del ribelle, del mago e dell’esploratore). Gli archetipi di questo gruppo rappresentano la forza e il desiderio di andare oltre i limiti, di gettare il cuore oltre gli ostacoli e superarli, alimentano la convinzione di essere i padroni del proprio destino e di poter cambiare le cose. Spingono a muoversi verso ciò che è migliore. - L’eroe aspira a superare difficoltà con forza e coraggio, dimostrando la propria determinazione per migliorare il mondo e superare i propri limiti. Teme la debolezza e l'irrilevanza, ma il desiderio di cambiamento lo spinge a cercare continuamente di essere migliore, rischiando però di cadere nell’arroganza. - Il ribelle aspira a cambiare il mondo sovvertendo le regole e rivoluzionando ciò che non funziona, con l'obiettivo di ripartire da zero. Teme l'inefficacia e la mancanza di potere e a volte adotta strategie provocatorie che rischiano di spingersi troppo oltre. Fa di tutto per superare l'insoddisfazione e stimolare il cambiamento. - Il mago aspira a trasformare la realtà in esperienze speciali, risolvendo problemi attraverso l'inaspettato e rendendo la vita più semplice. Teme le conseguenze negative impreviste e, pur inventando e stupendo, rischia di manipolare e rifiutare la realtà, puntando a sorprendere il mondo con idee innovative e utili. - L'esploratore aspira a scoprire l'autenticità e trovare sé stesso attraverso il viaggio, realizzando una vita piena e vera. Teme di perdersi e vagare senza scopo, ma cerca libertà e unicità per sentirsi autentico e non omologato. => La seconda macroarea diventa quella dell’appartenenza, dell’abbondanza e della condivisione (archetipi dell’amante, del burlone, dell’uomo comune e dell’incantatore). Gli archetipi di questo gruppo si fondano sulla persuasione delle persone che la vita è meglio insieme, in quanto la comunione amplifica la percezione. Si basa sulla convinzione che siamo animali sociali, e sono più le cose che ci uniscono che non quelle che dividono. - L’amante aspira a vivere relazioni piene e appaganti, desiderando sentirsi e far sentire speciali attraverso amore e passione. Teme la solitudine e, pur cercando di essere seducente, rischia di diventare possessivo e geloso, puntando a far star bene le persone con amore e sensualità. - Il burlone aspira a vivere con leggerezza, divertendosi e facendo sorridere gli altri cambiando prospettiva sulle cose. Teme la noia e, pur trovando il lato ironico in tutto, rischia di mancare di rispetto, puntando a far divertire attraverso il paradosso e l’inaspettato. - L’uomo comune aspira a essere utile ed apprezzato, desiderando connettersi con gli altri e farli sentire a proprio agio. Teme di non essere accettato e, pur cercando equilibrio, rischia di perdere la propria identità, trovando valore nell’utilità quotidiana. - L’incantatore aspira a conquistare e affascinare, seducendo con eleganza e raffinatezza per redimere. Teme di essere ignorato e, pur puntando alla sofisticatezza, rischia di cadere nell'egocentrismo, ispirando la ricerca di buon gusto e stile. => La terza macroarea diventa quella della stabilità del controllo e del comando (archetipi del creatore, dell’angelo custode, del sovrano e dell’esperto). Gli archetipi di questo gruppo fortificano la convinzione che siamo creatrici/creatori del nostro mondo, e possiamo quindi coltivare e controllare il nostro ambiente per servirlo e servirci; possiamo costruire, conoscere, ricercare e sedurre e possiamo migliorare il presente. - Il creatore aspira a realizzare opere perfette e di valore duraturo, esprimendo la propria visione attraverso creatività e intelligenza. Teme la mediocrità e, pur cercando la perfezione, rischia la sterilità, puntando a liberare la creatività per dare forma unica al mondo. - L’angelo custode aspira a creare un mondo di benessere, proteggendo e prendendosi cura del prossimo per farlo stare bene. Teme l'egoismo e, pur agendo con premura, rischia di cadere nel ricatto emotivo, cercando di armonizzare cura e pressioni quotidiane. - Il sovrano aspira a pace e giustizia, esercitando leadership e potere per migliorare il mondo e affermarsi come guida. Teme la debolezza e, pur dettando standard elevati, rischia di cadere nella tirannia, puntando a un modello esclusivo e d’eccellenza. - L’esperto aspira a un mondo consapevole e metodico, offrendo sicurezza attraverso la propria autorevolezza e specializzazione. Teme la superficialità e, pur garantendo precisione, rischia di sacrificare le passioni, dando valore solo a ciò che è funzionale e funzionante. => La quarta macroarea diventa quella dell’indipendenza, dell’impegno e della responsabilità (archetipi dell’innocente, del saggio, dell’ancora e del mentore). Gli archetipi di questo gruppo vogliono far vedere le persone come singoli individui, indipendenti e autonomi, posti al centro del mondo e al servizio della propria comunità. Amplificano il desiderio di servire ed essere realizzati attraverso l’esempio per gli altri. - L’innocente aspira a un mondo ideale, vivendo con fiducia e speranza grazie all’ottimismo e all’apertura verso gli altri. Teme la fragilità e, pur cercando bontà e semplicità, rischia di negare i problemi, risvegliando il bisogno di autenticità e trasparenza. - Il saggio aspira a illuminare gli altri con conoscenza e consapevolezza, guidandoli attraverso l’esempio e la comprensione. Teme la stupidità e, pur cercando saggezza, rischia l’arroganza, ispirando rispetto per affrontare la vita nel modo migliore. - L’ancora aspira a creare stabilità e basi durature, diventando un punto fermo e affidabile per gli altri. Teme di andare alla deriva e, pur cercando sicurezza, rischia l’immobilismo, puntando a essere un riferimento solido e stabile. - Il mentore aspira a guidare gli altri, trasferendo conoscenza per trasformarli in eroi e favorire la crescita reciproca. Teme di non avere nulla da insegnare e, pur puntando a educare, rischia di accumulare sapere fine a sé stesso, donandolo per far evolvere il prossimo. Infine, un brand può scegliere di rispondere sempre allo stesso archetipo oppure può rispondere a più archetipi diversi. La scelta dipende dall’esigenza di posizionamento. Inoltre, più l’archetipo è lontano dal settore del brand, più la comunicazione diventa creativa e disruptive. - Apple è un esempio di brand che si racconta attraverso diversi archetipi e infatti ne utilizza diversi all’interno delle sue campagne. Questo non porta il brand a perdere la propria personalità, ma gli permette di rivolgersi ad un target specifico. Il copywriting. Il copywriting è la disciplina che convoglia il mondo della scrittura con il mondo del marketing. È infatti l’attività di scrivere testi (pubblicitari, persuasivi) con lo scopo di convogliare l’attenzione del cliente, invogliandolo all’acquisto o a compiere una determinata azione (definita conversione). Il copywriter è quindi una figura professionale che sa come creare un bisogno e sa come cogliere il minimo interesse da prospettare al cliente. A oggi, esistono vari tipi di copywriter: pubblicitario, editoriale, digitale, SEO, social media. Quali sono le fasi di progettazione di un copy? Devo farmi determinate domande: - Come descrivo il prodotto? A cosa serve? Quanto costa? - Cosa lo rende unico? Quali sono le caratteristiche? - Che vantaggi offre? Che problema risolve? - Chi acquista il prodotto? Qual è il mio cliente tipico e quale il mio ideale? - Chi non lo comprerebbe? Perché? - Come viene venduto? - Che idea ha il mio cliente? Al giorno d’oggi il copywriting è soprattutto di tipo emozionale, cioè i clienti vogliono le storie. Tuttavia esiste anche una parte di copywriting che è invece di tipo informativo. La storia del copywriting. La storia della stampa e del copywriting (che ancora non si chiamava così) iniziano a intrecciarsi nell’800. Con la seconda rivoluzione industriale, la società diventa più industrializzata e aumentano le innovazioni tecnologiche. Questo porta ad una crescita e ad uno sviluppo socio- economico, che impongono un mercato sempre più competitivo. Le aziende sentono il bisogno di far risaltare le proprie realtà e i propri prodotti rispetto alla concorrenza. È in questo contesto che nasce la disciplina pubblicitaria, unendo quindi aziende e quotidiani. Agli inizi del Novecento nascono e si sviluppano sempre più agenzie pubblicitarie, soprattutto nei paesi anglofoni, grazie all’intuizione del profitto pubblicitario nei giornali. I testi pubblicitari vengono scritti dai cosiddetti hack writer, degli scrittori mancati che erano scartati dal mondo giornalistico perché non venivano considerati degli scrittori di successo. È qui che comincia a diffondersi il mestiere del copywriting. La storia del copy non è da intendersi come evoluzione lineare di un mestiere, ma come il susseguirsi di diverse personalità simboliche, caratterizzate da un proprio stile e da un modo di intendere il copy diverso dagli altri, che hanno fatto scuola nel e per il mondo che ora ci circonda. => John Emory Powers. John Emory Powers è considerato il padre del copywriting e il precursore della pubblicità moderna. La sua influenza è stata enorme perché ha introdotto un approccio completamente nuovo alla scrittura pubblicitaria, basato sull’onestà, sulla semplicità e su una comunicazione diretta con il pubblico. A cavallo tra il XIX e il XX secolo, Powers lavorò principalmente per grandi magazzini come Wanamaker’s, dove rivoluzionò il modo di fare pubblicità, passando da messaggi enfatici e decorativi a testi che parlavano con autenticità al consumatore. Il suo obiettivo principale non era impressionare con formule eleganti o slogan accattivanti, ma raccontare la verità sul prodotto o sull’offerta in modo chiaro, credibile e, soprattutto, efficace. Lo "stile Powers" si basava su una scrittura semplice, priva di artifici e iperboli, e su un tono quasi colloquiale. I suoi annunci non cercavano di manipolare il pubblico con promesse irrealistiche, ma piuttosto mettevano in evidenza sia i punti di forza sia, in alcuni casi, i limiti del prodotto, anticipando possibili obiezioni del consumatore. - Ad esempio, in una delle sue pubblicità scrisse: “Questi vestiti non sono eleganti, ma sono economici e buoni.” Questa frase rappresenta perfettamente il suo stile: diretto, privo di fronzoli e focalizzato sulla trasparenza. Powers credeva fermamente che l’onestà fosse la chiave per costruire fiducia e per conquistare il rispetto dei clienti, un principio che ancora oggi è considerato uno dei pilastri fondamentali del copywriting efficace. Un altro elemento distintivo del suo approccio era l’attenzione al lettore. Powers scriveva come se stesse parlando direttamente a una persona, anticipando i suoi dubbi e cercando di risolverli con la massima sincerità. I suoi testi erano brevi, incisivi e spesso strutturati per enfatizzare il valore reale dell’offerta, senza cercare di abbellire inutilmente il messaggio. In un periodo in cui la pubblicità era dominata da esagerazioni e toni pomposi, il suo approccio rappresentava una rottura netta con il passato e anticipava un’idea di comunicazione più moderna, centrata sull’autenticità. => Claude Hopkins. Claude Hopkins è una delle figure più influenti nella storia del copywriting e del marketing, grazie al suo approccio metodico e scientifico alla pubblicità, esposto nel celebre libro “Scientific Advertising”. Hopkins credeva che la pubblicità non dovesse essere basata su intuizioni casuali o su semplici esperimenti creativi, ma su principi solidi e verificabili. Per lui, la pubblicità era una scienza, non un’arte, e doveva essere progettata e misurata con lo stesso rigore di un esperimento scientifico. Il cuore del suo metodo era il concetto di test e misurazione. Hopkins insisteva sul fatto che ogni campagna pubblicitaria doveva essere verificata attraverso risultati concreti, misurando il ritorno sull’investimento e adattando il messaggio in base a ciò che funzionava meglio. Questa attenzione ai dati lo portò a sviluppare strategie che non solo attiravano l'attenzione del pubblico, ma lo spingevano anche ad agire, acquistare o rispondere. Non si trattava di creare pubblicità semplicemente accattivanti o creative, ma di scrivere testi che avessero un impatto misurabile sulle vendite. Hopkins era un convinto sostenitore della pubblicità diretta (hard selling), dove l’efficacia poteva essere quantificata immediatamente attraverso le risposte dei consumatori, come nel caso delle offerte con coupon. Un altro principio fondamentale del suo lavoro era l’importanza di comprendere a fondo il prodotto e il pubblico. Hopkins dedicava molto tempo a studiare il prodotto, individuandone le caratteristiche più vantaggiose e presentandole in modo che risolvessero un problema o soddisfacessero un bisogno specifico del consumatore. Credeva fermamente che il messaggio pubblicitario dovesse basarsi su benefici concreti e dimostrabili, piuttosto che su promesse vaghe o esagerazioni. Uno dei suoi contributi più significativi è stato il concetto di "reason why advertising", ovvero l'idea che ogni pubblicità dovesse fornire una ragione chiara e convincente per cui il consumatore avrebbe dovuto scegliere quel prodotto. Questo approccio razionale e persuasivo rendeva le sue campagne estremamente credibili ed efficaci. Hopkins, inoltre, è noto per aver introdotto l'idea del campione gratuito come strumento pubblicitario. Credeva che la prova diretta del prodotto fosse il modo migliore per convincere i consumatori della sua qualità, eliminando ogni incertezza. Infine, uno degli aspetti più affascinanti del suo approccio era la sua visione etica della pubblicità. Hopkins credeva che il marketing dovesse essere costruito sulla fiducia e sulla verità. Non era interessato a creare campagne ingannevoli o manipolative, perché riteneva che il successo a lungo termine di un'azienda dipendesse dalla sua capacità di mantenere ciò che prometteva. Per lui, la pubblicità doveva essere utile tanto al consumatore quanto al venditore, offrendo informazioni reali che migliorassero la vita delle persone. => Leo Burnett. Leo Burnett è una delle figure più iconiche e influenti nel mondo della pubblicità, ricordato per il suo approccio unico e umano alla comunicazione. Fondatore dell’omonima agenzia pubblicitaria nel 1935, Burnett credeva fermamente nella capacità della pubblicità di parlare alle persone in modo diretto, empatico e rispettoso, rivolgendosi non a una massa anonima, ma agli individui, con le loro emozioni, aspirazioni e bisogni concreti. Il suo stile si contrapponeva al linguaggio patinato ed elitario di molte campagne dell’epoca: per Burnett, il pubblico meritava un messaggio comprensibile, autentico e radicato nella realtà quotidiana. Alla base del suo lavoro c’era l’idea che i grandi brand dovessero costruire un legame emotivo con il pubblico, utilizzando simboli e storie che fossero immediatamente riconoscibili e in grado di evocare valori universali. È celebre per aver creato alcuni dei personaggi pubblicitari più iconici di sempre, come il Marlboro Man, simbolo di indipendenza e virilità, o Tony the Tiger, che ha reso i cereali Frosted Flakes un prodotto familiare e amato dai bambini. Questi personaggi non erano semplici strumenti di marketing, ma incarnazioni di valori e aspirazioni che risuonavano profondamente nel pubblico. Per Burnett, un messaggio pubblicitario di successo non doveva solo vendere, ma raccontare una storia che entrasse nella vita delle persone. Il “common touch” di Burnett si rifletteva anche nel linguaggio che utilizzava nei suoi testi. Era semplice, diretto e spesso evocativo, capace di connettersi emotivamente con il pubblico senza risultare artificioso o sopra le righe. Credeva nella potenza della parola ben scelta e nell’immagine forte, e il suo obiettivo era creare pubblicità che fossero comprensibili a chiunque, ma che allo stesso tempo portassero un messaggio potente. La sua visione si basava su un profondo rispetto per il consumatore: Burnett era convinto che la pubblicità dovesse elevare e valorizzare il pubblico, non trattarlo con condiscendenza o cercare di manipolarlo. Questo approccio ha contribuito a costruire la fiducia dei consumatori verso i brand che rappresentava. La visione di Leo Burnett non era solo creativa, ma anche etica. Credeva che la pubblicità dovesse avere un impatto positivo sulla società e contribuire a migliorare la percezione dei prodotti e delle aziende, non solo spingere le vendite a breve termine. Questo approccio ha reso il suo lavoro duraturo e influente, perché i brand che ha aiutato a costruire non erano semplicemente noti, ma amati e rispettati. => Ross Reeves. Reeves è stato uno dei più grandi pionieri della pubblicità moderna, celebre per aver sviluppato il concetto di Unique Selling Proposition (USP), un approccio che ha ridefinito il modo di fare pubblicità. Per Reeves, il cuore di una campagna pubblicitaria di successo risiedeva nella capacità di identificare e comunicare un beneficio unico e distintivo del prodotto, qualcosa che nessun concorrente poteva offrire nello stesso modo. La USP non era solo una caratteristica, ma una promessa chiara, semplice e potente che avrebbe spinto il consumatore a scegliere quel prodotto rispetto agli altri. Secondo Reeves, ogni annuncio pubblicitario doveva essere focalizzato su questa unicità, evitando messaggi vaghi, creatività fine a sé stessa o tentativi di impressionare senza una vera sostanza. Reeves vedeva la pubblicità come uno strumento pratico e orientato al risultato. Credeva fermamente che il compito della pubblicità non fosse intrattenere o stupire, ma vendere. I suoi annunci erano diretti, privi di fronzoli, con l’unico obiettivo di trasferire al consumatore un messaggio efficace e memorabile. Per lui, una pubblicità ben fatta doveva ripetere incessantemente la promessa principale, fissandola nella mente del pubblico. Questa ripetizione era una strategia fondamentale per costruire riconoscibilità e fiducia nel prodotto. La sua visione pragmatica della pubblicità emergeva anche dalla convinzione che le campagne non dovessero cercare di piacere a tutti, ma raggiungere con precisione il target giusto, parlando ai bisogni reali e alle motivazioni del consumatore. - Un esempio perfetto del suo approccio è la campagna per le caramelle M&M’s, con lo slogan “Si sciolgono in bocca, non in mano.” Questa semplice frase incarna perfettamente il concetto di USP: evidenzia una caratteristica unica del prodotto, utile e rilevante per il consumatore, che non solo lo distingue dalla concorrenza, ma lo rende immediatamente desiderabile. Reeves aveva una visione molto chiara sul ruolo della creatività nella pubblicità. Pur riconoscendone l’importanza, riteneva che non dovesse mai essere fine a sé stessa, ma sempre al servizio della USP. Una pubblicità poteva essere brillante dal punto di vista creativo, ma se non comunicava efficacemente il valore del prodotto, per Reeves era inutile. La sua filosofia si basava sulla semplicità, sulla chiarezza e sulla coerenza: una buona pubblicità non doveva distrarre, ma portare il consumatore dritto al messaggio centrale, facendolo ricordare e, soprattutto, agire. L’approccio di Rosser Reeves, sebbene talvolta considerato troppo rigido o poco innovativo da alcuni, ha avuto un impatto enorme sulla pubblicità e sul copywriting. Ancora oggi, il concetto di USP rimane un principio fondamentale nel marketing, un promemoria del fatto che una buona pubblicità non deve solo attirare attenzione, ma anche differenziare e persuadere, mettendo sempre al primo posto i bisogni del consumatore. => David Ogilvy. David Ogilvy, spesso definito il "padre della pubblicità moderna", ha rivoluzionato il mondo del copywriting e della comunicazione pubblicitaria con un approccio che combinava creatività, strategia e rigore scientifico. Per Ogilvy, la pubblicità non era solo un’arte o un’ispirazione momentanea, ma una disciplina che richiedeva metodo, studio approfondito e una profonda comprensione del consumatore. Credeva fermamente che la pubblicità dovesse essere costruita per vendere e che il successo di una campagna non dipendesse dall’originalità fine a sé stessa, ma dalla sua capacità di influenzare le scelte dei consumatori in modo misurabile e duraturo. Ogilvy ha sempre sostenuto che le campagne pubblicitarie più efficaci fossero quelle che comunicavano verità semplici, ma con uno stile distintivo e memorabile. Uno dei suoi principi fondamentali era il rispetto per il consumatore. Ogilvy riteneva che le persone non fossero stupide e che quindi fosse inutile o addirittura dannoso creare messaggi banali, ingannevoli o eccessivamente stravaganti. Al contrario, sosteneva che la pubblicità dovesse educare, informare e intrattenere, presentando il prodotto in modo onesto e accattivante. Credeva che il consumatore fosse un individuo razionale, spinto da bisogni e desideri concreti, e che un messaggio ben costruito potesse persuaderlo senza bisogno di manipolazioni. Questo approccio si rifletteva nella sua attenzione alla scrittura chiara, elegante e convincente, dove ogni parola doveva servire a un preciso scopo persuasivo. Ogilvy era anche un maestro nel creare annunci che catturassero l’attenzione grazie a titoli forti e memorabili. Per lui, il titolo rappresentava l’80% del successo di un annuncio, perché era ciò che spingeva il lettore a continuare a leggere. I suoi titoli erano spesso diretti, utili e specifici, capaci di offrire immediatamente un beneficio o una promessa chiara. - Un esempio iconico del suo stile è l’annuncio per la Rolls-Royce, che recitava: “A 60 miglia orarie, il rumore più forte nella nuova Rolls-Royce è quello dell’orologio elettrico.” Questa frase, apparentemente semplice, racchiudeva il lusso, la qualità e l’attenzione ai dettagli del prodotto, catturando perfettamente l’essenza del brand e del suo pubblico. Un altro aspetto centrale del suo approccio era l'importanza della ricerca e dei dati. Ogilvy dedicava molto tempo a studiare il prodotto, il mercato e i consumatori, convinto che una pubblicità di successo nascesse dalla conoscenza approfondita. Per lui, la creatività doveva essere sostenuta da una solida base strategica, e ogni decisione doveva essere informata da dati concreti. Questo non significava rinunciare all’immaginazione, ma utilizzarla per tradurre le informazioni in messaggi potenti e rilevanti. Ogilvy era anche un grande sostenitore della continuità e dell'identità visiva. Credeva che i brand dovessero avere una personalità chiara e coerente, riconoscibile in ogni campagna e comunicazione. Questo approccio lo portò a sviluppare campagne iconiche e durature, come quelle per Dove, Hathaway Shirts e Schweppes. - Nel caso di Dove, ad esempio, trasformò un semplice sapone in un prodotto rivoluzionario per la cura della pelle, posizionandolo come "il sapone che non secca la pelle come gli altri". - Con Hathaway Shirts, creò il celebre uomo con la benda sull'occhio, un personaggio enigmatico che incarnava sofisticatezza e mistero, rendendo immediatamente riconoscibile il brand. David Ogilvy credeva infine nel valore del rigore e della disciplina nel lavoro creativo. Nonostante fosse uno dei pubblicitari più innovativi del suo tempo, sottolineava sempre l’importanza di attenersi a ciò che funzionava. Per lui, non era necessario reinventare continuamente la ruota, ma piuttosto costruire su basi solide e testate, migliorando costantemente il messaggio e l’approccio. => Bill Bernbach. Bernbach è una figura fondamentale nella storia della pubblicità, ricordato per aver rivoluzionato il settore attraverso un approccio profondamente creativo e umano. Nel 1949 co-fondò l’agenzia Doyle Dane Bernbach (DDB), che diventò il simbolo della cosiddetta seconda rivoluzione creativa degli anni '60. Bernbach stravolse le convenzioni pubblicitarie del tempo, proponendo campagne che mettevano al centro il consumatore e le emozioni, e non semplicemente il prodotto. È con Bernbach che nasce la concezione del copywriting persuasivo. Una delle sue intuizioni più significative fu l’integrazione tra copywriter e art director, figure che fino ad allora lavoravano separatamente. Unendo queste due professionalità, Bernbach creò campagne pubblicitarie dove testo e immagine erano perfettamente armonizzati, offrendo messaggi più incisivi e memorabili. La sua filosofia pubblicitaria si basava sull’autenticità e sull’empatia verso il pubblico. Credeva che fosse essenziale comprendere davvero le persone, evitando di parlare a una massa anonima o di basarsi esclusivamente su dati quantitativi. Per Bernbach, la creatività era l’elemento centrale: non bastava fare pubblicità bella, ma era fondamentale che fosse anche efficace e originale, capace di raccontare una storia unica che distinguesse il prodotto dalla concorrenza. Questo approccio lo portò a sfidare molte delle convenzioni dell’epoca, rompendo schemi e cliché con un’ironia sottile e una capacità narrativa senza precedenti. - Tra le sue campagne più iconiche, quella di Volkswagen "Think Small" rappresenta un capolavoro di semplicità e onestà. In un momento in cui il mercato automobilistico promuoveva veicoli grandi e potenti, questa campagna celebrava la compattezza del Maggiolino, trasformandolo in un simbolo di anticonformismo. - Un’altra campagna celebre fu quella per Avis, "We Try Harder", in cui l'azienda riconosceva apertamente di essere la seconda nel mercato del noleggio auto, usando questa posizione come un vantaggio per trasmettere maggiore dedizione al cliente. Questi esempi illustrano il modo in cui Bernbach sapeva trasformare un apparente punto debole in un elemento di forza comunicativa. Un aspetto meno conosciuto ma altrettanto cruciale del suo lavoro è il cosiddetto "Negative Approach". Bernbach sfidava l’idea che la pubblicità dovesse essere sempre positiva e perfetta. Credeva che evidenziare un potenziale problema, un limite o una verità scomoda potesse essere più efficace nel creare un legame con il pubblico. Questo approccio si vede chiaramente nella campagna per Volkswagen, dove la sincerità e l’umiltà (per esempio nel riconoscere che l’auto era piccola) crearono una comunicazione più autentica e credibile. Secondo Bernbach, il "Negative Approach" non significava sminuire il prodotto, ma piuttosto avvicinarsi al consumatore con trasparenza e rispetto, dimostrando che il brand non aveva nulla da nascondere. => Emanuele Pirella. Pirella è stato una figura fondamentale nel panorama pubblicitario italiano, un copywriter e creativo che ha saputo unire l’arte della scrittura alla capacità di comprendere profondamente il consumatore e il contesto culturale del nostro Paese. Pirella ha costruito la sua carriera su un approccio che metteva al centro la parola come strumento potente per comunicare messaggi chiari, incisivi e spesso memorabili. Per lui, il copywriting era una forma di narrazione capace di trasformare un prodotto o un brand in un elemento culturale, in qualcosa che andasse oltre il semplice atto di vendita. La pubblicità, nella sua visione, doveva essere intelligente, originale e, soprattutto, in grado di creare una connessione emotiva con il pubblico. Il suo stile si caratterizzava per un mix di ironia, profondità e leggerezza. Pirella sapeva usare l’umorismo come chiave per rendere i messaggi pubblicitari più accessibili e memorabili, ma senza mai cadere nella superficialità. Era convinto che una buona pubblicità non dovesse essere solo efficace, ma anche piacevole da leggere o ascoltare, capace di arricchire il pubblico con un’idea, un sorriso o una riflessione. Questo approccio si rifletteva nella sua capacità di creare campagne che non solo colpivano per la loro creatività, ma rimanevano impresse nella memoria collettiva. - Un esempio iconico del suo lavoro è lo slogan “Nuovo? No, lavato con Perlana”, che ha trasformato un semplice detergente per capi delicati in un elemento centrale delle conversazioni quotidiane, grazie alla sua immediatezza e alla capacità di suscitare curiosità e simpatia. Pirella era profondamente legato al contesto culturale italiano, e molte delle sue campagne riflettevano una comprensione unica del nostro modo di pensare e dei nostri valori. Sapeva giocare con le parole, creando giochi di significato che rendevano ogni messaggio intrigante e mai banale. Era anche un attento osservatore dei cambiamenti sociali, e spesso riusciva a tradurre nelle sue campagne i nuovi desideri, le paure o le aspirazioni del consumatore italiano. Un altro elemento distintivo del suo approccio era l’attenzione al dettaglio. Pirella credeva che ogni parola, ogni frase, ogni immagine dovesse essere perfettamente calibrata per trasmettere il messaggio giusto. Questa precisione lo portava a lavorare con grande dedizione, cercando sempre la sintesi perfetta tra forma e contenuto. La sua filosofia creativa si fondava sull’idea che la semplicità fosse la chiave per arrivare al cuore del pubblico: non semplicità come banalità, ma come capacità di rendere comprensibile e attraente anche il messaggio più complesso. Copywriting persuasivo (?) Il copywriting non è manipolazione, è persuasione, cioè arte di creare empatia con il cliente/ lettore. Persuadere non vuol dire convincere. Per convincere qualcuno dobbiamo addurre motivazioni oggettive; per persuaderlo, al contrario, dobbiamo far leva sulle sue emozioni. Il lavoro del copywriter in comunicazione - Marco Vezzaro. Il copywriter è un mestiere che si orienta secondo quattro coordinate: - Lingua. - Linguaggio. - Storie. - Empatia. La differenza tra lingua e linguaggio è sottile ma fondamentale. - Il linguaggio è un sistema universale, la capacità innata e biologica che gli esseri umani hanno di comunicare attraverso simboli, suoni e segni. È ciò che ci permette di creare e comprendere significati, ed è presente in tutte le culture del mondo, sebbene possa manifestarsi in forme diverse, come il linguaggio verbale, quello gestuale, o persino quello visivo o simbolico. - La lingua, invece, è la concretizzazione specifica del linguaggio, ovvero un sistema particolare di segni e regole utilizzato da una comunità per comunicare. Ad esempio, l’italiano, l’inglese o il cinese sono lingue, ciascuna con la propria grammatica, il proprio vocabolario e le proprie convenzioni. Mentre il linguaggio è universale, la lingua è culturale e varia nello spazio e nel tempo. Mentre tutti gli esseri umani condividono il linguaggio come capacità, le lingue che parlano e usano sono il risultato di specifiche esperienze e tradizioni culturali. Le funzioni della lingua: - Funzione emotiva: quando la lingua serve al parlante per esprimere uno stato d’animo, e non (soltanto) per comunicare a un lettore. - Funzione referenziale: quando chi scrive dà un’informazione neutra => Il treno parte alle 6. - Funzione fàtica: quando chi scrive controlla se il canale con chi legge è aperto e funzionante => Mi segui? Capisci? - Funzione metalinguistica: quando il linguaggio spiega e racconta sé stesso => Questi appunti. - Funzione conativa (CALL TO ACTION): quando la scrittura serve a dare un comando attivo, che modifica il comportamento di chi legge => Adesso voltati. - Funzione poetica: quando la scrittura è costruita in modo tale da costringere chi legge a tornare sul messaggio per apprezzare il modo in cui è formulato, e il suo significato. La storia è una successione di eventi che sconvolgono un equilibrio e ne raggiungono uno nuovo. Ogni storia ha un protagonista. Ogni protagonista ha un obiettivo esterno (need) e un obiettivo interno (desire). Ogni protagonista ha un antagonista che gli impedisce di raggiungere gli obiettivi. In una storia, ogni protagonista è perduto se non raggiunge i suoi obiettivi. Ogni storia ha una struttura a tre atti: => Primo atto. - Mondo ordinario: dove siamo? Chi è il protagonista? Qual è il tema? Qual è il mondo? - Incidente scatenante: succede qualcosa. - Resistenza: l’eroe rinuncia. - Primo punto di svolta: l’eroe prende la decisione di uscire dal mondo ordinario per affrontare quello straordinario. => Secondo atto. - Mondo straordinario: antagonista, alleati, mentore, amore. - Mid point: il protagonista si illude di aver raggiunto il suo obiettivo. Da qui tutto comincia ad andare a rotoli. - Punto di morte: il protagonista si inchioda al suo vecchio io, quello del mondo ordinario e sta per fallire. => Terzo atto. - Secondo punto di svolta: seconda decisione del protagonista, che compie la sua trasformazione tra mondo ordinario e mondo straordinario. - Battaglia finale: il protagonista la vince. - Immagine di chiusura: nuovo equilibrio. Per empatia si intende la capacità di accorgersi delle verità che non sapevi di sapere. Insight. - Consiste nella comprensione improvvisa e subitanea della strategia utile ad arrivare alla soluzione di un problema o della soluzione stessa. - È una proposizione che la maggior parte delle persone riconosce come vera. - È la verità che non sapevi di sapere. - È l’osservazione empatica di un fatto reale, che crea una tensione risolta dal messaggio di comunicazione. 1. Mettere a fuoco il problema comunicativo da risolvere. 2. Studiare le persone e le cose. 3. Trovare l’insight con empatia. 4. Trovare un messaggio che risponde alla tensione dell’insight, risolvendola. 5. Inventare e costruire la storia che porta quel messaggio. 6. Scriverla bene. Costringendo le persone a tornare sulle parole che hanno letto. Crisis management. Il crisis management nel copywriting è una disciplina delicata e strategica che richiede prontezza, empatia e precisione nel linguaggio. Durante una crisi, il copywriting assume un ruolo centrale nella gestione della comunicazione, poiché le parole utilizzate possono influire profondamente sulla percezione del pubblico e sull'immagine del brand. Una crisi, nell’ambito della comunicazione, è un evento inatteso o potenzialmente dannoso che minaccia l’immagine, le operazioni o la stabilità di un’organizzazione. Può trattarsi di uno scandalo, di un errore operativo, di un problema di sicurezza o anche di un’ondata di critiche sui social media. In questi casi, la rapidità e l’efficacia della comunicazione sono fondamentali, ed è qui che entra in gioco il principio della Golden Hour, che evidenzia l’importanza di agire subito nelle prime ore dall’inizio della crisi. Durante questa finestra temporale, l’organizzazione ha l’opportunità di prendere il controllo della narrativa, dimostrando trasparenza, responsabilità e impegno nella risoluzione del problema. Comunicare in ambito di crisi richiede una combinazione di empatia, chiarezza e strategia. È fondamentale essere sinceri e trasmettere informazioni accurate, evitando di minimizzare il problema o di utilizzare un linguaggio che potrebbe essere percepito come difensivo. Le parole giuste possono calmare le tensioni e mostrare che l’organizzazione comprende la gravità della situazione, mentre un tono sbagliato rischia di peggiorare la percezione del pubblico. Un aspetto cruciale è adattare i messaggi ai diversi canali: un comunicato stampa ufficiale può essere più formale e dettagliato, mentre sui social media è preferibile un linguaggio più diretto, che incoraggi il dialogo e risponda rapidamente ai commenti. Una comunicazione di crisi efficace prevede alcuni elementi chiave. Innanzitutto, la presenza di un piano predefinito, che include procedure per identificare e gestire i rischi, nonché figure specifiche responsabili della comunicazione. Inoltre, il messaggio deve essere trasparente, rassicurante e focalizzato sulle azioni concrete intraprese per affrontare la crisi. Il pubblico ha bisogno di sapere che l’organizzazione non solo sta affrontando il problema, ma che sta anche imparando da esso per evitare situazioni simili in futuro. Infine, è essenziale monitorare continuamente il sentiment del pubblico e i media per adeguare il messaggio alle nuove dinamiche e chiudere la crisi con una comunicazione che rafforzi la fiducia. In questo contesto, il copywriting si rivela uno strumento potentissimo, perché dà forma a messaggi che devono essere memorabili, persuasivi e in linea con i valori del brand. Ogni parola conta, perché in una crisi il modo in cui viene detto qualcosa può essere tanto importante quanto ciò che viene detto. Il successo della gestione della crisi dipende quindi dalla capacità di raccontare una storia che non solo gestisca l’immediato, ma che contribuisca a costruire una narrativa di resilienza e credibilità a lungo termine. Il copywriting deve inoltre essere tempestivo. Un ritardo nella comunicazione può amplificare il problema, mentre una risposta rapida e ben calibrata può contribuire a ridurre le tensioni. I messaggi devono essere chiari e accessibili, evitando ambiguità che potrebbero generare ulteriori fraintendimenti o speculazioni. Inoltre, ogni comunicazione deve essere coerente con i valori del brand, rafforzando la fiducia del pubblico anche in momenti difficili. Le relazioni pubbliche e l’ufficio stampa sono pilastri essenziali in questo contesto, perché si occupano della gestione e della diffusione dell’immagine e dei messaggi di un’organizzazione verso il pubblico e i media. - Le relazioni pubbliche includono un ampio spettro di attività che mirano a costruire e mantenere una reputazione positiva. - L’ufficio stampa si concentra principalmente sulla comunicazione con i giornalisti e sulla gestione delle notizie che circolano sull’azienda. Entrambi giocano un ruolo strategico in caso di crisi, poiché sono i canali principali attraverso cui passa la narrazione ufficiale, contribuendo a contenere l’impatto negativo e a rassicurare i vari stakeholder.

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