Storia di Israele Mazzinghi PDF
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Israele Mazzinghi
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Questo documento presenta una panoramica della storia del popolo di Israele, analizzando la geografia, le fonti extrabibliche e i dati archeologici. L'autore esplora le diverse interpretazioni sulla datazione e sulle fonti, evidenziando le difficoltà di ricostruire una storia accurata. Il documento analizza l'importanza della geografia e dei contesti sociali, politici e religiosi nell'interpretazione della storia.
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La storia di un popolo si svolge sempre in un determinato ambiente: conoscere la geografia nella quale si collocano gli eventi che si vogliono studiare non è imparare alcune nozioni più o meno erudite, ma è un mezzo vitale per comprendere più a fondo il popolo che in quei luoghi ha vissuto. La regi...
La storia di un popolo si svolge sempre in un determinato ambiente: conoscere la geografia nella quale si collocano gli eventi che si vogliono studiare non è imparare alcune nozioni più o meno erudite, ma è un mezzo vitale per comprendere più a fondo il popolo che in quei luoghi ha vissuto. La regione del Vicino Oriente antico che ci interessa fa parte di quella vasta zona chiamata comunemente «mezzaluna fertile», cioè quella fascia di terre coltivabili che si estende dalla Mesopotamia ad est, ai monti dell'Anatolia a nord, fino al mar Mediterraneo a ovest. A sud si estende una regione interamente desertica, il grande deserto arabico. Attualmente la mezzaluna fertile comprende gli stati dell'Iraq, della Siria, del Libano, della Giordania, di Israele e della Palestina. L'Israele biblico si trova al margine meridionale di tale vasta area geografica, ma in posizione chiave, un ponte con l'altra grande regione, l'Egitto. La terra che fu teatro degli avvenimenti biblici ha ricevuto vari nomi nel corso della storia: essa fu detta in origine «terra di Canaan», nome che ritroviamo in testi cuneiformi già verso la fine del III millennio a.C.; nel testo di Is 19,18 l'ebraico viene chiamato «lingua di Canaan». Il nome sembra essere in relazione con la lavorazione della porpora, uno dei prodotti tipici di questa terra. La stessa regione, definita dalla Bibbia semplicemente «la terra» o la terra d'Israele,(#_bookmark82) fu poi chiamata dai romani Palestina, in seguito alla rivolta giudaica del 135 d.C. Il nome Palestina ricorda uno dei popoli che anticamente abitavano la regione, i filistei. La terra della Bibbia si estende dai monti dell'Antilibano, a nord, sino al deserto del Neghev, a sud; dal mar Mediterraneo, a ovest, sino al deserto arabico a est. La caratteristica forse più sorprendente, per chi non ha mai visitato Israele e lo conosce solo per quanto ha letto nei testi biblici, è che si tratta di una regione relativamente piccola, dove le distanze non sono mai eccessive: appena 120 chilometri da Gerusalemme a Nazaret, mentre la larghezza -- dal mare al Giordano -- non supera mai gli 85 chilometri. La superficie totale dell'attuale Stato di Israele e dei territori palestinesi non è superiore a quella del Belgio. Uno sguardo alla carta geografica permette di distinguere quattro fasce ben delimitabili, da ovest verso est: la costa, la zona montuosa centrale, la fossa giordanica e l'altopiano della Transgiordania. La costa è completamente pianeggiante, a eccezione dello sperone del monte Carmelo, che forma l'unico porto naturale del paese: ciò può spiegare il fatto che gli israeliti non sono mai stati un popolo di marinai e che il mare, nella Bibbia, acquista spesso un valore simbolico negativo. Sulla costa passava la «via del mare» (cf. Mt 4,15), la grande arteria commerciale che collegava l'Egitto con Damasco che ancora nel medioevo sarà nota con il nome di via maris. La regione centrale comprende, da nord a sud, la zona montuosa della Galilea, che termina nella fertile pianura di Yizreel (o Esdrelon), poi le colline della Samaria, con al centro la città di Sichem (l'odierna Nablus) e infine la Giudea, che giunge oltre i 1000 metri di altitudine nella zona di Hebron. Al centro, tra Samaria e Giudea, si trova la città di Gerusalemme. Le montagne della Giudea terminano nel vasto deserto del Neghev, che costituisce la parte meridionale del paese. La terza zona è costituita dalla fossa giordanica, una faglia naturale percorsa dall'unico vero fiume del paese, il Giordano, che nasce alle pendici dell'Hermon (2814 metri) e scorre attraverso il lago di Tiberiade (il mare di Galilea di cui ci parlano i Vangeli) già a 210 metri sotto il livello del mare. Il fiume sfocia, dopo un percorso estremamente tortuoso, nel Mar Morto, che, com'è noto, è la massima depressione nella crosta terrestre (circa 400 metri sotto il livello del mare). Il Mar Morto è un grande lago dove la salinità, che è sei volte superiore a quella del Mediterraneo, non permette alcuna forma di vita. La quarta zona è costituita dall'altopiano transgiordanico, regione molto fertile nella parte settentrionale (le bibliche Galaad e Basan), sempre più brulla e desertica via via che si procede verso sud. La parte centrale, a sud del fiume Yabbok (il fiume della lotta di Giacobbe con Dio, cf. Gen 32), è la regione degli ammoniti, la cui antica capitale, Rabat Ammon, è la attuale città di Amman. Più a sud si trova la terra di Moab e, quasi ormai nel deserto, il territorio di Edom, ove si trova la celebre città nabatea di Petra. ![](media/image1.png) Da un punto di vista climatico, la regione palestinese presenta due sole stagioni: un'estate calda e asciutta, praticamente senza pioggia, e un inverno freddo e piovoso, che va da fine ottobre a fine aprile: sono questi i periodi delle «prime» piogge e delle piogge «tardive» di cui parla la Bibbia, in assenza delle quali si rischia la perdita del raccolto. Sono anche questi i periodi in cui si fa sentire il vento caldo del deserto, il khamsin. Le zone ove la pioggia è più abbondante, e quindi più fertili, sono le montagne della Galilea e del nord della Transgiordania; l'abbondanza delle precipitazioni diminuisce andando verso sud e verso est. A titolo di esempio, Gerusalemme riceve annualmente la stessa media di precipitazioni di Roma, circa 600 millimetri di pioggia, mentre Gerico, a soli 35 chilometri a est, appena 120 millimetri. Là dove non esistevano sorgenti l'acqua veniva conservata in cisterne che per lo più non erano sufficienti a garantire, nelle zone più aride, un'agricoltura molto fiorente. Solo alla fine del II millennio a.C. la tecnica costruttiva permise di realizzare cisterne impermeabili e di poter così abitare quelle zone in cui le precipitazioni estive sono pressoché assenti. #### [L'uso delle fonti extrabibliche](%5Cl) Per «fonti extrabibliche» si intendono tutti i documenti scritti (papiri, tavolette, iscrizioni\...) provenienti da fonti estranee alla Bibbia e relativi in qualche modo alla storia di Israele. A partire dal IX-VIII secolo a.C. cominciamo ad avere fonti di questo genere che ci informano su alcuni aspetti della storia di Israele. Il grande problema per lo storico biblico è che, prima di tali date, si parla di Israele solo in due testi: la stele del faraone Merneptah, che risale al XIII secolo a.C., e la stele di Mesha, re di Moab, del IX secolo a.C.(%5Cl) È facile concludere che, se non avessimo il testo della Bibbia, conosceremmo ben poco di Israele, almeno fino all'epoca monarchica. D'altra parte, quel che conosciamo dai testi biblici non è verificabile tramite altre fonti. La domanda che può venire spontanea, a questo punto, è: perché allora non fidarsi semplicemente di ciò che la Bibbia dice? Il secondo aspetto che adesso consideriamo -- i dati dell'archeologia -- ci offre una prima risposta. #### [I dati dell'archeologia](%5Cl) A lato delle fonti scritte, l'archeologia è anch'essa di grande importanza per la storia di Israele: essa ci permette di ricostruire, e quindi di comprendere meglio l'ambiente nel quale la Bibbia nasce e di cui essa parla. Non sempre i dati archeologici sono di facile interpretazione e spesso non è agevole distinguere l'opinione dell'archeologo dai dati da lui riportati. Talvolta poi l'archeologia non dà i risultati sperati: il caso più noto e più clamoroso è senz'altro quello di Gerico, le cui mura, allo stato attuale delle ricerche, non possono essere affatto quelle crollate al suono delle trombe di Giosuè. Un tale risultato può apparire quasi scandaloso a chi è abituato a una lettura superficiale della Bibbia, ma in realtà è un aiuto per comprenderla meglio. Molte altre volte i risultati dell'archeologia contraddicono o non appoggiano il testo biblico: questo ci fa comprendere che le cose sono più complesse di quanto si pensi. #### [Storia e reinterpretazione della storia nella Bibbia](%5Cl) La Bibbia non è un libro piovuto dal cielo, scritto da un solo autore in un'epoca ben precisa: ogni libro della Bibbia ha una sua -- spesso complessa! -- storia di composizione, che può essere durata anche secoli. Ciò può sembrare ovvio, ma non va mai dimenticato: se è vero infatti che le parti più antiche del Pentateuco possono risalire, nella loro forma scritta, non più in là dell'VIII secolo a.C., ebbene, vi è una distanza di parecchi secoli con i fatti narrati.(#_bookmark106) Secondo la cronologia più tradizionale, ad esempio, i patriarchi si collocavano nel XVIII-XVII secolo a.C., appunto almeno nove/dieci secoli prima della stesura dei primi testi scritti che ne parlano. L'esempio classico è il testo di Gen 12,6, dove si ricorda che i cananei abitavano «allora» il paese, ma che evidentemente non ci abitavano più quando, molti secoli dopo i fatti narrati, il testo fu scritto. Questa distanza tra i fatti narrati e i fatti avvenuti rende spesso del tutto impossibile una vera ricostruzione storica degli avvenimenti. A ciò si aggiunga che l'autore biblico rilegge tali avvenimenti alla luce delle condizioni sociali, politiche, religiose del suo tempo; inoltre, egli è interessato al messaggio teologico in essi contenuto, appunto alla «parola di Dio» che quel fatto rappresenta. Siamo dunque di fronte a testi che si occupano di storia, ma si tratta di storia interpretata, e non ci deve dunque meravigliare il fatto che l'interpretazione spesso non corrisponda alla realtà dei fatti. #### [Quando far iniziare una storia di Israele?](%5Cl) Un'ultima questione: quando fare iniziare una storia di Israele? Anche un lettore alle prime armi dovrebbe ormai sapere che l'inizio della storia biblica, il racconto della creazione contenuto in Gen 1-- 11, non è «storia» in senso proprio. Sembrerebbe dunque opportuno iniziare con la tappa successiva, quella dei patriarchi, come alcuni degli storici di Israele hanno fatto nel passato. In realtà, già su questo punto c'è una grande diversità di opinioni: alcuni iniziano la storia di Israele piuttosto con l'esodo, altri invece con l'unione delle dodici tribù e l'ingresso in Canaan, altri ancora con il periodo dei giudici, altri con la monarchia davidica. Quest'ultima posizione, che risale agli studi di B. Stade, alla fine dell'Ottocento, è difesa nella prima edizione della Storia di Israele di Soggin: «è infatti da allora che Israele comincia ad esistere come entità non soltanto etnica \[\...\] ma anche politica, in quanto si costituisce come Stato».(#_bookmark107) Alcune recenti storie di Israele rifiutano esplicitamente ogni tentativo di ricostruire la fase precedente la monarchia: così l'importante storia di Miller e Hayes conclude il capitolo dedicato alle origini di Israele affermando che «si declina ogni tentativo di ricostruire la storia più antica di Israele»; la trattazione inizia con il periodo immediatamente precedente la monarchia.(#_bookmark108) Nell'ultima edizione della sua Storia di Israele, Soggin situa invece i regni di David e di Salomone nella parte intitolata «Tradizioni sulla preistoria del popolo». Per Soggin, in effetti, l'impero di David e Salomone «presenta più problemi di quanti ne potremo mai risolvere. Le fonti che riferiscono su di esso sono tutte di origine tarda e riflettono quindi problematiche di epoche posteriori di molti secoli, quando il popolo, ormai ridotto al solo Giuda, stava passando per esperienze molto spiacevoli».(#_bookmark109) Tutto ciò basta a far capire come le origini di Israele siano realmente il punto più difficile e il più discusso della storia di Israele. Come già si è accennato, il grande problema che lo storico deve affrontare è la pressoché totale mancanza di fonti extrabibliche e di dati per il periodo precedente la monarchia: l'unica fonte a nostra disposizione è spesso poco più che la Bibbia stessa, e talvolta neppure quella! Il nostro punto di partenza sarà dunque una breve panoramica #### [I patriarchi](#_bookmark9) Il libro della Genesi presenta Abramo come un migrante, proveniente dalla città di Ur, nel sud della Mesopotamia: la cronologia è molto discussa, tanto che Abramo è stato collocato dagli studiosi in un arco di tempo che spazia dal II millennio a.C. addirittura fino all'epoca esilica (VI secolo a.C.). L'opinione più diffusa lo ha collocato attorno al XVIII secolo a.C., in quel periodo archeologico che viene definito «Medio Bronzo II» (tra il 1900 e il 1550 a.C. circa). Si tratta di un'epoca di discreta prosperità per la terra di Canaan:(#_bookmark133) gli insediamenti si moltiplicano, in particolare nella regione costiera, nelle colline della Shefela, tra i monti della Giudea e il mare, e nelle valli del nord, cioè nelle zone più accessibili e fertili. La popolazione, di stirpe semitica, vive concentrata in piccole città-stato, a loro volta sotto il controllo politico dell'Egitto che, insieme all'impero babilonese e agli hittiti, costituisce una delle grandi potenze dell'epoca. I primi documenti che parlano della terra di Canaan risalgono all'inizio del secondo millennio e sono i cosiddetti «testi di esecrazione» egiziani, figurine d'argilla rappresentanti i nemici fatti prigionieri sulle quali venivano scritti i nomi dei nemici stessi, accompagnati da maledizioni, insieme ai nomi delle città e dei re controllati dall'Egitto. I cananei costituivano un popolo per lo più sedentario, la cui principale occupazione era l'agricoltura; i patriarchi, invece, ci vengono presentati come seminomadi, pastori di bestiame minuto e, occasionalmente, come piccoli agricoltori, senza dimora stabile: va comunque sfatata l'immagine tradizionale che accosta i patriarchi ai grandi nomadi del deserto, come i beduini, che del resto appariranno sulla scena del Vicino Oriente antico solo molto più tardi. Al di fuori dei testi biblici non possediamo alcun'altra testimonianza sull'esistenza dei patriarchi, e questo non deve sorprenderci vista la scarsa rilevanza storica che essi potevano avere. Proprio a causa di tale assoluta mancanza di dati, i patriarchi sono stati considerati da alcuni storici come figure mitiche, invenzioni di un'epoca molto tardiva, come quella dell'esilio. La situazione in cui ci troviamo non ci permette neppure di stabilire l'origine dei patriarchi: si è pensato che facessero parte di gruppi semitici emigrati verso ovest all'inizio del secondo millennio (si è parlato di migrazioni aramee o amorree), ma la questione è ben lontana dall'essere risolta. Un'ipotesi molto suggestiva, ripresa oggi da molti studiosi, è quella di collegare le migrazioni patriarcali con i cosiddetti hapirû, gruppi nomadi e banditeschi conosciuti da testi egizi, cioè bande che scorrazzavano per il Medio Oriente verso la metà del secondo millennio a.C. Ma ogni tentativo di identificare con gli ebrei ('ibrim) questi hapirû non è stato finora convincente. Allo stesso modo, si è tentato di identificare gli ebrei con un gruppo di seminomadi di origine semitica, gli shashu, attestati in Egitto tra il XV e il XIII secolo a.C., ma siamo ancora nel campo delle ipotesi. trovare qualche corrispondenza tra le narrazioni patriarcali e il periodo storico a cui esse si riferirebbero (il già ricordato XVIII secolo a.C.). Alcune delle usanze che la Genesi attribuisce ai patriarchi potrebbero effettivamente essere poste in relazione con usanze analoghe note, all'inizio del secondo millennio, dai testi trovati negli archivi delle città-stato mediorientali di Mari, Nuzi ed Ebla, archivi recentemente scoperti e ricchissimi di testi. Si citano a questo proposito l'uso di adottare il figlio avuto da una schiava (come fa Abramo con Ismaele), l'uso di avere una schiava come concubina (Abramo e Agar), oppure la cosiddetta «legge del levirato», per cui si era tenuti a sposare la moglie del fratello morto senza figli. Queste e altre usanze relative allo stile di vita dei patriarchi, così come ci appaiono dai testi biblici, possono trovare qualche corrispondenza con i costumi delle tribù seminomadi che vivevano, all'inizio del secondo millennio a.C., nell'ambito delle città- stato sopra ricordate, anche se questo tipo di parallelismo è tutt'altro che sicuro.(#_bookmark134) ![](media/image1.png) Secondo i racconti genesiaci la religione dei patriarchi è la stessa che avrà poi Israele: la fede in YHWH.(#_bookmark135) Ma altri testi del Pentateuco suggeriscono un quadro differente: il noto testo di Es 3,13-15 considera Mosè come il primo cui fu rivelato il nome sacro, mentre Es 6,3 afferma esplicitamente che i patriarchi non conoscevano YHWH, ma invocavano Dio sotto il nome piuttosto misterioso di El Shadday. «Potente di Giacobbe» (Gen 49,24); ci troviamo di fronte a un Dio di famiglia, che privilegia l'etica prima che il culto. Non è possibile discutere nei dettagli la tesi di Alt, anche se l'ipotesi del «Dio dei padri» appare suggestiva. In realtà, la religione dei patriarchi non sembra essere tanto quella di un particolare gruppo storico pre-mosaico, quanto piuttosto un modo di concepire Dio da sempre diffuso all'interno del popolo d'Israele. Proiettando all'indietro nel tempo le promesse divine, i testi genesiaci uniscono la religione fondata sulle promesse a quella fondata sulla Legge.(#_bookmark136) I patriarchi adorano un Dio che porta lo stesso nome del capo degli dèi cananaici, El; lo venerano in santuari come Betel, Dan, Mambre, Sichem, probabilmente legati a culti cananaici. Quando molto tempo più tardi gli israeliti inizieranno ad adorare YHWH come unico Dio, lo identificheranno con lo stesso Dio El, conosciuto dai patriarchi. Lo storico, vista la povertà di dati a sua disposizione, non può dire molto più di questo: la storia patriarcale contenuta in Gen 12--50 è essenzialmente una storia di famiglie; appena tre generazioni (Abramo-Isacco-Giacobbe) nello spazio di ben tre secoli! È chiaro che ci troviamo in ogni caso davanti alla semplificazione di una storia molto più complessa. Un elemento importante che non va mai dimenticato è il fatto che il testo biblico rilegge e attualizza la storia patriarcale: nel libro della Genesi, il celebre testo di 12,1-4a è in realtà, molto probabilmente, un testo tardivo che intende rileggere l'intera vicenda di Abramo come incoraggiamento per gli esuli ebrei a Babilonia. Così non deve stupirci il fatto che l'itinerario, che porta Abramo da Ur dei caldei (popolo che nel XVIII secolo non esisteva ma che, significativamente, è presente quando il narratore scriveva, nel VI secolo a.C.) sino alla terra di Canaan, è lo stesso percorso dagli esuli di Babilonia durante il loro ritorno in patria: in tal modo la storia patriarcale acquista, nel testo biblico, un valore simbolico ed educativo che va molto al di là della sua storicità. #### [Israele in Egitto](%5Cl) Nel libro dell'Esodo si narra, come tutti ben sanno, l'uscita degli israeliti dall'Egitto; il libro della Genesi termina a sua volta con i capitoli 37--50 (la cosiddetta «storia di Giuseppe») che hanno evidentemente la funzione di introdurre la narrazione dell'esodo, riferendo la discesa degli ebrei in Egitto. La «storia di Giuseppe» sembra presentarsi, a prima vista, come ben informata relativamente all'ambiente egiziano: in Gen 41,43.45 si usano parole e nomi egiziani abbastanza comuni (ad eccezione della misteriosa parola abrek del v. 43). La posizione assunta da Giuseppe -- «maestro di palazzo» o «gran vizir» del faraone -- non è insolita, visto che nell'Egitto del secondo millennio poteva accadere che uno straniero si trovasse in posizione di grande potere. Ma il riferimento storico forse più attendibile si ritrova in Es 1,11, dove si legge che gli israeliti furono addetti alla costruzione delle città di Pitom e Ramses: Ramses è una città del delta del Nilo ricostruita con tal nome probabilmente sotto il faraone Seti I o sotto il suo successore, Ramsete II, verso il XIII secolo a.C. Della stessa epoca possediamo alcune testimonianze -- contenute nelle relazioni di guardie di frontiera egiziane -- relative all'ingresso in Egitto di gruppi di pastori provenienti dal Medio Oriente, gruppi ai quali venivano concesse in uso terre egiziane come pascoli per i loro greggi. L'ingresso degli israeliti potrebbe rientrare in questo tipo di migrazioni. Tutto ciò, però, non ci dice nulla sulla reale storicità di Gen 37--50: le fonti egiziane non dicono niente circa una venuta di «Israele» in Egitto e gli elementi sopra accennati possono far concludere al massimo che la presenza di gruppi semitici in Egitto, nel corso del XIII secolo, è un fatto verosimile; tra questi gruppi potrebbe trovarsi allora la «casa di Giacobbe» cui Genesi ed Esodo fanno riferimento. La «storia di Giuseppe» sarebbe dunque da collocarsi non nel XVIII o XVII secolo, secondo la cronologia tradizionale sui patriarchi, ma almeno quattro secoli più tardi. Il testo di Gen 37--50 è in ogni caso non tanto una narrazione a sfondo storico, ma piuttosto un'opera scritta con intenti ben precisi, per mettere cioè in luce i temi della fraternità, della paternità, del buon governo e, soprattutto, l'immagine di un Dio che guida la storia rovesciando le prospettive umane (si veda ad esempio Gen 45,5-8 e 50,24). Ciò che Gen 37--50 ci dice sull'Egitto è in realtà quel che poteva sapere uno scriba ebreo bene informato durante l'epoca monarchica. Secondo il racconto di Es 1,8 l'oppressione nasce da un cambio di dinastia: «un nuovo re che non aveva conosciuto Giuseppe», dove il riferimento potrebbe essere relativo all'avvento al trono del grande faraone Ramsete II (1290-1224 a.C., secondo una delle possibili cronologie) o forse al passaggio tra la XVIII e la XIX dinastia, avvenuto con Seti I, predecessore di Ramsete II. Anche in questo caso, tuttavia, le fonti egiziane tacciono e la stessa tradizione biblica è divisa tra il ricordo dei lavori forzati (Es 1,8-14), storicamente più verosimile, e il decreto del faraone che prevede la morte per tutti i figli maschi (Es 1,15-22); è evidente, in Es 1, la coesistenza di tradizioni letterarie diverse. Sia i motivi sia la vera natura dell'oppressione ci sfuggono: sappiamo però che i lavori forzati, cui stranieri, prigionieri di guerra e schiavi erano obbligati in Egitto, sono realtà ben note allo storico. Possediamo documenti su papiro risalenti alla XIX dinastia relativi all'impiego di schiavi e di prigionieri di guerra, dei quali si fissa, per esempio, la razione giornaliera di cibo. ![](media/image1.png) Nel racconto dell'Esodo l'uscita dall'Egitto è strettamente legata al nome di Mosè. Il significato stesso di questo nome rimanda ancora una volta a un contesto egiziano, in questo caso molto verosimile: mosis è un suffisso egiziano che significa «figlio di», legato frequentemente al nome di qualche divinità egiziana, come ad esempio Tut-mosis = «figlio del dio Tut». Il testo di Es 2,10 dà del nome ebraico Mosheh una etimologia popolare, facendolo derivare dall'ebraico mashah, cioè «trarre fuori», in relazione ovviamente all'evento miracoloso del suo salvataggio dalle acque del Nilo. La nascita di Mosè è narrata secondo uno schema ben noto nell'antichità, schema che ritroviamo nella leggenda di Sargon I re di Akkad (vissuto nel 2334-2280 a.C. circa, ma i testi scritti della sua leggenda che sono a nostra disposizione sono molto più recenti): già nel caso di Sargon abbiamo un bambino (il re Sargon, appunto) nato in segreto e salvato dalla madre in un cestello di giunchi abbandonato sul fiume e ritrovato da un personaggio (un portatore d'acqua, nella storia di Sargon) che alleva poi il bambino, destinato a grandi imprese. Questo probabile parallelo fa pensare che al nucleo storico relativo al personaggio-Mosè si siano poi aggiunte tradizioni e riletture successive che rendono difficile metterne a fuoco il preciso valore storico. Mosè appare, in ogni caso, come una figura chiave del Pentateuco, anche se nel resto della Bibbia ebraica è relativamente poco ricordato, almeno in proporzione all'importanza che egli ha nei primi cinque libri della Bibbia: in essi invece, oltre alla parte avuta nell'uscita dall'Egitto, Mosè appare anche come il fondatore dello yahwismo, il mediatore tra Dio e il popolo, colui al quale -- secondo il racconto di Es 3,13-15 -- Dio ha rivelato il suo nome, YHWH, e ha donato la sua Legge, la Tôrah (cf. Es 19--24). #### [Esodo e Sinai](%5Cl) Nel libro dell'Esodo, il racconto dell'uscita dall'Egitto inizia con la celebre descrizione delle piaghe, che comprende quasi ben cinque capitoli, da Es 7,14 fino a 11,10. In un passato non troppo lontano molti esegeti si sono sforzati di darne una spiegazione scientifica, cercando di collegare le piaghe con fenomeni naturali più o meno comuni in Egitto.(#_bookmark137) Questo tipo di concordismo è ormai superato e il motivo sta nello stesso testo biblico. Nel lungo racconto sulle piaghe emergono infatti almeno tre tradizioni diverse, con numerose contraddizioni interne. Le piaghe sono poi menzionate in due altri testi della Bibbia ebraica, con numeri diversi: sono infatti nove in Sal 78,43-51 e otto in Sal 105,27-36. Inoltre, si può facilmente notare come ogni piaga viene narrata secondo uno schema letterario ben preciso che, andando al di là del semplice fatto storico, ne mette in risalto piuttosto il valore teologico di «segno».(#_bookmark138) Nel preludio al racconto delle piaghe (Es 7,1-5) esse sono chiamate proprio «segni e prodigi» (v. 3) mediante i quali gli egiziani «sapranno che io sono il Signore» (v. 5). Così, dietro il ricordo di fatti che, ancora una volta, non ci è più possibile precisare, si colloca il chiaro intento teologico dei narratori, che scoprono in quei lontani eventi la presenza di Dio nella storia del popolo e a questa luce li trasmettono agli uomini del loro tempo. La stessa cosa avviene anche per il passaggio del Mar Rosso (il celebre e bellissimo testo di Es 14): bisogna intanto ricordare che il testo dell'Esodo non parla in realtà di «Mar Rosso», ma piuttosto di «Mare delle Canne» o «dei Giunchi», che non corrisponde al mar Rosso che noi conosciamo oggi. I tentativi di identificare il punto esatto del passaggio degli israeliti si sono moltiplicati: si è pensato ai Laghi Amari, nella zona a est del delta, dove oggi passa il canale di Suez; si è pensato anche alla zona costiera presso il Mediterraneo, zona paludosa che ben spiegherebbe l'espressione «Mare delle Canne». Ma ancora una volta siamo nel campo delle ipotesi, più o meno discutibili. La redazione sacerdotale dell'Esodo fa del passaggio del mare un corteo trionfale tra due muraglie d'acqua (cf. Es 14,22), mentre in una tradizione parallela, forse più antica, il «miracolo» è, più semplicemente, il vento d'oriente che prosciuga l'acqua del mare permettendone il guado (cf. Es 14,21). Esiste almeno un'altra versione dell'accaduto, in Es 14,24-25, che parla più semplicemente della fuga degli egiziani, bloccati dal Signore nel loro campo e impossibilitati a inseguire gli israeliti. Per spiegare questo tipo di contraddizioni, dovute all'esistenza di versioni divergenti e spesso contraddittorie, è nata la nota teoria di R. De Vaux,(#_bookmark139) secondo il quale siamo di fronte non a uno ma a due differenti esodi dall'Egitto: un «esodo-fuga» e un «esodo-espulsione». Così, l'uscita dall'Egitto sarebbe avvenuta in tempi e modi diversi da parte di almeno due gruppi di israeliti, uno fuggito, l'altro espulso: ciò risolverebbe il problema della diversità di tradizioni. Cronologicamente tutto ciò si collocherebbe intorno al 1250 a.C., cioè all'epoca di Ramsete II.(%5Cl) Accettando o meno questa teoria, del resto molto discussa, ci possiamo rendere conto di come le motivazioni teologiche che sottostanno al testo biblico abbiano anche in questo caso la preminenza sull'esattezza storica che in casi come questo sarà impossibile ottenere. Le fonti egiziane ignorano questo avvenimento (pur se nel papiro Anastasi V abbiamo la relazione di un ufficiale di frontiera che insegue un gruppo di schiavi fuggitivi), il cui ricordo resta più nella memoria teologica di Israele che in quella tramandata dai documenti storici. Il racconto dell'uscita dall'Egitto prosegue con un altro evento chiave nel racconto del Pentateuco, l'arrivo al monte Sinai (chiamato anche Horeb), l'alleanza con Dio e il dono della Legge, una lunghissima sezione che va da Es 19, attraverso il libro del Levitico, fino a Nm 10,33, quando gli israeliti ripartono dal Sinai. Tradizionalmente si identifica il monte Sinai con l'attuale Jebel Mussa (2244 metri di altezza, nella parte meridionale della penisola sinaitica) ove oggi si trova il celebre monastero greco-ortodosso di Santa Caterina. L'identificazione è stata più volte messa in dubbio, esattamente come nel caso del passaggio del mare e si è pensato addirittura ai monti dell'Arabia:(#_bookmark141) anche in questo caso il lettore moderno non vedrà soddisfatta la sua curiosità. Sul monte Sinai/Horeb il testo di Es 20,1-17 colloca la celebre tradizione sul «decalogo» che il Signore avrebbe donato a Mosè; gli studi attuali hanno ormai messo in luce come il testo del decalogo vada considerato parte di una tradizione di epoca monarchica, la cui origine è senz'altro indipendente da quella sinaitica (si veda la chiara frattura tra la fine del c. 19 ed Es 20,1). Il periodo passato dagli israeliti nel deserto è calcolato secondo la cifra convenzionale di 40 anni (cf. Nm 14,34): si tratta in realtà di un periodo di tempo molto indefinito in cui quel gruppo (o quei gruppi, se volessimo accettare la teoria di De Vaux) di israeliti usciti dall'Egitto assume una fisionomia più precisa e comincia a esistere come popolo. Ma tutto ciò ci rimanda a un problema ben più complesso, quello cioè delle origini di Israele come popolo e della sua presenza nella terra di Canaan. #### [L'installazione in Canaan: il problema delle origini](%5Cl) Al Museo Egizio del Cairo è ben visibile la stele del faraone Merneptah, scoperta dall'archeologo inglese Flinders Petrie nel 1895 e databile, seppur con una certa approssimazione, intorno al 1220 a.C. La stele riporta un'iscrizione di 28 righe con l'elenco delle vittorie ottenute dal faraone. Alle righe 26 e 27 il testo parla della sottomissione delle popolazioni dell'Asia: si nominano gli hittiti, i cananei, le città di Ascalon, Ghezer e Yanoam e si aggiunge -- almeno secondo l'interpretazione corrente -- «Israele è annientato, non ha più seme».(#_bookmark142) Va sottolineato come studi recenti abbiano contribuito a minimizzare le conquiste del faraone vantate nella stele; oggi dovremmo parlare al riguardo di letteratura di propaganda. Si tratta comunque di un testo molto importante, perché, per la prima volta, viene attestata l'esistenza di una entità «Israele», preceduta, secondo l'uso egizio, dal determinativo che non indica una città ma un «gruppo», il che potrebbe indicare una popolazione non ancora sedentarizzata. Geograficamente Israele viene collocato, nella stele, a lato delle città-stato della terra di Canaan, senza che tuttavia possiamo conoscerne con più precisione l'esatta localizzazione. ![](media/image2.jpeg) La versione che potremmo definire «canonica» dell'ingresso di Israele in Canaan è ben nota: secondo il libro di Giosuè si è trattato di una vera e propria conquista militare, una città dopo l'altra. Secondo il racconto biblico, il popolo di Israele, dopo la morte di Mosè, sotto la guida del suo successore Giosuè, passa il Giordano che miracolosamente arresta il suo corso (Gs 3,14-17), entrando in Canaan e conquistando tutto il paese a partire dalla città di Gerico, dove avviene il celebre prodigio del crollo delle mura al suono delle trombe (Gs 6). In questa azione, tutte e dodici le tribù agiscono concordi, come un vero e proprio esercito, con l'accompagnamento di altri prodigi e miracoli: si ricordi ancora un altro episodio, quello del sole che si arresta su Gabaon (Gs 10,10-15), testo che per molto tempo verrà preso alla lettera, quasi come un'affermazione scientifica circa il sole che gira attorno alla terra.(#_bookmark143) L'inizio del libro dei Giudici ci presenta invece una versione della conquista piuttosto diversa: il testo di Gdc 1,1--2,5 mostra le singole tribù in azione l'una indipendentemente dall'altra, non tutte unite come nel racconto del libro di Giosuè. Inoltre Gdc 3,1-6 è un lungo elenco di popolazioni locali che Israele non avrebbe scacciato: a ben guardare, la «conquista» si sarebbe limitata a zone scarsamente popolate, mentre le potenti città-stato della pianura sarebbero rimaste intatte: ### «Il Signore fu con Giuda, che scacciò gli abitanti delle montagne, ma non poté espellere gli abitanti della pianura, perché muniti di carri di ferro» (Gdc 1,19). L'inizio del capitolo 2 del libro dei Giudici legge questa mancata conquista in chiave teologica: Israele non ha ascoltato la voce di Dio, perciò Dio non ha scacciato del tutto i popoli di Canaan dalla loro terra (Gdc 2,1-5). È interessante vedere, infine, come in almeno un caso lo stesso libro di Giosuè sia testimone del fatto che la conquista avvenne in realtà in modo pacifico (cf. Gs 8,30-35, a proposito della presa di Sichem). Per quanto riguarda le tribù, il libro dei Giudici fa comprendere come fossero ben lontane dall'essere unite: le tribù del nord agiscono sempre in modo indipendente (l'antico «canto di Debora» in Gdc 5 ne nomina soltanto sei); Beniamino appare escluso e addirittura nemico delle altre tribù (Gdc 19--21), mentre le tribù transgiordaniche (Gad e Manasse) e quelle del sud (Giuda) appaiono del tutto autonome dalle altre. Il testo biblico ci presenta dunque un evidente contrasto tra la descrizione di una conquista unitaria e militare del paese (Gs) e una conquista più lenta e frammentaria (Gdc): è uno degli scogli che lo storico deve affrontare, se vuole dare una risposta plausibile al problema delle origini di Israele. Si tratta di una questione che è stata molto studiata in questi ultimi anni, dando vita a diverse teorie in proposito. Dobbiamo subito confessare che una soluzione accolta da tutti è ancora lontana e la discussione resta aperta. 1. La soluzione apparentemente più ovvia è seguire il racconto del libro di Giosuè: Israele cioè entra in Canaan, come insieme di tribù unite, provenienti dall'Egitto, e conquista militarmente il paese.(#_bookmark144) L'obiezione principale a questa posizione viene dai risultati dell'archeologia: è senz'altro vero che diverse città che Giosuè avrebbe distrutto intorno al 1250-1200 a.C. risultano in rovina, ma è altrettanto vero che i motivi di tali distruzioni possono essere fatti risalire a incursioni filistee, a campagne militari egiziane, tutt'altro che infrequenti, o perfino a cause naturali come incendi o terremoti. Inoltre, alcune delle città che Giosuè avrebbe conquistato e distrutto risultano semplicemente disabitate durante quel periodo: è il caso di Arad, di Ai e, caso più noto, di Gerico. Quest'ultima è per noi un esempio molto istruttivo: una campagna di scavi, condotta sul posto nel 1930-1936, fece pensare -- con grande entusiasmo degli archeologi -- di aver ritrovato le rovine di quelle mura che sarebbero crollate al suono delle trombe israelite. Gli scavi successivi, a vent'anni di distanza, dimostrarono che tali mura, ancora oggi ben visibili, risalgono in realtà al periodo del Bronzo Antico, ovvero a più di un millennio prima dell'usuale datazione della conquista. Intorno al 1250-1200 a.C. la città appare, almeno allo stato attuale delle ricerche, semplicemente abbandonata; non vi sono tracce di mura né di una loro eventuale distruzione.(#_bookmark145) È evidente come basti questo dato archeologico a mettere in crisi tutta la teoria relativa a una conquista militare, i cui sostenitori si rifugiano a volte nell'affermazione che i resti della Gerico di Giosuè sarebbero stati asportati dall'erosione, cosa che naturalmente non può essere provata. Alla base del racconto della conquista di Gerico, come ci è tramandato in Gs 6, bisogna allora leggere un racconto cultuale, che trasforma un episodio di conquista in un atto liturgico, un gesto sacro celebrato dai sacerdoti. Del resto l'intento del libro di Giosuè, prima di essere storiografico, è teologico, mira cioè a esortare gli israeliti ad aver fiducia in YHWH e ad osservare la sua Legge (cf. ciò che Dio chiede a Giosuè in Gs 1,1-9). 2. Fallito il tentativo di giustificare storicamente la visione della conquista così come il libro di Giosuè ce la presenta, si è pensato di elaborare un modello diverso che parte dall'idea di una infiltrazione graduale e pacifica almeno nella fase iniziale, da parte di singoli gruppi di israeliti.(#_bookmark146) «Israele» sarebbe dunque costituito da una serie di tribù seminomadi che, all'inizio dell'età del Ferro (1200-1150 a.C.), si sarebbero insediate, prima pacificamente e, solo in seguito, anche con la forza, sulle montagne della regione centrale, cioè nelle regioni meno popolate. Un tentativo di accordare questa teoria con la precedente, operato ancora una volta da R. De Vaux, parla piuttosto di «insediamento», cercando di mostrare come l'installazione degli israeliti in Canaan sarebbe avvenuta in parte in modo graduale (delle enclaves cananaiche sarebbero esistite sino al tempo di David) e pacifica, almeno in un primo tempo, per conoscere poi lotte durante il periodo dei giudici. 3. Negli anni '60 e '70 si è provata un'altra via, un tentativo di spiegazione da un punto di vista sociologico: due autori (G.E. Mendenhall e N.K. Gottwald) hanno proposto una visione del tutto nuova, circa la nascita di Israele. Non ci sarebbe stata alcuna conquista, né alcuna infiltrazione o insediamento: Israele sarebbe sempre stato in Canaan e si sarebbe formato come popolo soltanto in seguito alla rivolta delle classi contadine contro la potenza delle città-stato cananee. Sotto l'influsso di gruppi di leviti provenienti dall'Egitto si sarebbe anche sviluppato il culto di YHWH, culto sperimentato da quei gruppi nel deserto. L'idea di una rivolta contadina chiarisce come mai questa teoria abbia avuto fortuna nell'epoca in cui è apparsa: si tratta purtroppo di un presupposto finora non suffragato da prove sufficienti, che tuttavia ha il pregio di sottolineare l'aspetto sociale, fino ad allora poco considerato, delle origini di Israele. Inoltre, secondo questa teoria, non ci sarebbe stato alcun arrivo di Israele «da fuori»; gli israeliti nascono dall'interno stesso della terra di Canaan. Su questo punto dobbiamo ancora riflettere alla luce di una teoria ancora più recente. 4. Quale soluzione dunque? Onestamente si deve ammettere che una risposta certa non è stata ancora data. Sulla base delle conoscenze attuali si possono raggiungere, come già si è accennato, conclusioni solo probabili, che adesso cercheremo di esporre alla luce di una teoria oggi accolta da molti studiosi. Alla fine dell'età del Bronzo, tra il 1400 e il 1200 a.C. circa, la terra di Canaan si presenta abitata da popolazioni di origine semitica (i cananei, appunto), raggruppate, come si è visto, in città-stato sotto il controllo egiziano. Proprio queste città attraversano, in tale periodo, un momento di crisi. Con una certa approssimazione, gli archeologi calcolano che la popolazione di Canaan sia scesa, nel Tardo Bronzo, a soli 60-70 mila abitanti, dai circa 140 mila del Bronzo Medio; cifre così basse non ci devono stupire: solo le successive innovazioni tecniche e l'introduzione del ferro, infatti, consentiranno un miglioramento dell'agricoltura e la crescita della popolazione anche in zone sino ad allora disabitate. Siamo così di fronte a una sorta di «collasso» del quale ancora non conosciamo le cause. Molte località risultano abbandonate, altre distrutte e, tra queste, le città di Betel, Debir, Lachish, Meghiddo, Hazor, località tutte ricordate nel libro di Giosuè. Inoltre, all'inizio dell'età del Ferro, si nota un rapido incremento della popolazione, con un aumento del numero degli insediamenti, in particolare nelle già ricordate zone montuose centrali, sino ad allora le più spopolate. Ciò si può in parte spiegare con l'introduzione dell'uso del ferro, che permette il disboscamento delle zone collinari e l'uso dei terrazzamenti. Abbiamo perciò indizi che, a cavallo tra l'età del Bronzo e quella del Ferro I, cioè più o meno attorno al 1200 a.C., il periodo tradizionale della «conquista», nella terra di Canaan si passa da un periodo di crisi a uno di maggior prosperità e di nuovi insediamenti: circa 250 nuove piccole comunità rurali, non fortificate, nelle regioni montuose di Canaan, attestanti l'esistenza di una popolazione a carattere agro-pastorale, organizzata non come le città-stato ma su basi etnico-tribali. Tra questi nuovi insediamenti potremmo collocare quelli degli israeliti.(#_bookmark147) Se la presenza degli israeliti in questo periodo appare quanto meno verosimile, resta il dilemma della loro provenienza. Un notevole problema è costituito dal fatto che questi nuovi insediamenti non rivelano affatto la presenza di una nuova popolazione: gli abitanti di queste località non sembrano differenziarsi dalle locali popolazioni cananaiche né per le tecniche edilizie o agricole usate né per la ceramica né, più in generale, per la cultura. Ciò si spiega solo affermando che tra israeliti e popolazioni cananaiche non vi sarebbero vere e proprie differenze etniche: Israele non avrebbe soppiantato d'un colpo le altre popolazioni cananaiche, anch'esse di origine semitica, ma si sarebbe gradualmente affiancato a esse, differenziandosi da loro soprattutto sul piano religioso. Se ciò fosse vero, gli israeliti sarebbero il prodotto -- e non la causa -- del collasso delle città-stato cananaiche. Già su questo piano, tuttavia, si possono osservare notevoli parentele tra gli israeliti e le altre popolazioni cananaiche: per esempio, il dio El, adorato dai patriarchi (cf. Gen 33,20), porta lo stesso nome del capo degli dèi cananaici. Portando all'estremo le conseguenze di simili affermazioni si è oggi arrivati a sostenere la tesi di un «Israele cananeo».(#_bookmark148) Solo dopo molto tempo YHWH si imporrà su Baal, uno dei più importanti dèi del paese di Canaan (si ricordi la sfida di Elia con i sacerdoti di Baal narrata in 1Re 18), un processo che si completerà finalmente in epoca esilica (VI secolo a.C.). Quella che noi chiamiamo «conquista» va dunque riconsiderata come un processo molto più complesso che i testi biblici, sia il libro di Giosuè che quello dei Giudici, hanno successivamente riletto alla luce della loro peculiare visione religiosa: si ritiene oggi, ad esempio, che la concezione relativa all'esistenza delle dodici tribù unite nasca solo dopo l'istituzione della monarchia. Il libro di Giosuè ha conservato e amplificato una tradizione militare che deve essere stata minima, mentre la versione del libro dei Giudici appare storicamente più verosimile; i singoli gruppi tribali vivono separati tra loro e si uniscono per ragioni di difesa o in base a una fede religiosa comune. Nella varietà delle teorie proposte, e a proposito di quest'ultima in modo particolare, resta da risolvere la contraddizione esistente tra questi elementi: la coscienza biblica di un Israele «straniero» (il soggiorno in Egitto e il cammino nel deserto), che appare difficilmente conciliabile con la teoria della rivolta contadina; la presenza dell'influsso cananaico (si potrebbe più esattamente parlare di identità etnica con i cananei); il sorgere di una forma di monoteismo del tutto diversa dalla religione cananaica; i dati archeologici, infine, spesso essi stessi contraddittori. Il problema resta più che mai aperto: l'unico elemento oggi acquisito sembra essere soltanto il rifiuto della visione tradizionale della «conquista», almeno quella narrata da Giosuè in una chiave che, in ogni caso, indulge senza alcun dubbio più al genere epico che alla storia. Tutto ciò ci conduce a rivalutare almeno in parte il racconto dei Giudici e a vedere le origini di Israele come un fenomeno lento e complesso nel quale, non possiamo escludere azioni militari su scala ridotta, infiltrazioni graduali, parentele strette tra «israeliti» e «cananei». Queste considerazioni hanno infine una grande importanza sul nostro modo di leggere i racconti biblici, più che come cronaca di fatti, come ciò che Israele pensava, teologicamente e persino politicamente, riguardo a questi eventi. V. ### «In quel tempo non c'era un re in Israele: ognuno faceva quello che gli pareva meglio» (Gdc 17,6). Così il libro dei Giudici presenta il periodo che segue l'ingresso in Canaan, periodo noto appunto come «dei giudici». Tradizionalmente lo si è fatto estendere dal 1200 sino al 1050 a.C. circa. La parola «giudice» non deve far pensare al giudice di un tribunale, quanto piuttosto a un leader carismatico, un capo militare con poteri precisi nel momento del bisogno. Il «giudice» israelita ha qualche analogia con i magistrati fenici che a Cartagine venivano chiamati suffeti: in ebraico «giudice» si dice appunto shophet, dal verbo shaphat che indica sia «esercitare un potere» che «giudicare» in senso giudiziario. Di questi giudici il testo biblico ne ricorda dodici, numero chiaramente simbolico: ben noti sono i nomi di Gedeone e Sansone, le cui gesta occupano larga parte del libro dei Giudici (Gedeone: Gdc 6,1--8,35; Sansone: 13,1--16,31). Le tribù di Israele appaiono, in questo periodo, ancora slegate tra loro(#_bookmark149) e circondate da popolazioni ostili: il libro dei Giudici interpreta in chiave teologica ogni guerra o semplice scaramuccia sostenuta dalle varie tribù. La storia di Gedeone inizia con un'affermazione che, nel libro dei Giudici, è come un ritornello: ### «gli israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore e il Signore li mise nelle mani di Madian per sette anni» (Gdc 6,1). La chiamata di Gedeone e la sua vittoriosa campagna militare sono il segno della salvezza che Dio, nonostante tutto, continua ad accordare al popolo, servendosi di un uomo appositamente scelto e chiamato il giudice, appunto: ### «Quando il Signore suscitava loro dei giudici, il Signore era con il giudice e li liberava dalla mano dei loro nemici durante tutta la vita del giudice; perché il Signore si lasciava commuovere dai loro gemiti sotto il giogo dei loro oppressori» (Gdc 2,18). Ogni giudice, dunque, è una figura animata dallo Spirito del Signore, mandata da Dio a liberare il suo popolo, secondo un ben preciso schema ancora una volta chiaramente teologico piuttosto che storico, che mette in luce la precisa finalità dell'autore. Oltre ai nemici materiali i giudici sono presentati anche nell'atto di combattere i culti cananaici, culti agricoli legati alla fertilità: chi ha letto il libro dei Giudici si ricorderà come si nominano spesso gli dèi di Canaan, Baal e Ashera, e i luoghi di culto legati ai «pali sacri» e alle colline sacre, gli «alti luoghi». C'è da chiedersi quanto questa polemica antiidolatrica sia realmente un'eco del tempo dei giudici o piuttosto una proiezione nel passato di problemi molto più vivi al tempo in cui il libro dei Giudici è stato scritto. Da un punto di vista sociale, la base della società del tempo sembra essere la famiglia, la bet-'ab, in ebraico la «casa del padre», intesa come famiglia patriarcale, composta dal nonno, dai figli, dai nipoti, tutti a loro volta con le rispettive famiglie, cui si devono ancora aggiungere gli altri parenti stretti e i servi. Questa famiglia allargata, unita ad altre famiglie spesso imparentate fra loro, forma un clan, cui si può far corrispondere, con qualche approssimazione, un intero villaggio. I clan viventi in un dato territorio, legati tra loro da tradizioni comuni, si considerano una «tribù», cioè un'entità indipendente, legata solo occasionalmente, come già si è accennato, ad altre tribù, spesso per motivi religiosi (pellegrinaggi a un unico santuario) o militari (difesa contro un nemico comune). Le tribù che si troveranno riunite, oltre che da legami etnici, economici e politici, dalla fede in uno stesso Dio, YHWH, formeranno quello che poi diventerà il popolo di Israele. Del periodo dei giudici, al di là delle tradizioni popolari su personaggi come Gedeone e Sansone, resta l'immagine di un Israele in corso di sedentarizzazione, ancora non unito come un solo popolo e insediato soltanto in alcune zone del paese di Canaan. Le battaglie, di cui anche il libro dei Giudici, come già quello di Giosuè, è costellato, conservano il ricordo delle tensioni con le popolazioni locali e confinanti, degenerate verosimilmente in scontri di varia entità che, come vedremo, porteranno le tribù a unirsi e saranno una delle cause principali della nascita della monarchia. #### [I. Saul: il popolo si dà un re](%5Cl) La causa principale che ha portato Israele a crearsi una monarchia, in analogia con gli altri popoli del Medio Oriente antico, è senz'altro rappresentata da uno stimolo esterno, ben identificabile nella pressione esercitata dai filistei. Solo da poco tempo si è cominciato a conoscere più a fondo questo popolo, forse di origine indoeuropea, arrivato all'inizio dell'età del Ferro nell'area del Mediterraneo orientale, proveniente dall'Egeo, parte di quella ondata conosciuta come i «popoli del mare», che tentò anche, pare senza successo, di invadere l'Egitto, sotto il regno di Ramsete III (1190 a.C. circa). I filistei si stabilirono in quella striscia costiera che si trova a sud dell'attuale Tel Aviv, la cosiddetta Pentapoli filistea, cioè le cinque città di Asqelon, Gat, Ekron, Ashdod e Gaza (Gs 13,3). L'influenza filistea era tuttavia molto più rilevante di quanto le ridotte dimensioni del territorio occupato possano far pensare. La presenza dei filistei è documentata infatti fin sulle colline della Giudea e persino nella Galilea; insediamenti filistei sono stati trovati addirittura al di là del Giordano. La superiorità militare dei filistei è ricordata dalla Bibbia stessa: il testo di 1Sam 13,19-22 annota come essi possedevano il monopolio del ferro, il che garantiva loro una ovvia posizione di vantaggio non solo sul piano militare (di fronte a soldati forniti ancora di armi in bronzo), ma anche sul piano economico.(#_bookmark165) La pressione militare filistea è del resto ben comprensibile: si tratta infatti di una popolazione appena arrivata e dunque in fase di espansione, in conflitto con le popolazioni locali e, tra queste, gli israeliti. Ben noti alla Bibbia, i filistei diventeranno il nemico di Israele per eccellenza, almeno per tutta la prima parte dell'epoca monarchica. Il testo biblico di 1Sam 4 introduce la serie di avvenimenti che portarono alla nascita della monarchia con una sconfitta interpretata dal testo stesso come catastrofe nazionale: la disfatta subita dagli israeliti da parte dei filistei, presso la località di Afek, non lontano dall'attuale Tel Aviv. Il segno più tragico di questa sconfitta è la cattura dell'arca dell'alleanza, simbolo della presenza del Dio di Israele. Al di là del possibile valore storico di un tale episodio -- in particolare il fatto stesso dell'esistenza dell'arca -- il racconto della battaglia di Afek va visto come uno degli indizi che mostrano come la monarchia israelita può essere nata in seguito a una situazione politica di estrema difficoltà. Subito dopo la battaglia di Afek, infatti, il testo biblico introduce il personaggio di Saul, della tribù di Beniamino. Egli è visto da un lato come la continuazione di quei capi carismatici di cui si è parlato a proposito dell'epoca dei giudici; Saul viene scelto da un profeta, Samuele, e considerato come il consacrato di Dio (si veda 1Sam 10,1). È significativa al riguardo proprio la presenza di Samuele; il re ha bisogno di essere legittimato dal profeta, che a sua volta è presentato nel testo biblico un po' come l'ultimo dei giudici. Ma, allo stesso tempo, Saul appare come il primo re di Israele, la cui autorità esce rafforzata da un paio di vittorie che riesce a ottenere sui filistei e gli ammoniti (si vedano gli episodi narrati in 1Sam 11 e 13--14). Ben poco conosciamo di Saul: nulla più, in realtà, di ciò che il testo biblico ci riferisce, in assoluta mancanza di altre fonti a nostra disposizione. Il problematico testo di 1Sam 13,1 ci fa capire come si trattò di un regno brevissimo, forse neppure due anni. Paragonato ai regni successivi, quello di Saul non può neppure essere considerato veramente tale: manca una capitale, manca un governo, manca un vero e proprio esercito di professione e, soprattutto, è assente una anche minima organizzazione statale. Il territorio, inoltre, è limitato alla piccolissima zona centrale montuosa a cavallo tra Giudea e Samaria. La prima vera battaglia contro i filistei, uno scontro sui monti di Gelboe, tra la Samaria e la Galilea, databile verso il 1010 a.C. circa, vede la fine di Saul. Il testo biblico la anticipa in chiave teologica: nel racconto di 1Sam 28 lo spirito del profeta Samuele appare a Saul che lo aveva evocato tramite una negromante, predicendone la rovina: ### «Il Signore abbandonerà Israele insieme con te nelle mani dei filistei. Domani tu e i tuoi figli sarete con me» (1Sam 28,19). Il centro dell'attenzione non è dunque tanto sul dato storico, quanto piuttosto su quello teologico. Il motivo del rigetto di Saul è visto infatti, già in 1Sam 15, nel suo peccato: il rifiuto di riconoscere l'autorità del Signore e quella del suo profeta Samuele. Va ricordato, a questo punto, come nella storia di Saul appaiono alcuni testi esplicitamente antimonarchici, che ci fanno pensare all'esistenza, all'interno della Bibbia stessa, di correnti ostili alla monarchia. Ci occuperemo di questo aspetto al termine del presente capitolo. La storia di Saul, così come la leggiamo adesso nel testo biblico, appare tutta orientata in funzione di quella di David ed è frutto di riflessioni posteriori; Saul è il re malvagio, presentato quasi come un uomo afflitto da turbe mentali, che insidia la vita del suo giovane e valoroso scudiero David, del quale è follemente geloso: L'opposizione tra Saul e David, anch'essa fortemente teologizzata dal redattore del primo libro di Samuele, esprime il contrasto tra il prescelto di Dio, David, e il suo antagonista. Storicamente questo contrasto si inserisce in ovvie tensioni e scontri scatenatisi intorno a Saul, prima e subito dopo la sua morte, per garantirsi la successione. #### [II. David (1010-970 a.C.)](%5Cl) David è una delle figure centrali dell'Antico Testamento, presentato come il personaggio intorno al quale nasce Israele come nazione. Il nome «David», che significa -- sembra -- il «prediletto», ricorre nella sola Bibbia ebraica(#_bookmark167) ben 1085 volte, secondo solo ad altri due nomi propri: significativamente YHWH e Israele. Nel 1993 è stata scoperta a Tel Dan, nel nord d'Israele, una stele in aramaico che riporta un'iscrizione attribuita a Cazaèl, re di Damasco (cf. 1Re 19,15) e databile circa nell'anno 853 a.C., dove Cazaèl si vanta di aver ucciso dei re della «casa di David»: questo discusso testo potrebbe essere forse la prima conferma storica, fuori dai testi biblici, dell'esistenza di David, qui ricordato a poco più di un secolo dalla morte. Di fronte al grande spazio che David ha nel testo biblico, nell'Antico ma anche nel Nuovo Testamento, le fonti extrabibliche e l'archeologia sorprendentemente tacciono. Ancora una volta, se non avessimo il testo biblico a disposizione, di David sapremmo ben poco. Su di lui possiamo leggere nella Bibbia due cicli importanti di narrazioni: la cosiddetta «storia dell'ascesa di David al trono» (1Sam 16 -- 2Sam 4) e la «storia della successione al trono di David» (2Sam 9 -- 1Re 2).(#_bookmark168) La prima raccolta narra come David sia riuscito a diventare re, attraverso il conflitto con Saul, fino alla morte di lui in battaglia contro i filistei. Il secondo testo è centrato sulla rivolta del figlio Assalonne e, nella parte finale, sugli intrighi che portano al potere l'altro figlio, Salomone. Nel mezzo alle due serie di racconti, una sezione più piccola con storie legate all'arca della alleanza (in particolare 2Sam 6) e, in 2Sam 7, la ben nota profezia fatta a David da Natan concernente il futuro della dinastia davidica. Questi capitoli sono come piccoli «romanzi storici» che incorporano tuttavia elementi provenienti probabilmente da annali e archivi regali e, da questo punto di vista, costituiscono un vero e proprio testo di propaganda politica. A più riprese si nota l'interesse teologico del redattore, interesse ancora più evidente nella storia di David contenuta in 1Cr 10--29, testo composto tardivamente, in epoca postesilica. È interessante vedere come la figura di David nei racconti di 1 e 2 Sam non venga affatto idealizzata; i suoi difetti e le sue colpe vengono narrate con grande chiarezza (ad es. la storia di Betsabea in 2Sam 11--12 e il racconto del censimento in 2Sam 24), senza che vi sia alcuna esaltazione del personaggio. ![](media/image1.png) La situazione storica presente all'epoca dell'ascesa di David al trono vede un momentaneo indebolimento dell'Egitto, a partire dalla fine del regno di Ramsete III (1206-1175 a.C. circa), mentre l'impero assiro è ancora lontano dall'aver raggiunto la sua massima potenza. Il contesto appare dunque favorevole alla nascita di un regno come quello di David, quasi uno Stato cuscinetto tra la superpotenza egiziana e quella assira. L'origine di David appare legata alla città di Betlemme, un piccolo villaggio 13 chilometri a sud di Gerusalemme, sui monti della Giudea: il primo libro di Samuele ce lo presenta come un giovane pastore, scelto dal profeta Samuele, che entra al servizio del re Saul, come suo scudiero. Il ben noto racconto popolare sull'uccisione di Golia, il gigante filisteo, dipinge un David eroico che, da amico di Saul, diventa suo nemico, costretto a fuggire a causa della gelosia suscitata nel re, nevrotico e sospettoso. Non siamo assolutamente in grado di valutare la portata storica di questi episodi, che risentono di amplificazioni popolari e successive riletture di carattere sia ideologico che teologico: appare invece più verosimile la presentazione di un David capobanda, cioè di un capo militare che cerca di soppiantare Saul (cf. 1Sam 27). David, con l'appoggio dei filistei, dei quali è vassallo, riesce ben presto a crearsi una posizione di potere al sud, fino a diventare re di Giuda a Hebron (2Sam 2,4). Alla morte di Saul si creano le condizioni politiche favorevoli perché David, ancora appoggiato dai filistei, possa prendere il potere anche sul resto di Israele, le tribù del nord. Per la prima volta Giuda (il sud) e Israele (le tribù del nord) si trovano uniti, unione che, come vedremo, durerà ben poco. Una delle prime imprese di David, verso l'anno 1000 a.C., è la conquista di Gerusalemme, una delle tante città-stato cananee, che egli crea subito capitale del suo nuovo regno (2Sam 5). L'arrivo dell'arca dell'alleanza, segno della presenza del Dio di Israele (2Sam 6), è il segno più chiaro della consacrazione di Gerusalemme a capitale del regno. Il motivo è evidente: Gerusalemme è una città in posizione neutrale, a metà strada tra il nord e il sud, una chiara scelta di compromesso, cui si aggiunge la favorevole posizione strategica di cui essa gode. L'archeologia non rivela nessun particolare ampliamento della città in questo periodo: Gerusalemme aveva dimensioni estremamente ridotte, limitate alla parte meridionale della collina dell'Ofel. L'ascesa di David crea, com'è naturale, un forte contrasto con i vecchi sostenitori, i filistei, che tuttavia vengono battuti nelle due campagne narrate in 2Sam 5,17-21.23-25. Altre campagne militari condotte da David dentro e fuori il suo piccolo regno ne consolidano la posizione e gli permettono di assumere posizioni di forza anche nei confronti degli Stati vicini (moabiti, ammoniti, edomiti, aramei\...). È molto dubbio che il regno davidico si sia realmente esteso a spese di tali regni confinanti: in ogni caso non ne abbiamo tracce archeologiche sicure. È molto più probabile invece pensare a campagne mirate alla sicurezza delle frontiere, che non si estendevano al di là della Galilea a nord, dell'altopiano transgiordanico a est e del deserto del Neghev a sud. L'estensione reale del regno di David, poteva comprendere, oltre alla Giudea, parte della Samaria e forse anche della Galilea (cf. ad esempio 2Sam 20, dove si ricordano località del Nord). ![](media/image1.png) Con l'espandersi del regno nasce anche una struttura amministrativa centralizzata: si vedano a questo proposito le liste di funzionari contenute in 2Sam 8,15-18 e 20,23-26. Questa è senz'altro un'importante novità per un popolo abituato a una struttura tribale ben diversa: un insieme di tribù si trova per la prima volta a formare un regno. La cosiddetta «storia della successione», l'altra grande raccolta di narrazioni relativa a David, testimonia un aspetto meno pacifico del suo regno, rivelando l'esistenza di tensioni e di conflitti interni (in particolare il testo biblico si ferma a lungo sulla ribellione del figlio Assalonne, cf. 2Sam 13--20). Tali tensioni, talora riducibili a semplici ribellioni locali, possono tuttavia far pensare all'esistenza di vere e proprie correnti antimonarchiche (cf. 1Sam 8). Un altro motivo alla base di questo tipo di conflitti è l'esistenza di un forte contrasto tra le tribù del nord e quelle del sud, contrasto che, dopo Salomone, si trasformerà in aperta rottura. Il testo biblico insiste molto, parlando di David, sull'aspetto religioso: David sarebbe l'iniziatore di quell'opera di centralizzazione del culto che avrà il suo punto culminante nella costruzione del tempio di Gerusalemme, portata a termine dal figlio Salomone. In proposito occorre guardarsi da due opposti estremismi: da un lato l'idea fondamentalista che la religione di Israele fosse una realtà ben definita fin dai tempi dell'esodo; dall'altro l'affermazione che solo con l'esilio nascerà uno yahwismo puro. A questo proposito occorre prima di tutto rinunciare alla visione di un David fedelissimo difensore dell'unicità di YHWH: mio Signore è YAH») e Shefatia («YAH giudica»), portano nomi esplicitamente yahwistici. Più che di un «sincretismo di Stato»(#_bookmark169) dovremmo parlare di un David che, senza porsi alcun problema di carattere teologico, affianca al Dio nazionale YHWH anche altri dèi. L'archeologia dimostra infatti come il culto di YHWH ha convissuto a lungo in Israele con quello degli dèi di Canaan. La visione di un David rigorosamente monoteista è frutto della teologia deuteronomista nata durante il VII secolo a.C.(#_bookmark170) L'importanza della figura di David va in ogni caso molto al di là della sua portata storica: a lui saranno attribuiti molti salmi, così da farne un modello di fede; egli diventa poi il fondatore di una dinastia cui la Bibbia vede legata la promessa divina di fedeltà contenuta in 2Sam 7,16: ### «la tua casa e il tuo regno dureranno per sempre alla mia presenza. Il tuo trono sarà saldo in eterno». David diventa così una figura messianica (cf. Sal 2; 110), tanto che Gesù stesso potrà essere definito «Figlio di David» (Mt 9,27; Rm 1,3). #### [Salomone o l'ideale monarchico (970-931 a.C. ca.)](%5Cl) «età dell'oro» del regno di Israele. Salomone viene presentato come l'uomo più saggio mai esistito sulla terra, come il più ricco e il più grande di ogni altro re prima e dopo di lui. Così dice il Signore al giovane re: ### «Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente come te non ci fu alcuno prima di te né sorgerà dopo di te. Ti concedo anche quanto non hai domandato, ricchezza e gloria come nessun re ebbe mai» (1Re 3,13).(#_bookmark171) Il regno di Salomone si sarebbe esteso addirittura dal fiume Eufrate sino alla frontiera egiziana, almeno secondo il testo di 1Re 5,1-4, che tuttavia riferisce confini ideali, che Israele non ha mai avuto in alcun momento della sua storia. Per quanto riguarda la fama relativa alla sua sapienza, infine, al re Salomone sono stati attribuiti dall'antica tradizione ebraica i libri biblici del Cantico dei cantici, del Qoelet, dei Proverbi e persino della Sapienza, benché in ogni caso si tratti di opere scritte da autori diversi e in epoche molto posteriori (il libro della Sapienza addirittura alla fine del I secolo a.C.). Tutti questi dati assumono, nel testo del primo libro dei Re, una veste autorevole, dato che in 1Re 11,41 viene menzionato un «libro delle gesta di Salomone» che, se è davvero esistito, doveva essere una sorta di cronaca ufficiale del suo regno, probabilmente una delle fonti primarie del testo biblico attuale. In realtà, tale presentazione di Salomone non sembra corrispondere molto alla realtà storica: i dati reali sono stati notevolmente amplificati e teologizzati dal narratore e molti indizi ci portano a ridimensionare parecchio l'immagine di un Salomone «ideale». Salomone non era il vero erede al trono, figlio per di più della relazione illegittima di David con Betsabea, decimo figlio del re: l'inizio della sua storia, in 1Re 1--2, ce lo mostra intento all'eliminazione progressiva e sanguinosa di tutti i possibili pretendenti al trono del padre. Il testo biblico cerca di giustificare moralmente una serie di assassinii politici (Adonia, Ioab, Simei) al termine dei quali, in 1Re 3, Salomone riceve addirittura l'approvazione divina durante la notte passata nel santuario di Gabaon. Si tratta dunque di una legittimazione teologica dell'ascesa al trono di Salomone, arrivata, com'è facile pensare, solo a cose fatte. ![](media/image1.png) Gran parte del racconto biblico relativo a Salomone (1Re 5,15- 9,25) è dedicato alla costruzione del tempio di Gerusalemme che resterà il massimo monumento di Israele sino alla sua distruzione, operata dai babilonesi al tempo dell'esilio. Non ci è possibile conoscere nei dettagli la struttura dell'edificio salomonico: doveva avere un carattere essenzialmente tripartito, con un recinto esterno che delimitava un grande cortile scoperto, luogo ove si offrivano i sacrifici, e un edificio centrale, il santuario, che al suo interno racchiudeva probabilmente il «Santo dei santi», la cella contenente l'arca della alleanza. Il modello non è dunque molto diverso da quello di templi analoghi ben conosciuti in ambiente cananaico e siro-fenicio. Lo stesso libro dei Re, del resto, ricorda, come la costruzione del tempio di Gerusalemme non fu portata a termine da architetti e operai israeliti, ma da personale fenicio, assoldato direttamente dal re di Tiro (cf. 1Re 5,15-31; 7,13-14). Nel tempio, Salomone appare come vero e proprio sacerdote, che offre sacrifici (1Re 9,25) e che prega per tutto il popolo (1Re 8). Il tempio diventerà, poco per volta, il centro del culto per tutto Israele, soppiantando i santuari locali. Testi come quello di Dt 12,2-12 dimostrano però che, anche in avanzata epoca monarchica, il culto in altri santuari non era ancora del tutto cessato. Come nel caso di David, anche per Salomone non bisogna perciò pensare ad un campione del monoteismo yahwista: ### «Salomone seguì Astarte, dea di quelli di Sidone, e Milcom, obbrobrio degli Ammoniti. Salomone commise quanto è male agli occhi del Signore e non fu fedele al Signore come lo era stato David suo padre. Salomone costruì un'altura in onore di Camos, obbrobrio dei Moabiti, sul monte che è di fronte a Gerusalemme e anche in onore di Milcom, obbrobrio degli Ammoniti. Allo stesso modo fece per tutte le sue donne straniere, che offrivano incenso e sacrifici ai loro dèi» (1Re 11,5-8). Il testo biblico è già abbastanza chiaro: anche in questo caso non si deve tanto pensare, storicamente parlando, a una deviazione morale del vecchio re, trascinato all'idolatria dalle sue molte mogli, quasi tutte pagane: Salomone rispecchia in realtà la situazione religiosa tutt'altro che stabile del suo tempo. Accanto al tempio, Salomone costruisce il palazzo regale, intorno al quale si sviluppa un'amministrazione ben più complessa di quella di David (si vedano, anche in questo caso, le liste di funzionari riportate in 1Re 4,1-19). È interessante notare che il tempo impiegato da Salomone per la costruzione del palazzo sarebbe stato di ben tredici anni (1Re 6,38--7,1), dunque ben superiore a quello impiegato per la costruzione del tempio (cf. 1Re 9,10). La creazione di una vera e propria classe di funzionari addetti alla corte e al governo del paese portò come ulteriore conseguenza alla creazione di una scuola per la formazione delle nuove leve della pubblica amministrazione e del governo: forse, proprio da scuole come questa, la cui esistenza non è comunque del tutto certa, nasceranno più avanti le prime opere sapienziali di Israele, come ad esempio le parti più antiche del libro dei Proverbi.(%5Cl) Due caratteristiche dell'amministrazione salomonica costituiscono una novità per Israele: l'istituzione di un sistema di tassazione (1Re 4,7), base di ogni governo forte, sulla base di una suddivisione del regno in dodici distretti, e la creazione di un servizio di lavori pubblici forzati. Quest'ultima istituzione è particolarmente interessante: si tratta di lavori destinati a opere pubbliche (le cosiddette corvées) cui anche i liberi cittadini, e non solo gli schiavi e i prigionieri, erano obbligati gratuitamente per conto del re (cf. 1Re 5,27-30). In tutto questo, Salomone apparve forse agli occhi del popolo troppo simile agli altri monarchi del tempo, a cominciare dai faraoni; il malcontento creato dall'introduzione di una simile usanza ha potuto così costituire una delle cause scatenanti la rivolta e la divisione del regno alla sua morte (1Re 12,1-19). tensioni che sfoceranno, subito dopo la morte del re, nella rivolta delle tribù del nord, guidate da Geroboamo (1Re 11,26-40) e nello sfaldamento del regno, che da allora, fino all'epoca maccabaica, non sarà più unito. #### [Caratteri della monarchia israelita](%5Cl) La monarchia israelita si presenta, se guardiamo al quadro generale della storia di Israele, come un fenomeno secondario.(#_bookmark173) La sua unità, infatti, è durata poco più di un secolo (Saul-David- Salomone); il regno del nord ha resistito circa due secoli (fino al 721 a.C.), mentre quello del sud è durato per un altro secolo e mezzo, sino all'esilio babilonese del 586 a.C. In tutto il Pentateuco un solo I. [**La divisione del regno (931 a.C.)**](%5Cl) Il regno del nord appare in ogni caso molto diverso da quello di Giuda. Territorialmente si tratta di un regno molto più vasto (vedi cartina a p. 59), comprendente la Samaria, la Galilea, parte delle regioni transgiordaniche, zone nel complesso molto più fertili e ricche della montagna di Giuda che costituisce la maggior parte del territorio del regno del sud. Inoltre, il nord è collocato sulle principali vie di comunicazione internazionali, tra le quali l'importantissima «via del mare», frequentata arteria di collegamento tra l'Egitto e la Siria. Tale via garantiva anche, attraverso la pianura di Izreel l'accesso al mare che mancava al regno di Giuda, bloccato sulla costa dal territorio filisteo. Questa posizione geografica, da un lato davvero vantaggiosa, si trasformerà presto in uno svantaggio, esponendo il nord a continue minacce da parte dei popoli vicini, sino all'inva I. [**La dinastia di Omri in Israele (885-841 a.C. ca.)**](#_bookmark21) ![](media/image1.png) I. [**Il crollo del regno del Nord (743-722 a.C.)**](#_bookmark23) stesso anno, intraprende una campagna militare diretta prima contro Damasco e, successivamente, contro Israele (vedi cartina a p. 73). Damasco viene conquistata mentre Israele è ridotto a uno stato vassallo, dove Tiglat-Pileser insedia un re di suo gradimento, un certo Osea (732-724 a.C.). Questi, per motivi a noi ignoti, dopo aver regnato per nove anni come un fedele vassallo, decise di ribellarsi a Salamanassar V, nuovo re assiro, forse tentando un'improbabile alleanza con l'Egitto. L'Assiria risponde ancora una volta con durezza e, sotto Sargon II, successore a sua volta di Salmanassar V, nel 722 a.C., dopo due anni di assedio, Samaria fu catturata e quindi distrutta. #### [Ezechia (716-687 a.C.)](%5Cl) Dopo il crollo del regno del nord, Giuda è ridotto a un piccolissimo Stato, del tutto insignificante nel panorama storico internazionale, uno dei pochi regni rimasti ancora indipendenti e non soggetti direttamente all'Assiria, di cui tuttavia è vassallo in seguito al tributo pagato da Acaz a Tiglat-Pileser. La Giudea costituisce in questo periodo una sorta di Stato cuscinetto tra l'Assiria e l'Egitto. Unico erede poi delle tradizioni religiose israelite, il regno del sud diviene il centro di elaborazione di testi biblici come probabilmente già quelli della scuola deuteronomista e dei profeti «scrittori» come Isaia e Michea. La cronologia del regno di Ezechia è discussa; probabilmente associato al trono del padre Acaz fin dal 728, egli diviene re nel 716 a.C., dunque pochissimo tempo dopo la caduta del nord. Il testo biblico si occupa ampiamente di Ezechia: oltre ai capitoli 18--20 del secondo libro dei Re, abbiamo il testo di Is 36--39 e la versione fornitaci dal Cronista in 2Cr 29--32. Il quadro che ci si rivela è ampiamente positivo: ### «Egli confidò nel Signore, Dio di Israele. Fra tutti i re di Giuda, nessuno fu simile a lui, né fra i suoi successori né fra i suoi predecessori. Attaccato al Signore non se ne allontanò; osservò i decreti che il Signore aveva dati a Mosè. Il Signore fu con Ezechia e questi riuscì in tutte le sue iniziative» (2Re 18,5-7). È evidente come non si tratti di un giudizio sul piano politico, ma su quello religioso: Ezechia, al contrario dell'«empio» padre Acaz, viene ricordato soprattutto per la sua opera di riforma religiosa. ). La riforma di Ezechia sarebbe consistita in una restaurazione del culto di YHWH, di pari passo con il tentativo di eliminare i culti cananaici e i luoghi sacri loro consacrati. In particolare, Ezechia avrebbe insistito sul ruolo centrale del tempio di Gerusalemme. È molto difficile dare un giudizio sull'attendibilità di questi dati; è difficile separare nel testo biblico ciò che Ezechia potrebbe aver fatto dalla idealizzazione che il redattore deuteronomista fa della sua opera. Si può tuttavia ritenere probabile un'azione riformatrice di Ezechia tesa ad affermare con più forza l'unicità del culto di YHWH, azione supportata da gruppi profetici (Isaia). A questo programma religioso, Ezechia ne fa seguire anche uno politico: riesce a sconfiggere i filistei, rientrando in possesso di una parte del territorio perduto dai suoi predecessori e, verso il 705 a.C., si allea con l'Egitto per contrastare la potenza assira. momento della morte di Sargon, il re assiro, assassinato improvvisamente: Ezechia approfitta così del momento di difficoltà incontrato dal successore di Sargon, il re Sennacherib. Sia il testo biblico sia l'archeologia ci testimoniano i preparativi di Ezechia per resistere a un'eventuale invasione. I testi assiri relativi all'invasione che poi verrà effettivamente effettuata parlano di ben quarantasei fortezze conquistate, fortezze evidentemente costruite o completamente restaurate da Ezechia. Così, nonostante tutto, Gerusalemme e la Giudea conoscono un breve periodo di relativo benessere. L'opera edilizia più celebre, ben visibile ancora oggi, resta il tunnel di Siloam, una conduttura d'acqua sotterranea usata per rifornire la città di Gerusalemme in caso d'assedio. Il tunnel parte dalla sorgente di Ghihon, appena fuori delle mura, e porta l'acqua fino alla piscina di Siloam, all'interno della città. Si tratta di una notevole opera di ingegneria, tuttora percorribile a piedi. All'ingresso del tunnel fu ritrovata, nel 1880, un'iscrizione in ebraico, risalente probabilmente a Ezechia stesso, nella quale gli operai narrano in modo dettagliato e appassionante la fase finale della costruzione del tunnel.(#_bookmark206) guerra e la sua alleanza con l'Egitto testimoniano della volontà di liberarsi dall'Assiria. Questa politica trovò, secondo testi come Is 18,1-7; 20,1-6; 30,1-3, la decisa opposizione di Isaia, che vedeva nell'azione di Ezechia un tradimento della fiducia nel Signore. Detto in termini politici, i circoli profetici più realisticamente si rendevano conto dell'illusorietà di un tale tentativo. a.C. invade la Giudea. #### [Manasse e Amon (687-640 a.C.)](%5Cl) Con Manasse, figlio di Ezechia, siamo di fronte al regno più lungo di tutta la storia di Israele: ben 45 anni (dal 687 al 642 a.C. circa), secondo le fonti bibliche, ancora una volta le uniche disponibili a questo riguardo. Il regno di Manasse coincide con il periodo di massima potenza dell'impero assiro: gli assiri controllano ormai tutta la regione che va dalla Siria fino al Sinai, dall'Anatolia sino all'Arabia. A partire dal 671 a.C. il re Asshardon e il suo successore Assurbanipal arrivano persino a conquistare l'Egitto, raggiungendo così l'apogeo dell'impero. #### [Giosia e la riforma religiosa (640-609 a.C.)](#_bookmark27) Nel corso di questi anni assistiamo a un cambiamento radicale della situazione internazionale. L'Assiria inizia progressivamente, ma inesorabilmente, un periodo di decadenza che terminerà solo con la sua scomparsa, minacciata dalla nascente potenza di Babilonia e dalle incursioni dei popoli seminomadi confinanti con il vasto impero. Nel 627 a.C. Babilonia riacquista la sua indipendenza e nel 612 i babilonesi arriveranno addirittura a conquistare Ninive, distruggendo così definitivamente l'impero assiro, evento di grande portata, ricordato nella Bibbia dal libro di Naum (Na 3,1-7; cf. anche Sof 2,13-15). Il crollo assiro porta come immediata conseguenza la rinascita egiziana e quindi il passaggio della Giudea sotto un nuovo dominatore, il faraone. Politicamente, dunque, la situazione non è cambiata: Israele è sempre sottomesso a un'altra potenza, anche se solo come vassallo. L'autonomia di cui il regno di Giuda gode è dunque relativa, pur se forse più ampia di quella goduta all'ombra dell'Assiria. Documenti provenienti dalla fortezza di Mesad Hashavyahu, località sulla costa mediterranea presso Yavne, sembra attestare la presenza, almeno in quella zona, di un avamposto egiziano con truppe composte da mercenari greci e giudei. Anche l'Egitto, tuttavia, dovrà uscire sconfitto dallo scontro con la nuova potenza babilonese: il faraone Necao, nel tentativo di respingere Babilonia, subirà (605 a.C.) una dura sconfitta nella battaglia di Karkemish Il testo di 2Re 22--23 ricorda come avvenimento principale del regno di Giosia un'importante riforma religiosa (622 a.C.). Punto di partenza di tale riforma sarebbe stata la «scoperta», nel tempio di Gerusalemme, di un «libro della Legge» La riforma religiosa di Giosia ricorda quella già vista a proposito di Ezechia, ma è senz'altro molto più radicale. Il re si dedica, secondo il testo biblico, a un'eliminazione sistematica dei culti non yahwisti: fa bruciare statue e altari, distrugge santuari e accentua ancora di più il carattere di centralità che già il tempio di Gerusalemme aveva: un solo Dio, YHWH, un solo popolo, un solo tempio. Il regno di Giosia ebbe una fine improvvisa: dopo il 612, sparita dalla scena l'Assiria, il faraone Necao intraprese una campagna verso il nord di Israele, forse nel tentativo di contrastare l'avanzata babilonese. Giosia tentò forse di disturbarne i piani, oppure si illuse, nel mutato panorama internazionale, di riconquistare un minimo di indipendenza, giocando sul contrasto tra Egitto e Babilonia in seguito al crollo assiro. Il tentativo sfocerà in un fallimento: il faraone Necao fece uccidere Giosia nel 609, nella città di Meghiddo, #### [La fine del regno di Giuda](#_bookmark28) Gli ultimi anni del regno di Giuda si caratterizzano come un periodo di crisi e di grande confusione. Alla morte di Giosia, il partito riformatore tentò di proseguire la politica del re defunto, nominando come successore il figlio maggiore di Giosia, Yoachaz. Questi si presentò a Necao, di ritorno dalla campagna condotta nel nord della terra di Israele, facendo atto di sottomissione, ma il faraone lo depose e lo esiliò in Egitto, nominando un re di suo gradimento, un altro figlio di Giosia, Eliakim, cambiandogli il nome in Yoaqim. Durante l'assedio il re Yoaqim muore ed è il figlio Yoakhin ad arrendersi ed essere subito esiliato a Babilonia, dove tuttavia verrà trattato più da ospite che da vero e proprio prigioniero nel 597.(#_bookmark210) Insieme a lui vengono esiliate alcune migliaia di persone, membri in gran parte della classe dirigente, nobili e sacerdoti, tra i quali anche il profeta Ezechiele: si tratta della prima deportazione Nabucodonosor, nel 587 a.C. inizia l'esilio, torna nuovamente in Giudea per reprimere la nuova rivolta e assedia per la seconda volta Gerusalemme. Tempio di salomone distrutto nel 58 Le autorità di Babilonia, appoggiandosi al partito filobabilonese, del quale, come si è visto, lo stesso profeta Geremia era un rappresentante, nominano una specie di viceré del deportato Yoakhin, un certo Godolia. Con la morte di Godolia, la Giudea diventa una semplice provincia dell'impero babilonese Nasce nel frattempo una nuova potenza, quella dei medi, che inizia a minacciare Babilonia. I medi vivevano a est dell'Eufrate, più o meno nell'attuale parte occidentale dell'Iran, ed erano stati un tempo alleati di Babilonia nelle campagne contro l'Assiria. Il re babilobeseNabonedo credette di poter fermare l'ascesa della Media alleandosi con il re persiano Ciro II, detto il Grande. Quest'ultimo rovesciò effettivamente Astiage, re dei medi, impadronendosi del suo regno (550 a.C.); tuttavia, forte di questa vittoria, egli continuò la sua politica espansionistica, conquistando, quattro anni più tardi, anche il regno della Lidia, del celebre re Creso, e minacciando da vicino le città greche dell'Asia Minore. Così, da alleato che era, Ciro diventò una minaccia costante per Babilonia: nel 539 sconfigge Nabonedo, che è costretto a fuggire, ed entra a Babilonia. Sorprendentemente, Ciro non si considera un conquistatore, ma un liberatore 333: in questo anno il re macedone Alessandro Magno sconfigge, nella celebre battaglia di Isso, l'esercito persiano di Dario III ed estende il suo regno dalla Macedonia sino al fiume Indo. Nel 332 Alessandro Magno invade anche l'Egitto, passando per la Galilea, la Samaria e la Giudea, che vengono annesse quasi senza colpo ferire: inizia così un'epoca del tutto nuova, l'epoca ellenistica ), la lingua greca subentrò all'aramaico come lingua internazionale, greca -- fu in genere molto tollerante verso gli ordinamenti sociali e le usanze religiose dei popoli conquistati. La tolleranza, soprattutto in campo religioso, è del resto uno dei nuovi valori portati dal mondo greco. Nel caso di Gerusalemme, egli riconobbe l'autorità del sommo sacerdote, considerato capo e rappresentante ufficiale di una comunità regolata da una propria legge, la Tôrah Alessandro non ebbe il tempo necessario per consolidare le sue conquiste: morì infatti improvvisamente nel 323 a.C. a soli 33 anni lasciando il suo regno nel caos. I suoi generali (i cosiddetti diadochi, parola greca che significa «successori») si spartirono i vari territori conquistati, frammentando irrimediabilmente il vasto impero. Tolomeo, figlio di Lago, si impossessò dell'Egitto; Antigono della Macedonia e della Grecia, mentre l'Asia Minore e la regione siro- babilonese passarono a Seleuco. Il governatore d'Egitto, Tolomeo, che fondò la dinastia dei Lagidi, dopo alterne vicende, riesce, nel 312 a.C., a occupare la Giudea e Gerusalemme, strappandola alla famiglia dei Seleucidi, che nel frattempo avevano preso il potere in Siria. La Giudea resterà sotto il dominio tolemaico per più di un secolo. Si deve notare come gli storici greci dell'epoca che si occupano di questo periodo non dicano praticamente nulla sulla Giudea e i suoi abitanti, segno che si trattava di una regione geograficamente isolata, politicamente ed economicamente piuttosto insignificante agli occhi dei sovrani ellenistici. La situazione della Giudea fu all'inizio difficile: tutta la regione era stata il teatro delle guerre tra Tolomei e Seleucidi, durate molti anni. Almeno in un primo momento, il re Tolomeo I, dopo aver conquistato Gerusalemme, trattò la popolazione con durezza, deportandone anche una parte in Egitto. Ma con il passare del tempo, il dominio tolemaico si rivelerà un periodo di pace e relativa prosperità. Il dominio tolemaico durò sino al 200 a.C. Tra il 201 e il 200 a.C. il re Antioco III, della famiglia dei Seleucidi, i sovrani della Siria, riesce a strappare ai Tolomei l'intera regione palestinese, Giudea compresa. L'esercito seleucide, rinforzato da alleati e mercenari, non regge l'urto delle legioni romane, pur inferiori di numero, guidate dal celebre Scipione l'Africano. Il trattato di pace imposto dai romani ad Antioco III (pace di Apamea, 188 a.C.), prevede condizioni durissime. Antioco deve abbandonare tutti i suoi territori in Asia Minore e pagare un tributo di 12.000 talenti, una cifra davvero enorme, che costringe lo Stato seleucide sull'orlo della bancarotta. Le conseguenze della sconfitta di Magnesia peseranno in modo decisivo sull'atteggiamento del governo seleucida nei confronti dei giudei. Ucciso Antioco nel 187, il suo successore, il figlio Seleuco IV pensò di ovviare alle disastrose condizioni economiche in cui versava oramai il suo regno saccheggiandone i templi più ricchi e, tra questi, anche quello di Gerusalemme. Un tale gesto -- sottrarre oro alle casse ben fornite del tempio -- era visto, nell'ottica del re, come un suo ovvio diritto, ma fu considerato dai giudei un autentico sacrilegio, andato a vuoto -- secondo il racconto di 2Mac 3 -- in seguito a un intervento miracoloso di Dio. A Seleuco IV succede Antioco IV (175-164 a.C.) che si autoimpone il nome di Epifanès, che in greco significa «(dio) rivelato», nome che il popolo muterà ironicamente in Epimanès, cioè «pazzo. A Gerusalemme, un tale Giasone, giudeo di famiglia sacerdotale ma fortemente ellenizzato, si spinge sino a comprare dal re la carica di sommo sacerdote. Con l'appoggio di altri membri della classe sacerdotale, Giasone inizia un deciso processo di ellenizzazione: a Gerusalemme viene aperto un ginnasio, sullo stile greco Nel frattempo, intorno al 172 a.C., un secondo personaggio, un certo Menelao, riuscì a prendere il posto di Giasone, dopo aver offerto al re 300 talenti in più La persecuzione o, meglio, l'opera di ellenizzazione forzata di Antioco IV trovò, com'è logico, l'opposizione dei giudei più fedeli alle tradizioni. Mattatia, considerato l'iniziatore della rivolta: Uno dei figli, Giuda, soprannominato Maccabeo (cioè «martello») divenne subito il capo carismatico di questi gruppi di resistenza. In tal modo, nel dicembre del 164 a.C., Giuda Maccabeo riuscì a riconquistare Gerusalemme Giovanni Ircano I, può essere ormai considerato il fondatore di una vera e propria dinastia, quella degli Asmonei, la prima dopo il crollo della monarchia in seguito all'esilio babilonese e Pompeo, nelle vesti di arbitro e paciere, poté, nel 63 a.C., entrare in Giudea con le sue legioni e conquistare Gerusalemme Si è già avuto occasione di parlare della diaspora giudaica, cioè di quel movimento di dispersione che portò gran parte degli israeliti a stabilirsi fuori dalla propria terra, in primo luogo a partire dal crollo del regno del nord e, successivamente, in seguito all'esilio babilonese. Una storia di Israele, anche geograficamente limitata alla regione palestinese, non può dimenticare l'esistenza di questo «Israele» fuori dalla terra di Israele. L'ebraismo della diaspora è un fenomeno molto importante: ai tempi del Nuovo Testamento gli ebrei residenti fuori dalla terra promessa, spesso da molti secoli, erano molto più numerosi degli stessi ebrei di Israele, come del resto avviene anche oggi. Al tempo di Ottaviano Augusto si parla di una popolazione ebraica, all'interno dell'impero romano, di circa quattro milioni e mezzo di giudei, di cui certamente non più di un milione in Israele: si tratta del 7% della popolazione dell'impero. Giuseppe Flavio può citare con orgoglio il geografo e storico greco Strabone (63 a.C. - 19 d.C.) che avrebbe detto dei giudei: L'ebraismo, dunque, si trovava a diretto contatto con la cultura ellenistica che dominava il mondo di allora, contatto che, come si è visto nel caso della rivolta maccabaica, si è risolto spesso in uno scontro tra due culture. Gli ebrei della diaspora erano tuttavia più aperti verso il mondo ellenistico rispetto agli ebrei che vivevano in Giudea e a Gerusalemme: abitavano infatti in città ellenistiche, assumendone talora la cittadinanza, ne adottavano la lingua (cioè il greco) e i costumi, pur cercando di conservare la propria fede e le proprie tradizioni. L'influenza dello spirito greco si può notare già nei nomi, che vengono non di rado grecizzati: così ad esempio Giasone è la forma greca di Giosuè (2Mac 2,23), mentre Saulo diventa Paolo (cf. At 13,9). L'influsso della filosofia greca si fa sentire anche in campo religioso: il giudaismo della diaspora insiste meno sugli aspetti cultuali e molto di più su quelli etici. Elementi tipicamente giudaici come il tempio, il culto, il sacerdozio, le pratiche rituali, vedono la loro importanza molto ridotta, rispetto al contenuto morale con il quale il giudaismo si presenta a un livello etico superiore rispetto al paganesimo. Si sviluppa, in modo particolare nel giudaismo della diaspora e specialmente nel giudaismo di Alessandria d'Egitto, un metodo di interpretazione allegorica delle prescrizioni cultuali e rituali contenute nei libri biblici, metodo che in seguito avrà grande fortuna anche in campo cristiano. Un aspetto singolare del giudaismo della diaspora è il tentativo apologetico di mostrare come la fede giudaica sia superiore alla filosofia greca, giungendo sino a parlare dei filosofi greci come discepoli di Mosè come fa ad esempio Filone di Alessandria; a questo riguardo nascono anche opere che cercano di mostrare questi pretesi contatti tra mondo ellenistico e mondo giudaico. La Lettera di Aristea e il Quarto libro dei Maccabei sono, per molti aspetti, scritti apologetici che, pur molto diversi tra loro, vogliono entrambi mostrare al mondo ellenizzato la superiorità morale e persino filosofica del giudaismo. Lo storico giudeo Eupolemo -- per alcuni quel personaggio che Giuda Maccabeo invia a Roma (cf. 1Mac 8,17) - pare abbia scritto in lingua greca una storia degli ebrei nella quale sosteneva che i fenici e i greci avevano appreso la scrittura da Mosè. La grande forza morale del giudaismo esercitava effettivamente un certo influsso sul paganesimo. Molti pagani chiedevano di entrare nel giudaismo: benché non circoncisi e quindi non del tutto incorporati al popolo ebraico come lo erano invece i rari «proseliti», questi «timorati di Dio» osservavano i precetti fondamentali della Tôrah e partecipavano alla vita della sinagoga. Il centurione Cornelio, protagonista di At 10, è certamente uno di essi. Il singolare modo di vivere giudaico, tuttavia, provocava spesso tensioni e scontri, che potevano anche risolversi in vere persecuzioni. ). Erode, appoggiato a sua volta da Roma, riesce a sconfiggere i parti e fa uccidere Antigono, l'ultimo degli Asmonei. C gruppo dei farisei -- parla di loro come di coloro che cercavano di vivere in piena conformità con la Tôrah, cioè che erano più fedeli alle tradizioni del giudaismo codificate nella Legge mosaica I romani, infatti, secondo una prassi consolidata, lasciarono alle autorità locali un'autonomia relativamente ampia per tutte le questioni interne e rispettarono in genere le usanze locali, specialmente quelle religiose. La massima autorità restò dunque il sommo sacerdote, #### [I successori di Erode e l'amministrazione romana (4 a.C.](#_bookmark61) Alla morte di Erode scoppiarono gravi disordini, poiché il popolo non voleva accettare un figlio di Erode come re: una delegazione giudaica si rivolse ad Augusto, chiedendo la sottomissione ai romani in cambio dell'autonomia interna, ma l'imperatore confermò sostanzialmente il testamento di Erode che divideva il regno tra i suoi figli superstiti. Archelao ebbe la Giudea, la Samaria e l'Idumea; Filippo ricevette la regione a nord-est del lago di Tiberiade; mentre il terzo figlio, Erode Antipa, divenne tetrarca della Galilea e della Perea (vedi cartina a p. 170). In seguito alla decisione di Augusto, Archelao poté assumere il potere in Giudea, anche se non con il titolo di re, ma con quello, inferiore, di etnarca. Il suo carattere crudele e dispotico ricalcava quello del padre: «avendo saputo che era re della Giudea Archelao, al posto di suo padre Erode, \[Giuseppe\] ebbe paura di andarci» (Mt 2,22). Le lagnanze sul suo conto furono così gravi che Augusto fu costretto a richiamarlo a Roma e, nel 6 d.C., a esiliarlo in Gallia. La Giudea diventa così parte della provincia romana di Siria, sotto l'amministrazione diretta di un governatore militare romano con il titolo di praefectus, talora chiamato anche procurator, con sede a Cesarea Marittima.(#_bookmark350) Al sommo sacerdote viene lasciato il potere religioso e un minimo di potere civile, ma i governatori romani non mancarono mai di far sentire tutto il peso dell'occupazione, preoccupati soprattutto dell'ordine pubblico e della riscossione dei tributi. A ciò si aggiungeva la grande incomprensione, da parte romana, degli usi religiosi e della mentalità giudaica, che considerava come un autentico sacrilegio ogni disposizione amministrativa anche la più semplice, come un censimento, l'uso di monete con l'effige imperiale, i trionfi e le accoglienze tributate ai vari procuratori e soprattutto il culto dell'imperatore. Per tutti questi motivi, a partire dal 6 d.C., la Giudea si troverà in una situazione quasi costante di ribellione e di disordine, mentre il sentimento antiromano crescerà sempre più. Dei vari governatori romani succedutisi al governo della Giudea è ben noto a ogni lettore del Nuovo Testamento Ponzio Pilato (26-36 d.C.). Una lapide rinvenuta a Cesarea, ora conservata al Museo di Israele a Gerusalemme, ne attesta l'esistenza e la carica. Vi si legge infatti: Il secondo figlio di Erode, Filippo (4 a.C.-34 d.C.), fu senz'altro il migliore dei suoi fratelli. Di tendenze apertamente filoellenistiche e filoromane, fu il primo governante giudeo a far incidere sulle sue monete l'effige dell'imperatore. Di carattere generoso e pacifico, governò senza incidenti una popolazione composta di giudei e pagani. Filippo ricostruì due città: Betsaida, sulle sponde del lago di Galilea, che chiamò Julia, in onore della figlia di Augusto, e abbellì Panias, o Cesarea di Filippo, ai piedi del monte Hermon. Entrambe sono ricordate nei racconti evangelici: Betsaida è la patria di Pietro, Andrea e Filippo (Gv 1,44), mentre secondo Mt 16,13 nella regione di Cesarea si colloca l'episodio del primato di Pietro. Il terzo figlio di Erode, Erode Antipa (4 a.C.-39 d.C.) divenne, come si è detto, tetrarca della Galilea, Dopo la morte di Filippo, l'imperatore Caligola nel 37 d.C. aveva nominato al suo posto un nipote di Erode il Grande, Erode Agrippa I, il quale, una volta esiliato Erode Antipa, divenne governante anche della Galilea e della Perea. Nel 41 d.C. l'imperatore Claudio gli assegnerà anche la Giudea, la Samaria e l'Idumea, così da ricostituire il regno di Erode il Grande. Sarà questa l'ultima volta -- se si eccettuano le due ribellioni che seguiranno -- che Israele si troverà riunito e indipendente. Alla morte di Erode Agrippa I la Giudea tornò a essere provincia romana: l'ex territorio di Filippo venne concesso al figlio Erode Agrippa II , nel maggio del 66 d.C., una delle tante sommosse popolari si trasformò ben presto in una vera guerra di liberazione contro i romani, nono le legioni romane poterono passare al contrattacco, sbarcando a Tolemaide con circa 60.000 uomini al comando del legato imperiale Vespasiano; la Galilea fu rapidamente sottomessa. Alla morte di Nerone le operazioni militari furono temporaneamente sospese, il che diede agli insorti una falsa speranza. Nel 69 le legioni orientali acclamarono imperatore Vespasiano, il quale affidò al figlio Tito il comando dell'esercito. La campagna, condotta prima da Vespasiano e poi da Tito, a causa dello strapotere militare romano, ebbe successo, nonostante l'accanita resistenza giudaica. Così, nella primavera del 70 d.C. Tito poteva iniziare l'assedio di Gerusalemme. La città era colma di pellegrini arrivati per celebrare la Pasqua, che rimasero là intrappolati, tanto che ben presto la città fu ridotta alla al tempio, che fu interamente distrutto e che non sarà mai più ricostruito. L'assedio di Gerusalemme non spezzò del tutto la resistenza giudaica: solo nel 74 d.C. cadrà l'ultimo baluardo, la fortezza di Masada, dopo Solo la Legge rimane l'unico punto di riferimento per i giudei, che hanno perduto anche il tempio; sarà proprio la fede e l'osservanza della Legge uno degli elementi più importanti per la sopravvivenza del giudaismo. #### [Dalla caduta di Gerusalemme alla seconda rivolta](%5Cl) [giudaica (132-135 d.C.)](#_bookmark66) Il quadro politico della Palestina, al termine della rivolta, è molto chiaro: tutta la regione è sotto stretto controllo militare romano e, come segno dell'autorità imperiale, l'imposta che ogni israelita pagava annualmente per il tempio viene riscossa come contributo per il tempio di Giove Capitolino, a Roma, un vero insulto per ogni pio giudeo. I romani non vollero tuttavia distruggere il giudaismo, limitandosi alle misure necessarie alla soppressione di ogni tentativo di rivolta. La fede giudaica, anche nel resto dell'impero, fu lasciata sussistere come religio licita, religione lecita, nella speranza che potesse servire da elemento di aggregazione e pacificazione almeno per le parti più moderate del popolo. In questi anni i farisei ne divengono le guide spirituali e la vita religiosa dei giudei, una volta distrutto il tempio ed eliminata la possibilità di offrire sacrifici, viene interamente centrata sullo studio e l'osservanza della Tôrah. L'occasione di una nuova ribellione giunse infine anche in Giudea: probabilmente del 130 d.C. è la decisione dell'imperatore Adriano (117-138) di trasformare Gerusalemme in una città romana, costruendovi un tempio dedicato a Giove Capitolino. Capo carismatico di questa nuova rivolta, che come intensità non ha niente da invidiare alla prima, fu un certo Simone, che rabbi Aqiba, uno dei maestri più prestigiosi di Israele, soprannominò Bar Kokhba, in aramaico «figlio della stella», in riferimento al testo di Nm 24,17 («una stella si leva da Giacobbe\...»); si tratta di un personaggio che molti considerarono realmente come il Messia. Sono giunti sino a noi frammenti di lettere scritte da Simone e monete con la sua effige e l'iscrizione «anno della liberazione di Gerusalemme» oppure «anno I della liberazione di Ge