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Prof.ssa Dovizio Melania

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farmacologia farmacocinetica farmacodinamica medicina

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Le note di lezione forniscono un'introduzione alla farmacologia generale e discutono gli effetti dei farmaci sull'organismo. Sono compresi concetti come la farmacoeconomia, farmacogenetica, farmacogenomica e variabilità individuale nella risposta ai farmaci.

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Materia: Docente: Data: Farmacologia Prof.ssa Dovizio Melania 09/10/2024 INTRODUZIONE ALLA FARMACOLOGIA Introduzione da parte della prof.ssa sui concetti di farmacologia generale, in preparazione alla farmacologi...

Materia: Docente: Data: Farmacologia Prof.ssa Dovizio Melania 09/10/2024 INTRODUZIONE ALLA FARMACOLOGIA Introduzione da parte della prof.ssa sui concetti di farmacologia generale, in preparazione alla farmacologia specifica, in programma successivamente. Che cos’è la farmacologia? La farmacologia è quella disciplina che studia gli effetti dei farmaci, ma anche quelle che sono le interazioni tra i farmaci e l’organismo. È uno studio che viene condotto in simbiosi con altre discipline (fisiologia, patologia, biochimica), in quanto noi abbiamo un farmaco con proprietà chimico-fisiche, che va ad interagire con recettori e sistemi del nostro organismo, sia in situazioni fisiologiche che patologiche. È una materia che al suo interno racchiude cenni di biologia molecolare, cellulare, epidemiologia, economia, ma anche genetica e genomica, e che quindi si sviluppa in diverse branche specifiche, in modo da rendere più completo lo studio della farmacologia, ad esempio: -Farmacoeconomia: studia e analizza sia gli effetti dei farmaci dal punto di vista costi/benefici per gli individui, sia la relazione domanda/offerta e ne modula ovviamente il mercato. Per esempio, se un farmaco molto costoso ha effetti positivi sui pazienti e dà un outcome positivo, allora verrà mantenuto sul mercato e lo stato cercherà di creare agevolazioni economiche, diversamente, verrà ritirato o modificato. -Farmacogenetica: analizza la variabilità della risposta di un individuo ad un farmaco, in base a fattori genetici ereditari, individuali o di popolazione. Nel caso dei generici di popolazione, ad esempio, vengono presi in studio fattori come età e sesso, mentre negli individuali, i polimorfismi. -Farmacogenomica: è la branca della farmacologia che determina e analizza il genoma e i suoi prodotti per poter coordinare queste informazioni con la risposta al farmaco. Il fine è quello di predire le differenze di risposta ai farmaci tra gli individui, identificare nuovi bersagli terapeutici, di scoprire e sviluppare farmaci o studiare la risposta ad essi (imparare bene queste definizioni perché sono domanda d’esame, ne ho riportate anche alcune non citate dalla Dovizio, ma presenti nelle spiegazioni della ballerini negli anni scorsi). VARIABILITÀ INDIVIDUALE NELLE RISPOSTE AI FARMACI Bisogna anche tener conto del fatto che la farmacologia è una scienza che agisce ed interagisce con l’individuo, infatti un farmaco può avere effetti diversi in base alle persone con cui interagisce, perché ci saranno sicuramente delle condizioni diverse che moduleranno la risposta individuale al farmaco. Alcune variabili possono essere: -la fisiologia e i fattori genetici generici dell’individuo (sesso, età, peso corporeo); -patologie eventualmente presenti (malattie o disfunzioni dell’organismo, che compromettono l’effetto del farmaco); -fattori ambientali (abitudini: fumo, alcool, dieta squilibrata); -fattori genetici individuali (polimorfismi e mutazioni nel DNA). È proprio a causa di questa forte variabilità individuale nella risposta ai farmaci che si possono riscontrare degli effetti collaterali indesiderati in alcuni individui. Questi sono effetti che possono andare a ridurre l’efficacia stessa del farmaco e/o causare anche danni all’individuo stesso. Ovviamente l’obbiettivo della farmacologia è proprio quello di ridurre al minimo questi casi e di rendere massima la probabilità di non presentare effetti collaterali e di conseguenza aumentare anche l’efficacia dei farmaci. *Molti farmaci mostrano un effetto diverso dal normale, eventualmente anche letale, se combinati con agenti esterni. (Le benzodiazepine, per esempio, difficilmente inducono la morte del paziente, anche se prese ad alti dosaggi. Quando queste vengono combinante con l’alcool, però, possono avere un effetto letale: ciò avviene perché entrambi i fattori (benzodiazepine ed alcool) sono depressori del SNC). Alcuni cibi, invece, possono ridurre la biodisponibilità di un farmaco. Per biodisponibilità si intende la quantità di principio attivo che raggiunge immodificato il circolo sistemico. È un parametro che viene espresso in percentuale.* [parte tra asterischi aggiunta dalle sbobine vecchie perché la biodisponibilità è indicata come domanda d’esame]. [EXCURSUS DELLA PROF: è proprio per questo motivo che è molto importante il percorso di approvazione dei farmaci, in cui soprattutto nelle ultime 3 fasi dei trial, vengono testati sull’uomo per valutarne effetti positivi e negativi. È vero però che durante le fasi di sperimentazione e approvazione, i trial vengono condotti su un campione limitato, motivo per cui il rischio di generare effetti collaterali non potrà mai essere zero, perché una volta messi in commercio interagiranno con un bacino estremamente ampio e pieno di variabili, la popolazione intera]. È proprio quando questi farmaci entrano in commercio e quindi potenzialmente in contatto con tutta la popolazione che entra in gioco un’altra branca della farmacologia, ovvero: -Farmacovigilanza: garantisce la sicurezza dei farmaci ed assicura, per tutti i medicinali in commercio, un rapporto beneficio/rischio favorevole per la popolazione. La farmacologia, come detto prima, non si limita a studiare solo gli effetti dei farmaci, ma approfondisce anche i meccanismi con cui questi interagiscono con l’organismo umano. È grazie a questa svolta che si è capito che i vari farmaci vanno a legarsi ai così detti bersagli farmacologici all’interno dell’organismo, fino a stabilire il dogma fondamentale della farmacologia, ovvero che per poter provocare una risposta farmacologica, una volta raggiunti i loro target, le molecole di un dato farmaco devono influenzare chimicamente uno o più componenti cellulari. a)P. Ehrlich scopre l’esistenza dei bersagli farmacologici I cosiddetti bersagli farmacologici*, normalmente, sono presenti fisiologicamente all’interno dell’organismo umano e sono elementi di natura proteica come recettori, enzimi, trasportatori o canali ionici. Bisogna però tener conto che tutti i farmaci hanno una determinata specificità verso uno o più bersagli specifici e viceversa, ma in nessun modo esiste una specificità assoluta. È anche per questo motivo che si vengono a creare i già menzionati effetti collaterali, in quanto un farmaco potrebbe non raggiungere specificatamente il suo recettore e causare effetti avversi, e sarà definito off-target. Ci sono poi anche delle eccezioni, ovvero farmaci che vengono definiti tali, ma non agiscono con l’interazione recettoriale, ad esempio alcuni anti-tumorali che legano direttamente il DNA o i bifosfonati, utilizzati per il trattamento dell’osteoporosi, si legano ai sali di calcio nella matrice dell’osso rendendola tossica agli osteoclasti. IL FARMACO: CHE COS’È E LE CARATTERISTICHE Un farmaco, per definizione, è una qualsiasi “sostanza capace di provocare in un organismo modificazioni funzionali mediante un’azione chimica o fisica”. Ovviamente, per essere un farmaco ottimale, deve avere delle determinate caratteristiche: -deve essere efficace, ovvero dovrà essere in grado di modificare delle funzioni fisiologiche e degli stati patologici per agire; -deve apportare un beneficio al paziente, quindi avere un rapporto favorevole all’efficacia terapeutica, a discapito degli effetti indesiderati. Il farmaco è costituito da due componenti: -Principio attivo: è la componente principale; la sostanza responsabile dell’effetto terapeutico. -Eccipienti: sostanze inattive che vengono aggiunte alla formulazione del prodotto, con la funzione di facilitare l’assunzione del principio attivo da parte del paziente. Possono anche avere funzione di: proteggere il principio attivo dagli agenti esterni che potrebbero danneggiarlo (caldo, freddo, ecc.); aumentare il volume del farmaco, in quanto molto spesso il principio attivo è in dosi esigue (1/2 mg), motivo per cui sarebbe difficile da somministrare; avere un’azione stabilizzante, in quanto evita la sedimentazione del principio attivo, ad esempio; facilitare l’assorbimento del principio attivo; rendere più piacevole il sapore del farmaco e modificarne il colore. Normalmente i farmaci hanno un nome chimico (indica il principio attivo e deve essere sempre presente) e poi un nome generico (riconosciuto a livello internazionale) o comune (indica la specialità o marca del medicinale). Inoltre, i farmaci si possono dividere anche secondo il tipo di azione farmacologica in: - Sintomatici: se agiscono sui sintomi della patologia (cortisonici o antinfluenzali), riducono edema, infiammazione e dolore; - Curativi o Causali: se vanno a curare o risolvere una situazione patologica (antibiotici); - Patogenetici: agiscono interferendo sui meccanismi della malattia (ipertensione); - Sostitutivi: vanno a sostituire una sostanza endogena persa in una situazione patologica (insulina nel diabete). Ancora, si possono classificare in base alla sede d’azione del farmaco: - Locale: si distribuisce solo nella zona di somministrazione (es. anestetico locale); - Regionale: agisce su un’intera regione, grazie alle connessioni nervose o vascolari con la zona di somministrazione; - Generale o Sistemico: il farmaco si distribuisce su tutto l’organismo ed entra nel circolo sistemico, avendo effetto su tutto l’organismo (es. antiipertensivi). Di contro, questo genere di azione è quello che va più incontro ad eventi avversi, per via della enorme variabilità. Con la crescita delle conoscenze scientifiche, e l’avvento di nuove tecnologie e tecniche del DNA ricombinante, si è giunti ad un’ulteriore distinzione dei farmaci in: farmaci tradizionali: sono i tipi di farmaci più semplici, costituiti da piccole molecole legate tra loro con una struttura semplice, con un’azione farmacologica che sia funzione delle loro strutture. Lo sviluppo dei farmaci tradizionali richiede che vengano identificate nuove identità chimiche. Essi vengono prodotti con molecole o reagenti chimici standard, a partire da reazioni note della chimica organica; farmaci biologici: sono farmaci il cui principio attivo è una molecola (di solito una proteina) naturalmente prodotta da un organismo vivente; farmaci biotecnologici: sono quelli che vengono estrapolati da una sorgente biologica attraverso le tecniche del DNA ricombinante (insulina). Il problema dei farmaci biotecnologici è che essendo costituiti principalmente da macromolecole, hanno bisogno di somministrazioni diverse, molto spesso endovenose, e soprattutto hanno anche un’emivita molto più breve degli altri farmaci, per via delle proteasi all’interno del del plasma che possono degradarle facilmente. (parte aggiunta dalle vecchie perché parla solo dei biotecnologici ed era totalmente fuori contesto). INNOVAZIONI FARMACOLOGICHE MODERNE Con lo sviluppo delle nuove tecnologie, si sono anche iniziati ad utilizzare i miRNA nello sviluppo di alcuni farmaci. Infatti, essi sono regolatori della trascrizione genica e quindi possono andare a risolvere la produzione di proteine anomale (ad esempio nelle malattie genetiche). Anche l’utilizzo degli anticorpi monoclonali è una scoperta all’avanguardia nella farmacologia; essi sono utilizzati nei tumori o nelle malattie reumatiche, perché vanno a legare le citochine infiammatorie. Ovviamente, sono soprattutto questi farmaci innovativi a dover rispettare rigorosamente tutte le fasi di approvazione del farmaco (figura sotto). EFFETTO PLACEBO E NOCEBO Ad influenzare la risposta di un farmaco sull’individuo non sono solo fattori strettamente legati al farmaco e alla sua azione, ma anche fattori legati all’individuo, come la psicologia e/o il contesto sociale. Infatti elementi come la predisposizione o la paura/diffidenza dell’individuo, l’atteggiamento di chi somministra il farmaco, la composizione stessa del farmaco, come il colore, la forma, il sapore e la consistenza, possono influenzare positivamente o negativamente l’effetto terapeutico. Si parla di effetto placebo quando questi contesti sociali e la psicologia migliorano l’efficacia del farmaco, mentre di effetto nocebo quando la peggiorano. In alcuni casi, come ad esempio in alcuni trial clinici, viene utilizzato un placebo (sostanza farmacologicamente inerte), molto spesso in associazione alla somministrazione a un gruppo parallelo di persone di un farmaco vero e proprio (studi in cieco e doppio cieco), in modo da studiare eventuali effetti psicologici del placebo. FARMACOLOGIA GENERALE: FARMACODINAMICA E FARMACOCINETICA La farmacologia generale si divide in due grandi branche: -Farmacocinetica: [quello che l’organismo fa al farmaco] è la branca che descrive gli eventi a cui è sottoposto un farmaco quando viene a contatto con l’organismo. La conoscenza di questi eventi, dal punto di vista quantitativo, permette di adattare il dosaggio di un farmaco al singolo individuo, limitando gli errori in eccesso (effetto tossico) o in difetto (inefficacia). -Farmacodinamica: [quello che il farmaco fa all’organismo] è la branca che studia i meccanismi d’azione dei farmaci. Condiziona la selettività degli effetti dei farmaci. b)schematizzazione ambiti di interesse FARMACODINAMICA La farmacodinamica, per definizione, è lo studio approfondito degli effetti biochimici e fisiologici dei farmaci e dei loro meccanismi di azione, in modo da stabilire un corretto ed efficace uso terapeutico. RECETTORI Come già detto in precedenza, i farmaci hanno un target farmacologico con cui devono interagire per poter essere efficaci e questi vengono più comunemente detti recettori* (vedi in precedenza). Essi possono essere classificati in diversi modi: -Recettori di membrana: trasducono il segnale portato da mediatori idrofilici che passano difficilmente attraverso le membrane cellulari, generando modificazioni delle concentrazioni ioniche intracellulari o attraverso la generazione di secondi messaggeri o stimolando la formazione di macrocomplessi molecolari biologicamente attivi. Questi possiamo a loro volta distinguerli in: recettori ionotropici: sono dei veri e propri recettori-canale, in quanto presentano un poro centrale, che agisce da canale ionico, e si apre una volta avvenuto il legame con il ligando; recettori metabotropici: sono recettori trans membrana a 7 eliche, che si attivano una volta avvenuto il legame con il ligando, che a sua volta attiva una proteina G (fatta da 3 subunità α, β, γ) e una volta attivata, innesca degli enzimi a valle che rilasciano i mediatori finali che amplificano la risposta e la trasduzione; altri tipi di recettori: integrine, citochine, TNF, toll-like, ecc. -Recettori intracellulari (cortisonici): trasducono il segnale portato da ormoni o da altri mediatori lipofilici che diffondono facilmente attraverso le membrane cellulari. Sono fattori di trascrizione che, interagendo con sequenze specifiche di DNA, inducono modificazioni dell’espressione genica e quindi, della composizione proteica della cellula. SISTEMI DI TRASDUZIONE DEI RECETTORI Per quanto riguarda il meccanismo d’azione dei recettori metabotropici, una volta avvenuta l’interazione recettore-proteina G, vengono attivati degli effettori enzimatici specifici a valle del recettore, responsabili dell’apertura dei canali calcio, che completano la trasduzione. Nello specifico, gli effettori enzimatici portano alla formazione nel citoplasma di sostanze biologicamente attive, responsabili di questa attivazione a catena [(esempio) Adenilato ciclasi (enzima a valle) —> aumenta il rilascio di AMP ciclico (cAMP) (secondo messaggero) —> che porta all’attivazione della Fosfolipasi C (enzima) —> effetto finale di fosforilazione dei canali calcio (segnale di attivazione cellulare)]. Nel caso dei recettori ionotropici, invece, il discorso è più semplice, perché come detto, sono recettori che agiscono essi stessi da canale. Vanno a modificare le concentrazioni di alcuni ioni (Ca, K, Na, etc), determinando l’apertura o la chiusura, quindi la trasduzione o meno del segnale. TEMPO DI RISPOSTA DI UN FARMACO IN BASE AL RECETTORE La rapidità o la lentezza di risposta di un farmaco dipende da numerose variabili, ma per quanto riguarda quelle strettamente connesse alla farmacodinamica, questa velocità può variare in base al tipo di recettore con cui interagiscono i farmaci. Quest’aspetto è molto importante, perché già solo conoscendo il tipo di interazione recettoriale, si possono prevedere i tempi di risposta farmacologica dei vari farmaci. 1) recettori ionotropici: avendo un meccanismo molto semplice, come già detto prima, in cui la cellula si depolarizza o ripolarizza in base alle concentrazioni ioniche, il tempo di risposta è molto veloce (in termini di ms). [Risposta farmacologica: molto rapida, dopo millisecondi]; 2) recettori metabotropici: hanno un meccanismo più complesso, già spiegato anch’esso, con l’intervento dei secondi messaggeri, che però mantiene un tempo di risposta ancora accettabile, ma più lento dei recettori ionotropici (in termini di secondi). [Risposta farmacologica: leggermente meno veloce, dopo secondi]; 3) recettori accoppiati a chinasi: sono particolari recettori , che una volta attivati hanno la capacità di fosforilare direttamente delle proteine a valle, attivandole a loro volta e andando a regolare la trascrizione genica e l’espressione di queste proteine. Il problema è che, la risposta farmacologica, è data dall’espressione di queste proteine e non direttamente dal momento in cui avviene la fosforilazione, motivo per cui, per avere una risposta, bisognerà aspettare molto più tempo (in termini di ore). [Risposta farmacologica: molto più lenta, dopo ore]; 4) recettori nucleari: hanno un meccanismo molto simile al precedente, con la differenza che questi sono intracellulari, nel nucleo. Infatti, sono dei recettori in grado di bloccare la trascrizione genica e la sintesi proteica, modificando le concentrazioni di determinate proteine. Anche questo è un farmaco ad azione lenta, perché la risposta si ha dopo molte ore. (Esempio cortisonici: spesso i cortisonici vengono somministrati in fase infiammatoria acuta o durante shock settico, ma la loro risposta avviene dopo molto tempo, quindi sicuramente ci sarà qualche altro farmaco, come un adrenergico, che tampona la situazione immediata). [Risposta farmacologica: molto più lenta, dopo ore]. INTERAZIONE FARMACO-RECETTORE Affinché il contatto tra farmaco e recettore persista per un tempo sufficiente ad indurre l'effetto biologico si devono instaurare un numero elevato di legami a bassa energia, come ad esempio legami ionici, ponti idrogeno, attrazioni di Van der Waals o interazioni idrofobiche. Inoltre, occorre che la superficie della molecola del farmaco e quella della molecola del recettore siano chimicamente complementari l'una all'altra. Questa interazione può avvenire in modo: -Reversibile: interazione di limitata durata nel tempo dovuta alla debolezza dei legami chimici tra farmaco e recettore (legami ionici). -Irreversibile: l’energia presente nel sistema biologico può essere insufficiente a determinare il distacco farmaco-recettore (legami covalenti o elevato numero di legami deboli). TEORIA DELL’OCCUPAZIONE RECETTORIALE E CONCENTRAZIONE-RISPOSTA Una volta che avviene l’interazione farmaco-recettore, si raggiunge chimicamente una situazione di equilibro, che determina quella che è l’occupazione recettoriale, quindi la saturazione del 100% del sistema recettoriale, in cui il farmaco a quella determinata concentrazione ha occupato il massimo dei siti di legame recettoriali. [Questo è spiegato idiograficamente con il seguente grafico: inizialmente aumentando la concentrazione del farmaco, aumenterà anche il numero di recettori con cui si interagisce, ma una volta arrivati alla fase di plateau, vorrà dire che si è arrivati a Bmax, in cui il 100% dei recettori sono saturi. In questo caso, avremo una Kd, ovvero una costante di dissociazione che ci definisce l’affinità di un farmaco per il suo recettore. Quindi è ottimale avere un farmaco che ha una concentrazione tale da generare una Kd che provoca una saturazione del 50% dei recettori presenti, piuttosto che uno che abbia concentrazioni che portino al Bmax e quindi ad una fase di plateau.] Lo stesso concetto è sovrapponibile nel discorso e nel grafico concentrazione-risposta, con un’unica differenza, ovvero in questo caso non avremo una Kd, ma EC50 (effective concentration 50%) come valore di riferimento per la concentrazione del farmaco. Infatti con un EC50 adeguato avremo un effetto pari al 50% dell’effetto massimo. [sono sincero questa parte l’ha spiegata in maniera molto confusa e rapida perché era alla fine, avrei aggiunto dalle vecchie che ha spiegato la ballerini, ma sti concetti erano 2 pagine intere, in cui lei partiva anche spiegando altro di farmacocinetica, quindi non aggiungo. Controlliamo se le spiega meglio dopo, altrimenti consiglio di dare almeno una lettura a quelle due/tre pagine]

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