Biochimica Clinica PDF - Indagini di Laboratorio
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Facoltà di Odontoiatria
Viviana Corsaro
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Questo documento, a cura di Viviana Corsaro, tratta l'ambito della biochimica clinica e delle indagini di laboratorio. Vengono esplorate le analisi qualitative e quantitative, i processi metabolici, e i materiali biologici coinvolti, fornendo una panoramica completa delle sue metodologie e applicazioni.
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Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno BIOCHIMICA CLINICA Le indagini di laboratorio rappresentano dei validi e utili test dal carattere qualitativo e/o quantitativo per dimostrare, diagnosticare, monitorare (per esempio in pazienti diabetici) eventuali stati di malattia...
Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno BIOCHIMICA CLINICA Le indagini di laboratorio rappresentano dei validi e utili test dal carattere qualitativo e/o quantitativo per dimostrare, diagnosticare, monitorare (per esempio in pazienti diabetici) eventuali stati di malattia o predisposizioni a stati di malattia e come tali assumono un preciso ruolo nell’ambito dell’iter diagnostico. Singoli test, o gruppi di test, possono dare informazioni prognostiche oppure essere ancora utilizzati per il monitoraggio terapeutico o per il decorso di una malattia. Soprattutto possono influenzare notevolmente un processo decisionale clinico, in quanto circa il 60-70% delle decisioni più importanti per quanto riguarda i ricoveri, le dimissioni e le terapie sono basate principalmente su risultati degli esami di laboratorio. Possiamo indagare circa i processi metabolici, ci danno indicazioni sul fluido biologico prelevato dal paziente. I processi metabolici che riscuotono un certo interesse chimico clinico sono rappresentati: - dal bilancio idro-elettrolitico e pressione osmotica, - dall’equilibrio acido base e gas del sangue, - dal metabolismo del calcio, dei fosfati e del magnesio, - dal metabolismo del ferro e degli oligoelementi, - dal metabolismo dei carboidrati, - dal metabolismo dei lipidi e delle lipoproteine, - dal metabolismo delle proteine plasmatiche, - dal metabolismo enzimatico, - dalle aminoacidopatie, - dal metabolismo dell’acido urico e delle purine, - dalla sintesi del gruppo eme e delle porfirine, - dal catabolismo del gruppo eme e della bilirubina, - dalla coagulazione e dall’emopoiesi, Per quanto riguarda invece la funzionalità di organi o di sistemi o di apparati, interessano: - le funzioni epatiche, - le funzioni cardiache, - le funzioni renali, - le funzioni dell’apparato digerente, - le funzioni pancreatiche, - le funzioni dell’unità feto-placentare, - le funzioni endocrine (tiroidea, paratiroidea, ipotalamica, ipofisaria, surrenalica) Ogni dato di laboratorio può essere soggetto ad errore. L’errore rappresenta l’atto effettivo di allontanarsi dalla realtà (scostamento), dal giusto, cioè la differenza tra il risultato di una singola determinazione di un costituente e il valore vero del costituente stesso. È importante perché il valore fisiologico si trova all’interno di un range, in cui troviamo valori di riferimento che si riferiscono ad individui sani, valori soggetti a cambiamenti. 1 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno È noto che la determinazione di un costituente biologico varia tra gli individui, al variare a seconda dell’età, del sesso, dello stato di salute. Ci riferiamo anche a valori parafisiologici come lo stato di gravidanza. Un dato componente biologico varia anche nello stesso individuo anche se eseguito con lo stesso metodo ad esempio in ore diverse della giornata ma anche se eseguito in giorni diversi. Un esame di laboratorio può essere di tipo: - qualitativo: ricerco la presenza di un determinato valore - semiquantitativo o quantitativo: misuro la quantità nell’eventualità della presenza Il semiquantitativo è una via di mezzo che mi dice di ricercare il valore con un mezzo più specifico. Può misurare svariate proprietà di certi costituenti biologici (ad es. misura di attività enzimatiche di proteine, che ci permette di verificare eventuali patologie o fenomeni come un infarto del miocardio), la morfologia di cellule (nel sangue, nelle urine, nel liquor) o di elementi figurati (batteri, cilindri, fibre). Un esame di laboratorio ancora può essere di utilità non solo per il paziente, e per il medico, ma anche per la collettività. La biochimica clinica è una scienza applicata che studia l’effetto della malattia, la studiamo perché esistono processi biologici che vengono alterati dalla malattia o farmaci che agiscono sui processi biologici degli organi, dei tessuti e dei fluidi biologici. Il paziente presenta alterazioni, servono strumenti che ci fanno capire se il paziente è in un buono stato di salute. Serve a misurare analiti solitamente fisiologici, che nella malattia diventano patologici nell’organo. Spiega alcune malattie in basi biochimiche, come la fenilchetonuria. Prendendo in esame gli analiti, serve a prevenire, diagnosticare, monitorare o curare uno stato di malattia nell’individuo, serve anche a distinguere sul piano clinico malattie che possono essere simili o malattie fisiopatologicamente diverse tra di loro. MATERIALI BIOLOGICI SU CUI EFFETTUARE ANALISI QUALITATIVE E QUANTITATIVE - Sangue (Intero, Plasma, Siero) - Urine - Feci - Saliva - Liquor - Succo Gastrico - Succo Duodenale - Sudore - Lacrime - Liquidi Biologici Speciali (Ascitico, Pleurico, Bronchiale) - Liquido Seminale - Liquido Sinoviale - Liquido Amniotico - Villi Coriali 2 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno - Biopsie - Latte Un esame di laboratorio di biochimica clinica può venire definito come il procedimento qualitativo, semi quantitativo o quantitativo inteso ad evitare la presenza o a misurare la quantità di un costituente biochimico in un materiale biologico: la presenza degli analiti che in realtà non dovrebbero esserci è importante da monitorare per evitare accumuli. Un test di laboratorio biochimico può riguardare la misura di svariate proprietà di certi costituenti biologici: misura di attività enzimatiche di proteine, proprietà leganti o recettoriali delle proteine o delle membrane. Questo deve tenere conto della variabilità biologica, molti parametri sono specifici per molte caratteristiche, come il sesso, il peso o situazioni parafisiologiche. Infine un test di laboratorio biochimico può concernere i riscontri morfologici di cellule (nel sangue, nelle urine, nel liquor, ecc.) o di altri elementi figurati (germi, cilindri, cristalli, fibre, ecc.). Un esame di laboratorio può essere: - di utilità al paziente - di utilità al medico per scopi diagnostici, prognostici, per una valutazione dello stato generale di salute, di patologie, per il follow-up, con funzione medico-legale, per attività di ricerca. TIPI DI ESAMI La maggior parte delle analisi biochimiche viene eseguita sotto forma di: - analisi singole (per problemi specifici) - profili biochimici - prove di funzionalità dinamiche o metaboliche - esami di screening - esami urgenti Prove di funzionalità: nelle prove metaboliche, capacità del soggetto che risponde ad uno stimolo esterno, lo stimolo alterato mi dà indicazione su vari tipi di malattie (prova di tolleranza al carico orale di glucosio nella diagnosi di alcune forme di diabete, clearance della creatinina esamina il sistema di filtrazione renale, possiamo misurarla in maniera esogena o endogena, pentagastrina: mucosa gastrica, ecc). Esami di screening: misura nei fluidi biologici di agenti tossici: piombo, mercurio, o di indicatori biologici di tossicità per motivi professionali: es. riduzione dell’attività colinesterasica ematica nell’assorbimento di pesticidi di natura organofosforica. Esami di urgenza: riguardanti analiti di possibile rapida modificazione nel tempo, importanti per il corretto e tempestivo trattamento per evitare danni irreversibili. PROFILI BIOCHIMICI 3 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno Il concetto di “profilo biochimico” deriva dal fatto che spesso, misurando la concentrazione di due o più sostanze tra loro correlate e valutando l’insieme dei risultati, è possibile ottenere un numero di informazioni clinicamente utili più elevato che non considerando ciascun risultato separatamente. Analizzando gli analiti singolarmente introduco una serie di variabili considerevoli. Tra i più noti profili biochimici: - il gruppo degli elettroliti come sodio, potassio, magnesio, cloro e i bicarbonati - il gruppo delle proteine come albumina, globuline - il test di funzionalità epatica come transaminasi, bilirubina, fosfatasi alcalina, fattori di coagulazione - il quadro del calcio come livelli del calcio, del fosfato Sul materiale relativo ad un unico prelievo, spesso è possibile acquisire una serie di dati utili per confermare o escludere una diagnosi preliminare. Altre volte possono emergere dai risultati del profilo indicazioni del tutto inaspettate o difficili da ottenere diversamente. Da un punto di vista descrittivo si può suddividere in 2 grandi filoni: 1- Biochimica clinica di base: che accenna alle nozioni necessarie per comprendere nelle linee essenziali il processo di produzione di un risultato di laboratorio ed approfondisce i criteri per valutare i valori ed i limiti metodologici ed interpretativi del risultato, in riferimento alla più razionale utilizzazione dello stesso per il singolo caso clinico. 2- Biochimica clinica specialistica: che si occupa dei diversi analiti considerati singolarmente o in gruppi omogenei dal punto di vista biochimico e/o fisiopatologico, ne esamina le tecniche di misura e, la collocazione nel quadro clinico generale. La misurazione dipende dalle unità di misura, sulla quale influisce la variabilità pre-analitica, biologica, analitica che riguarda la misurazione, le conoscenze generali utili per l’inquadramento del risultato di laboratorio. Unità di misura Il “Sistema Internazionale di Unità” (SI) è costituito da: - 7 unità fondamentali - 2 unità supplementari Le grandezze derivate si ottengono dal prodotto o dal quoziente di una o più grandezze fondamentali o supplementari. Sono fondamentali i multipli e sottomultipli. Variabilità preanalitica: è data dall’insieme delle alterazioni qualitative e quantitative che possono alterare il campione biologico prima che si attui la misura. Può portare all’alterazione di altri analiti. Variabilità biologica dei materiali: che vengono sottoposti ad analisi, è data dalle seguenti cause: - Variabilità fisiologica endogena, 4 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno - Variabilità fisiologica esogena come il sesso, la razza, l’alimentazione, - Variabilità parafisiologica, come la gravidanza, - Variabilità patologica, - Variabilità farmacologica, TECNICHE ANALITICHE GENERALI E STRUMENTAZIONE È indispensabile la conoscenza sintetica dei principi di natura chimica, fisica o chimico-fisica su cui sono basate le tecniche di comune impiego in laboratorio; le caratteristiche generali (sensibilità, specificità, precisione, accuratezza) e quelle operative. Le più comuni in laboratorio: - Tecnica di pesata - Tecnica di separazione (filtrazione, evaporazione, distillazione, estrazione con solventi, cromatografia) - Fotometria di assorbimento (visibile, ultravioletto) - Torbidimetria, nefelometria - Fotometria di riflettanza, di assorbimento atomico, di emissione - Fluorimetria - Luminescenza - Spettrometria di massa - Risonanza magnetica di spin - Elettroforesi, Isoelettrofocalizzazione, Misure della radioattività - Tecniche elettrochimiche (pH-metria, elettrodi ionoselettivi, voltammetria anodica, cronopotenziometria, coulombometria) - Tecniche immunochimiche normali (immunodiffusione radiale, immunotorbidimetria, immunonefelometria) - Tecniche immunochimiche con antigene marcato, con difetto di anticorpo e con separazione: RIA, EIA, FIA, LIA, ecc. - Tecniche immunochimiche con marcatore, con difetto di anticorpo e senza separazione: EMIT - Tecniche immunochimiche con anticorpi marcati e con eccesso di anticorpi: IRMA, IEMA, EFMA, ecc. - Tecniche di biologia molecolare (Northern blot, Southern blot, Western blot, sequenziamento, uso enzimi di restrizione, PCR qualitativa e quantitativa, ecc) - Metodo di conteggio di cellule (Citofluorimetro) - Uso degli analizzatori automatici a flusso, discontinui e centrifughi, uso dell’elaboratore Serve anche una corretta preparazione del paziente, è importante conoscere i vari processi per capire gli stati patologici delle malattie. Questo perché possono esserci interferenze, di vari tipi: - Metabolico - Fisico: quando per esempio lavoriamo con cose fotosensibili come la bilirubina - Chimico: a livello analitico quando analizzo analiti e riproduco l’ambiente biologico 5 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno Quando effettuiamo un prelievo, esso contiene analiti contenuti nel soggetto a 37 gradi, nella provetta perdiamo questa temperatura e la presenza di anticoagulanti può interferire con gli analiti che cerco, ci sono diversi tipi di anticoagulante per questo. Anche i farmaci portano ad un’alterazione dei metaboliti e degli analiti, portandoci ad avere risultati falsamente negativi o positivi, alterando il significato diagnostico dell’esame. I farmaci possono interferire attraverso meccanismi di diversa natura: - per interazione del farmaco con l’analita es eparina che compete con l’albumina per il colorante (verde di bromocresolo) impiegato per la misura dell’albumina - per interazione del farmaco con i reagenti es L dopa, metildopa, isoniazide, sul dosaggio dell’acido urico o acido ascorbico sul dosaggio del glucosio - per interazione del farmaco nella tecnica di misura es caso dello spironolattone nel dosaggio fluorimetrico del cortisolo la BSF vira con il reattivo del biureto ( usato per l’analisi delle proteine totali dando un errore positivo. I farmaci che producono formaldeide (disinfettanti urinari) interferiscono positivamente nei metodi di determinazione delle catecolamine. Gli alimenti possono alterare determinati valori, per esempio la riboflavina nelle carote. EFFETTI DELLA DIETA E DEL DIGIUNO Digiuno: il digiuno è necessario per non alterare eccessivamente la lipemia, cioè la presenza di acidi grasso a livello del sangue, dosata con il metodo di Drabkin. Apprezzabile nel plasma, quando viene centrifugato risulta bianco e lattescente invece del colore giallo paglierino. La lipemia influisce su qualsiasi tipo di misurazione, soprattutto sulla conta dell’emoglobina. Può bastare digiuno per un periodo di 6 8 ore; Dieta: l’aumento della glicemia nella fase post prandiale costituisce la base per la prova di tolleranza al glucosio. Vediamo come la dieta può influire: - Un’alimentazione ricca di proteine, non modifica l’azotemia nei soggetti sani, ma può determinare un aumento in individui con disfunzione epatica e renale, anche modesta; - Analogamente per la ricerca di sangue occulto nelle feci il paziente deve mantenere per 3 giorni una dieta priva di carne, pesce, legumi, o altri alimenti contenenti ferro o emoglobina; - L’assunzione di alimenti contenenti tiocianati (o composti simili al tiouracile) tende a far diminuire gli ormoni tiroidei; - Le banane e gli ananas freschi contengono notevoli quantità di serotonina ed aumentano il tasso di ac 5 idrossiindolacetico escreto con le urine al punto da far sospettare erroneamente diagnosi di tumore carcinoide; - L’ingestione di agrumi, caffè, carote, spinaci può interferire con la determinazione urinaria dell’aldosterone, soprattutto nei soggetti ipertesi. Esempi di sostanze e cibi che influiscono maggiormente su di essi Acido 5 OH Indolacetico: per almeno 3 giorni seguire una dieta priva di frutta secca, banane, pomodori, melanzane, prugne, ananas, avocado, kiwi, more, caffè, thè, cioccolato 6 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno Acido vanilmandelico, catecolamine totali: per almeno 3 giorni seguire una dieta priva di caffè, tè, cioccolato, frutta secca, banane, avocado, kiwi Idrossiprolina: per almeno 3 giorni seguire una dieta priva di collagene (carne e derivati, pesce, gelatina) Aldosterone: nelle 3 settimane precedenti seguire una dieta a normale contenuto di sodio EFFETTI DELLA POSTURA C’è differenza tra il paziente ambulatoriale, in posizione ortostatica (eretta) e il paziente ospedaliero, in posizione clinostatica (distesa): il volume interstiziale, per esempio, può cambiare tra le varie posizioni assunte. Nelle donne in gravidanza l’escrezione di estrogeni è maggiore in posizione clinostatica parallelamente alla modificazione del flusso plasmatico renale; al contrario in posizione ortostatica si ha un netto aumento nell’escrezione della noradrenalina. L’immobilizzazione completa determina un processo di demineralizzazione del tessuto scheletrico con aumento dell’escrezione urinaria di calcio, fosforo e idrossiprolina, per esempio quando si rompe un arto e si deve affrontare un percorso di fisioterapia. Riposo fisico: l’attività fisica può influenzare alcuni componenti sierici, il livello di alcune attività enzimatiche, maggiormente quelle a localizzazione nella muscolatura scheletrica come la CPK, la aspartato ammino transferasi, la lattato deidrogenasi tendono ad aumentare. La concentrazione di ammoniaca, acido lattico e piruvico tende ad aumentare dopo un esercizio fisico. Se l’esercizio fisico è prolungato aumenta anche l’escrezione delle catecolamine urinarie. Altre condizioni: nei pazienti uremici sono presenti nel siero una varietà di metaboliti che interferiscono in diverse determinazioni, per esempio la misura della glicemia e azotemia e di alcune attività enzimatiche, come le transaminasi. È un metabolismo presente in tutte le cellule che quindi saranno tutte coinvolte. I traumi chirurgici, la cardioconversione e le contrazioni uterine in fase di parto determinano un aumento in circolo degli enzimi della muscolatura, come la CPK e l’ aspartato transaminasi. Ritmi cronobiologici: le variazioni ritmiche nel tempo di alcuni costituenti biochimici presentano periodi differenti che possono essere di tipo ultradiano (a durata più breve delle 24 ore) o infradiano (a durata più lunga delle 24 ore. 7 giorni: settani, un mese: mensili, un anno: annuali). Per esempio, i bambini dormono moltissimo perché durante il sonno producono moltissimo ormone della crescita. EMOLISI Causa principale di inadeguatezza qualitativa del prelievo del sangue. Il fenomeno emolitico determina il passaggio nel siero o nel plasma dell’ emoglobina e di tutte le sue sostanze contenute all'interno degli eritrociti. Non è possibile analizzare globuli rossi inadeguati, non è possibile fare l’emocromo. Macroscopicamente si vede nella provetta con il silicato che abbiamo sfilacciamenti nel plasma e un colore rosato molto leggero. 7 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno Possiamo trovare anche enzimi del metabolismo come le arginasi. Le cause più frequenti: - Osmotica o chimica: dovuta alla presenza di acqua, alcool solventi o disinfettanti, tensioattivi o altre sostanze chimiche; - Meccanica: una volta molto frequente perché si usavano siringhe invece delle farfalle. Si fa il prelievo e si deve versare il sangue nella provetta, non essendoci l’anticoagulante, una volta che usciva dalla siringa andava incontro a coagulazione a causa dell’immediato contatto con l’ossigeno. Si trasferisce il sangue dalla siringa di 10 ml a provette di volume minore. L’infermiere inserisce la siringa nella provetta a pressione e preme con molta forza, cosa che porta gli elementi a rompersi. Si è ovviato al problema tramite la farfalla, si infila la provetta sotto pressione nella camicia e il sangue va direttamente nella provetta, che arrivata a 3 ml non si riempie più; - Fisica: per esempio per la temperatura, il congelamento può portare a lisi; - Da cause biologiche: come nel deficit da G-6-PD o presenza di emolisine che possono aumentare la fragilità osmotica eritrocitaria. CLASSIFICAZIONE PRELIEVI - Di sangue venoso: si effettua da una vena cubitale, per le analisi di routine, una volta inserita la siringa si lascia defluire all’interno; - Capillare: dal polpastrello o dal lobo o dal tallone nello screening neonatale, il sangue deve defluire da solo senza spremere; - Arterioso: dall’arteria radiale o brachiale, molto complicato, si fa nei pazienti ospedalizzati. A causa dell’alta pressione, si rischia di trombizzare l’arteria. Una volta concluso si deve premere per almeno 5 min. si effettua per lo studio dei parametri dell’equilibrio acido-base. TIPI DI CAMPIONE Sangue, plasma, siero. Il sangue prelevato può essere trattato con o senza anticoagulanti. Senza otteniamo il siero, che non contiene fibrinogeno. L’anticoagulante all’interno della provetta è presente in una percentuale ben definita, per non danneggiare il campione. È importante la natura dell’anticoagulante, bisogna evitare agitazioni troppo energetiche per evitare emolisi meccanica. Tra gli anticoagulanti troviamo: - Eparina - Ossalato - EDTA - Citrato - Fluoruro - Iodoacetato - Soluzione ACD (acido citrico, citrato trisodico, destrosio) GLI ANTICOAGULANTI 8 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno La colorazione cambia in base al pH. Servono a non fare coagulare il sangue. Il processo si divide in: - intrinseco, avviene appena il sangue esce dal corpo, inizia già la fase coagulativa; - estrinseco, avviene all’interno dei vasi, dove è sempre in azione perché fisiologicamente si vengono a creare piccole lesioni a livello del vaso che vengono subito riparate in maniera molto veloce. Che converge in una via comune, per cui bisogna evitare che il processo vada avanti. I fattori della coagulazione sono sintetizzati maggiormente dal fegato e affinché avvenga serve un fattore sempre presente, che lega lo ione calcio, che una volta sottratto non permette la continuazione del processo. L’anticoagulante ha la capacità di sequestrare il calcio, ma la maggior parte agisce con azione antitrombinica, cioè blocca la formazione della trombina non facendo formare la fibrina. Nella provetta ogni tappo rappresenta un anticoagulante. Eparina: anticoagulante naturale, presente a bassi livelli di concentrazione nel sangue e nei tessuti. E’ un glicosaminoglicano altamente solfatato (mucoitin-polifosfato) e si trova in commercio come sale di iodio, di potassio, di ammonio e di litio. Agisce con attività antitrombinica bloccando la formazione di trombina e fibrinogeno, non agisce sullo ione calcio. Si usa alla concentrazione di 10-20 Unità Internazionali per ml di sangue (circa 0,2 mg/ml). È molto costoso prelevarla o comprarla. Tappo verde. Ossalato: (sale di sodio, potassio, ammonio e litio): ha effetto anticoagulante attraverso la formazione di complessi, poco solubili, con gli ioni di calcio che viene intrappolato. Il sale più usato è l’ossalato di potassio (K2C2O4. H2O) alla concentrazione di 1-2 mg/ml, concentrazioni maggiori di 3 mg possono dare emolisi. Si usa in soluzione acquosa al 20% (0,01 per ml di sangue) in provette apposite poste poi ad essiccare in stufa a temperatura non superiore a 150 °C per evitare la trasformazione in carbonato. L’ossalato di sodio 0,1 M (Na2C2O4 g 1,34 %) viene usato per ricerche emocoagulative nel rapporto di diluizione 1:10. Tappo grigio. EDTA: acido etilendiamminotetracetico sale bi o tripotassico oppure bisodico, è un agente chelante che agisce per complessazione e conseguente rimozione degli ioni calcio. E’ un anticoagulante, adatto particolarmente per gli esami ematologici, in particolare l’emocromo, in quanto conserva inalterate le componenti cellulari. Si usano i sali di potassio per la loro maggiore solubilità, la soluzione al 10% viene distribuita in volumi adatti nelle provette e lasciata essiccare a temperatura ambiente. Si usa ad una concentrazione di 1,5-2 mg/ml di sangue.Tappo viola. Ci sono dei tempi stabiliti per eseguire l’esame con questo anticoagulante: - entro 1 ora: striscio di sangue - entro 6 ore: VES per conteggio piastrine - entro 24 ore: se il sangue è conservato a 4°, usato per conteggi di eritrociti e leucociti, ematocrito, emoglobina Citrato (sale sodico): ha azione complessante sugli ioni calcio, costituisce l’anticoagulante di scelta per gli studi sulla coagulazione (1:5) e per la determinazione della velocità di 9 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno eritrosedimentazione (VES) Si usa in soluzione 0,106 molare (3,13 g di Na3C6H5O7. 2H2O per 100 ml) in rapporto 1:10 con il sangue. Tappo azzurro. Fluoruro (sale di potassio per la maggiore solubilità): esplica azione competitiva con il calcio plasmatico e come tale manifesta una debole azione anticoagulante, tanto che per essere efficace si deve usare ad una concentrazione di 6-10 mg/ml (per questo motivo non si usa molto), condizioni che possono produrre emolisi e scambi osmotici di acqua fra globuli e plasma. È glicostatico, si stabilizza il sangue quando non si può analizzare subito. Tappo grigio. Iodoacetato (sale sodico): viene usato alla concentrazione di 2 mg/ml come conservante per inibire l’azione degli enzimi della glicolisi eritrocitaria. Soluzione ACD (acido citrico, citrato trisodico, destrosio): è una soluzione che viene impiegata per la conservazione del sangue a scopo trasfusionale, utilizzato nelle sacche delle banche del sangue. Ci sono limiti da rispettare per evitare pregiudizi nel fluido biologico affinché sia comunque trattabile in laboratorio, per questo motivo indichiamo le giuste concentrazioni di anticoagulante da utilizzare e il rispettivo rapporto di sangue da prelevare. Ogni anticoagulante serve per cercare determinati analiti, ma comunque può interferire con altri analiti: esiste la tipologia di provetta per il quale è indicato, e i test con cui interferisce. 10 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno Gli altri fluidi, in base a cosa devo fare, possono essere contenuti comunque in questo tipo di provette (l’utilizzo quindi non è strettamente legato al prelievo del sangue). Il liquor cefalorachidiano (100-150 ml) viene prelevato tramite arachicentesi (tra la 4° e la 5° vertebra, tra i bambini anche tra 3° e 4°, si sceglie questo punto perché troviamo la fine del midollo e siamo sicuri di non ledere nessuna struttura). È un esame molto difficile. Anche la postura può influire, si mette o in posizione fetale o seduto per far aumentare la pressione. L’ago per il prelievo è lungo e del calibro di 2-3 millimetri. Per un esame standard chimico e citologico del liquor sono sufficienti campioni di 3-4 ml. Inserito l’ago, si lascia defluire il liquor, si raccolgono dalle 4 alle 5 provette. In questo caso il primo liquor che fuoriesce è pesantemente contaminato da sangue, mentre il liquor normale è incolore e limpido, aspetto di “acqua di roccia”, se il colore diventa rosso man mano sappiamo di essere davanti ad una emorragia sub-aracnoidea quindi l’esame può avere valenza diagnostica. Il campione deve essere consegnato entro un’ora in laboratorio e deve essere a temperatura ambiente. Sul liquor effettuiamo esame: - macroscopico, fatto ad occhio nudo; - microscopico; - fisico e chimico, fatto in automazione È un ultrafiltrato dal sangue. Serve a differenziare le malattie come le meningiti di tipo batterico da quelle virali. 11 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno Il liquido sinoviale è un ultrafiltrato plasmatico contenente ialuproteine, prodotto dalle cellule che rivestono internamente la membrana sinoviale delle grosse articolazioni. Ha funzione lubrificante e nutritiva nei confronti delle cartilagini che rivestono i capi articolari delle ossa. In presenza di traumi o infezioni viene prodotto in eccesso, viene svuotato con la siringa per liberare l’articolazione dando sollievo al paziente. La quantità di liquido sinoviale da prelevare varia in funzione dell’entità del versamento, del tipo di indagini da eseguire, e del vantaggio terapeutico e sintomatologico che si vuole ottenere mediante lo svuotamento parziale o totale del versamento. Il prelievo viene fatto mediante aspirazione con siringa. Per lo studio citologico si usa come anticoagulante l’EDTA alla stessa concentrazione impiegata per il sangue (1,5-2 mg/ml), in modo da preservare le tipologie cellulari e poter fare diagnosi differenziali. Se si vogliono evidenziare cristalli di acido urico (gotta) al microscopio a luce polarizzata, il test deve essere eseguito entro poche ore dal prelievo e non deve essere conservato in frigorifero, la bassa temperatura induce la formazione artificiosa di cristalli che non sono quelli caratteristici della gotta. Per l’esame completo delle urine il campione da analizzare deve essere preferibilmente quello della prima minzione del mattino. Il recipiente di raccolta per l'urinocoltura deve essere sterile e si deve raccogliere direttamente nel recipiente la porzione intermedia del getto. Conservare il contenitore con le urine in frigorifero durante la raccolta. Usiamo contenitori diversi: - nell’adulto: classico contenitore; - nel neonato: dispositivo in plastica con una parte adesiva che si appiccica nei genitali del bambino. 12 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno Bisogna fare l’esame chimico-fisico del sedimento, già solo dall’analisi del colore possiamo indagare su eventuali patologie. L’esame chimico riguarda il pH, che per l’urina deve essere acido e avere un valore di circa 5,5 senza presenza di glucosio, che deve essere riassorbito completamente, in caso contrario si parla di diabete. Per ottenere il sedimento, l’urina viene centrifugata e si cerca la presenza di cristalli o cilindri, batteri, emazie etc. I cristalli sono residui di calcoli che si sono staccati e hanno raggiunto le urine, per questo motivo sono di aiuto nella diagnosi della natura dei calcoli renali. I cilindri sono morbidi e assumono la forma del tubulo, sono indicatori di diffuso danno renale e si formano dall’unione di proteine e cellule di sfaldamento, facilmente distinguibili dai cristalli proprio per la composizione e la forma geometrica mancante. L’odore è quello tipico dell’urea ma è un parametro ormai poco utilizzato. Il peso specifico ci dà indicazione sulla concentrazione, un peso specifico minore al valore minimo ci fa pensare ad un’ipostenuria, quindi vediamo che il paziente fa fatica a concentrare le urine. Feci: contenitore apposito che non deve essere sterile, basta che sia pulito. Si usa un cartoncino reattivo che ci dà un risultato negativo o positivo (solo della presenza) in base al colore, da bianco dovrebbe diventare blu e in base all’intensità di colore vediamo quanto sangue occulto c’è. Possiamo avere falsi positivi in base all’alimentazione, infatti è opportuno seguire una dieta specifica nei giorni precedenti l’indagine. TEST AL GUAIACO 13 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno Le tecniche tradizionali si basano sull'utilizzo del guaiaco, si applica il perossido d’idrogeno e sfruttano striscette di carta che sviluppano un colore ben definito in presenza o assenza di EME (porzione emoglobinica, contenuta nei globuli rossi). La reazione è influenzata dalle sostanze non-emoglobiniche, presenti nelle feci, con attività perossidasica (carne, vegetali -soprattutto spinaci-, acido ascorbico) = falsi positivi. Per ridurre il rischio di risultati falsi positivi è necessaria una dieta pre-test. Questo test utilizza un agente chimico che reagisce con l’attività perossidasica dell’Hb. In presenza di perossido di idrogeno si ha l’ossidazione dell’acido alfa-guaiaconico (un composto fenolico) in una struttura chinonica con sviluppo di colore blu per reazione intramolecolare. Con il microscopio, nelle feci cerchiamo parassiti come protozoi o amebe, proglottidi (prodotte dal cosiddetto verme taglierino, è la parte inferiore del suo corpo che man mano si stacca) dei platelminti. COME SI CALCOLA IL VALORE DI RIFERIMENTO È il valore (analitico o chimico) rilevato frequentemente negli individui della popolazione di riferimento con caratteristiche genetiche e ambientali molto omogenee. Rientra in determinati limiti o parametri che vanno a determinare gli intervalli di normalità, dove al di fuori risiede il valore patologico. Il risultato di laboratorio deve essere confrontato con il valore di riferimento. Le caratteristiche che influiscono sono: - genetiche: possono determinare un errore nella posizione, è un errore che non si può eliminare, per cui numerose anomalie del metabolismo possono intervenire; - fisiologiche: età, sesso, peso, ora e giorno del prelievo, modalità del prelievo, postura; - esogene: alimentazione, attività fisica o professionale, fumo, alcool, uso di contraccettivi, antiepilettici, ansiolitici, altitudine, clima. Anche nella sua produzione, deve fare i conti con altri concetti come: la sensibilità, la specificità (sia del test, sia clinica che serve a differenziare i pazienti malati da quelli sani) che servono a produrre un dato di riferimento garantito. Consideriamo anche il valore predittivo (o positivo o negativo) che dà la probabilità di presenza o meno della malattia a priori: senza ancora aver effettuato l’analisi specifica, so già se in un determinato individuo vado a riconoscere la malattia o meno, cosa che vado a dimostrare a posteriori dopo le analisi. Tra i fattori controllabili in laboratorio abbiamo: - variabilità analitica: tiene conto del metodo, dell’attrezzatura, della precisione e dell’accuratezza; - variabilità pre-analitica: tiene conto della raccolta, della conservazione e del trasporto in laboratorio; Fattori che influenzano le variazioni biologiche: - Intra-individuali: diurni, ormonali, da posizione, dieta, esercizio, stagionali 14 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno - Inter-individuali: età, sesso, razza, economici, ambientali, genetici, tipo fisico, tensione (stress), medicazione, patologia Per presentare i valori di riferimento e gli intervalli di riferimento risulta necessario un trattamento statistico dei dati. Si definisce intervallo di riferimento l’ampiezza dell’intervallo nel quale rientra il 95% dei valori del parametro (l’analita che analizzo) biochimico misurato sul gruppo campione di riferimento, eliminando il 2,5% dei valori estremi bassi ed il 2,5% dei valori estremi alti, dove ricade la patologia. Non si parla più di valore normale, il concetto di normalità è stato superato. ATTENDIBILITA’ DI UN TEST Attendibilità: svariati fattori concorrono a determinarla, tra cui: - precisione - accuratezza - sensibilità - specificità L'attendibilità dipende dalla sensibilità, specificità e accuratezza del metodo di misura perché se c’è un problema nel metodo di misura, questo deve essere cambiato. Ci accorgiamo che il metodo va bene tramite i controlli di qualità ma dipende anche dall’operatore e dall’organizzazione del laboratorio. Precisione: concordanza tra una serie di distinte misure ottenute con lo stesso metodo e stesso campione che teoricamente dovrebbe essere identico per quanto riguarda composizione e concentrazione. Dobbiamo considerare anche l’errore casuale che è inevitabile ma piccolo, anche questo tipo di errore segue la curva di Gauss, quindi diciamo che hanno una distribuzione gaussiana. Matematicamente è lo scarto quadratico medio che misura l‘entità della dispersione, anche se la precisione esprime un valore concettuale, quindi per avere un valore numerico calcoliamo l’imprecisione che ha valore numerico ed è misurata quantitativamente dal valore della deviazione standard calcolata sui risultati sperimentali di una serie di analisi (repliche) eseguite sullo stesso campione. Ripetibilità e riproducibilità: 1) ripetibilità: misura della deviazione dei risultati del valore medio ottenuta da un tecnico in un'unica serie analitica senza cambiare reattivi o apparecchi 2) riproducibilità: misura della deviazione dei risultati del valore medio, ottenuta in settimane o mesi anche da tecnici diversi usando soluzioni o reagenti diversi Accuratezza: definisce il grado di concordanza tra il valore medio trovato e il valore vero o conosciuto. L’inaccuratezza indica la differenza tra questi due valori. Distinguiamo metodi: 1. Metodo impreciso e inaccurato 2. Metodo preciso ma inaccurato 3. Metodo impreciso ma accurato 15 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno 4. Metodo preciso e accurato Il controllo dell'accuratezza ci permette di mettere in evidenza gli errori sistematici che derivano dalla sensibilità e della specificità, perché all’interno di questi concetti è insito il fatto che si deve usare la più piccola parte possibile di reagente, è un errore grosso. Non si possono usare standard primari, bensì si usano materiali che siano il più possibile identici, come composizione quantitativa e qualitativa a quella del materiale biologico in esame, anche se è un’operazione molto costosa perché i fluidi biologici non possono essere sintetizzati in laboratorio. Per questo si usano piccole concentrazioni, si usano provette piccole, perché da quel materiale si devono fare quanti più esami possibili. Può essere influenzata da tutte le cause di errore che contribuiscono all’imprecisione: reagenti, strumenti, analisti, diversa composizione dei campioni, procedimenti diverso di taratura, standard usati per la taratura stessa. Sensibilità: attitudine del metodo a misurare piccole quantità del componente studiato. Si deve considerare il limite di rivelabilità, che indica la più piccola sostanza che il metodo riesce a dosare, cioè a distinguere dal bianco con un certo limite fiduciario (95% solitamente). Coincide con il doppio della ds del bianco (miscela in tutto e per tutto uguale al campione da analizzare ma priva degli analiti di interesse). La specificità è intesa come la proprietà del metodo di dosare solo ed esclusivamente la sostanza studiata, senza subire interferenze positive o negative da parte di altre sostanze presenti nel materiale analizzato. Non ha valore numerico. Molti metodi usati in campo medico sono aspecifici e introducono un errore sistematico, a priori sappiamo i limiti dei test che utilizziamo. CLASSIFICAZIONE DEGLI ERRORI DI MISURA Ogni misura sperimentale è soggetta ad un certo errore. Gli errori sistematici: sono errori che falsano in maniera sistematica il risultato analitico, nel senso che gli errori si ripetono tutte le volte che si effettua lo stesso tipo di analisi con lo stesso metodo. Hanno una causa conosciuta o comunque individuabile, imputabile alla poca sensibilità o alla aspecificità di un metodo. Tale errore può essere evitato utilizzando un metodo più sensibile, più specifico e più accurato. Errori casuali: sono inevitabili, quindi certi, di piccola entità e si commettono senza che l’operatore se ne renda conto. Sono imputabili all’analista e alle condizioni operative come distrazione nella misura dei volumi, dei tempi analitici, nel mescolamento dei reagenti ma anche a piccole variazioni nella tensione di alimentazione degli strumenti, modeste variazione nella geometria della fiamma dovute a correnti d’aria, ecc.; presentano una distribuzione gaussiana. Errore grossolano: sono accidentali e dovuti all’operatore (scambio di reagenti o soluzioni standard, selezione errata di lunghezze d’onda, ecc.) Si possono evitare facendo maggiore attenzione. SIGNIFICATO O VALORE DIAGNOSTICO DEGLI ESAMI DI LABORATORIO 16 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno Deve distinguere gli individui malati dai soggetti sani. La sensibilità clinica di una prova indica la proprietà di riconoscere quanti siano i soggetti che hanno realmente la malattia fra i soggetti che si sottopongono alla prova. Se non li individuiamo entriamo nell'area dei falsi positivi o negativi. La specificità clinica indica la capacità della prova di identificare i soggetti sani nella popolazione sottoposta alla prova, individuare i veri negativi tra i sani, e analogamente individuare i veri positivi tra i malati. Il soggetto ha la malattia in caso di esito positivo, non ha la malattia in caso di esito negativo. 𝑛. 𝑑𝑖 𝑝𝑧 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖 𝑣𝑒𝑟𝑖 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖 Sensibilità: 𝑛. 𝑑𝑖 𝑝𝑧 𝑎𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑖 = 𝑣𝑒𝑟𝑖 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖 + 𝑓𝑎𝑙𝑠𝑖 𝑛𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖 𝑛. 𝑑𝑖 𝑝𝑧 𝑛𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖 𝑣𝑒𝑟𝑖 𝑛𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖 Specificità: 𝑛. 𝑑𝑖 𝑝𝑧 𝑛𝑜𝑛 𝑎𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑖 = 𝑣𝑒𝑟𝑖 𝑛𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖 + 𝑓𝑎𝑙𝑠𝑖 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖 Sensibilità al 100%: significa individuare tutti i positivi, ma ciò non è possibile perché non ho un test sensibile al 100%. Specificità al 100%: significa trovare 100 negativi su tutti non affetti. Questo deve tenere conto di incidenza o prevalenza, a cui è correlato, perché se abbiamo dei valori diversi di queste due variabili, ciò influisce sul valore finale e sul calcolo predittivo che facciamo (% di pz che risultano positivi, probabilità che il pz appartenga realmente alla categoria, che abbia realmente la malattia). Incidenza: corrisponde al numero di pazienti su 100.000 individui di una popolazione che in un determinato momento (al momento della rivelazione) sono affetti dalla malattia; Prevalenza: È il numero di pazienti su 100.000 individui di una popolazione che nel corso di un anno contraggono la malattia. Le forme croniche hanno un’alta prevalenza ed una bassa incidenza, mentre per le forme acute si ha l’opposto. Il valore predittivo indica quale percentuale di pazienti con risultati positivi è da considerarsi ammalata. In ultima analisi il valore predittivo indica la probabilità che il paziente appartenga realmente alla categoria, indicata dalla prova (sano o ammalato) una volta che sia stata eseguita la procedura diagnostica: - Valore predittivo positivo: correla la sensibilità e la specificità con la prevalenza di una determinata malattia ed esprime il numero dei veri positivi (VP) sul totale dei positivi (VP + FP) al test. Indica la probabilità che il paziente abbia la malattia. - Valore predittivo negativo: indica la probabilità che un soggetto sano con test negativo effettivamente non abbia la malattia ed esprime il numero dei veri negativi (VN) sul totale dei negativi (VN+FN) al test. Indica la probabilità che il paziente sia sano una volta che la prova sia risultata negativa. 17 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno CONTROLLO DI QUALITÀ: all’interno del laboratorio, ormai si parla di sistema, cioè qualcosa che controlla tutto perchè, affinché venga prodotto un valore più vicino alla realtà si deve controllare tutto, comprese persone, strumenti, e ciò che creano gli altri laboratori per calcolare lo scostamento, cioè di quanto ci si discosti dal valore medio, e vedere quindi le correzioni da fare per riportare il valore al valore medio. Per fare questo serve un materiale di controllo a cui comparare il nostro prodotto per poi applicare le regole di Westgard che servono per individuare gli errori. Serve quindi a monitorare la qualità nel tempo per non allontanarci dal valore reale. Si divide in interno ed esterno: - Interno: Serve ad intercettare quegli errori che pregiudicano l’accuratezza (esattezza e precisione); - Esterno: comparazione tra i laboratori, che partecipano a studi collaborativi in cui si confrontano le prestazioni. Qualità: definita come il rapporto tra un prodotto/servizio fornito e i requisiti/necessità dell’utilizzatore Sistema Qualità: tutte le strutture organizzative, documenti, strumenti, risorse disponibili e necessarie per la corretta gestione della qualità Un approccio molto utilizzato in tutti i sistemi di qualità è il ciclo del P.D.C.A. (plan, do, check, act): concetto nato in economia e successivamente applicato a molti campi, è un ciclo in cui si cerca di raggiungere sempre il massimo anche quando si raggiunge un obiettivo, si deve sempre andare verso un miglioramento, per questo motivo è sempre in movimento. Si chiama anche ruota di Deming e si divide in quattro fasi. Serve ad individuare il problema e decidere le soluzioni migliori. Il termine PDCA deriva dalle iniziali delle quattro fasi in cui è possibile suddividere il 18 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno processo di problem solving, il movimento sta a significare la dinamicità e la continuità del processo di applicazione. L’uso è ampio e va dall’applicazione dei principi del Total Quality Management all’utilizzo nell’ambito dei progetti come modalità di gestione di fasi sensibili dal punto di vista della qualità del lavoro. FASI Plan: consiste nella definizione di ciò che deve essere fatto per risolvere un problema o migliorare un processo e nella successiva pianificazione delle azioni da svolgere. Le attività previste sono: - Precisazione degli obiettivi del miglioramento da attuare, si scrive un piano e gli obiettivi - Raccolta dei dati relativi al problema o processo, cioè dimostrare il problema - Mappatura del processo utilizzando un diagramma di flusso od altro strumento utile - Individuazione delle cause principali dei vincoli da rimuovere - Determinazione degli interventi necessari per risolvere la situazione - Determinazione dei risultati attesi, devo prevedere i risultati, vedere cosa mi attendo - Definizione delle responsabilità per la fase di attuazione - Pianificazione delle azioni da svolgere - Pianificazione delle risorse - Determinazione delle metriche per misurare i miglioramenti o gli scostamenti da quanto previsto Do: Durante questa fase, vengono attuate le soluzioni ed i piani precedentemente definiti, i responsabili individuati mettono in pratica le azioni previste. Ogni soluzione è implementata per un periodo di prova. Viene verificata l’adeguatezza delle soluzioni adottate rispetto agli obiettivi attesi Vengono formati i dipendenti sulle nuove modalità operative a fronte delle soluzioni adottate. 19 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno Check: Successivamente alla prima applicazione delle soluzioni progettate, queste vengono sottoposte ad un controllo nel tempo per verificare la sostenibilità di quanto realizzato ed eventualmente approfondire cosa non ha funzionato. In questa fase occorre riprendere le attività di analisi delle cause dei problemi per individuare cosa deve essere fatto per superare le difficoltà o le anomalie che ancora persistono. Act: Una volta che le soluzioni adottate hanno dimostrato di funzionare, è opportuno procedere a standardizzare il miglioramento ottenuto applicandolo in via definitiva. Individuare eventuali esigenze di formazione del personale per rendere operative le soluzioni adottate. Continuare a monitorare la situazione ripetendo il ciclo più volte fino a raggiungere i miglioramenti desiderati. Individuare altre opportunità di miglioramento. SISTEMA DI QUALITÀ Il sistema di qualità comprende: - quality planning; - quality assurance; - quality laboratory practices; - quality improvement; - quality control. Definite le cinque procedure di base della qualità, tutto questo serve per evitare l’errore e per evitare che il sistema vada fuori controllo prima che il referto lasci il laboratorio. Per arrivare a questo obiettivo, si devono eliminare gli errori sistematici e casuali, quindi controllare l’inaccuratezza (errore sistematico) e l’imprecisione (errore casuale) studiando le tecniche che mi portano alla loro risoluzione. Permette il controllo delle prestazioni analitiche di un metodo/sistema in modo tale da fornire allarmi nel caso in cui quest’ultimo non stia più lavorando entro limiti di errore totale (ET) predefiniti. Il CQI (controllo di qualità interno) si deve applicare a tutti gli esami di laboratorio che forniscono risultati quantitativi su scala continua, per ogni seduta analitica. Per i dosaggi qualitativi l’inserimento di un controllo negativo e positivo permette di verificare la corretta esecuzione della procedura analitica ma non permette di fare studi statistici. Qualità analitica: riguarda la misura e dobbiamo tenere conto delle - soglie decisionali cliniche - variabilità biologica intra ed inter individuale Come misurare la qualità analitica: - Reperire idoneo materiale di controllo, in quantità sufficiente per almeno un anno, devo acquistare il materiale di controllo, di lotti diversi ma di produzione simile, in modo da avere omogeneità nelle analisi che produco. - Assicurarsi che il sistema analitico sia stabile (stesso lotto reattivi, assenza di evidenti malfunzionamenti) 20 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno - Analizzare il materiale per almeno 20-30 giorni, nelle stesse condizioni dei campioni umani, con cadenza di un controllo ogni 10-20 campioni reali (o meno per piccole serie) - Calcolare media e deviazione standard Dobbiamo certificare e accreditare il laboratorio: - Certificazione: riguarda il controllo completo su tutti i processi e le procedure, indipendentemente dalle competenze - Accreditamento: riguarda le competenze, solo le persone e le strutture che sono competenti per fornire un prodotto/servizio possono essere accreditate COS’È UN MATERIALE DI CONTROLLO La IFCC (International Federation of Clinical Chemistry) definisce un materiale di controllo come un “campione” o una soluzione che si analizza esclusivamente per fini di controllo di qualità e non come concentrazione di calibrazione, nel senso che non è possibile tarare la macchina con un sistema di controllo, ci sono sistemi specifici per tarare. Il materiale di controllo è un prodotto commerciale che si può trovare in forma liquida, congelata, liofilizzata in piccole confezioni per sedute giornaliere. Si definisce matrice “l’elemento o gli elementi“ principali presenti nel campione e l’interferenza da matrice è l’effetto dovuto alla presenza sui costituenti caratteristici. I materiali di controllo dovrebbero avere la “stessa matrice” di campioni che sono normalmente testati. Plasma, siero, urine, liquido cefalorachidiano. Caratteristiche: - Stabilità - Minor variabilità tra i flaconi - Accuratezza dei valori assegnati - Numero dei costituenti presenti - Livelli di concentrazione Posso avere un materiale di controllo per una macchina e per l’altra no, ogni macchina ha la sua strumentazione, materiali diversi in macchine non proprie possono interferire. Posso usare un materiale che mi serve a cercare valori nell’uomo o nella donna (esempio progesterone o testosterone) o negli animali o nelle acque. I materiali di CQ devono essere più commutabili possibile, significa che deve soddisfare i requisiti della commutabilità, cioè la capacità di un materiale di controllo di comportarsi come i campioni dei pazienti, anche se può essere simile al 100% ma avere qualcosa all’interno che interferisce e altera il suo comportamento. Per questa ragione, i materiali di CQ devono essere prodotti a partire da matrici biologiche umane. Ci sono considerazioni economiche da fare che dipendono dalle conseguenze degli errori, le conseguenze dell’assenza di Controllo di Qualità o di un CQ insufficiente potrebbero essere: - Sedute analitiche ripetute (costo dei reagenti) senza una vera conoscenza della qualità analitica prodotta 21 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno - Falsi positivi: diagnosi o decisioni errate, provvedimenti diagnostici o legali non necessari - Falsi negativi: diagnosi o decisioni errate o ritardate, provvedimenti diagnostici o legali presi troppo tardi o non presi affatto, rischi per i pazienti e per la cittadinanza - Costi per cause da parte di pazienti, società assicurative FREQUENZA DI ESECUZIONE - Minima: 1 controllo al giorno per ciascun analita - Almeno 1 volta per ogni seduta analitica se il test non viene eseguito tutti i giorni - Almeno 2 volte al giorno se si eseguono serie multiple nelle 24 h I controlli vanno considerati come campioni normali e processati in modo random durante la seduta. Il grado di fluttuazione nelle misure è indicativo della “precisione” del saggio. La vicinanza delle misure al valore teorico è indicativa di “accuratezza” del saggio. Il Controllo di Qualità è utilizzato per monitorare sia la precisione che l’accuratezza della fase analitica al fine di ottenere risultati realistici. In generale, i laboratori usano il criterio di +/- 2 DS come range di accettabilità di un test, quando il valore del CQ cade all’interno di questo range c’è il 95,5% di confidenza che la misura sia corretta, solo nel 4.5% dei casi il valore cadrà al di fuori di questo range, molto probabilmente a causa di un errore. LA PIANIFICAZIONE DEL CONTROLLO DI QUALITA’ - Definire la qualità necessaria - Misurare la qualità analitica del sistema in uso - Scegliere le regole di controllo ed il numero di campioni,di controllo che garantiscono la massima potenza (sensibilità) con il minimo numero di falsi allarmi - Documentare gli interventi correttivi DEFINIZIONE DELLE SPECIFICHE DI QUALITÀ DELL’ESAME La specifica di qualità di un esame può essere definita come la massima variazione accettabile nelle prestazioni di un metodo che non comprometta l’interpretazione clinica del dato, se me ne accorgo devo agire immediatamente. Valore vero: quello che devo ottenere per capire se il soggetto è in buono stato di salute o meno. Quello che faccio in laboratorio non deve essere modificabile. Se non è possibile ricorrere ad un materiale di riferimento certificato con un metodo assoluto, l’inaccuratezza è relativa rispetto ad un valore ottenuto dai Laboratori di riferimento, che impiegano un dato metodo. Una buona stima retrospettiva della propria accuratezza relativa può comunque essere ottenuta dai dati dei programmi di VEQ, confrontando la media dei propri risultati con i valori attesi (a pari metodo o generali), facendo i calcoli al contrario si rispecchia la realtà di ciò che ho ottenuto nel tempo, e dovrebbe essere stabile. 22 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno CONTROLLO STATISTICO DI QUALITÀ La distribuzione dei valori ottenuti analizzando uno stesso materiale, per un adeguato periodo di tempo, con un sistema analitico stabile, è normale. Se il sistema si mantiene stabile, valori che si discostano molto dalla media si possono incontrare casualmente con probabilità “bassa” (spetta a noi scegliere quanto bassa). I campioni da sottoporre al test e i campioni di controllo devono essere analizzati insieme senza un ordine predefinito e senza distinzione fra loro, si dice fatto “in cieco e controcieco”, senza distinzione. C’è uno spostamento costante nella macchina e prelevamento random da parte di aghi. METODI PER I CONTROLLI DI QUALITÀ Metodo di Shewhard-Levey-Jannings: quando si esegue un controllo di qualità interno è bene inserire ogni giorno il campione di controllo per almeno 30 giorni consecutivi. Si registrano i risultati ottenuti e si scartano quelli anormali che vengono sostituiti con altri registrati nelle giornate successive. Sui dati analitici così ottenuti si calcolano la media e la DS e si disegna la carta di controllo. Su un grafico nella parte centrale si disegna una retta orizzontale con valore di ordinata che corrisponde al valore medio ottenuto nei primi 30 giorni successivamente si tracciano altre 2 rette parallele alla prima, rispettivamente sopra e sotto, spostate di un valore pari alla media di 2 DS e 3 DS e si ottiene la carta di controllo della media. Le rette 2 DS sono dette “limiti di allarme” e quelle 3 DS “limiti di intervento o di controllo”. Il limite di allarme ci dà indicazione di stare attenti, sono segni premonitori, mentre con il limite di intervento siamo già fuori controllo. Un metodo viene considerato “fuori controllo” quando un valore si trova fuori dall’intervallo di controllo, oppure quando 7 valori consecutivi si trovano da uno stesso lato del valore medio, oppure quando 7 valori consecutivi mostrano una tendenza ad aumentare o a diminuire. 23 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno La possibilità di errore, per un qualunque valore analitico ottenuto isolatamente sul campione di controllo, ha circa il 95-99% di possibilità di rientrare nell’ambito di +/- 2DS e +/- 3DS quando sono rispettate le condizioni analitiche usate per determinare la DS durante il primo periodo di avviamento, in pratica solo 1 risultato su 100, statisticamente, può risultare fuori dai limiti di controllo. Per rendere efficiente al massimo il controllo di qualità è consigliabile: - registrare graficamente tutti I risultati - registrare ogni modifica dei reagenti (es: cambiamento di lotto), degli standard e degli apparecchi usati - ricalcolare periodicamente la media e la DS per controllare il range di imprecisione accettabile. Il metodo di Westgard è il più noto e accreditato. Con un set di regole individua l’errore casuale e sistematico, se la regola è violata la macchina si blocca. Westgard ha descritto 6 differenti criteri decisionali applicabili a due o più preparazioni con differenti concentrazioni saggiate nella stessa lettura. La decisione di accettabilità senza alcune successive ripetizione del test è vincolata alla conformità e alla verifica di tutte le regole. Di queste almeno due dovrebbero essere adottate per una valutazione del Controllo di qualità, la prima che tenga conto dell’errore analitico casuale e la seconda che identifichi l’errore analitico sistematico. Generalmente sono utilizzati 2 livelli di materiale di controllo per seduta analitica: 1. a. 12s rule: regola warning, scatta quando uno di due controlli consecutivi cadono al di fuori di ±2 s, allarma l’operatore per possibili problemi, non causa il rigetto dell’esito del test o della seduta analitica, è necessario poi valutare la regola 1 3S. I laboratori che si rifanno solo a questa regola rifiutano molte sedute valide. È molto sensibile e va usata come avviso. b. 13s rule: regola di rifiuto, se un controllo cade al di fuori di ±3 s l’esito del test o di tutta la seduta analitica deve essere rifiutato. È necessario valutare la calibrazione dello strumento, la qualità quantità del reagente utilizzato,la quantità/qualità di controllo utilizzato. c. 22s rule: regola di rifiuto, se due controlli consecutivi cadono al di fuori di ±2 s dalla stessa parte rispetto alla media l’esito del test o di tutta la seduta analitica deve essere rifiutato. È necessario valutare la calibrazione dello strumento,la qualità quantità del reagente utilizzato, la quantità/qualità di controllo utilizzato. 2. a. R4S rule: regola di rifiuto, un controllo cade al di sopra di +2 s e quello successivo al di sotto di 2 s l’esito del test o di tutta la seduta analitica deve essere rifiutato. Presenza di errore random. b. 41s rule: regola di “warning ”, 4 controlli consecutivi al di sopra o al di sotto di 1 s per uno o ambedue I livelli di controllo. Bisogna valutare i controlli delle sedute 24 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno precedenti per decidere il rifiuto dei risultati. Presenza di errore sistematico (sovrastima o sottostima) rispetto alla media teorica. c. 10x rule: regola di “warning ”: 10 controlli consecutivi al di sopra o al di sotto di 1 s per uno o ambedue i livelli di controllo. Bisogna valutare i controlli delle sedute precedenti per decidere il rifiuto dei risultati. Presenza di errore sistematico (sovrastima o sottostima) rispetto alla media teorica. REGOLE BASE PER OGNI MACCHINA 25 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno QUANDO UNA REGOLA È VIOLATA Regola warning: usare altre regole per valutare i risultati dei controlli. Regola di rifiuto: stop del test e della seduta analitica, identificare e correggere il problema, ripetere il test sui campioni dei pazienti e dei controlli, non refertare i risultati dei pazienti finchè il problema non sia risolto ed i controlli indicano una buona performance. AZIONI CORRETTIVE Ogni volta che un dato ottenuto su un materiale di controllo non rientra nei criteri di accettabilità predefiniti, è necessario attivare azioni correttive allo scopo di ristabilire una situazione “in controllo”. Diversi sono i livelli di intervento che, sulla base di criteri predefiniti da ogni laboratorio, possono andare dal rifiuto della calibrazione e/o della serie analitica fino alla sua accettazione. Il tecnico deve essere sempre reperibile in situazioni d’urgenza. VEQ: Un programma di valutazione esterna di qualità (VEQ in lingua inglese External Quality Assessment EQA detto anche proficiency testing PT) è un tipo di confronto interlaboratorio, con finalità educative e di miglioramento continuo della qualità, avente per obiettivo la valutazione oggettiva e indipendente della qualità delle misurazioni analitiche eseguite dai laboratori di analisi, soprattutto da quelli operanti in campo biomedico o ambientale. Controlla l’accuratezza e gli errori sistematici tramite sieri a titolo ignoto. 26 Viviana Corsaro - CLMOPD II Anno Occorre in questo caso un paragone con altri laboratori tramite l’uso del Bias (scostamento percentuale) rispetto al valore medio di consenso o a valori ottenuti con metodi di riferimento. Nello schema tipico di un programma di VEQ, l'organizzatore invia periodicamente a più laboratori un determinato numero di campioni di solito simili a quelli sui quali il laboratorio esegue le analisi di routine. A ciascun campione viene assegnato, come identificatore, un codice la cui corrispondenza con il vero identificatore del materiale è nota solo all'organizzatore, vincolato al segreto. I laboratori partecipanti analizzano i campioni e comunicano i risultati all'organizzatore. Organizzatore: elabora i risultati pervenuti, ovvero li fa elaborare da un centro di statistica, ottenendo degli indici che riassumono le prestazioni di tutti i laboratori nel loro complesso (per esempio, indici descrittivi di posizione e di dispersione) e dei singoli laboratori in dettaglio. Le statistiche per i confronti interlaboratorio sono descritte nella norma ISO 13528. Una relazione sulle conclusioni derivanti dalle elaborazioni dei risultati sarà comunicato infine ai partecipanti i quali potranno in tal modo conoscere la qualità delle loro prestazioni analitiche. 27 1 BIOLOGIA MOLECOLARE CLINICA: CAPITOLO 5: TECNICHE DI MANIPOLAZIONE DEGLI ACIDI NUCLEICI Vediamo le tecniche per manipolare gli acidi nucleici. Noi dobbiamo conoscerlo, sapere gli enzimi, ed andare ad ordinare i reagenti che mi servono per manipolarlo. I reagenti sono dentro lo stesso ambiente all’interno della cellula. Sono sintetizzati in laboratorio alcuni di questi enzimi che agiscono naturalmente all’interno della cellula in modo da produrre in laboratorio lo stesso identico effetto di reazione. Gabriele Pierro 2 Quali sono queste tecnologie: i vaccini ad esempio, poi è stato mappato il genoma. Con la clonazione genica è stato possibile amplificare grandi quantità di sequenze per identificare patologie che prima non era possibile identificare. La cellula batterica è una cellula semplice, ma molto utilizzata nei sistemi di clonaggio perché si moltiplica velocemente, duplicando tutti i materiali genetici inseriti all’interno del suo genoma. Come lo manipolo? Mi serve il DNA puro, pulito: lo devo manipolare in laboratorio. Inoltre questo, legato agli istoni, non è manipolabile. Le proteine istoniche devono essere tolte senza danneggiare il DNA. Ci sono cellule diverse all’interno di uno stesso tessuto: intanto devo far uscire con un prelievo (sangue o biopsia, pezzi prelevati da ratti); - devo tirare fuori il DNA, schiacciare quindi la cellula, - togliere tutti gli organuli, - ed infine devo rompere il nucleo, - far uscire il DNA fuori - e poi devo togliere pure gli istoni. In tutto ciò lo DEVO MANTENERE in tutta la sua lunghezza (includendo promotori, triplette, sequenze non codificanti). La cellula non deve essere alterata, ma manipolata delicatamente. Esistono degli omogenizzatori, che con una soluzione opportuna, stabilizzano ciò che dobbiamo tirare fuori. E’ dotato di un pestello in vetro dove c’è uno spazio di qualche micron. Man mano che si spinge e si sale nel vetro, esce tutto quello che c’e all'interno della cellula. Tutto deve essere purificato e misurato. Posso andare ad amplificare determinate sequenze dipende dalle necessità. Il DNA già purificato verrà usato in determinati tipi di analisi (analisi di terzo livello, solo i laboratori specializzati possono farli, e non sono di routine). Tutto questo viene fatto per la diagnosi molecolare di malattie genetiche: Diagnosi prenatali: emofilia, distrofia duchenne e becker, sindrome X fragile, corea huntington Individuazione eterozigoti: anemia falciforme, sindromi talassemiche. La tecnica Southern (cognome creatore), Northern, Western invece sono stati creati per contrapposizione. Abbiamo Il microarray, l’ELISA e la Proteomica. Per cui possiamo andare a rivelare con il southern modificazioni nel DNA, northern per quantificare il mRNA, Western per quantificare le Proteine Gabriele Pierro 3 Alterazioni a livello del DNA modificano la proteina finale (non sempre). Questa doppia catena la devo rompere quindi, si apre per grandi temperature, a 95°. SI rompono i legami ad H fra le 4 basi. Ma i legami AT sono più malleabili rispetto alle sequenze CG, per il numero di legami ad idrogeno. La percentuale in triplette CG deve stare intorno al 50%, perché un conto è rompere un DNA normale, un conto è rompere molte triplette a legami forti. Tutto è stato sequenziato, i programmi fanno già molto lavoro. Man mano che l’ho aperto, la DNA polimerasi ha un altro problema: che prima di incominciare ha bisogno del primer: quindi c’è bisogno anche di progettare sti frammenti di RNA, poi reagenti di stabilizzazione, enzimi per la correzione di bozze e così via. TRADUZIONE E PROTEINA Il codice è degenerato: ad ogni tripletta corrisponde un solo amminoacido. Un errore a questo livello mi va a cambiare o tutta la proteina, oppure a seconda della base solo il tipo di aminoacido. Può anche accadere che c’è una amplificazione di determinate triplette che producono tratti ad es. di poligluttammine che determinano tossicità a valle della proteina. Per quanto riguarda l’RNA, questo è molto delicato, instabile e facilmente degradabile. L’RNA ha la singola catena, uracile invece di timina, ribosio, e ha un cappuccio di guanosina e una coda di poli-A all’altra estremità. Abbiamo infatti diversi tipi di RNA, quindi nel momento in cui lo tiro fuori (e lo tiro fuori interamente), a noi interessa solo il tratto mRNA, quindi si deve isolare. Fare un Northern blot era un'impresa perché era difficile e si degradava con facilità. Anche l’estrazione era difficile perché esistono degli enzimi ubiquitari che lo possono digerire (RNAsi), che si trovano dappertutto, quindi serviva un ambiente sterilissimo. Cosa avviene? Abbiamo un ribosoma, viene indirizzato il messaggero, il tRNA sceglie l’aminoacido in base alla tripletta mostrata dal messaggero. le minchiate che avvengono dice che non le chiede. A quel punto cambia l’aminoacido anche con un cambiamento di base, e può cambiare a valle tutta la proteina. LESIONI DEL DNA Possiamo quindi identificare sia macro (mutazioni cromosomiche e genomiche) che microlesioni, perché la maggior parte delle malattie sono puntiformi: missenso/nonsenso. Interessano la singola base e costituiscono il 75% delle malattie genetiche. Ci possono essere le modificazioni missense, che cambiano aminoacido, o non sense che codificano per codone di STOP. Si può aggiungere una U per errore durante (gli errori avvengono principalmente quando si scambiano i pezzetti, nel crossing over), Gabriele Pierro 4 e cambia tutto il resto. Possiamo avere perdita di basi, possono essere amplificate queste mini mutazioni e viene fuori la malattia. Il DNA è tutto uguale nelle cellule, quindi può prelevare il sangue ed analizzare il nucleo dei leucociti (solo i soli ad avere nucleo). Come lo separiamo? Se voglio estrarre l’RNA o qualsiasi cosa si deve andare a prelevare piccoli pezzi di tessuto (fase di raccoglimento). SI mette su ghiaccio e poi su azoto liquido per congelarlo (senno si altera l’RNA) Intanto possiamo partire o da cellule batteriche o da cellule in coltura, coltivate in vitro e che si replicano continuativamente; leucociti ematici; o un campione di tessuto da biopsie o da amniociti METODI Dobbiamo effettuare una lisi blanda, per cui dobbiamo crearci dei piccoli fori per la fuoriuscita di quello che c’è all’interno. SI usa generalmente lisozima La lisi spinta utilizza sostanze che degradano tutta la membrana immediatamente tramite detergenti anionici che lasciano solo gli acidi nucleici. La rottura della parete batterica è effettuata mediante trattamento con una miscela contenente: lisozima che idrolizza il legame glicosidico del peptidoglicano (è presente nell’albume dell’uovo, nelle lacrime, come difesa degli occhi contro le infezioni batteriche) EDTA (Acido Etilendiamminotetracetico): un agente chelante che sequestra i cationi bivalenti necessari per la stabilizzazione delle membrane e per l’attività di molti enzimi, tra cui la DNasi SDS (detergente anionico) che solubilizza i lipidi delle membrane e lega le proteine alterandone la struttura secondaria Per un campione di tessuto le cellule vengono omogenizzate in presenza di un detergente mediante - Metodo meccanico: omogenizzatore a pestello (Potter) - Vibrazioni ultrasoniche - Congelamento / scongelamento (Il sangue raccolto, viene mescolato con una soluzione ipotonica per lisare i globuli rossi, che non hanno nucleo e sono inutili ai fini di un’analisi del genoma). I globuli bianchi vengono recuperati per centrifugazione e poi lavati, successivamente trattati con un SDS e con una miscela di proteinasi K (endopeptidasi di origine fungina) per digerire le proteine che sono associate al DNA e liberarlo nel mezzo. La rimozione delle proteine è importante sia perché tra le proteine sono presenti enzimi che possono degradare gli acidi nucleici, sia per la presenza di proteine capaci di legarsi agli acidi nucleici impedendone la purificazione. Sono rimosse mediante l’uso di proteinasi K, così detta per il suo potere di idrolizzare la cheratina. La rimozione degli ioni Ca++ determina la perdita dell’80% della sua attività enzimatica, ma l’attività residua è sufficiente a degradare le proteine che contaminano gli acidi nucleici. Preparazione DNA Gabriele Pierro 5 Il DNA subisce in seguito una serie di estrazioni con fenolo e cloroformio ed infine viene precipitato con alcol etilico freddo. Il DNA precipita sotto forma di filamenti visibili ad occhio nudo che vengono recuperati con una bacchetta di vetro. Infine, viene poi risospeso in una soluzione tampone e può essere così conservato per più di 1 anno a 4°C o per alcuni anni a -20°C. E’ preferibile non congelare il DNA genomico in quanto processi di congelamento e scongelamento provocano contrazioni meccaniche che si traducono in numerose rotture della molecola. Preparazione RNA Una tipica cellula di mammifero contiene circa 20-30 picogrammi di RNA. La popolazione di RNA cellulari è costituita da RNA totale: RNA codificante (~4%) - comprende le molecole di mRNA citoplasmatico e i precursori nucleari RNA non codificante (~96%) - RNA ribosomiali: 28S, 18S, 5,8S e 5S, con i relativi precursori, che costituiscono fino all’80% dell’RNA totale - tRNA, piccoli RNA a localizzazione nucleare, o citoplasmatica, microRNA I tessuti o le cellule vengono omogenizzati in un tampone contenente: un detergente (SDS) ad alta concentrazione, un agente dissociante (guanidina tiocianato), una soluzione tampone (acetato) ed un agente riducente (2-mercaptoetanolo o DTT). La composizione di questo tampone serve a: - inibire le RNasi endogene - denaturare gli acidi nucleici e dissociare le proteine che potrebbero esservi fissate. I detriti cellulari sono eliminati per centrifugazione e gli RNA estratti con fenolo e cloroformio ed infine viene precipitato con alcol etilico freddo. Per ottenere RNA puri con una resa molto buona la tecnica si deve basare sulla precipitabilità differenziale dell’RNA e del DNA secondo il pH e la concentrazione di etanolo. L’RNA deve essere precipitato con acetato di sodio 3M pH:4 ed con alcol etilico freddo e risospeso in alcol isopropilico. Può essere conservato per più di 1 anno a -20°C o per diversi anni a -70°C. Isolamento dell’mRNA La maggior parte degli mRNA eucariotici presentano la coda di poliA all’estremità 3’. L’mRNA poliadenilato può quindi ibridare con sequenze sintetiche di oligo (dT) (corti polimeri di desossitimidina), mentre le altre specie di RNA che non ibridano con l’oligo (dT) possono essere eliminate. Questo metodo non è adatto per gli mRNA batterici, perché solo una piccola percentuale degli mRNA è poliadenilato con code di poliA piuttosto corte. Purificazione di RNA poliadenilato (Metodo Oligo dT cellulosa) Gabriele Pierro 6 La maggior parte degli RNA totali possiedono all’estremita 3’ una coda costituita da una lunga sequenza di circa 30-150 residui adenilici: poli A. Questa caratteristica può essere sfruttata per purificarli per affinità, facendo passare su colonna di oligo dT cellulosa l’RNA totale. La sequenza di poliadenilazione dei messaggeri si ibrida con l’oligo dT e ciò fa si che i messaggeri si leghino fortemente alla colonna. Solo l’mRNA polidanilato ibriderà con l’oligo (dT), mentre le altre specie verranno eliminate mediante lavaggi con tamponi a bassa concentrazione salina. Gli RNA poli A vengono recuperati per precipitazione con alcol etilico assoluto. L’eluato finale sarà costituito dalla miscela di tutti le specie di mRNA presenti nella cellula al momento dell’estrazione. L’RNA è più suscettibile del DNA alla degradazione. A differenza delle DNasi che richiedono ioni metallici per la loro attività e sono termolabili, per cui sono facilmente inattivate da agenti chelanti e dalla sterilizzazione in autoclave. Le RNasi non hanno bisogno di cofattori, resistono a trattamenti drastici (ebollizione prolungata, sterilizzazione in autoclave) e sono attive entro un ampio range di pH. Fonti di RNasi (distruzione RNA) tamponi e soluzioni di uso comune che se utilizzati senza opportune precauzioni, possono ospitare batteri o altri microrganismi che rilasciano i loro enzimi; autoclavarli non inattiva le RNasi, anzi può introdurle nei reagenti, per es. liberandole dai corpi batterici contaminanti. lavorare senza guanti può introdurre nelle soluzioni RNasi batteriche e cellulari batteri veicolati dall’aria possono sedimentare sulla superficie delle soluzioni, portando con sè RNasi Pipette, mai utilizzare le stesse pipette che hanno già dispensato soluzioni di RNasi E’ importante: - Dividere le soluzioni in piccole aliquote - Utilizzare plastica garantita RNasi-free - Trattare la vetreria per almeno 4 ore a 200°C - Indossare sempre guanti e cambiarli spesso - Mantenere un’area di lavoro separata, dedicata all’RNA, con dotazione di pipette, puntali, provette, reagenti e tamponi esclusivi. Ciò è importante particolarmente, se si usa RNasiA per estrazione di DNA. Come proteggere l’RNA dalla degradazione da parte delle Rnasi - Potenti agenti denaturanti: - Sali di guanidinio (tiocianato o cloridrato di guanidina). Il guanidinio cloruro è un elettrolita forte; le proteine si dissolvono in soluzioni concentrate (4M) perdendo la loro struttura secondaria e attività biologica. - 2-mercaptoetanolo, un agente riducente in grado di rompere i ponti disolfuro delle proteine - Sostanze deproteineizzanti: fenolo, cloroformio, SDS, proteinasi K Gabriele Pierro 7 - Temperatura: lavorare mantenendo le provette in ghiaccio è un modo di inibire le ribonucleasi - RNase inhibitor: proteine che si legano in modo non covalente alle RNasi e ne inibiscono così più del 90% dell’attività. Il legame è però reversibile e l’inibitore deve essere mantenuto attivo, evitando: - soluzioni contenenti agenti fortemente denaturanti, come SDS o urea, - mantenendo un ambiente riducente (con ditiotreitolo - DTT) e temperatura < 65°C. - DEPC (dietilpirocarbonato): un agente alchilante molto reattivo che reagisce con le proteine attaccando gli azoti imidazolici dei residui istidinici, determinando la perdita dell’attività enzimatica. Si usa alla concentrazione finale dello 0,1% per inattivare le Rnasi contaminanti presenti nelle soluzioni. Composti contenenti gruppi amminici primari, come il Tris reagiscono con il DEPC; di conseguenza, le soluzioni devono essere preparate sciogliendo il Tris in acqua-DEPC già trattata ed autoclavata. Estrazione dell’RNA totale: Metodo della guanidina tiocianato (guarani paraguaiani) Colture cellulari o tessuti molli si lisano direttamente. Le RNasi endogene si attivano quando si rompono le cellule. Lisi cellulare e denaturazione delle proteine (RNasi) sono immediate nella soluzione di guanidina tiocianato. Aggiungendo detergenti (SDS) e agenti riducenti (DTT) si dissociano i complessi proteine-acidi nucleici. Si precipita l’RNA in etanolo e sali, poi si sospende il pellet di RNA in una soluzione tampone. Si analizza la qualità dell’RNA estratto. Il metodo del fenolo acido-guanidina tiocianato (Trizol®) si basa sull’osservazione che il DNA passa nella fase organica se il fenolo è tamponato con una soluzione a pH acido 5-6, mentre l’RNA rimane nella fase acquosa. Si procede quindi alla precipitazione alcolica in presenza di ammonio acetato o sodio acetato. ESTRAZIONI Vengono utilizzate le centrifughe sfrutta la forza centrifuga e centripeta. Il rotore può essere ad angolo fisso o ad angolo mobile. Vengono utilizzate per eliminare sostanze indesiderate, come le proteine. Viene sfruttata la solubilità differenziale delle molecole tra 2 fasi tra loro non miscibili. La fase acquosa, che contiene gli acidi nucleici viene recuperata delicatamente con la pipetta dopo centrifugazione. Fenolo E’ un forte denaturante delle proteine che le lega mediante legami H, alterandone la struttura. Il gruppo benzenico si insinua nel core idrofobico delle proteine, svolgendone la struttura. Le proteine denaturate, con i gruppi idrofobici esposti, diventano solubili nella fase fenolica o Gabriele Pierro 8 precipitano all’interfase fenolo-acqua. E’ un solvente dei lipidi e delle molecole di RNA contenenti lunghi tratti di poli(A). Cloroformio - completa la denaturazione delle proteine - rimuove i lipidi di membrana (gli acidi nucleici sono dentro il nucleo, che è coperto da membrana) - grazie alla sua elevata densità facilita la separazione della fase acquosa (contenente il DNA deproteinizzato) da quella organica (fenolica) stabilizzando l’interfaccia tra le due fasi. Alcol isoamilico: riduce la schiuma che si forma nel corso dell’estrazione ESTRAZIONE FENOLICA Il fenolo è una sostanza deproteinizzante potente nella quale gli acidi nucleici non sono solubili. Deve essere perfettamente puro e non ossidato. Nel caso di estrazione di DNA si usa fenolo a pH alcalino Nel caso di estrazione di RNA si usa fenolo a pH acido Il fenolo tende ad ossidarsi facilmente assumendo un colore rossastro per la presenza di chinoni. La formazione di tali composti di ossidazione deve essere evitata perché favoriscono sia la scissione dei legami fosfodiesterici sia la formazione di legami crociati tra DNA e RNA. Al fenolo è aggiunta la 8 - idrossichinolina che ha potere antiossidante, oltre ad essere un parziale inibitore delle Rnasi e un debole chelante di ioni metallici. ESTRAZIONE CON CLOROFORMIO Permette di eliminare le tracce di fenolo Gabriele Pierro 9 Poiché il fenolo è parzialmente solubile in acqua, tracce di fenolo possono rimanere in soluzione e inibire successivi trattamenti enzimatici (denaturando gli enzimi). Rimozione di ogni traccia di fenolo dalla soluzione acquosa con un’estrazione con cloroformio/isoamilico (24:1) Precipitazioni Hanno lo scopo di recuperare gli acidi nucleici in forma solida. Per concentrare gli acidi nucleici, si ricorre alla precipitazione con alcol. In soluzioni alcoliche, infatti, gli acidi nucleici precipitano, insieme a parte dei sali, e possono essere efficacemente separati da altri componenti cellulari più solubili. Anche la maggior parte delle proteine sono insolubili in alcol e co - precipiterebbero in larga misura con gli acidi nucleici se non fossero preventivamente rimosse. Precipitazione con etanolo La soluzione acquosa contenente l’acido nucleico è miscelata con 2,5 volumi di etanolo assoluto per volume di campione. La precipitazione viene accelerata dal freddo (da - 20°C a 80°C). L’alcool etilico determina modificazioni strutturali degli acidi nucleici che ne inducono l’aggregazione e quindi la precipitazione. Si forma un precipitato dell’acido nucleico che può essere recuperato sul fondo della provetta mediante centrifugazione. Precipitazione con isopropanolo: - vantaggio perché consente di operare con volumi inferiori - svantaggio di essere meno volatile dell’etanolo e quindi di più difficile rimozione. Viene eseguita aggiungendo un egual volume di alcol. Dopo centrifugazione, il pellet di acido nucleico è “lavato” in etanolo 70% e ricentrifugato. Tale lavaggio rimuove i sali precipitati. Risospensione del DNA Il pellet di DNA dopo essiccazione è risospeso in adeguato tampone, in genere TE (Tris - EDTA) a pH 7.6 - 8.0, alla concentrazione desiderata Durante l’estrazione del DNA possono co-precipitare notevoli quantità di RNA. La contaminazione da RNA va eliminata perché: - l’RNA interferirebbe nella determinazione quantitativa del DNA per via spettrofotometrica. - l’RNA potrebbe anche alterare la mobilità elettroforetica dei frammenti di DNA. Per preparazioni di DNA per eliminare l’RNA è usata la ribonucleasi A (RnasiA). Per le preparazioni di RNA, invece, è utilizzata la desossiribonucleasi (Dnasi) per eliminare contaminazioni di DNA. DOSAGGIO DEGLI ACIDI NUCLEICI Perché si usa lo spettrofotometro per quantificare gli acidi nucleici? l’acido assorbe la massima intensità (?) La parte visibile era dai 380 ai 760 nm, noi usiamo l’ultravioletto per leggere gli acidi nucleici (260 massimo assorbimento). La legge che mette in relazione la quantificazione con la lunghezza d’onda: lambert beer. Mette in relazione la Gabriele Pierro 10 concentrazione con una caratteristica, che ogni sostanza è in grado di assorbire la luce. Grazie a questo io sono in grado di capire la sua concentrazione, questo perché la lunghezza d’onda viene assorbita dal DNA/RNA, l’intensità di radiazione che entra sarà diversa rispetto a quella che esce (quella che esce è minore). E' possibile dosare gli acidi nucleici con il Metodo Spettrofotometrico (spettroscopia nell’ultravioletto) Ogni sostanza è in grado di assorbire una determinata radiazione elettromagnetica e sfruttando questa proprietà è possibile determinare la concentrazione di questa sostanza. Tutte le molecole sono capaci di assorbire delle caratteristiche lunghezze d’onda di radiazione elettromagnetica. Quando questo avviene, l’energia della radiazione viene trasferita alla molecola e l’intensità della radiazione diminuisce come conseguenza. Esiste una relazione tra il grado di attenuazione della radiazione e la concentrazione della sostanza che assorbe la radiazione stessa. Ogni sostanza ha uno spettro di assorbimento; questa proprietà si può estendere alle soluzioni attraverso una legge chiamata Legge di Lambert-Beer che dice che dalla intensità del colore che fuoriesce da una radiazione monocromatica che attraversa la soluzione è possibile risalire alla sua concentrazione. Considerando uno strato di spessore b , in cm, di una soluzione di un certa sostanza, attraversato da una determinata radiazione monocromatica, assorbita dalla sostanza stessa, l’intensità della radiazione emergente dalla soluzione avrà un’intensità I 1 minore di quella I o entrante. Il rapporto tra l’intensità emergente e quella entrante nella soluzione è definito trasmittanza (T): (dice che sta robaccia tecnica non è nell’esame) Gabriele Pierro 11 Gabriele Pierro 12 cammino ottico di 1 cm Gabriele Pierro 13 Il metodo spettrofotometrico sfrutta la capacità degli acidi nucleici di assorbire la luce UV con un massimo di assorbimento alla lunghezza d'onda di 260 nm. Tale assorbimento è determinato dalle basi azotate, per cui è caratteristico del DNA a doppio e singolo filamento e dell’RNA. 1 unità di densità ottica (DO) a 260 nm corrisponde 50 ug/ml di DNA a doppio filamento 25 ug/ml di DNA a singolo filamento Gabriele Pierro 14 Determinazione della purezza Il rapporto A260/A280 è usato per stimare la purezza della preparazione degli acidi nucleici, perché le proteine, che sono la principale fonte di contaminazione, assorbono a 280 nm. Preparazioni pure di DNA hanno valori di A260/A280 uguali a 1,8. Preparazioni pure di RNA hanno valori di A260/A280 uguali 2. L'assorbanza a 270 nm, cioè ai margini dello spettro di assorbimento degli acidi nucleici, riflette la contaminazione del campione dovuta a sostanze come carboidrati, fenoli, peptidi o composti aromatici. Per campioni puri il rapporto A260/A270 dovrebbe essere circa 2.2. Analisi qualitativa dell’RNA totale Le preparazioni di RNA totale sono composte prevalentemente di RNA ribosomiali (80-85% dell’RNA della cellula). Elettroforesi in gel di agarosio/formaldeide: l’elettroforesi in gel d’ agarosio delle molecole di RNA avviene in condizioni denaturanti, per svolgere possibili strutture secondarie. Agente denaturante: FORMALDEIDE, che forma addotti che mantengono l’RNA in forma denaturata. Tampone di corsa: poiché l’RNA si idrolizza facilmente a pH alcalino, si utilizzano sistemi tampone che mantengono il pH del gel intorno ai valori di neutralità (es. MOPS, 3 - (N - morpholino ) propanesulfonic acid). Ora che lo abbiamo estratto e quantificato, la domanda è: come lo utilizziamo? Lo dobbiamo manipolare in laboratorio, con degli strumenti che esistono in natura all’interno della cellula. Si è cercato di avere in laboratorio gli stessi strumenti della cellula, strumenti estratti (perche non sono riusciti ad essere sintetizzati) enzimi di restrizione. CAPITOLO 6: DA ENZIMI DI RESTRIZIONE A ELETTROFORESI ENZIMI DI RESTRIZIONE Gli enzimi di restrizione sono enzimi batterici che riconoscono corte sequenze (4-8 coppie di nucleotidi chiamate siti di restrizione) e tagliano entrambi i filamenti di DNA in corrispondenza di questi siti. Questi enzimi perché non tagliano il DNA del batterio stesso? perché alcune adenine e citosine sono metilate, per cui l’enzima non taglia il loro DNA Il DNA del batterio che li produce si protegge dalla degradazione perchè la metilazione di una adenina o di una citosina all’interno del sito di restrizione impedisce il taglio del DNA. Gli enzimi di restrizione (endonucleasi) tagliano i legami fosfodiesterici interni del DNA. le esonucleasi tagliano dall’esterno, le endo dall’interno. Gli enzimi sono stati denominati con abbreviazioni dei ceppi batterici da cui sono stati isolati. La prima lettera è una maiuscola ed è l’iniziale della specie batterica da cui è stata estratto l’enzima. Gabriele Pierro 15 Le due lettere seguenti, scritte in corsivo e minuscole, sono prese dalla nomenclatura del genere del batterio di origine. Un numero romano indica l’ordine di scoperta, qualora dallo stesso batterio siano stati isolati enzimi diversi. si pronuncia R1, R5… Endonucleasi di restrizione Le endonucleasi di restrizione si legano ad una sequenza specifica di DNA (sito di riconoscimento) e tagliano entrambi i filamenti di DNA. La sequenza riconosciuta non è unica, ma varia da enzima ad enzima. Endonucleasi che riconoscono la stessa sequenza sono isoschizomeri. Riconoscono la stessa sequenza ma sono enzimi diversi Le endonucleasi di restrizione sono state divise in 3 gruppi principali: Gli enzimi di tipo I sono poco utili perché tagliano il DNA in modo imprevedibile, perché una volta riconosciuta la sequenza l’enzima si sposta sul DNA, si arresta in maniera casuale 1000-5000 paia di basi più oltre e libera qualche decina di nucleotidi. Gli enzimi di restrizione di tipo II tagliano il DNA in modo specifico, preciso e riproducibile. Una volta riconosciuta la sequenza l’enzima taglia il DNA a livello di questa stessa sequenza, per questo sono tra gli enzimi più utilizzati. L’attività degli enzimi di tipo III riconoscono una sequenza e tagliano una ventina di nucleotidi più lontano. Gli enzimi della classe II riconoscono sequenze palindromiche: la sequenza è identica su entrambi i filamenti di DNA complementari quando viene letta da sinistra a destra su un filamento e da destra a sinistra sull’altro. Gli enzimi di restrizione di tipo II danno luogo a due tipi di taglio: 1 - Tagli a estremità nette o blunt ends: l’enzima taglia esattamente allo stesso livello su entrambe le catene, non può quindi verificarsi una riassociazione spontanea tra i frammenti tagliati. Gabriele Pierro 16 2 - Tagli a estremità coesive o protrudenti: i tagli sono sfasati uno rispetto all’altro sulle due eliche. Dopo un taglio di questo tipo le porzioni a singola elica complementari potrebbero riappaiarsi. Altri tipi di enzimi usati in biologia molecolare: POLIMERASI - trascrittasi inversa (trascrive l’RNA in DNA complementare o cDNA in senso 5’ 3’) - DNA polimerasi I: viene utilizzata per sintetizzare un DNA a partire da uno stampo, possiede 3 attività: 1 - una attività polimerasi ca 5’ 3’a partire da un primer 3’OH 2 - una attività esonucleasica 3’ 5’ (proof-reading) 3 - una attività esonucleasica 5’3’ (elimina piccoli gruppi di nucleotidi) - frammento di Klenow: privato dell’attività esonucleasica 5’ 3',conserva l’attività polimerasica ed esonucleasica3’ 5’-DNA polimerasi T4: possiede le stesse attività del frammento di Klenow - transferasi terminale (catalizza senza bisogno di uno stampo l’aggiunta di desossinucleotidi all’estremità 3’OH libera della molecola di DNA) aggiunge una coda la creazione di estremità coesive che vengono utilizzate per integrare il DNA in un vettore - poli A polimerasi: catalizza la formazione del poliA all’estremità 3’OH degli RNA messaggeri. L’enzima utilizza l’ATP come donatore di ribonucleotidi. - RNA polimerasi: trascrive un DNA a singola elica in RNA. La sintesi viene effettuata senza primer e necessita di ribonucleotidi trifosfati in senso 5’ 3’. Ciascuna di esse può cominciare la trascrizione solo se il DNA da trascrivere possiede il promotore specifico corrispondente. Di esse 3 sono molto utilizzate per la sintesi di sonde: 1 - RNA polimerasi SP6 (estratta da Salmonella Typhimurinum LT2) 2 - RNA polimerasi T7 (estratta da E.coli infettato dal batteriofago T7) 3