Riassunto Sistemi Politici Comparati PDF

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Vassallo

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political science comparative politics political systems political theory

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Questo documento è un riassunto dei capitoli 1-3 del libro "Sistemi politici comparati" di Vassallo. Analizza concetti come politica, regime, stato e sistema politico, nonché le funzioni della politica e le diverse sfaccettature degli studi politici. Il documento esplora anche la formazione degli stati nazionali e la necessità della comparazione nella scienza politica.

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19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) CAPITOLO 1 - POLITICA COMPARATA 1. POLITICA, REGIME, STATO, SISTEMA POLITICO Di cosa parliamo quando parliamo di “politica”? Una analisi della politica condotta con met...

19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) CAPITOLO 1 - POLITICA COMPARATA 1. POLITICA, REGIME, STATO, SISTEMA POLITICO Di cosa parliamo quando parliamo di “politica”? Una analisi della politica condotta con metodo scientifico non può che partire da una definizione univoca, parsimoniosa e priva di connotazioni valutative, che ci consenta di delimitare questo particolare campo dell’azione umana, a partire dalla specifica funzione che solo la politica svolge per qualsiasi collettività. Tale funzione consiste nell'assunzione di decisioni pubbliche collettivamente vincolanti = decisioni prese da autorità pubbliche, che si applicano a tutti i componenti della collettività e a cui nessuno di essi si può sottrarre senza correre il rischio di subire sanzioni. - Easton → politica = sistema che stabilisce “l’allocazione imperativa dei valori” per una società - Sartori → politica = sfera delle decisioni collettivizzate, sovrane, coercitivamente sanzionabili e senza uscita È una funzione insostituibile perché qualsiasi collettività ha bisogno di essere governata. Per non essere lacerata da conflitti insanabili o da attacchi distruttivi, ha bisogno di istruzioni che garantiscano l’ordine interno e la difesa verso l’esterno. Non sono però solo i decisori pubblici a fare politica: rientrano nel nostro campo di interesse tutte le azioni che influenzano, direttamente o indirettamente, la competizione per accedere a ruoli di governo e il modo in cui vengono esercitati i poteri connessi. La politica così intesa presuppone l’esistenza di una comunità politica che si è data o che è comunque sottoposta a uno specifico regime politico, cioè a un assetto istituzionale stabile nel quale a chi ricopre determinati ruoli è riconosciuto il potere di prendere decisioni collettivamente vincolanti. La politica presuppone l’esistenza di una comunità politica che si è data o che è sottoposta a uno specifico regime politico. Il termine “regime” non si riferisce solo alle dittature, ma esistono regimi autoritari o regimi democratici, stabili o instabili. La gran parte dei regimi politici contemporanei ha tuttavia caratteristiche abbastanza diverse rispetto a tutti quelli appena citati. I regimi politici di oggi mantengono tratti acquisiti nel processo di formazione degli stati nazionali, in epoca moderna. Weber → lo stato moderno si contraddistingue per: - una rigorosa definizione dei confini territoriali entro cui si esercita il potere sovrano e la difesa - la costruzione di una identità nazionale che fissa un ulteriore confine tra ogni “popolo” e gli altri - la neutralizzazione e sottomissione di contropoteri quali erano stati chiesa, feudi e corporazioni - la creazione di una burocrazia pubblica a cui viene affidato il compito di attuare le decisioni prese dalle autorità politiche in maniera uniforme e impersonale, tramite funzionari stipendiati e specializzati per settore di intervento e per competenze - la tutela della sovranità nazionale dalle interferenze di soggetti esterni - l’attribuzione alle sole istituzioni pubbliche del monopolio della coercizione legittima Il processo di formazione degli stati nazionali è venuto a compimento tra il 1600 e il 1800 attraverso Guerra dei 30 anni, pace di Westfalia, Rivoluzione francese, Congresso di Vienna e Restaurazione. Inizialmente è stato promosso dalle monarchie assolute, che la diffusione del pensiero liberale e dell’economia di mercato hanno trasformato in monarchie o repubbliche parlamentari. Il modello è stato poi esportato nelle colonie, mentre in altre parti del pianeta si è sviluppato per imitazione o secondo percorsi storici indipendenti, continuando a diffondersi per tutto il XX secolo. Nell’ambito della formazione dello stato moderno, si è inoltre affermata l’idea della separazione tra diversi organi dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario e la distinzione tra le sfere politica, economica e religiosa. Lo sviluppo del capitalismo industriale ha reso necessaria la creazione di un sistema di norme e apparati amministrativi nazionalmente uniformi, e ha portato la borghesia ad affermare la propria libertà di svolgere attività economiche in maniera indipendente dalla volontà dei monarchi. about:blank 1/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) Allo stesso tempo, si è affermata l’autonomia delle istituzioni dello Stato dalle autorità ecclesiastiche. La democrazia si è affermata nell’ambito degli stati nazionali e continua a svolgersi al loro interno. Grandi cambiamenti hanno trasformato il contesto: capitali, tecnologie, imprese, merci, persone, cultura popolare e ricerca si diffondono e si muovono scavalcando i confini nazionali. È sempre più evidente che gli stati nazionali non possono governare, ciascuno per loro conto, i potenti processi che li attraversano per effetto della globalizzazione. Per fare fronte a questi limiti, sono stati definiti insiemi di principi, norme, istituzioni che tutelano diritti, dirimono conflitti o regolano l’economia al livello globale e che gli scienziati sociali considerano regimi internazionali. L’Unione Europea costituisce un tentativo più complesso e ambizioso che mira a creare istituzioni di governo sovranazionali; gli stati e le autorità politiche rimangono attori chiave nel mondo contemporaneo. Anche il modo in cui si muovono nello scenario internazionale dipende dalle dinamiche del sistema politico interno. La curiosità dei politologi è rivolta alle interazioni e ai processi che si svolgono al loro interno. In questo senso, l’analisi riguarderà i sistemi politici dei paesi nei quali si è affermato un regime democratico. L’espressione “sistema politico” è stata introdotta negli anni ‘60 all’interno dai cultori di un approccio rimasto in voga per un paio di decenni e denominato struttural-funzionalismo. Nel loro schema, concepire la politica come un “sistema” voleva dire sottolineare che essa è composta da una serie di elementi tra loro interdipendenti, che è governata da logiche non sempre chiare per chi la osserva dall’esterno. La comunicazione tra sistema politico e società si svolge attraverso una sequenza di stimoli e reazioni, attraverso gli output che il primo produce in risposta agli input che riceve dall’ambiente sociale. Gli input vengono da individui, movimenti, gruppi che agiscono nella società e consistono sia in domande rivolte alla politica sia in sostegno offerto al regime nel suo complesso oppure a specifici attori. Gli attori politici filtrano, aggregano in programmi di governo e traducono le domande in decisioni di politica pubblica, che costituiscono l’output. Le decisioni pubbliche producono effetti sull’ambiente sociale e modificano le aspettative, la disponibilità a offrire sostegno al sistema politico. Almond e Powell → ipotizzano che qualsiasi sistema politico sia chiamato a svolgere funzioni: - sistemiche = di socializzazione (reclutamento del personale politico, comunicazione) - di processo = articolazione e aggregazione degli interessi, elaborazione delle politiche - di politica pubblica = estrazione, regolazione e distribuzione Gli scienziati politici avrebbero dovuto mettere a confronto le strutture che nei vari sistemi politici assolvono a ciascuna di quelle funzioni. Alla prova dell’analisi empirica, le categorie del modello sistemico si sono rivelate troppo vaghe e l’approccio sistemico già alla metà degli anni ‘80 era stato abbandonato. 2. FINALITÀ E SETTORI DELLA SCIENZA POLITICA Filosofia politica → lavora sulle teorie e i concetti attraverso cui si può giudicare la giustezza morale delle scelte pubbliche Storia politica → descrive singoli movimenti, partiti, personalità o fenomeni e ne offre un’interpretazione cercando le connessioni tra una sequenza di eventi documentati Diritto costituzionale → studia il sistema delle norme in base alle quali si può valutare la correttezza giuridica dei comportamenti politici La principale ambizione dei politologi è quella di spiegare i comportamenti degli attori e lo svolgimento dei processi politici andando alla ricerca dei fattori che li influenzano con una certa regolarità. Anche i politologi si interessano alle ideologie, ma le studiano come cause dei comportamenti politici o come mezzi di comunicazione tra le élite e il pubblico. Capita loro di analizzare l’evoluzione nel corso del tempo di un partito o di un sistema politico, il ruolo giocato da un leader o lo svolgimento di uno specifico evento, ma più che alla descrizione sono interessati a mettere in evidenza i nessi causali più rilevanti. about:blank 2/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) Anche nella nostra analisi delle democrazie porremo una particolare attenzione alle regole istituzionali e alle norme costituzionali, ma per una ragione diversa da quella per la quale se ne occupano i costituzionalisti. I politologi non sono interessati e non sono addestrati a giudicare la costituzionalità dei comportamenti politici; considerano le regole costituzionali come una struttura che crea vincoli e opportunità per gli attori politici, che contribuisce a spiegare i loro comportamenti e il modo in cui le istituzioni politiche concretamente funzionano. All’interno della scienza politica si possono identificare due distinzioni che delimitano alcuni sottosettori della disciplina. La politica si svolge: - all’interno degli stati - tra gli stati - all’interno di istituti sovranazionali Ci sono teorie e comunità di ricerca specificamente rivolte all’analisi delle relazioni internazionali. Il settore degli studi riguardanti le arene domestiche è denominato politica comparata; mentre gli studi sull’Unione Europea costituiscono un ulteriore sottosettore. La politica ha due dimensioni, catturate nella lingua inglese dai termini politics e policy: quella della lotta o della competizione per accedere a posizioni di governo e acquisire il potere di prendere decisioni collettivamente vincolanti; quella dell’esercizio dei poteri di governo per rispondere alle domande della società e risolvere problemi collettivi. È abbastanza usuale che il secondo sottosettore venga etichettato come “comparative public policy”, policy studies o analisi politiche pubbliche, e il primo “comparative politics” o comparative government. 3. PERCHÉ È NECESSARIA LA COMPARAZIONE Si può parlare della politica in un singolo paese anche evitando schemi di analisi di tipo comparativo. Si rischia però facilmente di cadere nella narrazione di una serie di eventi futili e di aspetti irrilevanti, oppure di considerare eccezionali fatti che in realtà sono abbastanza consueti in molti paesi simili oppure di considerare normali peculiarità del paese che si sta analizzando. Per descrivere in maniera intelligente un singolo sistema politico democratico abbiamo bisogno di categorie e parametri comparativi, di appropriati strumenti di classificazione e di misurazione. In molti casi, prima di misurare, dobbiamo classificare. Quando le differenze di cui ci interessa tenere conto sono differenze di genere o di specie, quando ci imbattiamo in differenze date dalla presenza/assenza di determinate caratteristiche importanti ai fini dell’analisi, ricorriamo a classificazioni. Le classificazioni sono tipologie se sono basate su più criteri contemporaneamente e ci portano a identificare quattro o più tipi. Al contrario, quando le differenze che ci interessa esaminare sono di grado, abbiamo bisogno di trovare indicatori empirici codificabili che ci diano una misura per quanto possibile affidabile dell’intensità con cui la caratteristica in questione si presenta in ciascuno dei casi che stiamo analizzando. Non è sempre ovvio che sia preferibile classificare piuttosto che misurare; non sempre i due metodi si escludono a vicenda: la scelta dipende dalla natura dei nostri stessi interrogativi. Molti aspetti della vita politica non possono essere esaminati se non attraverso articolate descrizioni esposte in forma discorsiva, con tutte le possibili distorsioni che comportano le narrazioni affidate alla capacità retorica, alla scelta dei dettagli su cui mettere l’accento e all’intuito degli analisti. Dunque, schemi di analisi e parametri comparativi ci aiutano a descrivere in maniera intelligente le caratteristiche variano da un paese all’altro; è proprio la comparazione che ci aiuta a spiegare i fenomeni osservati attraverso i fattori che li influenzano con una certa regolarità. La politica comparata aspira a identificare meccanismi di causa-effetto che si ripetono con una certa regolarità in contesti diversi. Gli scienziati politici tendono a riformulare quesiti in termini più generali, chiedendosi: quali fattori favoriscono la transizione verso regimi democratici e il consolidamento della democrazia; quali fattori influenzano il grado di partecipazione degli individui alla vita pubblica; quali fattori influenzano la moltiplicazione dei partiti o la stabilità dei governi. Rispondendo a questi quesiti si about:blank 3/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) può provare a capire quali fattori ricorrenti e quali specifici influenzano la partecipazione politica, la democratizzazione, il numero dei partiti o la stabilità dei governi. I politologi accademici cercano di elaborare ipotesi scientifiche simili a quelle che consentono al medico di spiegare perché certi tipi di individui sono più soggetti di altri ad avere ricorrenti problemi cardiovascolari o perché questo capita a un determinato paziente. 4. METODI DI CONTROLLO STORICO E STATISTICO Studiando il decorso di un processo in un certo numero di casi si può provare a identificare il meccanismo causale che lo ha generato a identificare la logica comune che sorregge quel processo e gli specifici fattori che hanno generato esiti differenti da caso a caso. Metodo storico → per il tipo di interrogativi a cui cerca di rispondere e il tipo di informazioni che usa, richiede uno studio approfondito di pochi casi condotto solitamente attraverso classificazioni, tipologie e ricostruzioni di tipo narrativo. Confrontando il modo in cui i fenomeni si sono svolti nei paesi, si può verificare se esiste una relazione statistica tra i modi in cui quei fenomeni variano. Questo metodo, piuttosto che aiutare a capire quale sia la genesi storica di un fenomeno, è utile per verificare se e in che misura certi fattori o aspetti del sistema politico ne influenzano stabilmente altri, può portare sostegno empirico o confutare ipotesi circa le relazioni causali esistenti tra una o più variabili indipendenti e una specifica variabile dipendente. L’indizio che esista una relazione causale tra le variabili è dato dall’eventuale correlazione statistica tra il modo in cui variano le proprietà che supponiamo siano le cause e il modo in cui varia la proprietà che consideriamo l’effetto. Questo metodo implica il ricorso a molti casi, ma induce a concentrarsi su poche variabili e quindi fa perdere la ricchezza delle analisi condotte attraverso esposizioni approfondite di tipo narrativo. Metodo storico e metodo statistico seguono fini diversi ma sono ugualmente utili: aiutano a inferire dai dati empirici disponibili ipotesi di carattere generale. 5. STRUTTURE, CULTURA, CALCOLO RAZIONALE E ISTITUZIONI La politica comparata cerca di affrontare con un approccio realistico ed empirico questioni di fondo riguardanti il modo in cui è distribuito il potere politico, chi ottiene cosa dalle scelte pubbliche, come si costituiscono i regimi politici e come possono essere sfidate le autorità. Le ipotesi scientifiche che toccano questi aspetti sono basate sulle conoscenze già consolidate e sono orientate da scuole di pensiero, strategie di ricerca, cioè modi diversi di inquadrare i problemi e trovare spiegazioni, su assunti di fondo che inducono a selezionare cosa sia più importante studiare e quale tipo di spiegazione sia più pertinente. Un’importante distinzione tra i vari approcci riguarda il rilievo dato a tre elementi che contribuiscono a spiegare il comportamento degli individui o dei gruppi in contesti sociali: 1. struttura delle relazioni entro cui individui e gruppi sono inseriti; può essere definita dalla divisione del lavoro in una fase dello sviluppo economico e dalla divisione della società in classi 2. cultura = codici cognitivi, valori, comprensioni del mondo attraverso cui gli individui filtrano e valutano le alternative disponibili, che può portarli a essere più o meno inclini a cooperare tra loro o a essere sottomessi a una gerarchia 3. scelta razionale → tutti gli individui tendono a perseguire razionalmente un loro sistema di preferenze e tendono a massimizzare un certo tipo di obiettivi Nella scienza politica contemporanea si è poi verificato un generale ritorno di interesse per le istituzioni, che ha attraversato diverse scuole, al punto che con lo stesso termine si indicano strategie diverse: - neoistituzionalismo storico → si prediligono il metodo storico e le spiegazioni basate su fattori strutturali about:blank 4/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) - neoistituzionalismo sociologico → per “istituzioni” si intendono norme interiorizzate, schemi mentali, quadri cognitivi che definiscono le preferenze degli attori, vincolano le loro aspettative e i loro orientamenti - neoistituzionalismo razionale → evoluzione delle teorie economiche della politica e considera le istituzioni principalmente come regole o procedure che costituiscono un vincolo rispetto al quale gli attori adattano strumentalmente le loro strategie o come un mezzo attraverso cui attori razionali si propongono di raggiungere equilibri collettivamente più vantaggiosi 6. LA COMPARAZIONE E L’ANALISI DEI CASI Descrivere e spiegare sono due operazioni intellettuali tra loro strettamente legate. Non potremmo andare alla ricerca di spiegazioni convincenti circa la variabilità di un determinato fenomeno se prima non fossimo in grado di descriverlo attraverso concetti e misure appropriate Non potremmo trovare spiegazioni convincenti del modo in cui varia questa “variabile dipendente” se non disponessimo anche di buone concettualizzazioni e misurazioni delle possibili “variabili indipendenti”. Descrizione e spiegazione sono però legate anche in un altro senso. L’accumulazione di ipotesi circa i meccanismi causali che legano tra loro alcune caratteristiche dei sistemi politici ci induce a porre una particolare attenzione su quegli aspetti piuttosto che su altri. La comparazione migliora la capacità di analisi della politica in modo circolare: - la descrizione dei singoli casi spinge a costruire parametri comparativi e sollecita quesiti circa la relazione causale tra variabili - con il metodo comparato si può sottoporre a verifica ipotesi scientifiche generali che consentono di spiegare la variabilità dei fenomeni politici attraverso l’identificazione dei meccanismi causali che li generano o li favoriscono - il repertorio di ipotesi scientifiche di cui si può disporre aiuta a costruire schemi di analisi e spiegazioni dei singoli casi sempre più accurate about:blank 5/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) CAPITOLO 2 - TIPI DI REGIME 1. DEFINIRE LA DEMOCRAZIA 1.1 Partecipazione e delega. La legittimazione elettorale dei governanti In che senso le democrazie garantiscono “il governo del popolo”? Abbiamo bisogno, per rispondere, di una definizione normativa della democrazia che dica quali caratteristiche deve avere un regime democratico, da cui ricavare criteri e indicatori empirici che consentano di valutare quali tra i regimi esistenti o esistiti possono essere considerati tali. Secondo la visione condivisa dalla cultura liberale in Occidente, la democrazia è un metodo. Bobbio → “l’unico modo di intendersi quando si parla di democrazia è di considerarla caratterizzata da un insieme di regole che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure. Un regime democratico è caratterizzato dall'attribuzione a un numero molto alto di membri del gruppo. La regola fondamentale della democrazia è la regola della maggioranza. Occorre che coloro che sono chiamati a decidere o a eleggere coloro che dovranno decidere siano posti di fronte ad alternative reali e siano messi in condizione di poter scegliere tra l’una e l’altra”. Dahl → in una democrazia ideale, che rispecchi il significato del termine “governo del popolo”, tutti coloro i quali sono sottoposti a decisioni collettive, e solo loro, dovrebbero avere una eguale ed effettiva opportunità di partecipare al processo che porta all’adozione di quelle stesse decisioni. Affinché il processo decisionale risulti perfettamente democratico dovrebbe soddisfare alcuni criteri: - tutti (o quasi) gli adulti sottoposti alle decisioni collettive dovrebbero essere inclusi nel demos = dovrebbero essere riconosciuti come cittadini dotati di pieni diritti politici - tutti i cittadini dovrebbero avere pari possibilità di esprimere le loro preferenze riguardo ai temi da inserire in agenda e di esprimere le loro ragioni a sostegno di una soluzione rispetto alle altre - dovrebbero disporre di una completa informazione sugli effetti delle possibili decisioni - dovrebbero avere un voto di eguale peso nella fase decisionale - dovrebbero mantenere il controllo finale sull’agenda e sull’eventuale delega dell’autorità Un processo decisionale perfettamente democratico presuppone una partecipazione costante dei cittadini e una “coscienza illuminata” da parte di ciascuno verso i problemi oggetto di decisioni collettive, condizione che neppure grazie alla diffusione delle conoscenze prodotta dalla rivoluzione telematica può essere soddisfatta. È probabile che gruppi più interessati e informati si attivino per influenzare specifiche decisioni in ciascuno dei settori, ma è impossibile che tutti si interessino di tutto. La democrazia in ogni organizzazione complessa è democrazia rappresentativa: non esclude la partecipazione dei cittadini, ma implica che il potere di governo sia esercitato da una élite. Schumpeter → visione più realistica di cosa distingua le democrazie e di cosa le renda rappresentative. “Il metodo democratico è lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare”. Questa definizione viene contrapposta alla “dottrina classica della democrazia” espressa dalla “filosofia settecentesca”, secondo la quale metodo democratico = “insieme di accorgimenti costituzionali per giungere a decisioni politiche, che realizza il bene comune permettendo allo stesso popolo di decidere attraverso l’elezione di singoli individui tenuti a riunirsi per esprimere la sua volontà”. Nella definizione classica risuona l’idea che la rappresentanza politica possa emergere dal basso. Ma questa visione presuppone l’esistenza di una “volontà popolare” chiara e distinta, indipendente e precedente rispetto alle proposte avanzate e che sia possibile determinare in maniera univoca quali decisioni realizzano il “bene comune”. La definizione minima e competitiva assume che i cittadini influiscano sulle decisioni collettive scegliendo tra le alternative offerte da leader in competizione tra loro: “la democrazia non significa che il popolo governi realmente in una qualunque delle accezioni normali dei termini “popolo” e “governo”; significa soltanto che il popolo ha l’opportunità di accettare o rifiutare gli uomini che dovranno governarlo. Dobbiamo limitare la nostra definizione aggiungendo un secondo criterio del metodo democratico: la libera concorrenza tra candidati alla leadership per il voto degli elettori”. about:blank 6/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) Nei regimi democratici: 1. una pluralità di leader e gruppi politici competono liberamente per conquistare il consenso degli elettori e assumere ruoli di governo 2. la scelta e la sostituzione dei governanti è decisa dal voto dei cittadini attraverso elezioni libere, corrette e ricorrenti La libera competizione tra partiti e leader che si contendono la delega dei cittadini non costituisce una garanzia formale di democraticità: è il meccanismo attraverso cui il governo viene reso rappresentativo. Downs → quali che siano le motivazioni che spingono i politici a candidarsi o le loro preferenze ideologiche, cercheranno di conseguire il miglior risultato possibile alle elezioni, o il risultato sufficiente a ottenere un incarico nelle assemblee legislative o del governo. In ogni caso, la competizione e la possibilità che possano essere sostituiti li costringe a tener conto delle aspettative dell’opinione pubblica. Si può affermare che “la democrazia è un regime politico caratterizzato dalla continua capacità di risposta del governo alle preferenze dei suoi cittadini, considerati politicamente eguali”. 1.2 Procedura e sostanza. Le garanzie del costituzionalismo liberale La definizione minima proposta da Schumpeter coglie un aspetto cruciale ma non è sufficiente: presta il fianco alle critiche di chi si aspetta che i regimi democratici affermino alcuni valori ritenuti fondamentali o una precisa visione della giustizia. La vera democrazia, dicono i sostenitori delle teorie sostanziali, dovrebbe garantire giustizia, piena occupazione, rispetto di valori nazionali, onestà delle classi dirigenti. Questo modo di pensare ha un difetto: presuppone che esista una sola e ovvia visione della giustizia, dei valori che devono essere difesi; sottovaluta che ciascun aspetto è inevitabilmente oggetto di un conflitto tra opinioni/interessi diversi. Le democrazie liberali sono basate sull’assunto che nessuno sia in grado di esprimere una perfetta visione della giustizia o di ciò che è bene per tutti e che il meglio per la società possa venire solo da un conflitto pacifico e regolato tra visioni della giustizia e tra interessi inevitabilmente in contrasto. Dahl → mostra come le cosiddette teorie sostanziali della democrazia portino dritto al “governo dei guardiani” = a legittimare l’instaurazione di regimi autocratici governati da una minoranza che pretende di rappresentare l’interesse di tutti o la volontà generale. È quello che è accaduto durante la rivoluzione francese quando Robespierre utilizzò le idee di Rousseau per giustificare il regime del Terrore. Dahl cita a sostegno di questa affermazione la teoria elaborata da Lenin all’inizio del ‘900 che attribuisce ai partiti comunisti il compito di costruire la società senza classi, attraverso la conquista del potere e l’applicazione della dottrina marxista in un regime a partito unico; dottrina alla base delle “democrazie popolari” del blocco sovietico e continua a esserlo della Repubblica Popolare Cinese. Nonostante prenda a riferimento un’ideologia teocratica e preveda un limitato pluralismo, la stessa logica è alla base della Repubblica Islamica dell’Iran, instaurata nel 1979 a seguito della rivoluzione guidata da Khomeini: ai vertici dello Stato, al fianco del presidente e del parlamento eletti direttamente dal popolo, sono posti la Guida suprema e il Consiglio dei guardiani scelti tra studiosi delle sacre scritture e leader religiosi incaricati di vigilare affinché il contenuto delle scelte politiche e la moralità dei candidati alle cariche pubbliche non siano in contrasto con la Costituzione e le prescrizioni della religione musulmana. In questo caso una specifica visione sostanziale riguardo a cosa sia il vero bene per il popolo prevale sulle procedure democratiche: non tutti i candidati e le forze politiche che potrebbero riscuotere il consenso dei cittadini sono ammessi al voto. Anche le costituzioni delle democrazie liberali presentano vincoli simili: ci sono candidati non ammessi al voto e ideologie dichiarate fuori legge; sono stabiliti diritti inviolabili. Questi vincoli sono tutti finalizzati a garantire l’effettività e la persistenza del processo democratico: 3. oltre al diritto di voto, sono garantite le libertà civili fondamentali di opinione, parola, informazione, associazione, senza le quali neppure la competizione elettorale sarebbe realmente libera 4. l’esercizio del potere di governo è soggetto a controlli e contrappesi tali da impedire che possa essere usato per comprimere diritti politici o libertà civili, per reprimere il dissenso e cancellare le garanzie democratiche about:blank 7/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) Si può dire che la democrazia è una procedura intessuta di una intricata matassa di beni sostanziali. Zakaria → “per l’Occidente, democrazia significa democrazia liberale: un sistema politico contrassegnato non solo da elezioni libere e corrette, ma anche dallo stato di diritto, dalla separazione dei poteri e dalla tutela delle libertà fondamentali. Ma questo pacchetto di libertà non ha intrinsecamente a che fare con la democrazia e le due cose non sono sempre andate insieme. Dopotutto, Hitler divenne cancelliere della Germania attraverso elezioni libere. Oggi i due filamenti della democrazia liberale, intrecciati nel tessuto politico occidentale, stanno venendo meno in tutto il mondo”. Contrappone alle democrazie liberali quelle che chiama democrazie illiberali. Altri autori, per designare gli stessi regimi, parlano di democrazie elettorali. Altri ancora parlano di democrazie elettorali per designare tutti i regimi che soddisfano almeno i requisiti della definizione minima, indipendentemente dal fatto che garantiscano o no le libertà civili fondamentali e adeguati contrappesi al potere dei governi. 2. MISURARE LA DEMOCRAZIA E SPIEGARE LA SUA DIFFUSIONE Le democrazie garantiscono il pluralismo politico e la legittimazione dei governanti attraverso elezioni competitive a suffragio universale. Affinché il processo democratico sia effettivo e irreversibile, devono essere garantite anche alcune libertà civili fondamentali e fissati limiti all’esercizio di potere di governo. Mentre le democrazie garantiscono il pluralismo politico, nelle autocrazie si afferma al potere una “coalizione dominante” che esclude sistematicamente altri gruppi. La sostituzione dei governanti avviene in altri modi: per via ereditaria o per cooptazione, attraverso guerre, rivoluzione popolari, colpi di stato, attraverso elezioni truccate o non competitive che non consentono ai cittadini realmente di scegliere tra diverse alternative e si limitano a confermare nel loro ruolo le autorità che compongono la coalizione dominante con un plebiscito. Nelle autocrazie i governanti ricorrono a diverse motivazioni per giustificare la loro pretesa di esercitare il potere senza o contro il libero consenso dei governanti. Nei regimi autoritari la partecipazione spontanea dei cittadini e l’espressione del dissenso vengono scoraggiati. La popolazione viene mobilitata dagli stessi governanti per promuovere l’adesione al regime. L’esercizio del potere di governo è più o meno arbitrario e privo di contrappesi, i diritti di libertà non sono garantiti. Come si può dire se un determinato paese è democratico oppure no? Il modo usato per stabilirlo o per misurare il grado di democraticità di un regime consiste nell’estrapolare da definizioni come quella a cui siamo pervenuti un elenco di requisiti e di usarli come una sorta di checklist. Dahl → elenco di “garanzie istituzionali” che i regimi democratici dovrebbero assicurare: - governanti eletti attraverso votazioni libere, corrette e ricorrenti - diritto di voto riconosciuto a tutti o quasi gli adulti residenti - libertà di espressione - libertà di associazione - accesso a fonti alternative di informazione Mentre la sussistenza di alcuni requisiti può essere verificata esaminando norme costituzionali e leggi, per molti altri ci si deve affidare a indicatori indiretti o al giudizio di esperti e osservatori indipendenti. Indagine Freedom House: viene svolta da gruppi di analisti ed esperti dei vari paesi che sono chiamati a rispondere a 10 domande relative alla garanzia/limitazione dei diritti politici e 15 domande relative alla garanzia/limitazione delle libertà civili. 1. Blocco 1 di domande: correttezza del processo elettorale, garanzia del pluralismo partitico, possibilità che i governi siano resi responsabili di fronte all’elettorato per le scelte che compiono 2. Blocco 2 di domande: libertà di pensiero e di espressione, libertà di associazione, esistenza di una magistratura indipendente, garanzia di un processo giusto, tutela dell’autonomia personale e dei diritti di proprietà I punteggi dei due gruppi vengono poi aggregati e ricodificati, invertendone la direzione, per ricavarne due punteggi distinti complessivi per paese sulla limitazione dei diritti politici e delle libertà civili. about:blank 8/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) Freedom House designa come “democrazie elettorali” tutti i paesi in cui sono garantiti i diritti politici fondamentali e i governanti sono legittimati da elezioni a suffragio universale abbastanza corrette. I paesi liberi sono a tutti gli effetti delle “democrazie liberali” perché garantiscono anche le libertà civili incluse nella definizione nella definizione estesa di democrazia. Gli altri paesi rientrano di conseguenza nella categoria dei “regimi non democratici”. Indagine Polity: vengono assegnati due punteggi a ciascun paese 1. Punteggio 1: misura la presenza di alcune caratteristiche tipiche delle democrazie 2. Punteggio 2: misura la presenza di caratteristiche tipiche delle autocrazie Sottraendo il secondo valore al primo si ottiene un punteggio unico: un valore positivo indica che prevalgono le caratteristiche democratiche, un valore negativo indica il contrario. È discutibile se sia più appropriato misurare il grado di democraticità dei regimi o se sia più corretto classificarli a seconda che superino o no determinati requisiti minimi. I politologi si dividono su questo interrogativo e tendono a usare una o l’altra soluzione in base al tipo di analisi che vogliono svolgere. Le differenze dipendono da tre ordini di motivi: 1. le due indagini si basano su definizioni concettuali della democrazia non identiche 2. i punteggi finali derivano da indicatori diversi 3. le rilevazioni sottostanti non sono del tutto “oggettive” e i due gruppi di ricerca potrebbero aver tratto conclusioni diverse riguardo a uno stesso aspetto o avere registrato con tempi diversi alcuni cambiamenti in atto 3. LO SVILUPPO DELLA DEMOCRAZIA NEL CORSO DEL TEMPO. ONDATE E RIFLUSSI La traduzione delle caratteristiche dei regimi codificati non serve solo a distinguere i paesi democratici da quelli che non lo sono. Gli scienziati politici usano dati e tecniche statistiche per studiare le tendenze che si sono sviluppate nel corso del tempo a transitare da un tipo di regime all’altro e scoprire così i fattori che facilitano uno stabile approdo della democrazia o lo scoraggiano. Huntington → parla di ondate di democratizzazione e riflussi per indicare un fenomeno verificatosi più volte tra ‘800 e ‘900: a un periodo nel quale i paesi approdati o tornati a un regime democratico sono stati in numero nettamente superiore rispetto ai paesi teatro di regressioni autoritarie sono seguite fasi nelle quali è prevalsa la tendenza opposta. Le più recenti analisi hanno confermato che: - prima ondata: aumento costante della quota dei paesi democratici dall’inizio dell’800 fino al 1920 a cui è seguito un forte calo intorno al 1930 → primo riflusso - seconda ondata: dopo la seconda guerra mondiale, con il ritorno alla democrazia nei paesi dell’Europa occidentale e con l’indipendenza delle loro ex colonie, che spesso sono poi regredite verso regimi autoritari negli anni ‘50 e ‘60 → secondo riflusso - terza ondata: iniziata a metà degli anni ‘70 ha coinvolto prima paesi del Sud Europa, dell’America Latina, ex colonie britanniche e dopo il 1989 i paesi dell’ex blocco sovietico → no terzo riflusso Il salto prodotto dalla terza ondata è ben visibile soprattutto tra i paesi dell’ex blocco sovietico, dell’America Latina, del Pacifico e dei Caraibi, dell’Africa subsahariana. Le curve salgono fino ai primi anni ‘90 e poi si stabilizzano. La quota dei paesi liberi cresce con una sostanziale continuità dal 1975 al 1999 per poi rimanere stabile nel primo quindicennio del nuovo secolo. 4. LE DETERMINANTI ECONOMICHE E CULTURALI DELLA DEMOCRATIZZAZIONE La gran parte dei tentativi di spiegare perché certe aree e certi paesi sono arrivati prima/più agevolmente di altri alla democrazia ruotano intorno a due famiglie di ipotesi, entrambe elaborate nel solco della teoria della modernizzazione → Weber. Prima teoria: la democrazia è favorita dallo sviluppo economico, in quanto esso rende le società più ricche e complesse. L’organizzazione del lavoro nelle imprese industriali, e di più in quelle post industriali, richiede la cooperazione attiva dei dipendenti e crescenti livelli di istruzione. La diffusione about:blank 9/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) dell’istruzione fa crescere la domanda di autonomia individuale delle persone e la loro capacità di rivendicare diritti. Lipset → prendendo come riferimento da un lato i paesi europei e di lingua inglese e dall’altro quelli latinoamericani, aveva mostrato come all’interno di ogni sottogruppo le democrazie stabili presentassero livelli di ricchezza, industrializzazione, urbanizzazione e istruzione più elevati rispetto alle democrazie instabili o alle dittature. Lipset aveva anche notato che se un rapido sviluppo economico crea forti diseguaglianze può portare alla radicalizzazione delle classi più svantaggiate. Va ricordato che si sta parlando di fattori che favoriscono, a parità di altre condizioni, l’esito democratico. Sulla base di analisi statistiche, l’esito democratico risulta più frequente a parità di altre condizioni, in presenza di maggiore sviluppo economico e maggiori livelli di istruzione. Nelle parole di Lipset: “una forma politica può svilupparsi come risultato di una confluenza di fattori storici unici, anche se le principali caratteristiche della società favorirebbero un’altra forma”. Successive ricerche hanno contribuito a circostanziare questa affermazione. Przeworski → “le transizioni alla democrazia si verificano in un’ampia varietà di condizioni, mentre le transizioni verso le dittature mostrano schemi ben definiti”. È più facile identificare le condizioni che favoriscono la sopravvivenza dei regimi democratici rispetto a quelle che favoriscono l’instaurazione. Aveva notato che raramente si svolgono transizioni alla democrazia in paesi molto poveri, ma è allo stesso modo difficile che si verifichino se una dittatura è sopravvissuta in un paese divenuto abbastanza ricco. Considerando la traiettoria opposta (democrazia → autoritarismo), ha riscontrato una regolarità: le democrazie dimostrano una maggiore capacità di sopravvivenza. Non si può dare per scontato che un determinato fattore esplicativo produca in tutte le fasi storiche il medesimo effetto. Studi recenti hanno mostrato che “la correlazione tra reddito e democrazia ha registrato un netto calo dopo la seconda guerra mondiale, ma è rimasta costante e significativamente positiva da allora". La correlazione democrazia–uguaglianza economica è costantemente diminuita ed è ora un predittore marginalmente significativo. Il potere esplicativo delle variabili di modernizzazione economica è diminuito a tal punto che ora risultano più correlate con la democrazia le variabili geografiche”. Per quanto possa crescere il reddito nazionale, un paese africano e asiatico ha molte meno probabilità di diventare democratico di un paese dell’America Latina. Seconda teoria: influenza dei fattori culturali e religiosi. Weber → l’autonomia individuale e la ricerca dell’autorealizzazione proprie della cultura moderna, alla base tanto dello sviluppo capitalistico quanto della democrazia, furono favorite dallo scisma protestante e dalla diffusione dell’etica calvinista. Huntington → sostiene che l’espansione o il recesso della democrazia sono influenzate da specifiche predisposizioni di ciascuna civiltà = modi di pensare, concezioni del modo e del rapporto tra individui e società trasmessi attraverso le tradizioni religiose. Ha anche predetto che lo scontro tra civiltà potrebbe essere alla base di futuri conflitti globali; a suo giudizio, la cultura trasmessa attraverso la religione confuciana inibisce l’affermarsi di una distinzione tra società e stato in quanto enfatizza l’importanza dell’autorità, della disciplina e della responsabilità, contro la libertà individuale. Przeworski → le sue analisi non confermano che il protestantesimo abbia avuto un effetto positivo sulla democratizzazione né che il confucianesimo o l’islam abbiano avuto un effetto negativo, al netto dell’influenza di altri fattori come l’istruzione o lo sviluppo economico. Inglehart → modernizzazione culturale, che combina la prospettiva economica e quella culturale. Inglehart e Welzel → più che alla religione, bisogna guardare alla diffusione in ciascun paese di valori che esaltano la libertà individuale. La democratizzazione sarebbe facilitata dalla diffusione di valori “auto espressivi” o “emancipativi” che portano ad affermare l’eguaglianza tra i generi contro visioni patriarcali, la tolleranza verso stili di vita non convenzionali piuttosto che la pressione a conformarsi agli stili di vita prevalenti, l’autonomia individuale piuttosto che il rispetto incondizionato dell’autorità. La predominanza about:blank 10/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) protestante appare correlata con la democratizzazione non perché ne sia la causa, ma perché si è diffusa nei paesi dove sono presenti condizioni socioeconomiche che rafforzano valori emancipativi. Inglehart e Welzel → nei paesi musulmani in cui la ricchezza cresce e si diffonde, essere musulmano costituisce un freno molto più tenue alla transizione verso i valori autoespressivi e quindi verso regimi democratici. 5. I FATTORI STORICI CONTINGENTI DELLE TRE ONDATE L’analisi statistica ci aiuta a verificare quali fattori promuovono la democrazia nel lungo termine, ma ciascuna delle tre ondate è anche frutto di una concatenazione di fattori economici, sociali e politici specifici che può essere ricostruita solo attraverso l’analisi storica. Moore → conduce una ricerca che ha a oggetto 6 paesi e identificò i fattori che hanno portato Inghilterra, Francia e USA a superare la transizione da un’economia agricola a una industriale approdando stabilmente alla democrazia sin dalla prima ondata. L’esito democratico è stato possibile perché in quei paesi la monarchia e l’aristocrazia terriera si sono indebolite. La seconda ondata fu favorita da ben evidenti e già richiamati fattori internazionali (sconfitta delle potenze dell’Asse; indipendenza delle colonie; influenza americana). Huntington → 5 elementi alla base della terza ondata: 1. la forte e costante crescita economica degli anni ‘50-‘60 aveva portato a una diffusione di benessere istruzione, aumentando l’autonomia della società civile e la domanda di diritti e libertà 2. la recessione economica iniziata con gli shock petroliferi della prima metà degli anni ‘70 e le connesse tensioni sociali portarono a una crisi di legittimazione dei regimi autoritari 3. con il concilio Vaticano II la dottrina della Chiesa cattolica subì cambiamenti importanti, interiorizzò un giudizio positivo sulla democrazia e la libertà di coscienza, che fino ad allora erano state considerate con ostilità o sospetto 4. le politiche degli altri principali attori internazionali cambiarono verso la democratizzazione 5. l’affermazione dei mezzi di comunicazione di massa a livello internazionale ha facilitato la rapida diffusione di casi esemplari in cui le transizioni alla democrazia hanno avuto rapidamente successo, stimolando le emulazioni e creando un effetto valanga Per capire come si svolgono le transizioni alla democrazia dobbiamo considerare soprattutto quale tipo di regime autoritario preesisteva. 6. TIPI DI AUTOCRAZIE E MODALITÀ DELLA TRANSIZIONE Primo modo per classificare i regimi non democratici = composizione della coalizione dominante. Se si guarda ai sistemi politici negli stati nazionali contemporanei, possiamo identificare 4 tipi di autocrazie e una tendenza all’affermazione di dittature personali: 1. monarchie assolute → la trasmissione del potere avviene per via ereditaria; il fulcro della coalizione dominante è composto da una famiglia reale che deriva la sua legittimità a governare da tradizioni ancestrali intessute di elementi religiosi. Weber le chiama regimi patrimoniali. È la forma di governo autoritaria più diffusa nell’800 e oggi presente quasi solo in Medio Oriente 2. regimi a partito unico → instaurati e sostenuti da movimenti politici organizzati che conquistano il potere ed escludono ufficialmente il pluralismo mettendo fuori legge i partiti avversari. Sono sostenuti da una giustificazione ideologica e anche da un certo consenso popolare iniziale. Entrano in scena solo all’inizio del ‘900, con le rivoluzioni comuniste e l’avvento al potere di partiti fascisti, ma anche questa forma è oggi confinata a pochi paesi come Cina, Vietnam, Cuba 3. regimi militari → instaurati attraverso un colpo di stato e con una giustificazione di tipo tecnocratico, ebbero un picco a metà degli anni ‘70 soprattutto in America Latina, finendo per riguardare quasi solo paesi africani e del Sud-Est asiatico 4. pseudodemocrazie → forma autoritaria oggi prevalente, detta anche regimi a multipartitismo limitato o autoritarismi elettorali; si tratta di regimi che prevedono lo svolgimento di elezioni a cui sono ammessi più partiti che però non sono affatto libere, pacifiche, corrette, realmente competitive. Il partito di governo è in condizione di eliminare gli avversari e manipolare i risultati about:blank 11/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) Nella realtà si trovano anche molti casi ibridi. Comunque, tutti i tipi (ibridi e puri) possono assumere inoltre la torsione della dittatura personale = la coalizione dominante più che essere tenuta insieme dai legami organizzativi di partito o militari ruota intorno a un singolo leader. Un fenomeno autoritario oggi ricorrente consiste appunto nell’affermazione di capi di governo dai tratti autoritari all’interno di democrazie elettorali tendenti a degenerare in pseudodemocrazie. Secondo modo di classificare le autocrazie = considerare l’intensità con la quale il regime esclude il pluralismo e reprime il dissenso. Non tutti i regimi autoritari sono sono totalmente illiberali: - di norma concedono margini di autonomia ad alcune componenti della società civile o le includono nella coalizione dominante - l’esercizio del potere è in qualche misura prevedibile - lo stato non ha un’ideologia guida totalizzante e sono talvolta tollerati partiti di semiopposizione Alcuni scienziati politici ritengono utile collocare in due ulteriori categorie i casi estremi nei quali la repressione assume forme particolarmente acute e odiose: - regimi totalitari → forme estreme di regimi a partito unico, orientati da un’ideologia che mira a trasformare radicalmente la società - regimi sultanistici → forme estreme di dittature personali Dahl → ulteriore tipologia partendo da due criteri discriminanti: i regimi politici possono garantire 1. una libera competizione politica oppure negarla 2. la partecipazione al voto a (quasi) tutta la popolazione o riconoscerla solo a una piccola parte Si possono quindi avere: - oligarchie chiuse (non c’è competizione né partecipazione) - oligarchie competitive (c’è competizione ma la partecipazione è riservata ai privilegiati) - egemonie includenti (partecipazione abbastanza ampia ma con limiti alla competizione) - poliarchie (le democrazie di massa, sono garantite sia partecipazione che competizione) Queste varie tipologie di regimi non hanno solo uno scopo descrittivo; servono per mettere a fuoco le peculiari dinamiche interne dei vari tipi e la possibilità che evolvano verso un regime democratico. Dahl ha sottolineato che l’approdo alla democrazia si è dimostrato più stabile in paesi come la Gran Bretagna o la Svezia, che avevano già sperimentato a lungo all’interno delle istituzioni parlamentari forme di competizione politica pluralistica. La democrazia si è invece rivelata meno stabile in paesi che erano arrivati in un solo colpo a liberalizzare la competizione politica ed estendere il suffragio oppure nei paesi che avevano esteso il suffragio prima di liberalizzare la competizione. L’ipotesi che l’autore suggerisce è che la strada più sicura per pervenire da egemonie chiuse a una stabile democrazia di massa è quella che passa attraverso l’oligarchia competitiva. Ipotesi che sembra trovare conferma anche nel caso vicino del Sudafrica: prima del 1994 in Sudafrica i diritti politici erano riconosciuti solo a una parte della popolazione, i bianchi afrikaner, tra i quali vigeva forte competizione politica; quando è stato superato l’apartheid e riconosciuto il suffragio universale, esistevano già istituzioni e prassi parlamentari consolidate nelle quali canalizzare la nuova partecipazione. Huntington – Linz – Stepan → mostrano che è più facile transitare senza spargimento di sangue alla democrazia partendo da un regime militare piuttosto che da una dittatura personale. I militari non dichiarano di voler svolgere permanentemente un ruolo di governo e dopotutto appartengono a una burocrazia pubblica di cui lo stato non può fare a meno. Al contrario, i dittatori personali sono completamente identificati con il regime e non hanno una posizione alternativa in cui ricollocarsi una volta deposti. Nelle pseudodemocrazie possono passare la mano se subiscono una sconfitta elettorale inattesa, oppure resistere accentuando ancora di più gli elementi autoritari del regime. Nei casi estremi dei regimi con tratti sultanistici il conflitto aperto tra i liberalizzatori e i sostenitori del dittatore diventa inevitabile. Le modalità più frequenti per sostituirlo diventano la rivolta e il tirannicidio. 7. TIPI DI DEMOCRAZIE IN BASE AL DISEGNO COSTITUZIONALE Ci sono molte differenze nei regimi democratici. about:blank 12/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) Prima distinzione → forma di stato = modo in cui le costituzioni delineano i rapporti tra le istituzioni politiche nazionali e quelle subnazionali. Ciò che distingue gli stati federali dagli stati unitari è l’esistenza di un livello di governo di ambito più vasto dotato di sufficienti poteri, garantiti dalla costituzione e da una legittimazione popolare diretta, che consentono di regolare autonomamente alcuni ambiti della vita collettiva e di gestire autonomamente alcune politiche pubbliche. I regimi politici che sono stati concepiti fin dall’inizio sulla base di questo principio hanno assunto anche formalmente la denominazione di stati federali, altri hanno acquisito nel tempo denominazioni simili. Stati federali: le istituzioni subnazionali hanno uno status equivalente a quelle nazionali e viene loro riconosciuta la prerogativa di partecipare in vari modi alla formazione delle leggi e al procedimento di revisione costituzionale. L’autonomia delle singole unità è garantita dal fatto che la costituzione è difficile da emendare e che esiste una Corte chiamata a interpretarla. I teorici del federalismo hanno cercato di fissare principi, schemi e modelli per distinguere nettamente le due categorie, ma l’evoluzione e la complessità dei rapporti intergovernativi rende molto difficile fissare dei confini precisi e collocare i regimi in una casella o nell’altra: 1. l’autonomia delle istituzioni subnazionali può essere praticata su diversi piani, non sempre connessi. Può consistere nel potere di regolare con proprie leggi alcuni settori in maniera difforme dalle altre unità subnazionali; può consistere nella possibilità di gestire autonomamente alcune importanti politiche pubbliche; può includere o meno il potere di definire e riscuotere direttamente le tasse che servono a pagare le politiche pubbliche amministrate, in modo da poter godere di un’effettiva autonomia finanziaria 2. la divisione dei poteri può essere: - verticale = il governo nazionale si occupa interamente di alcune materie e i governi subnazionali sono responsabili per altre → federalismo competitivo o duale - orizzontale = le istituzioni nazionali legiferano in quasi tutte le materie mentre la gestione politica è demandata all’autonomia dei governi subnazionali → federalismo cooperativo Alcuni stati federali sono poi nati per associazione di entità che hanno devoluto parti della loro sovranità a un’entità sovraordinata centrale, altri hanno invece assunto caratteri federali attraverso un processo di devoluzione dei poteri allo stato centrale verso le entità periferiche sotto la spinta di partiti etnoregionalisti. - Federalismo per associazione → simmetrico = le unità costitutive si associano su un piano di parità e mantengono poi tutte gli stessi poteri e lo stesso livello di autonomia - Federalismo per devoluzione → asimmetrico = non tutte le regioni ottengono uguali competenze e risorse perché solo alcune periferie sono interessate a ottenerle e si sono mobilitate Possiamo classificare i paesi in base alle prerogative riconosciute ai governi subnazionali. Distinguiamo tra federali e unitari a seconda che esista o meno una unità politica di ambito regionale dotata di una significativa autonomia, costituzionalmente garantita. Gli stati pienamente federali sono stati costituiti sin dall’origine in base al principio federalista e contemplano tutte o quasi le garanzie costituzionali a tutela dell’autonomia dei governi subnazionali. Sono classificati come “semifederali” gli stati che hanno governi di livello regionale autonomi a elezione diretta ma hanno acquisito solo alcune di quelle caratteristiche. Va considerata anche la misura in cui gli organi di governo locali gestiscono politiche e risorse pubbliche. Uno dei possibili indicatori a questo riguardo è costituito dalla percentuale di spesa pubblica amministrata dagli enti di livello subnazionale. Seconda distinzione → forma di governo = modo in cui le costituzioni delineano i rapporti tra l’esecutivo e il legislativo. Per classificare i regimi sotto questo profilo, si seguono di solito due modi alternativi: 1. identificare le caratteristiche di ogni singolo tipo, estrapolate da casi presi come termine di riferimento. Shugart - Carey → hanno così definito le caratteristiche del presidenzialismo puro: a. il capo dell’esecutivo è selezionato attraverso un’elezione popolare about:blank 13/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) b. i mandati del capo dell’esecutivo e dell’assemblea sono fissi e non dipendono dalla reciproca fiducia c. il presidente eletto nomina i componenti del governo e ne dirige l’azione d. il presidente ha alcuni poteri legislativi costituzionalmente garantiti Sartori → i sistemi che chiamiamo parlamentari sono quelli in cui i governi si insediano, sono sostenuti ed eventualmente sfiduciati dal voto del parlamento. Duverger → caratteristiche di quello che lui stesso ha denominato modello semipresidenziale: a. il presidente è eletto con voto popolare b. il presidente possiede considerevoli poteri c. esiste anche un premier e un Consiglio dei ministri soggetto alla fiducia parlamentare che svolge funzioni esecutive Ci si accorge però che vari paesi finiscono per non rientrare perfettamente in nessuna categoria e se ne devono creare ulteriori ad hoc 2. costruire una vera e propria tipologia; se è ben costruita, ciascun caso dovrebbe rientrare in un solo tipo e tutti i casi dovrebbero ricadere in uno dei tipi di cui si compone la tipologia. Lijphart → tre criteri rispetto ai quali le caratteristiche dei sistemi parlamentari puri sono tutte diverse da quelle dei sistemi presidenziali puri: a. il capo del governo è selezionato dal parlamento b. il governo è dipendente c. l’esecutivo è un organo collegiale L’incrocio di questi 3 criteri produce uno schema a 8 caselle e porta a identificare 8 ipi teorici, 4 di questi non trovano riscontro nella realtà. Lijphart introduce comunque un criterio che nessuno degli autori citati precedentemente considera e che in effetti non risulta discriminante. Tutti considerano invece fondamentale la modalità di elezione del capo di governo. Nonostante questo, negli USA, l’archetipo dei sistemi presidenziali, l’elezione popolare del presidente non era stata inizialmente prevista. I padri costituenti americani avevano dato a ciascuno stato la facoltà di scegliere autonomamente come eleggere i componenti del collegio deputato a selezionare il presidente; solo successivamente la loro elezione è stata affidata al voto diretto dei cittadini. Questo tipo di regime democratico ha in realtà il suo tratto originario e caratteristico nella separazione dei mandati del legislativo e dell’esecutivo, di cui l’elezione diretta fu una naturale conseguenza, rispetto alla fusione tra i due mandati che si realizza dove il governo è espressione della maggioranza parlamentare È sufficiente un criterio per discriminare sul piano empirico i sistemi presidenziali da quelli parlamentari: - regimi presidenziali → il capo del governo è eletto per una durata fissa e non può essere sfiduciato dai componenti dell’assemblea legislativa. La durata fissa del mandato del capo del governo ha come presupposto la sua investitura popolare o comunque una investitura distinta rispetto a quella dei componenti del parlamento. Il parlamento non può sfiduciare il presidente, ma mantiene una maggiore autonomia dell’esecutivo nello svolgimento delle sue funzioni legislativa e di controllo. Il presidente può scegliere con una certa libertà la sua squadra e rimane in carica anche se il suo partito perde le elezioni parlamentari. Presidente e congresso si bilanciano, non potendo l’uno far decadere l’altro, ma il conflitto tra le posizioni politiche di chi controlla le due istituzioni può portare a una vera e propria paralisi del processo decisionale - regimi parlamentari → il capo del governo può essere in qualsiasi momento sostituito dalla maggioranza dell’assemblea legislativa. La fusione dei mandati implica che i componenti della Camera bassa possono rimanere in carica fino alla scadenza naturale del loro mandato solo nella misura in cui siano in grado di garantire sostegno a un qualche governo. Se decretano la crisi del governo in carica ma non sono in grado di sostenerne uno alternativo, si interrompe anche il loro mandato e si torna al voto. Quindi il parlamento è in ultima istanza sovrano, può sfiduciare e sostituire il premier quando vuole, ma è molto più improbabile che i parlamenti votino contro le proposte di legge del governo about:blank 14/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) Dei 52 paesi democratici con più di un milione di abitanti, 35 sono chiaramente collocabili nella casella dei regimi parlamentari, 14 nella casella dei regimi presidenziali. I sistemi parlamentari predominano in Europa e nelle ex colonie britanniche; i sistemi presidenziali in America Latina. Solo per 3 di loro la collocazione in una delle due classi appare controversa. - Israele: in base a una riforma approvata nel 1992 e applicata dal 1996, fu deciso che il capo di governo fosse eletto direttamente dai cittadini. Il premier doveva comunque godere della fiducia del parlamento. In caso di conflitto tra il primo ministro e la maggioranza parlamentare la costituzione prevedeva come possibili vie di uscita sia il ricorso a doppie elezioni anticipate sia la rimozione del solo primo ministro. Ma mentre prima della riforma dopo una crisi di governo i leader di partito potevano tentare la tessitura di nuovi accordi parlamentari sostituendo il primo ministro, i vincoli posti dall’elezione diretta hanno portato rapidamente a elezioni anticipate. Dopodiché si è tornati al sistema parlamentare standard - Svizzera: mantiene una forma di governo peculiare e un sistema politico senza eguali con caratteristiche che non sembrano riproducibili altrove. Tutti i principali partiti si uniscono in grandi coalizioni. I componenti dell’esecutivo sono tutti eletti dal parlamento all’inizio della legislatura. Il parlamento elegge anche il presidente del Consiglio federale per un mandato di 1 solo anno. Dal 1993 il mandato parlamentare è di 4 anni e non ci sono state elezioni anticipate Sia i sistemi presidenziali che quelli parlamentari presentano al loro interno varie differenze riguardo alla divisione dei ruoli di capo di governo e capo dello stato. - Democrazie presidenziali: i due ruoli sono svolti dalla stessa persona, ma nei presidenzialismi dell’Asia orientale il presidente delega il coordinamento dell’esecutivo a un suo fiduciario - Democrazie parlamentari: le due figure sono normalmente distinte, mentre variano l’ampiezza dei poteri attribuiti al capo dello stato e le modalità della sua investitura. Fino a quando i monarchi hanno mantenuto l’effettiva titolarità del potere di governo, hanno delegato le funzioni esecutive a un primo ministro loro fiduciario. Poi il primo ministro è diventato espressione della maggioranza parlamentare e il monarca è stato progressivamente confinato nel ruolo di simbolo e garante dell’unità nazionale. Nei paesi che hanno scelto la forma repubblicana, un ruolo simile è stato assegnato per un mandato a termine a individui eletti dal parlamento o da uno speciale collegio, oppure direttamente dai cittadini. I poteri assegnati al capo dello stato variano tra i paesi, ma non correlatamente alla modalità di elezione. In tutti i casi, quale che sia la modalità di elezione, rimane chiaro che il capo dello stato è un garante; il primo ministro non è un suo subordinato, risponde al parlamento, ed è il capo effettivo del governo. Se si considera che la fonte di legittimazione del capo dello stato costituisce una discriminante fondamentale, bisogna valutare come una differenza marcata quella che passa tra capi di stato eletti democraticamente e capi di stato per diritto ereditario. Eppure nessun costituzionalista o politologo collocherebbe per questa ragione la democrazia spagnola in una categoria significativamente diversa da quella tedesca. L’elezione diretta del capo dello stato può avere conseguenze; ma effetti simili li provocano ad esempio le caratteristiche del sistema elettorale per l’elezione del parlamento o l’eventuale esistenza e la modalità di elezione di una seconda camera. In cosa si distingue il caso francese? La Quinta Repubblica sfugge alla distinzione tra regimi parlamentari e presidenziali perché il presidente può esercitare, ormai costantemente, un’effettiva supremazia rispetto al primo ministro anche nello svolgimento delle funzioni di governo, un po’ come nelle monarchie costituzionali pre-democratiche e nei presidenzialismi dell’Asia orientale. Quello francese si presenta come un caso unico di parlamento a stabile supremazia presidenziale. I sistemi parlamentari e presidenziali hanno una loro logica interna e alcune predisposizioni. Tuttavia il disegno costituzionale, da solo, non ci dice abbastanza sul funzionamento effettivo delle istituzioni di governo, che nelle democrazie dipende anche dai modi in cui si forma la rappresentanza e in cui si articola il pluralismo politico. Il modo in cui si svolge questa competizione influenza il concreto svolgimento della rappresentanza politica e l’esercizio delle funzioni di governo. about:blank 15/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) CAPITOLO 3 - ELEZIONI E PARTITI 1. CHI PARTECIPA, QUANTO, PERCHÉ, COME Partecipazione politica = insieme delle azioni che contribuiscono a influenzare le decisioni pubbliche e la competizione per accedere a ruoli rappresentativi o di governo. Nelle democrazie liberali c’è uno spazio potenzialmente molto esteso per questo genere di attività che possono assumere molteplici forme. Le analisi empiriche rilevano da sempre livelli molto differenziati di partecipazione tra i cittadini: - attivisti → persone impegnate con notevole intensità - spettatori → persone che si informano ma difficilmente prendono parte a iniziative pubbliche - apatici → persone che sono o si sentono completamente estranee alla sfera politica, perché la disprezzano o semplicemente la ignorano Olson → ha sostenuto che questo accade perché, da un punto di vista individuale, sostenere cause pubbliche non è razionale. Secondo il senso comune, se esiste un obiettivo condiviso e tutti sono consapevoli dei vantaggi che ne deriverebbero, sarà facile organizzare un’azione collettiva. Quanto più è plausibile che altri si attivino, per ciascun individuo sarà più razionale agire da free rider e stare a guardare, perché potrà usufruire lo stesso dei vantaggi dell’azione collettiva altrui senza pagarne i costi. La partecipazione politica non è scontata, anche quando si svolge a difesa di ben precisi interessi collettivi che hanno ricadute immediate sul benessere individuale. Ci sono diversi fattori che possono facilitare la partecipazione in quanto la fanno apparire o la rendono più necessaria, più attraente, meno onerosa, alternando la bilancia dei costi e dei benefici individuali: - dotazione di risorse individuali: secondo l’ipotesi della centralità sociale, le persone con maggiori competenze e reddito e con uno status sociale elevato tendono a intraprendere più spesso azioni politiche come costituire comitati per cause pubbliche, promuovere o firmare appelli, richiedere lo svolgimento di referendum, sostenere un candidato o fare donazioni per una campagna elettorale. I relativi costi per loro pesano meno, la fiducia nella loro personale efficacia li porta a considerare raggiungibili gli obiettivi - valori acquisiti nel passaggio all’età adulta, fase detta socializzazione politica: l’imprinting tende a rimanere anche nelle fasi successive della vita. Molte ricerche confermano che la generazione socializzata alla politica tra la metà degli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, quando si sono sviluppati movimenti imponenti, ha continuato a includere una quota di attivisti più elevata della generazione precedente. Uno dei motivi che disincentivano il coinvolgimento in azioni collettive è il timore che gli altri agiscano da free rider o peggio tradiscano il gruppo per salvaguardare i propri interessi individuali. La partecipazione può essere favorita dalla cultura diffusa nel contesto in cui si vive, e alla presenza di un insieme di valori e norme condivise tra i membri di un gruppo che rafforzano le basi della fiducia reciproca e facilitano la cooperazione tra loro; gli scienziati chiamano questo patrimonio di cultura condivisa civismo o capitale sociale - incentivi istituzionali: la partecipazione elettorale è più elevata in presenza di sistemi elettorali proporzionali quando ci sono molti candidati e partiti che si presentano alle elezioni, oppure quando la distanza tra i primi due candidati in un collegio uninominale è ridotta - senso di appartenenza o di identificazione: possono alterare il calcolo costi-benefici verso un determinato gruppo, una categoria o una classe sociale. Marx → chiamava questa forma di identificazione “coscienza di classe” e la considerava fondamentale per dare forza al movimento operaio. Uno stesso meccanismo si ritrova nei movimenti per i diritti civili di comunità etniche sottomesse, nei movimenti nazionalisti o nell’integralismo religioso - sollecitazioni ricevute dalle organizzazioni: le persone meno inclini a partecipare possono essere spinte a farlo se le persone impegnate mettono a disposizione dei primi un’infrastruttura organizzativa che abbassa i costi della partecipazione individuale, la rende potenzialmente efficace, crea senso di appartenenza e identificazione, diffonde informazioni e forma competenze per il raggiungimento degli scopi comuni, offre gratificazioni e opportunità di acquisire ruoli a ciascun partecipante. Non tutte queste organizzazioni perseguono principalmente scopi politici; about:blank 16/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) ma tutte, in una certa misura, potrebbero intraprendere azioni che contribuiscono a influenzare le decisioni pubbliche e la competizione per accedere a ruoli di governo, e potrebbero diventare attori del sistema politico Le organizzazioni che agiscono in un sistema politico possono essere distinte in 3 grandi categorie: 1. gruppi di pressione = organizzazioni che, comunque decidano di chiamarsi, che siano associazioni ambientaliste o religiose, singole imprese, associazioni di imprenditori o confederazioni sindacali, in un qualche momento e in qualche modo cerchino di influenzare uno o più decisori pubblici affinché adottino determinate scelte, senza però partecipare direttamente, con il proprio simbolo, alla competizione elettorale. Questi gruppi nascono per altri scopi, ma diventano parte del sistema politico in quanto esercitano pressioni su uno o più decisori pubblici 2. movimenti = esercitano pressioni sul sistema politico senza presentare proprie liste alle elezioni. Al contrario dei gruppi, non sono dotati di un’organizzazione stabile e strutturata. Sono tenuti insieme da credenze condivise e una forte identità collettiva, da un profondo senso di solidarietà e impegno comune, piuttosto che da una struttura gerarchica. Non hanno regole per scegliere i propri leader o i propri portavoce e la loro identità si forma nell’ambito di relazioni fortemente conflittuali. La loro forza risiede nel numero delle persone che riescono a coinvolgere e nella visibilità delle iniziative che promuovono; danno vita a forme di protesta non convenzionali o eterodosse. Sollevano tematiche nuove che mettono in discussione le istituzioni e i valori esistenti, riuscendo a far entrare nell’agenda politica temi precedentemente esclusi. A causa delle loro caratteristiche, sono discontinui e soggetti a un ciclo di vita solitamente breve 3. partiti = il sistema politico non può farne a meno; si includono qui tutte le organizzazioni, comunque denominate, che si presentano continuativamente con un proprio simbolo alle elezioni per cariche pubbliche e ottengono seggi. Le organizzazioni finiscono per acquisire caratteristiche comuni e diverse da quelle dei gruppi e dei movimenti, svolgono funzioni molto specifiche: a) elaborano programmi di politica pubblica che li rendano riconoscibili agli occhi dei loro potenziali elettori b) selezionano candidati per le cariche pubbliche c) coordinano gli eletti sotto il proprio simbolo Quelle elencate sono funzioni che tutti i partiti svolgono, per definizione. Si tratta di attività strettamente connesse agli obiettivi che qualsiasi organizzazione presente nell’arena elettorale persegue. Qualsiasi partito, se vuole rimanere tale, deve impegnarsi a: a) raccogliere voti popolari (vote seeking) b) per ottenere incarichi nelle istituzioni politiche (office seeking) c) influenzare in questo modo le decisioni pubbliche (policy seeking) Ci sono comunque molte differenze tra partiti riguardo al contenuto dei programmi e alle categorie di elettori a cui si rivolgono, alle modalità con cui selezionano i candidati e coordinano gli eletti. 2. FRATTURE E FAMIGLIE POLITICHE Se si scorrono le denominazioni dei partiti delle democrazie consolidate è facile constatare che in molti casi si richiamano a famiglie politiche accomunate da riferimenti ideali o pregiudizi comuni e si rivolgono più o meno allo stesso tipo di elettorato. Rokkan → elabora la teoria dei “cleavages”, che contribuisce a spiegare perché: a) sono nati quasi contemporaneamente partiti con posizioni simili in molti paesi b) in certi paesi i partiti appartenenti ad alcune famiglie ideologiche sono assenti, o sono più deboli/forti che altrove La teoria ci fa capire in quali circostanze nascono nuove famiglie di partiti. “Frattura” = conflitto forte e prolungato che ha profonde radici nella struttura della società, un contrasto che crea un solco, una linea di divisione tra ampie categorie di persone e che favorisce la formazione di identità collettive e reti organizzative contrapposte. I cleavages non producono automaticamente nuovi partiti; creano le condizioni per aggregare vaste platee di cittadini intorno a identità e interessi comuni che possono essere politicizzati se il contesto istituzionale o la struttura della competizione elettorale lo rendono about:blank 17/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) possibile, se ci sono leader politici capaci di mobilitare a sostegno di un nuovo partito le persone o i gruppi che trovano in quelle fratture una fonte di identificazione collettiva. Rokkan → evidenzia come fratture di questo tipo si siano create in occasione di 2 eccezionali momenti di passaggio della storia europea che chiama “giunture critiche”: - formazione degli stati nazionali - rivoluzione industriale Nell’800, nei paesi non completamente conquistati, o non toccati affatto dalla riforma protestante, la élite che guidarono il processo di formazione degli stati nazionali avevano ingaggiato un conflitto con le popolazioni assorbite all’interno dei confini nazionali, soprattutto nei paesi in cui, all’interno dello stesso territorio, erano presenti comunità etniche o linguistiche minoritarie, gelose della propria autonomia. Le stesse élite si erano scontrate con la chiesa cattolica a cui avevano sottratto possedimenti, poteri e il monopolio sulla formazione delle coscienze con la creazione di un sistema pubblico di istruzione. Lo sviluppo della rivoluzione industriale aveva invece contrapposto gli interessi agrari delle campagne a quelli del nascente settore manifatturiero e gli interessi della borghesia imprenditoriale a quelli degli operai salariati. Le identità collettive e le reti organizzative che si erano create intorno a ciascuna frattura hanno poi costituito la base per la formazione di corrispondenti partiti politici al momento dell’estensione del suffragio o del ritorno della democrazia: - frattura centro/periferia → formazione di partiti etnoregionalisti - frattura stato/chiesa → formazione di partiti cristiano-democratici - frattura città/campagna → formazione di partiti difendevano interessi del mondo agricolo - frattura capitale/lavoro → formazione del movimento operaio e dei partiti socialisti Se queste ragioni spiegano le somiglianze, le differenze tra i vari paesi dipendono dalla relativa profondità delle prime 3 fratture e dal modo in cui esse si sono sovrapposte o intersecate nel corso del tempo. Nei paesi in cui è stato più aspro il conflitto tra la chiesa e le élite promotrici dello stato nazionale, l’impatto politico della frattura urbano/rurale è stato minore. Si è costituita una rete di organizzazioni ecclesiali, formative, caritative di ispirazione cristiana molto ramificata di cui il mondo contadino, fortemente religioso, era parte integrante. I partiti democratico-cristiani nati al momento dell’estensione del suffragio hanno incluso al loro interno la rappresentanza degli interessi contadini. Quanto più profondi e persistenti si sono rivelati i conflitti tra lo stato e la chiesa cattolica tanto più frammentata è stata la rappresentanza della classe operaia; è emerso un forte partito democratico cristiano è stato più difficile per i partiti socialisti rappresentare la gran parte della classe operaia. Rokkan → estende lo schema basato sui 4 cleavages citati aggiungendo un’ulteriore giuntura critica costituita dalla rivoluzione russa del 1917. L’avvento al potere dei bolscevichi portò a una frattura tra i socialisti che erano rimasti leali nei confronti dei rispettivi governi in occasione della prima guerra mondiale mondiale e i comunisti che aderirono alla Terza internazionale fondata a Mosca nel 1919. Lipset + Rokkan → formulano la celebre tesi del congelamento, secondo la quale i contrasti decisivi all’interno dei sistemi politici europei si erano delineati già prima dell’estensione del suffragio, dell’entrata nell’arena politica del proletariato urbano e rurale, e della conseguente formazione dei partiti di massa. Quei contrasti si erano dimostrati così radicati e profondi che il panorama delle forze politiche presenti nelle democrazie europee a metà degli anni ‘60 rispecchiava la struttura delle fratture degli anni ‘20. I cleavages rokkaniani hanno perso la salienza che conservavano negli anni ‘70, mentre sono emerse nuove linee di divisione. Le identità politiche basate sull’appartenenza alla classe operaia o a una confessione religiosa si sono affievolite e si è assistito a un generale scongelamento degli elettorati: gli elettori sono diventati più mobili e quindi più disponibili a spostarsi da un partito all’altro. Una delle interpretazioni più interessanti di questo è offerta dalla teoria della modernizzazione culturale: negli anni ‘50 e ‘60 i paesi occidentali avevano registrato una robusta e continua crescita economica e il più lungo periodo ininterrotto di pace mai registrato. La crescita economica e le politiche del welfare state portarono alla più grande redistribuzione della ricchezza mai sperimentata prima, a garantire l’istruzione e la tutela dai rischi della vecchiaia e della malattia a molta parte della popolazione about:blank 18/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) se non a tutta. L’evoluzione delle tecniche produttive, la conseguente riorganizzazione delle fabbriche e la crescita del settore dei servizi a scapito di industria e agricoltura contribuirono a differenziare i ruoli dei lavoratori dipendenti e a scomporre anche la classe operaia in una molteplicità di figure. Inglehart + Dalton → sottolineano che tutto ciò che ha avuto profondi effetti sui valori di ampie fasce della popolazione e prodotto un nuovo cleavage. La crescita economica, l’incremento dei livelli di istruzione e di informazione, e la diversificazione delle interazioni umane hanno aumentato le risorse materiali, cognitive e sociali delle persone, rendendole più indipendenti. Questo ha creato una cesura tra persone ancorate alla ricerca della sicurezza materiale garantita da ordine pubblico e sviluppo economico e persone o movimenti sociali animati da “valori postmaterialisti” promotori di cause come la tolleranza verso stili di vita non conformisti, l’eguaglianza tra i generi, l’ambientalismo. La diffusione di valori postmaterialisti e autoespressivi ha portato a mettere meno enfasi sull’importanza delle tradizioni e ha reso le persone meno deferenti verso le autorità religiose e politiche. Estendendo lo schema di Rokkan si può notare che la globalizzazione, cioè la crescente apertura delle frontiere e dei mercati che si è verificata a partire dalla metà degli anni ‘80 del secolo scorso, seguita da una grave e prolungata recessione che ha colpito soprattutto i paesi più sviluppati, ha fatto emergere un po’ dappertutto partiti che attribuiscono il peggioramento delle condizioni socioeconomiche e delle aspettative di vita all’immigrazione all’assenza di politiche protezionistiche oppure gerarchicamente all’establishment dei partiti tradizionali e delle istituzioni internazionali. La storia dei paesi europei coinvolti nella seconda e nella terza ondata di democratizzazione hanno mostrato che anche le transizioni di regime lasciano fratture nella società che possono tradursi nella formazione di partiti politici. In paesi come l’Italia, la Germania, l’Austria, accanto al ripudio generalizzato dei precedenti regimi nazifascisti, sono emersi piccoli partiti di estrema destra rappresentativi delle componenti nostalgiche dell’elettorato. In alcuni paesi dell’ex blocco sovietico si è creato un discrimine tra oppositori e nostalgici del regime comunista. 3. LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DEI PARTITI I partiti non si differenziano solo per l’agenda che propongono e il tipo di elettori a cui si rivolgono. Il modo in cui agiscono nel sistema politico dipende anche dalla loro struttura organizzativa, da come sono articolati i ruoli al loro interno, da come sono distribuiti il lavoro e il potere tra i leader, gli aderenti e gli eletti, dal tipo di incentivi e dalla forza dei legami che li uniscono. Per alcuni importanti aspetti tutti i partiti sono stati indotti a cambiare adattandosi a importanti cambiamenti della società circostante e hanno finito quindi per subire nel corso del tempo un’evoluzione simile delle loro strutture organizzative. Weber + Duverger → quando il diritto di voto era appannaggio di una piccola porzione della popolazione selezionata per censo, i candidati non avevano bisogno del sostegno di un’organizzazione politica nazionale per competere ed essere eletti. Si trattava di notabili che non facevano politica come loro attività prevalente. I partiti di élite ottocenteschi erano poco più che coalizioni di candidati e di eletti che si formavano, si scomponevano e ricomponevano in parlamento. Al momento dell’estensione del suffragio, divenne evidente che solo organizzazioni politiche più strutturate avrebbero potuto efficacemente competere in elezioni nazionali candidandosi a rappresentare le grandi masse dei nuovi elettori, per lo più operai o contadini scarsamente istruiti. I partiti socialisti furono i primi a dotarsi di un’organizzazione capillare, gestita di una ramificata burocrazia, composta da funzionari stipendiati dal partito e impegnati a tempo pieno a cercare nuovi aderenti, orientarli, promuovere la loro partecipazione. Erano espressione o costruirono intorno a sé quelle che nel lessico delle scienze sociali vengono definite subculture. I partiti burocratici di massa offrivano agli iscritti una visione del mondo e li educavano. Offrivano loro anche un canale di ascesa sociale. Potevano promuovere a ruoli pubblici di primo piano anche impiegati, operai o contadini e svolgevano anche molte funzioni di integrazione sociale non direttamente collegate alla sfera politica. about:blank 19/101 19/01/25, 18:56 Riassunto "Sistemi politici comparati" (Vassallo) Anche i partiti americani all’inizio dell’800 erano mere coalizioni tra componenti del Congresso, contrapposte riguardo al ruolo che avrebbero dovuto avere le istituzioni federali all’interno dell’Unione. I parlamentari a quel tempo non avevano bisogno di una organizzazione capillare per vincere le elezioni perché il voto era riconosciuto a tutti i maschi bianchi proprietari, ma i diritti politici erano esercitati solo da un’élite istruita e benestante. La svolta maturò nel 1824, quando il democratico Jackson intuì che esisteva un grande elettorato potenziale non ancora mobilitato che avrebbe potuto sostenerlo. Decise di creare una nuova organizzazione, il Partito democratico, promettendo l’attribuzione di incarichi pubblici agli ordinary men delle classi medio-basse in caso di vittoria. L’era dei partiti di massa venne inaugurata negli Stati Uniti con un secolo di anticipo rispetto all’Europa, insieme alla pratica dello spoils system. All’inizio del ‘900 le degenerazioni clientelari delle “macchine di partito” e la cattiva reputazione dei boss che lo dominavano alimentarono per rigetto il movimento trasversale dei progressives che promossero un’amministrazione professionale, una drastica contrazione dello spoils system. Negli anni ‘60 si è assistito all’istituzionalizzazione delle primarie in tutti gli stati e per qualsiasi tipo di carica. Negli anni ‘90 la loro organizzazione è stata rafforzata, resa più professionale, per la promozione delle primarie, la raccolta di fondi e l’attivazione dei volontari; la loro base associativa è sin dagli anni ‘60 molto più aperta e indeterminata, essendo composta da tutti i loro elettori disponibili a registrarsi come tali. I partiti americani hanno prefigurato una trasformazione che riguarda ancora oggi i partiti europei. Dalla metà degli anni ‘60 del secolo scorso le “classi di riferimento” di cui erano originariamente espressione si sono disarticolate. La moltiplicazione delle fonti di informazione, il benessere e l’istruzione diffusi hanno reso i cittadini più indipendenti, più disposti a cambiare voto da un’elezione all’altra, più diffidenti verso le organizzazioni politiche. Il numero degli elettori che si identificano con un partito si è progressivamente ridotto come il numero degli iscritti e dei militanti. Gli elettori tendono a votare o meno per un determinato partito in base alla priorità che assegna a certi temi e alla posizione che assume riguardo ad essi, in base al miglioramento/ peggioramento della situazione economia percepita mentre quel partito era al governo oppure in base all'apprezzamento nei confronti del leader del partito e dei candidati alle cariche più importanti. Quasi tutti i partiti hanno dovuto rivolgersi a una platea di potenziali elettori molti più differenziata; hanno concentrato maggiori risorse ed energie organizzative negli staff nazionali addetti alla comunicazione. La selezione dei candidati alle cariche istituzionali e la scelta dei leader tende a passare dalle mani dei dirigenti interni agli aderenti, attraverso le primarie. Hanno iniziato a rendere più inclusiva la loro base associativa fino a estenderla a tutti i cittadini disposti a partecipare alle primarie indette dal partito e a dichiarare di essere suoi elettori. I politologi hanno messo in evidenza la tendenza dei partiti burocratici di massa a trasformarsi in partiti elettorali da vari punti di vista, proponendo diversi modelli e varie denominazioni. Kirchheimer → mette l’accento sulla scomposizione delle classi sociali di riferimento e sulla conseguente ricerca trasversale di voti parlando di partito pigliatutti Panebianco → mette l’accento sul rafforzamento degli staff centrali per la comunicazione e parla di partito professionale elettorale Katz + Mair → la riduzione degli iscritti e la necessità di sostituire le tradizionali fonti di finanziamento avrebbe spinto i partiti a stipulare tra loro accordi di cartello per aumentare i finanziamenti pubblici e porre barriere verso nuovi sfidanti; per questo parlano di cartel party Altri sottolineano la crescente centralità dei le

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