Riassunto Libro Organizzazione Aziendale Salvemini PDF
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Ilaria Baracchi
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Questo riassunto del libro "Organizzazione Aziendale" di Severino Salvemini, a cura di Ilaria Baracchi, esplora il comportamento individuale in ambito lavorativo. Il documento analizza la relazione tra competenze, motivazioni, caratteristiche psicologiche individuali, percezione del ruolo e fattori situazionali, esaminando le determinanti della prestazione e i risultati del comportamento. Vengono descritti valori, personalità, e i tratti principali all'interno di un contesto aziendale.
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Riassunto del libro: Organizzazione Aziendale (di Severino Salvemini) Organizzazione Aziendale Pagina 1 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi Parte I - L’individuo...
Riassunto del libro: Organizzazione Aziendale (di Severino Salvemini) Organizzazione Aziendale Pagina 1 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi Parte I - L’individuo 1. Personalità e valori Un modello del comportamento individuale La prestazione è determinata dal sistema di competenze e motivazioni in grado di indirizzare e sostenere l'azione intenzionale orientata ad aggiungere valore. Le determinanti della prestazione sono, oltre le competenze e le motivazioni dell'individuo, anche alcune sue caratteristiche psicologiche e processi anch'essi di natura psicologica, nonché la percezione che l'individuo ha del ruolo che ricopre. La situazione, intesa come insieme di fattori esterni all'individuo su cui quest'ultimo non ha un controllo, è una delle determinanti della qualità della prestazione in quanto modera la relazione tra le caratteristiche e i processi individuali e la qualità e il livello della prestazione. P = motivazione x competenza x caratteristiche/processi psicologici x percezione di ruolo e fattori situazionali. Il modello del comportamento individuale e delle sue conseguenze distingue tra determinanti o variabili individuali del comportamento e risultati. Le determinanti del comportamento individuale Sono fondamentali le caratteristiche individuali ovvero la personalità (vedi più avanti), i valori (vedi più avanti), l’identità (vedi capitolo 3), la percezione (vedi capitolo 2), le emozioni e lo stress. Altrettanto rilevanti sono le altre variabili individuali, come la motivazione (vedi capitolo 6), le competenze, e i processi come la decisione (vedi capitolo 5), l’apprendimento, la gestione dello stress o strategie di coping e la gestione degli stati emotivi, unitamente alla percezione di ruolo e ai fattori situazionali. Organizzazione Aziendale Pagina 2 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi Fattori situazionali Per fattori situazionali si intende l'insieme delle condizioni di contesto su cui l'individuo non ha controllo ma che possono agevolare o compromettere drasticamente l'efficacia del suo comportamento. I fattori situazionali sono relativi a fattori esterni, di contesto o a fattori e dinamiche organizzative. I risultati del comportamento individuale I fattori che concorrono a definire e a determinare il livello e la qualità della prestazione sono: la Task Performance, la cittadinanza organizzativa, i comportamenti disfunzionali, assenteismo e presenzialismo. Task Performance: è l’insieme dei comportamenti e dei risultati riconducibili agli obiettivi specifici e propri della posizione ricoperta da un individuo e funzionali al raggiungimento degli scopi dell’organizzazione. I comportamenti sono relativi all'attività di trasformazione delle risorse in prodotti e servizi e allo svolgimento dell'attività di supporto e manutenzione. Si basano sulla raccolta di informazioni, sull'elaborazione di dati, sulla gestione di risorse tecnologiche, materiali e umane. Cittadinanza organizzativa: i comportamenti di cittadinanza organizzativa sono comportamenti attesi ma non richiesti esplicitamente e formalizzati nella job description. Possono assumere forme diverse: alcuni di essi sono relativi alla relazione tra le persone all’interno dell'organizzazione e concorrono alla costruzione di fiducia, altri sono relativi alla relazione con l’organizzazione. La presenza o meno dei comportamenti di cittadinanza organizzativa influenza sia la qualità dell'esperienza di lavoro complessiva degli individui che operano a vario titolo all'interno dell'organizzazione sia il clima organizzativo. Comportamenti disfunzionali: per comportamenti disfunzionali si intende l'insieme di comportamenti volontari potenzialmente dannosi per l’organizzazione. Assenteismo e presenziasmo: l'assenteismo, cioè l'assenza dal posto di lavoro dovuta a malattia o emergenze familiari, è più elevato laddove la tolleranza anche solo implicita da parte dei membri del team e ancor più del management è maggiore, e a fronte di livelli elevati di insoddisfazione per il lavoro e di stress negativo. Il presenzialismo è la tendenza a essere presenti sul luogo di lavoro anche quando le condizioni fisiche e psicologiche sono tali da ridurre significativamente la produttività. La presenza nonostante condizioni psicofisiche avverse rischia di contagiare altre persone sia a livello fisico che a livello psicologico, riducendo così la produttività e la soddisfazione dei loro interlocutori e di coloro con cui collaborano. Personalità La personalità è l'insieme delle modalità con cui un individuo agisce, interagisce e reagisce alle persone e alle situazioni, come si confronta. In altre parole è l'organizzazione dinamica interna all'individuo dei sistemi psichici, cognitivi e fisici che determinano le modalità di adattamento specifiche dell'individuo stesso all’ambiente. Determinanti La personalità è frutto dell'interazione di due fattori: genetica e ambiente. Gli studi più recenti attribuiscono alla componente genetica, quindi ereditaria, della personalità un peso mediamente rilevante. L’ambiente ha comunque un ruolo non trascurabile e concorre a determinare la struttura della personalità attraverso l'apprendimento ovvero attraverso i processi di socializzazione e, più in Organizzazione Aziendale Pagina 3 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi generale, le esperienze di vita che portano all'acquisizione e al consolidamento di determinati stili di pensiero, di reattività emotiva e di comportamento. Il concetto di tratto e il modello dei Big Five La teoria della personalità può essere rappresentata come un insieme di tratti, ovvero come un insieme di caratteristiche che la persona specifica manifesta in un gran numero di situazioni e che proprio per questo la definiscono. Il tratto in ambito organizzativo consente di descrivere, differenziare e comprendere gli individui prevedendone i comportamenti all'interno di uno spettro relativamente ampio situazioni. Il concetto di tratto di personalità non si riferisce a una concezione deterministica, ma probabilistica del comportamento. Il modello dei Cinque Fattori (Big Five) di personalità identifica cinque tratti con le relative sottodimensioni, in grado di descrivere in modo sintetico ma completo la struttura di personalità degli individui. Il modello dei Cinque Fattori di Personalità identifica cinque dimensioni astratte che sono in grado di rappresentare la maggior parte dei tratti di personalità e in particolare quelli che possono influenzare comportamenti individuali e i risultati in ambito organizzativo. Questo modello viene spesso definito modello CANOE o OCEAN, acronimo composto a partire dalle denominazioni in inglese dei cinque fattori: Coscienziosità (Coscientiousness), Amicalità (Agreeableness), Nevroticismo (Neuroticism), Apertura all’esperienza (Opennes to experience), Estroversione (Extroversion). La coscienziosità misura l'affidabilità ovvero il senso di responsabilità, l'organizzazione, la persistenza, la puntualità e l'ordine. Chi ha valori bassi su questo tratto tende alla distrazione, al non avere un approccio strutturato alle situazioni. L’amicalità misura la predisposizione verso gli altri e viene definita come collaborazione, cordialità e calore umano, fiducia nel prossimo. Chi ha un punteggio basso su questo tratto ha un atteggiamento di distanza, di scarsa empatia e talora di antagonismo nelle relazioni. Il nevroticismo misura il grado di reattività in situazioni percepite come stressanti e qualifica la persona come calma, sicura di sé, convinta e stabile emotivamente se i punteggi sono bassi, o viceversa come tendente a innervosirsi, soggetta all'ansia e a stati lievemente depressivi e caratterizzata da percezione di insicurezza personale se il punteggio è alto. L’apertura all’esperienza misura l'ampiezza degli interessi della persona e la tendenza a ricercare novità e opportunità di confronto con persone diverse e con le situazioni mai affrontate prima. Punteggi alti sono indicativi di curiosità, creatività e sensibilità artistica. Punteggi bassi richiamano la necessità di riferirsi a contesti strutturali con ruoli e regole definiti, di riferirsi a modi di essere e di comportarsi condivisi e radicati nella tradizione. L'estroversione misura il livello di benessere e agio nelle situazioni di relazione. L'estroversione si associa ad atteggiamenti improntati alla gregarietà, all’assertività, alla socievolezza e alla dominanza. Punteggi bassi sono indicativi di riservatezza, timidezza, tendenza a non esternare i propri stati d'animo e le proprie idee. Altri tratti rilevanti in ambito organizzativo Core Self-Evaluation è un tratto di personalità che rappresenta il modo in cui l'individuo valuta se stesso per quanto concerne la competenza e la possibilità di esercitare un controllo sugli eventi della propria vita. Individui con una Core Self-Evaluation positiva si percepiscono come competenti e in grado di influenzare le situazioni nelle relazioni che li vedono coinvolti avendo quindi un ruolo importante nel determinare il proprio destino. Organizzazione Aziendale Pagina 4 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi La Core Self-Evaluation si struttura su quattro dimensioni: autostima, nevroticismo o stabilità emotiva, locus of control e auto-efficacia generalizzata. Per autostima si intende la disposizione che l'individuo ha nei confronti di se stesso, è la base su cui l'individuo costruisce e soddisfa il bisogno di autonomia, le competenze di auto-gestione e di relazione. Il nevroticismo è la tendenza a sperimentare in prevalenza emozioni positive o negative, e la disposizione a reagire in modo spontaneo o controllato a situazioni di stress. Il locus of control rappresenta la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti o azioni, oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà. Il concetto di auto-efficacia generalizzata si riferisce alla percezione del grado di controllo che un individuo ritiene di poter esercitare su se stesso e sull’ambiente. Machiavellismo: si definisce personalità machiavellica l'insieme di caratteristiche che sostengono comportamenti orientati al pragmatismo che, unito al distacco emotivo e alla convinzione che il fine giustifichi i mezzi, sostiene e alimenta modalità di agire e di perseguire propri obiettivi mediamente aggressive e mirate. Il machiavellico ha uno stile manipolativo con cui persuade gli altri ad agire nel suo personale interesse, essendo allo stesso tempo schermato rispetto ai tentativi di influenza altrui. I valori I valori sono convinzioni profondamente radicate e stabili che rappresentano un criterio in base a cui l’individuo definisce le proprie priorità e decide come agire e con quale livello di convinzione e intensità farlo, per perseguire obiettivi e finalità individualmente e socialmente preferibili ad altri. In altre parole, definiscono ciò che è importante, ciò per cui vale la pena darsi da fare e assumersi dei rischi, uno stato o dei risultati da perseguire con convinzione. L'individuo organizza i propri valori secondo un ordine gerarchico di preferenza: tale ordine gerarchico rappresenta il sistema di valori della persona. Il modello di Schwartz e lo Schwartz Values Circumplex Lo Schwartz Values Circumplex È un modello che nasce da una ricerca empirica svolta sulla base di un campione rappresentativo di 25.000 persone di 44 paesi diversi. Esso mappa il valori di base considerati universali perché riscontrabili in tutti i contesti a prescindere dalla dimensione linguistica e culturale. Secondo Schwartz i valori sono concetti relativi a stati e finalità desiderabili che influenzano il modo in cui gli individui decidono come comportarsi e il modo in cui valutano le situazioni e gli eventi, e che riflettono i bisogni di base di natura biologica, fisica e psicologica degli individui e i bisogni che devono essere fatti per il buon funzionamento della società in relazione alle due funzioni fondamentali dell'agire umano: il controllo e la condivisione. Il modello di Schwartz va letto in senso orario a partire dal valore posizionato in alto; i valori vicini sono valori per i quali l’importanza/rilevanza dell'uno sancisce la rilevanza dell’altro, mentre i valori opposti o comunque distanti sono valori incompatibili o tali per cui la rilevanza dell'uno rende l'altro meno rilevante. Il modello di Schwartz comprende 57 valori, al loro volta raggruppati in 10 cluster che come si è detto sono rappresentati all'interno di un modello circolare da percorrere in senso orario a partire dal valore posizionato al centro in alto, l’universalismo, a cui seguono la benevolenza, il conformismo, la tradizione, la sicurezza, il potere, l’achievement, l’edonismo, la ricerca di stimoli e Organizzazione Aziendale Pagina 5 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi l’autodeterminazione. I 10 cluster sono disposti su quattro quadranti: trascendenza del sé, conservazione, valorizzazione del sé, apertura al cambiamento. Forme di congruenza e implicazioni Quanto più il sistema di valori dell'individuo con riferimento al lavoro è sovrapponibile a quello dell’organizzazione in cui opera tanto più elevato sarà il commitment, la soddisfazione, l’identificazione, l’engagement e il livello di stress sperimentato dall’individuo. Il modello attraction-selection-attrition (Schneider, Smith e Goldstein 2000) secondo cui: 1) gli individui sono attratti verso organizzazioni in cui operano persone con profili di personalità, sistemi di valori e atteggiamenti simili ai propri, 2) le organizzazioni tendono a selezionare individui con competenze, conoscenze, motivazioni e atteggiamenti simili a quelli di coloro che già operano al loro interno, 3) nel tempo coloro che si evolvono e crescono in direzioni non coerenti con i valori e le caratteristiche dell'organizzazione la lasciano orientandosi altrove, Consente di osservare le conseguenze di livelli più o meno rilevanti del person-organization fit. Questo significa che le relazioni più produttive sono quelle con persone con cui si condivide lo stesso sistema di valori e che le organizzazioni devono selezionare solo persone i cui valori sono identici a quelli di cui sono depositarie? La congruenza di valori ha numerosi vantaggi, ma è altrettanto importante coltivare la diversità e la capacità delle persone di interagire in modo costruttivo valorizzando le differenze. Valori e comportamento In generale, la coerenza interna valori-comportamenti è favorita da tre condizioni: 1. L'esistenza di buone ragioni (ragioni razionali) per comportarsi in modo coerente con i propri valori; Organizzazione Aziendale Pagina 6 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi 2. Il manifestarsi nella situazione di condizioni che agevolano il comportamento; 3. La possibilità e il tempo di riflettere sul valore stesso, sul suo senso e sui suoi benefici 2. Percezione Il processo percettivo La percezione è un processo psicologico di creazione di un'immagine interna del mondo esterno. È un processo cognitivo attraverso il quale gli individui raccolgono e organizzano le informazioni riguardo le persone, gli oggetti e gli eventi. È un processo di interpretazione ed elaborazione delle informazioni forniteci dei nostri sensi in modo da dare un significato all'ambiente circostante. Il processo percettivo inizia quando l’individuo, attraverso i propri sensi, coglie uno stimolo esterno e traduce queso stimolo in informazioni che dovranno essere lette e codificate all'interno della sua mente. L’individuo può ricevere tanti stimoli, ma non è detto che tutti vengano notati e attivino il processo di percezione. L'individuo, quindi, fa una selezione, in maniera conscia e/o inconscia, degli stimoli che ritiene rilevanti in un determinato momento. Una volta notato e ricevuto lo stimolo rilevante attraverso i sensi si attua il processo di stereotipizzazione, ossia di classificazione. La percezione è soggettiva, non esiste quindi una realtà oggettiva, ma tante realtà soggettive quanti sono i soggetti che la stanno osservando, vivendo e agendo. Percepire è diverso dal sommare semplicemente delle sensazioni, ma significa organizzarle e conferire loro una forma, una struttura. Per comprendere il mondo circostante si tende a ordinare i dati percepiti secondo numerose regole di organizzazione. Le principali sono: 1. La regola figura/sfondo, per cui la figura nella sua globalità è percepita come un insieme ed è distinta dallo sfondo su cui è impressa 2. La regola della buona forma, per cui la struttura percepita è sempre la più semplice. Una forma sarà pertanto percepita come buona quando genera in chi la osserva una sensazione di armonia ed equilibrio. Organizzazione Aziendale Pagina 7 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi SOLITAMENTECHIARA 3. La regola della prossimità, per cui raggruppiamo gli elementi in SOLITAMENTE CHIARA funzione delle distanze, ovvero si considerano componenti di un'unica SOLITA MENTE CHIARA unità percettiva elementi vicini piuttosto che lontani. SOLITAMENTE CHI ARA 4. La regola della somiglianza, per cui stimoli simili vengono percepiti in modo raggruppato. 5. La regola della chiusura, per cui gli individui tendono a completare le figure e i suoni, fornendo un contorno semplice e completo. 6. La regola dell'impostazione soggettiva/esperienza passata, per cui si preferisce un’organizzazione delle informazioni coerente con le conoscenze di chi percepisce/osserva. I fattori di influenza del processo percettivo La percezione è influenzata dalle caratteristiche dell’ambiente, in primis inteso come contesto, situazione. Ogni stimolo infatti assume significato a seconda del contesto in cui avviene o si manifesta. L'ambiente è inteso anche come relazione: il fatto di essere soli o in presenza di altri soggetti influenza le nostre percezioni. La percezione è inoltre influenzata dalle caratteristiche individuali di chi percepisce e dalle caratteristiche dell'oggetto percepito, infatti gli oggetti o eventi osservati possono presentare determinate caratteristiche che hanno un effetto su come essi vengono colti, trasformandosi in alcuni casi in vere e proprie illusioni ottiche, ovvero rappresentazioni sbagliate e distorte che chi osserva produce su un oggetto/evento. Organizzazione Aziendale Pagina 8 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi Le distorsioni della percezione interpersonale —> La prima impressione. Consiste nel basare il giudizio sulla persona sulle poche informazioni raccolte Durante le prime osservazioni e interazioni con la persona stessa. La criticità è legata al fatto che spesso la prima impressione diventa anche l’ultima. —> L’effetto alone. Rappresenta la situazione in cui l'uso di una o di poche caratteristiche e/o attributi di una persona influenza la valutazione e si estende agli altri attributi. Di frequente ciò è collegato all'immagine che ognuno di noi ha di se stesso: si tende infatti a dare una valutazione positiva a persone che hanno caratteristiche simili a quelle che crediamo di avere. —> La profezia che si auto-avvera. È una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata fa realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità. L'individuo decide e agisce sulla base di un'idea che ha forte e radicata in testa. Quella che era solo un'idea diventa una profezia che si avvera. —> La proiezione. È il processo psicologico attraverso cui le persone attribuiscono proprie caratteristiche, attributi o tratti di personalità ad altri, ossia è la tendenza da parte delle persone a vedere negli altri le proprie caratteristiche. Gli altri quindi sono visti come proiezione di noi stessi. —> Gli stereotipi. Sono un sistema di credenze e convinzioni relativo alle caratteristiche o attributi di un gruppo o una categoria sociale. La nascita di uno stereotipo avviene in diverse fasi: inizialmente si categorizza la persona in un gruppo in base, ad esempio, alla razza, al genere, all’età, alla religione, ecc.; poi si suppone che tutti gli individui che appartengono a quel determinato gruppo possiedono le stesse caratteristiche. In base alle credenze che ci costruiamo interpretiamo di conseguenza il comportamento degli altri. Questo modo di pensare diventa stereotipo quando si radica nella nostra mente e viene utilizzato per descrivere in modo automatico una persona che appartiene a quella determinata categoria sociale. —> La teoria implicita della personalità. Questa teoria si basa sulla convinzione comune che certi tratti di personalità si presentino insieme (es. “I grandi lavoratori sono brave persone”) e che ciò consenta di predire più facilmente il modo in cui una persona si potrebbe comportare in una determinata situazione. La teoria dell’attribuzione La teoria dell'attribuzione si basa sul presupposto che ogni individuo cerca di comprendere le possibili cause dei propri comportamenti e di quelli che osserva, agiti dagli altri, stabilendo costantemente relazioni causa-effetto per dare loro un significato. I comportamenti possono essere attribuiti a cause esterne o a cause interne. Questo processo non è sempre consapevole, ma si attiva quando: Al soggetto che percepisce è stata posta una domanda diretta sul comportamento di un altro Accade un evento inaspettato Il soggetto che percepisce prova sensazioni di fallimento/perdita di controllo Una volta attivato il processo, I comportamenti vengono attribuiti a cause interne o esterne in funzione del livello di: Consenso (paragone con altri) Distintività (paragone con altre situazioni) Coerenza (tempo) In generale, quando tutte e tre dimensioni sono alte il soggetto che percepisce tenderà ad attribuire il comportamento della persona oggetto di osservazione a fattori esterni. Quando il Organizzazione Aziendale Pagina 9 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi consenso e la distintività sono bassi, ma la coerenza è alta si tenderà ad attribuire il comportamento dell'altro a fattori interni. Sono da considerare inoltre altri due fattori che possono influenzare il processo di attribuzione. Il primo è la privacy dell’atto, ovvero se le azioni che si stanno osservando sono gradite in privato, in assenza di altri; in questo caso si tende ad attribuire le cause delle azioni agite all’interno, mentre in presenza di altri si tende ad attribuire le cause dell'agire alla pressione sociale. Il secondo è lo status: tendenzialmente si crede che un individuo di status sociale elevato sia più responsabile del proprio agire, abbia maggiore responsabilità di controllo e di scelta. Nell'identificare le cause del comportamento individuale, però, spesso si commettono alcuni errori. In particolare, nel caso in cui giudichiamo il comportamento altrui possiamo commettere il bias attributivo di base ( o errore fondamentale di attribuzione), ovvero c'è la tendenza ad attribuire le cause del comportamento degli altri alle caratteristiche della persona. Nel caso in cui giudichiamo il nostro comportamento tendenzialmente siamo più clementi. Ciò che si può verificare è conosciuto come bias auto-funzionale, quel processo mediante il quale gli individui si attribuiscono il merito del successo, mentre attribuiscono il proprio insuccesso a fattori esterni. 3. Identità L’identità di un individuo può essere definita e analizzata lungo tre dimensioni: l’identità di ruolo, l’identità sociale e l’identità personale. L’identità di ruolo L'identità di ruolo fa riferimento alle posizioni che l'individuo occupa all'interno della società. Il ruolo, quindi, organizza le funzioni che l'individuo svolge. Un individuo può occupare posizioni sociali che si distinguono in tre tipologie: Posizioni sociali normative —> studente, lavoratore, marito, imprenditore.. Posizioni sociali contro-normative —> criminale, alcolista, tossicodipendente.. Posizioni sociali basate su interessi, attività, abitudini —> donatore di sangue, volontario, giocatore di pallavolo.. A ogni posizione nella società corrispondono determinate aspettative che guidano gli atteggiamenti e i comportamenti degli individui. L’insieme di queste aspettative coincide con il ruolo. Il ruolo fornisce agli individui una struttura, un'organizzazione e un significato per i propri comportamenti e le proprie interazioni con gli altri in differenti contesti e situazioni. Ogni individuo, Inoltre, può agire il ruolo in maniera personale, filtrando il ruolo socialmente definito attraverso l'attribuzione di un proprio significato. L'Identità di ruolo, quindi, è composta da una dimensione sociale e una dimensione personale. L'individuo può decidere quanto conformarsi e/o quanto deviare dalle aspettative. Ogni individuo, combinando la dimensione sociale con quella personale, definisce la propria identità standard, ossia come vorrebbe agire la propria identità. Se Organizzazione Aziendale Pagina 10 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi c'è un disallineamento tra ciò che vorrebbe l’individuo (identità standard) e ciò che fa (identità agita) e ciò si ripete nel tempo la conseguenza potrebbe essere l'abbandono della posizione. Ogni individuo ha tante identità di ruolo quante sono le posizioni che occupa nella società; ogni identità di ruolo comprende tutti i significati che una persona attribuisce a se stessa nel momento in cui mette in atto l’identità. L'identità sociale L'appartenenza a gruppi sociali definisce l'identità sociale dell’individuo. L'individuo si definisce come membro di un particolare gruppo e si identifica con tale gruppo. Oppure, sono gli altri che categorizzano l'individuo come membro di un determinato gruppo. Che cos'è un gruppo sociale? Un gruppo sociale deve essere composto da almeno tre persone che: a) si identificano e si vedono nello stesso modo e b) condividono la stessa definizione di chi sono, degli attributi che li caratterizzano e di come si relazionano rispetto ad altri gruppi. Esempi di gruppi sociali: essere un uomo/donna (genere), essere onnivoro/vegano/vegetariano (preferenze alimentari), ecc.. Il modo corretto di individuare i gruppi sociali è definire precisamente le coordinate spazio- temporali che si considerano. Infine, identità sociale si basa sulla sussunzione dell’ ”Io” nel “Noi” e si sviluppa in una relazione dialettica tra “Noi” (che siamo nel gruppo) e “Loro” (che sono fuori dal gruppo). Infatti, la motivazione che porta all'auto inclusione o all'inclusione di un individuo in un gruppo è legata a) alla valorizzazione di sé, al senso di appartenenza e all’autostima; b) alla riduzione dell'incertezza perché l'appartenenza fornisce un modello di comportamento. L'identità sociale rappresenta, quindi, una semplificazione di come dobbiamo comportarci e di come ci aspettiamo si debbano comportare gli altri. Inoltre, poiché un individuo appartiene a più gruppi sociali, in funzione del contesto e/o della situazione e/o delle preferenze personali può decidere se e quali identità sociali attivare. Questa scelta si basa su quanto l'identità sociale sia accessibile e/o di fit normativo. Esistono delle sovrapposizioni tra l'identità di ruolo e l'identità sociale. Entrambe, infatti, riguardano quanto un individuo è simile ad altri individui. L'identità personale L'identità personale ha le sue radici nel concetto di sé e può essere definita come quell'insieme di significati che sono collegati a, e sostengono, l'individuo nella sua unicità e non sono condivisi con gli altri. L'individuo sviluppa un'identità standard che rappresenta l'insieme dei significati che l’individuo stesso attribuisce o vorrebbe attribuire alla propria identità personale. L’identità standard si verifica nelle situazioni concrete. La parola chiave dell'identità personale diventa “Io” e si sviluppa in relazione dialettica tra “me” e “te”. Organizzazione Aziendale Pagina 11 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi L'identità dell’individuo L'identità dell'individuo si concretizza attraverso la dinamica che si crea tra le tre dimensioni (le tre identità sopra descritte). L'identità personale definisce l'unicità e la distintività dell'individuo, mentre le altre due dimensioni dell'identità, quella di ruolo e quella sociale, definiscono la similarità dell'individuo rispetto a gruppi di individui. L'individuo può decidere di conformarsi alle norme sociali (comportamento conformista) oppure di deviare dalla norma e di convivere come la dissonanza (comportamento deviante). La sovrapposizione tra identità personale, identità di ruolo e identità sociale definisce l'individuo reale, concreto, con un nome e un cognome. La percezione sociale e il processo di categorizzazione Abbiamo visto che la percezione è un processo cognitivo di creazione di una rappresentazione interna del mondo esterno. Quando l'oggetto della percezione è una persona si parla di percezione sociale. La percezione è influenzata da: 1. Il contesto/situazione in cui avviene 2. Gli aspetti cognitivi di chi percepisce 3. Gli aspetti emotivi di chi percepisce L'individuo fa una selezione degli stimoli che riceve prendendo in considerazione quelli che ritiene rilevanti in un determinato momento. Il processo di percezione si tramuta nel processo di classificazione/categorizzazione, ossia colui che percepisce utilizza una schema mentale per dare senso a ciò che ha appena percepito. L'individuo confronta lo stimolo esterno e le informazioni a esso connesse con un prototipo. Il prototipo è una sorta di cancello che smista le informazioni tra le differenti categorie. Il prototipo è condizionato a sua volta da una dialettica interno-esterno, ossia da una dialettica tra “caratteristiche dell’individuo" che percepisce e “caratteristiche del contesto socio-culturale” in cui l'individuo è emerso. L'esito del confronto (stimolo- prototipo) dà luogo all'inclusione della persona oggetto dello stimolo all'interno di una o più categorie (categorizzazione). Il processo di categorizzazione si può sviluppare verso se stessi (identificazione) o verso gli altri (categorizzazione tout court). Identificazione e la categorizzazione possono essere allineate o disallineate. Se sono allineate significa che io mi definisco come gli altri mi definiscono. Se sono disallineate significa che il modo in cui io mi definisco diverge da come gli altri mi definiscono. Perché le persone utilizzano gli stereotipi e incorrono in errori di giudizio e di valutazione? La risposta è che il processo di categorizzazione sociale è un processo complicato. Avviene in condizioni di: Organizzazione Aziendale Pagina 12 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi 1. Volatilità - quando cambiano i contesti, le situazioni, le persone agiscono ruoli e identità differenti in momenti diversi 2. Incertezza - spesso le informazioni sono limitate 3. Complessità - un individuo può rientrare al tempo stesso in più categorie, quindi bisogna capire se è possibile attivare una categoria dominante e quali sono le relazioni tra le categorie. 4. Ambiguità - il confronto individuo-prototipo non è chiaro, Le informazioni gli indizi vanno in direzioni differenti Gli stereotipi e gli altri possibili errori di percezione/categorizzazione sono un modo per superare questi problemi e per semplificare la situazione. Gli stereotipi, oltre a essere tra le cause dei pregiudizi e della discriminazione, possono portare a fraintendimenti e a conflitti tra gruppi sociali differenti. I gruppi/categorie sociali Le categorie che stanno alla base del processo di categorizzazione, e quindi sono alla base dell'identità sociale, sono costruite lungo alcuni attributi degli individui di carattere genetico/ biologico, psicologico e sociale. Le principali categorie sono: Il sesso genetico/biologico (maschio, femmina, intersessuale) Il genere, l'identità di genere e l'espressione di genere (maschile/femminile) L'orientamento sessuale L’età Le generazioni L'aspetto e le condizioni fisiche/psichiche L'origine nazionale e/o tecnico-culturale L'orientamento politico L'orientamento religioso/spirituale La classe sociale Il ceto sociale I il livello di istruzione/educazione/formazione La situazione familiare Le abitudini/preferenze La professione Le categoria organizzative Non tutte le categorie sono uguali Da un punto di vista socio-psicologico e sociale, la discriminazione può essere definita come un trattamento differenziato di un individuo a causa della sua appartenenza a un gruppo sociale, dove il trattamento differenziato, in genere, coincide con un trattamento iniquo oppure con un trattamento che ha impatti differenti su gruppi sociali diversi. Una delle principali cause della discriminazione è lo stigma che è associato ad alcune categorie sociali. Queste identità possono diventare la fonte di stereotipi, di pregiudizi e per l'appunto di discriminazione. Altre possibili casi della discriminazione possono essere l’ideologia oppure il fatto che alcuni individui, solo per il fatto di essere minoranze da un punto di vista numerico all'interno di determinati contesti, possono essere marginalizzati o oggetto di esclusione. Tutto ciò comporta in capo all'individuo discriminato l’onere di mettere in atto strategie e tattiche per far fronte alla discriminazione. Organizzazione Aziendale Pagina 13 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi La gestione individuale dell'identità nei luoghi di lavoro Passing. Un individuo adotta una strategia di passing se separa la propria identità privata da quella pubblica e si traveste da membro in un determinato gruppo sociale. La strategia di passing riguarda essenzialmente le identità non direttamente visibili. Covering. Un individuo adotta una strategia di covering se depotenzia le caratteristiche della propria identità al fine di renderle rispettabili, si comporta in maniera discreta e rientra nella norma, ossia nei canoni della maggioranza. Il covering riguarda sia le identità invisibili, sia le identità visibili. Revealing. Un individuo adotta una strategia di revealing se si dimostra per quello che è differenziandosi rispetto agli altri e concependo la propria identità diversa al pari di quella degli altri, agendo quindi tutto il peso della propria identità. Si tratta di un caso in cui un individuo sfida lo stigma sociale e in cui la sua identità privata coincide con quella pubblica. L'utilizzo di strategie di passing e di covering rappresenta una situazione patologica, perché in un mondo ideale ogni individuo, nella propria vita privata e nel proprio ambiente di lavoro, dovrebbe poter esprimersi per quello che è realmente. Chi impegna le proprie risorse, emotive e cognitive, e i propri comportamenti nelle strategie di passing e di covering ha meno risorse da dedicare alle proprie attività organizzative. Le determinanti delle strategie di gestione delle identità Il clima organizzativo può essere definito come un insieme di relazioni riguardo ad attributi dell’organizzazione, a legami tra individuo all’organizzazione, ad atteggiamenti, a intenzioni ad agire, a motivazioni e a comportamenti che accadono nell’organizzazione e che sono da porre in relazione con l’organizzazione. La dialettica tra le forze in campo può portare a identificare cinque tipologie differenti di clima organizzativo: clima repressivo, clima per la diversità ostile, clima ambiguo, clima per la diversità favorevole, clima inclusivo. Organizzazione Aziendale Pagina 14 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi L'identità digitale I processi di identificazione e di categorizzazione non avvengono solo nell'incontro faccia a faccia tra gli individui, ossia nello spazio fisico, ma anche nell'incontro mediato dalle tecnologie, ossia nello spazio che possiamo chiamare digitale. Ogni persona, nel momento in cui naviga in rete, accede a un social network, ecc.. Lascia delle tracce in modo consapevole o inconsapevole. Queste tracce sono utilizzate dall'individui per definirsi e/o sono utilizzate dagli altri per categorizzare gli individui stessi. L'individuo può ovviamente separare la propria identità fisica da quella digitale, ossia può costruirsi un'identità digitale differente in tutto o in parte da quella fisica. A questo proposito possono entrare in gioco le strategie di passing e covering. L’individuo, pertanto, si trova a gestire la propria identità privata e la propria identità pubblica non solo nello spazio fisico ma anche in quello digitale. 5. Decisioni Decidere in 8 fasi 1. Definizione del problema 2. Definizione degli obiettivi 3. Raccolta delle informazioni 4. Valutazione delle informazioni 5. Definizione delle alternative possibili 6. Valutazione delle alternative possibili 7. Scelta dell’alternativa 8. Valutazione dei risultati Decidere secondo un modello razionale È necessario occuparsi di come le persone prendono le decisioni perché le decisioni sono l'anticamera del comportamento, alimentano le azioni della persona nella vita sociale e professionale di tutti giorni. La felicità, secondo Bentham, è definita come la massimizzazione del piacere e la minimizzazione del dolore. L'utilitarismo è proprio l'espressione sintetica di questo modo di agire: la cosa giusta da fare e quindi la decisione da prendere è la massimizzazione dell’utilità. La teoria della scelta razionale trova le sue radici pensiero di Bentham. Secondo questa teoria c'è un prezzo per qualsiasi cosa e l'azione umana è determinata dal soddisfacimento degli interessi personali. I postulati di questa teoria sono tre: 1) gli individui accettano una relazione con altri solo quando capiscono che da tale relazione possono massimizzare l'utilità soggettiva; 2) la cooperazione non è funzionale al sistema, bensì all’individuo; 3) c'è uno scambio tra agire individuale e contesto, secondo un crescendo di reciprocità che aumenta con il ruolo ricoperto dal soggetto del sistema sociale. Organizzazione Aziendale Pagina 15 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi Nella pratica, analisi costi/benefici complesse richiedono che tutte le valutazioni siano espresse con un'unità di misura numeraria unica. Questo vuol dire assegnare un valore monetario a tutti gli elementi della decisione. Il problema è che questa metodologia si scontra con: 1) l'impossibilità di assegnare in modo univoco e precisa un valore monetario alla totalità degli eventi considerati; 2) quand'anche sia possibile attribuire un valore monetario, il problema potrebbe consistere nell'incertezza circa la sua entità. La critica alla razionalità perfetta degli utilitaristi e degli economisti neoclassici Simon ritiene che il processo decisionale trovi un limite in quella che la sua definizione più celebre: la razionalità limitata. Simon è del parere che un attore decisionale sia indotto a costruirsi un modello semplificato della realtà che lo interessa. Il successo di ogni azione dipenderebbe dal grado di attendibilità delle informazioni di un soggetto e dalla sua capacità di costruire correttamente il modello operativo più adatto a risolvere i problemi che gli stanno di fronte. Per Simon è doveroso suggerire al decisore di tendere verso un modello razionale cercando di acquisire quante più informazioni possibili, qualitativamente accettabili, in un arco di tempo limitato, per non rimandare la propria decisione all’infinito. L'uomo organizzativo si distingue da quello economico proprio in quest’aspetto: vorrebbe comportarsi secondo un modello perfettamente razionale, ma non è in grado di farlo, ha dei limiti nelle sue capacità decisionali. In queste circostanze il decisore si limiterà alle sue ricerche fino al raggiungimento di un adeguato livello di soddisfazione. Simon sostituisce alla scelta ottimizzante l’approccio all’ottimizzazione approssimata: la situazione viene semplificata e ridotta fino a un grado di complessità tale per cui chi prende la decisione possa adeguatamente contemplarla e gestirla. All'interno di questa semplificazione si individua la soluzione. La teoria decisionale proposta da Simon si contrappone a quella della razionalità perfetta per la sostituzione di un modello di riferimento di tipo ottimizzante con un modello di tipo soddisfacente. In conclusione, l'apporto fondamentale di Simon è stato quello di evidenziare i limiti della razionalità nel processo decisionale umano. Dalla razionalità deduttiva alla razionalità euristica Alle strategie decisionali deduttive si oppongono quelle euristiche. L'attore decide utilizzando delle vere e proprie scorciatoie decisionali, delle regole di ricerca delle informazioni (eurismi, cioè ricercare) che semplificano il problema, spingono la nostra mente a considerare solo alcune alternative, opzioni o informazioni. Gli eurismi decisionali sono tre: ancoraggio, rappresentatività e disponibilità. Ancoraggio. L’eurisma di ancoraggio ci aiuta nella decisione utilizzando un punto di riferimento: l'azione che ne scaturisce si colloca in un raggio di possibilità che ha come riferimento centrale il punto di ancoraggio. L’eurisma di ancoraggio semplifica il modello decisionale, soprattutto quando la probabilità di un cambio degli elementi di contesto è bassa o quando il costo (e il tempo) per la revisione degli elementi di contesto è sproporzionato rispetto alla spesa. Rappresentatività. In assenza di informazioni sulla probabilità di un fatto, l’eurisma di rappresentatività entra in gioco e ci porta a formulare un giudizio utilizzando conoscenze a noi familiari, che riportiamo (rischiando di sbagliare) essere rappresentative del caso che abbiamo da Organizzazione Aziendale Pagina 16 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi analizzare. L’eurisma di rappresentatività agisce come un vero e proprio stereotipo, è un pregiudizio precostituito su persone, gruppi, eventi o cose. È sufficiente la somiglianza con un modello di riferimento per balzare a una conclusione senza perdere tempo di verificare i dati del problema. Se il giudizio sulla situazione è infondato, la decisione sarà sbagliata. Disponibilità. Le persone tendono a dare maggiore valore e importanza alle informazioni disponibili senza sforzo, che risulta di facile accesso, e contemporaneamente a dare minore importanza e valore alle informazioni più lontane nel tempo, di maggiore complessità e di difficile acquisizione. L’eurisma della disponibilità condiziona in maniera positiva o negativa le decisioni e agisce come una scorciatoia del percorso di ricerca e valutazione delle informazioni. I due lati della medaglia dell’overconfidence. Quando le tre scorciatoie generali agiscono simultaneamente si verifica il rischio dell’overconfidence, tradotto in italiano come sicumera, una forma di superiorità decisionale che porta le persone a essere sicure di sé, insensibili rispetto alla razionalità delle decisioni, alla verifica delle informazioni in possesso, privilegiando modelli mentali consolidati. L’overconfidence ha anche un lato positivo: è uno strumento di influenza per orientare il comportamento delle persone. In che modo è possibile contrastare i lati negativi dell’overconfidence ed evitare la trappola degli eurismi di ancoraggio, rappresentatività e disponibilità? Gli antidoti che sono frequentemente suggeriti sono: 1. Ricorrere all'aiuto di esperti e non limitarsi a una decisione individuale, infatti il problema è la qualità delle informazioni sulla base di cui si matura la decisione. 2. Utilizzare le checklist. Le checklist sono strumenti di controllo redatti in condizioni di assenza di stress e di urgenza, possono essere perfezionate costantemente grazie all’esperienza e si prestano a essere la guida in un processo decisionale che invece accade in situazioni di incertezza e di incompletezza informativa. 3. Ricorrere a un eurisma di tipo opposto. Si tratta di una buona pratica presa a prestito dal metodo scientifico: per testare la validità di una tesi è necessario provare a sostenere la tesi opposta, e solo in caso di smentita della seconda la tesi principale sarà vera. 4. Utilizzare il team come meccanismo collegiale per il confronto delle idee e la formulazione di un corso di azione adeguato, ma al tempo stesso evitare le circostanze estreme in cui la capacità decisionale del team viene azzerata dalla pressione del gruppo. 5. Allargare incrementalmente l'orizzonte informativo, ma senza intrappolare la decisione in una raccolta dati lunga e complessa, costosa e poco realistica in termini di risultati. Le trappole decisionali Formula di Bernoulli —> valore atteso = probabilità x valore Partire da quest'equazione aiuta a comprendere quali siano i veri limiti del comportamento razionale dell’uomo, infatti la formula è troppo teorica e troppo lontana dalla realtà. I problemi con questa formula sono di due tipi. In primo luogo, le persone non sono affatto brave nella stima delle probabilità, e secondo luogo sono altrettanto in difficoltà quando si tratta di attribuire un valore alle alternative che devono considerare. Organizzazione Aziendale Pagina 17 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi La prima ragione per la quale le persone non sono affatto precise nella stima delle probabilità degli eventi è dovuta all'uso delle scorciatoie decisionali euristiche. Inoltre le persone comparano il valore di un’azione con il passato. Una seconda trappola decisionale è attribuibile all'errata comparazione tra elementi della decisione quando i dati del contesto cambiano. Un'altra trappola dei processi decisionali è quella dell’autoconferma: molte persone, dopo aver preso una decisione, tendono a raccogliere esclusivamente informazioni che confermino la validità della scelta fatta. Bisognerebbe, invece, fare proprio il contrario: per sostenere una tesi bisognerebbe sottoporla alla “tortura” delle antitesi. Il contributo delle neuroscienze: il bias dell’ottimismo Esiste una versione particolare dell’overconfidence: il bias dell’ottimismo. Indipendentemente dall'istruzione, dalla reddito, le persone tendono a sovrastimare le informazioni che hanno un significato positivo per se stesse e i propri cari, e a sottostimare quelle che hanno un impatto negativo. Questa overconfidence positiva ha permesso all'uomo di immaginare un nuovo futuro per sé e per i suoi simili, ha permesso le esplorazioni terrestri e spaziali, porta gli imprenditori a scommettere sulla propria azienda, ecc. Ciò non toglie i problemi che sono a esso collegati: sottovalutazione dei rischi, sovrastima delle proprie capacità, irrazionale allocazione delle risorse. 6. Motivazione Definizione e storia dello sviluppo teorico sulla motivazione L’origine del termine motivazione è latina e indica ciò che spinge le persone ad agire, a comportarsi in un determinato modo. La motivazione ha cioè la capacità di influenzare la direzione, la forza e la persistenza dell’azione. La motivazione è la base del comportamento individuale e determina i risultati, a parità di capacità e attitudini. Teorie di contenuto: spiegano che cosa spinge le persone ad agire. Teorie di processo: spiegano come le persone si mettono in moto. Per Vroom, la motivazione è intesa come un processo che governa le scelte fatte dalle persone. Le origini delle teorie sulla motivazione risalgono ai filosofi greci e in modo particolare al filone edonista che vedeva nella ricerca del piacere la principale determinante del comportamento. 1600/1700 il suddetto principio viene ripreso da filosofi come Locke, Mill, Helvétius. Fine 1800 il tema passa dalla filosofia alla psicologia. Gli scienziati comportamentali cominciarono a cercare modelli più scientifici per spiegare la motivazione. Tra questi modelli dominava la teoria di Freud , basata sugli istinti con le radici del comportamento. Organizzazione Aziendale Pagina 18 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi 1911 Taylor proponeva un sistema che includeva tecniche per migliorare la selezione, l'addestramento sul lavoro, un sistema incentivante basato sulla performance e tecniche di ridisegno del lavoro che nell'insieme possono essere paragonate agli High Performance Work System degli anni ’80 e che contengono delle teorie motivazionali sviluppate poi negli anni ’60 e ’70. Mayo (1933), Roethlisberger e Dickson (1939) diedero avvio al movimento delle relazioni umane che vedeva nella mancanza di attenzione alle persone come individui e gruppi la principale fonte di demotivazione. McGregor (1960) con il suo libro “The Human Side of Interprise” rappresenta il culmine di questo filone di pensiero. Negli anni ’50 e seguenti fiorirono le cosiddette teorie di contenuto, volte a comprendere che cosa motivasse individuo: fra queste, quelle basate sui bisogni (Maslow 1954 e McClelland 1961) e i lavori di Herzberg (1966) e successivamente di Hackman e Oldham (1976) basati sul potere motivante del contenuto del lavoro e sugli interventi di realizzazione delle mansioni, o quelli di Deci (1975) sui fattori di motivazione intrinseca ed estrinseca. La metà degli anni ’60 e il decennio successivo sono considerati l'età d'oro dello sviluppo teorico sulla motivazione. Le teorie più note di questi anni sono quelle dell'aspettativa valenza di Vroom (1964), la teoria dell'equità distributiva di Adams (1963) e la teoria del goal-petting di Locke (1968). La fine degli anni ’70 e gli anni ‘80 furono caratterizzati dallo sviluppo di queste teorie e dai lavori di Bandura (1977) sull’auto-efficacia, uno degli elementi cardine dell’azione. Negli anni ’90 l'interesse allo sviluppo teorico sulla motivazione venne meno, tant'è che nei testi di comportamento organizzativo a predominare erano ancora le teorie degli anni ’60 e ’70. Nel 2004 Steers, Mowday e Shapiro dedicarono un numero speciale di una prestigiosa rivista al futuro della motivazione. Principali teorie sulla motivazione I bisogni e le spinte motivazionali: Maslow e McClelland Maslow nel 1954 propose la teoria della gerarchia dei bisogni, identificando cinque categorie di bisogni (fisiologici, di sicurezza, di appartenenza, di stima e di realizzazione), ipotizzando una gerarchia degli stessi e sostenendo che gli individui sono spinti dai bisogni di livello superiore solo se sono stati soddisfatti i bisogni di livello inferiore. La teoria dei bisogni di McClelland non è basata sul concetto di gerarchia ma sul potere motivazionale di alcuni bisogni precisi, definiti dall'autore spinte, che gli individui possiedono a livelli diversi e sviluppano in base ai processi di socializzazione: potere, affiliazione, achievement e autonomia. McClelland in particolare si concentra sul potere, definito come il bisogno di controllare il proprio ambiente, e sull’achievement, comportamento diretto alla competizione con uno standard di eccellenza. La motivazione al successo di un individuo e i comportamenti conseguenti dipendono dalla forza dei bisogni di potere e di successo a appresi socialmente e attraverso le proprie esperienze personali e professionali. Organizzazione Aziendale Pagina 19 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi Il contenuto del lavoro: da Herzberg a Hackman Herzberg ha acceso i riflettori sul contenuto del lavoro in sé come aspetto motivante e ha avviato l'area dell'organizzazione delle lavoro, successivamente sviluppata da Hackman e Oldham. Herzberg identificò l'esistenza di alcuni fattori definiti da lui motivanti e che generano soddisfazione se sono presenti, e alcuni fattori igienici (o neutri), che devono essere presenti per non ingenerare insoddisfazione, ma che se sono presenti si limitano a prevenire l’insoddisfazione. Quindi chi gestisce persone per motivarle deve fare leva sui fattori motivanti, non su quelli igienici. Allo stesso modo i fattori motivanti, se assenti, non generano insoddisfazione. I rinforzi di Skinner Stimolato dagli studi di Ivan Pavlov (1927) sul comportamento degli animali, Skinner (1953) sviluppò una teoria denominata “teoria del rinforzo” perché essa sostiene che si possono motivare gli individui attraverso dei rinforzi, positivi o negativi, che li spingeranno ad aumentare o ridurre la frequenza di un determinato comportamento. La teoria prevede che un comportamento che produce conseguenze positive verrà ripetuto, mentre un comportamento che produce conseguenze negative verrà cessato. La teoria degli obiettivi di Locke Locke (1968, 1990) ha sviluppato la teoria degli obiettivi, una teoria che spiega molto bene il processo che attiva l'energia degli individui, così come la relazione fra obiettivi e prestazione. Dagli studi di Locke sappiamo che la relazione fra obiettivi e prestazione è moderata dalle competenze dell'individuo, dalle difficoltà del compito, dal feedback che si riceve durante l'azione per raggiungere l’obiettivo e dall'impegno che ciascuno mette per raggiungerlo. Se gli obiettivi sono chiari, specifici, misurabili e l'individuo percepisce che è in grado di raggiungerli, si impegnerà verso obiettivi anche molto sfidanti. La relazione fra obiettivo e prestazione è mediata, ovvero dipende da quanto l'individuo è persistente nel provare a raggiungere i risultati, dallo sforzo che ci metterà, da quanto è concentrato nell'agire e infine dallo sviluppo di una strategia atta a raggiungere il risultato. L'aspettativa valenza di Vroom Vroom (1964) introdusse la teoria che spiega la motivazione in base alla valenza che i risultati ottenibili hanno per ciascuno e all'aspettativa che ciascuno ha di raggiungerli. Due gli aspetti importanti: la valenza e l’aspettativa. La valenza indica il valore positivo o negativo della ricompensa che si riceverà, raggiunto l'obiettivo. L'aspettativa è la probabilità che l'individuo pensa di avere, impegnandosi, di farcela. Organizzazione Aziendale Pagina 20 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi La teoria dell'equità di Adams e gli sviluppi successivi Adams ha sviluppato la teoria dell'equità distributiva (1963). Tale teoria sostiene che gli individui valutano le ricompense che ottengono sul lavoro in relazione ai contributi che forniscono e che quindi confrontano il loro rapporto contributi/ricompense con quello di altri lavoratori. Da tale confronto può derivare un senso di giustizia, quando si percepisce il proprio rapporto contributi/ ricompense come uguale a quello degli altri, o di ingiustizia, sia che si abbia di meno sia che si abbia di più degli altri, in relazione sempre a quanto si dà. Tre sono le categorie di lavoratori che vengono scelti per il confronto: gli “altri”, ovvero individui con lavori simili nella stessa organizzazione, ma anche amici, vicini di casa e categorie professionali simili; il “sistema”, ovvero il sistema di incentivi aziendali e la sua amministrazione; il “sè”, ovvero una serie di fattori individuali influenzati, per esempio, dalle precedenti esperienze di lavoro. Se i lavoratori percepiscono il rapporto contributi/ricompense come iniquo compiranno una delle seguenti azioni: distorceranno i loro contributi/ricompense o quelli degli altri; si comporteranno in modo da indurre gli altri a modificare i loro contributi o ricompense; si comporteranno in modo da modificare i loro stessi contributi o ricompense; scegliere altri individui diversi con cui confrontarsi; lasceranno il lavoro. Nel decennio successivo alla pubblicazione dei lavori di Adams sono state condotte numerose ricerche empiriche che per lo più sembravano confermare quanto da lui teorizzato. Ma agli inizi degli anni 80 la sua teoria ha cominciato a ricevere molte critiche. Inoltre la teoria considerava solo una possibile norma di giustizia, il merito. Esistevano però almeno altre due norme di giustizia che la teoria non aveva preso in considerazione: l’eguaglianza, dare cioè a tutti la stessa ricompensa indipendentemente dal contributo, e il bisogno, dare cioè di più a chi ha meno. In questo clima di revisione e critica della teoria, Thibaut e Walker (1975) formularono per la prima volta il concetto di giustizia procedurale, che sarebbe poi stato sviluppato nel successivo decennio. Successivamente le ricerche si spostarono dall'ambiente legale ad altri contesti, aumentandone la generalizzabilità. Leventhal proponeva sei regole che sono alla base della percezione della giustizia dei processi in cui vengono distribuiti i risultati: 1. Costanza, ovvero la necessità di applicare le stesse regole a tutti e la necessità che siano stabili nel tempo 2. Soppressione delle distorsioni 3. Accuratezza, ovvero informazioni accurate e opinioni informate 4. Reversibilità e possibilità di correzione in caso di errore 5. Rappresentatività dei decisori 6. Etica, ovvero compatibilità con i fondamenti morali e i valori etici dell’individuo Cropanzano e Folger (1991) sostengono che il risultato e la procedura agiscono insieme nel creare un senso di ingiustizia. Non si può comprendere pienamente l'equità esaminando i due costrutti separatamente. Piuttosto, bisogna considerare l'interazione fra risultato e procedura. Questa ipotesi oggi ben consolidata è nota come modello o effetto interattivo (integrative model), secondo cui risultati e procedure interagiscono nel determinare la positività o negatività delle reazioni alle decisioni. Organizzazione Aziendale Pagina 21 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi Brockner e Wiesenfeld hanno analizzato 45 studi dai quali sembra emergere con forza la presenza dell'effetto interattivo. In particolare i risultati si possono così riassumere: (a) quando i risultati sono ingiusti o hanno una valenza negativa, è più probabile che la giustizia procedurale abbia un effetto diretto sulle reazioni degli individui; (b) quando la giustizia procedurale è bassa, è più probabile che la valenza del risultato sia correlata positivamente con le reazioni dell’individuo; (c) la combinazione di una bassa giustizia procedurale e una valenza negativa dei risultati danno origine alle reazioni più negative. Successivamente gli studiosi hanno identificato un elemento aggiuntivo che contribuisce al giudizio di equità: l’equità relazionale. Gli aspetti di equità della relazione della procedura includono almeno due componenti: spiegazioni adeguate delle ragioni sottostanti la decisione, la cosiddetta equità informativa; un trattamento con il rispetto e dignità da parte di coloro che implementano le decisioni, la cosiddetta equità comunicativa. Parte II - Gruppo 8. Gruppo: costruzione e dinamiche Una definizione di gruppo Dall'individuo al gruppo Oggi più dell'80% delle attività svolte all'interno dell'organizzazione si fonda su un approccio di gruppo. Questo è dovuto alla complessità crescente nel tempo del contesto di riferimento. In questo scenario le organizzazioni sentono sempre più l'esigenza di attingere a competenze differenziate e distintive finalizzate alla risoluzione di problemi complessi che attraversano trasversalmente l’organizzazione. Il gruppo se costruito e gestito correttamente offre alcuni vantaggi rispetto al lavoro individuale: Vantaggio cognitivo. Essere in grado di mettere a fattore comune le conoscenze individuali consente al gruppo di sviluppare soluzioni mediamente più efficaci e innovative rispetto al singolo soggetto. Da questo punto di vista possiamo quindi dedurre che il gruppo sia preferibile all'individuo quando ci si trova di fronte a problemi complessi, che richiedono una molteplicità di competenze e che presuppongono una componente rilevante di creatività e innovazione. Vantaggio motivazionale. Se il gruppo funziona e i processi al suo interno sono fluidi, gli individui tendono ad avere un livello maggiore di soddisfazione rispetto a quando lavorano singolarmente, migliorando quindi la relazione tra individuo e azienda, con conseguenti effetti positivi legati alla motivazione. Ma che cosa è un gruppo? E Quali sono gli elementi importanti da osservare nella vita organizzativa? Organizzazione Aziendale Pagina 22 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi In particolare, parleremo di gruppo riferendoci a tre o più persone che interagiscono e dipendono le une dalle altre per il raggiungimento di un obiettivo comune, e che si riconoscono e sono riconosciute come entità sociale unica. Tipologie di gruppo A livello organizzativo è possibile osservare due dimensioni fondamentali che contraddistinguono i gruppi. In primo luogo, il gruppo può essere un gruppo formale, ovvero costituito su mandato organizzativo per il raggiungimento di un determinato obiettivo; oppure può essere un gruppo informale, che non viene costituito su mandato, bensì su base spontanea e che emerge da persone che condividono un interesse o un obiettivo comune, e che mettere a fattore comune le proprie risorse. La seconda dimensione è costituita dall'orizzonte temporale del gruppo. Vi sono team che hanno un orizzonte permanente e che quindi non hanno una durata precostituita alla base della loro formazione, Mentre vi sono gruppi temporanei, che hanno un orizzonte di vita che generalmente si conclude con il raggiungimento dell’obiettivo. Tipologie di gruppo: —> Temporaneo/formale: sono gruppi che vengono costituiti con la finalità di riunire un pool di competenze differenti volte a sviluppare un prodotto/servizio, o a risolvere un problema specifico. La loro durata è legata la durata del progetto o alla risoluzione del problema. —> Permanente/formale: è un gruppo formato dal management e cui sono generalmente affidate attività di consultazione, monitoraggio, coordinamento e controllo costante nel tempo. —> Temporaneo/informale: tale tipologia di gruppo si sostanza in un insieme di persone che intervengono congiuntamente per affrontare un problema comune, ma non sono state designate formalmente dall’organizzazione. —> Permanente/informale: questi gruppi non hanno generalmente l'obiettivo di risolvere un problema specifico ma nascono su base spontanea alla luce degli interessi convergenti di un insieme di persone. L'obiettivo principale di questi team è quello di scambiare conoscenza e informazioni in relazione a un determinato ambito a beneficio dei membri del gruppo stesso. Il modello di riferimento Organizzazione Aziendale Pagina 23 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi Input Gli input costituiscono gli ingredienti del team e ne rappresentano la struttura. Gli input sono gli elementi che devono essere presi in considerazione in fase di costruzione del team poiché ne influenzano i processi e gli output. Gli input che consideriamo sono: la numerosità dei membri, le caratteristiche differenziali ciascuno dei membri del team, i ruoli, lo status, la diversità. Numerosità Il numero ideale di membri di un team è da considerarsi in un intervallo tra 5 e 9 membri. Da un lato, un basso numero di membri permette una maggiore agilità nei processi di interazione, dall'altra però può diminuire il potenziale innovativo del team poiché un basso numero di membri coinvolti limita l'accesso a risorse e prospettive differenti. All'aumentare del numero di membri aumenta la difficoltà di gestione dei processi di interazione reciproca tra i membri e il numero di risorse potenziali a cui si ha accesso. È importante che il numero adeguato di membri del team sia definito nelle fasi iniziali di vita del team, onde evitare di cadere nella cosiddetta “Brooks Law Trap”. Questa trappola evidenzia che aumentare il numero di persone nel team nelle fasi finali di un progetto tende ad accrescere il ritardo nella conclusione del progetto anziché diminuirlo. Caratteristiche individuali dei membri Le caratteristiche individuali dei membri sono una componente fondamentale nella composizione del team poiché rappresenta l'insieme delle potenziali risorse cognitive da cui il gruppo può attingere per raggiungere il proprio obiettivo. Per questo motivo, le caratteristiche dell'individuo possono essere osservate principalmente da due punti di vista: le competenze e le caratteristiche della personalità. Dal punto di vista delle competenze il team deve avere al proprio interno il portafoglio ideale di competenze necessarie per raggiungere il proprio obiettivo. Inoltre, data l'importanza dei processi di interazione tra membri, il gruppo deve essere in grado di gestire tali interazioni, per cui è necessario che i membri possiedano spiccate competenze di carattere interpersonale. Legata agli elementi di competenze interpersonali è opportuno citare la personalità dei membri. Infatti, diversi tratti di personalità possono contribuire alla lavoro in team e all'efficacia dei processi in modo differente. Ruoli Il ruolo costituisce un’aspettativa di comportamento che i membri del team nutrono nei confronti di ciascuno dei membri del team stesso. È possibile identificare quattro tipologie di ruolo rispetto ai comportamenti che ciascuno di noi generalmente agisce quando si trova all'interno di un team. Le caratteristiche di ciascun ruolo sono riportate nella tabella. Inoltre, la tabella riporta anche i cosiddetti profili secondari che rappresentano delle ulteriori classificazioni all'interno dello stesso profilo primario sulla base dell'orientamento alle relazioni interne o esterne al gruppo, o al fatto che l'orientamento al compito sia più focalizzato sull'obiettivo da raggiungere rispetto al processo per raggiungere lo stesso. Organizzazione Aziendale Pagina 24 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi Status Lo status può essere considerato come l'esplicita o implicita posizione gerarchica di ciascun individuo all'interno del team in relazione a quella degli altri membri. Tale percezione gerarchica può essere determinata da una varietà di fattori, quali per esempio l'esperienza, anzianità aziendale, la posizione gerarchica o le competenze. Quando le persone entrano a far parte di un team cercano immediatamente di comprendere quale sia il loro status gerarchico all'interno del gruppo. Lo status nei gruppi è particolarmente critico perché gruppi composti da membri con status differenti tendono a sviluppare processi inefficaci. Una lente basata sulla diversità Gli input possono essere osservati anche attraverso una lente che si focalizza sulla diversità, ovvero sull'osservare quanto la differenziazione di competenze tecniche, relazionali, di analisi e problem solving, nonché le differenze di ruolo, possano andare a impattare sui processi e sugli output del team. I team omogenei, che quindi presentano un basso grado di diversità tra i membri, sono generalmente meno conflittuali e presentano processi più fluidi. D'altra parte però l'omogeneità può impattare negativamente sulla capacità del team di individuare soluzioni innovative e creative fondate sulla capacità di mettere a fattore comune esperienze e punti di vista differenti. I team eterogenei sono invece potenzialmente più innovativi e creativi perché hanno accesso a un pool di risorse differenziate. Molto spesso però tale potenzialità creativa rimane inespressa poiché i team eterogenei hanno maggiore difficoltà nel gestire i processi di interazione tra i membri, determinando difficoltà di creazione di consenso e aumentando il potenziale conflitto tra i membri. Organizzazione Aziendale Pagina 25 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi Processi I processi possono essere definiti come l'interazione tra i membri di un team attraverso attività cognitive e comportamenti finalizzati al raggiungimento dell'obiettivo comune. I processi rappresentano quindi il mezzo attraverso cui i membri di un team lavorano in modo interdipendente per utilizzare e trasformare le risorse a disposizione in output. I processi possono essere suddivisi in processi orientati al compito, ovvero interazioni finalizzate a contribuire direttamente al raggiungimento dell’obiettivo, e processi orientati alle relazioni, ovvero interazioni aventi lo scopo di gestire la dimensione interpersonale tra imprese team. Processo orientate al compito In principali processi connessi al compito sono comunicazioni, coordinamento, bilanciamento dei contributi. —> Comunicazione. La comunicazione tra membri costituisce il mezzo attraverso cui i membri di un team si scambiano informazioni rilevanti per lo svolgimento del compito. La qualità del processo di comunicazione costituisce un elemento fondamentale per raggiungere il risultato del team. Da un punto di vista pratico, la comunicazione può essere intesa in termini di frequenza (quanto tempo i membri del team investono nell'interagire con gli altri per scambiarsi informazioni) o di formalizzazione (che rappresenta la spontaneità del processo comunicativo). Connessa all'elemento della spontaneità della comunicazione vi è l'apertura del processo comunicativo. Infatti, per poter sfruttare le potenzialità date da input differenti, è necessario che il team sia in grado di scambiare apertamente informazioni senza la preoccupazione che tali informazioni possano essere utilizzate in modo distorto e controproducente. L'apertura dello scambio informativo rappresenta il cardine della ricombinazione delle competenze e delle risorse che ciascun membro porta al team. —> Coordinamento. Prestazioni di gruppo di elevato livello presuppongono che, oltre al processo comunicativo, i membri del team siano in grado di armonizzare e sincronizzare le proprie attività individuali finalizzandole al raggiungimento di un obiettivo comune. È molto probabile che membri del team si suddividano le attività da svolgere. È necessario che membri del team sviluppino la cosiddetta team awareness, ovvero maturino consapevolezza rispetto a cosa sta accadendo nel team in un determinato momento e siano in grado di comprendere l'interdipendenza tra i diversi compiti, la sequenza e la priorità dell'attività, nonché i tempi necessari per svolgere.. —> Bilanciamento dei contributi. Un gruppo efficace deve mettere i propri membri nella condizione di contribuire al risultato del team al massimo del proprio potenziale. Il team infatti delega ai propri membri le attività che devono essere svolte sulla base del contributo differenziale che ciascun membro può dare. Se viene a mancare il contributo di uno o più membri del team, il potenziale di sviluppo di soluzioni innovative e creative tende a venire meno. Processi orientati alla relazione —> Supporto reciproco. Il supporto reciproco all'interno del team fa riferimento alla modalità attraverso cui i membri del team gestiscono il conflitto (in modo cooperativo o competitivo) e supportami altri componenti in caso di necessità. In un contesto in cui vi è supporto reciproco, i membri del team agiscono avendo in mente gli obiettivi del gruppo, e tendono a privilegiarli rispetto agli obiettivi individuali. Gli individui sono orientati a comportamenti di rispetto reciproco, di aiuto e di supporto che vanno oltre quanto richiesto esplicitamente dal proprio ruolo. Organizzazione Aziendale Pagina 26 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi —> Coesione. La coesione si riferisce al grado di attrazione interpersonale tra i membri del team. Un team coeso si sente una vera e propria squadra e la coesione rappresenta un vero e proprio collante per il team. I gruppi coesi tendono a condividere con facilità i propri obiettivi e a definire norme e standard di comportamento condivisi all'interno del gruppo. È stato inoltre dimostrato che la coesione diminuisce il senso di ansia e di pressione per i membri del team: gli individui appartenenti a team coesi tendono a sentire meno gli effetti negativi della pressione esterna poiché percepiscono la vicinanza degli altri membri. Un certo grado di coesione è quindi positivo per il risultato del gruppo, mentre un livello di coesione troppo elevato può portare a effetti negativi che possono spingere il gruppo a sentirsi invulnerabile, a chiudersi a possibili alternative esterne, a negare la differenza di opinioni tra membri, e di conseguenza a ottenere performance mediocri e talvolta disastrose. Output Il primo aspetto legato all’output (o performance) è la capacità da parte del team di raggiungere l'obiettivo stabilito (efficacia nella raggiungimento del risultato). Ma ciò generalmente non è sufficiente nelle organizzazioni. Il team è valutato anche sulla capacità di raggiungere l'obiettivo nel rispetto delle risorse a disposizione, tempi, budget, risorse materiali (efficienza nel raggiungimento del risultato). Un ultimo aspetto di output è da ricondurre all’apprendimento. Infatti, date le interazioni e lo scambio di informazioni tra i membri, ci si aspetta che il gruppo sia anche un momento di apprendimento per gli individui. Il team nel tempo Il team può essere considerato come un essere vivente che ha un ciclo di vita composto da differenti fasi. Ciascuna fase presenta delle sfide critiche per i membri del team e per il team leader, a cui sono richiesti comportamenti e focus diversi per ciascuna di esse. Prima fase: Forming. In questa fase il team è ancora nella sua fase embrionale e può essere considerato un team solo sulla carta poiché i membri tendono a comportarsi come singoli individui. Le interazioni tra membri sono tendenzialmente superficiali e astratte. Ciò è dato dalla tendenza da parte dei membri ad agire in modo da essere accettati e venire visti dagli altri membri sin dall’inizio. Gli individui cercano informazioni relative agli altri membri per avere una maggiore conoscenza dell'ambiente in cui si troveranno a operare. Questa fase iniziale è anche un'ottima opportunità per comprendere come gli altri membri reagiscono a determinate situazioni e come rispondono ai vari stimoli interni ed esterni al gruppo. Seconda fase: Storming. La fase di storming è la fase più delicata del ciclo di vita del team. Le differenze dei membri cominciano ad emergere soprattutto nella modalità di raggiungimento dell’obiettivo. Le diverse idee su come risolvere i problemi e arrivare all'obiettivo entrano in competizione e i membri si confrontano apertamente. In alcuni team questa fase si risolve velocemente, ma nella maggior parte dei team è piuttosto lunga. Attraverso lo storming possono essere messe a fattore comune le prospettive di ciascuno al fine di integrare le differenti competenze e prospettive individuali e ottenere un grado di innovatività più elevato rispetto a quanto raggiungibile da un solo soggetto. Questa fase può però diventare distruttiva. In genere l'ottimismo iniziale che caratterizza la fase di forming si trasforma in conflitto. I membri dovrebbero riuscire a non trasformare il confronto in conflitto interpersonale. Terza fase: Norming. Se il team è riuscito a mantenere il conflitto a un livello adeguato e fondato sul compito, è pronto per affrontare la fase di norming. In questa fase i membri del team iniziano a lavorare insieme e a sfruttare al meglio le differenze. Generalmente questa fase prevede la Organizzazione Aziendale Pagina 27 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi capacità da parte dei membri di attivare fasi di storming controllato volte a risolvere problemi specifici del team attraverso la definizione di norme di comportamento e interazione. Le norme rappresentano le regole e gli standard di comportamento che un team definisce per i propri membri. La violazione delle norme da parte di un componente spinge gli altri membri ad agire in modo diretto o indiretto per riportare il comportamento allo standard atteso. In questa fase i membri del team iniziano a sviluppare spirito di squadra, coesione e commitment nei confronti del compito da svolgere perché si sentono legati da modalità comuni e condivise di comportamento. Quarta fase: Performing. Questa è la fase in cui i membri del team lavorano come una vera e propria squadra per arrivare all'obiettivo e per promuovere l'attività del team all'esterno. Il conflitto viene gestito in modo efficace e costruttivo. La motivazione e il commitment sono particolarmente elevati e concentrati verso una visione comune. In questa fase i processi sono particolarmente fluidi e consolidati, ed è necessario che il team sia in grado di chiudere il progetto, con un particolare focus sugli obiettivi di efficacia ed efficienza. Quinta fase: Adjourning. La fase di adjourning costituisce il momento in cui il gruppo si scioglie. Prima dello scioglimento è opportuno che il gruppo focalizzi la propria attenzione sui propri punti di forza e sulle difficoltà riscontrate in modo che gli individui possano trarne spunto per i successivi incarichi con lo stesso team o in team differenti. In questa fase vengono utilizzati strumenti che permettono al team di scambiarsi feedback relativamente a quanto accaduto durante lo svolgimento delle attività. Il focus è sulla analisi dei punti di forza e degli aspetti da migliorare nel team, curando quindi gli output di lungo periodo. Le patologie del gruppo Talvolta, il vantaggio cognitivo del team non si concretizza a causa di alcuni processi distorsivi che si generano nel gruppo stesso. Groupthink Il groupthink si verifica quando i membri di un team considerano il raggiungimento di consenso come la priorità massima del gruppo, anche in situazioni in cui il consenso porta risultati negativi. Un gruppo che sta pericolosamente entrando nella zona di groupthink presenta tre sintomi fondamentali: Sovrastima del gruppo. I membri del gruppo si vedono come in vulnerabili e incapaci di sbagliare. Chiusura mentale. Il gruppo tende a razionalizzare le prospettive interne giudicandole positivamente e a trovare giustificazioni per scartare ogni possibile alternativa Che provenga dall'esterno. Censura della devianza. Ogni idea che viene presentata ed è discordante dal pensiero collettivo del gruppo viene criticata e attaccata. I dissenzienti subiscono implicite o esplicite pressioni ad abbandonare la propria idea per conformarsi al gruppo. In particolare, un gruppo che si trova in una situazione di groupthink presenta comportamenti distorti come: Ricerca in completa e superficiale delle informazioni Organizzazione Aziendale Pagina 28 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi In completa valutazione e definizione delle obiettivi Rifiuto di esaminare alternative emergenti Non considerazione di scenari alternativi Mancanza di definizione di un piano B Abilene Paradox Il paradosso di Abilene è un classico esempio di ignoranza collettiva. In questo paradosso i membri di un team assumono una determinata posizione perché pensano che sia la posizione desiderata dagli altri. I membri del team non si confrontano l'un l'altro e prendono una decisione contro gli interessi di tutti membri, pensando invece di agire nell'interesse del gruppo. Ciascun membro del gruppo, credendo che la propria opinione sia contro quella del gruppo, non la manifesta, esprimendo invece ciò che pensa sia la preferenza del gruppo. Se ciascuno dei membri del gruppo attiva questo tipo di meccanismo logico, il gruppo si troverà a intraprendere un'azione che nessuno all'interno del team voleva realmente mettere in pratica. La principale causa di conformismo è data dalla mancanza di comunicazione tra membri e dalla paura del conflitto. Polarizzazione di gruppo La polarizzazione di gruppo si riferisce alla tendenza da parte dei membri a estremizzare l'opinione dominante durante una discussione di gruppo. Gli individui tendono a esprimere idee più estreme rispetto alla media del gruppo per avere l'approvazione del gruppo e dimostrare la loro volontà di appartenenza. Questo fenomeno è particolarmente critico nello studio delle decisioni e azioni di gruppo perché è la fonte del cosiddetto risk-shift, ovvero la tendenza che può emergere in un gruppo a prendere decisioni più rischiose rispetto a quello che farebbero i singoli membri. Interruzione cognitiva Molto spesso le idee che generiamo sono costruite e sviluppate sulla base di quello che sentiamo intorno a noi, che il nostro cervello rielabora e connette con quello che già conosciamo. L'associazione di idee sulla base dei contributi altrui ha certamente effetti positivi, ma il pericolo è che si verifichino situazioni di interruzione cognitiva. Infatti, se l'individuo è solo non soffre di interruzioni del proprio ragionamento. In un team invece, risulta difficile per un individuo ascoltare, elaborare e valutare le idee altrui quando egli stesso stai lavorando proprio pensiero. Il flusso cognitivo dell'individuo viene quindi interrotto dagli altri e dalla dinamica di interazione tra i membri, con la possibilità che quanto questi hanno in mente venga dimenticato perché perdono il filo del proprio ragionamento, oppure che decidano di rinunciare a esternare il proprio pensiero perché la discussione di gruppo si sta orientando in un'altra direzione. In entrambi i casi, l'interruzione cognitiva tende a stimolare convergenza di pensiero e conformismo. Tendenza al ribasso. Col passare del tempo, il gruppo tende a convergere verso la performance del membro meno produttivo all'interno del gruppo stesso: L'influenza non è esercitata dal migliore, ma da colui che ha performance più basse. La stessa cosa avviene quando il gruppo deve decidere o generare nuove idee per risolvere particolari problemi: il gruppo tende ad allinearsi con il comportamento di colui che contribuisce meno allo sforzo collettivo, diminuendo così drasticamente la capacità del team di elaborare soluzioni efficaci. Organizzazione Aziendale Pagina 29 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi 9. Comunicazione Gli elementi fondamentali della comunicazione La comunicazione non è un atto istantaneo, ma un processo che richiede tempo e che non garantisce un risultato certo. Tra i modelli che descrivono il processo di comunicazione si vuole partire da uno molto semplificato, quello proposto da Shannon e Weaver nel 1949. Questo modello ha un pregio evidente: consente di elencare con immediatezza le componenti principali del processo di comunicazione. Gli elementi di questo modello sono: la fonte che dà inizio alla comunicazione, il canale attraverso cui avviene la comunicazione, il ricevente che accetta il messaggio della fonte, il messaggio prima codificato dalla fonte, poi trasmesso e quindi decodificato dal ricevente, il feedback che il ricevente invia alla fonte dopo aver avuto il messaggio e l'ambiente in cui avviene la comunicazione. Fonte e ricevente Comunicare implica l'esistenza di un soggetto (fonte) che comunica e di un soggetto che riceve il messaggio (ricevente). Le caratteristiche di una buona fonte: La fonte deve essere dotata di adeguata conoscenza e di adeguate capacità di trattamento nel trasferire quella conoscenza. La fonte non dovrebbe avere troppi problemi nel possedere un messaggio chiaro e di valore da comunicare. All'aumentare della complessità della conoscenza, aumenta la difficoltà della fonte a rappresentare anzitutto a se stessa in modo adeguato questa conoscenza prima di iniziare la comunicazione. La fonte deve essere motivata a comunicare in maniera adeguata Organizzazione Aziendale Pagina 30 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi La fonte deve essere percepita come affidabile e autorevole dal ricevente. La percezione che il ricevente ha dell'affidabilità della fonte influenza il livello di fiducia che il ricevente pone in essa. Le caratteristiche di un buon ricevente: Il ricevente deve essere motivato, per cercare di capire il messaggio, ricercare informazioni aggiuntive e non limitarsi ad accettare passivamente quanto detto dalla fonte. Il ricevente deve avere una buona capacità di ritenzione del messaggio, della conoscenza trasferita. Il messaggio Per Shannon e Weaver il messaggio è codificabile senza eccessiva ambiguità e quindi è caratterizzato da chiarezza, trasferibilità e comprensibilità. Questa concezione è adatta allo studio dei processi astratti di comunicazione perché non introduce fattori problematici. Quindi, il messaggio in azienda può essere caratterizzato da vari livelli di complessità e di ricchezza di contenuto e quindi può essere più o meno semplice da codificare e decodificare. La comunicazione può avere per oggetto messaggi "semplici" o messaggi "complessi". Un messaggio è semplice se è caratterizzato da: Basso numero di elementi di conoscenza da trasmettere. Meno sono gli elementi, meno complesso è il trasferimento. Difficoltà intrinseca di ogni elemento della conoscenza da trasmettere. Bassa ambiguità Basso contenuto di relazioni causa-effetto non esplicite. Deve essere chiara la relazione tra azione e conseguenza dell'azione. Nonaka e Tekeuchi (1995) distinguono tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita. La conoscenza esplicita è codificata in testi, lezioni, esercizi e ha in sé tutti i riferimenti per essere trasferita. La conoscenza tacita è una conoscenza difficile da formalizzare, da rappresentare per iscritto, da trasferire. Nonaka e Takeuchi hanno creato "la spirale della conoscenza", un modello di scambio e creazione di informazioni e conoscenza. La comunicazione gioca qui il ruolo essenziale di vettore di scambio tra individui, e tra individui e organizzazione. I momenti sono quattro, non necessariamente tutti possibili su qualunque tipo di conoscenza: 1. Socializzazione. La conoscenza tacita è condivisa tra individui tramite osservazione reciproca e condivisione di esperienza. 2. Formalizzazione. La conoscenza tacita è localizzata e codificata, soprattutto per quanto riguarda i nessi causa-effetto tra azione e conseguenza organizzativa. 3. Combinazione. Parti di conoscenza formalizzata sono messi insieme per standardizzare le regole di funzionamento dell'azienda, i processi, le aree di comportamenti accettati degli individui. Organizzazione Aziendale Pagina 31 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi 4. Interiorizzazione. La conoscenza formalizzata è messa in pratica e gli individui che la utilizzano si appropriano in modo specifico della conoscenza astratta, generando nuova conoscenza specifica. Conoscenza tacita ed esplicita possono riguardare diversi tipi di conoscenze specifiche utili in azienda. L'elenco che segue può essere composto da conoscenza tacita o esplicita o da una combinazione delle due: 1. Conoscenza teorica, proposizionale. Conoscere proposizioni è un modo molto conveniente di immagazzinare e scambiare sapere. La conoscenza proposizionale non implica la percezione. In altre parole, un soggetto può conoscere che una proposizione è vera o falsa o probabile anche senza doverla verificare personalmente. 2. Conoscenza procedurale. È L'esperienza, la capacità di mettere in campo abilità cognitive complesse testate nella pratica, l'avere già vissuto situazioni simili, la capacità di tenere dritta la barra del timone. 3. Conoscenza di soft skill. È la conoscenza di come si gestiscono i gruppi di lavoro, di come si esercita la leadership, di come si comunicano queste cose ai collaboratori. 4. Conoscenza di reti di persone. È il capitale relazionale posseduto da una persona. Il canale di comunicazione La comunicazione può avvenire tramite: Canale mediato o non mediato dal computer Canale sincrono o asincrono La comunicazione è mediata dal computer se lo scambio di informazioni avviene attraverso un canale digitale. Una comunicazione è non mediata se avviene a voce o attraverso la scrittura, la cartellonistica, gli artefatti. Una comunicazione è sincrona se i due o più soggetti coinvolti partecipano allo scambio nello stesso momento, trasmettendosi informazioni in tempo reale. Una comunicazione è asincrona se lo scambio di informazioni tra le parti avviene con un sensibile scarto temporale tra un messaggio e il successivo. La teoria della media synchronicity aggiunge altre variabili con cui descrivere un canale di comunicazione. Esse sono: Organizzazione Aziendale Pagina 32 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi La velocità di trasmissione. È la capacità di scambiarsi informazioni in tempi rapidi, con feedback immediato, con un monitoraggio in tempo reale delle reazioni dell'altra parte. La varietà simbolica. La comunicazione può essere verbale o non verbale, scritta, orale o con altri mezzi. Queste categorie possono essere contemporaneamente presenti in un singolo flusso di comunicazione e renderlo più o meno ricco in termini di varietà simbolica. Il parallelismo. Significa capacità di raggiungere simultaneamente un numero molto elevato di riceventi. Modificabilità. Indica la capacità del medium di consentire modifiche al messaggio mentre esso viene codificato. Riprocessabilità. È correlata alla capacità del canale di consentire di riesaminare e processare ulteriormente il messaggio inviato, dopo l'avvenuta ricezione. Infine esistono canali o media caldi e canali o media freddi. Ai primi appartengono gli incontri face- to-face, la video conferenza, il telefono, ecc. ai secondi appartengono i media asincroni, come i forum, i video, i libri. Viene spontaneo pensare che i media caldi possano sempre avere prestazioni migliori dei media freddi perché sono quelli che consentono un contatto più diretto e veloce tra fonte e ricevente, e che quindi siano da preferire linea teorica. Ma non è così semplice: i media caldi peccano in parallelismo, modificabilità e riprocessabilità, mentre i media freddi difettano di varietà simbolica, ma eccellono in parallelismo. La scelta del media ottimo non è una scelta assoluta: alcuni canali sono sempre migliori di altri. La scelta del media dipende quindi da molti fattori. Il feedback Il modello di comunicazione di Shannon e Weaver (1949) prevede una trasmissione di informazioni da fonte a ricevente e la possibilità che il ricevente invii un feedback. Un feedback può essere orale o scritto, sincrono o asincrono. Feedback significa retroazione, cioè l'effetto che la comunicazione ha su chi l’ha iniziata. Feedback inesistente. Come per un video su Internet, un libro, una trasmissione televisiva. In questo caso la comunicazione è unidirezionale dalla fonte al ricevente. Non è consentito chiedere informazioni ulteriori alla fonte, spiegazioni, integrazioni. Anche la fonte non riceve nessun tipo di Organizzazione Aziendale Pagina 33 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi informazione per capire se il suo messaggio è giunto a destinazione e se è stato decodificato correttamente dal ricevente. La comunicazione è potenzialmente molto veloce, ma anche soggetta a fraintendimenti perché non è possibile controllare il successo nella trasmissione/ricezione della conoscenza. Fonte Messaggio Ricevente Feedback a bassa frequenza. Questo modello ha il vantaggio di consentire al ricevente di manifestare i propri dubbi e perplessità sul messaggio trasferito o anche il proprio apprezzamento. La fonte beneficia del messaggio inviato dal ricevente, cioè comprende se sia o meno necessario inviare informazioni ulteriori, chiarimenti, documenti a supporto, e così via. Fonte Messaggio Ricevente Feedback Feedback continuo. Il feedback continuo, ad alta frequenza, trasforma il processo di comunicazione lineare, da fonte a ricevente, in un processo di dialogico, in cui fonte ricevente diventano soggetto A e soggetto B, impegnati a creare una comprensione comune dell'oggetto di comunicazione (Rogers e Kincaid, 1981). Ambiente e comunicazione Il processo di comunicazione non è neutro rispetto all'ambiente in cui avviene. Per ambiente si intende il luogo fisico o virtuale dove accade la comunicazione, il momento storico, la cultura dei partecipanti, la stanza in cui si parla, la videoconferenza, il paese di provenienza delle persone coinvolte, il mondo che si crea durante la comunicazione. Organizzazione Aziendale Pagina 34 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi In particolare, sono due gli aspetti che ci interessano: —> ambiente come esperienza comunicativa (ritmo della conversazione, atmosfera, status reciproco di fonte e ricevente) —> ambiente come diversità/omogeneità di provenienza geografica tra i soggetti che partecipano alla comunicazione Ambiente come esperienza comunicativa Watzlawick (1976) descrive questo concetto di ambiente attraverso cinque assiomi: Il primo assioma è sintetizzabile in: è impossibile non comunicare. Fonte e ricevente non hanno necessariamente bisogno di dirsi o scriversi qualcosa per comunicare. La comunicazione implicita è importante quanto quella esplicitata. Il secondo assioma dice che la comunicazione è composta da due livelli di segnale: livello di contenuto e livello di relazione. Il livello di contenuto definisce cosa il ricevente debba fare al seguito della comunicazione. Il livello di relazione indica il modo con cui fonte e ricevente si relazionano. Il terzo assioma è relativo all'esistenza di una sequenza di eventi durante la comunicazione. Il significato dato alla comunicazione dipende da quella che si definisce la “punteggiatura” della comunicazione stessa. La scelta dei canali di comunicazione influenza la gestione della punteggiatura. Il quarto assioma differenzia due tipi di comunicazione, quella analogica e quella numerica. È un modo diverso di definire comunicazione verbale e non verbale. Il quinto assioma afferma che le comunicazioni possono essere simmetriche o complementari. La relazione tra fonte e ricevente può essere di assoluta parità. Ambiente come diversità/omogeneità geografica Un ambiente omogeneo è quello in cui la fonte e il ricevente sono culturalmente simili, un ambiente disomogeneo è quello in cui fonte e ricevente sono culturalmente lontani. Ci sono ambienti geografici in cui buona parte del messaggio comunicativo non è formalizzato ma lasciato alle convenzioni culturali del luogo, al linguaggio non verbale della fonte, al ritmo della comunicazione stessa, come accade in Italia e in Grecia. Questi ambienti geografici sono definiti come culture ad alto contesto. In USA, Gran Bretagna, Germania (culture a basso contesto), si osservano modalità di comunicazione più esplicite e più codificate, che lasciano uno spazio comparativamente inferiore all'interpretazione di ciò che non viene detto. Il ritmo della conversazione sarà più sostenuto è più denso di significati espliciti, con un numero ridotto di pause e silenzi. Organizzazione Aziendale Pagina 35 di 78 Riassunto a cura di Ilaria Baracchi 10. Potere Una definizione di potere Il potere è la capacità di indurre altri attori sociali ad agire in un modo coerente con gli scopi e gli interessi di chi lo esercita. Condizioni: Intenzionalità di chi esercita il potere per assecondare un proprio fine o scopo, in modo consapevole e intenzionale. L'esercizio del potere deve avere uno scopo definito da chi lo esercita e favorevole a quest’ultimo; potrebbe anche indurre comportamenti contrari agli interessi di chi lo subisce. Nella relazione di potere chi subisce il potere dipende da chi lo esercita e in questa dipendenza trova una limitazione alla propria libertà. Il potere esiste solo nell'ambito di una relazione tra individui o gruppi di individui. Non si dà potere senza qualcuno che lo riconosca come tale e vi si sottometta. Questo crea un legame inscindibile fra chi esercita il potere e chi lo accetta o subisce, rendendo il primo a sua volta dipendente dal secondo in una relazione di scambio. Occorre distinguere tra il potere e l'esercizio concreto dell’influenza. Il primo è la premessa della seconda. L’influenza è la realizzazione effettiva del potere di chi la esercita. L’influenza per noi sarà quindi l'insieme delle azioni messe in atto concretamente da un soggetto dotato di potere per ottenere acquiescenza da parte di chi quel potere lo subisce. Su che cosa si basa il potere? Il potere deriva da un’asimmetria nel controllo di risorse di valore. Deve cioè essere una risorsa in grado di fare una differenza positiva nello stato di benessere attuale e previsto nel futuro di chi non ne dispone. Nella maggior parte dei casi si tratta di una risorsa utile o addirittura necessaria per realizzare gli scopi, i valori e le intenzioni di chi ne è privo o non ne dispone a sufficienza o ne desidera comunque di più. Più risorse si controllano, e più queste sono rare e di valore, Maggiore è comunque il potere di chi le ha. Le risorse di valore sono: forza, energia e altre risorse fisiche, risorse e capacità cognitive e realizzative, risorse e capacità relazionali, risorse economiche e strumentali, capacità e risorse politiche. L’impression management Si può riuscire a esercitare influenza fingendo di possedere risorse considerate di valore dagli altri, anche se in realtà non le si possiedono o non le si vogliono utilizzare. Questo