Relazioni Internazionali: Storia Dopo la Prima Guerra Mondiale PDF
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Summary
Questo documento riassume i tentativi di creare un nuovo sistema internazionale dopo la prima guerra mondiale. Analizza gli obiettivi dei vincitori della guerra e i trattati successivi, come il trattato di Versailles, evidenziando l'influenza degli Stati Uniti e la nascita della Società delle Nazioni. Il documento esplora anche la spartizione dell'Impero ottomano e la nascita di nuovi stati.
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STORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI CAPITOLO 1: I TENTATIVI DI CREAZIONE DI UN NUOVO SISTEMA INTERNAZIONALE DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE Gli obiettivi di guerra dei vincitori 1. FRANCIA: voleva la restituzione di Alsazia e Lorena, eliminare definitivamente la Germania e ampliare il...
STORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI CAPITOLO 1: I TENTATIVI DI CREAZIONE DI UN NUOVO SISTEMA INTERNAZIONALE DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE Gli obiettivi di guerra dei vincitori 1. FRANCIA: voleva la restituzione di Alsazia e Lorena, eliminare definitivamente la Germania e ampliare il proprio impero in Africa e in Oriente; 2. REGNO UNITO: voleva impedire l’egemonia della Germania e rafforzare e ampliare il proprio impero in Africa, Medio Oriente e in Asia; 3. ITALIA: voleva ottenere territori nell’Adriatico e nei Balcani e quelli promessi nel Patto di Londra; 4. USA: volevano realizzare i “Quattordici punti” del presidente Wilson. I Quattordici punti di Wilson prevedevano la realizzazione di un nuovo sistema internazionale che doveva basarsi su principi come il diritto all’autodeterminazione dei popoli e la fine della diplomazia segreta. Il progetto avrebbe portato successivamente alla fondazione della Società delle Nazioni. Tuttavia, il progetto wilsoniano dovette confrontarsi con la diffusione della rivoluzione bolscevica a partire dal 1917. La Grande Guerra si concluse con la firma dell’armistizio di Rethondes fra la Francia e la Germania. In seguito, i vincitori dovettero riunirsi per ridare un assetto stabile all’Europa: questo compito spettò al “Council of Four”, formato da USA, Regno Unito, Italia e Francia. Il trattato di Versailles con la Germania Il trattato con la Germania fu la prima questione ad essere affrontata, in quanto particolarmente importante per la Francia, per il Regno Unito e per gli USA. Il trattato prevedeva: restituzione alla Francia dell’Alsazia e della Lorena; cessione dell’Alta Slesia e della Prussia occidentale alla Polonia; riduzione dell’esercito a 100 mila unità e armamenti offensivi vietati; smilitarizzazione della Renania; pagamento riparazioni di guerra (132 miliardi di marchi oro); proibizione dell’Anschluss austro-tedesco. Il trattato venne percepito come un diktat umiliante da parte della Repubblica di Weimar. I trattati con l’Austria e l’Ungheria La questione era particolarmente complessa a seguito della dissoluzione dell’impero. L’Austria e l’Ungheria si erano ridotte a due piccoli stati abitati in maniera omogenea dagli stessi gruppi etnici. Gli austriaci accettarono senza opporsi il trattato di Saint-Germain-En-Laye, sperando in una futura Anschluss (proibita da entrambi i trattati). Il trattato prevedeva la proibizione del ritorno della dinastia degli Asburgo al potere; la separazione da tutti i domini di epoca imperiale; infine la fine del controllo sul Tirolo del Sud e sulle regioni tedesche della Cecoslovacchia. Gli ungheresi, invece, vivevano il trattato del Trianon come una profonda ingiustizia e la sua revisione divenne il primo obiettivo del governo conservatore che si instaurò dopo la fine della guerra. Circa tre milioni di ungheresi vivevano al di fuori delle frontiere. Tuttavia, dalla fine dell’impero nascevano anche nuovi stati , come la Cecoslovacchia, fortemente condizionata dalle forti minoranze, specie quella tedesca, e dalle differenze fra le due aree (una avanzata e l’altra arretrata). Dopo secoli di occupazione, rinasceva anche lo stato polacco, formata da tre zone appartenenti ai vecchi imperi. L’area sotto il dominio austriaco era entrata pacificamente, ma le zone assoggettate alla Germania e alla Russia si opposero. Berlino contestò le decisioni prese a Versailles, specie la cessione della città di Danzica alla SDN (come città libera). A est la situazione fu ancora più complessa perché i territori acquisiti dalla Polonia a danno della Russia causarono prima il disfacimento dell’impero zarista e successivamente una guerra tra Varsavia e il governo bolscevico. La guerra iniziò nel 1920 e finì nel 1921 con la pace di Riga, soluzione favorevole alla Polonia, che inglobò nel suo territorio forti minoranze ucraine e russo-bianche e il suo confine con la Russia venne stabilito lungo la linea Curzon. Con il crollo dell’impero zarista, inoltre, nacquero nuovi stati come la Finlandia e gli stati baltici, che si opposero notevolmente al regime bolscevico. Questi stati rientravano nel “cordone sanitario” contro il contagio rivoluzionario. Il contrasto italo-jugoslavo e il trattato di Rapallo Alla fine della guerra, nella penisola balcanica nacque l'idea di uno stato che unisse gli “slavi del sud”. Il progetto però si scontrò con il patto di Londra e i territori promessi all’Italia. Le truppe italiane occuparono i territori fino a Fiume, dove la popolazione si dimostrò favorevole alla sovranità italiana. Tuttavia questi territori furono rivendicati dalla Jugoslavia, che venne sostenuta dal presidente americano Wilson, il quale credeva vivamente nel diritto di autodeterminazione dei popoli. Successivamente la situazione fu aggravata dall’occupazione di Fiume da parte di Gabriele D’Annunzio e dei suoi volontari. Nel 1920 la questione trovò soluzione nel trattato di Rapallo, con il quale l’Italia rinunciava alla Dalmazia, ma manteneva la sovranità su Zara, e Fiume sarebbe stata internazionalizzata. Alcuni problemi irrisolti e la creazione della SDN Oltre all’assetto territoriale, il quadro europeo degli anni Venti era caratterizzato da numerosi problemi come l’insoddisfazione di alcune nazioni a seguito della firma dei trattati. A occuparsi della gestione di questo nuovo sistema internazionale era la SDN, che iniziò ad operare nel 1920 e già fortemente indebolita dall’assenza della Russia e della Germania. Importante era, inoltre, la mancanza degli USA dove non venne ratificato il trattato di Versailles nel 1919. La sorte delle colonie tedesche e il sistema dei mandati Finita la guerra, si pose il problema di cosa fare dei possedimenti coloniali tedeschi e ottomani. La soluzione venne trovata dalla SDN attraverso il sistema dei mandati e l’affidamento dei territori alle potenze vincitrici. La Germania possedeva una serie di arcipelaghi e isole nel pacifico e alcune parti di territorio cinese, il che causò lo schieramento del Giappone a fianco dell’Intesa. Tokyo venne ricompensata con i possedimenti tedeschi nel pacifico e anche con le concessioni territoriali cinesi. Se da un lato vi fu l’eliminazione della presenza tedesca nel pacifico, dall’altro vi fu l’espansione nipponica. Questa evoluzione preoccupò il governo americano, che si pose l’obiettivo di limitare la crescita dell’influenza giapponese. Per quanto riguarda le colonie tedesche in Africa, esse vennero spartite tra i vincitori, portando a un sostanziale rafforzamento delle posizioni di Francia e Gran Bretagna. La spartizione dell’Impero ottomano e la sistemazione del Medio Oriente Più complesse furono le vicende che riguardarono la sistemazione dei territori dell’Impero ottomano. Centrale fu il ruolo ricoperto dall’impero britannico. La spartizione prevedeva che alla Gran Bretagna sarebbe andato il controllo sulla Palestina e sulla Mesopotamia, alla Francia quello su Siria e Libano. Successivamente vennero avviati dei negoziati che videro coinvolta anche la Russia, la quale avrebbe ottenuto l’Armenia e una parte della penisola anatolica. A questi accordi si aggiunse la “dichiarazione di Balfour”, in base a cui la Gran Bretagna si impegnava a favorire la nascita di uno stato ebraico in Palestina. La dichiarazione era la risposta al rafforzamento del movimento sionista, nato alla fine dell’Ottocento da Theodor Herzl. La questione venne affrontata ulteriormente in una conferenza interalleata nel 1920: alla Gran Bretagna vennero affidati come mandati della SDN la Palestina, la Transgiordania e l’Iraq, mentre alla Francia vennero assegnati la Siria e il Libano. Il conflitto greco-turco e la nascita della Repubblica turca La Turchia, a seguito della firma dell’armistizio, subì una serie di gravi umiliazioni e le potenze vincitrici indirizzarono le loro ambizioni verso i territori della penisola anatolica. I vincitori trascurarono lo sviluppo di un forte movimento nazionalista, a seguito della rivoluzione dei Giovani turchi. Queste tendenze nazionaliste furono alla base di una crescente ostilità nei riguardi di quelle comunità cristiane che avevano vissuto all’interno dell’impero. Esempio simbolo di questo odio crescente nei confronti dei cristiani è il genocidio degli armeni. Questa serie di avvenimenti fu la principale causa che portò a un processo rivoluzionario, guidato da un alto ufficiale dell’esercito, Kemal, che si impose in fretta. Il nuovo leader pose sotto il proprio controllo gran parte dell’Anatolia, mentre a Costantinopoli continuava ad esistere il governo del sultano. Inoltre, quest'ultimo siglò un trattato di pace, che confermava la spartizione della penisola. Tuttavia, Francia e Italia, di fronte al movimento kemalista, assunsero un atteggiamento attendista, al contrario della Gran Bretagna e della Grecia. Quest’ultima, alla fine del conflitto, aveva ottenuto un primo ingrandimento territoriale ai danni della Bulgaria. La partecipazione a fianco dell’Intesa durante la guerra e la disgregazione dell’Impero ottomano diedero alla leadership greca l’occasione per attuare l’ideale della megali idea. Venne prima realizzato uno sbarco a Smirne, con l’obiettivo di espandere il proprio controllo su una parte dell’Anatolia. Le forze greche vennero però sconfitte dalle forze kemaliste, che puntarono successivamente a Costantinopoli. Le potenze vincitrici non si opposero, quindi mentre l’ultimo sultano lasciava Costantinopoli, Kemal proclamava la nuova Repubblica turca. I rapporti fra quest’ultima e le potenze vincitrici vennero definiti con il trattato di Losanna nel 1923. Inglesi, francesi e italiani rinunciavano ai loro territori, mentre la Grecia perdeva la Tracia e 1,3 milioni di greci abbandonarono la Turchia. La questione delle riparazioni L’attuazione del trattato di Versailles era apparsa ai tedeschi fortemente punitiva ma non rispecchiava gli obiettivi delle autorità francesi: la Germania restava potenzialmente minacciosa. Per questo motivo la Francia favorì la nascita e l’ingrandimento di una serie di nazioni, soprattutto la Polonia e la Cecoslovacchia nell’Europa centro-orientale. Successivamente, a questi due paesi si affiancarono anche la Jugoslavia e la Romania. Inoltre, la Francia aveva richiesto che il trattato con la Germania creasse anche un’alleanza con la Gran Bretagna e gli USA, ma la mancata ratifica da parte di quest’ultimi fece venir meno l’alleanza. Dopo questo, per le autorità francesi il trattato divenne un obiettivo irrinunciabile, in particolare la questione delle riparazioni. Sulla politica estera francese influiva anche la vittoria del blocco nazionale nel 1919. Si decise che la Germania avrebbe dovuto pagare ai vincitori 132 miliardi di marchi oro, con la conseguente decisione delle percentuali di pagamento (52% alla Francia; 22% alla GB; 10% Italia; 8% Belgio). Il pagamento si sarebbe esteso per trent'anni, condizionando l’economia tedesca. Inoltre, la questione delle riparazioni era legata ai pagamenti dei debiti che le potenze vincitrici avevano contratto con la Gran Bretagna e con gli USA. Nonostante negli Stati Uniti fosse stata avviata una politica isolazionista, vi era la convinzione che la propria economia necessitasse di investire in Europa parte delle ricchezze ottenute con la guerra. Inoltre, negli USA vi era la credenza che la Germania fosse l’unico mezzo per la ripresa economica europea, e quindi vi era la necessità di porre fine alla questione delle riparazioni. Per quanto riguarda la Germania, essa era fortemente condizionata sia dal malcontento scaturito dal trattato di Versailles, sia dalla debolezza della Repubblica di Weimar, formatasi dopo l’abdicazione del Kaiser Guglielmo II. Quest’ultima trovava sostegno solo nella SPD, che restava la prima forza politica. Alla SPD si affiancano altri partiti moderati o nazionalisti che vedevano nella democrazia una delle principali cause della sconfitta. L’opinione pubblica percepiva la Repubblica come un sistema inefficace e, inoltre, la identificavano con l’umiliazione subita dopo la guerra. La situazione economica era fortemente condizionata dal rallentamento dell’attività industriale imposto dagli alleati, dall’occupazione militare e dal pagamento delle riparazioni, il che aveva portato a un impoverimento diffuso. I vincitori e la Russia bolscevica Oltre alla Germania, un’altra nazione isolata dietro un cordone sanitario era la Russia bolscevica. Era evidente come nel corso della guerra civile, le potenze occidentali avessero sostenuto i nemici del bolscevismo. Inoltre, il nuovo regime bolscevico utilizzava nuovi strumenti di politica estera, come, per esempio, le iniziative rivoluzionarie poste in atto attraverso la Terza internazionale comunista. Tuttavia, la Russia era uno dei maggiori attori europei e vi era la speranza che essa riaprisse il mercato agli investimenti occidentali. Da parte sua, Lenin ritenne comunque che la Russia comunista dovesse aprire un dialogo con le potenze capitaliste. Dalla conferenza di Genova agli accordi di Rapallo, all’occupazione della Ruhr Nell’aprile del 1922 venne convocata a Genova dai vincitori una conferenza internazionale, a cui partecipò anche la Germania, al centro della quale vi era la questione delle riparazioni e dei debiti, specie quelli contratti dalla Russia. L’incontro fu un sostanziale fallimento a causa sia della rigidità francese, sia per la mancanza di volontà bolscevica a far fronte agli obblighi contratti dallo zar. Tuttavia, vi fu un importante accordo raggiunto a Rapallo tra la Germania (Rathenau) e la Russia (Cicerin). Il trattato metteva fine a qualsiasi contenzioso fra le due nazioni ed entrambi i paesi si riconoscevano reciprocamente. Inoltre, iniziava così una collaborazione segreta di carattere militare tra Berlino e Mosca. Restava comunque aperta la questione delle riparazioni, a cui la Germania non riusciva a far fronte, a causa della grave situazione economica del paese. Rathenau era disposto ad accettare almeno in parte quanto previsto nel trattato di Versailles, ma proprio per questo motivo venne assassinato da degli estremisti di destra. Questo episodio confermava la grave situazione interna in Germania, resa più critica da una spirale inflazionistica (1922-1923), a cui si aggiunse la totale svalutazione del marco. A seguito di ciò, Berlino dichiarò l’impossibilità di pagare le rate delle riparazioni. La Francia quindi decise di attuare la cosiddetta politica del “pegno produttivo”, occupando la Ruhr nel gennaio del 1923. I lavoratori degli impianti della Ruhr non si presentarono a lavoro, bloccando la produzione e causando la mobilitazione di lavoratori stranieri e l’espulsione di migliaia di lavoratori tedeschi. Tutto questo causò un ulteriore peggioramento dell’economia tedesca e la caduta del debole governo conservatore di Cuno, sostituito dal governo di coalizione di Stresemann nel 1923. Quest’ultimo si rese ben presto conto che non vi fossero le condizioni per opporsi apertamente ai vincitori, così si pose fine alla politica di resistenza passiva. Questi avvenimenti portarono la popolazione all’esasperazione e al “putsch di Monaco”, ovvero un colpo di stato ad opera dei nazionalsocialisti di Adolf Hitler, che si risolse in un fallimento e con l’arresto di Hitler e dei suoi seguaci. Nel 1924 venne costituito un comitato per discutere delle riparazioni, alla cui guida venne posto il banchiere statunitense Charles Dawes. Quest’ultimo aveva concluso i suoi lavori presentando un piano che rivedeva quanto previsto dal trattato e dalle conferenze successive: - si riconosceva l’unità economica della Germania - progressivo innalzamento delle rate annuali in base al miglioramento dell’economia tedesca - alcuni settori dell’economia tedesca erano sottoposti al controllo degli alleati Aveva così fine l’occupazione della Ruhr e la Francia accettava anche una parziale evacuazione dei territori renani. Il piano favorì da un lato la stabilizzazione monetaria della Germania e la fine del processo inflazionistico, dall’altro portò all’erogazione di una serie di importanti prestiti da parte degli USA al governo e all’economia tedeschi. Economia e società negli anni ‘20 Superata la fase più difficile del dopoguerra, prevalse il desiderio di gettare alle proprio spalle tutto quello che era accaduto. Negli USA si parlò di Roaring Twenties, una sorta di età dell’eccesso e del benessere; in Francia si parlò di années folles. Anche Berlino fu un importante centro intellettuale e artistico. Soprattutto in Francia e in Germania, questi movimenti si caratterizzarono per il rifiuto della guerra. Il superamento delle contraddizioni nate dall’ordine di Versailles fu in parte dovuto all’evoluzione della situazione economica internazionale. In particolare negli Stati Uniti, l’economia crebbe ininterrottamente fino al 1929. Nella seconda metà degli anni Venti gli Stati Uniti sperimentavano così un anticipo della società dei consumi. Dunque, nonostante gli USA avessero avviato una politica isolazionista, era forte l’attrazione americana verso l’Europa, come anche dimostrato dal coinvolgimento nella risoluzione della questione delle riparazioni. Il piano Dawes, infatti, permise agli investitori americani di versare in Europa grandi capitali sotto forma di prestiti, che consentirono la ripresa economica della Germania a partire dal 1924-1925. In generale venne ristabilita una certa fiducia sul piano delle relazioni economiche internazionali e tra il 1923 e il 1926 vennero conclusi una serie di accordi sui debiti di guerra che coinvolsero le potenze vincitrici; le nazioni debitrici accettarono di far fronte agli impegni presi con Washington. La SDN Creata nel 1919, la SDN aveva iniziato le sue attività a Ginevra nel 1920. Si articolava in: Consiglio (organo esecutivo): 5 membri permanenti (assenza USA) + 4 non permanenti Assemblea, formata da tutti gli stati membri Segretariato internazionale Al momento della sua costituzione, la SDN era formata da 48 stati membri che rappresentavano l’Europa e le due Americhe, mentre la presenza di grandi imperi coloniali faceva sì che i paesi dell’Africa e dell’Asia fossero presenti solo attraverso i loro delegati. Tuttavia, la Società mostrava numerosi limiti, sia strutturali che di carattere temporaneo. Fra i primi: - assenza di strumenti per imporre il rispetto del diritti internazionale - assenza di alcuni importanti attori internazionali, come USA, Germania e URSS Le funzioni della nuova organizzazione furono: mantenimento della sicurezza collettiva; rinuncia alla guerra da parte dei paesi membri; gestione dei nuovi territori (sistema dei mandati in Africa, Medio Oriente e Estremo Oriente) tutela minoranze; rafforzamento frontiere. Gli accordi di Locarno e il riavvicinamento franco-tedesco Il piano Dawes (1924) aveva aperto la strada a una parziale regolamentazione del problema delle riparazioni e aveva dimostrato la possibilità di procedere sulla strada del negoziato. Furono avviate così le trattative che si conclusero con la firma degli accordi di Locarno. Il fulcro degli accordi era la definizione delle frontiere tedesche. In primis, la Germania accettava l'inviolabilità dei confini determinati a Versailles, rinunciando all’Alsazia e alla Lorena, a sua volta la Francia accantonava qualsiasi ipotesi di guerra preventiva. Questo accordo sulle frontiere era garantito da Gran Bretagna e Italia. Per la frontiera orientale, Berlino si limitò a siglare dei trattati di arbitrato con la Polonia e la Cecoslovacchia. Inoltre, nel 1926, la Germania entrò a far parte della SDN. Parve possibile, inoltre, un ulteriore riavvicinamento franco-tedesco, come dimostrato dall’incontro fra Stresemann e Briand, in cui si discusse di eventuali alleggerimenti delle clausole di Versailles. Gli accordi di Locarno e la possibilità di attuare l’obiettivo “sicurezza collettiva” trovarono piena espressione nel “patto Briand-Kellog”. L’iniziativa ebbe inizio da Briand che, nel 1927, propose al governo americano un accordo bilaterale al fine di rinunciare all’uso della forza nella risoluzione delle controversie internazionali. Il segretario di stato americano Kellog replicò auspicando che venisse concluso un trattato di carattere generale a cui potessero aderire tutte le nazioni del mondo. Il trattato di “rinuncia generale alla guerra” venne concluso nel 1928 con l’adesione di ben 57 paesi. Il contraddittorio ruolo internazionale dell’Unione Sovietica negli anni ‘20 Nell’Unione Sovietica, intorno al 1924, a seguito dell’attuazione della NEP, si era verificato un parziale rilassamento dei rapporti fra le grandi potenze e lo stato comunista, portando ad una serie di riconoscimenti ufficiali tra l’URSS e nazioni come la Gran Bretagna, la Francia e l’Italia. I rapporti tra l’Unione Sovietica e l'Occidente si erano però rapidamente raffreddati per due motivi principali: la mancanza di investimenti stranieri in Russia e la continuazione del proselitismo comunista all’interno delle altre nazioni grazie all’opera dei partiti comunisti. Tutto questo causò la rottura dei rapporti diplomatici tra l’Unione Sovietica e le potenze occidentali. Solo le relazioni con la Germania restavano forti in quanto proseguì la collaborazione segreta tra le forze armate tedesche e quelle sovietiche. Il ritorno all’isolamento dell’URSS sullo scenario internazionale era comunque anche la conseguenza della lotta per il potere che oppose Stalin prima alla sinistra, rappresentata da Trockij, e in seguito alla destra di Zinov’ev e Kamenev. Stalin uscì vincitore solo tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta. Il piano Young e l’apice della sicurezza collettiva Con il 1929 scadeva il piano Dawes e si presentò l’opportunità di discutere nuovamente della questione delle riparazioni. Nel corso dell’estate del 1929 venne stretto un accordo tra la Germania e i vincitori per l’evacuazione delle zone della Renania. Sempre durante il 1929, sotto la guida dell’americano Young, si affrontò il tema delle riparazioni. Dopo alcuni mesi di negoziato si giunse ad una soluzione in cui si la Germania si impegnava a far fronte a una prima tranche di 36 pagamenti annuali. Ogni annualità si divideva in due parti, l’una non differibile, la seconda differibile a seconda della situazione dell’economia tedesca. Il piano Young mirava a mitigare l’aspetto punitivo delle riparazioni e confermava l’interesse statunitense a stabilizzare le relazioni finanziarie fra le maggiori potenze. CAPITOLO 2: IL FALLIMENTO DI UN ORDINE INTERNAZIONALE; VERSO UNA NUOVA GUERRA EUROPEA (1929-1939) Il crollo di Wall Street e il venir meno del sistema di Versailles Furono molteplici le cause della “crisi di Wall Street”: 1. eccessiva speculazione delle azioni → valore delle azioni delle imprese altamente sopravvalutato 2. squilibrio produzione-domanda → contrazione domanda interna a causa di un eccesso di produzione 3. ritiro di alcuni capitali Quest’insieme di cause portò, nell’ottobre del 1929, a un rapido calo del valore delle azioni che causò a sua volta una corsa alle vendite, provocando un crollo del mercato azionario. Questo processo causò una serie di fallimenti sia di imprese che di banche, con un’ondata di licenziamenti e con una diminuzione delle esigenze del mercato interno. Da parte sua l’amministrazione Hoover, ispirandosi a una politica liberista, decise di non intervenire, lasciando il paese in una fase di recessione. All’apice della crisi la produzione americana diminuì del 45% e un quarto della forza lavoro statunitense si trovò senza impiego. La crisi si diffuse rapidamente all’Europa. La Germania fu uno dei primi paesi a risentirne, la cui economia aveva registrato un miglioramento a seguito dell’investimento dei capitali americani, che però vennero ritirati subito a seguito della crisi. Il ritorno della crisi in Germania portò all’ascesa dei partiti estremisti, in particolare del Partito nazionalsocialista. Anche le altre nazioni risentirono della crisi come, per esempio, la Gran Bretagna, che presentava una situazione già parecchia disagiata, che si aggravò ulteriormente con un incremento della disoccupazione e della povertà. Francia e Italia risentirono della crisi con qualche ritardo ma le conseguenze si rivelarono comunque gravi. La crisi colpì anche l’America Latina e i possedimenti coloniali europei in Africa e in Asia. Per rispondere alla crisi i governi adottarono tradizionali misure protezioniste, che non fecero altro che diminuire il livello degli scambi internazionali e portando alla formazione di autarchie, come l’Italia, la Germania e il Giappone che rafforzarono tendenze espansionistiche e aggressive. La crisi economica e il mito dell’URSS Durante questo periodo di crisi, molti cittadini dei paesi occidentali guardavano l’URSS con speranza, dove Stalin aveva assunto il pieno controllo dello stato e del partito, lanciando nel 1928 il primo piano quinquennale, con lo scopo di trasformare il paese in una grande potenza industriale. Il carattere totalitario del regime fece sì che venissero ignorate le contraddizioni della costruzione del “socialismo in un solo paese”, come per esempio il sistema repressivo dei gulag. In Occidente filtrava un’immagine positiva dell’URSS, un paese arretrato divenuto una grande nazione industriale. La crisi del sistema di riparazioni La crisi economica mondiale ebbe conseguenze su alcuni aspetti del sistema di Versailles. I primi avvisi di crisi spinsero nel corso del 1930 il ministro degli Estero tedesco ad avviare dei contatti con l’omologo austriaco per realizzare un’unione economica per migliorare la situazione in entrambi paesi. Ma le autorità francesi, così come quelle italiane, sostennero che questo fosse il primo passo verso l'annessione dello stato austrico, che era vietata dai trattati di pace stipulati con entrambi i paesi. Il piano venne dunque accantonato; l’Austria fece appello alla SDN e la Francia si dichiarò disposta ad aiutare l’Austria, a patto che rinunciasse a qualsiasi unione doganale con la Germania; quest’ultima, a sua volta, si rivolse agli USA per una moratoria dei pagamenti, che venne accettata dal presidente Hoover, ma non fu sufficiente a fermare la crisi in Germania. Nel 1931 vennero avviati dei negoziati per proporre la cancellazione dei debiti di guerra tedeschi. La Francia si dimostrò favorevole, a patto che venissero cancellati tutti i debiti di guerra nei confronti degli USA, che però rifiutarono. Nel 1932 fu convocata a Losanna una conferenza internazionale durante la quale si concordò che la Germania non era in grado di far fronte alle riparazioni. Venne deciso quindi il pagamento da parte di Berlino di 3 miliardi di marchi come tranche finale. La Germania non riuscì a pagare nemmeno quest’ultima tranche e il pagamento delle riparazioni venne sospeso. La conferenza portò ad un peggioramento dell’isolazionismo americano e inflisse un duro colpo al sistema di Versailles. I primi fallimenti della SDN: Manchukuo e negoziati sul disarmo Il primo fallimento affrontato dalla SDN fu l’arenarsi del progetto di federazione europea. Più grave fu, però, l’incapacità della Società di risolvere la “crisi del Manchukuo” fra il Giappone e la Cina. In questi anni, il Giappone, sfruttando la debolezza del governo cinese, manifestò crescenti ambizioni espansionistiche verso il territorio cinese. Nel 1931 le truppe nipponiche imposero il pieno controllo sulla Manciuria, che venne trasformata in uno stato fantoccio, il Manchukuo. La Cina fece appello alla SDN, ma le maggiori potenze si mostrarono disinteressate, in particolare la Gran Bretagna; gli USA si limitarono a una condanna morale. Venne istituita una commissione d’inchiesta, il cui rapporto finale indicava le colpe delle autorità militari nipponiche. Nel 1936, l’Assemblea approvava all’unanimità le linee del rapporto e invitava gli stati membri a non riconoscere il Manchukuo. La risposta del Giappone fu il suo ritiro dalla Società. Un ulteriore smacco subito dalla SDN coinvolse la Germania. Nel 1932 ebbe inizio un incontro sulla riduzione e la limitazione degli armamenti, a cui parteciparono tutti i paesi del mondo. Il nodo centrale della conferenza divenne ben presto il contrasto tra Francia e Germania, per quanto riguardava il trattato di Versailles. La Francia sosteneva che il trattato dovesse rimanere in vita. mentre Berlino richiede la preventiva eliminazione delle clausole militari del trattato e la possibilità di riarmare. La rigidità della Germania venne confermata dalla decisione di ritirare la delegazione tedesca, che ritornò solo nel dicembre quando le potenze decisero di accettare la posizione tedesca. Tuttavia dopo poche settimane Hitler venne nominato cancelliere e il nuovo governo nazista annunciò sia il ritiro dalla conferenza, sia dalla Società. Adolf Hitler e l’ascesa al potere del nazismo Adolf Hitler aveva vissuto un’infanzia triste. Da giovane aveva vissuto a Monaco e a Vienna per seguire, senza successo, aspirazioni artistiche. La Prima guerra mondiale gli offrì l’opportunità di uscire dalla condizione di emarginato, arruolandosi nell’esercito tedesco. Dopo la fine della guerra si identificò con il disagio provato da migliaia di ex combattenti, convincendosi del tradimento della Repubblica di Weimar. Divenne in fretta il principale esponente del Partito nazionalsocialista, avviando successivamente un’alleanza con i conservatore, e insieme, tentarono, nel 1923, di prendere il potere a Monaco, fallendo. Hitler venne arrestato e cominciò a elaborare un libro che riassumesse i valori della sua politica. Il libro prese il nome di Mein Kampf (“La mia battaglia”) e i principali punti trattati furono: il razzismo, in particolare l’antisemitismo; l’esaltazione della razza ariana; l’anticomunismo e l’antidemocrazia. Vi erano, inoltre, elementi che nel futuro caratterizzarono la politica estera del nazismo, come il rifiuto del trattato di Versailles e la creazione di un “nuovo ordine europeo”. Elemento fondamentale per quest’ultimo punto era la riunione di tutto il popolo tedesco in un unico grande Reich. Il popolo tedesco, una volta riunito, avrebbe incominciato ad espandersi,a spese di nazioni come la Polonia e l’URSS, i cui abitanti venivano considerati come degli schiavi, in quanto di “razza inferiore”. L’URSS rappresentava il nemico fondamentale del nazismo e della Germania perché in essa si univano l’essenza slava e il comunismo. Uscito dal carcere Hitler si trovò un paese che aveva superato la crisi del dopoguerra, ma la crisi del 1929 fece precipitare la Germania in una situazione confusa, nella quale le forze estremiste poterono trarre vantaggio. Alle nuove elezioni, il Partito nazista balzò al 18% dei suffragi ma furono molteplici i fattori che favorirono Hitler, come le divisioni delle forze democratiche, la crescenti simpatie degli industriali verso il nazismo e la presenza di personalità come Hindenburg. Nel 1930 Hindenburg e i conservatori ritennero di non poter accettare la collaborazione con i nazisti, ma i governi che si succedettero tra il 1930 e il 1932 non furono capaci di contrastare la crisi. Nel 1932 si tennero due elezioni ed in enrambe il Partito nazista si confermò come il primo partito del Reichstag. Ma furono i conservatori a favorire la nomina di Hitler come cancelliere, convinti di poter trasformare la sua politica. Tuttavia, Hitler consolidò in fretta il suo potere, traendo vantaggio dall’incendio del Reichstag e facendo passare una serie di leggi che portarono all’eliminazione dell’opposizione e imponendo la dittatura del partito unico. Quando morì Hindenburg, Hitler accentrò su di sé tutti i poteri e si nominò Fuhrer. Nel corso del 1934, provvide a eliminare qualsiasi opposizione politica facendo uccidere gran parte del gruppo dirigente dalle SA. Alla persecuzione politica si aggiunse ben presto la persecuzione della comunità ebraica presente in Germania. La politica estera dell’Italia fascista tra “revisionismo” e accettazione del sistema di Versailles Stranamente, fra le prime potenze europee a preoccuparsi per la politica estera vi fu l’Italia fascista. Mussolini e il suo movimento si erano fatti interpreti dei principali temi del nazionalismo, come il mito della “vittoria mutilata”, la volontà di espansione dell’Italia. Questo aveva condotto il fascismo a perseguire la cause del revisionismo e a ispirare la propria politica internazionale all’uso della forza. Significativa in questo caso fu l’occupazione di Corfù nel 1923. Nello stesso anno una commissione internazionale di indagine italiana era stata attaccata e massacrata. Mussolini voleva dimostrare che l’Italia non era pronta a farsi umiliare. La Grecia era stata individuata come principale responsabile e il duce ordinò l’occupazione militare e il bombardamento di Corfù. Tuttavia la diplomazia internazionale si mobilitò immediatamente e l’Italia scese a un compromesso, accettando semplicemente le scuse di Atene. Al di fuori di questo, il regime mussoliniano attuò una politica estera moderata e si garantì il ruolo di grande potenza. L’Italia prese parte attiva fino agli anni Trenta alle attività della SDN. Inoltre, essa si mostrò sempre prudente nei confronti della Germania, specie per la questione dell’Alto Adige. E non vanno trascurati nemmeno i rapporti amichevoli coltivati con la Gran Bretagna. Queste valutazioni vennero condivise dagli USA, dove Mussolini venne percepito come un self-made man. Meno cordiali furono i rapporti con la Francia, sia per questioni riguardanti la Tunisia, sia per la decisione francese di ospitare alcuni leader dell’opposizione antifascista. L’apice della politica italiana di collaborazione venne raggiunto tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta, quando Mussolini lasciò la guida del ministero degli Esteri a Dino Grandi, sostenitore di una politica “societaria”. L’ambito in cui il fascismo espresse una linea revisionista fu quello dei rapporti con la Jugoslavia, che incominciò ad essere considerata come un nemico. Nel quadro dell’espansione nella zona balcanica rientrano sia gli accordi con l’Albania, sia le buone relazioni con l’Ungheria. Le prime mosse di Hitler e la reazione delle potenze: il ruolo italiano Quando Hitler giunse al potere nel 1933, ben pochi all’interno del partito fascista guardavano con simpatia al nuovo governo tedesco. L’Italia temeva che l’obiettivo dell’unione di tutto il Volk tedesco si traducesse all'annessione dell’Austria e del Sud Tirolo. Il governo fascista cominciò a convincersi che il sistema di Versailles fosse entrato in crisi e nel 1932 Mussolini propose l’ipotesi del “patto a quattro” (Italia, Gran Bretagna, Francia e Germania), mirante al mantenimento della pace e alla soluzione delle questioni internazionali. Erano evidenti l’intenzione da parte del duce di accettare la revisione del sistema di Versailles, dall’altra la speranza di coinvolgere la Germania in questo processo. Da parte della Francia il piano italiano venne considerato con sospetto perché esso emarginò le potenze minori. L’accordo venne comunque siglato ma non venne mai ratificato da Parigi. Nel giugno del 1934 Mussolini si incontrò per la prima volta con Hitler, ma non fu particolarmente colpito. Qualche giorno dopo, Il Fuhrer decise l’eliminazione di tutti gli esponenti delle SA, episodio che la propaganda fascista presentò in maniera negativa all’opinione pubblica italiana. A peggiorare le relazioni tra i due paesi fu un ulteriore evento drammatico. Nel 1932 in Austria era salito al potere il conservatore Dollfuss, che instaurò un regime autoritario avvicinandosi al fascimso e sostenendo l’autonomia dell’Austria, inimicandosi il Partito nazista. Nel luglio del 1934, i nazisti tentarono un colpo di stato, uccidendo Dollfuss. La reazione dei sostenitori di quest’ultimo impedì ai nazisti di prendere il potere e il colpo di stato fallì. Questi avvenimenti irritarono fortemente Mussolini che minacciò la mobilitazione di alcune unità lungo il confine del Brennero e ribadì il suo sostegno all'indipendenza austriaca. Le preoccupazioni del duce nei confronti dell’aggressività tedesca lo portarono a stringere una serie di accordi con la Francia, che risolsero una serie di contenziosi tra i due paesi, e ad avviare dei contatti segreti tra i responsabili militari dei due paesi per elaborare una strategia in caso di guerra. La reazione francese alla minaccia hitleriana Oltre ai contatti e ai conseguenti accordi con l’Italia, la Francia rivolse il suo interesse verso l’URSS. Alla fine del 1932 tra le due nazioni venne stipulato un patto di non aggressione e nei due anni seguenti i contatti fra Mosca e Berlino si intensificarono, portando alla creazione del progetto di “patto dell’Est”, che venne siglato da Francia, URSS e Cecoslovacchia. Il miglioramento delle relazioni tra Francia e URSS favorì l’entrata di quest’ultima nella SDN. Questo era un ulteriore successo nella politica francese che mirava ad un “contenimento” della Germania. Rientravano in questo ambito le relazioni con la Jugoslavia. Nell’ottobre del 1934 a rafforzamento dei rapporti franco-jugoslavi era prevista la visita ufficiale del re di Jugoslavia in Francia; il sovrano giunse a Marsiglia, dove vi era Barthou ad attenderlo; saliti poco dopo su un’auto scoperta, i due furono vittima di un attentato e morirono entrambi. La strategia francese trovò comunque completamento nel maggio del 1935 con la sigla di un trattato di reciproco aiuto tra Parigi e Mosca. L’evoluzione della politica estera sovietica La politica francese non si sarebbe realizzata se non vi fosse stata una significativa evoluzione nelle posizioni dell’URSS. Il nazismo e l’evidente ostilità di Hitler nei confronti del comunismo e dell’URSS convinsero Stalin che la Germania dovesse essere considerata come il principale nemico. Il leader sovietico cambiò radicalmente la politica estera del suo paese. Nell’ambito della politica internazionale rientrarono il riavvicinamento alla Francia, l’ingresso nella SDN e il sostegno all’obiettivo di sicurezza collettiva. Quanto all’Internazionale comunista, il suo nuovo leader non bollò più la socialdemocrazia come nemico, ma il nazismo, e compito dei comunisti era quello di favorire la collaborazione tra forze democratico-borghesi e socialiste e i partiti comunisti per formare fronti popolari che si opponessero al nazifascismo. Il fronte di Stresa Alla metà degli anni Trenta si manifestò quindi una reazione alla minaccia rappresentata dal nazismo. Dopo aver fatto uscire il paese della SDN Hitler ricorse alla diplomazia per rafforzare la posizione della Germania. Iniziò una politica di riarmo e nel 1934 concluse con la Polonia un patto decennale di non aggressione. Infine, nel 1935 il territorio della Saar ritornò alla Germania, grazie anche all’atteggiamento arrendevole mostrato sia dalla Francia sia dalla SDN. Nel marzo del 1935 Hitler dichiarò il ripristino della leva militare obbligatoria, che costituì una violazione grave del trattato di Versailles. Le potenze vincitrici si incontrarono a Stresa in aprile. Al “fronte di Stresa” si aggiunsero la firma di un trattato franco-sovietico e quella di un simile accordo ceco-sovietico. In entrambi gli accordi le due nazioni si promettevano reciproco aiuto in caso di aggressione o di attacco. Gli imperi coloniali fra stabilità e incertezze Nel periodo fra le due guerre mondiali le grandi potenze europee raggiunsero la massima espansione dei propri possedimenti coloniali, al punto di riorganizzare le strutture imperiali. Nelle dichiarazioni pubbliche si parlò spesso di buoni propositi, come la civilizzazione, che avrebbero dovuto favorire la formazione di élite locali, che sarebbero state coinvolte nella gestione degli imperi. In questo periodo, Francia e Gran Bretagna effettuarono un notevole sforzo anche sul piano propagandistico per proporre alle proprie opinioni pubbliche le diverse realtà imperiali come elementi fondamentali delle proprie identità nazionali. Entrambe le potenze coloniali esaltavano il contributo dato dai combattenti dei popoli dipendenti alla vittoria dell’Intesa. Per quanto riguarda i caratteri delle politiche imperiali, Londra puntava su forme di indirect rule, trasformando l’impero in “Impero e Commonwealth”; mentre la Francia sosteneva che il loro impero si basasse sul concetto di “assimilazione”, trasformando tutti in cittadini della Repubblica. A seguito della crisi del 1929, nonostante gli imperi venissero considerati un’ottima soluzione al problema, l’utilizzo delle risorse coloniali causò un incremento notevole dei costi e le popolazioni locali cominciarono a esprimere la volontà di liberarsi dai dominatori europei. La politica britannica verso il Medio Oriente e la sorte della Palestina Per l’impero britannico le difficoltà maggiori provennero sia dal mondo arabo, che dall’India. In Iraq e Transgiordania il governo inglese concesse un’indipendenza formale, assicurandosi però il mantenimento di basi militari ed esercitando un controllo economico sul paese. Più difficile fu la situazione in Palestina. In un primo momento, Londra si mostrò condiscendente verso l’emigrazione ebraica e vi fu quindi un aumento dei coloni ebrei, che sollevarono reazioni preoccupate dalla maggioranza della popolazione locale. Nel 1929 la tensione tra la comunità ebraica e quella araba sfociò in vari episodi di violenza che provocò decine di morti sia negli ebrei che negli arabi. Nello stesso anno venne costituita l’Agenzia ebraica che si fece interprete delle aspirazioni sionistiche nel territorio palestinese. Dopo la presa al potere di Hitler, l’emigrazione ebraica verso la Palestina aumentò, causando episodi di ostilità araba verso gli inglesi. Gli arabi in Palestina si organizzarono politicamente attraverso la costituzione di un Alto comitato arabo. Nel 1936 vi furono azioni di guerriglia arabe verso gli ebrei e verso le autorità britanniche. Gli arabi richiedevano la costituzione di un’autorità politica locale e la fine dell’emigrazione ebraica. Di fronte a questa situazione, Londra decise di ripensare la propria politica e istituì una commissione d’inchiesta, che si espresse per la formazione di un piccolo stato ebraico. La decisione venne respinta dagli arabi, che si sentivano sostenuti dagli stati musulmani indipendenti. Londra cercò di favorire i contatti fra arabi ed ebrei, mirando ad ottenere una situazione stabile per avere il sostegno del mondo arabo durante la Seconda guerra mondiale. Vi fu quindi un’evoluzione nell’atteggiamento delle autorità britanniche, che nel 1939 pubblicò il “Libro bianco”: gli inglesi si impegnavano, in dieci anni, a creare uno stato palestinese indipendente in cui avrebbero dovuto convivere sia gli arabi che gli ebrei. I difficili rapporti anglo-egiziani La Palestina non fu l’unica zona a creare problemi al governo inglese; un’ulteriore zona di ostilità dell’impero fu l’Egitto. Il paese era fondamentale all’interno del sistema di comunicazioni dell’impero per raggiungere i possedimenti inglesi in Oriente. Le élite politiche egiziane hanno sempre vissuto il rapporto con Londra in modo contraddittorio. Dopo la caduta dell’Impero ottomano nel 1914, il movimento nazionalista (Wafd) si era rivelato particolarmente forte nel paese e vi furono violente manifestazioni dal carattere insurrezionale, che furono represse duramente da Londra. Successivamente venne elaborato una sorta di compromesso, concedendo all’Egitto di un’indipendenza formale e garantendo il controllo militare inglese sul canale. I negoziati non diedero i risultati sperati, in quanto l’Egitto auspicava a una reale indipendenza. Vi furono ulteriori disordini che Londra represse duramente, fino al 1922 quando la Gran Bretagna concesse l’indipendenza. Negli anni successivi, tuttavia, si verificarono altri gravi incidenti. Da un lato il re d’Egitto e alcuni politici moderati non escludevano di concludere un accordo con la Gran Bretagna per regolare le relazioni tra i due paesi, dall’altro il partito Wafd era ostile a qualsiasi compromesso che portasse la continuazione dell’influenza inglese nel paese. Solo nel 1936 il governo egiziano decise di siglare un trattato con Londra. Per dieci anni veniva mantenuta la presenza militare britannica lungo il canale di Suez. Nel 1937, l’Egitto entrava a far parte della SDN. L’India britannica e la lotta per l’indipendenza La situazione più grave per l’Impero britannico si manifestò nel viceregno d’India. Il movimento indipendentista acquistò nuovo vigore avendo trovato un leader di grande prestigio in Gandhi, che si fece portavoce dell’ideale di indipendenza attraverso un’azione non violenta di disobbedienza civile contro i dominatori inglesi. Il paese era, però, attraversato da divisioni e contraddizioni non solo di carattere politico e sociale, ma anche culturale e religioso. In particolare, significativa era la rottura tra indù e musulmani. Con il passare del tempo, Londra comprese che era necessaria una riforma del sistema di amministrazione del viceregno e in alcuni ambienti politici inglesi e non escluse l’ipotesi di una forma di autonomia. All’inizio degli anni Trenta vi furono dei colloqui a Londra fra le autorità governative e i rappresentanti indiani, fra cui Gandhi. Erano però troppi e troppo influenti gli attori che in Gran Bretagna si opponevano alla concessione di una reale indipendenza all’India. La Francia e la sfida del mondo arabo La Francia sembrò aver incontrato minori difficoltà nel controllare il proprio impero, anche se l’imposizione del mandato su Siria e Libano si era rivelata più difficile del previsto. Parigi comunque rispettò ciò che imponeva il regime del mandato della SDN, istituendo una Repubblica della Siria e una del Libano, fornendogli anche una costituzione. Un ulteriore focolaio di tensione si manifestò in Nordafrica. Nel 1921 era scoppiata una rivolta nel protettorato del Marocco spagnolo, che aveva trovato una guida carismatica in Abd el-Krim. Dopo il successo spagnolo, Abd el-Krim aveva tentato di estendere l’azione al Marocco francese. Parigi mobilitò ingenti forze, sconfiggendo Abd el-Krim e obbligandolo alla resa nel 1926. La confusa situazione cinese e la ripresa dell’espansionismo nipponico L’impero cinese aveva vissuto una rapida decadenza che l’aveva trasformato in oggetto delle mire delle grandi potenze europee e dell’impero nipponico. Sottoposto a una serie di “trattati ineguali” aveva visto parti del suo territorio passare sotto il controllo delle potenze straniere. Il crollo dell’impero e la costituzione della Repubblica cinese sotto la guida del leader nazionalista Sun Yat-Sen non avevano risolto i gravi problemi che condizionavano il paese, ne attenuato le ambizioni delle grandi potenze europee. La Cina aveva dovuto sottostare alle mire del Giappone, che nel 1915 aveva imposto il “trattato delle ventuno domande", estendendo la propria influenza in Manciuria. Nel periodo successivo alla guerra, la Cina aveva visto modificarsi la sua posizione nel sistema internazionale: era entrata a far parte della fondazione della SDN ed aveva imposto la propria sovranità su numerose concessioni europee nel suo territorio. In occasione della conferenza di Washington sull’Estremo Oriente del 1922 il governo cinese ottenne alcune parziali soddisfazioni e venne espresso il desiderio di limitare l’espansione del Giappone in Cina. Nel corso degli anni Venti si era fatta strada la figura del generale Chiang Kai-Shek, esponente del partito nazionalista del KMT. Inoltre era sorto un locale Partito comunista (PCC). In una prima fase i rapporti tra il KMT e il PCC erano stati buoni; tra l’altro Mosca aveva deciso di sostenere il KMT, vedendo una possibilità in esso di eliminare le potenze imperialiste dalla Cina. Nel 1925 Chiang ritenne di poter rafforzare la propria posizione: ruppe con l’URSS e procedette alla repressione dei comunisti; successivamente avviò una serie di iniziative militari per sconfiggere i signori della guerra nel territorio cinese. Alla fine degli anni Venti Chiang Kai-Shek impose la sua sovranità su tutto il paese. Il tentativo del governo nazionalista di affermarsi come rappresentante di una nuova Cina si scontrò nel 1931 con l’aggressione giapponese in Manciuria. Il governo cinese fu costretto ad accettare la nascita dello stato fantoccio del Manchukuo sotto il controllo di Tokyo. Negli anni successivi alla crisi, Chiang Kai-Shek rivolse la sua attenzione nei confronti del PCC con una serie di offensive militari che misero i comunisti in difficoltà costringendo le forze del partito a una lunga e drammatica ritirata. A rendere la situazione più complessa intervenne un’ulteriore aggressione nipponica, conseguenza di una serie di contraddizioni interne che attraversarono l’impero giapponese. Dopo il successo della creazione del Manchukuo, il Giappone assunse un atteggiamento più prudente, ma ritenne di poter ampliare la sua influenza in territorio cinese. Nel 1937 le truppe nipponiche scatenarono un’aggressione contro la Cina, investendo prima Shanghai e continuando verso l'interno del paese. Le armate giapponesi conquistarono la capitale cinese Nanchino: i militari giapponesi si abbandonarono a massacri che provocarono 250 mila vittime. Tuttavia il Giappone non riuscì ad ottenere la vittoria, a causa della vastità del territorio cinese. La guerra d’Etiopia e il fallimento della SDN L’Italia giocò un ruolo fondamentale nello scatenamento della Seconda guerra mondiale e nel rompere alcuni fragili equilibri europei. L’Italia era al centro del tentativo delle potenze europee di contenere il revisionismo di Hitler. In questo contesto Mussolini rivolse il suo interesse verso l’Africa, concentrandosi sull’impero d’Abissinia. I motivi della conquista erano principalmente due: 1. dimostrare la forza del fascismo e aumentare i consensi nell’opinione pubblica; 2. trasformare l’Etiopia in una colonia di popolamento. Mussolini non si preoccupò che l’impero d’Abissinia facesse parte della SDN, e si limitò a stringere un accordo con Francia e Gran Bretagna. Per quanto riguarda la Francia, Mussolini ottenne la concessione delle “mani libere” nei confronti dell’Etiopia, che comunque non sottintendeva un’aggressione. Per ciò che concerne la Gran Bretagna, essa mostrò disinteresse nei confronti di una modifica degli equilibri in Africa. Dal 1934 il governo fascista sfruttò ogni occasione per aumentare la tensione tra l’Italia e l’Etiopia e nel 1935 le truppe italiane superarono il confine tra l’Eritrea e l’Abissinia. L'aggressione venne denunciata presso la SDN ma la reazione delle grandi potenze fu prudente e, inoltre, esse non si sentivano particolarmente coinvolte nella difesa dell’Africa. Dopo l’aggressione italiana, vi furono contatti tra il ministro degli Esteri francese Laval e il segretario di stato inglese Hoare. Venne elaborato un compromesso in base al quale all’Italia sarebbe stata concessa gran parte del territorio in cambio del mantenimento di un piccolo stato abissino. La notizia del piano uscì sulla stampa, suscitando la reazione negativa dell’opinione pubblica, specie di quella inglese. Hoare fu costretto a dimettersi e venne sostituito da Eden, che mostrava scarsa simpatia nei confronti dell’Italia. Nel frattempo la SDN approvò importanti sanzioni nei confronti di Roma, che ebbero scarsi risultati. La politica delle sanzioni permise a Mussolini di orchestrare un’abile campagna propagandistica e il fascismo raggiunse l’apice dei consensi, che giustificò la rapida vittoria e la proclamazione dell’impero. Quanto accaduto convinse il duce che le potenze democratiche fossero sostanzialmente deboli e che la SDN confermò la sua incapacità nel bloccare qualsiasi aggressione. Infine, le scelte compiute da Londra e Parigi causò un riavvicinamento tra Germania e Italia. La debolezza francese e la politica inglese di “appeasement” Agli inizi del 1936 la Francia ratificò l’alleanza franco-sovietica siglata l’anno prima; Hitler utilizzò il pretesto di questa decisione per affermare che essa violava il trattato di Locarno e procedette alla smilitarizzazione della Renania. Le democrazie avevano ormai imboccato la strada della politica di appeasement che ottenne l’effetto contrario, ovvero incoraggiare l’aggressività tedesca. In Francia, inoltre, l’opinione pubblica non desiderava ripetersi i massacri della prima guerra mondiale. Fu questa politica passiva a portare alla costruzione di una serie di fortificazioni lungo il confine con la Germania che prese il nome di “linea Maginot”. Nel 1936, Berlino e Vienna firmarono un accordo, in base al quale la Germania riconosceva l’indipendenza austriaca, ma l’Austria concedeva di essere uno “stato tedesco”. In questo periodo, le autorità belghe, da sempre alleate con la Francia, decisero di imprimere una svolta alla politica dello stato, dichiarando la neutralità. Nel volgere di poche settimane anche la Romania e la Jugoslavia si allontanarono da Parigi. I primi anni Trenta furono caratterizzati dalla crescente sfiducia nei confronti della Terza repubblica. Crescevano i movimenti di ispirazione fascista, che favorirono un ricompattamento dei partiti democratici. Tra il 1935 e il 1936 si creò un fronte popolare, che vinse le elezioni del 1936. All’indomani delle elezioni si formò un governo composto da socialisti e radicali, sotto la guida di Leon Blum. In Inghilterra, le elezioni del 1935 portarono alla vittoria dei conservatori e alla formazione di un governo guidato da Neville Chamberlain, principale fautore dell’appeasement. La Francia rimaneva un’alleata, anche se il governo inglese non provava particolare simpatia nei confronti del fronte popolare. Per quanto riguarda la Germania, alcune sue richieste non venivano considerate prive di fondamento e vi era poco interesse nei confronti delle sue vicende interne. Per ciò che concerne l’Italia, il governo inglese confidava in una soluzione di compromesso. Inoltre, Londra non poteva entrare in guerra senza il sostegno dei suoi dominions. È in questo contesto che va inserita la firma nel 1935 di un trattato fra Londra e Berlino, in base al quale la Germania accettava che la sua marina non superasse il 35% di quella inglese, mentre Londra riconosceva la parità dei sommergibili dei due paesi. La guerra civile spagnola La Spagna era un paese diviso da gravi contraddizioni, fra cui: economiche: zone più avanzate come la Catalogna e le Province Basche si alternavano a zone arretrate, caratterizzate dalla presenza dei latifondisti; sociali: le classi meno agiate sostenevano il movimento anarchico, mentre i settori più conservatori (esercito e clero) rimanevano attaccati ai loro privilegi; inoltre vi erano le spinte autonomiste di Catalogna e Paesi Baschi. Nel corso degli anni Venti il potere era stato assunto dal generale Miguel Primo de Rivera, che instaurò un governo autoritario fino al 1930. Nel 1931 nacque la Seconda repubblica, dove si affermarono forze di sinistra come gli anarchici e i comunisti, e gruppi conservatori, come il movimento falangista di Antonio Primo de Rivera, di tendenze filofasciste. In questo clima di tensione si formò un fronte popolare che si impose alle elezioni del 1936. La costituzione di un governo di sinistra fu considerata come una grave minaccia dai gruppi conservatori, che trovarono alcuni capi militari disposti ad agire con la forza. Il colpo di stato ebbe inizio in Marocco, guidato dal generale Francisco Franco. I militari, una volta arrivati in Spagna, non riuscirono ad occupare né Madrid, né Barcellona. Il conflitto spagnolo assunse un forte rilievo internazionale perché Franco e i nazionalisti si appellarono all’Italia e alla Germania per chiedere aiuto. L'intervento italiano e tedesco fu rapido e vennero inviati sia combattenti che armi/artiglieria. A sua volta il governo repubblicano fece appello alla Francia e all’URSS. La Francia decise di non intervenire, mentre l’URSS scelse di inviare a Madrid migliaia di consiglieri militari e di mezzi. La guerra civile spagnola ebbe riflessi importanti sul sistema internazionale. In primo luogo il conflitto assunse una netta connotazione ideologica e venne vissuto come uno scontro aperto tra fascismo e antifascismo. Per quanto riguarda le potenze democratiche, la Francia dimostrò la sua debolezza e la necessità di allinearsi con la politica del compromesso della Gran Bretagna. Quanto all’Italia fascista, la decisione del duce di intervenire fu dovuta sia per il timore di due governi popolari, sia per il desiderio di rafforzare l’influenza fascista nel Mediterraneo occidedntale. Per ciò che concerne la Germania, per Hitler la Spagna poteva rivelarsi utile per indebolire Parigi e distrarre Londra dal desiderio di espansione tedesca in Europa centrale. Infine, importante è stato l’intervento sovietico, che aumentò l’influenza del Partito comunista spagnolo, permettendo a Stalin di eliminare gli avversari di sinistra, gli anarchici e i trotzkisti. L’URSS, inoltre, emerse come l’unica nazione decisa a opporsi al nazifascismo. Importante fu in questo contesto l’intervento delle Brigate internazionali, unità di volontari antifascisti provenienti da vari paesi che combatterono a fianco delle forze repubblicane. La politica inglese di “appeasement” verso l’Italia Mussolini e Hitler videro nella guerra civile spagnola la conferma che l’URSS sarebbe stata il nemico più agguerrito: per questo motivo nel 1937 l’Italia aderì al “patto antiComintern”, promosso dalla Germania e dal Giappone. Il duce comunque ritenne che fosse possibile attuare ancora la politica del “peso determinante” sfruttando il desiderio inglese di un compromesso. Agli inizi del 1937 l’Italia e la Gran Bretagna siglavano un accordo in base al quale i due paesi riconoscevano il reciproco interesse a mantenere lo status quo nel Mediterraneo. Questo desiderio di compromesso venne confermato nell’anno successivo con la firma degli “accordi di Pasqua”, che risolve alcune questioni come, per esempio, l’intervento italiano nella guerra civile spagnola. Nonostante questi accordi, che comunque erano a vantaggio dell’Italia, Mussolini si avvicinava sempre di più a Hitler. L’”Anschluss” austriaco Dopo l’evoluzione della situazione in Europa, Hitler ritenne che fosse possibile procedere con la politica che riunisse tutte le popolazioni tedesche all’interno del Terzo Reich. Durante il 1937 il Fuhrer rivolse nuovamente la sua attenzione nei confronti dell’Austria, comprendendo, inoltre, come l’Italia fascista avrebbe fatto ben poco per difendere l'indipendenza austriaca. Nel 1938 Hitler incontrò Schuschnigg sul quale fece pressione per accettare l’ingresso nel governo del leader del Partito nazista austriaco Seyss-Inquart. Il cancelliere, una volta tornato a Vienna, convocò un plebiscito per l’Anschluss, che causò la furia di Berlino. Il presidente austriaco accettò l’entrata nel governo di Seyss-Inquart, che fece immediatamente appello alla Germania per fare entrare le truppe in Austria. Il plebiscito sancì l’annessione dell’Austria alla Germania con il 97% di consensi. Era diffusa, ormai, la convinzione che le grandi potenze non avrebbero fatto molto per difendere l'indipendenza austriaca: Francia e Gran Bretagna mantennero, infatti, un atteggiamento prudente, evitando la mobilitazione generale. La conferenza di Monaco e la fine dello stato cecoslovacco Con l’Anschluss , il Fuhrer vide premiata la sua strategia aggressiva e ora la sua attenzione era rivolta verso la Cecoslovacchia. Tra le due guerre mondiali lo stato cecoslovacco aveva mantenuto atteggiamenti ostili nei confronti delle richieste di autonomia delle minoranze tedesche. La situazione divenne più complicata con l’arrivo al potere di Hitler, che causò l’aumento delle spinte separatiste dei Sudeti. Nel 1938 la SPD avanzò una serie di richieste a Praga, fra cui un’ampia autonomia della zona dei Sudeti, che le autorità cecoslovacche non accettarono. Il governo di Praga si sentiva particolarmente sicuro anche grazie ai trattati di alleanza con la Francia e con l’URSS. Le autorità francesi e inglesi consigliarono alla Cecoslovacchia di tenere un atteggiamento prudente e di tenere aperto il dialogo con la SPD. Praga decise, tuttavia, una parziale mobilitazione militare, che causò ulteriori minacce da parte di Hitler. In questa fase, furono importanti le reazioni di Londra e Parigi, che si mostrarono quasi totalmente disinteressati alla questione dei Sudeti. Londra anzi si fece promotrice di un’attività di mediazione che fece intuire, però, la debolezza delle democrazie. Di fronte a questa situazione Hitler sostenne apertamente di essere pronto a sostenere i tedeschi dei Sudeti. A questo punto Chamberlain decise di intervenire direttamente e si incontrò con Hitler, che avanzò la richiesta di annessione dei Sudeti. I contatti tra Londra e Parigi si conclusero con un accordo per convincere Praga a cedere alla Germania le zone dove la popolazione di lingua tedesca superasse il 50%. Chamberlain e Hitler si incontrarono nuovamente pochi giorni dopo, ma quest’ultimo aumentò le sue richieste, che prevedevano essenzialmente la distruzione della Cecoslovacchia. Chamberlain rivolse un appello a Hitler e a Mussolini per convocare una conferenza sulla questione e trovò in quest’ultimo un interlocutore disposto ad ascoltare. Fu così che si arrivò alla conferenza di Monaco che riunì Germania, Gran Bretagna, Italia e Francia. La soluzione a cui si giunse fu sostanzialmente l’accettazione delle condizioni tedesche: i Sudeti vennero annessi alla Germania. Successivamente sia Londra che Parigi firmarono un patto di non aggressione con Berlino. CAPITOLO 3: LA SECONDA GUERRA MONDIALE: DA CONFLITTO EUROPEO A SCONTRO GLOBALE (1939-1945) La vigilia della guerra: il “patto d’acciaio” e l’accordo nazi-sovietico La facilità con cui in un solo anno Hitler era riuscito ad annettere al Reich l'Austria e i Sudeti, a imporre il protettorato sulla Boemia e a estendere la sua influenza sulla Slovacchia, confermò la convinzione della debolezza delle democrazie e la possibilità di proseguire con la politica di aggressione. Inoltre, poteva contare su un ulteriore avvicinamento dell’Italia fascista alla Germania. Nel maggio del 1939 venne siglato il “patto d’acciaio”, che sottolineava l’obbligo per ognuna delle potenze di entrare in guerra a fianco dell’altra in caso di conflitto. Nel corso dei colloqui che portarono al patto, la delegazione italiana fece presente che l’Italia non era pronta ad entrare in guerra prima del 1942. Sempre nel 1939, Roma e Berlino firmavano un accordo che risolveva qualsiasi contenzioso intorno alla popolazione del Sud Tirolo: ai cittadini italiani di lingua tedesca veniva concesso di optare per la cittadinanza tedesca, grazie alla quale avrebbero potuto lasciare il territorio italiano per andare in Germania. Una volta risolta la questione cecoslovacca, Hitler si rivolse alla Polonia, nei cui confronti vi era il contenzioso del corridoio che divideva la Prussia orientale dalla Germania, dalla presenza di una minoranza tedesca e dalla confusa situazione di Danzica. La Germania diede avvio alla serie di minacce e di provocazioni, esattamente come fece nei confronti di Praga e Vienna. Come risposta alle dichiarazioni tedesche, Chamberlain indicò la volontà inglese di difendere l’indipendenza polacca, a cui si affiancò il governo francese. Nelle settimane successive le autorità inglesi e francesi estesero le garanzie di difesa ad altri stati europei. Tuttavia, il Fuhrer proseguì nella sua azione intimidatoria. Di fronte all’incombenza della guerra, Francia e Gran Bretagna considerarono fondamentale il poter contare su un potente alleato ad est e venne proposta di nuovo un’alleanza con la Russia. Il piano di un’alleanza con la Russia si scontrò immediatamente con un ostacolo importante: non esisteva un confine comune tra Germania e URSS e lo stato più minacciato da Berlino era la Polonia. Il rilievo della posizione sovietica in caso di guerra era compreso anche dalla Germania nazista. Incominciò una serie di contatti tra Berlino e Mosca, che si intensificarono e portarono alla firma di un patto di non aggressione che prese il nome dai due ministri degli esteri (patto Molotov-von Ribbentrop). Al patto di non aggressione venne allegato un protocollo segreto, in cui si indicava che, in caso di un cambiamento degli equilibri europei, sarebbero state stabilite due zone di influenza, una russa e una tedesca. Hitler si assicurò così la possibilità di aggredire la Polonia, senza temere un attacco sovietico ad est. Quanto a Stalin, egli poteva avviare la riconquista dei territori dell’impero zarista. Lo scoppio del conflitto, l’invasione della Polonia e la “drole de guerre” L’annuncio della sigla del patto Ribbentrop-Molotov rappresentò un colpo di scena. Ad esserne maggiormente colpito negativamente fu il regime fascista, inserendo un elemento di contrasto tra i due regimi dittatoriali. Ma nella visione di Hitler la posizione fascista era secondaria e l’attenzione del Fuhrer era incentrata unicamente sull’aggressione alla Polonia. il 1 settembre 1939 le truppe tedesche entrarono in territorio polacco e due giorni dopo la Francia e la Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania. Quanto all’Italia, Mussolini decise di dichiarare la non belligeranza. Nei confronti della Germania questa scelta venne giustificata con l’impreparazione del paese. Hitler parve comunque accettare le scuse italiane. La campagna di Polonia si risolse in uno scontro breve ma molto duro: nel giro di un mese la Wehrmacht distrusse completamente l’esercito polacco. La difesa della Polonia era stata inoltre minata anche dall’attacco sovietico, scatenato pochi giorni dopo l’inizio della guerra. Alla fine di settembre la Polonia non esisteva più e il suo territorio venne spartito tra la Germania e l’URSS. La reazione anglo-francese fu debole e incerta e si basò su piani prestabiliti. I francesi mobilitarono le loro truppe lungo i confini, contando anche sulle strutture della linea Maginot; Londra inviò un proprio corpo di spedizione in Francia, che si posizionò lungo il confine con il Belgio, che continuò a mantenere una posizione neutrale, come l’Olanda. Dopo aver disposto questa posizione difensiva, inglesi e francesi si posero in attesa. In caso di una guerra lunga, Francia e Gran Bretagna avrebbero potuto contare sulle risorse provenienti dai rispettivi imperi, in attesa di un eventuale intervento statunitense. Mancò, inoltre, in questi primi mesi una mobilitazione propagandistica delle opinioni pubbliche francesi e inglesi, che si convinsero di poter vivere tranquillamente anche con lo scoppio del conflitto. I primi mesi della Seconda guerra mondiale vennero definiti “drole de guerre” o “phoney war”. Unico avvenimento significativo fu l’inserimento di Winston Churchill nel governo di Chamberlain. Una volta terminata la campagna di Polonia, Hitler non si impegnò in nessuna azione offensiva lungo il fronte occidentale. L’espansione sovietica e la “guerra d’inverno” L’unica potenza che si mosse in maniera rapida su l’URSS. La spartizione della Polonia si tradusse in una radicale eliminazione dei “nemici di classe”. Il passo successivo fu l’aggressione nei confronti della Finlandia. L’azione militare venne preceduta da una serie di minacce e di richieste che vennero respinte dal governo finlandese. La “guerra d’inverno” fu più difficile del previsto per l’Armata Rossa, che fu contrastata dalle truppe finlandesi che sfruttarono la loro conoscenza del territorio. Nonostante questo alla conclusione delle ostilità Helsinki fu obbligata a cedere ampie parti confinanti all’URSS. Subito dopo aver concluso il conflitto finlandese, Stalin avviò una serie di pressioni e di minacce nei confronti dei paesi baltici, che finirono col cedere alle richieste di Mosca. Una volta conquistate le tre repubbliche, l’URSS procedette a un violento processo di sovietizzazione. Nel giugno del 1940 i tre paesi baltici vennero annessi all’URSS. Il crollo della Francia e l’arrivo di Churchill alla guida del governo britannico Dopo la conquista della Polonia, le truppe tedesche invasero la Danimarca, che si arrese dopo poche ore, e scatenarono un attacco contro la Norvegia. In questo periodo, però, le truppe anglo-francesi avevano programmato un’azione verso la Norvegia. Le truppe anglo-francesi sbarcarono nel nord del paese, scontrandosi con le forze tedesche. Nel frattempo i tedeschi insediarono un governo fantoccio ad Oslo, dopo la fuga della famiglia reale a Londra. Dopo la risoluzione della campagna nel Nord Europa, il Fuhrer diede inizio ad un attacco lungo il fronte occidentale. Solo qualche ora prima Daladier era stato costretto a dimettersi ed era stato sostituito Reynaud, che avrebbe comunque dimostrato un carattere debole e indeciso. Gli ultimi avvenimenti, al contrario, avevano avuto risvolti importanti nella politica interna inglese. Il malcontento nei riguardi di Chamberlain causò le sue dimissioni. Fondamentale fu la decisione di far divenire primo ministro Winston Churchill il quale formò un governo di unione nazionale. La situazione che Churchill dovette affrontare era drammatica. L’offensiva tedesca contro gli anglo-francesi fu vincente: le truppe germaniche penetrarono in Olanda e in Belgio. Gli alti comandi francesi ritennero che i tedeschi volessero ripetere quanto accaduto nella Prima guerra mondiale e, quindi, spostarono una parte delle truppe in Belgio; tuttavia le unità di Hitler sfondarono il fronte nella zona delle Ardenne. Nel giro di poche settimane l’esercito francese si trovò allo sbando. Le forze armate tedesche accerchiarono le unità britanniche e le unità francesi, e successivamente puntarono su Parigi. Le azioni tedesche causarono la fuga tra milioni di civili, che affollarono le vie di comunicazione, ostacolando il passaggio delle truppe. Il governo decise di rifugiarsi a Bordeaux. Alla fine la Francia decise di firmare un armistizio con la Germania; particolarmente favorevole fu il maresciallo Philippe Pétain, uomo ostile alla Terza repubblica. Pétain accettò l’armistizio che venne simbolicamente firmato nello stesso vagone ferroviario (Rethondes) in cui i tedeschi firmarono la resa nel 1918. Il nord della Francia e Parigi passarono sotto l’occupazione diretta dei nazisti; vennero distaccate l’Alsazia e la Lorena e soggette alla sovranità germanica; si accettò l’esistenza di una zona libera sotto il controllo del nuovo governo di Pétain, con sede Vichy. La posizione di Pétain si rivelò tuttavia ambigua, oscillando tra la possibilità di schierare la Francia con la Germania, e la possibilità di una “rigenerazione” che si basasse sugli ideali tradizionali di “Dio, patria e famiglia”. Churchill non accettò le ambiguità del governo Petain e si impossessò delle unità francesi nei porti inglesi. Non tutti i francesi si mostrarono favorevoli all’armistizio e alla collaborazione; fra questi vi era il generale Charles de Gaulle. Al momento della disfatta fu l’unico alto ufficiale ad opporsi all’armistizio. De Gaulle si trasferì a Londra dove ai microfoni della BBC lanciò al popolo francese un appello alla prosecuzione della lotta a fianco della Gran Bretagna. Il generale diede vita a “Francia libera”, un movimento legato al sostegno di Churchill, che vedeva nella “Francia libera” un utile strumento di opposizione a Vichy. Ma il tentativo di una spedizione gollista nel 1940 fallì miseramente, causando la fine della fiducia inglese in de Gaulle. La fine della Francia lasciava sola la Gran Bretagna di fronte alla Germania nazista e molti pensarono che Londra sarebbe stata costretta alla resa. Nell’estate del 1940 Hitler cominciò a programmare un’operazione anfibia contro gli inglesi (operazione Leone Marino). Nel frattempo si decise di indebolire la resistenza inglese tramite un’offensiva aerea che si sarebbe trasformata in una serie di bombardamenti sulle città inglesi. Ma la reazione inglese si rivelò efficace e gli inglesi uscirono vincitori, vittoria che venne sfruttata sul piano propagandistico. L’ingresso in guerra dell’Italia La vittoria tedesca sulla Francia determinò anche l’ingresso dell’Italia in guerra nel 1940. La dichiarazione di guerra venne resa nota il 10 giugno, ciò nonostante l’Italia non ottenne alcun successo contro la Francia e al momento dell’armistizio gli italiani erano stati in grado di superare di pochi chilometri il confine di Ventimiglia. A dispetto delle richieste territoriali del duce, la Germania impose un atteggiamento moderato al regime fascista che dovette accontentarsi di una piccola zona di occupazione lungo la Costa Azzurra. Mussolini sperò che le vittorie tedesche portassero Londra alla resa: la Gran Bretagna divenne così il nemico principale dell’Italia. Il duce puntò a una “guerra parallela”, che avrebbe dovuto riguardare il Nord Africa, il Mediterraneo e i Balcani. Per questo motivo l’Italia aggredì la Grecia alla fine di ottobre. La campagna terminò con una sconfitta e con grande difficoltà le truppe italiane riuscirono a contenere la controffensiva greca in Albania. Contemporaneamente gli inglesi inflissero un duro colpo alla flotta italiana. A questo punto Mussolini incitò l’alto comando in Libia a penetrare in Egitto, ma le truppe si arrestarono pochi chilometri dopo il confine. Nel 1940 gli inglesi conquistarono la Cirenaica e Mussolini fu costretto a chiedere aiuto alla Germania, le cui truppe sbarcarono in Tripolitania dando avvio a una lunga campagna per il controllo del Nord Africa, sotto il controllo del generale tedesco Erwin Rommel. L’evoluzione della strategia hitleriana: l’aggressione nei confronti dell’URSS Hitler ritenne che l’Inghilterra potesse essere messa in ginocchio tramite un’azione di logoramento economico, grazie ad un’offensiva sottomarina contro le navi che rifornivano la Gran Bretagna provenienti sia dall'impero che dagli USA. Questa azione parve dare i risultati sperati per la Germania e Londra cominciò a trovarsi in difficoltà. La prospettiva di un conflitto lungo con la Gran Bretagna spinse il Fuhrer a rivolgere l’attenzione verso l’URSS. Nonostante il patto nazi-sovietico, il comunismo restava il nemico principale e le aree sotto la dominazione sovietica ad est erano l’area di espansione tedesca per lo “spazio vitale”. Questa scelta venne rafforzata dai sospetti suscitati dall'espansione di Stalin. Da parte sua La Germania rafforzò la penetrazione nell’Europa balcanica e danubiana. Nel 1940 venne siglato il secondo arbitrato di Vienna, secondo il quale l’Ungheria e la Bulgaria ottennero ingrandimenti territoriali a spese della Romania. Qualche mese dopo, truppe tedesche penetrarono in territorio rumeno per imporre il proprio controllo sugli impianti petroliferi, unica forma di sostentamento dello sforzo bellico tedesco. Successivamente Romania e Ungheria aderirono al patto tripartito, mentre Berlino esercitava pressioni sulla Bulgaria e sulla Jugoslavia affinché anche loro aderissero. Quest’ultime cedettero, anche se a Belgrado vi era una forte opposizione all’alleanza con la Germania, fomentata dal governo britannico. Hitler decise, allora, di colpire immediatamente la Jugoslavia che venne invasa dai tedeschi, mentre truppe tedesche puntavano sul porto di Salonicco. La Jugoslavia venne sconfitta, e successivamente anche la Grecia venne occupata. La Jugoslavia venne smembrata a favore delle potenze dell’Asse, mentre la Croazia divenne uno stato indipendente e la Serbia venne sottoposta al controllo tedesco. Nella primavera del 1941 tutta l’Europa balcanica e danubiana era sotto il controllo della Germania, che tornò a pianificare l’attacco contro la Russia (“operazione Barbarossa”). Il 22 giugno la Germania scatenò l’aggressione contro l’URSS. Nei primi mesi i nazisti penetrarono velocemente in Russia. Oltre alle unità combattenti erano presenti gruppi speciali incaricati di eliminare i militanti del Partito comunista e della comunità ebraica. Tuttavia, con l’approssimarsi dell’inverno, i tedeschi rallentarono e poi fermarono l’offensiva. Ucraina e Bielorussia erano state occupate dalla Germania, che entrò in possesso di enormi risorse. In un primo momento le popolazioni delle due nazioni non si opposero all’occcupazione nazista, ma la politica razzista e le atrocità commesse durante l’occupazione allontanarono qualsiasi possibilità di collaborazione con gli occupanti. Un’importante conseguenza dell’URSS fu la mobilitazione di tutti i militanti comunisti, che si rivelarono fra i più capaci animatori dei movimenti di resistenza. Gli USA dall’isolazionismo al sostegno alla Gran Bretagna Il conflitto continuava a mantenere il suo nel centro del continente europeo, ma fu lo scontro tra il Giappone e gli Stati Uniti a trasformare il conflitto in una vera guerra mondiale. Bisogna anche considerare l’evoluzione della posizione degli USA fra gli anni Venti e gli anni Trenta. Le tappe principali dell’evoluzione della posizione americana furono: 1. anni ‘20: nessun coinvolgimento politico negli affari europei ma impegno economico e finanziario; 2. 1929: crollo della borsa di Wall Street e regressione economica; 3. anni ‘30: isolazionismo fino all’aggressione tedesca alla Polonia. Importante in questa fase della storia americana fu il presidente Franklin Delano Roosevelt, che permise la ripresa degli USA dalla crisi del ‘29. Il presidente americano fra il 1939 e il 1940 fece ogni sforzo per impedire lo scoppio della guerra, ma la posizione americana venne interpretata sia dal nazismo, che dal fascismo come prova della debolezza statunitense. Né Hitler né Mussolini sembravano rendersi conto del potenziale economico e industriale degli Stati Uniti. Se l’aggressività della Germania e dell’Italia preoccupava Roosevelt, maggiore era il timore suscitato dall’espansionismo giapponese in Cina e nel Pacifico, due aree a cui Washington era interessata e presente con il protettorato sulle Filippine e con la serie di basi navali e militari nelle Hawaii e con la flotta stanziate nel Pacifico. Nonostante ciò, lo spirito isolazionista restava forte e Roosevelt era occupato nella campagna elettorale del 1940. Dopo la rielezione di Roosevelt, quest'ultimo decise di non entrare in guerra ma di trasformare gli Stati Uniti nell’”arsenale delle democrazie” e di porre a disposizione della Gran Bretagna e dei suoi alleati il potenziale economico e industriale statunitense. Il primo passo fu la “legge affitti e prestiti”, grazie alla quale gli USA aprivano alla Gran Bretagna un credito illimitato e l’industria americana avviava una politica di affitto di materiali strategici e armamenti nei confronti di Londra. La legge fu estesa nel 1941 anche all’Unione Sovietica. La collaborazione anglo.americana andò ben oltre gli aspetti economici e nell’agosto 1941 Roosevelt e Churchill si incontrarono per la prima volta su una nave da guerra americana al largo di Terranova. La conferenza di Terranova si concluse con l’approvazione della “Carta dell’Atlantico”, documento dagli obiettivi piuttosto vaghi, che intendeva sottolineare la comunanza di vedute tra i due paesi, in contrapposizione alla Germania nazista. Più concreta fu la decisione di Roosevelt affinché le navi americane potessero ingaggiare combattimento contro i sottomarini tedeschi che avessero attaccato convogli britannici nell’oceano Atlantico. L’aggressione nipponica e il formarsi dell’alleanza anglo-americana Nonostante l’avvicinamento nipponico alla Germania e all’Italia, gli interessi giapponesi rimanevano ben lontani dalle vicende europee. L’impero giapponese era occupato già da qualche anno in una campagna militare a scapito della Cina, ma le truppe del Sol Levante non riuscirono mai a sconfiggere in maniera definitiva ne il governo nazionalista, ne le forze comuniste. Lo scoppio del conflitto in Europa diede al Giappone l’opportunità di espandersi a scapito dei territori asiatici controllati dalle potenze europee. Tokyo impose infatti al regime di Vichy la presenza di proprio truppe nel territorio dell’Indocina francese, facendo aumentare le preoccupazioni inglesi e americane. Importante fu la decisione di Roosevelt di imporre un embargo sulle esportazioni di materiali strategici e il blocco dei fondi giapponesi negli USA. Nonostante questo, si tennero aperti i negoziati tra i due paesi per risolvere le difficoltà nei rapporti. In realtà nel corso del 1941 i nipponici prese la decisione di dichiarare guerra agli Stati Uniti, e ai suoi alleati. I militari giapponesi pianificarono un attacco improvviso e senza una precedente dichiarazione di guerra contro la flotta americana di stanza alle Hawaii. il 7 dicembre 1941 gli aerei giapponesi colpirono le basi statunitensi delle Hawaii affondando numerose unità navali e distruggendo centinaia di aerei e facendo migliaia di vittime tra militari e civili. Il modo in cui il Giappone era entrato in guerra offrì a Roosevelt l’opportunità di unificare l’intera nazione di fronte all’aggressione immotivata. Nel giro di qualche giorno la Germania e l’Italia dichiararono guerra a loro volta agli Stati Uniti. In occasione di una nuova conferenza svoltasi a Washington tra Churchill e Roosevelt, oltre ad essere approvata una “dichiarazione delle Nazioni Unite”, venne deciso che la strategia anglo-americana si sarebbe basata sul principio Germany first. Si rafforzò il carattere ideologico del conflitto che vedeva opposto il nazifascismo alla democrazia; inoltre, gli Stati Uniti si trovarono chiamati in causa direttamente e con un ruolo centrale nell’obiettivo di liberare l’Europa; infine si strutturò una cooperazione strettissima per quanto riguardava la grand strategy che trovò espressione nella pianificazione strategica congiunta, nella creazione di un organismo, il CCS, che includeva i capi di stato maggiore americani e i rappresentati negli Stati Uniti dei capi di stato maggiore britannici, nonché nelle numerose conferenze tra Churchill e Roosevelt. Difficoltà alleate dal Pacifico al Nord Africa, all’Europa In Asia e nel Pacifico in pochi mesi, il Giappone conseguì una serie di vittorie nei confronti degli americani e degli inglesi. In Asia le truppe giapponesi occuparono Hong Kong, Singapore, la Malesia e la Birmania, arrivando a minacciare i confini dell’India e occupando l’Indonesia; mentre nel Pacifico vennero occupate le Filippine. Le forze giapponesi si avvicinarono all’Australia e alla Nuova Zelanda e anche le Hawaii sembravano essere minacciate. Nell’oceano Atlantico e nel Nord Africa la situazione si mostrava in larga misura sfavorevole ai britannici. Nell’Atlantico l’offensiva sottomarina ponea gli inglesi in enormi difficoltà; i sottomarini tedeschi riuscivano ad affondare a ritmo crescente i mercantili e mettevano in pericolo i rifornimenti necessari affinché le isole britanniche potessero resistere e proseguire il conflitto. Quanto al Nord Africa e al Medio Oriente, nella primavera del 1941 gli inglesi avevano dovuto fronteggiare un colpo di stato in Iraq guidato da un esponente nazionalista favorevole all’Asse, che venne però sconfitto. Nello stesso periodo i britannici occuparono la Siria e il Libano. Il conflitto vide scontrarsi unità fedeli a Vichy contro truppe di Francia Libera; lo scontro si concluse con la resa di Vichy, ma la scelta degli inglesi di controllare direttamente i territori occupati peggiorò ulteriormente le relazioni fra il governo britannico e de Gaulle. Va anche ricordato come l’URSS e la Gran Bretagna si sarebbero accordate per occupare militarmente l’Iran per evitare infiltrazioni tedesche, per mantenere il controllo delle risorse petrolifere e per aprire una via di comunicazione diretta con l’Unione Sovietica. La partita più importante si giocava comunque in Nord Africa e nel Mediterraneo. Centrale fu la possibilità per i due contendenti di rifornire le rispettive armate. Questo portò a una serie di operazioni navali che si svolsero con alterne fortune mentre l’Italia confermava tutti i suoi limiti sul piano logistico e industriale. Nel 1942 le divisioni italo-tedesche si spinsero oltre il confine egiziano e si trovarono a poche decine di chilometri da Alessandria d’Egitto e dal canale di Suez. Per ciò che riguarda il fronte orientale, i tedeschi decisero che la nuova offensiva si sarebbe concentrata lungo la parte meridionale del fronte avendo come obiettivo della conquista del Caucaso. In estate le corazzate tedesche penetrarono in profondità oltre le linee sovietiche arrivando alla città di Stalingrado. Nella parte centrale e settentrionale le truppe dell’Asse non progredivano. Nelle retrovie i sovietici cominciarono a formare unità partigiane sempre più efficaci. I sovietici imposero altri ostacoli alle forze hitleriane, come, per esempio, la scelta della “terra bruciata”. Anche dal punto di vista economico, l’URSS, seppe ricostruire parte della sua industria bellica al di là degli Urali. Nei territori occupati il regime hitleriano tese a costruire un “nuovo ordine”, che si basava su: sfruttamento economico; collaborazionismo diversificato a seconda della nazione e dell’affinità razziale con il popolo tedesco; anticomunismo; “soluzione finale”: sterminio sistematico di tutti gli ebrei, rom e altre categorie ritenute inferiori, dai malati mentali agli omosessuali. A Mosca e a Londra si cominciava a riflettere sul dopoguerra. Stalin chiarì fin da subito che l’Unione Sovietica si aspettava di mantenere i territori acquisiti tra il 1939 e il 1941. Inoltre esercitò pressioni affinché gli anglo-americani dessero avvio ad un “secondo fronte” in Europa per alleggerire il conflitto per l’Armata Rossa. Gli alleati anglo-americani si sbilanciarono promettendo l’apertura di un secondo fronte entro il 1941. Quanto alla Gran Bretagna, le autorità inglesi si preoccuparono di mantenere stretti rapporti con alcuni governi europei in esilio. In particolare le relazioni con le autorità jugoslave e greche rientravano nella visione di un rafforzamento inglese nel Mediterraneo. In questo contesto, l’Italia era un nemico perché nel decennio precedente aveva minacciato il ruolo imperiale della Gran Bretagna e perché la sua eliminazione avrebbe aperto a Londra l’opportunità di dominare il Mediterraneo. Gli USA, al contrario, non si preoccuparono degli equilibri postbellici. Le prime sconfitte dell’Asse e le ragioni della vittoria alleata Tra il 1942 e il 1943 una serie di vittorie dei grandi alleati cambiarono le sorti del conflitto. La prima battuta d’arresto fu quella subita dal Giappone nel giugno del 1942. In quel periodo, Tokyo aveva programmato l’occupazione delle isole Midway, attorno alle quali si sviluppò una battaglia aereo-navale che si concluse con la sconfitta del Giappone. La flotta giapponese fu costretta a ritirarsi e rinunciò allo sbarco nelle Midway. Da questo momento si susseguirono una serie di vittorie americane che diedero all’opinione pubblica americana che la guerra sarebbe stata vinta. Evento determinante per la campagna nordafricana fu la battaglia di El Alamein. Gli inglesi sconfissero le forze italo-tedesche. La vittoria inglese provocò la perdita definitiva di tutta la Libia. Agli inizi di novembre del 1942 truppe americane e britanniche sbarcarono in Marocco e in Algeria: le truppe dell’Asse furono ridotte a difendersi in territorio tunisino fino alla resa finale e alla conclusione della campagna africana nel maggio del 1943. Probabilmente, però, la battaglia più importante fu quella di Stalingrado. I tedeschi, impegnati nella conquista della città, vennero assediati dall’Armata Rossa e furono costretti ad arrendersi. I tedeschi si arresero e i sovietici fecero decine di migliaia di prigionieri. A partire da questo momento anche il fronte interno in Germania non poteva più sentirsi al sicuro dall’azione alleata. Nel corso del 1942 la Gran Bretagna avviò una campagna di bombardamenti sulla Germania e sulla Francia occupata per distruggere il potenziale industriale del nemico. A partire dal 1943 le azioni di bombardamento non avrebbero risparmiato le città tedesche, mietendo numerose vittime tra la popolazione civile. L’aviazione tedesca riuscì più volte a contrastare l’azione inglese, ma non ad arrecare altrettanti danni alle isole britanniche. La sconfitta italo-tedesca in Nord Africa Washington e Londra avevano concordato sull’obiettivo di considerare la Germania nazista come il nemico principale, e ciò implicava la necessità di sconfiggere i tedeschi in Europa. Questa scelta appariva coerente con la promessa fatta a Stalin sull’apertura del secondo fronte in Europa. Ma ben presto si manifestarono delle divergenze riguardanti i modi e i luoghi di apertura del secondo fronte. Le autorità americane sostenevano che fosse vitale uno sbarco in Francia, implicando però un’imponente operazione anfibia, che sarebbe partita dalla Gran Bretagna, e né gli inglesi, né gli americani avevano gli uomini e le risorse necessarie. Nel giugno del 1942 uno sbarco di proporzioni limitate si era risolto con una grave sconfitta. I capi militari inglesi erano favorevoli ad una serie di azioni limitate nell’area del Mediterraneo, per cui era necessaria, però, la vincita della campagna d’Africa. Questa impostazione era sostenuta con convinzione da Churchill e dal suo governo: essa avrebbe infatti condotto ad un rafforzamento delle posizioni inglesi nel Mediterraneo e nell’Europa meridionale. Washington finì con l’accettare le motivazioni inglesi e venne programmato lo sbarco delle truppe anglo-britanniche in Marocco e in Algeria (“operazione Torch”). L’operazione poneva però il problema dei rapporti con la Francia di Petain e con il movimento guidato da de Gaulle. Tra il 1940 e il 1942 gli USA non avevano interrotto i rapporti con VIchy, causando i malumori di de Gaulle, ma Roosevelt mostrava un totale disinteresse nei confronti del movimento gollista. Nel pianificare lo sbarco in Nord Africa, il cui comando venne affidato a Eisenhower, Washington partì dal presupposto che le truppe francesi avrebbero accolto gli americani come amici. Ciò nonostante era necessario un esponente militare francese che potesse fungere da garante delle loro buone intenzioni in Marocco e in Algeria. La scelta cadde sul generale Giraud, creando ulteriore irritazione in de Gaulle, che venne escluso dalla gestione dell’operazione. Quando le truppe alleate sbarcarono in Nord Africa dovettero affrontare la reazione ostile delle unità francesi. Eisenhower fece la scelta più ovvia: in quei giorni ad Algeri si trovava l’ammiraglio Darlan che decise di concludere un accordo con Eisenhower, in base al quale le truppe francesi avrebbero deposto le armi, ma gli uomini di Vichy sarebbero rimasti ai loro posti di responsabilità. L’intesa spianò la strada ad una rapida liberazione del Marocco e dell’Algeria, ma suscitò le ire di de Gaulle. Il passaggio del Marocco e dell’Algeria alla causa alleata spinse i tedeschi a occupare militarmente la Francia meridionale, pur lasciando Pétain al suo posto; venne occupata anche la Tunisia. Vichy divenne così il simbolo del “collaborazionismo”; inoltre crebbe la speranza della liberazione del paese e si ingrossavano le file dei movimenti di resistenza. In questo ambito la figura di de Gaulle finì con l’imporsi e nel 1943 il generale venne riconosciuto da tutti i movimenti di opposizione come il leader della Francia libera. De Gaulle inoltre fu in grado di acquisire il controllo sul Nord Africa nonché su un crescente numero di territori dell’impero i cui amministratori indirizzarono la loro lealtà alla Francia libera. La conferenza di Casablanca Con l’”operazione Torch” e la vittoria di El Alamein la campagna nordafricana subì una svolta. L’evoluzione della situazione militare nel teatro mediterraneo imponeva a Churchill e Roosevelt una valutazione sulle prossime scelte strategiche alleate. Tra il 14 e il 24 gennaio del 1943 i due leader si incontrarono a Casablanca. I leader affrontarono il tema della successiva iniziativa in campo militare; Churchill riuscì a convincere Roosevelt dell’impossibilità di aprire un secondo fronte in Francia per il 1943. Prevalse quindi la linea britannica che prevedeva la conquista del Mediterraneo. Questa strategia avrebbe significato una grande operazione anfibia in Sicilia (“operazione Husky”), che avrebbe implicato il controllo del Mditerraneo e il crollo dell’Italia con la sua uscita dal conflitto. In questa occasione Roosevelt avanzò l’idea di una dichiarazione da parte sua e di Churchill in base al quale gli alleati avrebbero accettato dalle potenze del patto tripartito solo una “resa senza condizioni” per dimostrare a Stalin la determinazione anglo-americana e che non vi era intenzione di giungere a una pace separata, abbandonando l’URSS. Churchill, al contrario, si rese conto che questa presa di posizione avrebbe tolto spazio di manovra agli USA e alla Gran Bretagna e espresse dubbi riguardo l’Italia. Al contrario riteneva utile mantenere un certo margine di manovra nei riguardi dell’Italia sperando in una sua rapida uscita dalla guerra. Ma la sua opinione non venne approvata dal gabinetto di Guerra. La dichiarazione venne quindi resa pubblica con la clausola della resa senza condizioni. L’invasione della Sicilia, la caduta del fascismo e l’armistizio italiano La preparazione dell’”operazione Husky” fu particolarmente complessa e risultò importante perché lo sbarco in Sicilia rappresentava la prima iniziativa sul continente europeo. Il territorio della Sicilia liberato sarebbe passato sotto il controllo di un’amministrazione militare anglo-americana (AMG). L’operazione sarebbe stata guidata da Eisenhower. In secondo luogo le autorità statunitensi ottennero che nell’AMG gli americani e gli inglesi avrebbero goduto di una equal partnership. Infine, Washington ottenne che la propaganda alleata nei confronti del popolo italiano si ispirasse alla necessità di offrire una speranza nel caso in cui gli italiani si fossero liberati di Mussolini. Quanto al governo britannico, egli restò legato alla visione secondo cui l’Italia dovesse essere fatta uscire dalla guerra grazie ad Husky e a bombardamenti massicci sulla penisola. Il 10 luglio 1943 decine di migliaia di soldati inglesi e americani mettevano piede sulle spiagge della Sicilia; gran parte delle truppe italiane si arresero mentre la popolazione locale accolse gli alleati come liberatori; la campagna si concluse nel volgere di qualche settimana con la vittoria alleata. La vittoria in Sicilia e il bombardamento di Roma rappresentarono un momento di svolta negli equilibri politici italiani. Parte delle autorità italiane ritennero che fosse arrivato il momento di liberarsi di Mussolini per giungere ad una pace separata. Il duce fu costretto a dimettersi e il giorno dopo il re ordinò l’arresto di Mussolini e nominò il maresciallo Badoglio alla guida di un governo che si presentava come una sorta di dittatura militare sostenuta dalla monarchia. Nei giorni successivi alla caduta del fascismo Churchill e Roosevelt si incontrarono a Québec; l’esito fu un esito volutamente ambiguo con il quale gli anglo-americani avrebbero deciso il loro atteggiamento verso l’Italia in base a ciò che quest’ultima avrebbe fatto per aiutare lo sforzo di guerra alleato. Si ritenne dunque che la soluzione possibile fosse la conclusione di un armistizio e non di una pace; inoltre vennero elaborati due testi, il “corto armistizio” che gli italiani avrebbero potuto accettare senza problemi, ma che li avrebbe legati alla sigla del “lungo armistizio”, più duro e simile a una resa senza condizioni, che per il momento rimase segreto. Nel frattempo le autorità italiane avviarono contatti segreti con gli alleati. L’esito della trattativa fu la firma del corto armistizio, senza che gli italiani venissero informati della data dei prossimi sbarchi nella penisola. Quando tra il 7 e l’8 settembre Badoglio e il re seppero dell’imminente sbarco alleato furono colti dalla sorpresa e dal panico. L’esercito venne abbandonato senza ordini, mentre il governo e la famiglia reale abbandonarono Roma per trasferirsi a Brindisi. La reazione tedesca du rapida ed efficace: gran parte delle forze italiane fu costretta alla resa e i militari furono inviati in Germania; dove vi fu una resistenza, i tedeschi massacrarono gli italiani. Mussolini venne liberato, portato in Germania dove annunciò la nascita nell’Italia settentrionale di un regime fascista repubblicano. Quanto agli anglo-americani, le sorti di una delle operazioni contro la penisola spinsero i militari italiani alleati a premere sul re e su Badoglio affinché l’Italia passasse al sostegno pieno allo sforzo alleato. Il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania, pochi giorni dopo la firma del lungo armistizio. Gli alleati riuscirono a liberare solo l’Italia meridionale e in autunno vennero bloccati lungo la "linea Gustav” tra Roma e Napoli. L’Italia venne così divisa in due, da un lato quella fascista repubblicana, dall’altro il regime legittimo del Regno del Sud. Prime discussioni sull’assetto postbellico Nel corso del 1943 le autorità inglesi e quelle americane cominciarono a discuteresia dei problemi territoriali posti dalle richieste di Stalin per il mantenimento dei territori acquisiti, sia delle future scelte strategiche di fondo nella conduzione delle operazioni militari. Significativi furono i colloqui che Eden ebbe a Washington e i due incontri tra Roosevelt e Churchill. Durante questi colloqui le autorità anglo-americane finirono con l’accettare che l’URSS avrebbe controllato gli stati baltici, la Bessarabia e il territorio polacco fino alla “linea Curzon”. Venne confermata la prospettiva dell’invasione della Francia meridionale per la tarda primavera del 1944. Si incominciò a discutere della creazione di un’organizzazione internazionale che nel dopoguerra assumesse il compito di garantire la pace e la sicurezza su scala mondiale. Questo progetto era centrale nella visione di Roosevelt. Il “grande disegno” r