Psicologia della memoria e dell'invecchiamento PDF - Riassunto
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Università degli Studi 'Gabriele D'Annunzio' di Chieti-Pescara
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Questo documento è un riassunto della psicologia della memoria autobiografica e dell'invecchiamento. Il riassunto copre la microstruttura e la macrostruttura della memoria, i ricordi involontari e altri concetti chiave. Ottimo per lo studio della memoria autobiografica e per prepararsi agli esami di psicologia cognitiva.
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LA MEMORIA AUTOBIOGRAFICA CAPITOLO 1: CHE COS’E’ LA MEMORIA AUTOBIOGRAFICA? La memoria autobiografica è la memoria per gli eventi della nostra vita. Si tratta di un insieme di ricordi personali o autoreferenziali che si distinguono dagli altri ricordi per la loro natura dinamica e attiva → rappresen...
LA MEMORIA AUTOBIOGRAFICA CAPITOLO 1: CHE COS’E’ LA MEMORIA AUTOBIOGRAFICA? La memoria autobiografica è la memoria per gli eventi della nostra vita. Si tratta di un insieme di ricordi personali o autoreferenziali che si distinguono dagli altri ricordi per la loro natura dinamica e attiva → rappresentano costruzioni o composizioni di conoscenze generali e specifiche che formano i ricordi della nostra vita. I ricordi personali costituiscono una tipologia di ricordo a sé stante. La classica organizzazione della memoria autobiografica (o microstruttura) prevede 3 livelli di specificità: un periodo della vita, un evento generale ed un evento specifico. - Il livello più generale viene definito come un periodo della propria vita (ad es. gli anni dell’università); → la conoscenza a questo livello comprende il punto di inizio e di partenza di un determinato periodo come pure le persone e gli eventi associati ad esso. - Livello generale → può comprendere eventi ripetuti o singoli, o sequenze tematiche di eventi (ad es. il primo giorno di lavoro). - Livello specifico → riguarda la conoscenza specifica sull’evento, che consiste nel recupero di una serie di dettagli che caratterizzano il ricordo del sé. La memoria autobiografica segue un ordine gerarchico in quanto gli eventi specifici formano gli eventi generali che, a loro volta, formano i periodi della nostra vita. Quindi: eventi specifici → eventi generali → periodi della nostra vita. Rievocare i dettagli specifici di un evento personale è, infatti, più difficile rispetto ad un evento generale. Accanto a questa microstruttura vi è una macrostruttura o “curva del ricordo autobiografico” → emerge quando viene chiesto ai soggetti di recuperare liberamente i ricordi della loro esistenza e di datarli. In tal caso, si osserva una curva del ricordo autobiografico che è legata al maggiore o minore ricordo degli eventi della nostra vita. La classica metodologia utilizzata per lo studio della memoria autobiografica, nei suoi aspetti micro- e macrostruttura, consiste nella presentazione di una serie di parole o fotografie in risposta alle quali viene chiesto di rievocare consapevolmente un ricordo personale. Memoria autobiografica involontaria ₌ avviene quando i ricordi emergono inconsapevolmente durante lo svolgimento delle attività quotidiane. Ricordi episodici ₌ si tratta di ricordi prevalentemente visivi che mantengono l’ordine temporale di accadimento, ma sono soggetti ad essere dimenticati molto facilmente. Essi sono, dunque, una serie di rappresentazioni semplici e complesse a breve termine, utili soprattutto nella gestione degli avvenimenti presenti. Memoria autobiografica ₌ sistema di memoria superiore che ingloba non sono questi aspetti specifici, ma anche conoscenze generali autobiografiche che permettono di legare tra loro i vari episodi. I ricordi episodici, se consapevolmente legati ed integrati ad un ricordo autobiografico, possono “resistere” anche più a lungo. Ricordi episodici → agiscono nel presente e soddisfano obiettivi momentanei; Ricordi autobiografici → contribuiscono al raggiungimento di obiettivi più significativi a lungo termine e mirano alla formazione e allo sviluppo della propria identità personale. 1.1. LA COMPONENTE COGNITIVA 1.1.1. La microstruttura della memoria autobiografica La microstruttura della memoria autobiografica è composta da 3 livelli: i periodi della vita (lifetime periods), gli eventi generali (general events) e le conoscenze specifiche di un evento (event specific knowledges). - Periodi della vita → fa riferimento a periodi estesi della nostra vita (anni o decadi) come “quando ero alle medie” e così via, ovvero periodi che rappresentano conoscenze generali sulle persone, sui luoghi e sulle attività legate ad un certo momento della nostra vita. Essi: possono avere un inizio e una fine; rappresentare un utile aggancio ai fini del recupero di un ricordo. Ciò significa che, scandendo temporalmente i nostri ricordi nei termini di una sorta di schema temporale proprio, riusciamo a recuperare molte altre informazioni. I periodi della vita: › rappresentano un livello astratto o generale di conoscenze autobiografiche, una sorta di contenitori di nuclei tematici legati appunto a determinati periodi della nostra vita; › possono contenere conoscenze generali su momenti significativi ad esso associati, incluse le aspettative, le valutazioni che vi sono collegate, e può dunque rappresentare cambiamenti significativi nella nostra vita; › possono essere anche connessi ad eventi multimediali, come il ricordo della canzone o della visione di quel film particolare. In tal caso, sentire una canzone o rivedere un film induce sentimenti positivi perché evoca un periodo piacevole della vita; › possono anche sovrapporsi tra loro quando si riferiscono ad un periodo cronologico comune. - Eventi generali → rappresentano un livello più specifico della conoscenza autobiografica e possono andare da 1 giorno a 1 mese. Essi: › prendono la forma di un breve riassunto o di un evento che si ripete, come le passeggiate di sera, o di eventi più estesi, come un avacanza; › una loro caratteristica è riferirsi a ricordi molto vividi di eventi legati al raggiungimento o al fallimento di un certo obiettivo; › sono organizzati in termini di dettagli distintivi contestualizzati che distinguono un evento generale da un altro, e che rappresentano anche il tema o i temi dell’evento generale. - Eventi specifici → si riferiscono alle immagini, ai sentimenti e ai dettagli di un evento generale e vanno da secondi ad ore. Essi: › rappresentano la conoscenza specifica dell’evento legata all’immaginazione e agli altri dettagli vivi del ricordo; › possono essere considerati come un insieme indifferenziato di caratteristiche che vengono attivate a seconda del tipo di informazioni fornite da un evento generale rievocato. La maggior parte delle persone che viene invitata a recuperare il dettaglio specifico di un evento generale richiama una o più immagini legate, ad asempio, ai particolari di un’azione di un evento generale. Si ipotizza che tali immagini rappresentino l’evidenza della natura analogica della conoscenza specifica dell’evento. E’ come se noi rivivessimo (reliving) l’esperienza con tutti i suoi dettagli. Questa conoscenza potrebbe essere considerata come un insieme di registrazioni on line (codifica) di dettagli qualitativi (ad es. percettivi, contestuali, emotivi, più semantici, ecc...) legati all’evento generale. Questi dettagli vengono mantenuti in memoria e poi recuperati se sono rilevanti all’interno di un evento generale. 1.1.2. La macrostruttura della memoria autobiografica E’ stato osservato che quando viene chiesto di ricordare liberamente una serie di eventi della propria vita e di datarli nel tempo, emerge una curva del ricordo distinta in 3 componenti principali: l’amnesia infantile, il balzo del ricordo, l’effetto di recenza. 1) L’amnesia infantile → si intende la difficoltà quasi totale di avere accesso e dunque recuperare gli eventi che sono accaduti nei primi anni di vita (da 0 a circa 5 anni). Sono state proposte varie interpretazioni di questo fenomeno: Freud: egli sostiene che l’amnesia infantile dipende da un meccanismo di repressione di eventi potenzialmente dannosi verificatisi durante questo periodo; Waldfogel: vede la possibilità di ricordare legata allo sviluppo delle abilità intellettive e in particolare delle abilità linguistiche, che permetterebbero ai ricordi di essere reiterati (ripetuti); Howe e Courage: secondo tali autori i bambini sono in grado di formarsi una conoscenza autobiografica solo a partire dai 2 anni, quando cioè diventano in grado di distinguere tra un “io” un “me” e un “tu”. E’ grazie allo sviluppo del sè cognitivo che i bambini diventerebbero capaci di organizzare i ricordi autoreferenziali. La difficoltà a recuperare eventi prima dei 5 anni riflette anche lo sviluppo non ancora completo dei lobi frontali, che quindi determinano l’impossibilità di utilizzare processi più controllati e consapevoli in grado di strutturare un ricordo autobiografico. Un'altra ipotesi individua nell’interazione sociale la spiegazione di una difficoltà a recuperare i ricordi dagli 0 ai 5 anni. In particolare, questa teoria sostiene che solo quando arriva a comprendere la funzione sociale dei ricordi (ad es. sviluppare una storia personale che può essere raccontata e tramandata) il bambino diventa capace di formare i ricordi personali. Secondo tale approccio lo scopo della formazione dei ricordi autobiografici è di condividere una storia. Conway: i ricordi dei bambini fino ai 5 anni sono legati a bisogni di base o motivazioni primarie come l’alimentazione e l’attaccamento che formano episodi specifici non organizzati, mentre all’aumentare dell’età e con lo sviluppo del sé, gli obiettivi principali cambiano e diventano maggiormente legati al sé e alla presenza di figure rilevanti. → La difficoltà risulterebbe da una diversa percezione dell’uso e delle finalità dei ricordi nel momento in cui ci viene chiesto di ricordare. 2) Il balzo del ricordo → tale espressione di riferisce ad una maggiore facilità di recupero e collocazione dei ricordi concernenti il periodo che va dai 10 fino ai 30 anni. Le conoscenze acquisite in tale periodo sono facilmente accessibili rispetto alle precedenti. Tra le teorie avanzate per spiegare il balzo del ricordo, vi sono: ▪ quella che sostiene che dietro questa componente si celi: › un effetto novità, in quanto in questo periodo si collocano le prime esperienze o, più in generale, si verifichino esperienze nuove e particolari che renderebbero i ricordi particolarmente salienti; › un effetto stabilità, legato al fatto che dopo il periodo adolescenziale entriamo in un’identità adulta stabile che fornisce una sorta di piattaforma resistente al passare del tempo su cui innestare i nostri ricordi. E’ anche vero che i ricordi che accadono durante questa fascia di età (riferendosi alle prime esperienze) sono quelli che vengono raccontati e quindi reiterati (ripetuti) di più. ▪ un’altra teoria vede il balzo del ricordo legato a momenti cruciali di sviluppo della nostra identità. Connessa a tale approccio vi è l’idea di 2 autori (Holmes e Conway) che hanno ulteriormente diviso il balzo del ricordo in 2 momenti distinti: uno che va dai 10 ai 20 anni, e l’altro che va dai 20 ai 30 anni. › Periodo dai 10 ai 20 anni → in tale periodo i ricordi sarebbero maggiormente legati allo sviluppo di un’identità sociale (generazione) e dunque al desiderio di appartenenza ad una determinata fascia di età con determinate caratteristiche (il cantante preferito, quell’evento pubblico importante, ecc...); › Periodo dai 20 ai 30 anni → si riferisce allo sviluppo dell’identità personale più intima e quindi riguarda episodi legati ad obiettivi emotivamente più salienti (ad es. relazioni, eventi privati, ecc..). Secondo gli autori, gli eventi che caratterizzano il balzo rappresentano esperienze di definizione del sé e dunque formano la parte più resistente della conoscenza autobiografica di base. 3) L’ effetto “recenza” → con tale espressione ci si riferisce al ricordo più vivido per gli eventi che sono accaduti di recente rispetto a quelli che sono avvenuti precedentemente, tenendo in considerazione l’età che abbiamo quando ci viene chiesto di ricordare. Tali eventi sono caratterizzati da una più alta probabilità di essere stati reiterati (ripetuti) nel presente e dunque vengono ricordati di più. Inoltre, si tratta di episodi che sono ancora legati ad obiettivi che un individuo sta perseguendo. 1.1.3. Ricordi autobiografici involontari Secondo alcuni autori i ricordi autobiografici possono essere distinti un 2 tipologie principali a seconda se siano recuperati: in maniera esplicita, consapevole (ricordi volontari); spontaneamente (involontari). Ricordo autobiografico involontario → ci riferiamo ai ricordi personali che possono emergere improvvisamente senza alcuno sforzo o tentativo esplicito di ricordare. Si tratta, dunque, di ricordi che emergono all’improvviso e possono rifersisi ad eventi, situazioni o esperienze passate: sono i ricordi che «ci strappano via dal presente per un momento». I ricordi autobiografici involontari: › emergono spesso in risposta ad indizi esterni improvvisi o in un momento di distrazione o durante attività quotidiane abituali (ad es. vestirsi, lavare i piatti, ecc...): vengono, dunque, recuperati più velocemente rispetto ai ricordi autobiografici volontari; › diversamente dai ricordi volontari, che dipendono da un recupero intenzionale guidato dal comportamento, il meccanismo di base dei ricordi involontari è l’associazione tra indizi presenti e passati senza necessità di reclutare processi di controllo: vengono dunque privilegiati gli eventi che posseggono una serie di caratteristiche a cui è possibile associare quelle della situazione corrente in modo automatico. Il recupero avanza attraverso un processo di sovrapposizione tra le caratteristiche distintive dell’evento presente e quelle dell’evento passato. Oltre al fattore distintività, un episodio potrà riemergere spontaneamente anche in base: - alla frequenza con la quale viene reiterato; - al suo carico emotivo; - all’ordine di accadimento (ad es. è accaduto pochi giorni fa); - agli obiettivi; - alle preoccupazioni presenti. Anche i ricordi autobiografici involontari possono avere diversi livelli di specificità: ▪ la maggior parte dei ricordi si riferisce ad eventi specifici in quanto emergono grazie ad indizi specifici presenti nell’ambiente; ▪ alcuni possono essere più specifici e riferirsi ad un solo episodio, altri più generali e riferirsi ad eventi che hanno avuto una durata più lunga di un giorno. Questi ricordi generali possono: essere di un solo evento ripetuto nel tempo; riferirsi ad eventi estesi nel tempo con una durata maggiore di 1 giorno e il ricordo è del viaggio intero, non di un giorno specifico. Vi è un numero uguale di ricordi positivi e negati che possono emergere involontariamente o comunque ricordi associati ad esperienze inusuali. Uno studio ha evidenziato come i ricordi involontaro condividano con quelli volontari le preoccupazioni presenti, sottolineando come anche i ricordi involontari siano influenzanti dalle situazioni che un individuo vive, e, soprattutto, dagli obiettivi che cerca di raggiungere o abbandonare in itinere. 1.1.4. Il modello della memoria autobiografica a sistemi multipli Due autori hanno sviluppato un modello teorico a sistemi multipli → in cui la memoria autobiografica viene vista come il prodotto di una serie di processi che si verificano in sistemi separati e definiti sia dal punto di vista comportamentale sia da quello neurale. In particolare, un ricordo autobiografico complesso richiede un sistema di memoria integrativo, almeno un tipo di immaginazione specifica per modalità (di solito quella visiva, ma anche spaziale e sensoriale di vario genere), il linguaggio, la narrazione e le emozioni. La rievocazione di un ricordo autobiografico è, dunque, distribuita sullo spazio di tutta la corteccia cerebrale. L’elemento distintivo che accompagna il recupero di un ricordo autobiografico è, secondo gli autori, il senso di rivivere l’esperienza in maniera consapevole (reliving o recollection) come pure la credenza che l’evento sia realmente accaduto. Sempre gli stessi autori hanno costruito un questionario della memoria autobiografica → che aiuta a capire e a descrivere le diverse componenti che costituiscono un ricordo personale. La componente più importante è l’immaginazione visiva. Il recupero di un’immagine visiva ci permette di distinguere eventi che sono ricordati da informazioni semplicemente conosciute. L’esperienza di recuperare un ricordo autobiografico coincide con il recupero dell’immagine visiva corrispondente: le persone tendono a riportare o a rivivere l’evento solo se hanno un’immagine visiva di esso. Infatti, un danno all’immaginazione visiva sembra corrispondere ad un danno nella memoria autobiografica. L’immaginazione visiva può essere suddivisa in 2 sistemi: - sistema che riguarda l’oggetto; - sistema che riguarda lo spazio. Per distinguere l’immaginazione visiva da quella uditiva, si può chiedere se il ricordo può essere “sentito” nella mente. I ricordi autobiografici, infatti, spesso contengono elementi sonori e linguistici. Infine, è chiaro che le emozioni giocano un ruolo fondamentale nei ricordi autobiografici. In questo caso, è importante capire se le emozioni associate all’evento originale possano essere rivissute. 1.2. A CHE COSA SERVE LA MEMORIA AUTOBIOGRAFICA? La funzione della memoria autobiografica (non agentiva) è → permettere agli individui di ricordare in maniera consapevole singoli episodi della vita passata, pensieri e azioni. Successivamente, possiamo decidere di abbandonare il ricordo e rimandarlo nella memoria a lungo termine o utilizzarlo in qualche modo (funzione agentiva). La funzione è sia: ▪ intrapersonale, in quanto può essere considerata un deposito delle nostre esperienze di vita e di tutte quelle informazione che riguardano la sfera del sé (carattere, personalità, atteggiamenti, ecc...); ▪ interpersonale, in quanto costituisce un mezzo importante di interazione sociale. Le funzioni della memoria autobiografica possono essere riassunte in 3 principali categorie: la funzione del sé, la funzione sociale e la funzione direttiva. Quando recuperiamo un ricordo, queste funzioni possono intrecciarsi tra loro → per questo motivo è importante considerare la possibilità di sovrapposizione e non la mutua esclusione tra le diverse funzioni. 1.2.1. La funzione del sé La conoscenza di sé stessi nel passato e di sé stessi proiettati nel futuro viene considerata come una delle funzioni principali della memoria autobiografica. Molti approcci teorici enfatizzano la funzione della memoria autobiografica proprio nella continuità del sé dal passato al futuro, sottolinenando l’importanza psicologica ed emotiva che il ricordare riveste per il sé. Altri approcci evidenziano come una conoscenza autobiografica adeguata sia quella che supporta e promuove la continuità e lo sviluppo del sé. Una funzione del ricordo del passato personale è quella di preservare il senso di essere una persona coerente nel tempo: › alcuni autori hanno descritto come questo senso di coerenza nel tempo si sviluppi nei bambini e continui nella tarda adolescenza; › altri autori hanno sottolineato come questa continuità del sé nell’età adulta venga mantenuta dalla relazione interdipendente tra il sé e la memoria autobiografica. La conoscenza autobiografica può essere molto importante in condizioni avverse in cui si richieda un cambiamento. Inoltre, le funzioni del sé come la regolazione emotiva, la conservazione e il miglioramento del concetto di sé, sono state considerate come aspetti dell’autoregolazione, mettendo dunque in relazione il ricordo autobiografico con i processi emotivi. 1.2.2. La funzione sociale La condivisione dei ricordi personali rende la conversazione più vera, quindi più credibile e persuasiva e, di conseguenza offre una via per insegnare e informare. La memoria autobiografica ci permette anche di comprendere gli altri ed entrare in sintonia con loro. L’importanza della memoria autobiografica nello sviluppo, mantenimento e rafforzamento dei legami sociali è stata sottolineata ripetutamente ed è stata spesso legata al suo ruolo adattivo. Quando il ricordo è danneggiato, infatti, le relazioni sociali possono risentirne, e questo evidenzia l’importanza della memoria autobiografica per i legami sociali. Condividere i ricordi personali con: qualcuno che non era presente al momento dell’accaduto introduce chi ascolta nel mondo di colui che racconta; con qualcuno che era presente serve per rafforzare il legame o l’intimità tra persone. 1.2.3. La funzione direttiva E’ l’uso del passato per prendere decisioni e pianificare nel presente e nel futuro. La memoria autobiografica ci permette di porci domande nuove su questioni vecchie allo scopo di risolvere problemi correnti e di predire eventi futuri. Una funzione potenziale che può essere considerata sia direttiva che sociale è quella di usare il proprio passato per costruire modelli che ci consentano di capire l’interiorità degli altri e, dunque, di predire il loro comportamento. 1.2.4. Le funzioni dei ricordi involontari Vi sono 2 funzioni principali dei ricordi involontari: 1° funzione: riguarda la loro capacità di favorire un riesame del nostro passato, di promuovere un senso di continuità e di guardare al futuro; 2° funzione: è quella direttiva. I ricordi involontari sono particolarmente utili: - nel guidare il comportamento presente e futuro in situazioni nuove e inaspettate; - quando abbiamo bisogno di attingere velocemente al passato per capire come procedere. 1.3. LA COMPONENTE EMOTIVO-MOTIVAZIONALE Conway:ha evidenziato, in uno studio sulla dimensione emotiva della memoria autobiografica, come le parole con valenza emotiva forniscano indizi più utili rispetto alle parole neutre. Una delle spiegazioni principali è che le “parole emotive” hanno maggiori probabilità di far affiorare nel soggetto che ricorda le stesse emozioni provate al tempo dell’evento. Talarico, LaBar e Rubin: hanno cercato di capire se il ricordo autobiografico venga influenzato maggiormente dalla valenza emotiva e/o dall’intensità dell’emozione. Gli autori hanno trovato che è soprattutto l’intensità emotiva a predire le proprietà del ricordo, in quanto gli eventi emotivamente intensi vengono ricordati più a lungo e presentano caratteristiche più vivide. Eventi che hanno dunque un’alta intensità emotiva e risultano molto rilevanti sul piano personale possono aiutare a mantenere integra la propria storia, formando punti di riferimento per l’organizzazione di eventi anche meno distintivi. Schulkind e Woldorf: hanno riscontrato che la valenza influenza il ricordo più dell’intensità. La valenza è una dimensione prevalente che attraversa in modo perpendicolare tutta la microstruttura (eventi specifici-eventi generali-periodi della nostra vita) della memoria autobiografica. Questo studio è importante anche perché ha rivelato come la macrostruttura (l’amnesia infantile, il balzo del ricordo, l’effetto di recenza) della memoria autobiografica non cambi in funzione delle emozioni. Per quanto riguarda la componente di natura più strettamente motivazionale, alcuni studiosi sostengono che la memoria autobiografica rappresenti un insieme di ricordi “motivati”, ossia legati ai nostri successi e fallimenti. In questo contesto, la memoria autobiografica viene vista come: ▪ recupero di eventi personali; ▪ processo dinamico di autoregolazione: gli eventi, i posti, le persone che gli individui decidono di ricordare sono legati al raggiungimento di un certo obiettivo. La letteratura evidenzia come siamo in grado di riportare ricordi molto dettagliati di momenti critici se questi hanno portato alla soluzione di problemi che la vita ci presentava: essi sono i più memorabili anche perché rappresentano dei momenti di definizione del sé. I ricordi associati: › ai sentimenti di felicità e orgoglio sono fortemente legati al raggiungimento degli obiettivi; › alla tristezza o alla rabbia sono legati al fallimento. Singer e Salovey: ogni individuo porta con sé una serie di ricordi di autodefinizione che conserva la conoscenza dei progressi per il raggiungimento di obiettivi a lungo termine. Gli obiettivi come l’indipendenza, l’intimità, l’apprendimento, vengono adottati di volta in volta e plasmano la nostra memoria. Se i ricordi dell’infanzia sono legati al desiderio di essere aiutati, amati e riconosciuti dai genitori, quelli dell’età adulta sono connessi all’amore reciproco, all’aiuto verso gli altri, all’indipendenza. La valenza dei ricordi autobiografici cambia in funzione del loro scopo. Ad esempio: - la funzione direttiva sembra essere maggiormente dominata dalle emozioni negative; - la funzione del sé e la funzione sociale sembrano essere dominate dalle emozioni positive. Gli ultimi modelli teorici della memoria autobiografica sottolineano l’importanza sia della componente cognitiva che di quella motivazionale, postulando una relazione molto stretta tra: - il cosiddetto working self (il sé che lavora per sé), ovvero per gli obiettivi che ci poniamo; - la conoscenza autobiografica di base. 1.3.1. Ricordi autobiografici sommari Ricordi autobiografici sommari o sovragenerali (over-general memories, OGM) ₌ sono ricordi privi di dettagli o che si fermano a categorie generali, come, ad esempio, andare a cena al ristorante, uscire per una passeggiata, ecc..., che si manifestano quando viene richiesto esplicitamente di recuperare un evento specifico. Una speigazione teorica dei ricordi autobiografici sommari risiede nel concettualizzare la memoria come un sistema gerarchico di: categorie generali di ricordi (ad es. andare al supermercato); descrizioni parziali o ricordi intermedi all’interno di ogni categoria (ad es. l’ultima volta che sono andato al supermercato); di ricordi specifici. Quando i soggetti con OGM devono recuperare un evento passano attraverso il livello generale, arrivano alla descrizione parziale, ma poi si fermano. Williams: secondo tale autore, il tentativo di regolare i propri stati emotivi negativi contribuisce alla generazione di uno stile di ricordo sommario. Questo stile infatti aiuta a tenere lontani i ricordi dolorosi e le emozioni ad essi legate. I bambini tenderebbero a ricordare in maniera sommaria perché non hanno le capacità cognitive necessarie per recuperare ricordi autobiografici specifici. Tuttavia, i bambini traumatizzati continuano ad utilizzare uno stile sommario anche se le loro abilità cognitive migliorano, al fine di allontanare le emozioni negative legate a quel ricordo. Un’ altra ragione della preponderanza di ricordi autobiografici sommari nei pazienti sembra risiedere anche in un danno alle funzioni esecutive e alla memoria di lavoro. Quando si chiede loro di generare ricordi specifici in risposta a degli indizi, essi tendono a dimenticare le consegne durante l’esecuzione del compito. Quando, dunque, durante il compito, viene ripetuta la consegna di generare ricordi specifici, il numero di OGM diminuisce. CAPITOLO 2: TECNICHE DI INDAGINE DELLA MEMORIA AUTOBIOGRAFICA Il primo studioso ad occuparsi di memoria autobiografica fu Sir Francis Galton che già nel 1883 elaborò una tecnica per cercare di capire in che modo le persone ricordavano gli eventi del proprio passato. Galton presentava ai volontari che partecipavano ai suoi esperimenti una parola che fungeva da cue (indizio, aiuto) e invitava poi queste persone a ricordare un’esperienza personale legata a tale parola: in seguito tali ricordi venivano classificati dallo sperimentatore sulla base di una serie di caratteristiche come la vividezza dei dettali riportati. Ad oggi, tale tecnica viene denominata “metodo classico Galton- Crovitz”. Tale tecnica presenta però una serie di limiti evidenti, primo fra tutti la grande libertà che viene concessa ai soggetti sperimentali che spesso li porta a rievocare eventi relativi a momenti decisamente insoliti della loro vita. Tuttavia tale procedura ha rappresentato il 1° tentativo importante di studio sistematico dei ricordi personali e molti ricercatori la considerano, per certi aspetti, ancora valida. 2.1. LE ANNOTAZIONI DIARIE Uno dei problemi maggiori della tecnica Galton-Crovitz è legato al fatto che non è possibile stimare l’accuratezza delle rievocazioni. Tale ostacolo può essere aggirato se le domande fatte dallo sperimentatore riguardano annotazioni riportate su diari appositamente compilati. La rievocazione delle annotazioni diarie fu testata da Linton su sé stesso: lo studioso riportava ogni 2 giorni 2 eventi su un diario e di seguito testava la capacità di rievocare tali eventi in maniera più o meno dettagliata a distanza di intervalli temporali variabili. Questa tecnica, però, fu criticata in quanto sui diari erano di solito riportati eventi particolari o anomali occorsi nei 2 giorni precedenti, che risultavano più facili da recuperare rispetto agli eventi ordinari meno salienti. Sulla scia dello sviluppo di tecniche di annotazione diaria, ci sono stati ulteriori tentativi di studiare la memoria autobiografica in laboratorio. La cosiddetta “agenda della memoria autobiografica” ne rappresenta un esempio importante. Agenda della memoria autobiografica: tale procedura fu ideata da Kopelman, Wilson e Baddeley con lo scopo iniziale di chiarire la natura dei deficit di memoria per gli eventi personali nei pazienti amnesici, ma è stata poi ampiamente utilizzata dai ricercatori: ai partecipanti venivano poste domande legate ad eventi riconducibili a diversi momenti della vita personale. In questo modo era possibile delimitare i ricordi personali a determinati periodi ed operare un confronto tra i diversi gruppi di partecipanti. Dritschel e collab.: hanno modificato leggermente questo paradigma chiedendo ai partecipanti al loro studio di rievocare il maggior numero possibile di ricordi che appartenevano ad una categoria molto specifica. Tali categorie potevano: - essere puramente episodiche (ad es., tutti gli eventi ricordati negli anni prescolari...); - essere puramente semantiche (ad es., nomi di animali...); - avere una valenza sia episodica che semantica (ad es. nomi di compagni della scuola media...). Sulle risposte veniva condotta un’analisi che permetteva di verificare in che modo le diverse categorie fossero tra loro legate e i risultati hanno mostrato come le domande di memoria autobiografica potessero essere ulteriormente divise in ricordo di eventi e ricordo di persone. 2.2.1. Datare gli eventi autobiografici Per parlare di memoria autobiografica le persone di solito si aiutano analizzando alcuni elementi percettivi del ricordo e mettendoli in relazione con altri fattori quali le informazioni stagionali (es. “mi ricordo che stava nevicando, quindi era inverno”) o contestuali (“es. mi ricordo che c’era il rumore del treno, quindi era durante un viaggio”). E’ possibile migliorare la capacità di datazione utilizzando come punto di riferimento alcuni eventi pubblici particolarmente rilevanti e di grande risonanza. E’ importante sottolineare che gli eventi che si ripetono con una certa frequenza tendono ad essere dimenticati e datati male. 2.2. LE NEUROIMMAGINI Il numero di studi di neuroimmagine che si sono occupati della memoria autobiografica è aumentano incredibilmente negli ultimi anni e i risultati di questi lavori hanno permesso di indagare alcuni aspetti del processo di recupero dei ricordi che difficilmente potevano essere esaminati attraverso gli studi “classici” sulla memoria condotti in laboratorio: ▪ innanzitutto, gli studi sulla memoria autobiografica hanno consentito di comprendere la comlessa natura del recupero dei ricordi autobiografici; ▪ in secondo luogo, gli studi sulla memoria autobiografica hanno permesso di studiare meglio alcune qualità come la componente emotiva o la vividezza dei ricordi, cosa molto difficile da fare con i classici esperimenti di laboratorio; ▪ infine, gli studi sui ricordi autobiografici hanno permesso di chiarire meglio i processi che portano al recupero di ricordi remoti e lontani nel tempo. 2.2.1. Studiare la memoria autobiografica attraverso le neuroimmagini Nel metodo dei cue o indizi generici i ricordi autobiografici sono generati da alcune parole. › I ricordi elicitati dai cue tendono ad essere “freschi” e inaspettati ed hanno un natura che risulta essere di matrice più episodica rispetto ai ricordi che sono stati rievocati più volte in passato. Applicare dei vincoli agli eventi da ricordate o usare dei cue che tendono ad elicitare ricordi che abbiano una certa valenza emotivca sono stratagemmi che possono servire a far generare una serie di ricordi che appartengono ad una classe specifica. › Nel metodo dell’ intervista pre-scan i ricordi autobiografici sono elicitati da cue che fanno riferimento ad eventi specifici. Questi cue sono raccolti durante un’intervista, condotta prima dell’acquisizione dell’attività cerebrale, nella quale i partecipanti generano ricordi che in seguito valutano sulla base di una serie di parametri. I cue da usare durante l’acquisizione dell’attività cerebrale possono essere selezionati dagli sperimentatori usando i punteggi assegnati durante l’intervista. Lo svantaggio più evidente di questo metodo è che la 1° rievocazione, messa in atto durante l’intervista, può alterare la genuinità fenomenologica del processo di rievocazione che viene messo in atto durante l’acquisizione dell’attività cerebrale. Questo problema può essere in parte attenuato se si interpone un intervallo di tempo sufficientemente lungo tra l’intervista pre-scan e la sessione sperimentale vera e propria. › Nel metodo della fonte indipendente i cue sono prodotti da parenti o amici dei partecipanti. Questo metodo combina i vantaggi dei due descritti in precedenza, ma ha un evidente limite: i partecipanti potrebbero ricordare in modo diverso gli eventi citati dai loro cari o potrebbero non ricordarli affatto. › Nel metodo della prospettiva, ai partecipanti viene chiesto di tenere una traccia scritta degli eventi salienti che occorrono nei giorni che precedono l’acquisizione dell’attività cerebrale. Questi brevi diari vengono poi usati dagli sperimentatori per selezionare una serie di cue da usare durante la sessione sperimentale vera e propria. Il vantaggio più evidente di questo metodo è che rende possibile verificare l’accuratezza dei ricordi riportati dai partecipanti; tuttavia il metodo della prospettiva non permette di studiare la rievocazione di ricordi legati a eventi non troppo recenti e che appartengono al passato remoto dei partecipanti. Tabella 2 Vantaggi (+) e svantaggi (-) dei metodi usati negli studi di neuroimmagine Cue generici + I ricordi non sono stati rievocati di recente + Può essere studiato il processo di ricerca in memoria - E’ difficile definire le caratteristiche dei ricordi da rievocare - Non si può controllare l’accuratezza dei ricordi Intervista pre-scan + Si possono definire le caratteristiche dei ricordi da rievocare - La prima rievocazione può influenzare quella sperimentale - Non si può controllare l’accuratezza dei ricordi Fonte indipendente + Si possono definire le caratteristiche dei ricordi da rievocare + La rievocazione sperimentale non è influenzata da nulla - Dissonanze tra i ricordi della fonte e quelli del soggetto - Non si può controllare l’accuratezza dei ricordi Prospettiva + Si possono definire la caratteristiche dei ricordi da rievocare + E’ possibile controllare l’accuratezza dei ricordi - Interferenza con i normali processi di codifica - E’ impossibile studiare la rievocazione di eventi remoti 2.3. LA NEUROANATOMIA FUNZIONALE Rievocare un ricordo autobiografico è un compito cognitivamente impegnativo che porta le persone a rivivere, almeno parzialmente, l’evento rievocato con la conseguente riattivazione di particolari stati emotivi e di caratteristiche sensoriali, spaziali, temporali del contesto dell’evento in questione. La natura multimodale dei ricordi autobiografici da sì che, durante la rievocazione di questi, siano attivate diverse aree cerebrali che costituiscono una rete estremamente complessa. In un lavoro di meta-analisi alcuni autori hanno osservato che nella maggior parte degli studi da loro esaminati si registrava l’attivazione: - della corteccia prefrontale mediale e ventrolaterale; - della corteccia temporale laterale e mediale; - della giunzione temporo-parietale; - della corteccia cingolata posteriore. Tali regioni sono state identificate come il nucleo della rete di strutture cerebrali preposte al recupero di ricordi autobiografici. Altre regioni risultavano essere attive solo in una parte dei lavori sperimentali inclusi nella met-analisi e sono state definite regioni secondarie dellaa rete associata alla memoria autobiografica: - corteccia prefrontale dorsolaterale; - corteccia mediale superiore; - corteccia cingolata anteriore; - corteccia orbito-frontale e mediale; - talamo; - amigdala. Le regioni terziarie si chiamamo così perché ad esse si fa riferimento solo in alcuni studi e sono ad esempio: - corteccia motoria; - giro fusiforme; - corteccia temporale laterale superiore e inferiore; - insula; - gangli della base. 2.3.1. La corteccia prefrontale ventromediale In uno dei primi studi di neuroimaging funzionale sulla memoria umana condotto da Tulving usando la PET (tomografia ad emissione di positroni) fu registratp un aumento del flusso ematico nei lobi frontali in risposta alla richiesta da parte degli sperimentatori di pensare ad eventi che erano stati vissuti in prima persona. Tulving ipotizzò che questa attivazione fosse legata al fatto che i partecipanti allo studio rivivevano nella loro mente l’evento ricordato; tale ipotesi successivamente è stata confermata. Nella maggior parte di questi studi, l’attivazione sembra essere lateralizzata a sinistra e solo in alcuni casi si registrano attività a carico dell’emisfero destro. L’attivazione della corteccia prefrontale ventrolaterale è stata associata alla: ricerca delle tracce mnestiche e al recupero strategico; verifica e selezione delle informazioni provenienti dalle aree associative posteriori. Questa porzione di corteccia si attiva quando alle persone viene chiesto di mantenere attivi e disponibili i risultati di una ricerca condotta nella memoria a lungo termine. La lateralizzazione è dovuta alla natura del materiale utilizzato nei vari studi: › l’emisfero sinistro si attiva maggiormente quando vengono utilizzati cue linguistici; › l’emisfero destro si attiva maggiormente quando viene chiesto di rievocare immagini. In alcune ricerche è stata registrata, in aggiunta all’attivazione della corteccia prefrontale ventrolaterale, anche quella di aree di aree secondarie (es. corteccia prefrontale dorsolaterale, corteccia mediale superiore e corteccia cingolata anteriore). Un autore (Gilboa) ha ipotizzato che l’attivazione di tali regioni encefaliche, legata alla natura artificiosa e più “da laboratorio” di alcuni stimoli, dipenda dal fatto che tali stimoli: - sono poco rilevanti a livello autobiografico; - richiedono una maggiore attività di monitoraggio per poter essrre correttamente superati. La corteccia orbito-frontale è strettamente interconnessa con i lobi temporali mediali ed è stato dimostrato che danni a questa regione possono compromettere il processo di riconoscimento, andando quindi ad interferire immediatamente sulla rievocazione di eventi autobiografici. 2.3.2. La corteccia prefrontale mediale e l’elaborazione del sé La conoscenza di sé è una delle funzioni principali della memoria autobiografica. Tale conoscenza è fondamentale per la funzione sociale e direttiva, a tal punto che si arrivò ad ipotizzare che essa organizzi processi legati ai sistemi di memoria di livello più elementare. Alcuni studi recenti incentrati sulla conoscenza di sé hanno registrato una serie di attivazioni nelle regioni frontali mediali quando veniva manipolata l’elaborazione autoreferenziale riguardante la percezione della propria attività mentale. Altri studi di neuroimmagine sulla teoria della mente hanno descritto un’evidente attivazione della corteccia prefrontale mediale. Gli studi sull’elaborazione autoreferenziale di solito si focalizzano sulla conoscenza (di natura semantica) che le persone hanno riguardo a sé stessi e alle proprie caratteristiche individuali, mentre i paradigmi classici usati per studiare la memoria autobiografica enfatizzano la rievocazione di episodi. Rievocare un episodio specifico, tuttavia, fa sì che automaticamente venga elaborato anche lo stato eotivo che si viveva in quel momento: ma l’attivazione delle aree prefrontali mediali è da attribuire a processi che coinvolgono la memoria episodica o piuttosto a processi di analisi semantica autoreferenziae? Per rispondere a tale domanda è opportuno analizzare i risultati di studi che hanno utilizzato sia compiti che facevano riferimento alla componente episodica, sia compiti che facevano riferimento alla componente semantica e autoreferenziale della memoria autobiografica. I dati di questi lavori indicano che l’attivazione prefrontrale mediale era significativamente più forte nei compiti che facevano riferimento alla componente episodica della memoria autobiografica, rispetto ai compiti che facevano riferimento alla componente autoreferenziale. Gli autori hanno interpretato questo dato ipotizzando che la corteccia prefrontale mediale sia deputata all’analisi episodica. 2.3.3. Il lobo temporale mediale La regione del lobo temporale mediale comprende: la circonvoluzione paraippocampale; l’ippocampo. In buona parte dei lavori sperimentali in cui non vengono registrate attivazioni a caarico della regione del lobo temporale mediale viene usato come compito di controllo un periodo di riposo, durante il quale i partecipanti all’esperimento restano fermi e sono liberi di pensare quello che vogliono. Tuttavia i risultati di alcune ricerche riportano che il lobo temporale mediale si attiva anche durante i periodi di riposo: ciò porterebbe alla mancata registrazione di effetti rilevanti legati a compiti di memoria autobiografica, dal momento che l’analisi dei dati fMRI prevede che l’attività elicitata dal compito sperimentale venga sottratta da quella generata dal compito di controllo. Un’altra questione spinosa riguarda la lateralizzazione dell’attivazione del lobo temporale mediale: nella maggior parte degli studi sui ricordi autobiografici, infatti, tale attivazione è lateralizzata a sinistra, ma in alcuni lavori si registra una lateralizzazione dell’attivazione a destra. Un autore (Maguire) ha ipotizzato che questa asimmetria nell’attivazione elicitata da compiti di memoria autobiografica possa essere legata alla natura degli stimoli: - l’ippocampo sinistro sarebbe maggiormente attivato dalla rievocazione di dettagli legati al contesto; - l’ippocampo destro si attiverebbe per la rievocazione di stimoli che richiedono una maggiore elaborazione spaziale. 2.3.4. L’età di un ricordo e l’attivazione del lobo temporale mediale Molte teorie ipotizzano che l’ippocampo e le altre strutture che compongono il lobo temporale mediale siano responsabili della formazione dei ricordi episodici. - I modelli classici sul consolidamento dei ricordi suggeriscono che: › solo la rievocazione dei ricordi più recenti dipenda dalle strutture ippocampali; › l’accesso ai ricordi remoti (quindi più “vecchi”) avvenga direttamente attraverso la neocorteccia. - I modelli più recenti sul consolidamento dei ricordi, sostengono che le diverse rappresentazioni parziali presenti sulla neocroteccia devono essere comunque legate assieme dal complesso ippocampale al fine di formare una traccia mnestica vera e propria e di senso compiuto. → L’ippocampo, quindi, ricoprirebbe un ruolo di notevole importanza anche nel recupero di ricordi episodici e autobiografici di lunga data, in quanto avrebbe la funzione di indicizzare e legare tra loro in modo coerente le informazioni più dettagliate presenti in diverse parti della neocorteccia. Nel corso degli anni sono stati condotti diversi studi di neuroimmagine sulla memoria autobiografica al fine di verificaere il ruolo dell’ippocampo nella rievocazione di ricordi nuovi e datati. I risultati di tali lavori, tuttavia, non sono uniformi: ▪ in alcuni studi è stata registrata un’attivazione dell’ippocampo simile per la rievocazione di episodi recenti e per quella di episodi meno recenti; ▪ in altri lavori è stata registrata un’attivazione maggiore dell’ippocampo e delle strutture del lobo temporale mediale per la rievocazione di ricordi autobiografici recenti rispetto a quella di ricordi autobiografici maggiormente datati. Le differenze registrate tra i risultati di questi studi potrebbero dipendere da alcuni fattori non considerati dagli sperimentatori. Ad esempio, degli autori (Johnson e collab.) hanno dimostrato che la rievocazione di eventi più recenti tende ad essere più dettagliata, vivida ed emotivamente rilevante rispetto alla rievocazione di eventi meno recenti. Questi elementi potrebbero influenzare il pattern di attivazione cerebrale andando a interferire con l’effetto dell’età del ricordo. Alcuni dati sperimentali suggeriscono che la modulazione dell’attivazione in funzione dell’età dei ricordi rievocati sia esclusivamente a carico dell’ippocampo destro; inoltre, un autore (Gilboa) ha osservato che: → la rievocazione di ricordi autobiografici recenti sembra attivare la porzione anteriore dell’ippocampo; → la rievocazione di ricordi autobiografici meno recenti attiva la porzione posteriore dell’ippocampo. 2.3.5. La corteccia temporale laterale Studi condotti su pazienti che avevano subito danni alla corteccia temporale laterale (a destra o a sinistra) hanno rilevato che queste persone mostrano deficit selettivi nella memoria semantica (ad es. non riconoscono i personaggi famosi). In accordo con questi dati, diversi lavori di neuroimaging hanno evidenziato un’attivazione del giro temporale mediale in risposta ad un gran numero di compiti di natura semaptica. L’importanza della memoria semantica nel processo di rievocazione di ricordi autobiografici è sottolineata da diverse ricerche che descrivono l’attivazione del giro temporale mediale e del giro temporale superiore ed inferiore. Inoltre, degli utori (Maguire, Mummery e Buchel) hanno registrato l’attivazione della corteccia temporale laterale quando ai partecipanti veniva chiesto di rievocare ricordi autobiografici con forte valenza semantica. 2.3.6. La componente episodica e semantica della memoria autobiografica Secondo Tulving recuperare un ricordo che ha una natura prettamente episodica richiede la capacità di: collocare sé stessi correttamente nel tempo; spostarsi con la mente nel tempo; tali processi non sono necessari se si vuole rievocare una nozione che abbia una valenza puramente semantica. Un gran numero di ricerche sulla memoria autobiografica, nelle quali si confrontavano compiti sperimentali di natura episodica con compiti sperimentali di natura semantica, ha registrato differenze nell’attivazione neurale di regioni come la corteccia prefrontale anteriore e l’ippocampo. 2.3.7. La componente visuo-spaziale della memoria autobiografica Oggi in molti ipotizzano che il recupero dei ricordi autobiografici sia modulato dalla capacità di rievocare in modo dettagliato l’insieme di caratteristiche visive che erano presenti al momento della codifica della traccia amnestica. Queste rappresentazioni visive contribuirebbero a loro volta a riattivare i percetti non visivi e le informazioni concettuali ed emotive collegate all’evento, dal momento che favoriscono il loro inquadramento in un contesto ben definito nello spazio e nel tempo. A supporto di tale ipotesi, i dati di alcuni lavori sperimentali riportano l’attivazione delle regioni occipitali dell’encefalo durante la rievocazione di ricordi autobiografici. Tale attivazione sembrerebbe essere registrata in prossimità della giunzione temporo- parietale e con un’intensità maggiore rilevata per l’emisfero sinistro rispetto al destro. 2.3.8. Il ruolo dell’amigdala: le emozioni e la memoria autobiografica I ricordi autobiografici sono personali e pertanto risultano essere caratterizzati da un gran numero di contenuti a valenza emotiva. Il numero di studi di neuroimaging che si sono occupati in maniera specifica della rievocazione di ricordi autobiografici risulta essere piuttosto esiguo. In alcuni di questi studi di neuroimmagine, gli stimoli autobiografici con una forte valenza emotiva generano una minore attivazione rispetto agli stimoli autobiografici più “tradizionali”. Questa deattivazione potrebbe essere causata dal fatto che l’elaborazione della componente emotiva del ricordo interferisce con alcuni processi automatici di natura prevalentemente attentiva. In altri studi sui ricordi a valenza emotiva è stata rilevata l’attivazione delle regioni classicamente associate alla memoria autobiografica insieme all’attivazione di alcune strutture cerebrali deputate all’elaborazione delle emozioni come l’amigdala → che sembra essere uno dei siti encefalici maggiormente coinvolti nel processo di codifica e rievocazione di ricordi autobiografici emotivamente rilevanti. Oltre all’amigdala, si registra l’attivazione della: › corteccia insulare (sembra essere sensibile a stimoli emotigeni di diverso tipo e in particolare a quelli più coinvolgenti e viscerali); › corteccia orbito-frontale (sembra essere attivata dalla rievocazione di punizioni e ricompense). Inoltre, si nota l’attivazione delle aree corticali e deputate all’analisi degli stimoli visivi, in quanto probabilmente gli eventi emotivamente rilevanti sono associati ad un corredo di immagini molto vivide. Nei lavori sui ricordi autobiografici a valenza emotiva si descrive un’attivazione globale e bilaterale se non addirittura concentrata a destra. I risultati di alcuni lavori molto recenti lasciano pensare che esista una specializzazione emisferica per l’elaborazione delle emozioni: ▪ l’emisfero destro sembrerebbe essere specializzato nell’analisi delle emozioni negative; ▪ l’emisfero sinistro si occuperebbe dell’analisi delle emozioni positive. 2.4. Gli sviluppi futuri della ricerca Tutte queste aree sopra elencate sembrano lavorare conteporaneamente ed elaborare in parallelo le varie caratteristiche della traccia mnesitca, contribuendo al recupero del ricordo e costituendo una rete piuttosto estesa: - la corteccia prefrontale ventrolaterale ricerca in maniera attiva le tracce mnestiche autobiografiche; - l’ippocampo provvede al riassemblaggio di questi ricordi sfruttando le informazioni: → visive (elaborate dalla corteccia occipitale prossima alla giunzione temporo-parietale); → semantiche (elaborate dalla corteccia temporale laterale); → emotive (elaborate dall’amigdala); → autoreferenziali (elaborate dalla corteccia prefrontale mediale). CAPITOLO 3: LA MEMORIA AUTOBIOGRAFICA DALL’INFANZIA ALL’ETA’ ADULTA AVANZATA Howe e Courage: sostengono che la memoria autobiografica non possa svilupparsi se prima il bambino non ha costruito una corretta rappresentazione del sé cognitivo, cosa che accade solo durante il 2° anno di vita. Secondo questi autori la comparsa del sé cognitivo permette ai ricordi di essere codificati, immagazzinati e recuperati come elementi personali e tale evento coincide approssimativamente con il periodo a cui gli adulti fanno riferimento quando viene loro chiesto di datare i primi ricordi riguardanti episodi significativi della propria vita. Altri autori, come Nelson e Fivush, propongono una teoria di natura sociolinguistica → affermano che lo sviluppo della memoria autobiografica dipende dal fatto che il bambino riesca a creare in memoria una “storia della vita personale”, abilità che egli consegue attraverso la conversazione con le persone con cui condivide eventi ed esperienze personali. Dal momento che la memoria autobiografica richiede un certo livello di competenze linguistiche e narrative, questa non può svilupparsi prima del periodo durante il quale il bambino frequenta la scuola materna. Perner e Ruffman: hanno legato l’emergere della memoria autobiografica ad un generale accrescimento delle abilità metacognitive e, nello specifico, allo sviluppo della teoria della mente. Egli sostengono che la memoria di eventi nei bambini molto piccoli sia inizialmente basata su un livello “noetico” della coscienza (il bambino sa che qualcosa è accaduto) piuttosto che su un livello “autonoetico” (il bambino ricorda che qualcosa è accaduto) e che il passaggio dal livello noetico al livello autonoetico (che avviene a circa 4 anni) determini la comparsa della memoria autobiografica. Tali autori (Perner e Ruffman) credono che le conversazioni che i bambini intrattengono con gli altri (ed in particolare con la madre) siano importanti fonti di dati utili per lo sviluppo della teoria della mente, che a sua volta favorisce la comparsa della memoria autobiografica. Il disaccordo tra la teoria dello sviluppo del sé cognitivo e la teoria sociolinguistica nel definire l’età di comparsa della memoria autobiografica è rilevante sia a livello teorico sia per ragioni pratiche: l’età a cui possono essere associati i primi ricordi legati a esperienze personali ha implicazioni di natura forense, in quanto si potrebbe controllare meglio la veridicità dei racconti di violenze e traumi subiti durante la prima infanzia. 3.1. MEMORIA AUTOBIOGRAFICA E SVILUPPO DEL SE’ COGNITIVO Le speculazioni circa la natura e la funzione del senso di sé hanno definito una lunga tradizione, e il dibattito su come questo debba essere definito in maniera appropriata è ancora acceso e vivace. Tuttavia diversi studiosi che hanno affrontato il problema considerando differenti fattori e prospettive concordano su un punto: ci sono almeno 2 fondamentali (e interrelate) sfaccettature del sé: → l’io, un soggettivo e implicito senso del sé come agente causale pesante; → il me, un oggettivo ed esplicito senso del sé con peculiarità e caratteristiche uniche e riconoscibili che rappresenta l’idea che una persona ha di sé stessa. Fino a qualche anno fa gli studi sperimentali sulle modifiche del sé durante l’infanzia erano focalizzati quasi esclusivamente sul “me” → pertanto si prestava una particolare attenzione allo sviluppo dell’autoriconoscimento attraverso l’osservazione delle reazioni dei bambini alla vista della propria immagine riflessa allo specchio, o alla visione di foto e filmati. I risultati di questi studi dimostrano che, a partire dai 3 mesi di vita, i bambini prestano attenzione alla propria immagine riflessa, hanno reazioni positive quando la vedono e nel giro di qualche mese riescono a discriminare le proprie caratteristiche facciali rispetto a quelle di altri bambini. A 8 mesi i bambini prendono coscienza del fatto che l’immagine riflessa si muove. Il riconoscimento completo dell’immagine allo specchio come propria avviene in maniera non ambigua intorno ai 18 mesi. A questa età i bambini iniziano a mostrare imbarazzo quando vedono la loro immagine e, in seguito (22-24 mesi), inizieranno a produrre un’etichetta verbale corretta per l’immagine. L’autoriconoscimento è solo una sfaccettatura della coscienza di sé, che è un aspetto fondamentale dello sviluppo cognitivo e sociale che continua a evolversi durante l’infanzia e l’adolescenza. Nel corso dell’ultimo decennio, comunque, è aumentato anche il numero di esperti che sottolineano l’importanza del senso di sé oggettivo e implicito. → Lo sviluppo dell’ “io”: - è favorito dai processi percettivi, motori e sociali che si registrano già in età neonatale; - ad esso sono legate l’autoregolazione e la capacità di differenziare sé stessi dagli altri; - si sviluppa molto presto e getta le fondamenta per lo sviluppo del “me”. → E’ importante sottolineare che l’uno non va a sostituire l’altro e le due istanze del sé continuano a coesistere. La capacità di autoriconoscersi allo specchio è uno dei principali indicatori che permetto di segnare il passaggio dall’ “io” all’ “io+me” e molti studiosi sostengono che quando questo avviene è possibile registrare una serie di cambiamenti nel sistema cognitivo dei bambini (sviluppo del linguaggio, gioco simbolico, capacità di pianifiazione, permanenza dell’oggetto...) che permettono loro di gestire simultaneamente diverse fonti di informazione, formulare ipotesi e definire regole sul funzionamento del mondo e di valutare e modificare questi schemi fino a quando non sembrano funzionare bene. Questa serie di eventi legata alla comparsa del “me”, che avviene a partire dai 18 mesi, consente ai bambini di organizzare l’esperienza in maniera diversa e favorisce il successivo sviluppo di nuove funzioni cognitive, inclusa la memoria autobiografica. 3.1.1. Lo sviluppo della memoria di eventi Molti autori sostengono che la memoria di eventi sia un precursore, in termini evolutivi, della memoria autobiografica. Visto che i bambini molto piccoli non sono in grado di usare il linguaggio per dire a parole quello che si ricordano, un gran numero di esperti sostiene che l’imitazione di una sequenza di azioni può essere considerata scientificamente valida tanto quanto una rievocazione di tipo verbale; l’imitazione differita nel tempo comporta il recupero di uno schema cognitivo che è stato costruito sulla base di un’esperienza passata in assenza del supporto percettivo dato dalla pratica diretta, esattamente come la rievocazione verbale. Una variante del paradigma classico di imitazione differita è l’imitazione elicitata → in cui i bambini sono esplicitamente incoraggiati a riprodurre nella giusta sequenza una serie di azioni eseguite da un attore. Bauer e collab.: in uno studio hanno osservato che i bambini con un’età da 11 a 24 mesi riuscivano a riprodurre sequenze composte da 2 fino a 8 azioni; all’aumentare dell’età i piccoli soggetti sperimentali aumentava sia il numero di azioni ricordate che la durata del periodo di ritenzione che poteva intercorrere tra la codifica e il recupero senza che ci fosse perdita di informazione. Herbert e Hayane: hanno condotto una serie di esperimenti su bambini da 6 a 30 mesi di vita ed hanno verificato che anche i bimbi più piccoli riuscivano a riprodurre fino a 8 azioni dopo un intervallo di 24 ore. I due autori hanno registrato un miglioramento progressivo della performance che andava di pari passo con l’età dei giovani partecipanti: i bambini più piccoli (6 mesi) dovevano vedere l’azione almeno un paio di volte per riuscire, in seguito, a riprodurla correttamente e i bambini dai 6 ai 12 mesi di vita erano in genere meno accurati rispetto agli altri (ricordavano meno azioni). Howe e Hayane: attribuiscono questi miglioramenti nel compito di imitazione differita ad un progressivo sviluppo, nei primi 2 anni di vita, della “flessibilità rappresentazionale”, una componente della memoria dichiarativa la cui efficienza sembra essere legata alla maturazione dell’ippocampo e della corteccia associativa. Alcuni autori sostengono che l’imitazione differita non è l’unico compito che permette di verificare il ricordo di un episodio specifico nei bambini molto piccoli. Questi autoti, nel loro studio, hanno verificato che i bambini di appena 3 mesi erano in grado di ricordare un evento particolare. Nel corso degli anni i ricercatori hanno trovato che i ricordi dei bambini (anche molto piccoli) per episodi sia: - riguardanti la vita di ogni giorno; - relativi a studi condotti in laboratorio possono essere rievocati anche dopo lunghi periodi di tempo e, se vengono rispettate certe condizioni, tali ricordi possono persistere per mesi o anni (sebbene con il passare del tempo la rievocazione possa diventare frammentaria). Bauer: sostiene che la durata del ricordo di un evento dipende: - dall’età del bambino; - da diversi elementi che vanno ad agire: → sul processo di immagazzinamento; → sul processo di recupero. Nello specifico, l’autore sottolinea l’importanza: ▪ dell’organizzazione della rappresentazione dell’evento (es. se l’evento è familiare o no); ▪ della presenza o meno di indizi e promemoria (es. foto o filmati); ▪ dello sviluppo dei processi cognitivi e rappresentazionali che favoriscono l’utilizzo di strategie. 3.1.2. Ricordare gli eventi che sono successi a “me” Durante il 2° anno di vita, i ricordi dei bambini diventano decisamente più numerosi e un gruppo di esperti sostiene che questo incremento sia legato allo sviluppo del senso di sé in termini cognitivi. In questo periodo, inoltre, è registrato un netto incremento dei processi mnestici di base (codifica, ritenzione e rcupero) dovuto, almeno in parte, allo sviluppo delle capacità attentive e all’uso di strategie. In che modo lo sviluppo del sé influenza l’efficienza di tali processi di base? Alcuni autori sostengono che l’insorgere di questa nuova struttura porta ad un cambiamento nel modo in cui vengono organizzate le informazioni e le esperienze, in quanto facilita ul raggruppamento e la personalizzazione di ricordi ed eventi. Symons e Jhnson: hanno concluso che il senso di sé è importante: › perché permette di organizzare meglio i ricordi; › perché permette di creare un legame tra il contesto relativo alla codifica e quello associato al recupero. Howe e Courage: sostengono che la memoria autobiografica si sviluppi come una sorta di rete associativa estesa: i ricordi vengono immessi come tracce in questa rete e il successo del loro recupero dipende dall’integrità della traccia nel tempo. Secondo tali autori, il progressivo sviluppo del sé cognitivo arricchirebbe le tracce mnestiche di caratteristiche emotive che le renderebbero più difficili da dimenticare. Tuttavia, egli sottolineano come questa sola cosa non garantisca che un evento venga ricordato realmente come “qualcosa che è successo a me”: nei bambini può capitare che un episodio venga memorizzato in forma depersonalizzata se alcune istanze del sé non sono codificate correttamente nella traccia mnestica. Man mano che il numero delle caratteristiche legate alla visione che il bambino ha di sé aumenta, aumenta la probabilità che queste vengano codificate nella traccia con il risultato che un numero sempre maggiore di eventi viene in seguito ricordato come “una cosa che è successa a me”, ovvero come un ricordo autobiografico. 3.1.3. La prospettiva sociolinguistica: linguaggio e metacognizione Alcuni autori sostengono che si può iniziare a parlare di memoria autobiografica solo quando nel bambino si sono già sviluppate alcune competenze linguistiche e sociali di base che, nello specifico, si focalizzano sul ruolo della condivisione delle esperienze: quando i bambini imparano a parlare del loro passato con gli adulti, iniziano ad organizzare gli eventi sulla linea del tempo. Tale organizzazione della storia individuale nel tempo sarebbe la funzione primaria della memoria autobiografica e, man mano che i bambini diventano in grado di padroneggiare meglio a livello verbale i loro racconti, aumenta la consapevolezza che quegli eventi siano successi proprio a loro. Raccontare a qualcuno quello che hanno fatto aiuta i bambini ad imparare in che modo gli eventi vanno esposti per poter essere correttamente compresi e allo stesso tempo li aiuta a capire la funzione sociale svolta dal parlare della propria vita agli altri. Diversi lavori sperimentali hanno dimostrato che in genere i bambini iniziano a raccontare di eventi specifici intorno ai 2 anni e mezzo, ma queste conversazioni sono di solito incoraggiate dagli adulti attraverso una serie di domande mirate; solo intorno ai 3-4 anni i bambini iniziano a parlare spontaneamente degli eventi passati. Nelson: sostiene che la memoria autobiografica si sviluppi lentamente a partire dall’acquisizione di abilità rappresentazionali piuttosto complesse che sono basate sull’uso del linguaggio e tali compentenze risultano essere completamente padroneggiate non prima dei 5-6 anni di vita; a questa età il bambino è quindi in grado di organizzare i ricordi sulla base della propria storia personale che si estende nel tempo. Una serie di ricerche ha mostrato che differenze individuali nel modo in cui i genitori parlano con i loro figli degli accadimenti passati possono determinate diversità nello stile narrativo dei bambini quando questi si trovano a descrivere gli eventi che hanno vissuto in 1° persona. Nello specifico, i ricercatori hanno identificato 2 stili conversazionali che i genitori possono assumere quando parlano ai loro figli: i genitori “molto diligenti”: → forniscono molti dettagli e informazioni quando raccontano episodi avvenuti nel passato; → nell’ascoltare i figli, tendono a fare domande per avere delucidazioni riguardanti le parti confuse del racconto e a colmare le lacune presenti nei resoconti parziali o non congrui con quanto effettivamente accaduto. i genitori “poco diligenti”: → tendono a ripetere le loro domande più volte, nel tentativo di ottenere una risposta specifica dai bambini; → cambiano spesso l’argomento di conversazione; → non aggiungono dettagli ai racconti dei loro figli. I figli di genitori molto diligenti di solito sono in grado di elaborare resoconti più ricchi e dettagliati rispetto a quelli formulati dai figli di genitori poco diligenti. Alcuni studi sottolineano l’importanza del contesto culturale: le madri americane raccontano ai loro bambini episodi che riguardano il loro passato molto più di quanto non facciano le madri coreane e di conseguenza i bambini americani parlano più del loro passato rispetto a quelli coreani. → Degli autori (Han, Leitchman e Wang) hanno affermato che queste differenze socioculturali permettono ai bambini americani di sviluppare ricordi autobiografici prima rispetto ai coetanei coreani. I fattori socioculturali sembrano influenzare sia l’espressione verbale del ricordo di eventi passati sia la prospettiva attraverso la quale gli eventi sono codificati. Un’altra funzione fondamentale dell’interazione verbale è quella di favorire lo sviluppo di un livello autonoetico della coscienza. 3.1.4. Sé cognitivo, linguaggio e memoria autobiografica Ciò che è oggetto di dibattito nella comunità scientifica è il ruolo del linguaggio nella formazione iniziale della memoria autobiografica, dal momento che diversi studiosi sostengono che la nascita di questa funzione cognitiva dipenda esclusivamente dallo sviluppo del sé e che la capacità di parlare non è rilevante. Harley e Reese: hanno condotto uno studio longitudinale su 58 coppie mamma-bambino in cui hanno determinato nel corso del tempo, utilizzando compiti indipendenti tra loro, il livello di sviluppo di sé cognitivo, delle competenze linguistiche e della memoria autobiografica. I risultati indicarono chiaramente che i bambini inziano ad eseguire correttamente i compiti legati al sé cognitivo prima di quelli relativi alle altre istanze. La memoria autobiografica sembra formarsi subito dopo, mentre le competenze linguistiche sono più lente da acquisire. La capacità di ricordare che alcuni eventi sono successi proprio a noi dipende essenzialmente dallo sviluppo del sé cognitivo. L’acquisizione di competenze linguistiche e lo scmabio verbale con figure di riferimento, come i genitori, aiutano i bambini a rafforzare e strutturare meglio in memoria questi ricordi. 3.2. LA MEMORIA AUTOBIOGRAFICA NELL’INVECCHIAMENTO Nel corso degli anni moltissimi studi sperimentali hanno dimostrato come i processi di invecchiamento possano portare ad un deterioramento dei sistemi di memoria che può interessare diversi aspetti. La memoria autobiografica è estremamente sfaccettata e composta da un fulcro di conoscenze generali sul mondo e sulla propria storia individuale che si fondono con una serie di informazioni molto precise riguardanti i singoli episodi: sia le conoscenze generali che le informazioni specifiche vengono accumulate a partire dall’infanzia e permettono alle persone di costruire un senso di identità e continuità. Componente episodica → contiene eventi personali specifici, con dettagli fenomenologici collocati con precisione nello spazio e nel tempo e che sono strettamente collegati alla percezione che si ha di sé. Tale componente è intrinsecamente legata al livello autonoetico della coscienza, che permette a un evento di essere rievocato consciamente nel suo contesto di codifica iniziale e rende le persone in grado di viaggiare con la mente nel proprio passato per rivivere, sia a livello visuo-percettivo che a livello emotivo, l’episodio rievocato. Componente semantica → è legata al livello noetico della coscienza e pertanto rende possibile la rievocazione di episodi generali che riguardano la storia personale, ma in assenza di una reale riattivazione di tutti i dettagli che compongono il contesto con l’evento specifico. 3.2.1. La dissociazione tra la componente episodica e quella semantica Gli studi condotti sull’invecchiamento congnitivo evidenziano che la rievocazione di eventi autobiografici da parte degli anziani si differenzia rispetto a quella degli adulti sulla base del compito. Il declino dovuto all’età sembra essere maggiore per i compiti di rievocazione esplicita in cui bisogna ricordare dettagli contestuali e rivivere in prima persona una certa esperienza; sembra inoltre che, nel rievocare un episodio che è loro accaduto, gli anziani facciano fatica ad inibire le informazioni irrilevanti o fuori contesto. D’altro canto gli effetti dell’età si riducono fino a sparire quando il compito richiede una rievocazione implicita che comporta l’attivazione delle conoscenze semantiche in generale. La distinzione tra componente episodica e componente semantica è compatibile con un modello gerarchico della memoria autobiografica che prevede un livello più basso in cui sono elaborate informazioni episodiche evento-specifiche di natura sensoriale e percettiva, che sono collegate alle informazioni riguardanti la conoscenza generle di sé stessi e della propria storia presenti ad un livello più alto. Le: - informazioni episodiche sono necessarie per una rappresentazione degli eventi personali ad “alta fedeltà” e più dettagliata; - le informazioni più generali di natura semantica incrementano la coerenza generale del ricordo autobiografico e lo mettono in relazione con il senso di identità personale che si sviluppa nel tempo. In genere le rappresentazioni cognitive di livello più basso sono più vulnerabili e soggette a deterioramento rispetto a quelle di livello più alto. La rievocazione di dettagli strettamente legati al contesto è correlata all’attività della corteccia prefrontale che è una vasta area corticale sede di molte funzioni che sono strettamente connesse alla memoria autobiografica e che sembrano subire una serie di cambiamenti durante il normale processo di invecchiamento. Tutte queste premesse permettono di ipotizzare che l’invecchiamento vada a deteriorare principalmente la componente episodica della memoria autobiografica (che occupa una posizione più bassa nel modello gerarchic), mentre dovrebbe lasciare intatte le funzioni della componente semantica. 3.2.2. L’importanza della prospettiva nella rievocazione: il TEMPau Si può rivivere un episodio sia assumendo una prospettiva in prima persona sia assumendo la prospettiva di un osservatore. Due autori (Nigro e Neisser), hanno dimostrato che le persone di solito tendono a: › rievocare eventi recenti attivando una prospettiva in prima persona; › usare una prospettiva esterna per rievocare fatti avvenuti molto tempo prima. Ciò può corrispondere ad un diverso stile di approccio ai ricordi: › la prospettiva in prima persona è collegata con il livello autonoetico della coscienza (e quindi permette di “ricordare” l’evento); › la prospettiva da osservatore è da mettere in relazione con il livello noetico della coscienza (e quindi permette di “sapere” che l’evento è accaduto). Sulla base di questa serie di premesse, altri autori (Piolino e collab.) hanno ipotizzato che il processo di invecchiamento vada lentamente a deteriorare la componente autonoetica della coscienza e, di conseguenza, la capacità di utilizzare la prospettiva in prima persona nel rievocare gli eventi passati. Per verificare la loro ipotesi i ricercatori hanno messo a punto un nuovo strumento, il TEMPau (Test Episodique de Mémorie du Passé aurobiographique). TEMPau → è un questionario semistrutturato in grado di tener conto della nitidezza: ▪ dei dettagli ricordati; ▪ della prospettiva assunta nel rievocare un evento autobiografico; ▪ dello stato di coscienza (noetico o autonoetico) di cui si serve per accedere al ricordo. I partecipanti allo studio furono divisi in 3 gruppi: giovani (21-34 anni), anziani (60-69 anni) e grandi anziani (oltre i 69 anni) e a tutti venne chiesto di descrivere in maniera più dettagliata possibile alcuni eventi autobiografici che facevano riferimento a 5 periodi precisi della loro vita: - Periodo A: da 0 a 17 anni; - Periodo B: da 18 a 30 anni; - Periodo C: da 30 anni in poi, eccetto gli ultimi 5 anni; - Periodo D: gli ultimi 5 anni, eccetto gli ultimi 12 mesi; - Periodo E: l’anno precedente all’esperimento. Ciascuna descrizione veniva valutata su una scala episodica da 1 a 4, a seconda del numero dei dettagli e della loro nitidezza. Successivamente i partecipanti allo studio dovevano descrivere la prospettiva da cui avevano rivissuto l’evento (in prima persona o come osservatori) e lo stato di coscienza associato alla rievocazione dell’evento. I risultati confermarono che, con l’aumentare dell’età, il numero di dettagli ricordati e la loro nitidezza tendeva a diminuire; inoltre era registrata una riduzione dei ricordi rivissuti in prima persona e di quelli riconducibili alla coscienza autonoetica, mentre aumentavano i ricordi rievocati dalla prospettiva di osservatore e quelli legati alla coscienza noetica. (Figura 8 pagina seguente). 3.2.3. La memoria autobiografica di eventi con un’alta valenza emotiva La carica emotiva dei ricordi autobiografici è molto importante per la definizione del sé nel tempo e per la determinazione delle competenze sociali. Molti studi sperimentali hanno dimostrato che i ricordi relativi ad eventi con una cospicua valenza sono più vividi e dettagliati rispetto a quelli emotivamente non rilevanti: alcuni autori sostengono che ciò accade perché la loro codifica attiva in maggior misura l’amigdala, mentre altri affermano che tale codifica risulta essere più efficace in quanto richiede l’impiego di maggiori risorse attentive. Inoltre, negli adulti sani gli episodi caratterizzati da una forte valenza emotiva vengono solitamente rievocati con maggiore frequenza rispetto agli altri. Questi dati lascerebbero pensare che le emozioni agiscano sulla componente episodica della memoria autobiografica, ma in letteratura ci sono evidenze discordanti: - una serie di esperimenti condotti su pazienti affetti da depressione ha dimostrato che questi fanno fatica a ricordare i dettagli degli eventi che li vedono protagonisti e che tendono a ricordare solo l’evento in generale. - St. Jaques e Levine: per cercare di comprendere quale componente della memoria autobiografica sia maggiormente condizionata dalle proprietà emotive degli eventi, hanno deciso di utilizzare l’ autobiographical interview. Allo studio parteciparono 16 giovani (da 21 a 33 anni) e 16 anziani (da 69 a 88 anni) che erano invitati a rievocare 2 episodi negativi, 2 positivi e 2 neutri avvenuti negli ultimi 5 anni (esclusi gli ultimi 6 mesi). I risultati di questo studio hanno mostrato che sia i giovani che gli anziani tendevano a ricordare più dettagli per gli eventi positivi e negativi rispetto ai neutri. Inoltre, gli anziani ricordavano meno informazioni di natura episodica rispetto ai giovani. Riguardo agli effetti dell’età sulla vividezza di ricordi con alta e bassa valenza emotiva si è riscontrato che i giovani ricordavano più dettagli rispetto agli anziani quando dovevano rievocare particolari di natura episodica che facevano riferimento ad eventi emotivamente rilevanti, e la differenza legata all’età era decisamente attenuata per gli episodi emotivamente neutri. In conclusione si può quindi affermare che le emozioni hanno un ruolo importante nel processo di codifica e recupero di eventi autobiografici; gli studi condotti sugli anziani hanno permesso di chiarire che la carica emotiva è elaborata dalla componente episodica della memoria autobiografica. Tale componente risente in maniera particolare dei processi di invecchiamento cognitivo, e pertanto gli anziani risultano essere in difficoltà quando devono recuperare le informazioni emotivamente rilevanti e di natura episodica legate al contesto specifico. 3.2.4. La rievocazione volontaria e involontaria degli eventi autobiografici C’è una notevole riduzione delle prestazioni dovuta all’età nei compiti di rievocazione esplicita condotti in laboratorio (ad es. rievocazione libera e rievocazione guidata), mentre non ci sono effetti di tale portata ascrivibili all’età per i compiti di rievocazione implicita (ad es. priming). Anche i ricordi autobiografici possono essere classificati sulla base della modalità di recupero, dal momento che possono essere rievocati deliberatamente (ricordi autobiografici volontari) o spontaneamente (ricordi autobiografici involontari). La rievocazione di eventi ricopre un ruolo particolare nella vita degli anziani: ricordare episodi autobiografici aiuta a regolare l’umore e a mantenere un giudizio positivo di sé. E’ stato dimostrato che gli anziani tendono a valutare i ricordi rievocati più positivamente di quanto non facciano i giovani. Questo cambiamento di prospettiva è stato messo in relazione con il fatto che gli anziani realizzano, più o meno consciamente, di trovarsi nella parte finale della loro vita e quindi tendono a rivivere gli avvenimenti in modo da avere una buona visione di sé stessi e di quanto hanno fatto negli anni precedenti, focalizzandosi sugli eventi connotati positivamente e ignorando quelli meno piacevoli. 3.2.5. Le emozioni e la valenza dei ricordi autobiografici La memoria autobiografica è fortemente influenzata dall’elaborazione delle emozioni. Kennedy, Mather e Carstensen: nel 2001 hanno condotto uno studio sperimentale per cercare di capire in che modo focalizzare l’attenzione sul proprio stato emotivo possa cambiare valenza (in positivo o in negativo) dei ricordi rievocati. I ricercatori hanno testato circa 300 suore tra i 47 e i 102 anni. Le suore completavano un questionario che avevano completato 14 anni prima (nel 1987) circa le pratiche di salute e la loro storia medica. Prima della somministrazione, il gruppo è stato diviso in 3 condizioni: gruppo di focus sulle emozioni, gruppo di focus sull’accuratezza, nessun focus. ▪ I soggetti assegnati alla condizione di focus emotivo completavano, dopo aver finito un sottoinsieme di domande, un questionario agiguntivo nel quale veniva chiesto loro di valutare lo stato d’animo che provavano ripensando a quelle domande; ▪ Negli stessi punti del questionario, ai soggetti assegnati alla condizione di focus sull’accuratezza veniva chiesto di indicare quale fra una serie di strategie di memoria stavano utilizzando per rispondere al questionario; ▪ C’era anche una condizione di controllo senza nessun questionario aggiuntivo. Per valutare gli effetti dell’invecchiamento, le suore del gruppo di controllo furono suddivise in: - 2 grandi gruppi di religiose di mezza età (da 47 a 65 anni); - 1 gruppo di religiose anziane (da 79 a 102 anni). → Gli anziani hanno mostrato un bias positivo nel ricordare le loro pratiche di salute e le malattie, dal momento che riferivano del passato in maniera più positiva rispetto alla precedente rievocazione effettuata nel 1987; → Il gruppo di mezza età, al contrario, ha mostrato un bias negativo rispetto a quanto rievocato 14 anni prima dell’esperimento. Sia i giovani che gli anziani: → alla condizione di focus emotivo hanno avuto un bias positivo nel rievocare i propri ricordi autobiografici; → alla condizione di focus di accuratezza hanno avuto un bias negativo. Per concludere, si può dire che gli anziani e i soggetti nella condizione di focus emotivo hanno mostrato lo stesso pattern di bias retrospettivi: questo risultato sembra indicare che concentrare l’attenzione sullo stato emotivo produce un bias positivo di memoria autobiografica che, a sua volta, porta le persone a reinterpretare il proprio passato in maniera più positiva. 3.2.6. La memoria autobiografica nei centenari Ricerche recenti hannp studiato la memoria autobiografica anche nei centenari, allo scopo di fornire modelli psicologici completi che spieghino le funzioni del ricordo per eventi personali durante tutto l’arco di vita. Uno studio che ha indagato la memoria autobiografica in modo diretto è quello di Fromholt e collab. (2003) → gli studiosi cominciarono con il chiedere a 15 centenari danesi di raccontare liberamente gli eventi più importanti della loro vita. In un’indagine successiva, invece (in cui vennero testati 22 centenari), ai partecipanti furono presentate delle liste di parole con il compito di associare ad ogni singola parola un ricordo autobiografico preciso e databile. Gli anziani che parteciparono alla ricerca, furono selezionati anche sulla base di brevi test di memoria, come il ricordo di 3 parole, il ricordo di 3 fotografie, un test di fluenza verbale e nessuno dei partecipanti presentava deterioramento cognitivo. I due studi hanno evidenziato come i centenari mostrassero una distribuzione dei ricordi simile a quella degli anziani più giovani: sono stati rilevati: l’amnesia infantile, ossia pochissimi ricordi provenienti dall’età infantile (da 0 a 3 anni); il balzo del ricordo, per cui gli anziani riportano soprattutto ricordi delle prime fasi dell’età adulta giovane (dai 15 ai 30 anni); una tendenza a ricordare gli ultimi eventi della loro vita (effetto di recenza). Un altro dato importante che emerge da questo lavoro deriva dall’analisi degli aspetti emotivi dei ricordi. Infatti, gli autori hanno notato come i centenari riportino con maggiore frequenza, rispetto al gruppo di controllo, eventi a valenza neutra piuttosto che a valenza emotiva (positiva o negativa). L’interpretazione che viene fornita del dato è in termini di ridotte capacità linguistiche, ovvero si ipotizza che i centenari utilizzino un numero minore di espressioni emotive per descrivere i loro eventi personali, diversamente dagli anziani più giovani. CAPITOLO 4: QUANDO LA MEMORIA AUTOBIOGRAFICA FALLISCE La definizione di “buon ricordo autobiografico” in un soggetto normale adulto si riferisce alla capacità manifesta di ricordare l’evento per sé (ad es. il primo giorno di lavoro), ma anche di recuperare tutta una serie di attributi contestuali che definiscono meglio la natura dell’evento, ovvero a che ora ho iniziato, che cosa ho fatto, ecc.... Questi attributi, che possono essere definiti il “contrasto” dell’evento autobiografico, rappresentano il punto di partenza per attribuire il piano di realt al ricordo (se l’evento è accaduto realmente o se è soltanto il frutto della nostra immaginazione). In generale, maggiori saranno gli attributi contestuali recuperati (es. quelli percettivi, spaziali, temporali, ecc...), minore sarà la probabilità di commettere un errore. L’abilità di attribuire il piano di realtà ad un evento autobiografico si basa infatti soprattutto sulla nostra capacità di contestualizzare in modo adeguato gli eventi recuperati. La capacità di distinguere un ricordo autobiografico reale da uno immaginato è molto complessa e si basa su una serie di meccanismi sensibili ad una serie di elementi come l’età, i danni cerebrali, i fattori di personalità, ecc.... Due autrici (Johnson e Raye) hanno parlato di processi di monitoraggio della realtà, sottolinenando come, se da una parte è vero che l’attribuzione del piano di realtà si basa sul ricordo degli attributi legati all’evento (realtà), dall’altra vengono messi in gioco anche processi decisionali e riflessivi che valutano e bilanciano tali attributi (monitoraggio). 4.1. MONITORARE LA REALTA’ DEI NOSTRI RICORDI PERSONALI L’evidenza sperimentale a sostegno del concetto classico di monitoraggio della realtà è derivata inzialmente dagli studi di laboratorio sull’effetto di generazione, in cui ai soggetti si richiedeva di distinguere tra eventi generati internamente ed eventi percepiti. Nella sua definizione originale, il monitoraggio della realtà → si basa su 2 momenti principali di elaborazione dell’informazione: la codifica e il monitoraggio della realtà di un ricordo. ▪ Codificare la realtà di un evento: - la codifica della fonte oppure origine di un evento autobiografico (percepito vs immaginato) si basa sulle informazioni caratterizzanti o tipiche di quel particolare evento. Ad esempio, la codifica di eventi reali è accompagnata da molte informazioni sulle caratteristiche percettive e contestuali dell’evento rispetto alla codifica di eventi generati internamente. Di conseguenza, il ricordo di un evento reale presenta una grande quantità di informazioni visive, spaziali e poche informazioni sulle operazioni cognitive coinvolte. - il ricordo di un evento immaginato, invece, presenta informazioni percettivo-contestuali meno vivide, ma incluse un maggior numero di informazioni circa le operazioni cognitive intenzionali coinvolte. - La realtà viene dunque codificata attraverso il reclutamento di numerose caratteristiche percettive e contestuali: → ad un 1° stadio, tale codifica è un processo tipicamente percettivo. Johnson sottolinea l’intervento di numerosi meccanismi percettivi sia di natura bottom-up (analisi delle caratteristiche fisiche degli stimoli) sia di natura top down (rielaborazione sulla base della nostra conoscenza e delle nostre aspettative); → ad un 2° stadio, l’elaborazione della realtà diventa un processo principalmente mnestico. In questo caso, la memoria di lavoro manipola, organizza e mantiene l’informazione di realtà integrandola con l’evento. ▪ Monitorare la realtà di un ricordo: se vogliamo risalire al piano di realtà di un evento personale in modo corretto, è necessario che i dettagli percettivo-contestuali vengano riattivati e recuperati dalla memoria a lungo termine. I processi che intervengono nella fase di recupero della realtà sono di natura decisionale e ci permettono di monitorare se l’evento è realmente accaduto o è soltanto frutto della nostra immaginazione. Tali processi hanno il compito di bilanciare e valutare la quantità di dettagli contestuali che l’evento porta con sé. 4.1.1. Correlati neuropsicologici Poiché il monitoraggio della realtà dipende da numerosi fattori che operano sia nella fase di codifica che nel recupero, diverse regioni del sistema nervoso vengono reclutate per una corretta attribuzione del piano di realtà: › le aree temporali mediali sono particolarmente cruciali nei processi di immagazzinamento a lungo termine della fonte dell’evento e della riattivazione dei ricordi di realtà; › le regioni frontali sono critiche nella fase di recupero e valutazione strategica del piano di realtà. In particolare, studi recenti hanno evidenziato come l’attività prefrontale sia cruciale in molti compiti di monitoraggio quando vengono coinvolti aspetti strategici e decisionali nella fase di recupero. Tuttavia, l’attività prefrontale sembra essere responsabile anche del mantenimento e della manipolazione della fonte dell’evento a breve termine. La regione prefrontale è particolarmente soggetta ai processi di invecchiamento. 4.1.2. Gli errori di monitoraggio di realtà nell’invecchiamento Il monitoraggio della realtà è inteso come la capacità di distinguere tra un ricordo reale ed uno immaginato. I processi cognitivi alla base del monitoraggio di realtà sono gli stessi che intervengono negli altri tipi di monitoraggio: si tratta solo di differenze nella quantità e qualità di dettagli percettivo-contestuali o di operazioni cognitive coinvolte. Diversi studi sull’argomento hanno evidenziato una riduzione della capacità di attribuire la fonte di un evento con l’aumentare dell’età. Secondo degli autori (Johnson, Hashtroudi e Lindsay), le ricerche condotte sugli anziani mettono proprio in evidenza come la facilità e l’accuratezza con la quale la fonte di un ricordo viene identificata dipenda: - dalla qualità e quantità delle caratteristiche del ricordo; - da quanto tipiche queste caratteristiche siano di quel particolare ricordo; - dall’efficacia dei processi di valutazione o dalla natura dei criteri usati nella fase di monitoraggio. In particolare, è stata evidenziata una serie di fattori che possono portare ad errori di monitoraggio: condizioni disturbate di codifica (ad es. condizioni di attenzione divisa); focalizzazione sulle emozioni piuttosto che sugli elementi esterni all’evento (che quindi porteranno ad attribuire l’evento ad una fonte interna); somiglianza percettiva o semantica tra eventi (ad es. quando un evento immaginato è ricco di caratteristiche percettivo- contestuali, esso tenderà ad essere considerato come reale); ridotta separazione temporale fra gli eventi confondibili (ad ese. quando due eventi che presentano delle caratteristiche simili accadono vicini nel tempo, aumenta la difficoltà nell’attribuire la fonte a ciascuno di essi); scarsa salienza delle operazioni cognitive coinvolte (ovvero l’evento presenta poche informazioni sulle operazioni cognitive coinvolte); fattori che al momento del test allontanano il soggetto da una riflessione sulle caratteristiche più diagnostiche (ad es. poco tempo a disposizione per dare un giudizio di fonte); differenze individuali. 4.1.3. Gli approcci L’approccio classico di Johnson, Hashtroudi e Lindsay → considerava l’attribuzione del piano di realtà principalmente come un processo di monitoraggio della fonte nella fase di recupero, e quindi anche la letteratura sugli anziani si è focalizzata, soprattutto all’inizio, sul ruolo dei processi decisionali del monitoraggio. Gli studi, infatti, hanno evidenziato come gli anziani utilizzino criteri di valutazione degli indizi percettivo-contestuali diversi da quelli che usano i giovani. I disegni sperimentali che sono stati adottati prevedevano molti indizi di realtà ed hanno mostrato come gli anziani non siano in grado di selezionare quelli più utili per l’attribuzione del piano di realtà. Ad esempio, sebbene gli anziani traggano beneficio da condizioni di indizi percettivi singoli, non mostrano benefici quando entrambi gli indizi sono presenti. Questi dati hanno portato altri autori (Ferguson, Hashtroudi e Johnson) ad avanzare la cosiddetta: ipotesi degli indizi molteplici (multiple cues hypothesis) → che considera l’uso non efficace di indi multipli come una delle cause più frequenti delle difficoltà di monitoraggio negli anziani: gli anziani mostrano deficit nell’abilità di usare simultaneamente le caratteristiche distintive di una fonte come indizi utili nel momento del recupero. 4.2. I DEFICIT DELLA MEMORIA AUTOBIOGRAFICA: LE CONFABULAZIONI In presenza di danni cerebrali, le distorsioni di memoria o i falsi ricordi autobiografici possono assumere la forma di confabulazioni. Confabulazioni → sono affermazioni false sulla propria vita senza l’intenzione da parte del paziente di ingannate e che si manifestano con una certa frequenza. La presenza di dettagli autobiografici nelle confabulazioni può variare a seconda del paziente e dei metodi di valutazione. Ad esempio, vengono tipicamente descritti 2 tipi di confabulazioni: 1. Le distorsioni di eventi veri (come un errato collocamento temporale di eventi autobiografici realmente accaduti); 2. Le “fabbricazioni”, ovvero ricordi di fantasia non coerenti. Johnson, O’Connor e Cantor: nel loro studio vengono descritte le “fabbricazioni” del paziente G.S. in seguito ad un aneurisma all’arteria comunicante anteriore (lesioni fronto-mediali). In particolre, molte delle fabbricazioni di G.S. riguardavano eventi autobiografici che venivano modificati dal paziente nonostante i medici lo invitassero a rinunciare: ad esemoio, pensava di essere caduto e di aver urtato la testa mentre parlava con un amico, quando invece la rottura del suo aneurisma si era verificata dopo una discussione con sua figlia. Gli autori hanno somministrato a G.S. e ad un gruppo di pazienti frontali 2 compiti di memoria autobiografica: › il 1° compito prevedeva la risposta a 4 domande; › il 2° compito consisteva nel simulare eventi autobiografici sia attraverso l’esecuzione reale delle azioni che attraverso l’immaginazione di queste. Il giorno successivo i partecipanti venivano invitati a descrivere i ricordi per questi minieventi autobiografici. In entrambi i compiti, le analisi hanno preso in considerazione il numero di dettagli sensoriali, contestuali (spazio, tempo), emotivi ecc... riportati nelle descrizioni degli eventi. G.S. presentava al 1° compito ricordi autobiografici molto poveri rispetto al gruppo di pazienti frontali, con una mancanza di dettagli temporali. Inoltre riportava un numero maggiore di dettagli per i minieventi immaginati e meno per quelli eseguiti. Lo studio dimostra come le confabulazioni siano il risultato di numerosi aspetti, come: deficit significativi nel recupero sistematico degli eventi autobiografici; deficit di monitoraggio della fonte (es. difficoltà a collocare temporalmente gli eventi); una certa propensione verso le immagini mentali dettagliate. Oggi, la maggior parte delle teorie sostiene che le confabulazioni possono essere prodotte da un deficit ad uno dei seguenti processi: - una ridotta abilità di legare insieme i dettagli dell’evento; - deficit di riattivazione e consolidamento di tali dettagli; - difficoltà a innescare processi di valutazione o a bilanciare gli attributi o a utilizzare criteri appropriati; - difficoltà a recuperare in modo autonomo informazioni che sostengono/sconfessano il ricordo; - difficoltà ad accedere o usare le conoscenze generali sul mondo e sul sé in modo da evitare di fantasticare. I deficit a carico di tali meccanismi possono essere peggiorati da fattori di personalità o differenze individuali nelle abilità immaginative. Le diverse combinazioni dei deficit possono spiegare la varietà delle sindromi confabulatorie, e più aumenta il numero dei processi colpiti, maggiore sarà la probabilità di confabulare in maniera grave. I danni alle regioni temporali medie (soprattutto la struttura ippocampale) o alle regioni diencefaliche possono generare amnesia per eventi nuovi e per le informazioni vissute dopo il danno (amnesia anterograda). Queste strutture rientrano nei circuiti cerebrali che sono cruciali per i processi di legame, riattivazione e consolidamento dei vari attributi del ricordo. I danni alle aree frontali sono associati a deficit ai processi esecutivi come: ▪ la generazione di indizi per il recupero; ▪ monitoraggio dell’appropriatezza della rosposta; ▪ inibizione delle risposte non appropriate; ▪ valutazioni temporali. Tuttavia, tipicamente né i primi né i secondi producono da soli confabulazione. Le confabulazioni più fiorenti sono infatti associate a danno frontale insieme ai deficit di memoria. Evidenze importanti provengono dai dati su pazienti che hanno sofferto di aneurisma all’arteria comunicante anteriore. Tali pazienti mostrano sia amnesia che deficit esecutivi. Confabulazioni sono spesso osservate nei pazienti con Sindrome di Korsakoff → che presentano danni (spesso bilaterali) al diencefalo e ai lobi frontali e mostrano amnesia e deficit esecutivi. I danni cerebrali possono stabilire le condizioni di confabulazione, ma la storia del paziente ne determina il contenuto. Nonostante ciò, è difficile raccogliere dati sulle confabulazioni: › in primo luogo, c’è una certa difficoltà a quantificare e a caratterizzare la confabulazione; › inoltre, c’è una variabilità considerevole riguardante diversi aspetti: il tempo che intercorre tra la manifestazione del danno e la valutazione del paziente; la natura dei test neuropsicologici somministrati; le informazioni su quanto tempo persistono le confabulazioni di un paziente. 4.2.1. La memoria autobiografica nei pazienti amnesici Nella ricerca neuropsicologica vengono utilizzati 3 approcci principali allo studio della memoria autobiografica: 1° approccio: formulato da Kopleman, Wilson e Baddeley che, per primi, hanno costruito un test standardizzato, la → agenda della memoria autobiografica (AMI) composta da 2 sezioni: › una che valuta la rievocazione dei cosiddetti accadimenti (incidents) autobiografici (ad es. il primo giorno di scuola); › una che valuta le informazioni personali semantiche (ad es. il nome della maestra). Le domande invitano a rievocare i ricordi di 3 periodi principali della vita: infanzia, prima età adulta, vita recente. Tipicamente, parenti e familiari vengono coinvolti per valutare la veridicità dei ricordi riportati. Utilizzando questo test, molti studi hanno riscontrato come ricordi remoti siano intatti in seguito a lesioni a carico dei lobi medio-temporali. 2° approccio: è quello di registrare alcune conversazioni che implicano il ricordo di periodi estesi della vita e determinare il numero di dettagli generati per gli eventi remoti. Anche in questo caso, i ricordi dei pazienti (con lesioni medio-temporali) e quelli dei soggetti di controllo contengono lo stesso numero di dettagli. 3° approccio: deriva dal secondo, utilizza un’intervista autobiografica che invita a riportare un ricordo per 5 periodi e ad usare degli indizi per favorire il recupero del maggior numero di dettagli. Con questa tecnica, è possibile elicitare circa 50 dettagli per ogni evento. I periodi vanno: dall’infanzia (fino a 11 anni); adolescenza (12-17 anni); prima età adulta (18-35 anni); mezza età (36-55 anni); l’anno prima del test. Ai soggetti viene chiesto di recuperare un evento autobiografico da ognuno di questi periodi seguendo l’ordine temporale. Sono previste 2 modalità di recupero: rievocazione libera e rievocazione guidata-generale. Nella rievocazione libera → i soggetti descrivono spontaneamente l’evento di quel periodo senza essere interrotti dallo sperimentatore. Successivamente, lo sperimentatore fornisce indizi generali che incoraggiano una descrizione più completa dell’evento e così via per ogni periodo interessato. Dopo aver t